Orizzonti - Gruppo Carige
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Orizzonti - Gruppo Carige
LA CASANA Periodico quadrimestrale della Banca Carige S.p.A. Genova - Italia n. 3 - 2016 - anno LVIII Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA Spedizione in abbonamento postale - 70% DCB Genova - Tassa pagata / Taxe perçue LA CASANA N 3 - 2016 Direttore responsabile Alfredo Majo Redazione e segreteria Francesca Lilla Progetto grafico Meloria Comunicazione - Genova - Milano impaginazione Studio Huen di Robert Emil Huen - Milano Realizzazione e stampa Elcograf Spa - via Mondadori 15 - Verona Referenze fotografiche (I numeri fra parentesi indicano le pagine) Albenga Cascina Feipu dei Massaretti di Parodi Agostino e C. (40) Bastia d’Albenga Azienda Agricola Biologica Vio Giobatta (40) Diano Arentino Azienda Agricola Maria Donata Bianchi di Trevia Marta (40,43) Firenze Museo Nazionale del Bargello (18) Genova Archivio fotografico Alfieri Maisano (48,49,50,51) Archivio fotografico Banca Carige spa (28,30,31,44,47,53) Archivio fotografico Gian Antonio Dall’Aglio (36,38) Archivio fotografico Linda Kaiser (10,12,13,14,15) Collezione privata (16,19) Foto Studio Leoni (52) Oscar Flacco (24,27) Milano Archivio Fotografico Giglio Group (6,8,9) Dondena Matilde (3,4,5) San Colombano Certenoli Archivio fotografico Fabio Benvenuto (38) Santa Margherita Ligure Archivio Fotografico Comune Santa Margherita (20,21,22,23) San Paolo del Brasile Archivio Fotografico Fondazione G. Ratto (32,34,35) Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori dei quali si intende rispettare la piena libertà di giudizio. La collaborazione alla rivista avviene solo per invito. In copertina: Genova - Palazzo Rosso visto dal giardino di Palazzo Tursi Photo: Foto Studio Leoni La riproduzione totale o parziale degli articoli non è vietata, purché siano citati la fonte e gli autori. Per comunicazioni relative al cambio d’indirizzo si prega di scrivere una e-mail a: [email protected] Autorizzazione n. 439 del 30-10-1958 del Tribunale di Genova International Standard Serial Number iT ISSN 0008-719X Associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana Di questo numero sono state tirate 30.000 copie Finito di stampare nel mese di gennaio 2017 Banca Carige Spa -16123 Genova Via Cassa di Risparmio 15 - tel. 010 5793380 www.carige.it [email protected] sommario 24 28 10 idee 2 36 Action Learning: quando il teatro entra in azienda di Matilde Dondena persone 6 Il giro del mondo con la televisione di Alessandro Giglio di Eliana Quattrini orizzonti storie 10 16 20 Il Museo dell’Arte Vetraria Altarese, collezione unica in un contesto Liberty di Linda Kaiser Due miniature trecentesche per Genova di Mario Marcenaro Relitto e anfore romane di Giovanna Benetti cartoline 24 Il sogno e la fatica di una Liguria eroica di Oscar Flacco 48 palcoscenici 28 32 “Lego il mio violino alla città di Genova onde sia perpetuamente conservato” di Chiara Carenini Gianni Ratto, scenografo “magico” di Pietro Boragina emozioni sapori 36 40 Croccante come una nocciola di Gian Antonio Dall’Aglio Il Mediterraneo in un vino di Danilo Poggio visioni 44 48 Renata Minuto canta la “Liguria Madre“ tra Savona e Roma di Silvia Bottaro Edoardo Alfieri, testimone eclettico della scultura del ‘900 di Maria Daniela Lunghi 52 echi carige 56 notizie in pillole a cura di Guido Conforti 1 action learning: quando il teatro entra in azienda In un mondo lavorativo in continuo cambiamento il capitale umano è di fondamentale importanza perché è proprio dalle persone che rinasce un’organizzazione. Si sente sempre più spesso parlare di worklife balance e di benessere sul lavoro. Cosa significa stare bene sul lavoro? di matilde dondena S i è felici se riusciamo a costruire relazioni sane in ogni ambito della nostra vita e quindi è prioritario nel proprio ambiente riuscire ad avere una buona, se non ottima, qualità nei rapporti umani e instaurare relazioni basate sulla fiducia, sul dialogo, sulla condivisione. Come poter migliorare in modo effettivo l’equilibrio tra vita personale e professionale e vivere relazioni lavorative in modo più costruttivo e consapevole? Sicuramente all’interno dei progetti di worklife balance in azienda una parte importante è occupata dalla formazione. Lo sviluppo delle risorse umane è difatti importante per migliorare e far crescere l’azienda. Ma quale tipo di formazione? Oltre alla for- 2 mazione hard, tecnica, che sicuramente è utile fare in un periodo in cui tutto viaggia e cambia con rapidità, è da considerare importante la formazione delle cosiddette soft skills (life skills), competenze trasversali ad ogni campo e figura professionale perché legate alla sfera comportamentale. Queste abilità mirano a generare e rigenerare risorse e potenzialità della persona aiutandola a vivere al meglio l’imprevedibilità e il cambiamento nella vita e nel lavoro. Le soft skills caratterizzano profondamente l’individuo poiché vanno a delineare la personalità e le modalità di relazione all’interno del contesto sociale. Sono un bagaglio che tutti abbiamo e aumentare la propria consapevo- idee lezza è utile a migliorare i rapporti. Spesso, come scritto poco fa, si tende a dimenticare quanto una buona relazione con gli altri (e con noi stessi) possa aiutarci a vivere meglio la vita a livello personale e collettivo oltre che a migliorare i rapporti a livello lavorativo. Prendersi del tempo per studiarle e analizzarle, in modo da capire quali sono i propri punti di forza-debolezza, è utile per la propria crescita, infatti, le soft skills arricchiscono e ampliano le hard skills e questi due mondi, seppur apparentemente lontani, non possono essere scissi. Da un’importante indagine è emerso che le aziende in questo ultimo anno cercano nei propri colleghi un’elevata capacità di problem solving, orientamento agli obiettivi oltre che di collaborazione e gestione dei team. Baby boomers, generazione X e millennial devono riuscire quindi ad aumentare le loro abilità di negoziazione, decision making, creatività e sviluppare Emotional Intelligence. Obiettivo delle aziende è cercare di valorizzare nel miglior modo possibile le persone, i gruppi e le organizzazioni e per fare questo è utile allenare, oggi più che mai, le loro competenze relazionali, emotive, cognitive e gestionali: trasverali, appunto, ad ogni settore. Una metodologia esperienziale che aiuta a sviluppare ed esercitare le soft skills è l’action learning (apprendimento d’azione) con tecniche, training e giochi teatrali. Infatti, il teatro, con i suoi spazi e i suoi tempi, è un “ambiente” che ben si presta per lo sviluppo delle competenze trasversali della persona e delle sue emozioni. Una palestra dove si creano relazioni e che coinvolge i partecipanti nella loro interezza. Una palestra in cui ad ogni azione c’è una re-azione e ciò crea la rel-azione. Nel teatro si è in azione e si agisce. Sempre. La metodologia teatrale, con le sue tecniche attive, permette ai partecipanti di mettersi in gioco proprio perché si lavora in un contesto Matilde Dondena durante un reading su Pasolini “Pasolini revisited” presso la biblioteca Braidense di Milano, con Nestor Saied e Daniele Giulietti. 3 Alcuni partecipanti impegnati in un’esercitazione di sviluppo della creatività. protetto e senza giudizio. Molte persone vivono il momento di formazione come un giudizio continuo e il teatro, con i suoi spazi e i suoi tempi, costituisce un ambito diverso, protetto, ironico ed autoironico, del “qui ed ora”, è il gioco del “facciamo che” e ciò aiuta a vivere l’esperienza formativa in modo più morbido, soft, appunto. Tuttavia non c’è niente di più serio che mettersi in gioco ed essere sé stessi, infatti, le tecniche attive del teatro, attraverso improvvisazioni e training, permettono al singolo e al gruppo di sperimentare nuovi ruoli e comportamenti. Attraverso questa metodologia si riesce a creare un livello di coinvolgimento che supera la sfera cognitiva ed attiva la sfera emotiva dei partecipanti. In ogni sessione di training si inizia sempre dalla comu- 4 nicazione non verbale: mettere in movimento il corpo per dare energia alla mente. L’attività teatrale ha in sé un’area di sperimentazione creativa delle potenzialità umane in termini di fiducia, di sicurezza in sé stessi, autostima, scoperta empatica e concentrazione. Ciò offre la costruzione di un sano equilibrio emotivo e relazionale, di un sistema di valori fondato su rispetto, cooperazione e tolleranza. Come si può applicare l’action learning teatrale al mondo del lavoro ed ai diversi profili professionali che lo popolano? Si parte da principi validi per ogni individuo e da lì ci si può dirigere con percorsi mirati all’allenamento delle diverse soft skills: dallo sviluppo della leadership a quello della comunicazione, al public speaking, per arrivare al idee team bulding, team working, gestione dei conflitti, comunicazione telefonica, self branding, story branding, vendita. La formazione contempla esercizi di training attoriale, simulazioni e role play concordati e costruiti in base alle specifiche esigenze che l’azienda possiede. I corsi sono svolti in un contesto laboratoriale: uno spazio “vuoto”, circondato da sedie, in cui i partecipanti sono liberi di muoversi. Prima di andare in aula vi è un delicato lavoro di progettazione che nasce insieme all’azienda. È importante saper ascoltare le specifiche esigenze che ogni singola realtà. Nessun corso sarà mai uguale ad un altro proprio perché ogni azienda è unica ed è formata da persone uniche. Inoltre, è importante sottolineare che al termine degli esercizi esperienziali viene fatta un’attenta riconduzione, un debriefing, al particolare settore lavorativo e alla particolare competenza sviluppata attraverso il training, per dare alla metodologia teatrale un valore concreto e tangibile. Così si può apprendere come dare feedback in modo efficace, come gestire un conflitto in modo costruttivo, come negoziare, come essere un leader capace di creare potere nei propri collaboratori, come aumentare la proattività e l’empowerment personale, comunicare e parlare in pubblico in modo efficace, oltre che aumentare l’ascol- to attivo, l’intelligenza emotiva, la creatività, la motivazione, la padronanza di sé, il benessere e l’empatia. Essere empatici aiuta a capire meglio gli altri. Il teatro aiuta a mettersi nei panni del proprio interlocutore e a cogliere i sottili segnali sociali che indicano i bisogni o desideri altrui. Dunque la capacità di sentire dentro di sé e di avvertire lo stato emotivo dell’altro. Quando le persone si sentono comprese e accettate è più semplice costruire un buon rapporto. Questa metodologia di formazione è importante in periodi poco stabili perché il teatro con il suo linguaggio veicola il cambiamento e aiuta a esplorare la realtà nei suoi tanti aspetti, proponendo di rompere meccanismi quotidiani attraverso una ricerca extra-quotidiana culturale, sociale e personale. I giochi e il training teatrale portano il soggetto a formarsi attraverso l’esperienza, la condivisione, la cooperazione e a rompere schemi prefissati. La formazione, o meglio il training, diventa un percorso individuale in un lavoro di gruppo: luogo entro cui l’individuo può rispecchiarsi, confrontarsi, comunicare, ricevere stimoli per valorizzare e far crescere la propria persona e così facendo l’azienda in cui lavora. Come scrisse il poeta tedesco Novalis “il teatro è un’attiva riflessione dell’uomo su sé stesso” e ciò aiuta a condurre un’esistenza più felice. Matilde Dondena È laureata magistrale con lode in CIMO (comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore), oltre a essere cultrice di strategie e linguaggi della comunicazione mediale e in media studies. Collabora come producer e attrice per varie realtà ed è trainer in corsi di formazione per lo sviluppo delle soft skills attraverso le tecniche attive teatrali, per enti e aziende in cui lavora assieme a Daniele Giulietti, attore e formatore-coach con decennale esperienza di training aziendale. https://www.linkedin.com/in/matilded Matilde Dondena nello spettacolo “La voce delle donne” per la regia di Fabio Banfo. 5 il giro del mondo con la televisione di alessandro giglio di eliana quattrini Alessandro Giglio è un imprenditore televisivo televisivo internazionale dedicato alla nautica che non si rivolge a una nazione ma direttamen- e agli sport acquatici; Giglio Fashion speciate al mondo intero. Nato a Genova nel 1965, è lizzato nella moda on line; M-Three Sat Com, sposato, ha due figli, vive in uno splendido pa- che fornisce soluzioni per le emissioni radiotelazzo dei Rolli, è presidente e amministratore levisive via satellite e fibra ottica; infine Giglio delegato di Giglio Group S.p.A. e non ha mai Tv, il primo gruppo televisivo italiano ad essere smesso di produrre spettacoli. Prima teatro, poi presente in Cina. Un panorama su cui il sole televisione italiana, dagli anni Duemila canali non tramonta mai. A volte gli imprenditori teledigitali, servizi e programmi offerti al mercato visivi di successo cambiano strada e si dedicano internazionale. Chi è malato di auditel, trema alla politica. È accaduto a Silvio Berlusconi e a sentire che una delle sue trasmissioni copro- a Donald Trump. Per il momento, invece, Alesdotte in Cina, “Made in Italy”, è seguita da oltre sandro Giglio se ne tiene ben lontano. «Evitiacento milioni di telespettatori a settimana e che mo – spiega – ciò che può generare difficoltà i canali di Giglio Group raggiungono cento- nei rapporti con i nostri interlocutori stranieri, cinquanta milioni di persone in tutto il mon- siano essi rappresentanti di multinazionali o do nell’arco di una sola giornata. Anche questa dirigenti delle televisioni di Stato. I nostri caè economia di scala e suggerisce una potenza nali tematici si focalizzano su due argomenti: di penetrazione commerciale in Italia ancora nautica e lifestyle italiano, quindi lusso, cibo, poco o per nulla sperimentata. Il gruppo Giglio, moda, turismo, marchi noti in tutto il mondo». network televisivo e multimediale nato nel 2003 con sede a Milano, è composto da sette società: la capogruppo Giglio Group Spa, con due canali televisivi sul digitale terrestre italiano (acqua e Play.me); Giglio Usa, costituita lo scorso aprile a New York, che presidia le attività in Nord America; Giglio Shanghai, attiva in Oriente a cominciare dalla Cina; Nautical Channel, canale Pagg. 6-7: immagini dalle trasmissioni prodotte dal Giglio Group in tutto il mondo. 6 persone Qual è la missione aziendale? Il nostro scopo aziendale è generare desideri. Desideri che producano una ricaduta positiva sul mercato italiano. Come ha cominciato? Come redattore al “Maurizio Costanzo Show”. Arrivato all’Università ho scelto Lettere con indirizzo Spettacolo, laurea oggi equivalente al titolo magistrale in Scienze dello Spettacolo e delle Arti Multimediali. Mi piacevano il teatro, la televisione e volevo fare esperienza. Da Costanzo mi assegnavano ricerche e fotocopie come a ogni ultimo arrivato, ma niente ha soffocato una passione che da quel momento in poi è sempre aumentata. Ho fondato il Festival internazionale delle Arti Barocche, prodotto spettacoli teatrali presentati al Sistina e al Manzoni, come “Nata ieri” con Valeria Marini diretta da Giuseppe Patroni Griffi, “Ma le mamme” con Enrica Bonaccorti e Simona Marchini, “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” con Claudia Koll. Parallelamente portavo avanti l’attività di produttore televisivo e con Raffaella Carrà ho ideato e prodotto un programma che ha fatto storia, “Carramba che sorpresa!”