Premessa 1. L`Università dal passato al presente 2. Le criticità dell

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Premessa 1. L`Università dal passato al presente 2. Le criticità dell
Premessa
1. L’Università dal passato al presente
2. Le criticità dell’Università di oggi
3. I segnali di ripresa
4. Il percorso per un nuovo modello di Università
5. La governance
6. Le risorse finanziarie nell’Università
7. Il ruolo del personale tecnico-amministrativo
8. I servizi innovativi di qualità
9. La qualità e il cambiamento
Conclusioni
Convegno Studenti
13 gennaio 2006
Premessa
Ringrazio il CNSU del cui invito mi sento onorato.
Colgo l’occasione per portare agli Studenti il saluto del CODAU, il Convegno
permanente dei Direttori amministrativi e dei Dirigenti delle Università italiane,
una associazione finalizzata, nei limiti del possibile, a fare sistema tra la Dirigenza
universitaria.
Un ruolo importante ed essenziale per la gestione universitaria, di cui l’Università
non può fare a meno, anche se talvolta si tratta di un ruolo rivendicato e non
sempre riconosciuto, in quanto non sempre rispondente alle attese.
Non è questo l’argomento centrale del mio intervento, ma mi preme sottolineare
l’esistenza di una correlazione forte tra la dirigenza universitaria e i servizi resi
agli Studenti.
Mi è stato chiesto di parlare di alcuni aspetti tecnici, quali le risorse finanziarie,
ma ho ritenuto opportuno allargare il discorso, per una migliore comprensione dei
fenomeni più significativi della vita universitaria, di cui lo studente è il
protagonista e lo stakeholders più importante.
In questa ottica ho tenuto ben presente il messaggio che il Presidente del CNSU,
Salvatore Muratore, ha voluto esprimere in occasione del Convegno annuale del
Codau, svoltosi a Taormina nel settembre del 2005.
Il convegno dal titolo: “I servizi agli studenti al centro dell’attività gestionale
dell’Università….ovvero dalla parte degli studenti”, ha registrato un grande
successo e ha visto la partecipazione, accanto alla Dirigenza universitaria, di
Rettori e Docenti, del MIUR, della Confindustria, di illustri esperti e, quale
principale interlocutore, del CNSU.
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Il Presidente Muratore ha sottolineato la necessità di un approccio sociale e umano
e non solo tecnicistico laddove si parli di servizi agli studenti e la necessità di
introdurre una nuova cultura di welfare studentesco nel quadro istituzionale.
In una visione di “cittadinanza studentesca” diviene spontaneo il passaggio dal
concetto di utenza a quello di cittadinanza, per puntare a servizi di qualità e a
scelte ben mirate.
Devo dire che dopo il Convegno ha preso corpo in maniera diffusa il principio
della centralità dello studente, della necessità di fare un patto con gli studenti, di
mettere al centro di ogni programma strategico la qualità e l’obiettivo di dare
risposta alla domanda dei servizi adeguati, per una valorizzazione dei giovani.
Sulle linee tracciate da questo messaggio, ho cercato di impostare le mie
riflessioni.
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1. L’Università dal passato al presente
L’Università moderna ha vissuto negli ultimi quarant’anni un periodo turbolento,
perchè sospinta da forze esogene ed endogene verso un cambiamento spesso
concepito e inseguito come disconoscimento del passato e rifondazione di
qualcosa che nulla ha a che fare con il modello costruito in quasi mille anni di
storia.
Ma leggere la storia dell’Università è leggere la storia dell’uomo, delle scoperte,
dell’intelligenza .
Dai clerici vagantes che giravano l’Europa (oggi si parla di mobilità studentesca
come di un’innovazione, ma è un ritorno al passato, solo che allora era una
mobilità spontanea, ora regolamentata e burocratizzata), ai professori che
impartivano le lezioni dalle finestre delle loro abitazioni, a poco a poco queste
forme spontanee si organizzarono in istituzioni (metà del ‘400), in cui chi
governava erano gli studenti paganti (collecta; loro sceglievano i docenti, loro
eleggevano il Rettore, loro sceglievano il bidellus, che era in termini medievali il
Direttore amministrativo odierno) e non la corporazione accademica.
Gli studenti erano in prevalenza giovani nobili e religiosi provenienti da ogni
angolo d’Europa e raggruppati nelle Nationes (polacca, tedesca, ungherese,
gallica, spagnola, inglese, slava, ecc..).
Vi sono letture affascinanti che descrivono un mondo vivo, vivace, vigoroso,
spesso aspro, ma attaccato a ideali, intelligente, anche se spesso tumultuoso.
Nel 1290 nell’Università di Padova si registrano violazioni di domicilio, stupri,
invasione di monasteri femminili da parte di studenti. Un canonico di Bratislava,
studente, è condannato in quanto giocatore d’azzardo, insolvente dei creditori,
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aggressore di chierici a mano armata, frequentatore di taverne, invasore di orti,
prati e vigneti, spregiatore dei propri doveri clericali, spergiuro.
