«Omissione contributiva e risarcimento del danno » (Cass. civ. Sez
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«Omissione contributiva e risarcimento del danno » (Cass. civ. Sez
www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 «Omissione contributiva e risarcimento del danno » (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09 ottobre 2014, n. 21300) Nel caso di omissione contributiva, sussiste l'interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l'erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del lavoro, per accertare la potenzialità dell'omissione contributiva a provocare danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell'evento dannoso (coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il raggiungimento dell'età pensionabile), l'azione risarcitoria. Tanto vale anche per il lavoratore straniero. Il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero ( D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, comma 3) stabilisce che ai lavoratori stranieri "la Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con L. 10 aprile 1981, n. 158, garantisce ...parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani". Tale impegno questo impegno - che è del nostro Paese e quindi di tutti i datori di lavoro che vi operano - trova la sua base, oltre che nell'art. 3 Cost., nell'art. 14 della CEDU oltre che nell'art. 15, comma 3, e art. 21 della Carta dei diritti fondamentali UE, come rispettivamente interpretate dalle Corti di Strasburgo e Lussemburgo. *** REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 Dott. STILE Paolo - Presidente Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere Dott. DORONZO Adriana - Consigliere Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 14037-2008 proposto da: P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell'avvocato D'AREZZO MARCO, rappresentato e difeso dagli avvocati FATIGATO PASQUALE, D'ALOISO LEONARDO, giusta delega in atti; - ricorrente contro F.Q.; - Intimato avverso la sentenza n. 203/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 20/02/2008 R.G.N. 2393/2003; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 28 febbraio 2008) accoglie, per quanto di ragione, l'appello proposto da F. Q. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 31 marzo 2003 e, in riforma di tale sentenza, condanna P.C. a: 1) pagare al F. la somma di Euro 74.044,50 oltre accessori di legge a titolo di differenze retributive (per lavoro ordinario, straordinario, tredicesima mensilità e TFR, con esclusione della quattordicesima mensilità, in 2 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 applicazione dell'art. 36 Cost.); 2) regolarizzare la posizione contributiva e assicurativa del lavoratore, in relazione alle suindicate differente retributive; 3) pagare le spese giudiziali del doppio grado di merito del giudizio. La Corte d'appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che: a) data la tardiva costituzione del P. nel giudizio di primo grado, con le consequenziali decadenze processuali verificatesi anche per le richieste istruttorie, deve dichiararsi, in primo luogo, inammissibile ex art. 437 c.p.c., comma 2, la produzione di documenti effettuata dallo stesso per la prima volta in appello; b) sono fondate le argomentazioni dell'appellante, già esposte in primo grado, sulla riferibilità delle mansioni svolte - di operaio di stalla - al CCNL dei braccianti agricoli, prodotto in giudizio, in quanto si tratta di compiti agevolmente inquadragli nella figura-base di operaio comune; c) d'altra parte, il P. ha sostenuto di aver sempre applicato al rapporto lavorativo in oggetto un non meglio identificato contratto collettivo del settore zootecnico, che peraltro non ha mai prodotto, anche dopo un esplicito invito in tal senso all'udienza del 7 ottobre 2004; d) nel merito, dall'esame delle risultanze della ampia prova testimoniale espletata, coordinato con quanto si desume in via induttiva dalle dichiarazioni rese dallo stesso P. al Servizio Ispezione del Lavoro della DPL (Direzione Provinciale del Lavoro) di Foggia, è stato accertato che il ricorrente ha lavorato alle dipendenze del P. dal luglio 1994 al 24 luglio 2000, con un orario giornaliero riferito anche ai giorni festivi di almeno 16 ore per giorno con un'ora di pausa per il pranzo, senza fruire di ferie e senza che gli fosse concesso di allontanarsi mai dal posto di lavoro (tanto che neppure conosceva la città di Foggia), che si occupava della stalla e delle mucche, per tutto ciò che serviva; e) per la determinazione delle differenze retributive dovute, a fronte delle buste paga prodotte dal datore di lavoro, l'interessato ha provato di aver riscosso per l'intero periodo la somma di L. 40.000 al giorno, pari a L. 1.200.000 mensili, su questa base si perviene alla somma totale suindicata, tenendo 3 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 conto del conteggio analitico allegato al ricorso introduttivo e mai specificamente contestato, predisposto dal F. prendendo come riferimento i compensi previsti per gli operai comuni dal citato CCNL, applicabili come parametri ex art. 36 Cost. e, per questo, con esclusione della quattordicesima mensilità; f) pertanto, come richiesto dall'interessato, il P. è obbligato a regolarizzare la posizione contributiva e assicurativa del lavoratore, in relazione alle suindicate differente retributive; g) non spetta, invece, l'indennità di mancato preavviso perchè il lavoratore non ha fornito alcuna prova specifica idonea a smentire la genuinità della dichiarazione di dimissioni a sua firma prodotta dalla controparte. 