Orizzonti - Gruppo Carige

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Orizzonti - Gruppo Carige
LA CASANA
Periodico quadrimestrale
della Banca Carige S.p.A. Genova - Italia
n. 3 - 2016 - anno LVIII
Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA
Spedizione in abbonamento postale - 70%
DCB Genova - Tassa pagata / Taxe perçue
LA CASANA
N 3 - 2016
Direttore responsabile
Alfredo Majo
Redazione e segreteria
Francesca Lilla
Progetto grafico
Meloria Comunicazione - Genova - Milano
impaginazione
Studio Huen di Robert Emil Huen - Milano
Realizzazione e stampa
Elcograf Spa - via Mondadori 15 - Verona
Referenze fotografiche
(I numeri fra parentesi indicano le pagine)
Albenga
Cascina Feipu dei Massaretti
di Parodi Agostino e C. (40)
Bastia d’Albenga
Azienda Agricola Biologica Vio Giobatta (40)
Diano Arentino
Azienda Agricola Maria Donata Bianchi
di Trevia Marta (40,43)
Firenze
Museo Nazionale del Bargello (18)
Genova
Archivio fotografico Alfieri Maisano
(48,49,50,51)
Archivio fotografico Banca Carige spa
(28,30,31,44,47,53)
Archivio fotografico Gian Antonio Dall’Aglio
(36,38)
Archivio fotografico Linda Kaiser
(10,12,13,14,15)
Collezione privata (16,19)
Foto Studio Leoni (52)
Oscar Flacco (24,27)
Milano
Archivio Fotografico Giglio Group
(6,8,9)
Dondena Matilde
(3,4,5)
San Colombano Certenoli
Archivio fotografico Fabio Benvenuto (38)
Santa Margherita Ligure
Archivio Fotografico Comune Santa Margherita
(20,21,22,23)
San Paolo del Brasile
Archivio Fotografico Fondazione G. Ratto
(32,34,35)
Le opinioni espresse negli articoli appartengono
ai singoli autori dei quali si intende rispettare
la piena libertà di giudizio. La collaborazione
alla rivista avviene solo per invito.
In copertina: Genova - Palazzo Rosso
visto dal giardino di Palazzo Tursi
Photo: Foto Studio Leoni
La riproduzione totale o parziale degli articoli
non è vietata, purché siano citati la fonte e gli autori.
Per comunicazioni relative al cambio d’indirizzo si prega di scrivere una e-mail a:
[email protected]
Autorizzazione n. 439 del 30-10-1958
del Tribunale di Genova
International Standard Serial Number
iT ISSN 0008-719X
Associato all’USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
Di questo numero sono state tirate 30.000 copie
Finito di stampare nel mese di gennaio 2017
Banca Carige Spa -16123 Genova
Via Cassa di Risparmio 15 - tel. 010 5793380
www.carige.it
[email protected]
sommario
24 28
10
idee
2
36
Action Learning: quando il teatro
entra in azienda
di Matilde Dondena
persone
6
Il giro del mondo con la televisione di
Alessandro Giglio
di Eliana Quattrini
orizzonti
storie
10
16
20
Il Museo dell’Arte Vetraria Altarese,
collezione unica in un contesto Liberty
di Linda Kaiser
Due miniature trecentesche per Genova
di Mario Marcenaro
Relitto e anfore romane
di Giovanna Benetti
cartoline
24
Il sogno e la fatica di una Liguria eroica
di Oscar Flacco
48
palcoscenici
28
32
“Lego il mio violino alla città di Genova
onde sia perpetuamente conservato”
di Chiara Carenini
Gianni Ratto, scenografo “magico”
di Pietro Boragina
emozioni
sapori
36
40
Croccante come una nocciola
di Gian Antonio Dall’Aglio
Il Mediterraneo in un vino
di Danilo Poggio
visioni
44
48
Renata Minuto canta la “Liguria Madre“
tra Savona e Roma
di Silvia Bottaro
Edoardo Alfieri, testimone eclettico
della scultura del ‘900
di Maria Daniela Lunghi
52 echi carige
56 notizie in pillole
a cura di Guido Conforti
1
action learning:
quando il teatro
entra in azienda
In un mondo lavorativo in continuo
cambiamento il capitale umano
è di fondamentale importanza perché
è proprio dalle persone che rinasce
un’organizzazione. Si sente sempre
più spesso parlare di worklife balance
e di benessere sul lavoro.
Cosa significa stare bene sul lavoro?
di matilde dondena
S
i è felici se riusciamo a costruire
relazioni sane in ogni ambito della
nostra vita e quindi è prioritario nel
proprio ambiente riuscire ad avere
una buona, se non ottima, qualità nei rapporti umani e instaurare relazioni basate sulla fiducia, sul dialogo, sulla condivisione. Come
poter migliorare in modo effettivo l’equilibrio
tra vita personale e professionale e vivere
relazioni lavorative in modo più costruttivo e
consapevole? Sicuramente all’interno dei progetti di worklife balance in azienda una parte
importante è occupata dalla formazione. Lo
sviluppo delle risorse umane è difatti importante per migliorare e far crescere l’azienda.
Ma quale tipo di formazione? Oltre alla for-
2
mazione hard, tecnica, che sicuramente è utile
fare in un periodo in cui tutto viaggia e cambia con rapidità, è da considerare importante
la formazione delle cosiddette soft skills (life
skills), competenze trasversali ad ogni campo
e figura professionale perché legate alla sfera comportamentale. Queste abilità mirano a
generare e rigenerare risorse e potenzialità
della persona aiutandola a vivere al meglio
l’imprevedibilità e il cambiamento nella vita e
nel lavoro.