. Poi cos’è successo? Con il Duemila e l’imporsi del digitale mi sono trasformato da produttore in editore televisivo. Ho lanciato programmi e canali tematici da offrire al mercato estero, focalizzati su due argomenti tipicamente italiani: nautica e lifestyle. Nautical Channel trasmette in sei lingue ed è diffuso in quarantacinque nazioni. Le produzioni dedicate alla moda, al cibo, al turismo e al lusso italiani sono molto diffuse nei mercati asiatici: Cina, Indonesia, Malesia, Vietnam e presto probabilmente Giappone. I due settori rappresentano il 65 per cento del mercato mondiale sul Made in Italy e coprono gli ambiti principali dell’esportazione italiana nel mondo. Prossime sfide? Creare una sintesi fra e-commerce e televisione, cioè portare le potenzialità del digitale dentro la tv e trasferire nell’e-commerce la forza narrativa della televisione. Ad esempio? Sto guardando una sfilata di moda, mi piace un modello Armani, clicco sullo schermo, me lo compro e il giorno dopo arriva a casa. In Cina già lo facciamo, stiamo estendendo il modello negli Stati Uniti e non escludiamo di portarlo in Italia. Quali problemi presenta l’Italia in questa dinamica? L’Italia è lenta nella crescita dell’e-commerce e nell’uso delle carte di credito. C’è un freno culturale. La Giglio Group è quotata in borsa. Cosa fa decidere questo passo? Sul piano irrazionale, posso dire che la quotazione in Borsa dà una visibilità diversa alla società indipendentemente dal suo valore azionario e in questo risiedono anche un minimo di vanità e di orgoglio personali. Sul fronte razionale, invece, è indubbio che essere presenti in piazza Affari consente di accostarsi a strumenti finanziari molto importanti di cui altrimenti non si può disporre. Questi hanno un effetto moltiplicatore sulla scala di business che costringe a una riorganizzazione, quindi portano maggiore efficienza e uno standard qualitativo più elevato. La conseguenza è una crescita esponenziale nella credibilità, soprattutto sul mercato estero. Infine, avendo due figli molto piccoli, di 8 e 2 anni, non posso 7 contare a breve su un passaggio generazionale familiare, modello tipico italiano che nel mio caso è pieno di incognite. Il meccanismo della quotazione in Borsa offre un futuro gestionale indipendente, grazie alla creazione di anticorpi sui futuri passaggi di proprietà. Come si riesce a vendere lo stesso prodotto culturale in realtà così diverse fra loro? Alla base c’è una mediazione culturale che sottintende l’adattabilità di ogni singolo business. Negli Stati Uniti non ci sono state difficoltà. In Cina non tocchiamo temi sensibili come la politica e dunque ugualmente non abbiamo avuto problemi. Diverso è il caso dei paesi musulmani dove molti argomenti sono giudicati moralmente sconvenienti. Non è culturalmente accettabile, per esempio, che durante una trasmissione di nautica vicino a una barca passi una surfista in costume da bagno. Per questo, circa il cinquanta per cento dei nostri contenuti non possono essere trasmessi nei paesi a maggioranza musulmana. Dove vengono materialmente prodotte le trasmissioni? I programmi di lifestyle diffusi sul mercato asiatico sono realizzati per il cinquanta per cento in Italia e il rimanente, per esempio la conduzione, direttamente nei paesi dove vanno in onda. Nautical Channel produce contenuti in tutto il mondo seguendo gli eventi e le manifestazioni di settore. Qual è la trasmissione di maggior successo prodotta dal Giglio Group? “Made in Italy”: un servizio su San Gimignano se- guito da una sfilata di moda, una ricetta e un giro a Maranello per vedere come nasce una Ferrari. Grande fascino. Va in onda in Cina. Si può concepire un prodotto analogo sulla Cina da proporre in Italia? Non c’è un analogo mix giudicato interessante in Italia. La cucina cinese è paragonabile alla nostra per storia e ricchezza, con la differenza che i cinesi sono curiosi e vanno alla scoperta delle novità, tanto è vero che oggi sono i primi importatori di vino al mondo. Qual è il futuro della televisione? Diventerà touch come gli smartphone. Mia figlia quando le piace qualcosa in televisione si alza e va a toccarla sperando di interagire, poi siccome non succede niente si disinteressa e se ne va. In futuro sulla tv potrò contemporaneamente guardare il documentario su una città, controllare le previsioni per il fine settimana, prenotare i biglietti aereo, l’ingresso al museo e dopo un paio di giorni andarci. Il futuro è la smart tv, perché l’evoluzione non passa dall’hardware ma dal software e il software della televisione sono i contenuti. Questo produrrà un cambiamento nell’approccio mentale più che tecnologico, e sarà apprezzato anche dalla touch generation cui appartiene mia figlia. La televisione globale integra commercio e digitale, tanto è vero che negli Stati Uniti i nostri canali sono venduti su Amazon. Una tendenza irrefrenabile. Ha imparato il cinese nel frattempo? Un po’. Parlarlo non è poi così difficile, a parte il problema delle intonazioni. Scriverlo, invece, è una vera impresa. Lei è nato a Genova? Sì, ma dai 18 ai 46 anni ho vissuto tra Roma e New York. Sono tornato a Genova sei anni fa. Alla nautica e agli sport acquatici è dedicato Nautical Channel. 8 Perché? Per la vita di una famiglia con due figli piccoli Genova offre una qualità molto elevata, direi perfetta. Mia moglie è persone cinese, lavorava a Milano e non apprezzava la quotidianità di Roma. Io non avrei mai scelto Milano come luogo di residenza. Genova ha offerto una magnifica terza via: buon clima, il mare e una casa con gli affreschi di Luca Cambiaso in salotto. Tutto questo ha fatto la differenza, oltre al mio desiderio di tornare al paese natio, naturale a 50 anni. Come giudica il futuro della nautica? Roseo. L’Italia è leader nel mondo e il Salone Nautico di Genova è il primo in Italia, ergo è il più importante in assoluto. Gli appassionati continuano a seguire le kermesse perché amano associarle a brevi escursioni turistiche e perché una barca va provata. Raccontarne i dettagli a distanza è praticamente impossibile. La posizione centrale di Genova può essere indebolita solo dal perdurare dei contasti interni. Non avere una posizione unitaria richiama incertezza e fastidi controproducenti. Tipico italiano. La Giglio Group ha concorrenti? Di fatto no, perché siamo gli unici a puntare su scala mondiale su nautica e made in Italy, ma ci muoviamo in un panorama in cui l’offerta è ricca. Come ha trovato Genova dopo tanti anni? Estremamente migliorata perché alcune zone, il Porto Antico e i vicoli della movida, sono stare riconsegnate alla città. Ma c’è ancora tanto da fare. Da cosa partirebbe? Banalmente, da una derattizzazione più efficace. Sono scappato da branchi di topi fuoriusciti dai tombini sul retro di Palazzo Rosso. Non è piacevole. Il centro storico deve essere oggetto di un recupero migliore, diffuso anche nelle strade vicine alle più frequentate. La differenza in cui versano via Garibaldi e via della Maddalena per un turista è incomprensibile. Il tessuto economico è dinamico? Ci sono giovani imprese e startup che potrebbero avere sviluppi molto interessanti. Il ricambio generazionale può contare sull’enorme margine di crescita procurato dalla stasi economica. Genova ha voluto porsi come attrazione turistica. Basterebbero un po’ di maquillage e l’alta velocità su Milano per avere una forte spinta. Attualmente i problemi logistici sono enormi. Perché all’inizio della sua carriera era stato attratto dal Barocco? È lo stile del secolo d’oro dei genovesi quindi fa parte del mio dna. Mi attraeva l’arte della meraviglia che infatti rimane alla base della mia filosofia aziendale. In fondo, ho solo cambiato mezzo di comunicazione aggiornando l’arte della meraviglia al nostro secolo. Alessandro Giglio Genovese, classe 1965, dopo aver conseguito la Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzioni Multimediali, diplomato presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, un master alla LUISS in Management ed un corso di specializzazione al Commercial Theater Institute di New York, ricopre vari incarichi tra cui: Vicepresidente nazionale UNATAGIS, membro del Comitato tecnico del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e General manager per l’Europa della MGE. Nel 2003 fonda Giglio Group, di cui è Presidente e Amministratore delegato, nonché maggiore azionista. La società si è quotata nel 2015 al mercato AIM di Borsa Italiana e ad oggi conta sette società. Alessandro Giglio ha dedicato gli ultimi 15 anni della sua vita alla progettazione e realizzazione di grandi eventi e spettacoli teatrali e televisivi. Per la televisione si segnalano programmi quali Carramba che Sorpresa (Rai 1), Segreti e Bugie (Rai 1), Navigator (Rai 1, e vincitore al Mip di Cannes nel 2000 come “Programma europeo più innovativo dell’anno”) e Domenica In. Nel 2004 ha organizzato l’evento inaugurale del primo Gran Premio di Formula 1 a Shanghai per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri Affari Esteri, Attività Produttive e Lavoro, realizzando un viaggio virtuale alla scoperta dell’Italia trasmesso in diretta per oltre 500.000.000 di telespettatori cinesi ed asiatici. È stato anche consulente per varie reti televisive nei mercati in via d’espansione. È Presidente dei Probiviri nel Consiglio di Presidenza di Confindustria Radio Televisione. 9 Orizzonti 10 storie il museo dell'arte vetraria altarese, collezione unica in un contesto liberty “Da bambini i figli dei vetrai frequentavano la fabbrica, per veder lavorare gli adulti, e da bambini apprendevano le tecniche fondamentali. Alcuni diventavano semplicemente artieri. Altri raggiungevano la sublimità dell’arte” Maria Brondi, 2009 di linda kaiser I NTRODUZIONE La storia del vetro ad Altare, nell’entroterra savonese, ha radici antiche, perché l’insediamento delle prime fornaci qui può essere ipotizzato attorno alla metà del XII secolo. L’ubicazione geografica del borgo in una zona ad alta densità boschiva per raccogliere legna, la presenza di formazioni di quarzite, la prossimità con il Colle di Cadibona (459 m slm), che divide le Alpi Liguri dall’Appennino Ligure, e la vicinanza di sbocchi portuali sono tutte condizioni favorevoli all’esercizio dell’attività vetraria. Qui verrà attirata, dalla seconda metà del ‘200, l’immigrazione artigiana dal Genovesato, dalla Toscana e anche da Venezia. La più antica attestazione di una regolamentazione in forma scritta dell’attività vetraria della corporazione, denominata “Università dell’arte vitrea”, risale al 1495. Questi statuti, rivolti ai maestri e a tutte le famiglie del borgo, creano una sorta di nobiltà di mestiere e provocano la divisione sociale tra i “monsù” e i “paesani”. Anche se l’antica Università viene soppressa nel 1823 da Carlo Felice di Savoia, i Pag. 10: i vetri soffiati all’uranio realizzati nel 1925-30 da Costantino Bormioli. 11 Orizzonti maestri altaresi fondano re in vetro, attrezzature nel 1856 la Società Arper la lavorazione del tistico Vetraria (S.A.V.), vetro soffiato, stampi e la prima cooperativa di documenti provenienti produzione industriale dalla Società Artistico italiana. Qui viene anVetraria. La Biblioteca che creato il Gruppo Specializzata del Vetro Futurista di Altare, cui dà conserva una collezione vita Amleto Saroldi, aldi libri e riviste relativa al lora a capo del reparto mondo del vetro, dagli decorazione della vetreantichi testi di tecnologia ria (nel 1932 espone i ai cataloghi delle esposuoi vetri decorati futuristi sizioni contemporanee nella “Mostra d’Arte Fupiù importanti e pubbliAltare (SV), Villa Rosa, sede del Museo dell’Arte turista”, organizzata a cazioni sulla storia e la Vetraria Altarese. Pag. 13: il primo piano del Museo. Savona). Lo stesso anno tecnica del vetro. Filippo Tommaso Marinetti visita Altare. Purtroppo, il Negli anni il Museo si è arricchito di oggetti in vetro progressivo deterioramento dell’attività dell’azienda donati da privati. Il patrimonio d’eccezione conserper problemi finanziari e strutturali ne determina la vato al suo interno, anche se è limitato sostanzialchiusura nel 1978. mente a poco più di un secolo (1856-1978), è Per la storia del vetro altarese questa data non se- depositario di una tradizione millenaria. gna una conclusione definitiva. Oggi Villa Rosa rivive il suo antico splendore liberty e presenta gli og- Mission getti del Museo dell’Arte Vetraria Altarese in mezzo Il Museo raccoglie le testimonianze dell’arte del vea stucchi di gesso dorati, pitture murali, pavimenti tro ad Altare, caratterizzata dalla produzione del in marmo seminato e parquet, vetrate con decora- vetro d’uso. L’istituzione mira a ricostruire la storia zioni in vetrofania, termosifoni dipinti e decori flore- e l’attività della Società Artistico Vetraria, conserali, cancellate in ferro e porte dalle linee eleganti, vandone documenti, oggetti, materiali e attrezzi di bow-window e scale dall’andamento sinuoso. lavorazione. Attraverso la collaborazione con artigiani, artisti e designer il Museo si propone di valorizzare nella Fondazione Il Museo d’impresa è originato dalla Società Ar- contemporaneità la tradizione del luogo, di rendetistico Vetraria (S.A.V.), costretta a cessare la pro- re vivo l’interesse per la lavorazione del vetro e di pria attività nel 1978. Nel 1982 si costituisce accrescere, al tempo stesso, la propria collezione. l’Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria (I.S.V.A.V.), che si propone di recuperare il ricco Attività patrimonio artistico-culturale della tradizione vetra- Il Museo organizza su prenotazione visite guidate ria di Altare, ponendo al tempo stesso le premesse per singoli e gruppi; su richiesta anche in inglese e per il rilancio dell’attività artigiana nei suoi aspetti francese o, con costi aggiuntivi, eventuali visite al più tradizionali. L’I.S.V.A.V. acquisisce, dunque, la di fuori dell’orario di apertura. È anche disponibile, collezione di vetri già appartenuta alla S.A.V. e, sempre su prenotazione, la partecipazione a un lanel 1984, la organizza in Museo del Vetro, di cui boratorio, dove osservare dal vivo la lavorazione la Regione Liguria sancisce ufficialmente la nascita del vetro Pirex e dell’incisione su vetro. Per le scuole con la delibera n° 1307 del 1992. La sede prov- di diverso grado e per le famiglie sono previsti provisoria del Museo è nell’Oratorio della seicentesca grammi di didattica specifici. chiesa di S. Sebastiano, finché viene trasferito, nel Grazie a un contributo regionale, è stato creato un 2004, presso Villa Rosa. percorso museale fruibile anche dai visitatori con disabilità visiva – non vedenti e ipovedenti –, con mappe tattili di orientamento, supporti informativi Contenuti Il Museo si compone di circa 3.000 pezzi, tra ope- in Braille e un catalogo in Braille consultabile su 12 storie richiesta. Un laboratorio tattile può completare l’esperienza. Nel 1988 è nata Alte Vitrie come strumento di informazione e promozione dell’I.S.V.A.V. L’edizione digitale della rassegna dedicata al mondo del vetro, non soltanto altarese, è liberamente scaricabile dal sito internet del Museo. Vengono organizzati poi corsi di formazione su diversi livelli per la lavorazione del vetro (perle a lume, soffiatura e modellatura del vetro borosilicato, incisione su vetro, vetrofusione, gioiello) con insegnamenti tenuti da professionisti nei laboratori all’interno di Villa Rosa. I lavori prodotti durante i corsi rimangono agli allievi, ai quali viene rilasciato un attestato di partecipazione. I workshop sono rivolti, invece, alla formazione specialistica in design del vetro artistico/artigianale (Vetrodesign - progettare in fornace, Archeologia del vetro nel Medioevo e agli inizi dell’età moderna). Vengono proposte periodicamente mostre d’arte contemporanea (attualmente, l’artista italo-argentina Miriam Di Fiore espone i suoi paesaggi ottenuti su diversi strati di vetro). Infine, è possibile affittare i locali di Villa Rosa per cerimonie, convegni, rinfreschi, spettacoli teatrali, concerti ed eventi. delle operazioni di promozione socio-economica delle vecchie famiglie locali. Apparentemente di umili origini, Monsignore fece una brillante carriera ecclesiastica, scrisse diversi saggi teologici, promosse iniziative filantropico-assistenziali e finanziò lavori di restauro degli edifici della chiesa. Per la sorella Enrichetta (sposata con Alberto Bormioli) fece costruire dal Campora nel 1901 Villa Agar (attualmente sede di una casa di riposo per anziani); per la sorella Rosalia (sposata con Ettore Saroldi) nel 1906 Villa Rosa, che divenne dimora estiva della famiglia Saroldi; per la terza sorella, Cesarina (sposata con Giovanni Maria Bordoni), fece ristrutturare, sempre a sue spese, un palazzo di fronte alla chiesa parrocchiale. L’edificio di Villa Rosa, sottoposto a tutela per l’importante interesse culturale con decreto ministeriale del 6 ottobre 1986, viene acquistato dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali nel 1992, per destinarlo a sede del Museo dell’Arte Vetraria Altarese. Al termine di un decennio di lavori di restauro, nel 2004 Villa Rosa viene riaperta al pubblico, concretizzando la sua funzione attrattiva, culturale ed economica, per il paese e la Val Bormida. Relazione con il territorio La visita al Museo inizia dal piano terra, dalla Sala conferenze, dove si accolgono i gruppi e viene mostrato un video di circa 20 minuti sulla lavorazione del vetro. Percorso il corridoio che si apre all’ingresso della Villa, si raggiunge il Giardino d’inverno, nel quale ha sede il bookshop, dove sono in vendita anche oggetti in vetro realizzati in loco. Quindi si ha accesso al Giardino vero e proprio, dal quale Villa Rosa, sede del Museo, è un pregevole esempio di cultura liberty e in ciò sintetizza uno dei momenti più significativi della storia di Altare. Tra fine ‘800 e primi ‘900 il binomio vetro/Altare appare fornire una forma rappresentativa alla città attraverso uno stile che è segno e proiezione della modernità. Il gusto liberty, con indubbi eclettismi, caratterizza parte delle abitazioni del paese, molte progettate dall’architetto savonese Nicolò Campora, formatosi a Torino. Di questa serie di edifici Villa Rosa risulta quello più rappresentativo stilisticamente. Committente di diversi palazzi fu Monsignor Giuseppe Bertolotti (1842-1931), curato di Altare per oltre sessant’anni (1869-1931) e vero deus ex machina Percorso di visita 13 Orizzonti panca per lavorare, la canna da soffio, il maiòz (ceppo di legno di faggio con manico e incavo per arrotondare la levata del vetro dal forno con la canna), le molle (pinze elastiche per modellare gli oggetti), le forche in ferro, le macchine per fare le biglie per tappare le bottiglie della gazzosa e molto altro. Al rientro nella Villa, si ammirano i 16 stemmi delle famiglie altaresi che lavorano il vetro da più di mille anni e si viene introdotti alle antiche tradizioni del borgo, quelle che portano le stesse famiglie a unirsi, nel 1856, nella Società Artistico Vetraria, che cesserà di esistere nel 1978. Il primo piano del Museo raccoglie in otto sale la collezione di oggetti d’uso (bottiglie, vasi per dolci, caraffe, bicchieri, calici, coppe, piatti, candelieri, lampade, ecc.), in genere trasparenti, realizzati nella vetreria a fini di vendita, per cui molto è andato perduto, riciclato o gettato via. Sopravvivono cesti e acquasantiere della metà del XVIII secolo, realizzati alla maniera veneziana. Si possono ammirare prodotti con disegni ottenuti con l’incisione alla ruota; oggetti per la liturgia sacra, come gli eleganti vasi a stanga per i fiori nelle chiese; la