2.- Il ricorso di P.C. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; F.Q. non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Deve essere preliminarmente precisato che al presente ricorso si applicano ratione temporis le prescrizioni di cui all'art. art. 366- bis cod. proc. civ.. 1 - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.- Il ricorso è articolato in cinque motivi, di cui i primi quattro proposti con riguardo all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rispettivamente per: a) violazione degli artt. 112 e 329 cod. proc. civ. e dell'art. 2099 cod. civ. per avere la Corte d'appello, con illogica e apodittica motivazione, ritenuto che l'accertamento effettuato dal primo giudice a proposito dell'applicazione del contratto collettivo per i dipendenti da allevatori, consorzi ed enti zootecnici non era coperto dal giudicato interno, visto che il lavoratore aveva contestato solo la "applicabilità in astratto" del suindicato contratto, ma non "aveva espressamente l'accertamento giudiziale contenuto nella sentenza di primo grado .. in merito alla effettiva applicazione da parte del P. " del suddetto contratto (primo motivo); b) violazione dell'art. 2697 cod. civ. e motivazione illogica per avere la Corte territoriale condannato il P. al pagamento delle differenze retributive determinate ex art. 36 Cost., sulla base del contratto collettivo "scelto" dal 4 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 lavoratore e in assenza di allegazione e prova dell'inadeguatezza in concreto della retribuzione corrisposta sulla base di un contratto collettivo non depositato (secondo motivo); c) violazione e mancata applicazione dell'art. 36 Cost. e motivazione illogica e apodittica, per avere la Corte barese determinato la retribuzione ex art. 36 Cost. senza effettuare la dovuta valutazione di equità e proporzionalità della retribuzione percepita e sulla base dei conteggi del lavoratore, considerati non contestati dal datore di lavoro, benchè questi avesse contestato la stessa applicabilità, nella specie, del CCNL sulla cui base erano stati elaborati i conteggi (terzo motivo); d) violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 36 Cost. per avere il Giudice d'appello, con motivazione illogica, apodittica e contraddittoria, condannato il P. al pagamento di differenze retributive non equivalenti al "minimo costituzionale", ma comprendenti voci, quali l'E.D.R. e l'indennità integrativa provinciale indebitamente incluse nella base di calcolo della retribuzione nonchè lo straordinario calcolato con le maggiorazioni previste dal CCNL (quarto motivo); 2- Con il quinto motivo si denuncia, violazione dell'art. 24 Cost. e dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte barese condannato, genericamente, il P. al versamento dei contributi in favore dell'INPS - terzo estraneo al giudizio, nei confronti del quale il P. non ha quindi esercitato il proprio diritto di difesa - in relazione alle accertate differenze retributive, mentre l'interessato aveva sempre chiesto - sia in primo sia in secondo grado - che tale condanna fosse limitata "al periodo escluso dalla verifica dell'Ispettorato di Foggia e cioè dal luglio 1994 al 19 marzo 1996". 3. - Esame delle censure. 2.- I primi quattro motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione - non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. Posto che il ricorrente non contesta lo svolgimento dei fatti come riportato nella sentenza impugnata, va rilevato che, nonostante il formale richiamo alla 5 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione dei motivi, tutte le censure con essi proposte si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica - che renderebbero la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione - bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito. A ciò va aggiunto che le censure medesime sono prospettate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all'esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all'art. 366 c.p.c., n. 6, e all'art. 369 c.p.c., n. 4, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza (ex art. 366, n. 6, cit.) nonchè di individuare in quale sede processuale sono stati prodotti, con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, onde renderne