Le soft skills caratterizzano profondamente l’individuo poiché vanno a delineare la personalità e le modalità di relazione all’interno del
contesto sociale. Sono un bagaglio che tutti
abbiamo e aumentare la propria consapevo-
idee
lezza è utile a migliorare i rapporti. Spesso,
come scritto poco fa, si tende a dimenticare
quanto una buona relazione con gli altri (e
con noi stessi) possa aiutarci a vivere meglio
la vita a livello personale e collettivo oltre che
a migliorare i rapporti a livello lavorativo.
Prendersi del tempo per studiarle e analizzarle, in modo da capire quali sono i propri punti di forza-debolezza, è utile per la propria
crescita, infatti, le soft skills arricchiscono e
ampliano le hard skills e questi due mondi,
seppur apparentemente lontani, non possono
essere scissi.
Da un’importante indagine è emerso che le
aziende in questo ultimo anno cercano nei
propri colleghi un’elevata capacità di problem
solving, orientamento agli obiettivi oltre che
di collaborazione e gestione dei team. Baby
boomers, generazione X e millennial devono
riuscire quindi ad aumentare le loro abilità di
negoziazione, decision making, creatività e
sviluppare Emotional Intelligence. Obiettivo
delle aziende è cercare di valorizzare nel
miglior modo possibile le persone, i gruppi
e le organizzazioni e per fare questo è utile
allenare, oggi più che mai, le loro competenze relazionali, emotive, cognitive e gestionali:
trasverali, appunto, ad ogni settore.
Una metodologia esperienziale che aiuta a
sviluppare ed esercitare le soft skills è l’action
learning (apprendimento d’azione) con tecniche, training e giochi teatrali. Infatti, il teatro,
con i suoi spazi e i suoi tempi, è un “ambiente” che ben si presta per lo sviluppo delle competenze trasversali della persona e delle sue
emozioni. Una palestra dove si creano relazioni e che coinvolge i partecipanti nella loro
interezza. Una palestra in cui ad ogni azione
c’è una re-azione e ciò crea la rel-azione. Nel
teatro si è in azione e si agisce. Sempre.
La metodologia teatrale, con le sue tecniche
attive, permette ai partecipanti di mettersi in
gioco proprio perché si lavora in un contesto
Matilde Dondena durante un reading su Pasolini
“Pasolini revisited” presso la biblioteca Braidense
di Milano, con Nestor Saied e Daniele Giulietti.
3
Alcuni partecipanti impegnati in un’esercitazione di sviluppo della creatività.
protetto e senza giudizio. Molte persone vivono il momento di formazione come un giudizio
continuo e il teatro, con i suoi spazi e i suoi
tempi, costituisce un ambito diverso, protetto,
ironico ed autoironico, del “qui ed ora”, è il
gioco del “facciamo che” e ciò aiuta a vivere
l’esperienza formativa in modo più morbido,
soft, appunto. Tuttavia non c’è niente di più
serio che mettersi in gioco ed essere sé stessi,
infatti, le tecniche attive del teatro, attraverso
improvvisazioni e training, permettono al singolo e al gruppo di sperimentare nuovi ruoli
e comportamenti. Attraverso questa metodologia si riesce a creare un livello di coinvolgimento che supera la sfera cognitiva ed attiva
la sfera emotiva dei partecipanti. In ogni sessione di training si inizia sempre dalla comu-
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nicazione non verbale: mettere in movimento
il corpo per dare energia alla mente. L’attività
teatrale ha in sé un’area di sperimentazione
creativa delle potenzialità umane in termini di
fiducia, di sicurezza in sé stessi, autostima,
scoperta empatica e concentrazione. Ciò offre la costruzione di un sano equilibrio emotivo
e relazionale, di un sistema di valori fondato
su rispetto, cooperazione e tolleranza.
Come si può applicare l’action learning teatrale al mondo del lavoro ed ai diversi profili
professionali che lo popolano?
Si parte da principi validi per ogni individuo
e da lì ci si può dirigere con percorsi mirati
all’allenamento delle diverse soft skills: dallo
sviluppo della leadership a quello della comunicazione, al public speaking, per arrivare al
idee
team bulding, team working, gestione dei conflitti, comunicazione telefonica, self branding,
story branding, vendita.
La formazione contempla esercizi di training
attoriale, simulazioni e role play concordati e
costruiti in base alle specifiche esigenze che
l’azienda possiede. I corsi sono svolti in un contesto laboratoriale: uno spazio “vuoto”, circondato da sedie, in cui i partecipanti sono liberi
di muoversi. Prima di andare in aula vi è un
delicato lavoro di progettazione che nasce insieme all’azienda. È importante saper ascoltare
le specifiche esigenze che ogni singola realtà.
Nessun corso sarà mai uguale ad un altro proprio perché ogni azienda è unica ed è formata
da persone uniche. Inoltre, è importante sottolineare che al termine degli esercizi esperienziali viene fatta un’attenta riconduzione, un debriefing, al particolare settore lavorativo e alla
particolare competenza sviluppata attraverso
il training, per dare alla metodologia teatrale
un valore concreto e tangibile. Così si può apprendere come dare feedback in modo efficace, come gestire un conflitto in modo costruttivo,
come negoziare, come essere un leader capace di creare potere nei propri collaboratori,
come aumentare la proattività e l’empowerment
personale, comunicare e parlare in pubblico
in modo efficace, oltre che aumentare l’ascol-
to attivo, l’intelligenza emotiva, la creatività, la
motivazione, la padronanza di sé, il benessere
e l’empatia. Essere empatici aiuta a capire meglio gli altri. Il teatro aiuta a mettersi nei panni
del proprio interlocutore e a cogliere i sottili segnali sociali che indicano i bisogni o desideri
altrui. Dunque la capacità di sentire dentro di sé
e di avvertire lo stato emotivo dell’altro. Quando le persone si sentono comprese e accettate
è più semplice costruire un buon rapporto.
