Articolo Brambilla

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Articolo Brambilla
Alti tassi di sostituzione ma bassi redditi: ecco
perché la previdenza complementare serve
Alberto Brambilla
Nella recente polemica sul TFR nella quale “il Punto” ha preso tra i primi e con coraggio una
posizione fortemente negativa (ora seguita da molti) ne sono state dette tante; molte fuori tema. Tra
le più “gettonate”, ovviamente a favore del TFR in busta paga, c’è quella che dice (sintetizzo):
“poiché i tassi di sostituzione in Italia sono alti che bisogno c’è di previdenza complementare?
Meglio consumare adesso”. Qui non ripeterò le critiche scritte in precedenza ma semplicemente
evidenziare che questo ragionamento non regge per le seguenti ragioni.
Intanto precisiamo che i tassi di sostituzione possono essere lordi o netti; i tassi lordi sono definiti
come il rapporto fra l’importo annuo della prima rata di pensione e quello dell’ultima retribuzione
(o reddito da lavoro per gli autonomi) ed esprimono la variazione del reddito lordo del lavoratore
nel passaggio dalla fase attiva a quella di quiescenza; i tassi di sostituzione netti vengono calcolati
esprimendo sia la pensione che la retribuzione al netto del prelievo contributivo e fiscale e sono
quindi un indicatore di adeguatezza delle prestazioni poiché misurano di quanto il reddito
disponibile di un lavoratore si modifica a seguito del pensionamento. I tassi di sostituzione netti
risultano significativamente superiori a quelli lordi, a parità di ogni altra condizione per via della
doppia progressività dell’imposta sul reddito personale e del fatto che l’aliquota contributiva grava
sulla retribuzione a carico del lavoratore attivo e non sull’importo della pensione.
Come si può vedere dai successivi grafici A e B, effettivamente i tassi di sostituzione netti sono
alti e oscillano tra il 72,9% e il 79% per i dipendenti e tra il 64% e il 71,2% per gli autonomi, con un
minimo del 65% per carriere importanti (+3% reale di incremento della retribuzione annua).
Il risultato più evidente delle simulazioni è che, a parità di metodo di calcolo, le nuove generazioni
conseguono tassi di sostituzione netti tendenzialmente più generosi delle generazioni che le hanno
precedute e questo è sicuramente un risultato interessante e al contempo contro intuitivo e
comunque non in linea con il “comune sentire” dei media e di molti attori sociali cosicché anche i
diretti interessati (soprattutto i giovani) pensano che la pensione non l’avranno mai o ne avranno
molto poca. L’incremento registrato del tasso di sostituzione è però semplicemente l’effetto del
costante aumento dell’età di accesso alla pensione e del correlato aumento dell’anzianità
contributiva. La generazione del 1980, rispetto alla generazione del 1968, andrà in pensione con più
anni di età e con una conseguente maggiore anzianità contributiva. E’ un dato certamente
confortante e comunque tra i più elevati tra i Paesi industrializzati. Attenzione però poiché tutto
dipende dai redditi da attivo; infatti posso avere il 79,1% di tasso di sostituzione ma se percepivo
1.000 € netti mese per 13 mensilità, avrò una pensione di 791 € netti mese per 13 mesi. Il tasso di
sostituzione è molto alto ma la rendita dipende dal reddito da attivo. E qui sta il vero problema; la
stragrande maggioranza dei redditi da lavoro e autonomi si situa proprio attorno ai 1.000 € netti e le
prospettive economiche sono tali da far pensare che salari e redditi non cresceranno molto nei
prossimi anni. Inoltre, come più volte sottolineato, le prestazioni di integrazione al minimo e le
diverse forme di maggiorazioni sociali non sono più previste per coloro che hanno iniziato a
lavorare dal 1/1/1996; ma anche le indennità relative alla non autosufficienza saranno sempre meno
disponibili per via dei problemi di bilancio pubblico combinati con il notevole invecchiamento della
popolazione. E’ per questo che occorre la previdenza complementare che può agevolmente
arrotondare di un 20% il reddito pensionistico disponibile sgravando lo Stato da interventi che non
potrà più fare e consentendo ai lavoratori una vecchiaia più dignitosa. Altro che alti tassi di
sostituzione e incremento dei consumi.
NOTE AI GRAFICI (metodica di calcolo): Per calcolare i “tassi di sostituzione netti” sono stati simulati diversi profili generazionali
(per anno di nascita), in diverse ipotesi di scenario economico (incremento del PIL nominale e dinamica individuale di incremento
delle retribuzioni oltre i prezzi), tenendo conto di tutte le variazioni attese relative agli incrementi della speranza di vita in termini di
requisiti di pensionamento e delle variazioni dei coefficienti attuariali e applicando scrupolosamente le regole del calcolo
contributivo (coefficiente di rivalutazione sulla base della media quinquennale del PIL nominale). Sono stati mantenuti fissi l’età
d’inizio dell’attività lavorativa a 24 anni ed il percorso di crescita delle retribuzioni nel periodo di attività. Nella carriera contributiva
abbiamo inoltre previsto anche un periodo di omissione contributiva (pari a circa il 15% dell’intera vita lavorativa) frutto
dell’inizio discontinuo e tendenzialmente poco stabile che i neo assunti stanno affrontando in questo specifico momento storico in
Italia, e probabilmente anche nel prossimo futuro. Ipotesi 1: Tassi di sostituzione netti attesi per lavoratori dipendenti privati e
pubblici e lavoratori autonomi; (grafico A) Stima in linea con l’ultimo rapporto del Nucleo di Valutazione e della RGS, con
crescita delle retribuzioni individuali attese all’1,51% reale, ipotesi di crescita media quinquennale del PIL pari a 1,57% reale e
inflazione al 2% (con relativo incremento della produttività pari all’1,53% annuo). La terza curva ha le medesime ipotesi ma con
dinamica individuale pari al 3% anziché 1,51%. Ipotesi 2 – Tassi di sostituzione netti attesi per lavoratori dipendenti privati e
pubblici e lavoratori autonomi (grafico 6.5) con crescita delle retribuzioni attese pari all’1,2% reale, e crescita media quinquennale
del PIL pari a 1% (con correlata riduzione del tasso di incremento della produttività). I calcoli sono riferiti ai lavoratori dipendenti e
a quelli autonomi che hanno due tassi di sostituzione differenti per la diversa aliquota di computo (33%, nel primo caso e 24%, a
decorrere dal 2018, nel secondo) che incide in misura proporzionale sul calcolo dell’importo della pensione lorda e netta.
Note:
RGS – Ragioneria Generale dello Stato
Pil – Prodotto Interno Lordo