E’ però anche il periodo d’oro per le Università, fucina e laboratorio di idee, di
cultura, di ricerca e di formazione: il periodo che va dal 1300 al 1700 e che
sortisce grandissimi nomi, anche se per certe situazioni è interessante notare lo
stile e il clima contraddittorio.
Un provveditore pisano scrive sconsolato: “tutti li Professori o quasi tutti sono in
loro natura sensibili e vani e in queste proprietà sono simili alle donne. Mi pare
havere a ffare chon pazi e chon fanciulli havendo a ffare con questi doctori” o il
famoso medico Francesco Redi che scrive: “i lettori di Padova devon tenere gran
posto di uomini seri, e di palafrenieri in livrea e si debbono fare di maestose toghe
giornalmente rinnovate, altrimenti chi non tien questo borioso posto, quand’anche
fosse il più dotto, ed il più saputo christiano del mondo, non è stimato in Padova
nè poco, ne punto”.
La civiltà moderna nasce nell’Università, un’istituzione che godeva della più
ampia autonomia, ma che veniva tenuta fuori dai grandi centri urbani (la
Repubblica veneta decentra l’Università a Padova, Milano a Pavia), perchè
l’autonomia e la goliardia erano un pericolo per il governo, che però ha sempre
favorito e incentivato le Università, difendendone i privilegi e la libertà (Universa
universis patavina libertas, dove si era rifugiato Galileo per sfuggire alla condanna
della Chiesa).
Con l’Università si sviluppano la scienza, la civiltà, il progresso.
Nascono collegi illustri come il Borromeo (Carlo Borromeo) e il Ghisleri (Pio V),
nascono centri e istituzioni oggi impensabili (gli Orti botanici, i Teatri anatomici)
nasce l’Umanesimo, la medicina moderna, nascono musei e collezioni, nasce la
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fisica sperimentale, si sviluppa attorno all’Università la scienza, la civiltà, il
progresso.
Dunque su queste basi non si può che essere ottimisti anche per il futuro
dell’Università.
Ma quale futuro?
Non mi addentro nei meccanismi dei due fattori produttivi che tradizionalmente
hanno rappresentato la mission dell’Università: la produzione del sapere (la
ricerca), la diffusione della conoscenza (la didattica), cui si è aggiunta la funzione
di essere risorsa per il territorio.
Se poi vogliamo tentare una analisi di queste parole, - risorsa per il territorio –
dobbiamo chiarire che ciò che sembra tanto moderno e innovativo, di fatto è
sempre stato il fine ultimo dell’Università: non la ricerca fine a se stessa, non
l’insegnamento fine a se stesso, ma entrambi proiettati spontaneamente a riversare
i risultati della ricerca e a disseminare sul territorio e sulla società i giovani formati
nelle aule universitarie.
Guai invece a forzare il significato di quelle parole per dire che l’Università deve
essere sottomessa o influenzata dal territorio e deve orientare le proprie attività in
funzione di ciò che chiede o vuole il territorio in quel particolare momento.
Se così fosse, l’Università perderebbe le sue peculiari caratteristiche di universalità
e di atemporalità e non avrebbe senso parlare di futuro dell’Università, perché il
suo essere risulterebbe precario e legato a un presente espresso dalle contingenze
del momento.
Date queste premesse, si potrebbe paradossalmente dire che il futuro
dell’Università sta nel suo passato, dove emergevano l’autonomia (garantita dai
governi, rivendicata dagli studenti), la competizione (i clerici vagantes si
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portavano di Università in Università alla ricerca del meglio), la concorrenza (gli
stessi studenti si autotassavano per chiamare i docenti più famosi), la passione per
la ricerca, per lo studio, per la conoscenza.
Ma il presente e il futuro non possono basarsi solo su richiami al passato.
Se vogliamo soffermarci brevemente sugli ultimi decenni, possiamo sottolineare
quattro tappe principali, che hanno caratterizzato i momenti più significativi del
cambiamento in atto.
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2. Le criticità dell’Università di oggi
La domanda “quale futuro per l’Università” esprime un presente fatto di disagio,
disorientamento e malessere.
Credo sia necessario partire da una analisi severa e coraggiosa dei mali presenti
per proporre terapie che assicurino non solo la sopravvivenza, ma un rilancio e
uno sviluppo proiettato nei prossimi decenni.
Tale situazione deriva da una autonomia mal gestita sia dal governo sia dalle
Università.
Tutti conosciamo i mali presenti oggi nel sistema universitario:
- governance non adeguata ai tempi,
- burocrazia ancora troppo diffusa,
- spreco di risorse,
- autoreferenzialità,
- modalità di reclutamento delle risorse,
- polverizzazione delle sedi e dei corsi,
- vincoli sulla gestione,
- resistenza al cambiamento.
Ad essi possiamo aggiungere una criticità diffusa, forse non del tutto percepita,
anzi sovente respinta con indignazione, che è emersa anche nel corso del terzo
Convegno annuale del Codau, svoltosi a settembre 2005 e dedicato allo Studente.