Questa metodologia di formazione è importante in periodi poco stabili perché il teatro
con il suo linguaggio veicola il cambiamento e aiuta a esplorare la realtà nei suoi tanti
aspetti, proponendo di rompere meccanismi
quotidiani attraverso una ricerca extra-quotidiana culturale, sociale e personale. I giochi e
il training teatrale portano il soggetto a formarsi attraverso l’esperienza, la condivisione, la
cooperazione e a rompere schemi prefissati.
La formazione, o meglio il training, diventa un
percorso individuale in un lavoro di gruppo:
luogo entro cui l’individuo può rispecchiarsi,
confrontarsi, comunicare, ricevere stimoli per
valorizzare e far crescere la propria persona
e così facendo l’azienda in cui lavora. Come
scrisse il poeta tedesco Novalis “il teatro è
un’attiva riflessione dell’uomo su sé stesso” e
ciò aiuta a condurre un’esistenza più felice.
Matilde Dondena
È laureata magistrale con lode in CIMO
(comunicazione per l’impresa, i media e
le organizzazioni complesse presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore), oltre a
essere cultrice di strategie e linguaggi della
comunicazione mediale e in media studies.
Collabora come producer e attrice per varie realtà ed è trainer in corsi di formazione
per lo sviluppo delle soft skills attraverso le
tecniche attive teatrali, per enti e aziende
in cui lavora assieme a Daniele Giulietti,
attore e formatore-coach con decennale
esperienza di training aziendale.
https://www.linkedin.com/in/matilded
Matilde Dondena nello spettacolo
“La voce delle donne” per la regia di Fabio Banfo.
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il giro del mondo
con la televisione
di alessandro giglio
di eliana quattrini
Alessandro Giglio è un imprenditore televisivo televisivo internazionale dedicato alla nautica
che non si rivolge a una nazione ma direttamen- e agli sport acquatici; Giglio Fashion speciate al mondo intero. Nato a Genova nel 1965, è lizzato nella moda on line; M-Three Sat Com,
sposato, ha due figli, vive in uno splendido pa- che fornisce soluzioni per le emissioni radiotelazzo dei Rolli, è presidente e amministratore levisive via satellite e fibra ottica; infine Giglio
delegato di Giglio Group S.p.A. e non ha mai Tv, il primo gruppo televisivo italiano ad essere
smesso di produrre spettacoli. Prima teatro, poi presente in Cina. Un panorama su cui il sole
televisione italiana, dagli anni Duemila canali non tramonta mai. A volte gli imprenditori teledigitali, servizi e programmi offerti al mercato visivi di successo cambiano strada e si dedicano
internazionale. Chi è malato di auditel, trema alla politica. È accaduto a Silvio Berlusconi e
a sentire che una delle sue trasmissioni copro- a Donald Trump. Per il momento, invece, Alesdotte in Cina, “Made in Italy”, è seguita da oltre sandro Giglio se ne tiene ben lontano. «Evitiacento milioni di telespettatori a settimana e che mo – spiega – ciò che può generare difficoltà
i canali di Giglio Group raggiungono cento- nei rapporti con i nostri interlocutori stranieri,
cinquanta milioni di persone in tutto il mon- siano essi rappresentanti di multinazionali o
do nell’arco di una sola giornata. Anche questa dirigenti delle televisioni di Stato. I nostri caè economia di scala e suggerisce una potenza nali tematici si focalizzano su due argomenti:
di penetrazione commerciale in Italia ancora nautica e lifestyle italiano, quindi lusso, cibo,
poco o per nulla sperimentata. Il gruppo Giglio, moda, turismo, marchi noti in tutto il mondo».
network televisivo e
multimediale nato nel
2003 con sede a Milano, è composto da
sette società: la capogruppo Giglio Group
Spa, con due canali
televisivi sul digitale
terrestre italiano (acqua e Play.me); Giglio
Usa, costituita lo scorso aprile a New York,
che presidia le attività
in Nord America; Giglio Shanghai, attiva
in Oriente a cominciare dalla Cina; Nautical Channel, canale
Pagg. 6-7: immagini dalle trasmissioni prodotte dal Giglio Group in tutto il mondo.
6
persone
Qual è la missione aziendale?
Il nostro scopo aziendale è generare desideri. Desideri che producano una ricaduta positiva sul mercato italiano.
Come ha cominciato?
Come redattore al “Maurizio Costanzo Show”.
Arrivato all’Università ho scelto Lettere con indirizzo
Spettacolo, laurea oggi equivalente al titolo magistrale in Scienze dello Spettacolo e delle Arti Multimediali. Mi piacevano il teatro, la televisione e volevo fare esperienza. Da Costanzo mi assegnavano
ricerche e fotocopie come a ogni ultimo arrivato,
ma niente ha soffocato una passione che da quel
momento in poi è sempre aumentata. Ho fondato il
Festival internazionale delle Arti Barocche, prodotto
spettacoli teatrali presentati al Sistina e al Manzoni,
come “Nata ieri” con Valeria Marini diretta da Giuseppe Patroni Griffi, “Ma le mamme” con Enrica
Bonaccorti e Simona Marchini, “Uomini sull’orlo di
una crisi di nervi” con Claudia Koll. Parallelamente
portavo avanti l’attività di produttore televisivo e con
Raffaella Carrà ho ideato e prodotto un programma
che ha fatto storia, “Carramba che sorpresa!”.