produzione per la farmochimica, dal secondo dopoguerra, in vetro “neutro” borosilicato (Pirex) per flaconi, cilindri, tubolature e apparecchi per laboratori chimici e fisici; oggetti curiosi che servivano per la vita quotidiana. Il secondo piano dedica le sue otto sale ai pezzi unici. La più importante, intitolata I giganti del vetro, ospita la vetrina antiSopra: la vetrina antica con i pezzi giganti in vetro soffiato, che parteciparono all’Esposizione Universale di Torino del 1911. Sotto: il secondo piano del Museo. ca che contiene i grandi si entra nel Laboratorio, dove è stata installata la fornace dimostrativa. Qui vengono illustrate le fasi di lavorazione del vetro: il forno viene acceso e portato lentamente, in due giorni, a 1240°C; il vetro sta a questa temperatura 6-7 ore e poi viene lavorato tra 1000 e 1070°C, prima di essere inserito nel forno di ricottura a 500°C; alla fine della giornata, il forno viene spento e arriva a temperatura ambiente in 12 ore. Quando le fornaci andavano a legna, venivano accese da S. Martino a S. Giovanni, cioè da novembre a giugno; oggi, che vanno a gas, vengono attivate un weekend al mese da marzo a novembre e un mese d’estate durante l’Altare Glass Fest, la manifestazione che ospita vetrai da tutto il mondo. Gli attrezzi di legno vengono tenuti sempre immersi nell’acqua, intorno alla “piazza”, lo spazio dove lavorano gli artieri, cioè il gruppo composto dal maestro e dai suoi aiutanti. Si possono vedere la 14 storie pezzi in vetro soffiato che parteciparono all’Esposizione Universale delle Industrie e del Lavoro di Torino del 1911. Si segnala il “Grande vaso per esposizione”, alto 115 cm e pesante più di 12 kg, che vinse il Grand Prix. Il re Vittorio Emanuele III di Savoia ne acquistò una copia da donare allo zar Nicola II di Russia e risulta al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo. Questa vetrina è stata il primo Museo del Vetro: fu acquistata dal Comune di Altare nel 1978 e nel 1982 fu alla base della fondazione dell’I.S.V.A.V. Altre sale mettono in rilevo le figure di maestri, come i due fratelli Costantino (1876-1934) e Cimbro Bormioli (1880-1961), che realizzarono splendidi vetri soffiati giallo limone all’uranio (1925-30) e sperimentazioni di vetri che imitano il bronzo secondo una “ricetta” rimasta segreta; oppure Isidoro “Dorino” Bormioli (19142005), classificatosi secondo nel 1942 ai Littoriali del Vetro a Venezia. Qualche sala è dedicata a Il Design negli anni ‘30, a Le donazioni, all’Altare BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Mariateresa Chirico (a cura di), Il Museo dell’Arte Vetraria Altarese, Altare, I.S.V.A.V., 2009. Alberto Saroldi e Giulia Musso (a cura di), I vetrai di Altare in Argentina, catalogo della mostra (Altare, Museo dell’Arte Vetraria Altarese, 26 giu.-10 ott. 2010), Genova, De Ferrari, 2010. Rossella Scunza (a cura di), Villa Rosa di Altare da residenza a museo, Genova, San Giorgio Editrice, 2007. Mariateresa Chirico (a cura di), Il Museo del Vetro di Altare, Altare, I.S.V.A.V., 1996. Gino Bormioli, Lessico del vetraio altarese, Cengio (SV), Tipolitografia Ed. Valbormida, 1995. NOTIZIE PRATICHE Indirizzi e recapiti Museo dell’Arte Vetraria Altarese Villa Rosa Piazza del Consolato 4 17041 Altare (SV) Tel. 019 584734 [email protected] www.museodelvetro.org Come si raggiunge In auto: autostrada A6 E717 Torino-Savona, uscita Altare. Parcheggio gratuito. In autobus: da Savona, bus di linea TPL n° 3, fermata Altare. Orari e norme di visita Ingresso a pagamento. Riduzioni per chi ha da 6 a 14 anni, studenti universitari, over 65, abbonamento Musei Torino Piemonte, FAI, Touring Club Italiano, Ordine Architetti Savona, Socio Coop Liguria. Ingresso gratuito per minori di 6 anni, residenti ad Altare, diversamente abili, giornalisti, soci ICOM. Apertura: dal martedì alla domenica, ore 14.00 - 18.00. Glass Fest (dal 2012). Uno spazio importante è assegnato a Le emigrazioni dei vetrai e racconta la partenza, nel 1947, dei giovani del Gruppo T.O. V.A. (Tecnici e Operai Vetrai Altaresi), per costruire una vetreria nella provincia di Santa Fe, nel cuore della pampa argentina. Oggi, alla “Cristalerìa San Carlos”, lavorano ancora il vetro à la façon di Altare e hanno aperto anche un “Museo del Vidrio”. Le due città sono gemellate dal 2009. San Carlos è diventata Capital Nacional del Cristal Artesanal il 5 giugno del 2013. Al piano sotterraneo, nelle ex cucine della Villa, si trovano ampi spazi dedicati ai Laboratori per la vetrofusione e vetro a lume, moleria e incisione. Il percorso museale si conclude al piano terra, nella Sala mostre dedicata al design. Gianluigi Pantaleo, presidente del Museo, apre la fornace dimostrativa per la cottura del vetro, collocata nel Laboratorio, nel giardino di Villa Rosa. Visite fuori orario su prenotazione. Chiuso al lunedì, 1° gennaio, Pasqua, 25 e 26 dicembre. Ingresso a pagamento. Servizi aggiuntivi Visite guidate per singoli e gruppi, su richiesta anche in lingua inglese e francese. Didattica per le scuole. Workshop, laboratori e corsi sulla lavorazione del vetro. Attivazione della fornace dimostrativa. Visita per non vedenti e ipovedenti. Pubblicazione di Alte Vitrie, rassegna periodica intorno al mondo del vetro, scaricabile dal sito internet del museo. DATI INFORMATIVI ESSENZIALI Impresa di riferimento Società Artistico Vetraria (S.A.V.) Denominazione ufficiale Museo dell’Arte Vetraria Altarese Tipologia della struttura Museo d’impresa Ordinamento giuridico Fondazione privata e collezioni civiche Categoria merceologica Vetro Superficie espositiva Villa Rosa: 1650 mq, giardino: 600 mq Anno di fondazione impresa 1856 Anno di fondazione museo 1982 Inaugurazione ufficiale 10 febbraio 1982 Autore della progettazione Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria (I.S.V.A.V.) Numero annuo di visitatori 6.000 ca. Nome e qualifica del responsabile Gianluigi Pantaleo, presidente 15 Orizzonti Michael Wolgemut, Genova, da Liber Chronicarum, (Cronaca di Norimberga), Norimberga 1493. Collezione privata, illustrazione acquerellata in antico. 16 storie due miniature trecentesche per genova Un anonimo artista ha realizzato un codice miniato, tra il 1330 ed il 1340 per la famiglia dei genovesi Cocharelli (o Cocarelli), forse di origine provenzale, impegnata in transazioni finanziarie e presente nelle colonie d’Oltremare. di mario marcenaro C iò che rimane del codice è conservato alla British Library di Londra, al Museum of Art di Cleveland e al Museo Nazionale del Bargello di Firenze. I fogli lasciano emergere due argomenti: un trattato sui vizi capitali e un poema in prosa sul Regno di Sicilia. La pregevole opera si deve ad un genovese o almeno ad una persona che abbia soggiornato a Genova lungamente. Nel codice sono realizzate con precisione alcune illustrazioni che raffigurano o alludono a Genova. Tra le varie miniature due sono particolarmente per noi interessanti: in una si vede la costruzione della facciata della cattedrale di San Lorenzo; e la seconda, la più problematica, è dedicata, dicono, all’odierna Akko in Israele, assediata da truppe mamelucche. Il committente del codice si presenta nel pro- logo del manoscritto e sembra essere il figlio di Giovanni e nipote di Pellegrino Cocharelli. Il foglio che raffigura l’intera città è stato sovente attribuito all’assedio di San Giovanni d’Acri. La miniatura presenta vari problemi, alcuni risolti con certezza mentre per altri sono state solo avanzate ipotesi. Michael Rogers, estensore del testo nel catalogo della mostra tenutasi al Bargello nel 1989 Omaggio ai Carrand, riporta nella didascalia: «Nord Italia o Mar Nero, tardo secolo XIV». Ma Semavi Eyce, dell’Università di Istanbul, mi escluse verbalmente ma decisamente che la pagina miniata potesse raffigurare una città sulle rive del Mare Maius genovese. Nella miniatura a tutta pagina, che a mio avviso ritrae Genova, si vedono molti edifici e una cinta muraria, mentre Acri, attenendoci alla pianta medievale di Pietro Vesconte, ne 17 Orizzonti più di un canale che possedeva due. di un braccio di mare Nell’illustrazione del e nel XIV secolo doveBargello si vede al va essere da tempo centro un edificio che inglobata nel Molo sembra affrescato con Vecchio, come attesta San Giorgio a cavallo anche Francesco Poche trafigge il drago. destà nel suo volume Potrebbe trattarsi, anIl porto di Genova. che se l’edificio non è L’isola è documentaproprio sul mare, del ta nella carta zero di Palatium maris voluto Forma Genuae di Pienel 1260 dal capiro Barbieri del 1938 tano del popolo Gue da Luciano Grossi glielmo Boccanegra Bianchi ed Ennio Poed edificato da frate leggi nella seconda Oliverio, cistercense. edizione del 1987 L’edificio, a differendi Una città portuaza delle costruzioni le del Medioevo. Il private medievali geproblema più grande novesi sviluppate prinresta quello dell’assecipalmente in altezza, dio da parte di truppe è caratterizzato nella musulmane. Un’ipominiatura per la sua tesi potrebbe essere estensione orizzontaquella che il miniatole. Alle spalle ha due re non conoscesse la grandi chiese. Quella città d’Oltremare che a destra, che sul retro voleva raffigurare e ha una porta che poIgnoto miniatore del secolo XIV, Assedio di città, Firenze, seguendo l’Anonimo trebbe alludere a Porpoeta genovese che ta Soprana, può esse- Museo Nazionale del Bargello, inv. 2065v. scrisse che dove giunre identificata con la cattedrale, mentre quella a sinistra potrebbe gevano i Genovesi edificavano una nuova essere l’antica basilica di San Siro. Sono inve- Genova, abbia voluto ricordare l’assedio muce ben riconoscibili le chiese di San Marco al sulmano ad una colonia come se fosse un atMolo, eretta nel 1173, e sul versante opposto tacco a Genova. La miniatura presenta molte la chiesa di San Tommaso, documentata dal analogie con il capoluogo ligure. Non esiste 1134 ma edificata secoli prima e abbattuta alcun centro nelle colonie d’Oltremare che nell’Ottocento per far posto alla Stazione ma- possa vantare edifici imponenti come quelli rittima. Su una torre della cinta muraria sven- che abbiamo esaminato. tola una bandiera genovese crocesignata, in- Non sappiamo quanto grandiosi fossero gli segna riscontrabile anche su alcuni stendardi edifici del quartiere genovese di San Giovandei combattenti e sulle bandiere di molte navi ni d’Acri ma sappiamo dalla pianta di Pietro presenti nella miniatura. Ma bisogna rilevare Vesconte e dalle sue rielaborazioni che la torche nella illustrazione mancano totalmente i re delle Mosche era posta al centro del baciponti e la Ripa. Le negatività maggiori restano no portuale e pur collegata con la terra restò legate alla piccola isola e soprattutto all’asse- la parte terminale del molo. Anche David Jadio da terra della città. L’isoletta in questione è coby dell’Università di Gerusalemme e illustre nella miniatura molto staccata da terra mentre studioso dell’Acri medievale mi ha confermato nei documenti e nelle piante sembra trattarsi che non si tratta di San Giovanni d’Acri. 18 storie Nella pianta di Pietro Vesconte elaborata da David Jacoby si vedono chiaramente due moli, quello occidentale realizzato collegando tra loro varie isolette e, nell’ultima parte infissa, la catena che chiudeva il porto interno mentre il molo orientale termina appunto con l’isoletta sulla quale sorgeva la Torre delle Mosche. Il fondaco genovese vantava case, porte fortificate, torri, magazzini, botteghe e diverse chiese, la principale dedicata ovviamente a San Lorenzo, e come gli altri insediamenti coloniali si affacciava sullo slargo prospiciente il porto: la ruga cathene. Se il miniatore avesse veramente raffigurato Acri, conoscendola, avrebbe almeno fatto cenno alla ruga cathene visibile nella mappa di Pietro Vesconte e ancor meglio evidenziata nella ricostruzione elaborata da David Jacoby. Dopo questa analisi mi sembra di poter affermare con forza che la miniatura del Museo Nazionale del Bargello di Firenze non raffigura San Giovanni d’Acri ma Genova. Bibliografia F. Fabbri, (da ultimo), Il Codice “Cocharelli”fra Europa, Mediterraneo e Oriente, in G. A lgeri, A. D e F loriani , La pittura in Liguria. Il Medioevo. Secoli XII-XIV, Genova 2011, pp. 289-310; M. Marcenaro, Genova: una miniatura del XIV secolo al Museo Nazionale del Bargello, in Il Medioevo in viaggio, a cura di B. Chiesi, I. Ciseri, B. Paolozzi S trozzi, Museo Nazionale del Bargello, 20 marzo-21 giugno 2015, Firenze 2015, pp. 104-111; Id ., Genova, due miniature del XIV secolo: una al Museo Nazionale del Bargello di Firenze e una alla British Library di Londra, cds., in Atti della Società Ligure Storia Patria. In alto: Genova, Il Molo Vecchio con l’isoletta ancora staccata (da P. Barbieri, Forma Genuae, carta zero). Genova, Il Molo Vecchio con l’isoletta ancora staccata, da L. Grossi Bianchi - E. Poleggi, Una città portuale del Medioevo. Genova nei secoli X-XVI (II edizione), p. 21, fig. 13. A fianco: Il quartiere genovese e altri elementi di San Giovanni d’Acri nel Medioevo: n. 18, Porta fortificata della parte meridionale; 19, Corso principale (oggi via del Mercato); 20, la principale torre genovese: la Monçoia; 21, una casa; 22, chiesa di San Lorenzo; 23, «Torre vecchia»; 3, il Molo meridionale; 4, estensione settentrionale del molo; 5, la catena che chiudeva un settore del porto; 6, Torre delle Mosche; 7, molo orientale (da D. Jacoby, Crusader Acre in the Thirteenth Century: Urban Layout and Topography, in Studi Medievali, 3a serie, 20, 1979, tav. 4). 19 Orizzonti 20 storie relitto e anfore romane Lo scorso maggio, Gianni Paccagnella, comandante del peschereccio “Intrepido” di Santa Margherita Ligure, ha trovato nella sua rete, durante una battuta di pesca ai gamberoni, a 720 metri di profondità, al largo di Portofino, quattro anfore. di giovanna benetti “ Accortomi dell’importanza del ritrovamento, molto emozionato, ho avvisato subito la locale Capitaneria di Porto” - mi racconta lo stesso pescatore. Sono romane, databili tra il II e il I secolo A.C. Lo si può affermare con certezza, perché riportano bolli, sigle, indicanti l’anno, la provenienza, la fornace e lo schiavo che le ha realizzate. Sono vinarie e olearie. Una volta studiate, il dottor Simon Luca Trigona, archeologo subacqueo della Sovrintendenza Archeologica ligure, ha affermato che “data la grandezza e la forgia, probabilmente facevano parte di un grande cargo. Trasportavano vino e olio verso la Gallia, essendo la Liguria terra di passaggio. Milioni di ettolitri di vino venivano commerciati dai romani in Gallia. Pare che le prime ritrovate venissero dalla Toscana, zona Argentario, le altre contenessero invece olio pugliese”. In ottobre, scandagliando la zona dove il pescatore le aveva trovate, si è scoperto il relitto, una Anfore recuperate dal pescatore Paccagnella. Pag. 20 in alto: anfora tirrenica (tipo Dressel 1b) I° secolo A.C. prodotta ne l’Ager Cosanus (AlbiniaArgentario). Sotto: anfore trovate nel luogo del relitto. 21 Orizzonti nave romana di circa 25 metri di lunghezza, tutto ricoperto di anfore (pare addirittura 2500) e altri oggetti. È stato chiamato Daedalus 26. Un grande aiuto lo ha dato un veicolo subacqueo filoguidato, il ROV Pluto Palla, creato dall’ingegner Guido Gay della Gaymarine, ditta specializzata nel settore. Egli ha seguito le operazioni svolte dal ROV da un particolare catamarano con a bordo strumenti specifici per le ricerche. Presto sarà in team col dr Trigona che mi dice: “Inizieremo un monitoraggio e un rilievo del relitto (detto di ‘alto fondo’, data la profondità) e successivamente uno studio e la salvaguardia del sito. Non è questo relitto di alto fondo l’unico scoperto in Liguria. Col tempo si costituirà un vero e proprio circuito tra i relitti per i subacquei”. Grazie alle sempre più moderne tecnologie si potrà migliorare in ambito dell’archeologia subacquea. Le anfore trovate, una volta pulite del sale saranno ospitate all’interno del Civico Museo delle tradizioni marinare di Santa Margherita Ligure che sta venendo alla luce in città. “Una delle sedi, come mi racconta Paolo Pendola presidente del Museo, sarà il suggestivo castello cinquecentesco sul mare”. Palpabile è l’entusiasmo del sindaco Paolo Donadoni che, ha sottolineato, “Il museo nasce con buonissimi auspici e la scoperta del relitto e delle anfore è il più bel dono che ci arriva. Dato che Santa Margherita è un museo a cielo aperto, dove, passeggiando, si incontrano testimonianze della storia, delle tradizioni, del profondo legame che essa ha con il mare, per salvaguardare la memoria storica, valorizzare le radici sia per gli abitanti, sia per coloro che vengono a soggiornarvi, si è pensato di progettare un civico Museo delle Tradizioni Marinare itinerante, ‘diffuso’, con Paolo Pendola, coordinatore dello staff, Enzo Sorvino, della Società Progetto Santa Margherita, la dottoressa Silvana Vernazza, funzionario della Sovrintendenza ligure, la responsabile della Biblioteca locale Marina Marchetti e altri”. Il rapporto col mare è culturale e commerciale. La cittadina a trenta chilometri da Genova, nel Levante, ha, per esempio, la più grossa flotta peschereccia ligure. Un tempo, già nel ‘500, tra i mestieri del mare, c’era quello del pescatore di corallo. Lo dimostra lo stemma della città: un delfino con un corallo rosso sul fondo. Partivano con delle speciali barche, le ‘coralline’, per la Sardegna, la Corsica e l’Africa settentrionale. Qui ha sede inoltre una nota società di canottaggio, la Argus, nata nel 1910, che ha formato molti giovani locali. La storia di Santa Margherita è anche raccontata dalle meravigliose facciate dipinte e dalle edicole votive presenti sia nel quartiere di Ghiaia sia in quello di Corte (al porto). C’era, infatti, a Genova e nel Levante l’usanza e il gusto di decorare le facciate con finte architravi, colonne dipinte, finestre, balconi, In alto: Paccagnella e le anfore. Sotto: nella foto il Sindaco Donadoni (anche Presidente dell’Ente Parco di Portofino), il Presidente dell’Area Marina, Corrado, il Direttore dell’Area Marina, Fanciulli, l’archeologo Trigona, il Presidente del Civico Museo delle Tradizioni marinare, Pendola. 