Alcuni interventi hanno sottolineato che l’Università di oggi ha perso di vista lo
studente.
E’ una affermazione forte, paradossale, di cui andrebbero definiti i confini e i
contenuti, ma che sta a significare tre cose:
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1 – il cambiamento in senso efficientistico ha assunto spesso forme esasperate
(ricordiamo, pur senza nostalgia senile quando gli studenti sedevano attorno ai
professori che portavano idee nuove e si restava a lungo a discutere: così si
formavano le scuole, questo era un metodo per educare i giovani. Oggi spesso gli
studenti studiano migliaia di pagine e, come esame, fanno un test, forse senza aver
mai visto in faccia il professore).
2 – la riforma degli ordinamenti didattici (509/99; 270/05) ha portato
disorientamento nell’Accademia, ma ancor di più negli Studenti.
3 – il prevalere di una mentalità burocratica e sterile costringe gli Atenei e i
Docenti a una dispendiosa quanto inutile costruzione di un sistema di classi, di
ambiti disciplinari, di requisiti minimi, di crediti (decimali) che poco o nulla
hanno a che fare con i veri interessi degli Studenti.
3. I segnali di ripresa
Non mancano però evidenti e forti segnali di ripresa.
•
la ricerca
si apre al momento della produzione attraverso la
valorizzazione dei brevetti, degli spin-off, delle convenzioni, del
trasferimento tecnologico e degli incubatori.
•
la didattica è più attenta alla formazione professionale del laureato, con
ricadute positive sulla preparazione dei profili richiesti dal mondo
produttivo.
•
c’è un aumento consistente di laureati in corso e una selezione più
rigorosa in ingresso, con riduzione degli abbandoni.
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•
viene introdotto un sistema di valutazione dei docenti da parte degli
studenti e degli Atenei da parte del Ministero (con contributi specifici agli
Atenei più “virtuosi”.
•
sono stati introdotti meccanismi di controllo e regolamenti per la qualità
(bollino blu e bollino rosso per i corsi di studi; Anagrafe degli studenti;
Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario).
•
è in corso in tutti gli Atenei un animato dibattito (l’Università è diventata
un cantiere aperto) che aiuta a consapevolizzarsi sui mali e sulla ricerca dei
rimedi e degli indispensabili cambiamenti.
4. Il percorso per un nuovo modello di Università
Penso che l’Università debba sviluppare in tempi brevi una riflessione sulla
propria identità, perché la pienezza dell’autonomia impone una revisione dei
propri assetti istituzionali e organizzativi, un cambiamento degli strumenti di
gestione, l’introduzione di nuovi modelli di riferimento e di una nuova cultura del
lavoro.
Se riflettiamo sugli scenari entro cui l’Università si deve muovere, emerge
l’importanza dei nuovi fattori:
* la concorrenza internazionale (cultura, economia, produzione: prezzo, qualità,
velocità dei processi)
* le difficoltà finanziarie (quasi monopolio del contributo statale, con difficoltà di
autofinanziamento)
* le difficoltà formali (burocrazia che permea la struttura in senso lato)
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Ma occorre avere ben presenti gli obiettivi cui deve tendere l’Università del
presente e del futuro, dove le tradizionali finalità della RICERCA e della
DIDATTICA diventano non il fine ultimo, ma strumenti e mezzi attraverso i quali
si esplicano i veri fini dell’Università:
•
l’Università è luogo di riflessione, di elaborazione, di creatività
•
l’Università è luogo di educazione dei giovani, prioritariamente per una
formazione integrale e poi per il mondo del lavoro (che è in continua
evoluzione) di cui occorre tenere conto nella elaborazione delle strategie e
nella definizione delle figure, dei profili professionali e del ruolo dei
laureati
•
l’Università è veicolo di innovazione (non deve pilotare il cambiamento,
ma deve creare le premesse per il cambiamento; l’Università non deve
portare il cambiamento, ma al cambiamento)
•
i neolaureati guadagnano meno di dieci anni fa
•
i percorsi didattici (laurea, laurea magistrale, dottorato di ricerca) non
hanno ancora trovato una sintonia di attenzione da parte del mondo
produttivo (il mercato non riconosce con chiarezza le lauree di valore)
•
l’andamento contraddittorio delle scelte da parte degli studenti (20%
iscritti alle lauree scientifiche, 50% a lauree umanistiche, 30% area
economico-finanziaria)
•
il prevalere del soggetto femminile (3 matricole su 4 sono ragazze, ma
sempre meno donne alla guida di imprese).
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Per evitare la genericità delle parole, vorrei limitarmi a proporre e mettere in
evidenza il percorso e le tappe di un cambiamento, cercando di riflettere su ciò che
serve all’Università per essere preparata al futuro:
1) Recupero di una autonomia pregnante e adozione di comportamenti virtuosi
che siano coerenti con una sana gestione delle risorse finanziarie
disponibili.