Poi cos’è successo?
Con il Duemila e l’imporsi del digitale mi sono
trasformato da produttore in editore televisivo. Ho
lanciato programmi e canali tematici da offrire al
mercato estero, focalizzati su due argomenti tipicamente italiani: nautica e lifestyle. Nautical Channel
trasmette in sei lingue ed è diffuso in quarantacinque
nazioni. Le produzioni dedicate alla moda, al cibo,
al turismo e al lusso italiani sono molto diffuse nei
mercati asiatici: Cina, Indonesia, Malesia, Vietnam
e presto probabilmente Giappone. I due settori rappresentano il 65 per cento del mercato mondiale sul
Made in Italy e coprono gli ambiti principali dell’esportazione italiana nel mondo.
Prossime sfide?
Creare una sintesi fra e-commerce e televisione,
cioè portare le potenzialità del digitale dentro la tv
e trasferire nell’e-commerce la forza narrativa della
televisione.
Ad esempio?
Sto guardando una sfilata di moda, mi piace un
modello Armani, clicco sullo schermo, me lo compro e il giorno dopo arriva a casa. In Cina già lo
facciamo, stiamo estendendo il modello negli Stati
Uniti e non escludiamo di portarlo in Italia.
Quali problemi presenta l’Italia in questa
dinamica?
L’Italia è lenta nella crescita dell’e-commerce e
nell’uso delle carte di credito. C’è un freno culturale.
La Giglio Group è quotata in borsa.
Cosa fa decidere questo passo?
Sul piano irrazionale, posso dire che la quotazione
in Borsa dà una visibilità diversa alla società indipendentemente dal suo valore azionario e in questo
risiedono anche un minimo di vanità e di orgoglio
personali. Sul fronte razionale, invece, è indubbio
che essere presenti in piazza Affari consente di accostarsi a strumenti finanziari molto importanti di cui
altrimenti non si può disporre. Questi hanno un effetto moltiplicatore sulla scala di business che costringe
a una riorganizzazione, quindi portano maggiore
efficienza e uno standard qualitativo più elevato. La
conseguenza è una crescita esponenziale nella credibilità, soprattutto sul mercato estero. Infine, avendo due figli molto piccoli, di 8 e 2 anni, non posso
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contare a breve su un passaggio generazionale
familiare, modello tipico italiano che nel mio caso
è pieno di incognite. Il meccanismo della quotazione in Borsa offre un futuro gestionale indipendente,
grazie alla creazione di anticorpi sui futuri passaggi
di proprietà.
Come si riesce a vendere lo stesso prodotto
culturale in realtà così diverse fra loro?
Alla base c’è una mediazione culturale che sottintende l’adattabilità di ogni singolo business. Negli
Stati Uniti non ci sono state difficoltà. In Cina non
tocchiamo temi sensibili come la politica e dunque
ugualmente non abbiamo avuto problemi. Diverso
è il caso dei paesi musulmani dove molti argomenti
sono giudicati moralmente sconvenienti. Non è culturalmente accettabile, per esempio, che durante una
trasmissione di nautica vicino a una barca passi una
surfista in costume da bagno. Per questo, circa il cinquanta per cento dei nostri contenuti non possono essere trasmessi nei paesi a maggioranza musulmana.
Dove vengono materialmente prodotte
le trasmissioni?
I programmi di lifestyle diffusi sul mercato asiatico
sono realizzati per il cinquanta per cento in Italia e il
rimanente, per esempio la conduzione, direttamente
nei paesi dove vanno in onda. Nautical Channel
produce contenuti in tutto il mondo seguendo gli
eventi e le manifestazioni di settore.
Qual è la trasmissione di maggior successo
prodotta dal Giglio Group?
“Made in Italy”: un servizio su San Gimignano se-
guito da una sfilata di moda, una ricetta e un giro
a Maranello per vedere come nasce una Ferrari.
Grande fascino. Va in onda in Cina.
Si può concepire un prodotto analogo sulla Cina
da proporre in Italia?
Non c’è un analogo mix giudicato interessante in
Italia. La cucina cinese è paragonabile alla nostra
per storia e ricchezza, con la differenza che i cinesi
sono curiosi e vanno alla scoperta delle novità, tanto è vero che oggi sono i primi importatori di vino
al mondo.
Qual è il futuro della televisione?
Diventerà touch come gli smartphone. Mia figlia
quando le piace qualcosa in televisione si alza e
va a toccarla sperando di interagire, poi siccome
non succede niente si disinteressa e se ne va. In
futuro sulla tv potrò contemporaneamente guardare
il documentario su una città, controllare le previsioni per il fine settimana, prenotare i biglietti aereo,
l’ingresso al museo e dopo un paio di giorni andarci. Il futuro è la smart tv, perché l’evoluzione non
passa dall’hardware ma dal software e il software
della televisione sono i contenuti. Questo produrrà
un cambiamento nell’approccio mentale più che
tecnologico, e sarà apprezzato anche dalla touch
generation cui appartiene mia figlia. La televisione
globale integra commercio e digitale, tanto è vero
che negli Stati Uniti i nostri canali sono venduti su
Amazon. Una tendenza irrefrenabile.
Ha imparato il cinese nel frattempo?
Un po’. Parlarlo non è poi così difficile, a parte il
problema delle intonazioni. Scriverlo, invece,
è una vera impresa.
Lei è nato a Genova?
Sì, ma dai 18 ai 46
anni ho vissuto tra Roma
e New York. Sono tornato a Genova sei anni fa.