22 storie trompe-l’oeil. Le case sul mare con le facciate dipinte permettevano ai marinai di riconoscere la loro quando sbarcavano a terra. Il più famoso pittore di facciate e restauratore è stato Giovanni Franceschetti (mancato nel 1961) che ha studiato all’Accademia di Torino e ha lavorato a lungo per la famiglia Durazzo Centurione, ex proprietaria della stupenda seicentesca Villa Durazzo e in ambito ecclesiastico. Le edicole votive (‘madonnette’), invece, erano un manufatto di marmi e stucchi con statua o immagine nato da un atto di devozione dei fedeli nel medioevo per proteggere i lavoratori, pescatori, artigiani, negozianti. “Un tempo, mi dice Alessandra Molinari storica dell’arte in occasione della festa del Santo, erano tappe delle processioni, perciò punto di aggregazione oppure semplicemente di preghiera per richiedere una grazia, un buon raccolto o altro”. “Lo scorso 2 dicembre è stato firmato il protocol- lo d’intesa con gli altri musei marinari liguri che permetterà così un lavoro di sinergia, sostiene Paolo Pendola, è avvenuta anche la donazione da parte del Centro Latte Tigullio di piatti decorati dall’artista Flavio Costantini”. È nata anche l’Associazione promotori del Civico Museo delle Tradizioni Marinare. Il porto di Santa Margherita Ligure con un pescatore che aggiusta le reti. 23 Orizzonti 24 cartoline il sogno e la fatica di una liguria eroica Alcuni anni fa un anziano contadino della Riviera di Levante mi raccontò che quando Dio ebbe finito di creare il mondo si accorse che gli avanzavano alcuni grossi massi e non sapendo che farsene li gettò giù sulla Terra a casaccio. di oscar flacco C addero lungo la costa vicino a La Spezia e si ammucchiarono disordinatamente tra la val di Vara e il mare; fu così che nacquero le Cinque Terre. Ma chi volesse allontanarsi un po’ dai cinque borghi famosi fino agli Antipodi e desiderasse cercare qualcosa di altrettanto affascinante ma assai più inusuale, cerchi la terra dei due Tramonti (di Schiara e di Campiglia): troverà una Liguria di sogno e di fatica: sogno sono le isole e le montagne che appaiono e scompaiono al di là del mare, fatica è lavorare questa terra verticale e fragile, sferzata dal libeccio e abbagliata dal sole; sogno e fatica insieme è lo scendere e il salir per questi viottoli di sassi e gradini che affiancano piccoli vigneti, minuscoli campi coltivati, oliveti, boschetti di macchia mediterranea. In un mondo in cui tutti desiderano il garage sotto casa e nelle grandi città si parcheggia nelle aree blu, ci si chiede come sia possibile che esistano luoghi come Schiara, raggiungibile scapicollandosi a piedi tra vigne e fichi d’India e di fronte c’è solo il mare… Ci sono i pannelli solari su qualche tetto e sul sentiero sospeso tra i lecci e il cielo il telefono prende benissimo: che effetto fa essere “sempre connessi” in un posto così, più simile all’isola di Pasqua che alla città di La Spezia cui amministrativamente appartiene? Ancora più fuori dal mondo è Monesteroli, grumo di case stagionali di viticultori su un costone roccioso sopra il mare raggiungibile scendendo una ripidissima scalinata sospesa nel cielo, mille-duemila gradini che solo uomini dalle capacità eccezionali possono aver realizzato; si tramanda che il nome della borgata derivi da Menestèo, compagno di Ulisse nella guerra di Troia, che qui si sarebbe trovato al confine del mondo dei vivi, davanti al mare su cui apparivano le “isole dei beati” e dove si può entrare in contatto coi trapassati. Sciocchezze? Chissà… chi non c’è mai stato non può sapere cosa si vede con gli occhi del corpo e dell’anima in questo angolo di Paradiso-Liguria. Vegetazione mediterranea ai Tramonti di Campiglia. 25 Orizzonti Le auto si fermano a Campiglia: possiamo dire che Campiglia è una Corniglia più in alto? Una Volastra più a picco sul mare? Come che sia, il nucleo più antico del borgo (il castello) è sul versante occidentale della collina e quindi rivolto totalmente verso La Spezia mentre le parti ottocentesche e più recenti dell’abitato si allungano proprio sul crinale a 400 metri di quota, e dalla piazza della chiesa e dal vicino cimitero si vedono benissimo sia il mare aperto sia il golfo circondato dalle bianche cime Apuane. Una larga fascia di terreno dove le viti lasciano cadere le loro foglie gialle e rosse novembrine; davanti, e 400 metri più in basso, il mare grigio appena mosso è illuminato da un cielo quasi nuvoloso; l’isola della Gorgona è l’unica cosa “al di là delle acque” che si vede oggi, ma so bene cosa c’è di invisibile nella foschia avendo già avuto occasione di trovarmi qui in un tersissimo giorno invernale: ci sono la Corsica, la Capraia, l’Elba e la costa di Livorno a sud, ci sono la Riviera di Ponente e la Costa Azzurra francese con le Alpi Liguri e Marittime a ovest, e la punta del Monviso alle spalle di Savona. Sono le 11 di un giorno feriale di novembre e il sentiero a gradoni che col nome di Via Tramonti scende da Campiglia verso la spiaggia del Persico offre come unici rumori il cinguettio degli uccelli, il ronfare del mare e il picchiar di una vanga mossa da un giovane senegalese giunto qui attraverso chissà quali vie del mondo. A tener vivo questo territorio, “Patrimonio dell’Umanità UNESCO” al confine tra il Parco Nazionale delle Cinque Terre e il Parco Naturale Regionale di Portovenere, contribuisce l’Associazione Campiglia, che opera affinché l’indispensabile presenza attiva degli uomini su questo territorio non danneggi i caratteri che lo contraddistinguono, mantenga il difficile equilibrio tra attività dell’uomo e natura e l’identità agricola, sia pur un’agricoltura parziale di colture di nicchia. Questa è l’unica via per salvare i muri a secco e tutto questo paesaggio creato in secoli di fatica, il cui unico simbolo di modernità è il trenino monorotaia che allieva la fatica dei viticoltori durante la vendemmia. Ben più antico è invece il mulino a vento nascosto tra gli alberi del poggio a sud della chiesa di Santa Caterina, risalente probabilmente al Seicento e restaurato dopo un lungo abbandono. Nel 1999 l’Associazione Campiglia decise di rilanciare l’economia del borgo recuperando i terreni terrazzati incolti; si cercarono coltivazioni che richiedessero poca manodopera ma potessero garantire un reddito ragionevole: 26 si decise per zafferano – ampiamente diffuso nel territorio allo stato selvatico – e fichi d’India. Per lo zafferano furono individuati alcuni terrazzamenti a 300-400 metri di quota rivolti verso il mare: fu un successo immediato, con l’inserimento in riviste specializzate quali Il Gambero Rosso. I fiori sono raccolti all’alba e subito privati dei lunghi stimmi di colore rosso, che vengono essiccati al sole o con un’altra fonte di calore. Durante questa operazione vengono persi i quattro quinti del peso originario, per cui per un chilo di zafferano occorrono circa 150.000 fiori e due mesi di lavoro; fortunatamente nessuno usa un chilo di zafferano tutto insieme… Dal 2004 l’Associazione coltiva i fichi d’India per produrre marmellate e conserve; le piante crescono sotto i 200 metri di quota e i frutti maturano tra luglio e agosto. I terrazzamenti più vicini al mare hanno subito un degrado più intenso per cui questa iniziativa è essenziale per il recupero di una zona che richiede una manutenzione continua per non franare totalmente in mare. Altro prodotto di successo è il sale marino aromatizzato con le erbe aromatiche (elicriso, issopo, timo, origano) che crescono spontanee sul versante a mare: è un condimento dall’aroma e sapore intenso ed inconfondibile. In piccole radure nella macchia mediterranea fiorisce la lavanda, dal profumo intenso e persistente che si unisce a quello dell’elicriso, del timo selvatico, del rosmarino, delle ginestre che crescono tra le rocce. Ultimo, anzi primo, il vino “Rinforsà”: è il prodotto più antico del territorio, dove per secoli gli agricoltori hanno coltivato la vite su ogni angolo, anche il più impervio; oggi pochi contadini ancora producono vino; dalle fasce più vicine al mare arriva ancora una piccola quantità del pregiato vino passito localmente detto “rinforzato” – uno Sciacchetrà senza DOC; ne esiste anche una rara variante rossa. La presenza nel territorio di Tramonti di numerose cave di arenaria e di macigno (ormai chiuse) hanno abituato i suoi abitanti alla lavorazione della pietra e di ciò abbiamo tracce ben visibili nelle case, nelle scalinate, nei portali. Nelle ex batterie militari che si incontrano lungo la strada che sale da La Spezia da quasi vent’anni una coppia di artisti italo-tedeschi organizza in alcuni periodi dell’anno un laboratorio internazionale di scultura artistica che richiama giovani scultori da tutto il mondo. Nella piazza della chiesa, di fronte all’alto campanile ottocentesco, si incontrano le principali vie escursionistiche della Riviera Spezzina, il sentiero cartoline n.1 Portovenere-Levanto e l’Alta Via del Golfo, che si intrecciano con una complessa rete di sentieri di valore storico, culturale e naturalistico. Importante impegno associativo è anche quello di mantenere fruibile questa rete; in particolare i collegamenti sul versante mare sono fondamentali per le attività agricole, mentre quelli sul boscoso versante del golfo sono importanti in chiave storico-culturale. Il sentiero che chiunque venga a Campiglia dovrebbe percorrere è quello che scende alla spiaggia del Persico – fa parte del sentiero CAI 11 – sono 400 metri di dislivello percorribili in circa 40 minuti: la discesa lungo Via Tramonti è inizialmente abbastanza morbida, tra fasce in parte coltivate a vite e a olivo e sparse case abbandonate o ben restaurate. La picchiata finale verso il mare è vertiginosa, tra ginestre, euforbie e le tracce delle cave d’arenaria che rifornivano l’edilizia della Spezia e di Genova; in fondo c’è la ciottolosa spiaggia del Persico con fondali ricchi di fauna e flora marina. Poi bisogna risalire e il tempo necessario dipende dalle gambe e dal fiato di ciascuno… Ringraziamenti A Marco Cerliani, presidente dell’Associazione Campiglia e titolare del Ristorante La Lampara, per l’utile e piacevole conversazione durante il pranzo. Riferimenti locali Associazione Campiglia [email protected] tel. 0187 758514, 335 6961145 Siti web www.associazionecampiglia.it http://tramontidicampiglia.it www.campiglia.net http://pertramonti.it www.viveretramonti.it Il Golfo della Spezia con l’Appennino Tosco-Emiliano sullo sfondo. Le case di Schiara e lo Scoglio Ferale. Scendendo Via Tramonti verso la spiaggia del Persico. Il borgo antico di Campiglia tra i boschi che scendono verso il Golfo tra boschi e pascoli. 27 Orizzonti Il Guarnieri del Gesù, di Niccolò Paganini. 28 palcoscenici "lego il mio violino alla città di genova onde sia perpetuamente conservato" Con queste parole, scritte il 27 maggio 1837, Niccolò Paganini, il più grande violinista di sempre, donò il violino alla città che gli aveva dato i natali. di chiara cArenini I l violino che incarna l’essenza e la bellezza di uno strumento ad arco: il ‘Cannone’, il Guarneri del Gesù nato nel 1743 che ancora, alla bella età di 273 anni, contiene in sé quella magia e quel mistero che avvolsero e tuttora avvolgono il grande compositore genovese. Il violino che il mecenate livornese Livron donò a Paganini legandolo al patto che non vi fosse nella sua vita altro strumento che quello, è prima ancora che uno strumento musicale, un’opera d’arte. Il ‘Cannone’ ha il fondo, le fasce e il manico di acero, la tavola armonica di abete, la tastiera e la cordiera di ebano, i piroli di palissandro. È più lungo (centimetri 35,4 in totale), più alto (altezza delle fasce laterali 31 millimetri) dei violini ‘normali’, il legno della cassa armonica è di 2 millimetri più spesso dell’usuale e le due “effe” della tavola superiore hanno lunghezze differenti (77 millimetri quella destra, 79 quella sinistra). Infine la cordiera, cioè il pezzo a cui sono ancorate le corde, è più corta di un centimetro rispetto a quelle normali. Quest’ultimo particolare conferma l’eccezionale estensibilità delle dita della mano sinistra di Paganini. Un’estensione forse dovuta alla patologia di cui soffriva il Maestro, la sindrome di Marfan, che altera il tessuto connettivo e compromette vari apparati dell’organismo, tra cui lo scheletro. Una patologia che deformò il suo corpo e le sue mani capaci di effettuare passaggi su tre e quattro corde non in successione ma come accordi simultanei. Chi conosce i suoi ‘Capricci’, la variazione Le streghe, il Trillo del Diavolo o ‘La Campanella’ può capire perché si dicesse che dietro alla sagoma di Paganini che suonava il Cannone c’era in verità l’ombra di satana che muoveva l’arco. Ma torniamo al Cannone: splendido strumento, svela attraverso la F la sigla che Giuseppe Guarne- 29 Orizzonti ri usava mettere dentro i suoi strumenti: IHS. Quel violino è senza dubbio un Guarneri del Gesù, anzi è ‘il Guarneri del Gesù’ per eccellenza. Giuseppe Guarneri detto del Gesù per la sigla della sua etichetta IHS, sormontata da una croce greca posta accanto alla sua firma, è considerato uno tra i più grandi liutai del suo tempo. Figlio minore di Giuseppe Giovanni Battista si ispirò inizialmente ai modelli dello Stradivari che poi abbandonò a partire dal 1726 per una sua personale concezione. I piani armonici dei suoi strumenti sono particolarmente spessi e le arcature dei suoi violini molto più elevate di quelle dello Stradivari. Scelse legni non sempre di pregio ma bellissime vernici. Liutaio isolato, scrivono gli storici, è sempre stato alla ricerca di “quel suono tanto inseguito da Stradivari”. Poi venne il ‘Cannone’, strumento di maggiori dimensioni, di rara e strana bellezza e con una potenza di suono mai udita prima, strumento che conferì al liutaio cremonese una fama stellare. Il ‘Cannone’ è strettamente legato al nome, alla fortuna e alla figura di Paganini. Raramente chi ascoltava i concerti del Maestro non rimaneva colpito dalla potenza, dalla eleganza e rotondità, dalla 30 possanza di suono del Cannone. Strumento sensibilissimo che Paganini suonava con una diabolica maestria, non ha mai avuto rivali. Nemmeno i più sofisticati strumenti del Guadagnini, di Amati o dello stesso Stradivari arrivarono a tanto. Il Cannone però non rimase tal quale: fu lo stesso Paganini a ordinare nel 1828 la sostituzione della tastiera che venne effettuata a Vienna dal liutaio Nikolaus Sawicki. Modifica che aumentò le potenzialità del Cannone adattandole alla visione ‘trascendente’ che aveva Paganini della musica. Alla morte del Maestro venne rispettato il suo legato: lo strumento fu consegnato dal barone Achille Paganini, figlio di Niccolò, al magistrato municipale di Città Migone e “contrassegnato con nastro verde munito del sigillo recante l’arma Paganini. Fu depositato in un armadio la cui chiave rimase a mani del Barone Achille Paganini fino alla consegna ufficiale al Comune che non potè avvenire prima a causa della mancanza di locale decoroso e adatto per la conservazione del prezioso strumento”. Infine il locale fu trovato e il ‘Cannone’ cominciò il suo lungo sonno stregato. Stregato perché un violino se non viene suonato palcoscenici muore. Per tenerlo in vita è necessario suonarlo, così come è necessario indossare le perle per non farle morire. E così una volta al mese per un lungo periodo un violinista di fiducia della Municipalità e sconosciuto ai più andava a ‘tener compagnia’ al Cannone. Oggi il prezioso strumento – il cui valore è stimato per difetto sui 10 milioni di euro – è custodito in una teca blindata che assicura il microclima adatto a mantenere l’elasticità del prezioso, antico legno. Monitorato da una centralina hi tech, viene costantemente tenuto d’occhio, giorno e notte. La sua vernice, una delle più belle utilizzate dal Guarneri, non è mai stata rilucidata e è ancora bellissima nonostante Paganini suonasse senza mentoniera. Il Cannone viene ancora suonato una volta al mese per tenerlo in vita ma una volta l’anno in occasione del Premio Paganini viene affidato alle mani del vincitore oppure, in occasioni speciali, a grandi violinisti come Accardo. Poco lontano dalla teca che custodisce il Cannone c’è una copia realizzata dal liutaio parigino Jean Baptiste Vuillaume nel 1828, copia che Paganini cedette a al virtuoso genovese Camillino Sivori. Sentir risuonare il Cannone, con il suo potente vocione, è un’emozione unica e chiunque abbia la fortuna di aver ascoltato le musiche che nacquero dalla mente di Paganini, chiudendo gli occhi riesce ancora a immaginare la silhouette mefistofelica del grande Maestro che è e resta imprescindibile dalla linea di questo strumento. Perché Paganini e il Can- none sono stati e sono tutt’uno, l’uno il prolungamento e il completamento dell’altro in un abbraccio che ha prodotto musiche straordinarie e straordinarie performances, ma anche sogni stregati. Paganini aveva bisogno del Cannone, e il Cannone del maestro. Se per qualche motivo non veniva suonato, appena Paganini lo prendeva in mano il Cannone rispondeva quasi risentito per l’abbandono: “il violino – scriveva Paganini – sta con me alquanto corrucciato”. Quel violino, che oggi dovrebbe costituire una delle più importanti attrattive culturali di Genova, era davvero stregato. Viveva di vita propria, dava voce al Maestro e con lui colloquiava. La musica che ne veniva sprigionata era una musica immensa per la altissima qualità della composizione e per la potente morbidezza del suono. Attorno a lui e a Paganini mille leggende sono nate per non morire mai: come quella che racconta chi, passando per vico della Gattamorta dove si trovava la casa di Paganini (demolita nel 1979) dice di sentire ancora il suono acutissimo del Trillo del Diavolo. Leggende, stregonerie che non prescindono dal Guarneri custodito nella sua bara di cristallo a Genova. Proprio perché Paganini non prescindeva da quel violino che è stato così importante per lui e per tutta la grande musica dell’Ottocento. Non è un caso forse che nel suo testamento il maestro usò la parola ‘legare’ invece che ‘donare’: “lego il mio violino alla città di Genova onde sia perpetuamente conservato”. Legare è parola importante: deriva da una parola greca che significa piegare, annodare. Come una stregoneria ‘lega’ una cosa a un’altra, un evento a un altro. Ma la radice della stessa parola viene dal sanscrito: una parola che significa ‘abbracciare’. Non semplicemente avere, o esibire o possedere. Non costringere né piegare a una qualche volontà altra da noi. Significa abbracciare. Un invito per Genova e i genovesi, e non solo, a abbracciare la memoria di uno dei suoi grandi figli che è stato ed è tuttora protagonista della cultura musicale non solo dell’Ottocento. E con lui questo straordinario strumento che di Niccolò Paganini è stato ed è la voce. Pag. 30: spartito della Sonata per violino solo di Paganini. 