Artigiani ed assicurazione infortuni: superare la limitazione

Transcript

Artigiani ed assicurazione infortuni: superare la limitazione
Artigiani ed assicurazione infortuni: superare la limitazione dell’ambito della tutela
Sono ricorrenti i tentativi degli artigiani, di quelli veneti soprattutto, di sottrarsi all’obbligo
dell’assicurazione infortuni gestita dall’INAIL, con azioni frontali di denuncia alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea e con azioni aggiranti, come nel caso oggetto della sentenza della
Suprema Corte, che nega la possibilità di rinunciare al diritto alla rendita infortuni in modo da poter
fruire del miglior trattamento previsto dalla coesistente assicurazione sociale.
La questione può essere superata solo considerando le implicazioni – richiamate dalla Cassazione –
del rapporto fra rinuncia alla rendita e persistenza dei diritti derivanti dall’infortunio, ovvero
liquidata in termini di confronto fra guelfi e ghibellini nel quadro delle ricorrenti sollecitazioni a
liberalizzare tutto, compresa l’assicurazione infortuni. Ma ciò non giova, mentre può essere utile
valutare i termini della questione, prendendo spunto da un tema solo apparentemente lontano,
relativo ai casi d’imprenditori veneti che, negli ultimi anni, si sono suicidati per non dover fare
fronte alla bancarotta dell’azienda e licenziare i propri collaboratori.
È bene ricordare in premessa, come l’assicurazione infortuni sia stata estesa agli artigiani con la
legge n. 15 del 1963, che limitava l’estensione, peraltro, agli artigiani che avessero alle loro
dipendenze lavoratrici assicurate, non senza proteste da parte degli interessati1 e perplessità di
quanti considerano anomalo l’inserimento d’imprenditori in un sistema assicurativo basato su
principi di responsabilità imprenditoriale. Né convinceva l’accostamento alla situazione
dell’agricoltura per la diversità storica dello sviluppo della tutela e per il fatto che, almeno
all’epoca, lo stesso regime contributivo agricolo faceva propendere per una ricostruzione nella
quale il “fondo rustico” fosse una sorta di soggetto obbligato. Nel 1965, poi, il quadro fu completato
con il Testo unico n. 1124 che, in conformità ad una delega molto ampia dell’articolo 30 della legge
n. 15, estese la tutela agli artigiani anche senza dipendenti.
La realtà è, dunque, che nel 1963 fu compiuta un’operazione traumatica per il sistema assicurativo
inerente ai rischi professionali, consacrando lo spostamento del relativo asse dal rischio
professionale dell’imprenditore a quello professionale dei soggetti esposti, accomunati dall’articolo
38 della Costituzione nell’unitaria tutela di tutti i lavoratori. Un trauma, quindi, già sul piano dei
principi, oggettivamente legato all’esigenza di inserire specificità e bisogni di tutela della nuova
categoria in un contesto pensato e modellato sulla condizione di lavoratore dipendente, anzi di
operaio, o meglio di operaio dell’industria. Difficoltà, è bene aggiungere, che per l’esigenza di
riordino armonico, avvertita fortemente all’epoca, si scelse di mettere tutto nel Testo Unico:
disposizioni primarie e norme dal chiaro valore regolamentare, rendendo così difficoltoso per
l’INAIL adeguare la disciplina alla diversità di situazioni degli interessati. Da ciò continui
aggiustamenti di tiro sul piano amministrativo.
In ogni caso, l’estensione restò confermata nei termini previsti dal Testo Unico n. 1124 che riprese
la formulazione della legge n. 15 del 1963 riguardante “gli artigiani che prestano abitualmente
opera manuale nelle rispettive aziende, ma solo quando ricorra l’obbligo assicurativo nei confronti
dei propri dipendenti”, limitandosi a togliere l’ultima parte della frase con una formulazione che,
alla luce dei principi in tema di artigianato, potrebbe leggersi “gli artigiani che siano artigiani” e che
per questo è stata assunta a motivazione di una giurisprudenza singolarmente pacifica, più che
costante, nel senso di escludere dalla tutela gli infortuni occorsi nell’esercizio dell’attività
imprenditoriale con una separazione che agli inizi della tutela fu mitigata dall’Istituto assicuratore,
poi costretto ad adeguarsi alla impostazione della Corte di Cassazione nell’esercizio della sua
funzione nomofilattica.