L’Università deve essere messa in grado di programmare e governare con
autonomia totale, tale da potere, ad esempio, avere libertà di assunzione e di
remunerazione del personale docente e tecnico amministrativo e autonomia
nella formulazione dei profili e dei curricula. Autonomia che si realizza
attraverso la definizione di una strategia di Ateneo, la programmazione, il
governo della gestione, la valutazione dei risultati: il presupposto a tutto ciò
è l’abolizione del valore legale del titolo di studio.
2) Valorizzazione della competitività e della concorrenza che consenta di
mettere in atto una serie di meccanismi e di scelte valoriali secondo le
logiche e le regole del mercato della conoscenza (e non di prodotti
materiali). Non è fuori luogo parlare di “mercato” , in quanto il mutato
quadro istituzionale ha innescato fattori di competizione tra gli Atenei indotti
da esigenze di funzionamento, di crescita quantitativa e di sviluppo
qualitativo.
3) Trasformazione della cultura basata sull’assistenzialismo, che si culla nella
sicurezza del pubblico, in cultura del servizio, che ha un costo e che deve
essere remunerato in base al livello di qualità. Ciò implica che ogni Ateneo
sia messo nelle condizioni di raggiungere l’autosufficienza
economica,
attraverso l’autofinanziamento delle attività di ricerca, una tassazione
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adeguata ai servizi resi, il finanziamento pubblico sostenuto da regole
condivise, flessibili e contestualizzabili.
4) Definizione dei ruoli con il governo centrale: il MIUR deve concentrarsi su
compiti di regolazione, di indirizzo, di orientamento e di controllo, attraverso
poche ma chiare e condivise regole di cornice le quali a loro volta devono
essere costruite tenendo conto dei contesti molto diversi.
All’interno dell’Ateneo, il Rettore assume le funzioni che il Ministero ha in
relazione
al sistema universitario
(impulso,
strategia,
promozione,
cambiamento, controllo e valutazione) e la struttura interna va definita
attraverso i vari livelli di responsabilità nella catena di comando: politica,
gestionale, amministrativa, al fine di consentire un presidio per competenza
e una responsabilizzazione funzionale. Compito del Rettore e degli Organi di
governo sarà quello di coordinare e comporre l’anarchia dei poteri in una
composizione armonica di sistema.
5. La Governance
Quanto detto potrebbe essere la risposta al problema sulla governance di una
organizzazione complessa, dove si rende necessaria una definizione dinamica del
potere.
Sarà così possibile evitare le sovrapposizioni, le duplicazioni, i sistemi decisionali
paralleli in un dosaggio equilibrato e razionale tra l’organo monocratico di vertice,
la burocrazia professionale e il management universitario.
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In un nuovo modello di Università viene introdotto un filo conduttore molto
importante:
la tensione al cambiamento, non solo nel ripensamento degli assetti istituzionali,
ma anche nella ricerca di nuove forme organizzativo-gestionali.
Il processo di cambiamento in atto tende a sviluppare nuove logiche per la
gestione degli obiettivi e a introdurre nuove tecniche di programmazione e di
ridefinizione dei sistemi organizzativi e gestionali, di controllo interno e di
valutazione, intesa come razionale impiego delle risorse, miglioramento
qualitativo dei servizi, programmazione,
responsabilizzazione, valutazione e
soddisfazione dell’utente.
Dati questi presupposti, sono convinto che il Direttore Amministrativo rappresenti
un soggetto attivo e non passivo nel governo di questi processi e non possa quindi
sottrarsi dall’esprimere, sia pure con discrezione e prudenza, il proprio pensiero in
merito, anche se su un tema tanto delicato.
Condivido l’analisi fatta da vari studiosi, dalla quale emerge che nel passato,
l’autonomia è stata concepita come libertà inviolabile di interpretare il proprio
ruolo da parte dei soggetti interni, senza alcuna relazione con meccanismi di
programmazione, di monitoraggio, di misurazione delle prestazioni. In un tale
contesto, era naturale che il ruolo dell’amministrazione fosse circoscritto a
funzioni prescrittive, burocratiche, notarili, autorizzative, in cui erano sconosciuti,
ma perché inutili, principi fondati su responsabilità, mercato, servizio, risultato.
L’attuale sistema di governance, con poteri frammentati e sovrapposti porta a
frequenti interferenze e a una cogestione in cui diventa difficile definire e
coordinare i livelli di responsabilità e di controllo.
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La delegificazione introdotta, le difficoltà nel reperimento degli studenti, la
progressiva riduzione dei finanziamenti statali e l’introduzione di criteri selettivi
nella ripartizione dei contributi, la necessità di incentivare forme di
autofinanziamento - elementi che valorizzano l’autonomia dell’Università - hanno
comportato l’introduzione all’interno dell’Università di nuove logiche per la
gestione degli obiettivi, di nuovi strumenti di indirizzo, di nuove tecniche di
programmazione e di ridefinizione dei sistemi organizzativi e gestionali di
controllo interno e di valutazione, capaci di garantire elevata qualità delle
prestazioni (didattiche, ricerca, gestionali) secondo i principi dell’efficienza e
dell’economicità e che costringono tutti gli attori (docenti e amministrativi) a un
uso razionale delle risorse disponibili.