31 Orizzonti Gianni Ratto, scenografia per “Al Grand Hotel”, testo e regia di Garinei e Giovannini, con Wanda Osiris protagonista. Milano, Teatro Lirico, 3 novembre 1948. 32 palcoscenici gianni ratto, scenografo "magico" Si considerava un artigiano del teatro e si adontava se qualcuno si rivolgeva a lui con l’aulico appellativo di maestro. di pietro boragina E ppure Gianni Ratto, scenografo-regista di origine genovese di cui, quest’anno, si celebra il centenario della nascita, maestro lo è stato per davvero. Non nel senso abituale del termine ma nella pratica quotidiana di un mestiere che si “...andava facendo ogni giorno con la massima professionalità possibile”. E con l’adeguata preparazione. Cosa, questa, che non mancò mai di ricercare nel corso della sua intera esistenza. “Il teatro, come tutte le altre attività umane – aveva sostenuto al Convegno Nazionale del Teatro che si era tenuto a Milano dal 18 al 20 giugno 1948 – per avere una ragione d’essere, per dare soprattutto una ragione d’essere a chi se ne occupa, va inteso e affrontato con spirito professionale, deve insomma, occupare tutto il tempo e l’intelletto di chi ad esso si accosta...”. Gianni Ratto era nato casualmente a Milano il 27 agosto del 1916. La madre, Maria Ratto, allora ancora “studentessa” al Conservatorio di musica Giuseppe Verdi, e, successivamente, apprezzata musicista, era genovese. Il padre, “un dandy di provincia” come lo considerò sempre Gianni, all’epoca era già sposato con due figlie. Non ricoprirà alcun ruolo nella vita futura del figlio tanto che Gianni sceglierà il cognome della madre. Qualche anno dopo la sua nascita, la “famiglia” fece ritorno a Genova. Ed è proprio nella città ligure che Gianni compì non soltanto gli studi ma frequentò alcuni personaggi che avrebbero segnato la sua vita. A cominciare, lui dodicenne, dall’incontro con quel genio del teatro europeo che, all’epoca, dimorava in una villa a Sturla e che si chiamava Edward Gordon Craig. Gianni Ratto fu condotto in quella casa dalla madre, insegnante di musica di Nelly, figlia di Craig. “A partire da quel momento – scriverà tempo dopo – e nei molti altri che seguirono, dopo aver visto e rivisto le incisioni, i disegni e i progetti, e timidamente ma anche sfacciatamente esposto qualche mia opinione al loro autore, il mondo di Craig trasformò la mia passione latente per il teatro, in un delirio in cui forme e colori, superfici e volumi, luci e ombre, si mischiavano in una fantasmagoria in cui nulla era chiaro ma tutto era meraviglioso...”. L’altro importante incontro a Genova lo fece con l’architetto Mario Labò e con suo figlio Giorgio, allora tredicenne. Era il 20 maggio 1932 quando Gianni Ratto si presentò in piazza Colombo e suonò al campanello di una abitazione. La casa era quella dell’architetto che, qualche giorno prima, aveva pubblicato sul quotidiano Il Secolo XIX di Genova, un annuncio per cercare un giovane di studio. 33 Orizzonti L’“apprendista” Ratto, grazie al lavoro con Labò, colse subito quanto fosse essenziale coltivare i particolari. Dettagli propedeutici ad una professione che, soltanto all’apparenza, poteva sembrare lontana dall’idea stessa di una manualità che si coniugava con i vertici di un esclusivo artigianato. Casa Labò, all’epoca, era punto di riferimento culturale tra i più vivaci a Genova. Vi convenivano architetti, intellettuali, artisti, e non soltanto genovesi, in rapporti d’amicizia con Mario e Giorgio Labò: Gio Ponti, Giuseppe Pagano, Gianluigi Banfi, Raffaello Giolli, Giancarlo Pallanti, Franco Albini, Luigi Carlo Daneri, Eugenio Fuselli, Lucio Fontana, Francesco Messina, Arturo Martini, Sandro Cherchi, Enrico Ribulsi... Quel giorno si apriva per Ratto, studente alla Scuola d’Arte, un vero e proprio universo che, scoperto, gli avrebbe cambiato la vita. Gianni Ratto considerò Craig e poi Mario Labò i suoi più importanti punti di riferimento. Con Mario Labò non solo lavorerà ma manterrà rapporti strettissimi fino al 1961, anno della morte dell’architetto. Le prime esperienze teatrali a Genova Gianni Ratto le fece in compagnie filodrammatiche. Fra tutte quella del “Gruppo Artistico Fausto Maria Martini”, fondata nel 1933 dal regista e attore Aldo Trabucco e dallo scenotecnico Codda, con la quale Ratto debutterà come attore in Nascita e vita di Luigi Falta di Sebastiano Ricciardi, 34 regia di Giocondo Faggioni, presentato ai Littoriali del teatro del 1936. Lo spettacolo, organizzato dalla sezione genovese del GUF, andò in scena il 2 aprile 1936 al Teatro Paganini di Genova. Poi, la guerra, lo porterà prima a fare il militare a Cagliari e poi in Grecia. Ritornerà a Genova soltanto a guerra terminata e troverà la città sconvolta dai bombardamenti. Cerca i “vecchi” amici: Ribulsi, Pacuvio, Codda, Trabucco, Castello, Galloni, Chiesa... Apprende della morte di Giorgio Labò, con il quale “la notte uscivamo andando a passeggiare tra i vicoli adiacenti il porto, inondati dal puzzo di orina di gatto e ignorando le prostitute. Finivamo in qualche osteria a bere vino, mangiando pane e formaggio, parlando di arte e architettura”. Giorgio, studente di architettura, dopo l’8 settembre scelse di entrare a far parte dei GAP romani, gruppo che contrastava i nazisti occupanti la capitale con attentati dinamitardi, bombe costruite assieme al chimico, Gianfranco Mattei, in una casa di via Giulia. Scoperti per una delazione furono entrambi imprigionati nel carcere di via Tasso. Mattei, per paura di rivelare i nomi dei compagni, si tolse la vita. Labò resistette alle torture senza far alcun nome. Fu poi fucilato a Forte Bravetta il 7 marzo 1944. Ratto considererà il ricordo dell’amico come la cosa più cara della sua vita. Con la guerra i teatri genovesi avevano subito gravi danni. “In pochi giorni a Genova – scrisse Giannino Galloni sulla rivista Arte e cultura “Genova” del settembre 1949 – non rimase in piedi un teatro. Politeama Margherita, Politeama Genovese, il Paganini, Il Giardino d’Italia, il Nazionale, il Falcone. Tutto in aria, tra lingue di fuoco e nuvole di polvere. Non restarono che quattro muri anneriti, collinette di macerie e il Margherita con le occhiaie vuote dei palchi, una sorta di Colosseo...”. Nel fervore della rinascita culturale di Genova, sembrava potessero avere un ruolo importante il teatro e i suoi interpreti, attori, registi, scenografi, autori. Nel palcoscenici tentativo di creare un organismo stabile di prosa a Genova, vanno certamente ricordati Aldo Trabucco e Enrico Bassano, che avevano dato vita alla Compagnia di Prosa Città di Genova che, con alterne vicende, proseguirà negli anni. Ma ancor più significativo, nel 1944, in anticipo sui tempi, il pubblico intervento di Gian Maria Guglielmino, allora giovane giornalista, collaboratore del “Giornale di Genova” e del “Corriere Mercantile”. In piazza Tommaseo al numero 7, dov’era la sede del dopolavoro bancario, il D.I.C.E.A., per volere di Guglielmino, nascerà quel Teatro Sociale, poi Teatro Sperimentale Luigi Pirandello, prodromo al futuro Teatro Stabile di Genova. Elsa Albani, Ferruccio De Ceresa, Anna Bolens, Enrico Ardizzone, Alberto Lupo, Aroldo Capurro, Sandro Bobbio, Gian Maria Guglielmino, Giannino Galloni, Aldo Trabucco, Giulio Cesare Castello, Alessandro Fersen, Emanuele Luzzati, Nino Furia, Ivo Chiesa, Pier Luigi Pizzi… precursori dell’attuale Teatro Stabile. Erano anni difficili. Anche se i dibattiti sui futuri Teatri Stabili erano un po’ ovunque in atto, pensare di “fondare” un teatro poteva sembrare un’impresa ardua. Tre anni dopo la fondazione dello Sperimentale genovese, il 14 maggio 1947, sarebbe nato il Piccolo Teatro di Milano, primo esempio di Teatro Stabile in Italia. E Gianni Ratto che, dopo le prime esperienze con gli amici genovesi, si era trasferito a Milano, sarà, in quella occasione, al fianco di Paolo Grassi e di Giorgio Strehler. Fu l’inizio di una lunga collaborazione fin dal debutto con l’allestimento del primo spettacolo, l’Albergo dei poveri di Mak’sim Gor’kij rappresentato al Piccolo di Milano il 14 maggio 1947. In breve tempo, Ratto, grazie agli ottimi risultati ottenuti col proprio lavoro e al proficuo sodalizio culturale, anche se a tratti burrascoso, con Strehler, fu considerato uno dei più importanti e apprezzati scenografi italiani. Assertore di una idea di scenografia che fosse “personaggio” attivo dello spettacolo, frutto di una unione di intenti col regista, Ratto sapeva creare magiche atmosfere nel ridotto palcoscenico del Pic- colo Teatro, sì da essere soprannominato “Il mago dei prodigi”. Col suo lavoro di scenografo, e con i suoi scritti, Ratto riuscì a conferire alla scenografia una maggiore dignità e importanza. La scenografia considerata quale presenza vitale nella complessità dello spettacolo. Fu anche collaboratore del Teatro alla Scala, del Maggio Musicale Fiorentino e di altre importanti istituzioni teatrali, lavorando al tempo stesso con primarie compagnie teatrali. Convinto che nella sua professione “tutto gli fosse utile” non disdegnò di occuparsi delle scene e dei costumi per alcune riviste musicali, tra cui, su tutte, Al Grand Hotel di Garinei e Giovannini con Wanda Osiris protagonista. Con Gianni Ratto la Wandissima scese le scale più lunghe della sua carriera di soubrette. Al culmine della carriera, seppur giovanissimo, agli inizi del 1954, Ratto decise di lasciare l’Italia per trasferirsi in Brasile “…alla ricerca di una nuova erotica purezza teatrale…”. In Brasile Gianni Ratto dispiegherà tutte le sue chance artistiche, riuscendo a creare e a dirigere teatri, a fare l’attore, il regista, lo scenografo, l’insegnante, rinnovando la scena teatrale brasiliana. Pag. 34: Gianni Ratto, scenografia per “Il mago dei prodigi” di Calderón de la Barca, regia di Giorgio Strehler. Milano, Piccolo Teatro, 8 luglio 1947. Gianni Ratto, scenografia per “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, regia di Giorgio Strehler. Milano, Piccolo Teatro, 24 luglio 1947. Gianni Ratto, scenografia per “Il ratto dal serraglio” di Mozart, regia di Ettore Giannini, costumi di Leonor Fini, con Maria Callas protagonista. Milano, Teatro alla Scala, 2 aprile 1952. In basso: Gianni Ratto (il primo a sinistra) con Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi nel 1947. Pag. 35: Gianni Ratto, scenografia per “La famiglia dell’antiquario” di Carlo Goldoni, regia di Giannino Galloni, con Lina Volonghi e Luigi Almirante. Genova, Piccolo Teatro della Città di Genova, piazza Tommaseo, 16 dicembre 1953. Gianni Ratto, scenografia per “Lucia di Lammermoor“ di Gaetano Donizetti, direzione e regia di Herbert von Karajan. Con Maria Callas e Giuseppe Di Stefano. Milano, Teatro alla Scala, 18 gennaio 1954. 35 emozioni 36 sapori croccante come una nocciola In Liguria “il” dolce di Natale è il pandolce, ma ci sono altre leccornie di stagione diffuse a livello locale, a produzione familiare, che a volte però soffrono la scomparsa della materia prima tradizionale. di gian antonio daLL'AGLIO M a non tutto è perduto quando qualcuno decide di far rivivere le antiche coltivazioni e di rimettere in funzione una filiera produttiva moderna nella forma ma tradizionale nella sostanza. È ciò che sta accadendo per le nocciole della Fontanabuona. Il nocciolo è spontaneo nelle zone collinari e di bassa montagna di tutta l’Europa a clima temperato e le nocciole sono molto ricche di vitamina E, fitosteroli e grassi monoinsaturi, utili per abbassare il livello di colesterolo “cattivo” LDL. L’amicizia tra il nocciolo e le genti fontanine data da lungo tempo, certamente da ben prima di quel 5 novembre 1688 quando Nicolò Repetto, notaio del Marchesato di Santo Stefano (d’Aveto), redasse un atto che cita un tal Battistino Cuneo quondam Andrea di Coreglia che affittava terreni dove si trovava “uno costo di nocciole”. In Italia, seconda produttrice al mondo dopo la Turchia, il nocciolo (Corylus avellana), è coltivato intensivamente in Piemonte tra Langhe, Roero e Monferrato, in Lazio nella provincia di Viterbo, nella Campania interna e in alcune zone della Sicilia. I noccioleti aggrappati alle fasce della Fontanabuona e della valle Sturla non possono competere per quantità con quelli delle – ottime, e ci mancherebbe! – varietà tipiche delle regioni succitate. Ma dove non arriva la quantità può arrivare la qualità. Giusto quindi che oggi qualcuno voglia far rinascere la tradizione della nocciola ligure, ridando vita ai noccioleti dove per secoli si sono coltivate numerose – circa ventiquattro – varietà di nocciole di piccole dimensioni, riunite sotto la comune denominazione di “misto Chiavari”. Questo qualcuno è l’associazione “Calvari insieme per la nocciola” nata nel novembre 2015 per valorizzare questa risorsa naturale ed economica, riprendere le tradizioni locali, proporre usi nuovi delle nocciole, ridar fiato a una produzione agricola antica e incrementare la proposta turistica in questa valle che è un po’ una “Cenerentola” rispetto ai territori limitrofi più famosi (Tigullio, Cinque Terre, Val di Vara). La nocciola delle valli chiavaresi è stata dimenticata Tra i boschi di San Colombano Certenoli, un tempo terra di noccioleti. 37 emozioni dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando iniziarono a prevalere sul mercato le più grosse nocciole piemontesi e viterbesi. L’abbandono dei noccioleti non è stato solo una perdita economica ma ha anche contribuito al dissesto idrogeologico di questo territorio tutto a fasce e muri in pietra che ha necessità assoluta della manutenzione umana per non franare a valle. L’Associazione deve trovare i proprietari dei terreni abbandonati e qualche agricoltore che voglia riprendere questa coltivazione (pulendo il terreno, proteggendolo dai cinghiali, sistemando le fasce e i muretti crollati) e cercare aiuti finanziari presso enti pubblici e privati. Non è un lavoro facile anche perché a parole tutti sono contenti di questa attività, compreso il comune di San Colombano Certenoli dove l’Associazione opera e ha sede, ma... ma chi tira fuori i soldi necessari? Qualcosa arriva dalla Comunità Europea tramite il Piano di Sviluppo Rurale e si spera nei GAL (Gruppi di Azione Locale), il cui scopo – come si legge nel sito del Parco Regionale dell’Aveto - è quello di “realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e delle comunità rurali, compresi la creazione e il mantenimento dei posti di lavoro”. I GAL interessati allo sviluppo della corilicoltura (è il termine tecnico) sono quello della Fontanabuona e il VerdeMare che comprende i comuni delle altre valli del Levante genovese. Attualmente l’Associazione collabora con l’Azienda Agricola Fabio Benvenuto che ha un noccioleto in produzione sotto la borgata di Romaggi, coltivato in maniera “biologica” anche se non ha la certificazione ufficiale. Chi conosce Romaggi però sa che quelle colline sono molto liguri (eufemismo per scoscese e ripide) per cui si vuole rimettere in produzione un noccioleto abbandonato in un terreno pianeggiante tra Calvari e il torrente Lavagna, che potrebbe diventar “didattico” per le scuole e per chi voglia apprendere e conoscere, grazie anche alla collaborazione dell’Istituto Agrario “B.Marsano” che ha una sede a 500 metri di distanza. E di queste noc- 38 ciole, cosa ce ne facciamo? Ne facciamo un mucchio di cose buone... Ce le mangiamo così come sono state raccolte, certo, ma non finisce qui: la trasformazione in prodotti di pregio avviene presso la ditta Parodi Nutra di Campomorone, specializzata nella produzione di olî vegetali “alternativi”, che ha trovato interessante l’idea di produrre “il Parodi” olio di nocciole liguri spremuto a freddo utilizzato sia per usi alimentari(condimento utile in diete a basso tasso di colesterolo) sia per uso benessere (massaggi rigeneranti) e per usi cosmetici (crema antirughe, balsamo per le labbra...); costa più degli altri olî ma se ne usa meno per via del suo sapore più intenso. È