Alla nautica e agli sport acquatici è dedicato Nautical Channel.
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Perché?
Per la vita di una famiglia con due figli piccoli
Genova offre una qualità molto elevata, direi
perfetta. Mia moglie è
persone
cinese, lavorava a Milano e non apprezzava la
quotidianità di Roma. Io non avrei mai scelto Milano come luogo di residenza. Genova ha offerto
una magnifica terza via: buon clima, il mare e una
casa con gli affreschi di Luca Cambiaso in salotto.
Tutto questo ha fatto la differenza, oltre al mio desiderio di tornare al paese natio, naturale a 50 anni.
Come giudica il futuro della nautica?
Roseo. L’Italia è leader nel mondo e il Salone Nautico di Genova è il primo in Italia, ergo è il più importante in assoluto. Gli appassionati continuano
a seguire le kermesse perché amano associarle
a brevi escursioni turistiche e perché una barca
va provata. Raccontarne i dettagli a distanza è
praticamente impossibile. La posizione centrale di
Genova può essere indebolita solo dal perdurare
dei contasti interni. Non avere una posizione unitaria richiama incertezza e fastidi controproducenti. Tipico italiano.
La Giglio Group ha concorrenti?
Di fatto no, perché siamo gli unici a puntare su scala
mondiale su nautica e made in Italy, ma ci muoviamo in un panorama in cui l’offerta è ricca.
Come ha trovato Genova dopo tanti anni?
Estremamente migliorata perché alcune zone, il Porto Antico e i vicoli della movida, sono stare riconsegnate alla città. Ma c’è ancora tanto da fare.
Da cosa partirebbe?
Banalmente, da una derattizzazione più efficace.
Sono scappato da branchi di topi fuoriusciti dai tombini sul retro di Palazzo Rosso. Non è piacevole. Il
centro storico deve essere oggetto di un recupero
migliore, diffuso anche nelle strade vicine alle più
frequentate. La differenza in cui versano via Garibaldi e via della Maddalena per un turista è incomprensibile.
Il tessuto economico è dinamico?
Ci sono giovani imprese e startup che potrebbero
avere sviluppi molto interessanti. Il ricambio generazionale può contare sull’enorme margine di crescita
procurato dalla stasi economica. Genova ha voluto
porsi come attrazione turistica. Basterebbero un po’
di maquillage e l’alta velocità su Milano per avere una forte spinta. Attualmente i problemi logistici
sono enormi.
Perché all’inizio della sua carriera era stato
attratto dal Barocco?
È lo stile del secolo d’oro dei genovesi quindi fa
parte del mio dna. Mi attraeva l’arte della meraviglia che infatti rimane alla base della mia filosofia
aziendale. In fondo, ho solo cambiato mezzo di
comunicazione aggiornando l’arte della meraviglia
al nostro secolo.
Alessandro Giglio
Genovese, classe 1965, dopo aver conseguito la
Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzioni Multimediali, diplomato presso l’Accademia
Nazionale d’Arte Drammatica, un master alla LUISS
in Management ed un corso di specializzazione al
Commercial Theater Institute di New York, ricopre
vari incarichi tra cui: Vicepresidente nazionale UNATAGIS, membro del Comitato tecnico del Ministero del
Turismo e dello Spettacolo e General manager per
l’Europa della MGE.
Nel 2003 fonda Giglio Group, di cui è Presidente
e Amministratore delegato, nonché maggiore azionista. La società si è quotata nel 2015 al mercato AIM
di Borsa Italiana e ad oggi conta sette società.
Alessandro Giglio ha dedicato gli ultimi 15 anni della
sua vita alla progettazione e realizzazione di grandi
eventi e spettacoli teatrali e televisivi. Per la televisione
si segnalano programmi quali Carramba che Sorpresa (Rai 1), Segreti e Bugie (Rai 1), Navigator (Rai 1, e
vincitore al Mip di Cannes nel 2000 come “Programma europeo più innovativo dell’anno”) e Domenica
In. Nel 2004 ha organizzato l’evento inaugurale
del primo Gran Premio di Formula 1 a Shanghai per
conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
dei Ministeri Affari Esteri, Attività Produttive e Lavoro,
realizzando un viaggio virtuale alla scoperta dell’Italia trasmesso in diretta per oltre 500.000.000 di
telespettatori cinesi ed asiatici. È stato anche consulente per varie reti televisive nei mercati in via d’espansione. È Presidente dei Probiviri nel Consiglio di
Presidenza di Confindustria Radio Televisione.
9
Orizzonti
10
storie
il museo dell'arte
vetraria altarese,
collezione unica in
un contesto liberty
“Da bambini i figli dei vetrai
frequentavano la fabbrica,
per veder lavorare gli adulti, e da
bambini apprendevano le tecniche
fondamentali. Alcuni diventavano
semplicemente artieri. Altri
raggiungevano la sublimità dell’arte”
Maria Brondi, 2009
di linda kaiser
I
NTRODUZIONE
La storia del vetro ad Altare, nell’entroterra savonese, ha radici antiche, perché
l’insediamento delle prime fornaci qui
può essere ipotizzato attorno alla metà del XII secolo. L’ubicazione geografica del borgo in una
zona ad alta densità boschiva per raccogliere
legna, la presenza di formazioni di quarzite, la
prossimità con il Colle di Cadibona (459 m slm),
che divide le Alpi Liguri dall’Appennino Ligure, e
la vicinanza di sbocchi portuali sono tutte condizioni favorevoli all’esercizio dell’attività vetraria.
Qui verrà attirata, dalla seconda metà del ‘200,
l’immigrazione artigiana dal Genovesato, dalla
Toscana e anche da Venezia.