La costruzione così consolidatasi, cioè, si basa sulla dizione “prestano opera manuale” dell’articolo
4 che, altrimenti, non avrebbe senso quale identificativo di una categoria la cui nozione si rinviene
1
Fu necessaria, fra l’altro, una legge – la n. 413 del 1965 – per disciplinare i rapporti fra l’innovazione e la
preesistenza di assicurazioni private stipulate dagli artigiani.
nella “manualità”, soprattutto nel caso dell’artigiano senza dipendenti che non può certamente
limitarsi alla sola diretta partecipazione al processo produttivo.
A prescindere da queste considerazioni lessicali, peraltro, tale interpretazione, se comprensibile
all’epoca, a distanza di cinquanta anni lascia molto perplessi e disorientati a confronto con tutta
l’evoluzione dell’assicurazione infortuni classica in cui la manualità ha perso progressivamente il
valore definitorio che aveva all’inizio e, soprattutto, il sistema stesso deve ricostruirsi tenendo
distinto il momento dell’identificazione dei soggetti protagonisti (nel caso di specie gli assicurati)
dal momento dell’identificazione dell’infortunio tutelabile verificatosi in occasione di lavoro, di
quel lavoro o attività che fa parte della professione del soggetto interessato.
È un criterio che dovrebbe essere pacifico, ma non lo è, come tutte le costruzioni sostanzialmente,
ma non formalmente di diritto pretorio dell’assicurazione infortuni, che giustificano di volta in volta
sentenze estemporanee, necessità di complesse argomentazioni per ricondurre la fattispecie concreta
a quel quid che consente di erogare la rendita all’infortunato sul lavoro. E questo già da solo
giustificherebbe l’emanazione di un nuovo Testo Unico che renda più semplice il sistema, buttando
al macero il quintale di pagine che ancora occorrono agli autori per descrivere il campo di
applicazione dell’assicurazione infortuni. La semplificazione normativa ridurrebbe, oltretutto,
l’impegno dei magistrati nel motivare l’assicurabilità per esposizione al rischio elettrico e per
spiegare le ragioni in base alle quali uno studente d’istituto professionale debba essere indennizzato
per un infortunio in itinere secondo un ragionamento lineare, nel senso che una volta inserito il
soggetto nel novero delle persone assicurate, lo stesso deve essere indennizzato per tutti gli eventi
qualificabili come infortunio professionale, ivi compresi quelli espressamente considerati come
l’infortunio in itinere.
Certamente il sistema si è aggrovigliato su se stesso mostrando tutti i limiti di un’evoluzione
secolare fatta da leggi estemporanee, sentenze della Corte Costituzionale, diritto sostanzialmente
pretorio di una magistratura attenta a reinterpretare un diritto vivente in continuo movimento. Per
questo è senz’altro da riconsiderare nella sua complessità con un nuovo Testo Unico, così come
sollecitato dall’ANMIL, che possa recuperare, fra l’altro, le iniziative dell’Istituto che a suo tempo
aveva concordato con le associazioni di categoria l’individuazione di un meccanismo di flessibilità
della tutela di cui si è poi persa traccia.
Nel frattempo, però, non appare giusto che si continui ad operare “per compartimenti stagni” nel
senso di adeguare di volta in volta il principio alla situazione di fatto, riproponendo il criterio del
riferimento – per l’indennizzabilità – al “rischio assicurato”, come nel caso, in definitiva, degli
artigiani. Confermiamo, quindi, la convinzione che tutte le definizioni possibili del Testo Unico
servano – a conclusione di un’evoluzione di cinquanta anni – solo per far entrare nel novero degli
assicurati il soggetto interessato, salvo poi utilizzare, per l’indennizzo, il lineare criterio del
riferimento all’occasione di lavoro: il lavoro tout court del medesimo e non quello espressione del
rischio per il quale si è entrati in partita. Con questa ipotesi ricostruttiva, nel successivo paragrafo
possiamo, così, riflettere sul suicidio dell’artigiano.