simpatica la trasformazione delle nocciole in farina, con cui alcuni (pochi finora) ristoranti della valle preparano pizze sfiziose e insolite. Come insoliti sono il pesto di nocciole e il pane con le nocciole tritate dentro. E poi i dolci: dalla collaborazione fra l’Associazione e il forno Curotto di Lavagna escono biscotti di pastafrolla e - grande successo - un dolce che ha lontane parentele norvegesi (la socia che lo ha inventato ha antenati “vichinghi”): cubetti di pandispagna con nocciole tritate ricoperti da una glassa di cioccolato; da gustare tiepidi con zabaione e/o un vino passito tipo Sciacchetrà delle Cinque Terre. La Cooperativa Agricola “Frantoio Oleario” di Mezzanego produce Miss Nocciola, crema spalmabile di cioccolato e nocciole locali. Certo, queste produzioni artigianali hanno i loro costi, non possono andare nei discount; sono destinati a chi cerca la tipicità e l’alta qualità nel cibo e ai turisti che amano scoprire le bellezze-e-bontà nascoste di cui grazie a Dio l’Italia è ricca. In questo primo anno di vita l’Associazione ha organizzato molti eventi; i bambini delle elementari liguri sono stati invitati a inviare disegni dedicati alla nocciola: graditissima la collaborazione dell’Ipercoop I Leudi di Carasco che ha fornito i materiali e i premi. Altro evento carino è stato organizzato per la Festa della Mamma; buon successo anche per un Percorso Relax sapori con massaggio di olio di nocciola e crema antirughe alla nocciola e degustazione di tè verde aromatizzato alla nocciola. Intensa la partecipazione a feste e sagre e ai mercatini di Natale. L’Associazione ha partecipato a un bando per un progetto start-up over40 (per imprenditori maturi, diciamo): non sa ancora se il suo progetto verrà finanziato però già la partecipazione permette di farsi conoscere tra le realtà del territorio. Idee e speranze non mancano: sarebbe bello convenzionarsi con gli alberghi della Riviera per portare gli ospiti a vedere i noccioleti; è interessante il Mercatino dei Sapori che si tiene una volta al mese a Chiavari ma possono partecipare solo i commercianti, le associazioni culturali non sono ammesse; purtroppo la “nostra” nocciola non la conosce nessuno, i turisti che vengono a Chiavari non ne immaginano l’esistenza. Si vorrebbe avere qualche prodotto tipico, come un cioccolatino alla nocciola e il dolce “norvegese”, da vendere col marchio dell’Associazione e della “Nocciola misto Chiavari”, ma occorre accordarsi con una pasticceria che lo produca e che i costi siano sostenibili; oggi i dolci alla nocciola che si trovano a Chiavari sono prodotti con materia prima forestiera. Infine, l’Associazione nazionale delle Città della Nocciola organizza il Nocciola Day a metà dicembre; anche se San Colombano Certenoli non ne fa parte, si può ideare un Giorno della Nocciola nostrano per farsi davvero conoscere nella valle. Ma… e il dolce di Natale? Secondo l’Atlante Regionale dei prodotti tradizionali di Liguria si tratterebbe del torrone, ma le donne dell’Associazione dicono che è molto più diffuso il croccante: è tradizione che le famiglie fontanine lo preparino nei mesi da ottobre in avanti, quando le nocciole sono state raccolte, pulite e tostate. Un dolce “povero” ma nutriente e veloce da farsi; gli ingredienti sono zucchero e nocciole “misto Chiavari”. Si prepara stendendo l’impasto su piastre da forno o di marmo; alcuni lo tagliano a pezzi e lo consumano poco a poco; si conserva per qualche mese senza problemi e senza conservanti. Anche fino a Pasqua... Ringraziamenti A Gabriella Lagomarsino, Jeanette Bonzani e Monica Molinari per la piacevole chiacchierata e le utili informazioni. Indirizzi utili Associazione “Calvari insieme per la nocciola”, via Domenico Cuneo 59/1, 16040 San Colombano Certenoli (GE) tel. 388 401 9993, [email protected] Sitografia www.facebook.com/calvariinsiemeperlanocciola/?fref=nf www.parodinutra.com www.ilparodi.com www.facebook.com/PanificioPasticceriaFlliCurotto/ https://m.facebook.com/pizzeriaRobertone-255799614511061/ www.frantoiooleario.it www.lacompagniadeisapori.it www.nocciolaitaliana.it www.agriligurianet.it/it/vetrina/prodotti-e-produzioni/ frutta-ortaggi-e-piante-aromatiche/prodotti-tipici-frutta-orto/ item/200-nocciolo.html www.agriligurianet.it/it/vetrina/prodotti-e-produzioni/ miele-ligure/prodotti-tipicimiele/item/386-torrone-dolcedofontanabuona.html www.fondazioneslowfood.com/it/arca-del-gusto-slow-food/ nocciola-del-rosso/ www.parcoaveto.it www.nocciolare.it San Colombano Certenoli è un comune di mille borgate rurali sparse tra boschi e pascoli. 39 emozioni sapori il mediterraneo in un vino “Il Vermentino deve vedere il mare” dicevano gli anziani contadini. E, infatti, dal Medio-Oriente e dalla Spagna è arrivato fino alla Liguria. Ecco il Ponente del Vermentino (con una digressione per la Granaccia). I di danilo poggio l Ponente ligure è una terra orgogliosa dei suoi segreti, che si svelano soltanto lentamente a chi percorre con rispettosa curiosità le sue strade tortuose. A ridosso del mare, ci sono straordinari tesori che si nascondono subito dietro le montagne. E in questo patrimonio, i rari (ma non rarissimi) vigneti raccontano un’antica tradizione di sapori, colori e profumi: nel corso dei secoli, migliaia di contadini hanno lavorato una terra difficile da coltivare, ma in grado di dare sorprendenti risultati inattesi. Pur con una storia importante, soltanto recentemente il Ponente enologico è riuscito a farsi valere, a livello nazionale e internazionale: forse per ancestrale prudenza, i vignaioli hanno atteso il momento giusto. Oggi il Pigato, il vino bianco più tradizionale e importante di questa terra, è ben conosciuto e ha raggiunto un livello qualitativo altissimo, frutto di esperienza, sperimentazione e un’ottima coniugazione tra saperi antichi e tecniche moderne. In questo breve viaggio, ci soffermeremo su altri vini, altrettanto tradizionali ma forse meno celebrati. In modo particolare, parleremo del cugino del Pigato, quel semi-aromatico Vermentino della penisola iberica. Dalle leggendarie origini medio-orientali, dalla Spagna e dal Portogallo si diffuse in Francia e poi in Liguria, per arrivare sino alla Sardegna. Il vitigno Vermentino ama luoghi ben soleggiati, soprattutto non lontani dal mare. Spesso in collina, dove i terreni sono più asciutti, viene allevato in filari, con potatura piuttosto corta, ma ricca. Invece in pianura, nei terreni profondi di alluvione, vengono utilizzati maggiormente i pergolati. Il grappolo è di grandezza media, di solito cilindrico, con peduncolo visibile ed erbaceo. Un’uva con acini medio-grossi, tipicamente mediterranea e marina, in grado di proporre un territorio attraverso i propri profumi, distinguendosi di zona in zona. E il nostro viaggio ha una “particolare luce femminile.” AZIENDA AGRICOLA BIOVIO Giobatta Aimone Vio è un omone grande e grosso, ma che sa commuoversi, soprattutto se parla della sua famiglia e della sua terra. Vive a Bastia d’Albenga, in un borgo che ha tutto il sapore del Medioevo, in una casa che ne mantiene inalterata l’essenza. Proviene da una famiglia che ha sempre coltivato gli ortaggi più tradizionali della zona (dal pomodoro cuor di bue alle zucchine trombetta, dall’asparago violetto al carciofo spinoso), insieme a qualche vigneto, su quelle colline che circondano la piana 41 emozioni d’Albenga. Dal 2000, al posto di vendere l’uva, produce vino direttamente e ha ottenuto parecchi premi, fino ad essere proclamato ufficialmente dal Gambero rosso “Vignaiolo dell’anno”, il primo produttore ligure a ricevere tale riconoscimento. Merito suo, certamente, ma anche delle donne della sua vita: l’effervescente moglie Chiara, e le determinate figlie Caterina, Camilla e Carolina. Un quartetto al femminile che è stato capace di dare serenità, ma anche utilissimi consigli pratici. Giobatta Aimone esprime l’amore per la sua terra attraverso il vino, la produzione di erbe aromatiche, di olive e un particolare agriturismo “diffuso”, all’interno del borgo medievale. Con un’attenzione particolarissima alla coltivazione biologica, che inizia nel 1989 con l’uva: “Partendo da Bastia – racconta – nella Piana ingauna dove coltiviamo erbe aromatiche, risaliamo lungo quella dolce vallata che segue il corso dell’Arroscia per giungere fino a Ranzo e alle terre alte della provincia di Imperia, dove lavoriamo da sempre vigneti ed oliveti. L’uso di pesticidi, di diserbanti e di concimi chimici non fa parte della tradizione locale e noi non abbiamo fatto altro che continuare con le abitudini del passato. Coltivare biologico non è una scelta né tecnica né economica: è semplicemente culturale. La percezione di quanto stiamo facendo, comunicata in maniera semplice (più che altro con il passaparola) ci ha permesso di ritagliarci uno spazio significativo nella produzione di qualità del comprensorio di Albenga ed oltre.” La sua produzione di vini è piuttosto ampia: Pigato (in diverse versioni, anche in criomacerazione, vinificato a contatto con le bucce e passito) e poi Rosso Igt, Rossese e Granaccia. Il Vermentino porta il nome del suo autore (Aimone), ed è vinificato in criomacerazione per 24 ore seguita da una pressatura soffice e fermentazione a temperatura controllata in vasche di acciaio. La maturazione è di quattro mesi, cui si aggiungono almeno i due mesi di affinamento in bottiglia. Il colore è giallo paglierino, con profumo di cedro misto a pompelmo e una lieve mineralità marina. Rispetto al Pigato è più erbaceo, con sentori di erbe aromatiche che ricordano il timo, perfetto per antipasti, ma anche per vellutate. “I vini non nascono per volontà del singolo ma della famiglia tutta. Il nostro progetto principale è il continuo investimento per migliorare sempre più il livello qualitativo delle uve, moderando la produzione per ceppo. Crediamo che la qualità del vino si ottenga nel vigneto e la si concretizzi in cantina.” Aimone è anche un fiero 42 sostenitore della collaborazione tra aziende: “Abbiamo realizzato una rete di venticinque produttori per creare l’Enoteca regionale a Ortovero. Una volta sarebbe stato impossibile, ma ora siamo in molti a credere nel territorio e nei nostri vini. E dobbiamo molto a chi ci ha aperto la strada, come le Cantine Calleri e Pippo Parodi”. CASCINA FEIPU DEI MASSARETTI Ed ecco l’azienda fondata proprio da Pippo Parodi. Sempre nella piana d’Albenga, dove prima si producevano soprattutto ortaggi. Poi, durante gli anni Sessanta, ci fu il tentativo di vinificare in cantina, con un percorso graduale che portò a una grande qualità, apprezzata dallo stesso Veronelli. Pippo fu affiancato da una grande donna (un’altra grande donna, in questo viaggio nel vino del Ponente), sua moglie Bice, determinata ancora oggi, nell’accompagnare le figlie Ivana e Brunella, con i mariti Gianni e Mirco, nella conduzione dell’azienda. A parlare sono direttamente i sei ettari di terreno, in gran parte sul livello del mare (“Siamo ad altitudine zero”) di natura sabbiosa/alluvionale (mentre la parte collinare è di tipo argilloso/calcareo) coltivati soprattutto a Pigato, Rossese e Granaccia. La cantina ha una capacità globale di 900 ettolitri: la vinificazione per il Pigato avviene sia con la criomacerazione sia con la pressatura soffice, seguite dalla separazione del mosto dalle bucce e la fermentazione a temperatura controllata. Per i vini rossi (Rossese e Russu du Feipu) si utilizza il metodo tradizionale della diraspatura con fermentazione sulle bucce e rottura ripetuta del cappello mediante rimontaggio e ossigenazione. In tutto il processo di vinificazione vengono utilizzate attrezzature in acciaio inox di recentissima introduzione, con metodologie e tecnologie aggiornate. L’affinamento avviene parte in vasi vinari in acciaio inox a controllo termico e successivamente in bottiglia prima di andare sul mercato. I quantitativi in bottiglie sono oscillanti tra le 60mila e le 70mila, che vengono distribuite in Italia ma anche all’estero, fino al Giappone. Cascina Feipu dei Massaretti produce Pigato (anche in versione Riserva), Rossese, un interessante rosso secco (il Russu du Feipu) e due vini dolci con uve passite (Il Pippo e La Bice), oltre a un altro prodotto estremamente caratteristico del Ponente: la Granaccia. “Questo vitigno – spiega Mirco – fino a pochi anni fa era coltivato soltanto a Quiliano, vicino a Savona. Nel 2003 abbiamo provato ad impiantarlo anche ad Albenga, con sapori ottimi risultati.” E così nasce la produzione di una Granaccia in purezza, dal colore rosso rubino, dal profumo intenso e persistente, fruttato di confettura con sentore di liquirizia e dal sapore morbido e asciutto. Viene vinificato in modo tradizionale, in vasi di acciaio inox, con rimontaggi, ossigenazione e rotture del cappello giornaliere. La svinatura avviene dopo sei/otto giorni, con maturazione del 15% in botte di legno. “È un vino rosso importante, che garantisce una grande capacità di invecchiamento, ma anche una piacevolissima facilità di beva. Questo è uno dei suoi punti di forza. All’inizio si sentono soprattutto i frutti di bosco, in particolare il lampone, per poi giungere alle note di liquirizia dopo qualche anno.” Per questa flessibilità, accompagna in modo egregio un’ampia varietà di piatti, anche di pesce: dallo stoccafisso in umido ai moscardini, dal pollo o coniglio a taglieri di salumi e formaggi, magari erborinati. Ideale, poi, per una pietanza antica come la capra con i fagioli. AZIENDA AGRICOLA MARIA DONATA BIANCHI Il viaggio prosegue sino all’entroterra di Diano Marina, nel cuore del Ponente, a Diano Aretino. In un paesaggio dominato dagli ulivi, in località Valcrosa, si trova una enclave dedicata alla vite. A guidarla, da pochi mesi, un’appassionata giovane donna laureata in enologia, Marta Trevia, discendente di una famiglia che ha contribuito a scrivere la storia del vino in Liguria. Già il bisnonno Emanuele aveva intrapreso un primo commercio di vino, piantando proprio un grande vigneto di Vermentino nella piana di Andora, mentre il nonno Pietro “Rino” è ricordato da molti per aver contribuito al progressivo miglioramento dell’enologia della regione. Oggi Marta lavora con suo padre Emanuele, che negli anni ha impiantato parecchi vigneti tra Diano Castello e Diano Arentino ed ha costruito la nuova cantina, modernissima, per vinificare i 4 ettari di proprietà. “Nasco con un nonno che aveva una vigna – racconta Emanuele - un padre enologo, una moglie che aveva una vigna (Maria Donata Bianchi, appunto) e una figlia che fa l’enologa. Direi che era destino. Una volta, però, era più difficile. Ora c’è più gente che crede nel nostro territorio e finalmente stiamo iniziando a fare squadra.” Il primo imbottigliamento dell’azienda risale al 1977 e nel corso degli anni, da una grande passione per la terra, declinata con il rispetto della tipicità e dell’ambiente, sono nati vini che hanno ricevuto molti premi: “Non sono l’interpretazione personale di tecniche di cantina, ma rappresentano la rispettosa trasformazione di un’uva, ricompensa di quotidiane fatiche”. Oggi produce un Pigato, il rosso La Mattana, con Syrah e Grenache, come il Bormano, e il rosato Ines. Due, invece, sono le versioni di Vermentino proposte. La prima è quella classica: i grappoli raccolti esclusivamente a mano vengono diraspati, pigiati e sottoposti a pressatura soffice. La fermentazione avviene in vasche di acciaio inox con controllo della temperatura e lieviti selezionati, con una maturazione di 5-6 mesi in vasca e almeno un mese di affinamento in bottiglia. Brillante giallo paglierino, ha profumo elegante ed ampio con profumi di frutta gialla, ginestra e rosmarino e gusto minerale con piacevoli note aromatiche. L’Antico sfizio, invece, è una scelta più originale, con una macerazione all’antica che dura cinque giorni e con lieviti esclusivamente autoctoni. Con una maturazione di almeno nove mesi si ottiene un vino con maggior intensità di colore e di gusto, dal colore carico, quasi ambrato e dal profumo con sentori di miele e note balsamiche. “Ricorda un sapore antico – spiega ancora Emanuele – di un vino prodotto come cento anni fa. Da parte della società, sarebbe necessario più rispetto per l’agricoltura. Il contadino è l’unico che sa piantare un seme e poi raccogliere un frutto. In qualche modo, collabora ogni giorno alla creazione”. E la Liguria con il vino può fare ancora molto: “Questa è una regione poco conosciuta sotto questo aspetto – dice Marta – ma ha peculiarità incredibili. In pochi chilometri, presenta una grandissima varietà e nel giro di poche ore si possono incontrare paesaggi e territori molto diversi. A tutto questo ho deciso di dedicare la mia vita”. 43 emozioni Renata Minuto, “L’acquasantiera”, olio su tela, cm. 120x100 ca. (Quadreria del Gruppo Banca Carige, Savona). 