possibile l'esame (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569). In applicazione di tale principio è jus receptum che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l'onere, per il principio di specificità del motivi del ricorso, a pena di inammissibilità, di precisare in quale atto difensivo o verbale di udienza l'ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perchè, pur configurando la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d'ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli 6 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (vedi, fra le tante: Cass. 17 gennaio 2007, n. 978; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730; Cass. SU 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553). 3.- E di quest'ultimo principio il ricorrente non ha tenuto conto, neppure con riguardo al quinto motivo, che, quindi, va anch'esso respinto. 4.- A ciò è da aggiungere, per completezza, che la decisione assunta con la sentenza impugnata rappresenta una corretta applicazione degli indirizzi giurisprudenziali di questa Corte con riguardo alle questioni trattate, che risulta effettuata sulla base di congrue valutazioni delle risultanze probatorie dal Giudice di appello adeguatamente motivate, attraverso l'adozione a sostegno della decisione di un iter logico-argomentativo chiaramente individuabile e che non presenta alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione. 5.- In particolare, per quel che riguarda l'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost. - a fronte di una motivazione molto ben argomentata e conforme al consolidato principio secondo cui il giudice può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto (vedi, per tutte: Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138) - il ricorrente sostiene che sarebbero stati inclusi nel calcolo compensi che non avrebbero dovuto esservi compresi, ma non offre alcuna dimostrazione di tale asserzione. D'altra parte, per quanto riguarda il quinto motivo, il ricorrente dimentica l'altrettanto consolidato principio affermato da questa Corte - cui la Corte d'appello si è attenuta - secondo cui nel caso di omissione contributiva, sussiste l'interesse del lavoratore ad agire per il risarcimento del danno ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l'erogazione delle prestazioni previdenziali, avvalendosi della domanda di condanna generica, ammissibile anche nel rito del lavoro, per accertare la potenzialità dell'omissione contributiva a provocare danno, salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell'evento dannoso (coincidente, in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali, con il raggiungimento dell'età pensionabile), 7 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 l'azione risarcitoria ex art. 2116 c.c., comma 2, oppure quella diversa, in forma specifica, L. 12 agosto 1962, n. 1338, ex art. 13 (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630). 6.- Da ultimo, e sullo sfondo, il ricorrente, nelle sue molteplici argomentazioni, non prende proprio in considerazione le condizioni di lavoro che egli ha imposto al F., la cui descrizione, come effettuata nella sentenza impugnata, è pacifica tra le parti, nel senso che: il ricorrente ha lavorato alle dipendenze del P. dal luglio 1994 al 24 luglio 2000, con un orario giornaliero riferito anche ai giorni festivi di almeno 16 ore per giorno con un'ora di pausa per il pranzo, senza fruire di ferie e senza che gli fosse concesso di allontanarsi mai dal posto di lavoro (tanto che neppure conosceva la città di Foggia), che si occupava della stalla e delle mucche, per tutto ciò che serviva. La mancata percezione del disvalore umano e sociale della condizione di lavoro e di vita imposta al dipendente comporta anche la omessa considerazione dell'impegno, risultante dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, comma 3, (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) secondo cui ai lavoratori stranieri "la Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con L. 10 aprile 1981, n. 158, garantisce ...parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani" e anche del fatto che questo impegno - che è del nostro Paese e quindi di tutti i datori di lavoro che vi operano - trova la sua base, oltre che nell'art. 3 Cost., nell'art. 14 della CEDU oltre che nell'art. 15, comma 3, e art. 21 della Carta dei diritti fondamentali UE, come rispettivamente interpretate dalle Corti di Strasburgo e Lussemburgo. Tali principi, sia pure implicitamente, sono stati invece presi in considerazione dalla Corte barese, la cui sentenza, da questo punto di vista, risulta ineccepibile. 4 - Conclusioni. 7.- In sintesi, il ricorso va respinto. Nulla si dispone per le spese del presente giudizio di legittimità, essendo F.Q. rimasto intimato. 8 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 22 maggio 2014. Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2014 9