2. Sulla base dell’anzidetta ipotesi ricostruttiva, possiamo così riflettere sulla possibilità di
considerare indennizzabile il suicidio dell’imprenditore artigiano o l’infarto subìto dallo stesso alle
prese con difficoltà economiche legate alla produzione aziendale non più capace di reggere il
confronto del mercato. In questa riflessione, proprio grazie all’ipotesi in premessa, possiamo
utilizzare le categorie interpretative applicate per la generalità dei lavoratori dipendenti nelle ipotesi
d’infarto, da un lato, dall’altro di suicidio determinato da eventi legati alla difficoltà economica
sviluppatasi nella sua gravità.
Per l’infarto la casistica relativa ai lavoratori dipendenti è ricca di giurisprudenza e dottrina nel
senso dell’ammissibilità a determinate condizioni che, com’è stato rilevato,: la stessa Cassazione
tende ad ampliare a fronte della gravità dell’evento, affermando che “1) il carattere violento della
causa va individuato nella natura stessa dell’infarto, dove si ha una rottura dell’equilibrio
dell’organismo del lavoratore concentrato in una minima frazione di tempo; 2) l’infarto ben può
essere ricondotto a cause psichiche ed emotive2”.
È pacifico, quindi, che tali considerazioni - e l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza ben possono essere utilizzate per un artigiano, nella misura in cui si dimostri che l’evento si sia
verificato in relazione ad un fattore specifico di stress o di logoramento concentrato nel tempo:
fattore che può essere legato ad episodi rientranti nella ordinaria partecipazione al ciclo produttivo –
ed è soluzione pacifica - ovvero essere riconducibile ad episodi legati all’attività imprenditoriale del
soggetto, come un avviso di sfratto, l’annullamento di ordini importanti per la prosecuzione
dell’attività, una sanzione pecuniaria o un accertamento fiscale ecc. Soluzione, quest’ultima,
altrettanto pacifica se si condivide l’ipotesi ricostruttiva contenuta nel primo paragrafo.
Più problematica è l’ipotesi di una situazione economica logorante nel tempo, rispetto alla quale la
medicina legale può fornire utili elementi di valutazione di un evento comunque annoverabile fra gli
infortuni per la subitaneità dell’episodio conclusivo del logoramento, che già oggi tocca da vicino
categorie di dipendenti, quali i dirigenti in tutto assimilabili, per quest’aspetto, agli artigiani
imprenditori.
Egualmente complessa è la valutazione dell’ipotesi di suicidio causato dalle difficoltà economiche,
pienamente comparabile a quella del lavoratore licenziato, salvo in entrambi i casi valutare la
contingente circostanza che ha indotto nello specifico l’uno e l’altro al suicidio per la traumaticità
della conoscenza, ad esempio, del licenziamento ovvero del crollo aziendale. Salvo assimilare,
eventualmente, questa ipotesi all’infarto, nella misura in cui la rottura dell’equilibrio psichico - e
quindi l’evento lesivo - siano intervenuti in un lasso di tempo, rispetto al momento di abbandono
del lavoro compatibile, con i principi affermati dalla Cassazione, appunto, in caso di infarto.
Resta, sullo sfondo, la pregiudiziale della mancata copertura assicurativa dell’artigiano per queste
situazioni preliminari e che, proprio in ragione della gravità dei fenomeni e della possibilità di
un’ardita assimilazione dell’artigiano imprenditore al dirigente di azienda, si potrebbe superare: o
meglio se ne potrebbe riconoscere l’ormai avvenuto superamento.
Pasquale Acconcia
2
Così De Matteis, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2011, pag. 256.