44 visioni renata minuto canta la "liguria madre" tra savona e roma Dal 1957, data del suo esordio, ad oggi sono centinaia le mostre, non solo in Italia, che hanno visto Renata Minuto protagonista per motivi d’ispirazione legati alla sua terra di origine (Savona). di silvia bottaro A llieva di Achille Cabiati in quell’ambito culturale che tra le Albisole e Vado Ligure negli anni Cinquanta - Sessanta del Novecento ha dato lievito a molte personalità artistiche, grazie alle stimolanti presenze da una parte di Arturo Martini e dall’altra di Tullio d’Albisola, un humus dove la giovane Minuto ha saputo, poi, essere personaggio di spicco restando se stessa, al di fuori delle mode, ma seguendo il proprio talento in cui l’attaccamento al paesaggio ligustico le ha permesso di giungere ad opere anche intimistiche. I quadri dell’artista, vigorosamente plastici, lasciano trasparire la sua vena autentica, concreta, ligure, scarna da orpelli, essenziale. In questo modo le sue opere offrono, a chi le osserva, immagini ricche di luce, di aria, di sensazioni capaci di suscitare emozioni ed evocazioni degli aspetti silenti della nostra cultura, della nostra terra: dai maestosi portali delle case nobili ai vecchi muri delle antiche abitazioni liguri, dalle chiglie delle navi alle lampare oggetto quotidiano di lavoro della gente di mare. Renata Minuto non cerca, però, stucchevolmente di far tornare il tempo perduto, anzi, dalla sua pittura si ricava la sensazione opposta: l’indagine sul lavoro, sull’accadimento è un dato positivo, attivo e vitale. In questo contesto vanno letti i suoi quadri ispirati al mare, al porto, opere che, comunque, travalicano il mero dato localistico per divenire “colori di Liguria”. La pittrice sente anche il legame sottile che esiste tra poesia e pittura ligure, così come è evidente il suo amore per la natia terra: “in questi angoli, in queste case, in questi muri, in queste porte e finestre e nei vicoli antichi c’è un amore sconfinato, uno strenuo attaccamento al natio loco, al cielo, al mare, alla poca terra, alle mutevoli luci, ai co- 45 emozioni lori ed all’atmosfera di una Liguria madre…” (L. Pennone). Con “la sua alchimia cromatica e materica …” (G. Di Genova) sublima l’oggetto, lo smaterializza dalla sua forma geometrica, per arrivare a cogliere la luce dei luoghi attentamente indagati. Così, le catene dalla superficie aspra, rugginosa, le ancore pesanti ed antiche non sono soltanto oggetti di questo variegato mondo del porto, ma ci accompagnano in un viaggio nuovo, alla ricerca del lavoro che si svolge nello scafo stesso: impegno millenario e faticoso, ma determinante per la nostra storia anche antropologica e sociale. Una pietra miliare del suo “percorso” d’artista è stata senz’altro l’importante mostra “Savona e i Della Rovere” (1985): una riflessione visiva dei legami tra i papi Della Rovere e Savona, un rinvenimento delle “tracce”, anche quelle meno consuete, della radicata presenza della rinascenza roveresca nel tessuto urbanistico e culturale del suo territorio (dalla casa natale di Giulio II alla Cappella Sistina savonese). Da allora l’interesse della Minuto per il patrimonio della tradizione, della storia, dei manufatti e delle conoscenze è stato un crescendo per arrivare nel 1992 alla creazione di un itinerario espositivo dedicato a Cristoforo Colombo, navigatore, uomo di scienza: ricordo i “libri” di bordo e quelli letti dall’Esploratore ideati con la ceramica, con le pagine logore dall’usura della 46 fatica e dello studio, ma ricche di suggestioni, di malìa. Un momento chiave dello sviluppo del suo lavoro artistico è stato l’impegno della progettazione e, poi, realizzazione della sua ceramica policroma in alto rilievo riproducente l’effige della Madonna della Misericordia che appare al Beato Botta, collocata dal 1995 nei Giardini Vaticani, opera pensata in Savona e realizzata presso la “Fabbrica Casa Museo Giuseppe Mazzotti 1903” di Albissola Marina. Savona ed Albissola Marina mi pare si possa affermare che sono, quindi, rappresentate ad altissimo livello in Vaticano, risaldando, poi, il legame della nostra Artista con Roma, grazie al suo rapporto culturale e di stima che ebbe con Mons. Raffaello Lavagna, nato a Savona, che le affidò l’incarico di realizzate tale monumentale pannello in ceramica policroma. Il 10 maggio 1995, alla presenza di Renata Minuto, del Sindaco di Savona Ing. Francesco Gervasio e delle Confraternite di Savona e di numerosissimi savonesi, papa Giovanni Paolo II diede la sua benedizione, collocando questo emozionante lavoro nei Giardini Vaticani e Renata Minuto divenne, così, l’unica artista donna presente in tale contesto. Nell’anno del Giubileo della Misericordia, tale fatto appare ancora una volta nella sua essenza più vera tra arte, fede, tradizione e messaggio di pace. La Minuto dalle pagine della storia vuole trarre linfa visioni per continuare la sua ricerca sugli uomini per rendere un omaggio sentito a Savona e porla, come merita, tra le città d’arte italiane: Savona diede i natali a papa Sisto IV ed a papa Giulio II, ebbe come prigioniero napoleonico papa Pio VII e nel suo tessuto urbano esistono memorie legate a tali avvenimenti con opere d’arte, anche, di indubbia rilevanza come la Cappella Sistina ed il coro intarsiato del Duomo di Savona, voluto dal cardinale Giuliano Della Rovere nel 1500, anch’esso fonte di ispirazione per la Minuto. Non si può dimenticare, inoltre, che nell’anno giubilare (2000) la Minuto, che non ama le imprese facili, come un vero “viaggiatore dello spirito” ha sondato l’istituzione del Giubileo attraverso l’intricata strada dell’araldica dei Papi che dal 1300 in poi lo hanno indetto. Prese vita, in tal modo, una nuova rassegna espositiva che nella suggestiva scenografia della Cappella Sistina di Savona (12 dicembre 2000 – 14 gennaio 2001) ci ha permesso di avvicinarci, attraverso una ideazione singolare, a uomini e paesi europei di diversa origine culturale: segnature, sigle, sigilli, matrici araldiche, il tutto risolto dalla felice “epica” artistica della pittrice. Personalmente ho avuto la fortuna di condividere almeno i momenti allestitivi relativi alle emozionanti mostre sopra citate e debbo dire che è sempre stata una scoperta, non solo dal lato dell’arte, osservare i lavori di Renata Minuto, così ricchi di rimandi, di sollecitazioni intellettuali, di momenti di riflessione, di moti di orgoglio nell’appartenere e sentire vivo il territorio. Dalla ceramica al vetro, dalla pittura più tradi- zionale alle tecniche miste, Renata Minuto ha sperimentato e continua a farlo con rinnovata forza, curiosità, capacità indubbia tecnica il suo legame con la città di Gabriello Chiabrera e di Leon Pancaldo, ma anche di Santa Maria Giuseppa Rossello, patrona dei figuli e dei ceramisti liguri, figura alla quale in un’intervista al giornale “Letimbro”, fece riferimento riguardo alla realizzazione della sua Madre di Misericordia per i Giardini Vaticani affermando: “Sì, possiamo quasi dire che quest’opera così savonese è nata per intercessione della Santa Rossello…”. Renata Minuto, Lo stemma dei Della Rovere, olio su tela, cm. 50x50 ca. (Quadreria del Gruppo Banca Carige, Savona). Pag. 46 in alto: Renata Minuto all’opera. In basso: 10 maggio 1995, papa Giovanni Paolo II benedisce il grande pannello ceramico di Renata Minuto con l’effige della Madonna di Misericordia di Savona, collocato nei Giardini Vaticani (AA.VV., Renata Minuto: N.S. di Misericordia in Vaticano, Savona, 2015). 47 emozioni L’Apocalisse, particolare della Croce Puri, Genova, Cimitero di Staglieno, 1948, cm. 47x39. 48 visioni edoardo alfieri, testimone eclettico della scultura del '900 La produzione artistica di Edoardo Alfieri è stata oggetto di numerosi e approfonditi studi da parte di esimi storici dell’arte genovesi e non. di maria daniela lunghi C on queste poche righe intendiamo riportare all’attenzione di tutti, anche dei “non specialisti”, uno degli esponenti più interessanti del panorama artistico italiano del XX secolo. “Il più magmatico e virulento degli scultori contemporanei”. La definizione è di Rossana Bossaglia, una grande storica dell’arte italiana1 che ha esaminato l’arte del XIX sec. in tutti i suoi aspetti definendo i confini del “Novecento”. Il riesame del periodo coincidente col trentennio fascista e la sua rivalutazione si deve soprattutto a lei, a Franco Sborgi, che ha dedicato alla scultura ligure moderna parte della sua Disperazione, bronzo, 1944, cm. 69x31x25. esistenza, a Sandra Solimano. A Maria Flora Giubilei si devono l’analisi completa, la ricostruzione della formazione e dei contatti culturali dello scultore. Edoardo Alfieri nasce a Foggia nel 1913 a Bardineto, Asti, da un ramo collaterale della famiglia del poeta Vittorio Alfieri. La prima formazione avviene a Genova, al Liceo Artistico Nicolò Barabino, come allievo di Guido Galletti2. Nel 1929 partecipa alla Mostra del Sindacato regionale fascista delle Belle Arti della Liguria e vince il premio Rotary. Nel ’30 aderisce al gruppo futurista ligure ‘Sintesi’. Nel ’32 si trasferisce a Milano. Era il maggiore di tre fratelli e al padre, un umile ferroviere, mani- 49 emozioni festò il desiderio di studiare scultura a Brera. Francesco Messina aiutò lo studente squattrinato portandolo ogni giorno a pranzo a casa sua. Negli anni precedenti al diploma, conseguito nel 1936, segue gli insegnamenti di Messina e di Francesco Wildt che organizza la Scuola del Marmo. Concorsi, premi e qualche sconfitta si susseguono: I° premio alla Mostra dei Littoriali di Roma nel ’35; nel ’40 con il bassorilievo ‘La famiglia’ vince alla XXII Biennale di Venezia… Il carattere difficile talvolta lo tradisce, alcuni progetti non vanno a termine. Allo scoppio della guerra è chiamato alle armi ma si unirà ai partigiani. Nel ’47 fa ritorno stabilmente a Genova. Insegna al Liceo Artistico N. Barabino, poi all’Accademia Ligustica e continua a scolpire incessantemente tra grandi consensi. Sua è la statua di Colombo offerta dal Comune di Genova alla città di Columbus, Ohio. Il gusto per la sperimentazione lo porta in campi disparati, sperimenta i più disparati materiali. Due progetti per foulard eseguiti nel 1953 per la MITA3 sono stati esposti nell’anno in corso alla mostra della manifattura al Palazzo Ducale di Genova4. Tra le cose da segnalare, troppe, perché l’entusiasmo che comunica questo artista è contagioso, ricordiamo che Eugenio Battisti aveva acquistato una sua opera: la scultura in bronzo ‘Senza titolo’ del 1966, figura nella collezione Battisti donata, in seguito, al Museo d’Arte Moderna di Torino5. Il modello per la fusione era in polistirolo su anima di fil di ferro, lavorato con la fiamma ossidrica. Edoardo Alfieri muore il 23 marzo 1998 a Sanremo. Le sue creazioni sono conservate a Genova, presso la Galleria d’Arte Moderna, al Museo di 50 Villa Croce, al Gabinetto di Disegni e Stampe di Palazzo Rosso, al Museo dell’Accademia Ligustica. Nel corso della vita aveva formato un “archivio” costituito da una ricca gipsoteca formata da pezzi di varie epoche e culture: dall’antico Egitto sino a Donatello e Canova, passando per le formelle bronzee del portale di San Zeno di Verona6. La raccolta, donata al Liceo N. Barabino, testimonia la varietà di interessi, l’onnivora, quasi ossessiva, ricerca di riferimenti di un artista che vuole dare solide fondamenta al proprio linguaggio. Numerose opere di Alfieri palesano l’influsso di Henri Moore, conosciuto in occasione della grande retrospettiva tenutasi a Firenze nel 19727. Dell’artista inglese apprezza, oltre il linguaggio innovativo, il dialogo che le sculture intrattengono con la natura. I capolavori di Picasso lasciano un segno, “Guernica” soprattutto col il suo dramma concitato e i cavalli che scalpitano impazziti. I cavalli sono infatti uno dei temi ricorrenti dell’arte del XX sec., eseguiti in ogni tecnica, dal disegno alla scultura, dalla pittura all’arazzo. Maestosi, docili, impennati e nitrenti, pronipoti dei magnifici esemplari dell’antichità classica. Alfieri li raffigura spesso e con vari mezzi, compresa la ceramica. Anche Arturo Martini, riconosciuto come il maggiore scultore del Novecento, amava questo soggetto. Proprio con Martini Alfieri ha un rapporto problematico: ne è dapprima affascinato, in seguito se ne allontanerà per trovare una sua strada che l’ombra del gigante sembra sbarrargli. L’influsso di Martini è imprescindibile per l’arte del Novecento e si coglie chiaramente nelle opere figurative del nostro. Le fonti iconografiche, la padronanza della tecnica, il pathos che comunicano sono in ogni modo simili. visioni Una profonda spiritualità è espressa in ogni opera di soggetto sacro culminante nella serie di arredi eseguiti per la chiesa di Avilla di Buia, presso Udine, tra il 1958 e il 1997. Fra le sculture destinate a cappelle funerarie, oltre alle note tombe del Cimitero di Staglieno, ricordiamo i quattro bassorilievi bronzei raffiguranti le stazioni della Via Crucis che ornano i lati della facciata della cappella De Gregori nel cimitero di Camogli del 19388. L’edificio, un parallelepipedo in marmo bianco di Carrara aperto verso il cielo, fu progettato da Luigi Falconi, le formelle delle vetrate sono opera del pittore futurista Elio Randazzo. Il percorso di Alfieri che partecipa alle avanguardie del XX secolo, astrattismo compreso, senza mai rinnegare l’eredità classica, il suo darsi generosamente, lo rendono degno di essere annoverato fra i grandi che hanno dato lustro al nostro Paese. Le sue eredi spirituali sono le gemelle Silvana e Stefania Maisano. Entrambe scultrici e allieve di Alfieri conservano devotamente un archivio del loro maestro e ad esse devo notizie e avvenimenti qui riportati. Tra i documenti mostratimi una lettera datata ‘Firenze 6 maggio 1934 XII’, firmata da Maurizio Tempestini. L’architetto, membro del Comitato Littoriali Arte e Cultura9, chiede una replica di un suo bassorilievo per esporlo negli Stati Uniti. Una seconda lettera, Milano 24 giugno 1936 XIV, Francesco Messina, in veste di direttore della Reale Accademia di Brera gli comunica l’assegnazione del corso di scultura e un premio di 1000 Lire in considerazione degli alti meriti dimostrati. Un buffo aneddoto è riportato da una pagina del Corriere del Popolo, 19 marzo 1948. Per i bozzetti preparatori per la Croce con l’Apocalisse di San Giovanni, destinata al monumento Puri di Staglieno, lo scultore doveva disegnare dei cavalli. Occorrevano con urgenza dei modelli: trovarli e portali nello studio di via Monticelli non era facile. L’artista convocò due militi dei Carabinieri che arrivarono sui loro destrieri, entrarono nello studio – lo sconquasso conseguente è motivo di risate per il giornalista – e gli permisero di eseguire il lavoro. L’anno dopo lo stesso giornale pubblica un articolo di Alfieri: “Ricordo di Gemito padrone del Vesuvio”. In esso Alfieri parla, con commossa devozione, di Vincenzo Gemito che aveva conosciuto nel corso degli anni Venti10, in uno dei suoi soggiorni a Napoli. Al Museo Nazionale di questa città ebbe modo di copiare le sculture greche che vi sono conservate. Ringraziamenti A Silvana e Stefania Maisano per il prezioso contributo augurando loro di poter proseguire con il massimo successo l’attività artistica. Bibliografia essenziale F. Sborgi, La scultura a Genova e in Liguria, Vol. III, Il Novecento, Genova 1989. Edoardo Alfieri, L’opera: 1929-1997, cat. mostra a cura di F. Sborgi, Milano 1998. Edoardo Alfieri 1913-1998, Scultore del Novecento, una donazione per Genova, cat. mostra a cura di M. Fochessati e M.F. Giubilei, Firenze 2008. Note 1. Rossana Bossaglia (Belluno 1925 - Varzi 2013). 2. Guido Galletti (Londra 1893 - Genova 1977). 3. MITA, Manifattura Italiana Tappeti Artistici. 4. M. Fochessati, G. Franzone, La trama dell’arte, arte e design nella produzione della MITA, cat. mostra, Genova Palazzo Ducale, 25 marzo-19 giugno 2016, ill. n.72, p.69 e 71. 5. Il Museo sperimentale di Torino, Arte italiana degli anni Sessanta nelle Collezioni della Galleria Civica d’arte moderna, cat. mostra, Milano 1985, p.379. 6. Citazione, quasi un omaggio, alle formelle di S. Zeno sono evidenti nei due bozzetti per le porte del Duomo di Siena. 7. Henry Moore, cat. mostra, Firenze Forte del Belvedere, 1972 8. ’La Madonna del Boschetto’, bollettino dell’omonimo Santuario di Camogli, n.11-12, 1939. Copia della lettera di richiesta per la costruzione del monumento della famiglia De Gregori al Podestà di Camogli, mi è stata gentilmente fornita dall’ Avv. G.B. Figari. Notizie e foto del monumento in M. Fochessati, Edoardo Alfieri 1913-1998 scultore del Novecento, cat. mostra, a cura di M. Fochessati e M.F. Giubilei, Firenze 2008, p. 48-49. 9. Maurizio Tempestini, architetto e designer (Firenze, 19081960). I Littoriali erano Manifestazioni Culturali artistiche e sportive destinate ai giovani universitari svoltesi in Italia tra il 1932 e il 1940. Prevedevano convegni e concorsi sulle varie arti tra cui la scultura. 10. F. Sborgi, Edoardo Alfieri, l’opera 1929-1997, cat. mostra, Genova, Villa Croce, Milano 1998, p. 23 e nota 3. Pag. 50: Fede Carità, bronzi, 1954, h. cm. 99x25x22. Il Risparmio produttivo, bronzo, 1959, bozzetto per Banca di Novara, Genova, cm. 68x36,5. Architrave, bozzetto, bronzo, 1960, cm. 20x17,5. A fianco: la Croce Puri, marmo, Genova, Staglieno. 