La più antica attestazione di una regolamentazione
in forma scritta dell’attività vetraria della corporazione, denominata “Università dell’arte vitrea”, risale al
1495. Questi statuti, rivolti ai maestri e a tutte le
famiglie del borgo, creano una sorta di nobiltà di
mestiere e provocano la divisione sociale tra i “monsù” e i “paesani”. Anche se l’antica Università viene
soppressa nel 1823 da Carlo Felice di Savoia, i
Pag. 10: i vetri soffiati all’uranio realizzati
nel 1925-30 da Costantino Bormioli.
11
Orizzonti
maestri altaresi fondano
re in vetro, attrezzature
nel 1856 la Società Arper la lavorazione del
tistico Vetraria (S.A.V.),
vetro soffiato, stampi e
la prima cooperativa di
documenti provenienti
produzione industriale
dalla Società Artistico
italiana. Qui viene anVetraria. La Biblioteca
che creato il Gruppo
Specializzata del Vetro
Futurista di Altare, cui dà
conserva una collezione
vita Amleto Saroldi, aldi libri e riviste relativa al
lora a capo del reparto
mondo del vetro, dagli
decorazione della vetreantichi testi di tecnologia
ria (nel 1932 espone i
ai cataloghi delle esposuoi vetri decorati futuristi
sizioni contemporanee
nella “Mostra d’Arte Fupiù importanti e pubbliAltare (SV), Villa Rosa, sede del Museo dell’Arte
turista”, organizzata a
cazioni sulla storia e la
Vetraria Altarese. Pag. 13: il primo piano del Museo.
Savona). Lo stesso anno
tecnica del vetro.
Filippo Tommaso Marinetti visita Altare. Purtroppo, il Negli anni il Museo si è arricchito di oggetti in vetro
progressivo deterioramento dell’attività dell’azienda donati da privati. Il patrimonio d’eccezione conserper problemi finanziari e strutturali ne determina la vato al suo interno, anche se è limitato sostanzialchiusura nel 1978.
mente a poco più di un secolo (1856-1978), è
Per la storia del vetro altarese questa data non se- depositario di una tradizione millenaria.
gna una conclusione definitiva. Oggi Villa Rosa rivive il suo antico splendore liberty e presenta gli og- Mission
getti del Museo dell’Arte Vetraria Altarese in mezzo Il Museo raccoglie le testimonianze dell’arte del vea stucchi di gesso dorati, pitture murali, pavimenti tro ad Altare, caratterizzata dalla produzione del
in marmo seminato e parquet, vetrate con decora- vetro d’uso. L’istituzione mira a ricostruire la storia
zioni in vetrofania, termosifoni dipinti e decori flore- e l’attività della Società Artistico Vetraria, conserali, cancellate in ferro e porte dalle linee eleganti, vandone documenti, oggetti, materiali e attrezzi di
bow-window e scale dall’andamento sinuoso.
lavorazione.
Attraverso la collaborazione con artigiani, artisti e
designer il Museo si propone di valorizzare nella
Fondazione
Il Museo d’impresa è originato dalla Società Ar- contemporaneità la tradizione del luogo, di rendetistico Vetraria (S.A.V.), costretta a cessare la pro- re vivo l’interesse per la lavorazione del vetro e di
pria attività nel 1978. Nel 1982 si costituisce accrescere, al tempo stesso, la propria collezione.
l’Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria
(I.S.V.A.V.), che si propone di recuperare il ricco Attività
patrimonio artistico-culturale della tradizione vetra- Il Museo organizza su prenotazione visite guidate
ria di Altare, ponendo al tempo stesso le premesse per singoli e gruppi; su richiesta anche in inglese e
per il rilancio dell’attività artigiana nei suoi aspetti francese o, con costi aggiuntivi, eventuali visite al
più tradizionali. L’I.S.V.A.V. acquisisce, dunque, la di fuori dell’orario di apertura. È anche disponibile,
collezione di vetri già appartenuta alla S.A.V. e, sempre su prenotazione, la partecipazione a un lanel 1984, la organizza in Museo del Vetro, di cui boratorio, dove osservare dal vivo la lavorazione
la Regione Liguria sancisce ufficialmente la nascita del vetro Pirex e dell’incisione su vetro. Per le scuole
con la delibera n° 1307 del 1992. La sede prov- di diverso grado e per le famiglie sono previsti provisoria del Museo è nell’Oratorio della seicentesca grammi di didattica specifici.
chiesa di S. Sebastiano, finché viene trasferito, nel Grazie a un contributo regionale, è stato creato un
2004, presso Villa Rosa.
percorso museale fruibile anche dai visitatori con
disabilità visiva – non vedenti e ipovedenti –, con
mappe tattili di orientamento, supporti informativi
Contenuti
Il Museo si compone di circa 3.000 pezzi, tra ope- in Braille e un catalogo in Braille consultabile su
12
storie
richiesta. Un laboratorio tattile può completare l’esperienza.
Nel 1988 è nata Alte Vitrie come strumento di informazione e promozione dell’I.S.V.A.V. L’edizione digitale della rassegna dedicata al mondo del vetro,
non soltanto altarese, è liberamente scaricabile dal
sito internet del Museo. Vengono organizzati poi corsi di formazione su diversi livelli per la lavorazione
del vetro (perle a lume, soffiatura e modellatura del
vetro borosilicato, incisione su vetro, vetrofusione,
gioiello) con insegnamenti tenuti da professionisti nei
laboratori all’interno di Villa Rosa. I lavori prodotti
durante i corsi rimangono agli allievi, ai quali viene
rilasciato un attestato di partecipazione. I workshop
sono rivolti, invece, alla formazione specialistica in
design del vetro artistico/artigianale (Vetrodesign
- progettare in fornace, Archeologia del vetro nel
Medioevo e agli inizi dell’età moderna).