Se è vero che gli Organi (Rettore, Consiglio di amministrazione, Senato
accademico) mantengono un ruolo politico, strategico e di indirizzo, di fatto la
fase propositiva appartiene anche al Direttore Amministrativo attraverso
l’elaborazione di proposte e di progetti di sviluppo, la messa a fuoco degli
obiettivi e l’assunzione poi dei provvedimenti necessari per la gestione.
Questi processi si sovrappongono e si intrecciano al punto che l’interdipendenza
può portare alla paralisi della gestione, se non si definisce il momento
dell’assunzione delle decisioni (un piano strategico discusso e approvato dal
Senato Accademico deve essere sottoposto al Consiglio di Amministrazione per la
valutazione delle compatibilità economiche).
Una doverosa precisazione: stiamo parlando di nuovo modello organizzativo, di
nuova Governance e non del presente, in cui è ancora diffusa l’equazione
Amministrazione = burocrazia = paralisi e in cui il potere della burocrazia è
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esercitato e si esplica nel trincerarsi dietro una lettura formale delle norme (e che
porta e legittima una “supplenza” di funzioni spesso assenti).
Non si tratta quindi di una velleitaria rivendicazione di un ruolo non esercitato,
ma di un obiettivo in cui a un nuovo ruolo deve corrispondere una figura coerente.
Quello che conta è realizzare un modello di governance che assicuri
“Suddivisione dei poteri e chiara attribuzione delle responsabilità per instaurare
un governo responsabile con capacità decisionali e visione strategica”.
Tali problemi possono essere risolti in un’ottica in cui si opera una distinzione
funzionale operativa che converga poi in una solida integrazione strategica (non
separazione, né tanto meno contrapposizione) tra:
•
i compiti istituzionali dell’università (il che cosa)
•
l’organizzazione (il come)
e una conseguente definizione dei compiti, dell’autonomia e delle responsabilità,
elaborate secondo criteri e logiche di sistema e non di poteri isolati e chiusi.
6. Le risorse finanziarie nell’Università
Non vorrei soffermarmi più di tanto sulla ripartizione delle risorse finanziarie alle
Università, sia perché si tratta di un tema che può essere sviluppato in tanti modi
diversi e contrari l’uno all’altro (basti avere presente il quadro delle Università
sovrafinanziate e quelle sottofinanziate) e per non accentuare oltre misura
l’importanza di un argomento non certo secondario, ma neppure tra i primi nella
scelta dei valori.
Oggi la forbice si è ristretta e la distanza, sopra o sotto la media è del 10-15%.
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E’ innegabile che senza risorse finanziarie non si possono fare grandi progetti e
introdurre
significativi
cambiamenti
(le
cosiddette
riforme,
troppo
semplicisticamente definite a costo zero).
Ma è altrettanto vero che le difficoltà finanziarie che oggi le Università devono
fronteggiare non si risolvono semplicemente minacciando la chiusura delle
Università, atteggiamento che potrebbe essere letto come incapacità a risolvere i
problemi.
I vertici dell’Università devono invece fare sistema, capitalizzare le rispettive
competenze e cercare anche soluzioni diverse, quali l’analisi strutturale e
organizzativa per tendere alla massima efficienza nonché l’adozione di
comportamenti finalizzati a ridurre gli sprechi che il progetto benchmarking, in
atto tra un consistente numero di Università, ha messo in evidenza.
Occorre cioè leggere in positivo i ruoli di vertice per valorizzarne le responsabilità
e le capacità e per saperne derivare idee capaci di offrire soluzioni innovative.
Ciò significa da una parte chiedere finanziamenti adeguati, dall’altra - proprio per
rafforzare e legittimare la richiesta finanziaria - dimostrare la volontà e la capacità
di cercare anche soluzioni integrate che superino la concezione dell’
“immodificabilità” del sistema.
Questa impostazione rafforza la logica che il Rettore e il Direttore
Amministrativo debbano sapere integrare funzioni, responsabilità e competenze,
quale elemento fondante della Governance.
Il che significa attivare tutti gli strumenti adeguati per governare un sistema in
sofferenza finanziaria e operare allo stesso tempo scelte coraggiose riferite a
riduzione di attività non essenziali.
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Solo comportamenti virtuosi consentono sia un ripensamento della proliferazione
di sedi, corsi di studi, corsi di insegnamento nati
in nome della stagione
dell’autonomia universitaria e della autonomia finanziaria, sia una rigorosa
valutazione dei costi provocati dall’autonomia all’interno dei singoli Atenei.
Si tratta di scelte difficili anche sul piano della gestione, la quale può diventare un
supporto e uno strumento indispensabile per la razionalizzazione delle risorse e
l’ottimizzazione dei costi.