51 Echi gruppo carige L E MONETE RACCONTANO: STORIE E TESTIMONIANZE DALLA COLLEZIONE DI BANCA CARIGE UN APPUNTAMENTO STRAORDINARIO PER “INVITO A PALAZZO” 2016 www.gruppocarige.it in mostra anche una parte della più recente acquisizione, ovvero le bilance pesamonete e i pesi monetali, che costituiscono un interessante complemento per far comprendere la realtà economica del passato. Ovviamente il cuore della mostra è stato costituito dall’esposizione di un’antologia della produzione monetale della zecca di Genova, dalle origini fino al 1814. I fili rossi da poter seguire nella fruizione della mostra, indicati dagli stessi materiali esposti e dai pannelli di sala, sono stati molteplici: dall’iconografia scelta nel tempo per la monetazione della Repubblica di Genova, alla variazione di prezzi e salari e alla figura del mercante-banchiere genovese, fino all’imprescindibile legame della produzione monetale di Genova il Mediterraneo medievale, comprese le emissioni delle “colonie” d’Oltremare. E ancora le testimonianze del vivace mondo nobiliare ligure in età moderna, quando nella regione sono fiorite molte zecche in testa ai feudi locali ed alcune di esse hanno prodotto anche dei “falsi di stato”. Non sono mancate poi le informazioni sulla storia questa importante collezione patrimonio di Banca Carige e sul modo di affrontare la lettura di una moneta. Impreziosita dalla vista unica della città che è possibile godere attraverso le ampie vetrate della sala e dalle spiegazioni di guide esperte e appositamente istruite, la mostra è stata ben accolta ed ha avuto un buon successo di pubblico, a dimostrazione che le monete raccontano sempre qualcosa di interessante: basta saperle ascoltare. La XV edizione di “Invito a Palazzo” è stata arricchita da una mostra dedicata alla raccolta numismatica di Banca Carige, allestita all’ultimo piano della sede centrale di Genova. L’esposizione ha avuto lo scopo di far scoprire - o far riscoprire - la rilevanza storica e la capacità narrativa, oltre che il pregio artistico di questi splendidi materiali. Si è cercato così di porre in risalto le mille storie che questi manufatti metallici, spesso anche di piccole dimensioni, potevano e possono ancora raccontare, come anticipato dallo stesso titolo. Spesso, infatti, parlando di moneta, il pensiero corre al suo valore economico, ma bisogna ricordare che in passato essa era anche un potente mezzo per veicolare idee: un mass medium per eccellenza, perché realizzata in materiale durevole e per sua natura destinata alla circolazione. Non solo: essa poteva avere anche un valore simbolico, talvolta legato ad aspetti religiosi o rituali, oltre che politici. Nella mostra si è cercato dunque di far parlare le monete di questi temi, optando per un allestimento semplice e al contempo efficace per indirizzare le informazioni, tanto per gli appassionati e gli Monica Baldassarri studiosi del genere quanto per “non addetti ai lavori”. Daniele Ricci Per tali motivi si è scelto di esporre solo una parte della ricca collezione (circa 1/4), cercando di costruire un percorso che aiutasse il pubblico più ampio possibile a capire meglio l’oggetto-moneta. Sono stati inoltre selezionati i pezzi caratterizzati da particolarità significative dal punto di vista storico o storico-artistico e altri di una certa rarità, in modo da poter offrire a tutti la possibilità di poterli ammirare ancora una volta. Infine si è colto Pag. 53: Genovino in oro fine XIII secolo, Collezione Banca Carige. l’occasione per mettere Stradivari in Banca Cesare Ponti. 52 da 5 Doppie del 1647 venduto nella stessa asta al doppio della stima, 43.920 euro. I collezionisti sono interessati a vendere? “No, è un mercato per appassionati che preferiscono comprare”. Il panorama internazionale dei compratori alle aste numismatiche è cambiato. Se prima i protagonisti erano europei, inglesi, tedeschi, francesi e italiani negli ultimi anni si sono aggiunti con forza gli americani, i cinesi, i giapponesi e gli indiani player che hanno messo in campo anche fondi di investimento, che non disdegnano di avere in portafoglio qualche esemplare numismatico top su cui speculare. Cosa interessa maggiormente? “Le monete antiche romane e greche. Rappresentano la storia dell’umanità: le civiltà orientali sono molto affascinate da questi oggetti”. Roberta Olcese M ONETE ALLA CASA D’ASTE BOLAFFI DI TORINO L’ultima frontiera per gli investitori? Il mercato delle monete. Quando sono antiche e in ottimo stato di conservazione possono raggiungere qualsiasi risultato. Un record recente che ha fatto palpitare i collezionisti è stato battuto lo scorso giugno a Torino dalla Casa d’aste Bolaffi. Quando un esemplare da 12 Doppie e 1/2 del 1641 della zecca di Genova è stato aggiudicato per una cifra potremmo dire “fuori mercato”, ben 122mila euro da una stima di 70mila. Le Dodici Doppie e 1/2 d’oro sono un tipo di moneta considerata “d’ostentazione”: venivano coniate non per circolare sul mercato ma per essere donate alle personalità in visita a Genova nel Cinquecento e nel Seicento. Le monete di rappresentanza hanno un diametro superiore alle altre, in questo caso ben 5 cm. La moneta genovese è stata oggetto di un’aspra contesa in sala e alla fine se l’è aggiudicata un collezionista straniero. Nessun problema per ottenere l’export “perché nei musei italiani sono presenti altri esemplari”. Spiega Gabriele Tonello esperto di monete per Bolaffi. E in asta, se ne vedono? “L’ultima vendita di un esemplare come questo risale agli anni ’80, troppo lontano per fare un confronto di prezzo”. In realtà non esiste un fuori mercato, perché i risultati li fanno proprio i compratori. “Pensavamo che le monete genovesi fossero in declino, invece c’è molto interesse, abbiamo avuto in ben due casi recenti dei risultati sorprendenti, sia per la dispersione di una collezione che poi per una selezione di pezzi” continua e cita subito un altro top lot proveniente dalla zecca di Genova, l’esemplare V IOLINO IN BANCA CESARE PONTI La sede milanese in Piazza Duomo di Banca Cesare Ponti si è trasformata la sera del 15 dicembre in una raffinata sala da concerto. Il Maestro Francesco De Angelis, primo violino di Spalla del Teatro alla Scala, accompagnato dalla violoncellista Livia Rotondi hanno eseguito un’applauditissima selezione di brani tratta dall’Huit Morceaux di Reinhold Glière. Il noto violinista ha suonato per l’occasione lo Stradivari “Lam - ex Scotland University” 1734 della collezione Eva e Arthur Lerner-Lam esposto al Museo del Violino di Cremona. L’iniziativa nasce da una collaborazione tra Banca Cesare Ponti col Museo del Violino, volta ad offrire una vetrina come la sede milanese di Piazza Duomo a quelle realtà che testimoniano l’eccellenza e la creatività del made in Italy. Al termine del concerto, nel corso del brindisi natalizio, il presidente Cesare Ponti e il Direttore Generale Daniele Piccolo con la dirigenza di Banca Ponti hanno salutato il numeroso pubblico presente. 53 Echi gruppo carige I L VICEPRESIDENTE E L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI BANCA CARIGE PARTECIPANO ALL’OSSERVATORIO PROVINCIALE PER IL CREDITO E L’ECONOMIA DI SAVONA Lo scorso 9 novembre il Vicepresidente di Banca Carige, Vittorio Malacalza, e l’Amministratore Delegato, Guido Bastianini, hanno partecipato a Savona, presso la sede dell’Area Territoriale Ponente di Banca Carige, ai lavori dell’Osservatorio Provinciale per il Credito e l’Economia. Presieduto dal Dottor Luciano Pasquale, l’Osservatorio è composto da personalità rappresentative del sistema economico della provincia di Savona, in tutto 18 realtà tra Associazioni professionali e di Categoria, portatrici di interessi collettivi. L’Osservatorio monitora costantemente l’andamento e le istanze del tessuto economico savonese e rappresenta il punto di riferimento per l’attività del Gruppo Banca Carige su un territorio che lo vede come primo partner di imprese (33% degli impieghi bancari) e privati (20% degli impieghi totali erogati dal sistema bancario in provincia). Nel corso della riunione è stata approfondita e dibattuta l’analisi della congiuntura economica locale illustrata dal Direttore di Area, Alessio Berta. Lo studio ha confermato come poli trainanti per il territorio il turismo e la logistica, ambiti a cui l’istituto di credito sta guardando con un interesse particolare. Nel dibattitto sono intervenute diverse Associazioni di categoria – dagli Agenti Immobiliari, agli Albergatori, agli Artigiani, agli Agricoltori – tutti rappresentando istanze ed esigenze di un tessuto economico fatto da piccole www.gruppocarige.it e medie imprese. Proprio a queste si è rivolto l’Ad Bastianini ricordando come Carige abbia nelle PMI il proprio interlocutore ideale ed abbia la volontà di orientarsi sempre più al servizio e a sostegno di questo settore. Un segmento che anche il Vicepresidente Malacalza ha dichiarato fondamentale per il territorio. “Carige crede nel territorio e nelle sue potenzialità – ha detto Vittorio Malacalza – e, nel caso specifico della Liguria, crediamo anche che piccolo sia pure bello. Perché noi liguri siamo sì piccoli ma anche attivi, creativi, innovativi. Se riusciremo a far dialogare un modo intelligente e innovativo di fare banca con uno stile altrettanto innovativo e intelligente da parte delle nostre imprese, sono sicuro che la Liguria possa avere un futuro importante”. A CCORDO DI COLLABORAZIONE TRA L’UNINDUSTRIA SAVONA E BANCA CARIGE Banca Carige e l’Unione degli Industriali della Provincia di Savona hanno siglato il 26 dicembre un accordo di collaborazione volto a promuovere ed agevolare l’accesso al credito del sistema produttivo savonese, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Consulenza finanziaria personalizzata ed una nuova relazione tra banca e impresa sono i due cardini dell’intesa sottoscritta dal Presidente dell’Unione Industriali, Elio Guglielmelli, e dal direttore dell’Area Ponente di Carige, Alessio Berta. “L’accordo con l’Unione Industriali della Provincia apre la strada ad un nuovo modo di fare banca – ha commentato Alessio Berta – La nostra attenzione va in particolare alle tante piccole imprese che, pur esprimendo delle eccellenze sotto il profilo produttivo e del know how, spesso a causa delle proprie dimensioni non sono dotate di una direzione finanziaria interna. Carige da oggi mette a loro disposizione un consulente dedicato, un professionista del settore creditizio che dall’esterno accompagnerà le aziende, rendendosi disponibile a supportarle con con9 novembra 2016: incontro dell’”Osservatorio Provinciale per il Credito e l’Economia di Savona”. cretezza ed efficacia”. 54 dallo scorso agosto ha più volte colpito le popolazioni del Centro Italia. Alla vigilia di Natale il Presidente di Banca Carige, Giuseppe Tesauro, e l’Amministratore Delegato, Guido Bastianini, hanno consegnato la cifra nelle mani del Direttore della Fondazione Auxilium-Caritas di Genova, Luigi Borgiani, alla presenza del Cardinale Arcivescovo Angelo Incontro tra i vertici Carige, le Associazioni di Categoria e le Istituzioni di Carrara. Bagnasco. Alle prime drammatiche notizie ARRARA: MALACALZA dell’evento sismico, il Gruppo Banca Carige si è imE BASTIANINI INCONTRANO mediatamente attivato per agevolare la raccolta fondi GLI ENTI LOCALI E tra i propri clienti aprendo un conto dedicato, esente LE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA da commissioni e spese, con un’iniziativa pubblicizzata da una campagna informativa sul sito internet e presso Si è svolto il 14 dicembre a Carrara, presso la sede tutte le filiali del Gruppo. La risposta della clientela è dell’Area Levante, un partecipato incontro tra il Vicepresi- stata generosa e non si è limitata, come talvolta avviedente di Banca Carige Vittorio Malacalza, l’Amministra- ne, all’onda emotiva dei giorni successivi al disastro. La tore Delegato Guido Bastianini e il mondo delle imprese, raccolta presso gli sportelli Carige è infatti costantemengli Enti locali, le Associazioni di categoria e gli Ordini te cresciuta nel corso delle settimane, fino a toccare in professionali. Le realtà rappresentative del tessuto eco- questi ultimi giorni i 100mila euro. La Banca ha deciso nomico e istituzionale locale hanno espresso ai vertici di integrare la cifra raccolta con una propria donaziodella Banca le proprie istanze e le attese nei confronti di ne, portando a 150mila euro la somma donata alla Banca Carige, erede naturale della Cassa di Risparmio Caritas di Genova impegnata nel sostegno alle popodi Carrara, e considerata quindi la banca di riferimento lazioni delle zone sismiche. “La Caritas è attiva fin dalle del territorio. Un privilegio ma anche una responsabilità, prime settimane dopo il sisma nell’opera di ricostruziocome è emerso dal confronto con le categorie produttive, ne del tessuto sociale che è stato travolto insieme ai che implica per Carige un forte impegno nell’area carra- centri abitati, alle attività economiche e alle infrastrutture rese. Il legame con la provincia toscana più prossima alla – spiega Luigi Borgiani, direttore della Fondazione AuLiguria, come sottolineato da Malacalza e Bastianini, è xilium-Caritas di Genova –, il nostro impegno è rivolto peraltro testimoniato dalla presenza di una rete operati- soprattutto all’assistenza alle famiglie che non hanno più va capillare che comporta una conoscenza diretta della un tetto e a creare luoghi di aggregazione e punti di realtà e delle esigenze locali. Una relazione che Banca riferimento per chi ha perso davvero tutto. È un lavoro Carige intende intensificare nei prossimi mesi col rilancio che andrà portato avanti ricostruendo i siti distrutti ma commerciale a cui il gruppo sta lavorando. soprattutto la speranza e la fiducia nel futuro di tante persone”. “La bella risposta che i nostri clienti hanno ENTOCINQUANTAMILA EURO dato in questa occasione – commenta il Presidente di PER LE VITTIME DEL TERREMOTO Banca Carige Giuseppe Tesauro – dimostra quanto sia ancora forte e vivo il senso di solidarietà nella società Banca Carige insieme ai propri clienti ha donato per italiana e come una banca radicata come Carige sia Natale alla Caritas diocesana di Genova la somma di una risorsa che dà forza e valore a quanto di meglio 150mila euro, destinata alle vittime del terremoto che esprime il nostro territorio”. C C 55 notizie in pillole di guido conforti G ASA, DOLCE CASA Le periodiche indagini svolte da Eurostat circa l’inclusione sociale delle giovani generazioni mostra un ampio divario tra i Paesi europei sui tempi di permanenza presso la famiglia di origine. In particolare, nella fascia di età che naturalmente si pone al termine degli studi universitari (25-29 anni), rispetto a una media nella UE a 28 Stati del 39,9% di giovani che ancora vivono insieme ai genitori, si passa dal 68,6% della Slovacchia, il 67.7% della Croazia e il 65,1% dell’Italia al 4,1% della Danimarca, il 5,4% della Finlandia, il 5,7% della Svezia. In questa statistica il permanere della residenza nella casa familiare è del 58% in Spagna, del 30% in Germania, del 22,7% in Gran Bretagna, del 17% in Francia. S ODDISFATTI A LIVELLI PRE-CRISI Secondo le rilevazioni dell’Istat, il grado di soddisfazione delle famiglie italiane circa le proprie condizioni di vita è tornato ai livelli del 2011, precedente la crisi dei debiti sovrani. Il giudizio degli italiani è particolarmente favorevole per quanto riguarda il sistema di relazioni familiari o amicali, per il proprio stato di salute e per la gestione del tempo libero, ma gli indici di gradimento sono tornati a salire anche per ciò che riguarda il lavoro e le proprie condizioni economiche. La soddisfazione decresce con l’aumento dell’età, con le eccezioni dei “giovani adulti” (35-44 anni) e “giovani anziani” (65-74 anni) che si dichiarano più a proprio agio delle fasce di età immediatamente precedenti. Diminuisce la percezione del rischio da criminalità presente nella zona in cui si abita. Le emergenze percepite sono altre: sporcizia, inquinamento, inadeguatezza del trasporto pubblico. 56 S HARING ECONOMY Durante la IV edizione di Shareitaly è stato diffuso un censimento delle piattaforme operanti in Italia dedicate alla condivisione di beni e servizi, che nel 2016 sono arrivate a quota 138, in particolare dedicati al settore dei trasporti (18%), dei servizi alla persona (16.6%), del turismo (12%), della cultura (9%) e dei servizi alle imprese (8,7%). Nel campo affine del crowdfunding le piattaforme attive in Italia sono salite a 68. U N ANDROIDE PER GEMELLO Il 24 novembre Hiroshi Ishiguro dell’Università di Osaka ha presentato all’auditorium del Macro (il museo di arte contemporanea di Roma) Geminoid, un androide costruito con i suoi stessi tratti somatici. A differenza della sua copia umana, l’androide non invecchia e così la copia presentata a Roma è in realtà la quarta versione di Geminoid, a partire dal 2004. C RISI E INNOVAZIONE La crisi economica incide sugli investimenti delle imprese in processi di innovazione. In base alla periodica rilevazione dell’Istat nell’ambito della Community Innovation Survey, risulta che nel biennio 20122014 la percentuale di imprese con almeno 10 addetti che ha svolto attività finalizzata all’introduzione di innovazioni è scesa dal 50.1% al 44,6%. Il fenomeno riguarda essenzialmente le piccole imprese (-8%) rispetto alle medie e soprattutto le grandi, per le quali gli investimenti in innovazione costituiscono una componente strutturale del proprio modello organizzativo. In termini quantitativi, il complesso degli investimenti in innovazione di prodotto e/o di processo nel periodo è stimata in 23,2 miliardi di euro nel 2012 (-4,3% rispetto al 2012). M ISERICORDIA ET MISERA Nella lettera apostolica pubblicata al termine del Giubileo, Papa Francesco ha disposto affinché divenga permanente la facoltà per i sacerdoti di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto, poiché “non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre”. L AVORARE PER L’ARTE ArtReview ha stilato la classifica delle cento persone più influenti nel mondo dell’arte. Al primo posto Sheika Al-Mayassa, presidente del QMA (Qatar Museum Authority) che ha in dotazione un budget annuale di circa 1 miliardo di dollari, con l’obiettivo di trasformare il Qatar in un polo artistico di primo livello nel contesto internazionale. In graduatoria seguono galleristi e direttori di musei. P RIMO 2000 IN CAMPO Moise Kean, nato a Vercelli da genitori ivoriani, è il primo calciatore nato nel 2000 a debuttare in serie A, durante la partita Juventus-Pescara del 20 novembre 2016. (1) Performance Benchmark: +6,61% Performance Benchmark: +5,38% (2) Dalla parte delle persone da sempre Messaggio pubblicitario con finalità promozionale.