Vengono proposte periodicamente mostre d’arte
contemporanea (attualmente, l’artista italo-argentina Miriam Di Fiore espone i suoi paesaggi ottenuti
su diversi strati di vetro).
Infine, è possibile affittare i locali di Villa Rosa per
cerimonie, convegni, rinfreschi, spettacoli teatrali,
concerti ed eventi.
delle operazioni di promozione socio-economica
delle vecchie famiglie locali. Apparentemente di
umili origini, Monsignore fece una brillante carriera ecclesiastica, scrisse diversi saggi teologici,
promosse iniziative filantropico-assistenziali e finanziò lavori di restauro degli edifici della chiesa.
Per la sorella Enrichetta (sposata con Alberto Bormioli) fece costruire dal Campora nel 1901 Villa
Agar (attualmente sede di una casa di riposo per
anziani); per la sorella Rosalia (sposata con Ettore
Saroldi) nel 1906 Villa Rosa, che divenne dimora
estiva della famiglia Saroldi; per la terza sorella,
Cesarina (sposata con Giovanni Maria Bordoni),
fece ristrutturare, sempre a sue spese, un palazzo
di fronte alla chiesa parrocchiale.
L’edificio di Villa Rosa, sottoposto a tutela per l’importante interesse culturale con decreto ministeriale
del 6 ottobre 1986, viene acquistato dal Ministero
per i Beni Culturali e Ambientali nel 1992, per destinarlo a sede del Museo dell’Arte Vetraria Altarese. Al termine di un decennio di lavori di restauro,
nel 2004 Villa Rosa viene riaperta al pubblico,
concretizzando la sua funzione attrattiva, culturale
ed economica, per il paese e la Val Bormida.
Relazione con il territorio
La visita al Museo inizia dal piano terra, dalla Sala
conferenze, dove si accolgono i gruppi e viene mostrato un video di circa 20 minuti sulla lavorazione
del vetro. Percorso il corridoio che si apre all’ingresso della Villa, si raggiunge il Giardino d’inverno,
nel quale ha sede il bookshop, dove sono in vendita anche oggetti in vetro realizzati in loco. Quindi
si ha accesso al Giardino vero e proprio, dal quale
Villa Rosa, sede del Museo, è un pregevole esempio di cultura liberty e in ciò sintetizza uno dei
momenti più significativi della storia di Altare. Tra
fine ‘800 e primi ‘900 il binomio vetro/Altare appare fornire una forma rappresentativa alla città
attraverso uno stile che è segno e proiezione della
modernità. Il gusto liberty, con indubbi eclettismi,
caratterizza parte delle
abitazioni del paese,
molte progettate dall’architetto savonese Nicolò Campora, formatosi a Torino. Di questa
serie di edifici Villa Rosa
risulta quello più rappresentativo stilisticamente.
Committente di diversi
palazzi fu Monsignor
Giuseppe
Bertolotti
(1842-1931), curato
di Altare per oltre sessant’anni (1869-1931)
e vero deus ex machina
Percorso di visita
13
Orizzonti
panca per lavorare,
la canna da soffio, il
maiòz (ceppo di legno
di faggio con manico e
incavo per arrotondare
la levata del vetro dal
forno con la canna), le
molle (pinze elastiche
per modellare gli oggetti), le forche in ferro,
le macchine per fare le
biglie per tappare le
bottiglie della gazzosa
e molto altro. Al rientro nella Villa, si ammirano i 16
stemmi delle famiglie altaresi che lavorano il vetro
da più di mille anni e si viene introdotti alle antiche
tradizioni del borgo, quelle che portano le stesse
famiglie a unirsi, nel 1856, nella Società Artistico
Vetraria, che cesserà di esistere nel 1978.
Il primo piano del Museo raccoglie in otto sale la
collezione di oggetti d’uso (bottiglie, vasi per dolci,
caraffe, bicchieri, calici, coppe, piatti, candelieri,
lampade, ecc.), in genere trasparenti, realizzati nella vetreria a fini di vendita, per cui molto è andato
perduto, riciclato o gettato via. Sopravvivono cesti e
acquasantiere della metà del XVIII secolo, realizzati
alla maniera veneziana.
Si possono ammirare
prodotti con disegni
ottenuti con l’incisione
alla ruota; oggetti per la
liturgia sacra, come gli
eleganti vasi a stanga
per i fiori nelle chiese;
la produzione per la farmochimica, dal secondo dopoguerra, in vetro
“neutro” borosilicato (Pirex) per flaconi, cilindri,
tubolature e apparecchi
per laboratori chimici
e fisici; oggetti curiosi
che servivano per la vita
quotidiana.
Il secondo piano dedica
le sue otto sale ai pezzi
unici. La più importante,
intitolata I giganti del vetro, ospita la vetrina antiSopra: la vetrina antica con i pezzi giganti in vetro soffiato, che parteciparono
all’Esposizione Universale di Torino del 1911. Sotto: il secondo piano del Museo.
ca che contiene i grandi
si entra nel Laboratorio,
dove è stata installata la
fornace dimostrativa.