L’introduzione di un bilancio con contabilità analitica, di un sistema informativo
integrato, e di un nuovo impianto organizzativo supportato da percorsi formativi
che creino nuove professionalità costituiscono innovazioni necessarie perché gli
Organi di Governo dispongano degli strumenti di sintesi indispensabili per operare
scelte strategiche di prospettiva.
7. Il ruolo del personale tecnico-amministrativo
Tutte le Università oggi sono attente e orientate a investire risorse nel
miglioramento dei servizi amministrativi, che si articolano in modo dinamico e
complesso e di cui non è possibile fare a meno, purchè non siano intesi in senso
meramente strumentale.
L’immagine che il cittadino ha dell’ente pubblico e dell’impiegato statale,
estensibile ancora oggi alle università statali, è quella di una amministrazione che
si identifica con un modello costruito secondo logiche di legittimismo e di
garantismo.
L’apparato amministrativo è burocratico, perde di vista le vere ragioni del lavoro,
rifugge dalla logica di mercato, evita l’assunzione di responsabilità e di rischio, si
mimetizza dietro la lettura e il richiamo di norme rigide e di procedure.
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L’alibi formale consiste nel richiamo a una garanzia di trasparenza, per contrastare
irregolarità, scorrettezze e abusi che i più recenti avvenimenti proprio nel pubblico
dimostrano essere garanzia del tutto apparente.
Oggi ci troviamo davanti a uno scenario complesso e contraddittorio che può
costituire un ostacolo al processo di cambiamento.
Gli indicatori di riferimento ( calo demografico, contrazione della popolazione
studentesca,
internazionalizzazione,
riduzione
dei
finanziamenti
statali,
evoluzione incalzante degli scenari esterni che impone una visione prospettica
dell’azienda Università) costringono l’Università a processi di cambiamento e
spesso condizionano le strategie degli Atenei e si traducono in fattori di
competizione tra di esse.
L’evoluzione autonomistica impone alle Università di introdurre
- nuove politiche di gestione
•
ottimizzazione delle risorse umane e finanziarie
•
razionalizzazione dell’organizzazione
•
attenzione ai costi e individuazione degli sprechi
•
introduzione della logica budgetaria, del controllo di gestione, della
cultura del risultato
•
avvio di sistemi di valutazione dei processi, delle attività, dei prodotti
•
utilizzo di strumenti di programmazione, monitoraggio, valutazione
•
nuovo processo per governare le politiche:
mission, pianificazione strategica, pianificazione operativa, budget,
controllo di gestione, valutazione dei risultati
Da quanto detto emerge che, per la definizione e per il successo degli indirizzi
strategici e dei relativi processi di realizzazione riguardanti l’autonomia didattica e
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la ricerca, svolgono un ruolo importante le componenti organizzative (regole,
procedure, variabili) e i valori economici (costi/benefici, risultati, produttività,
qualità dei servizi, riduzione di sprechi). Tali fattori fanno capo al management
aziendale, il quale può condizionare i risultati, a seconda dei comportamenti
assunti in merito a responsabilizzazione nell’acquisizione e nel miglior utilizzo
delle risorse, ottimizzazione dei processi produttivi, presidio delle professionalità
richieste (capacità e attitudini al problem solving, flessibilità, relazionalità,
comprensione dell’intero processo lavorativo, governo dei nuovi strumenti di
gestione).
Tuttavia, parlare di servizi innovativi significa essere consapevoli del contesto.
Stiamo parlando del settore pubblico, cioè di un mondo che ha costruito nel tempo
una cultura dove i concetti di servizio, di qualità e di innovazione sono sempre stati
pressoché sconosciuti.
L’assenza di controlli sulla produttività, il gigantismo della struttura, la lentezza dei
processi e delle risposte, la mancanza di valutazione sono purtroppo ancora oggi i
connotati della Pubblica Amministrazione.
La legittimazione di un ruolo non può essere rivendicata, ma guadagnata e
Competenze/Comportamenti
riconosciuta sulle basi delle nostre prestazioni
Risultati
Se è doveroso parlare di management universitario è altrettanto necessario accettare
l’introduzione anche nella Pubblica Amministrazione dei sistemi e delle tecniche di
tipo manageriale, che contrastano con le logiche veteroburocratiche degli
automatismi, dell’anzianità e dell’appiattimento (non sono sergente perché ho i
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galloni, ma ho i galloni perché “sono” (cioè, sono in grado di……. ho dimostrato
che….. ) sergente.
Dunque nuove professionalità
nuove figure di dirigente
nuovi profili
coerenti con le nuove attese.
8. I servizi innovativi di qualità
L’evoluzione delle logiche di fondo del sistema universitario porta a suggerire
indirizzi innovativi non solo nelle attività prioritarie della ricerca e della didattica,
ma anche in termini di cambiamento organizzativo e gestionale dei servizi.
