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Riflessioni di copertina
Riflessioni di copertina
Ci sono luoghi in cui l’oscurità non cala soltanto: incombe.
E proprio questo li rende luoghi metaforici per eccellenza.
L’Africa, protagonista di una serie di tele che Vera Portatadino
ha dipinto dopo un viaggio in Tanzania, è uno di tali luoghi, se
come afferma la stessa artista: «Nella natura più che nella disparità sociale emerge la contraddizione». Il concetto d’incombenza della notte, con le proiezioni a essa usualmente
correlate (paura, ferinità, disorientamento e somma precarietà), ci sembra quindi una possibile chiave di lettura del suo
lavoro. Una Notte che si emancipa tuttavia da ogni attributo
temporale, per diventare principio, presenza allusa. Ne sono
veicolo, in molte sue opere, sia bestie sia volti umani che, nell’immaginario securizzato dell’osservatore urbano, sconfinano
nel dominio dell’animalità selvaggia.
Nell’immagine in copertina la notte è rappresentata da una
pennellata compatta che pende dall’alto come un sipario incastrato, una forma geometrica solida, in netto contrasto con
le forme delicate e fragili nella parte inferiore del quadro: uno
scampolo di paesaggio africano realizzato in punta di pennello, con tocchi leggeri e luminosi. Qui il colore a olio è diluito
tanto da sembrare acquerello, e tutto è connotato da freschezza e spontaneità. Se è vero, come scrive Thomas Bernhard in Perturbamento (1967), che «la tenebra dipende
totalmente dall’elemento geometrico», se dunque il buio scaturisce da un rigoroso ordine del male, l’antigeometrismo della
luce, del colore, dell’improvvisazione nonché delle figure
diurne, sinuose ancorché composte, ne rappresenta qui il logico contraltare.
L’artista tuttavia, mediante semplici quanto efficaci escamotage tecnici di sensibilità vagamente taoista (un accenno nero
sul piumaggio delle cicogne e una nota di colore, una sorta di
arcobaleno rovesciato, dentro al semicerchio della notte) evita
di cadere in un aggiornato manicheismo estetico. Anche la
scelta del soggetto raffigurato va peraltro, più o meno consapevolmente, nella medesima direzione. Le cicogne, qui
contornate da un’elegante linea grigio-azzurra, rappresentano
per antonomasia la nascita, l’alba di una nuova vita. Ma nella
favolistica ottocentesca di H.C. Andersen, per esempio, il loro
pacifico chiarore simbolico si adombra con sentimenti vendicativi e crudeli come nelle fiabe Le cicogne e La Figlia del Re
della Palude. In quest’ultima la cicogna porta a una donna
una bimba vittima di un incantesimo: «Di giorno era deliziosa
come un elfo del cielo, ma aveva una natura cattiva e selvatica, di notte era invece un orrendo batrace, silenzioso e piangente, con gli occhi tristi. In lei vi erano due nature che si
alternavano, all’esterno, come all’interno».
La pittura di Vera Portatadino ci sembra germogliare sul terreno di questa consapevolezza, dalla coscienza, forse ancora
Vera Portatadino, The Cycle (When the
Night Comes), 2015, olio su tela,
160 × 160 cm, Courtesy dell’Artista
Vera Portatadino nasce a Varese nel 1984. Dopo essersi
laureata alla NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (2007), completa la propria formazione a Londra con
un Master al Chelsea College of Art & Design (2009). Attualmente vive e lavora a Varese dove, oltre a proseguire la
propria ricerca come pittrice, gestisce Yellow, uno spazio
espositivo no-profit per la promozione della pittura italiana
e internazionale.
Tra le principali esposizioni a cui ha partecipato come artista si ricordano, nel 2015: Spazi (personale), MARS, Milano e Fabbrica del Vapore, Milano; Der Bilderatlas, Dimora
Artica, Milano e Buongiorno Ceramica!, Midec Museo Internazionale Design Ceramico, Cerro di Laveno (VA). Nel
2014: Elsewhere, Transition Gallery + Riss(e), Varese e Tu
Sei Qui, Associazione Modo, Udine. Nel 2013: With A Little Help From My Friends, Museo MAGA, Gallarate e Verticalismi (personale), Brerauno, Corbetta (Milano). Nel 2012:
BeyondZero, Flexi Space @ Stockwell Studios, Londra. Nel
2011: Machines (solo show), Stazione Funicolare VelloneSacro Monte (VA). Nel 2009: Chelsea Will Show You A
Brighter Future, Chelsea College of Art and Design, Londra;
Rum, Sodomy and the Lash, The Dolphin Inn, Londra e
Condensation 2009, Bodhi Gallery, Londra.
aurorale, di una profonda e ineliminabile ambivalenza e precarietà del reale. Per l’artista dipingere è un gesto con cui
immortalarle, fissando un istante di sospensione. Si tratta
forse di uno degli intenti più ambiziosi e nobili dell’arte visiva:
interrompere la fluida ciclicità della vita a causa della quale
abitualmente i momenti opposti si susseguono e si compenetrano tanto da rendersi a noi invisibili e inintelligibili. In questo senso, la dichiarazione di Robert Louis Stevenson in Lo
strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) potrebbe fungere da promettente premessa teorica per la giovane artista: «I stood already committed to a profound
duplicity of life».
Veronica Liotti