Tale processo deve sviluppare nuove logiche di gestione dei servizi e introdurre
nuovi strumenti di programmazione e di gestione, finalizzati non solo ad
assicurare il corretto rapporto tra obiettivi, progetti, risultati, costi (efficacia,
efficienza, economicità), ma anche a garantire la qualità nei servizi stessi.
Appare dunque evidente la centralità dei servizi affinchè la qualità rappresenti un
risultato anche per la Didattica e la Ricerca.
La stagione dell’autonomia ha aperto nuove prospettive di responsabilizzazione e
di cambiamento.
Da qualche anno si parla anche dentro all’Università di sfida del cambiamento, di
processi competitivi, di programmazione, di modello aziendale.
La qualità costituisce un obiettivo.
Cosa significa questo nel servizio, che a differenza dei prodotti industriali è un
bene immateriale, senza caratteristiche fisiche e tangibili?
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Anche nell’Università, la qualità nasce dal rapporto tra “il cliente” e chi produce il
servizio. Chi offre il servizio deve capire cosa chiede “il cliente”, creare una
relazione di fiducia, stima ed empatia, così da suscitare una percezione positiva
del servizio reso e dunque una soddisfazione e una valutazione positiva (qualità)
del servizio.
In questa ottica, la percezione diventa la chiave di volta e la bussola di tutte le
scelte gestionali.
Diventa così necessario identificare i bisogni del “cliente”, poiché tutto ciò può
generare la sua fidelizzazione e diventare l’elemento distintivo per misurare e
valutare la qualità dei servizi, attraverso il confronto tra la qualità attesa
(l’aspettativa) e la qualità erogata (il servizio).
La qualità dei servizi diventa così anche un significativo indicatore della qualità
complessiva del sistema.
Bisogna inoltre ricordare, come corollario, che tra gli indicatori di qualità
misurabili non vanno trascurati alcuni elementi tangibili: gli spazi, le aule, le
attrezzature, i giardini, i parchi, i parcheggi, le infrastrutture sportive, gli alloggi,
le mense che generano qualità, non solo per le caratteristiche fisiche, ma anche
per gli aspetti estetici, di gradevolezza, di attrattività, di immagine intrigante e
coinvolgente.
In sostanza, occorre porre attenzione non solo alla qualità tecnica del prodotto
offerto (qualità del pasto, informazione corretta), ma anche alla qualità funzionale
(il modo con cui il cliente riceve e mentalmente giudica il servizio). Ecco perché,
in un sistema sempre più competitivo anche nell’ Università, il rapporto con “il
cliente”, diventa di primaria importanza.
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Tale rapporto deve essere coerente con ciò che il cittadino chiede ai servizi e
deve corrispondere alle seguenti caratteristiche della qualità percepita:
• standard tangibili del servizio erogato (canali per veicolare il servizio;
orari di apertura al pubblico; durata dell’attesa; spazi disponibili);
• semplificazione dei servizi (pratiche, modulistica, procedure, regole);
• tempestività dell’erogazione di un servizio richiesto;
• massima espansione dell’informazione in termini di contenuti adeguati,
articolati e trasparenti;
• affidabilità del servizio (competenza del personale, coerenza informazioni
nel tempo e rispetto ad altri uffici);
• elevato livello di informatizzazione (un buon sistema informativo integrato
e sistemico è un fattore critico di successo e consente di acquisire un
vantaggio competitivo);
• programmazione e pianificazione servizi;
• integrazione e innovazione (rispetto al servizio tradizionale: firma digitale;
corsi di lingua; prestiti d’onore);
• servizi personalizzati e/o personalizzabili;
• empatia relazionale (cortesia, attenzione, disponibilità, ascolto, dialogo,
condivisione problema, dimostrazione del farsi carico del problema,
fiducia e sicurezza, rispetto all’interlocutore).
9. La qualità e il cambiamento
Alla dichiarata volontà di perseguire la qualità dei servizi e alla certificazione di
qualche processo amministrativo, deve far seguito un cambiamento coerente.
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Qualche tempo fa è stata condotta una indagine sulla qualità in azienda ed è stato
chiesto di elencare in ordine di importanza, le voci ritenute più critiche per le
aziende.
In testa è risultata la qualità del servizio, al secondo la qualità del prodotto.
Alla domanda successiva, su quali fossero i mezzi per migliorare la qualità e
quindi la competitività, la risposta corale è stata: “ la motivazione del personale”,
“ il cambiamento della cultura aziendale”, “la formazione dei dipendenti” .
La centralità dell’uomo dunque resta la chiave di volta di cui non si può non
tenere conto per la soluzione di qualsiasi problema.
Questo spiega perché non tutte le pubbliche amministrazioni degenerano nella
disfunzione.
Non bastano norme e regolamenti, uguali per tutti, ma ciò che fa la differenza è il
comportamento umano.
La QUALITA’ dei SERVIZI rischia di restare pura teoria pur condivisibile, se
disancorata da una realtà gestionale che deve invece essere presidiata e governata
in termini globali.
Questi passaggi consentono anche di vedere l’obiettivo “Qualità nei servizi” non
come un obiettivo a se stante, ma in termini relativi e contestuali a una serie di
altri indicatori da sottoporre a valutazione complessiva e che il governo
amministrativo dell’Ateneo deve tenere presente.
Mi riferisco ad efficienza ed economicità dei servizi e delle attività, che devono
coniugarsi e integrarsi con la qualità.
Mi riferisco a un altro aspetto da non sottovalutare: se è vero che “qualità dei
servizi” è strettamente correlata alla “percezione” della qualità e alla
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soddisfazione del cliente, occorre tener presente che è possibile che la percezione
non sia coerente con il dato oggettivo.
Questo fattore è emerso nell’analisi di good practice 2003 realizzata tra 14 Atenei
del Centro Nord e 10 Atenei del Sud, dove nello studio del Servizio Segreteria
Studenti emergeva una incoerenza tra il dato oggettivo (es. tempi di attesa quasi
nulli) e la percezione degli studenti (accentuata lamentela su orari di apertura
ridotti).
Di tutti questi elementi occorre tenere conto quando si introduce pragmaticamente
l’obiettivo della qualità nei servizi, in quanto si tratta di una scelta legata al
cambiamento organizzativo, a un miglioramento continuo della gestione, a
un insieme di scelte organizzative e gestionali che devono trovare all’interno
dei servizi un giusto equilibrio.
Un percorso articolato e integrato consente di elaborare una visione e una
strategia del servizio, che si esprima poi in tante azioni (parlare ogni giorno del
servizio di qualità, reclutare le persone attente e disponibili alle relazioni e che
vedono nel servizio la loro missione, ecc.).
Uno strumento gestionale utile per raggiungere e assicurare una elevata qualità
nei servizi è il benchmarking, inteso come analisi e individuazione dei processi
migliori messi in atto per adattarli (e non semplicemente adottarli) alla nostra
realtà.
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Conclusioni
Poco tempo fa (Corriere della Sera novembre 2004), Sabino Cassese parlava
ancora del pubblico impiego in questi termini: “ i dipendenti pubblici sono senza
una guida e hanno perduto la loro missione”, “i corpi amministrativi invecchiano.
L’Amministrazione fa
passi indietro,
invece
che avanti,
sulla
strada
dell’efficienza”.
Questa visione pessimistica è giustificata da una lettura statica della pubblica
amministrazione.
L’ampia autonomia gestionale è garanzia di competitività, dove solo chi saprà
affrontare scelte anche difficili e scomode, ma coerenti con il sistema, esprimerà
una gestione virtuosa e garantirà la vera qualità dei servizi.
L’introduzione di una nuova cultura del lavoro, di un nuovo modello
organizzativo e di nuovi valori, quali la qualità del servizio, legittimano un cauto
ottimismo.
L’Università dovrebbe acquisire la consapevolezza dell’opportunità di non
trascurare come riferimento il modello aziendale, dove non si usano le leggi per
stabilire processi, obiettivi e valori e dove l’orientamento al risultato è perseguito
attraverso la logica del budget, la programmazione, la pianificazione, il controllo,
la soddisfazione del cliente.
Un corretto approccio alla qualità dei servizi è dunque una nuova filosofia
gestionale rispetto alla obsoleta immagine del burocrate che è separato dal cliente
anche da barriere fisiche; una filosofia basata su una nuova cultura organizzativa,
sul coinvolgimento responsabile, sulla preparazione professionale, ma soprattutto
su comportamenti adeguati per sostenere la cultura del servizio.
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Anche un’organizzazione di servizi non è un meccanismo proceduralizzabile e la
cultura del servizio di qualità non può essere imposta con ordinanze o decreti: la
cortesia formale imposta è diversa dall’empatia che sprigiona da un sentire
interiore.
In questi ultimi concetti ho cercato di sintetizzare gli aspetti che generano una
relazione tra Studenti e Dirigenza universitaria.
Lo studente, non più cliente rassegnato, deve operare per stimolare e aiutare a
crescere anche la Dirigenza universitaria, che non ha un ruolo secondario, al fine
di favorire un cambiamento di cultura che deve estendersi a tutti gli aspetti della
vita universitaria, cioè al “sistema” interno.
Se quanto descritto restasse al livello di semplice tecnologia, risulterebbe ancora
estraneo allo Studente.
L’obiettivo del sistema, in cui tutti gli attori sono coinvolti, è di guardare al di là
dell’ottica burocratica o tecnicistica, e di porre tutti gli strumenti, che vanno
attivati e presidiati con grande professionalità, al servizio di un processo di
crescita della persona.
E’ una sfida di cultura, che non può prescindere da una visione sistemica dove la
qualità è intrinsecamente legata a un insieme di processi tecnici e da una forte
tensione interiore proiettata a valori educativi.
Dott. Giuseppino Molinari
Presidente Codau
Direttore Amministrativo Politecnico di Milano
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