Qui vengono illustrate
le fasi di lavorazione
del vetro: il forno viene
acceso e portato lentamente, in due giorni, a
1240°C; il vetro sta a
questa temperatura 6-7
ore e poi viene lavorato
tra 1000 e 1070°C,
prima di essere inserito
nel forno di ricottura a 500°C; alla fine della giornata, il forno viene spento e arriva a temperatura
ambiente in 12 ore. Quando le fornaci andavano
a legna, venivano accese da S. Martino a S. Giovanni, cioè da novembre a giugno; oggi, che vanno a gas, vengono attivate un weekend al mese
da marzo a novembre e un mese d’estate durante
l’Altare Glass Fest, la manifestazione che ospita vetrai da tutto il mondo.
Gli attrezzi di legno vengono tenuti sempre immersi
nell’acqua, intorno alla “piazza”, lo spazio dove
lavorano gli artieri, cioè il gruppo composto dal
maestro e dai suoi aiutanti. Si possono vedere la
14
storie
pezzi in vetro soffiato che parteciparono all’Esposizione Universale delle Industrie e del Lavoro di
Torino del 1911. Si segnala il “Grande vaso per
esposizione”, alto 115 cm e pesante più di 12 kg,
che vinse il Grand Prix. Il re Vittorio Emanuele III di
Savoia ne acquistò una copia da donare allo zar
Nicola II di Russia e risulta al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo. Questa vetrina è stata il
primo Museo del Vetro: fu acquistata dal Comune
di Altare nel 1978 e nel 1982 fu alla base della
fondazione dell’I.S.V.A.V. Altre sale mettono in rilevo le figure di maestri, come i due fratelli Costantino (1876-1934) e Cimbro Bormioli (1880-1961),
che realizzarono splendidi vetri soffiati giallo limone all’uranio (1925-30) e sperimentazioni di vetri
che imitano il bronzo secondo una “ricetta” rimasta
segreta; oppure Isidoro “Dorino” Bormioli (19142005), classificatosi secondo nel 1942 ai Littoriali
del Vetro a Venezia. Qualche sala è dedicata a Il
Design negli anni ‘30, a Le donazioni, all’Altare
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Mariateresa Chirico (a cura di), Il Museo dell’Arte Vetraria
Altarese, Altare, I.S.V.A.V., 2009.
Alberto Saroldi e Giulia Musso (a cura di), I vetrai di Altare
in Argentina, catalogo della mostra (Altare, Museo dell’Arte
Vetraria Altarese, 26 giu.-10 ott. 2010), Genova, De Ferrari,
2010.
Rossella Scunza (a cura di), Villa Rosa di Altare da residenza
a museo, Genova, San Giorgio Editrice, 2007.
Mariateresa Chirico (a cura di), Il Museo del Vetro di Altare,
Altare, I.S.V.A.V., 1996.
Gino Bormioli, Lessico del vetraio altarese, Cengio (SV), Tipolitografia Ed. Valbormida, 1995.
NOTIZIE PRATICHE
Indirizzi e recapiti
Museo dell’Arte Vetraria Altarese
Villa Rosa
Piazza del Consolato 4
17041 Altare (SV)
Tel. 019 584734
[email protected]
www.museodelvetro.org
Come si raggiunge
In auto: autostrada A6 E717 Torino-Savona, uscita Altare.
Parcheggio gratuito.
In autobus: da Savona, bus di linea TPL n° 3, fermata Altare.
Orari e norme di visita
Ingresso a pagamento. Riduzioni per chi ha da 6 a 14 anni,
studenti universitari, over 65, abbonamento Musei Torino Piemonte, FAI, Touring Club Italiano, Ordine Architetti Savona,
Socio Coop Liguria. Ingresso gratuito per minori di 6 anni, residenti ad Altare, diversamente abili, giornalisti, soci ICOM.
Apertura: dal martedì alla domenica, ore 14.00 - 18.00.
Glass Fest (dal 2012). Uno spazio importante è
assegnato a Le emigrazioni dei vetrai e racconta la
partenza, nel 1947, dei giovani del Gruppo T.O.
V.A. (Tecnici e Operai Vetrai Altaresi), per costruire
una vetreria nella provincia di Santa Fe, nel cuore
della pampa argentina. Oggi, alla “Cristalerìa San
Carlos”, lavorano ancora il vetro à la façon di Altare e hanno aperto anche un “Museo del Vidrio”. Le
due città sono gemellate dal 2009. San Carlos è
diventata Capital Nacional del Cristal Artesanal il
5 giugno del 2013. Al piano sotterraneo, nelle ex
cucine della Villa, si trovano ampi spazi dedicati ai
Laboratori per la vetrofusione e vetro a lume, moleria e incisione. Il percorso museale si conclude al
piano terra, nella Sala mostre dedicata al design.
Gianluigi Pantaleo, presidente del Museo,
apre la fornace dimostrativa per la cottura del vetro,
collocata nel Laboratorio, nel giardino di Villa Rosa.
Visite fuori orario su prenotazione. Chiuso al lunedì, 1° gennaio, Pasqua, 25 e 26 dicembre. Ingresso a pagamento.
Servizi aggiuntivi
Visite guidate per singoli e gruppi, su richiesta anche in lingua inglese e francese. Didattica per le scuole. Workshop,
laboratori e corsi sulla lavorazione del vetro. Attivazione della
fornace dimostrativa. Visita per non vedenti e ipovedenti. Pubblicazione di Alte Vitrie, rassegna periodica intorno al mondo
del vetro, scaricabile dal sito internet del museo.
DATI INFORMATIVI ESSENZIALI
Impresa di riferimento
Società Artistico Vetraria (S.A.V.)
Denominazione ufficiale
Museo dell’Arte Vetraria Altarese
Tipologia della struttura
Museo d’impresa
Ordinamento giuridico
Fondazione privata e collezioni civiche
Categoria merceologica
Vetro
Superficie espositiva
Villa Rosa: 1650 mq, giardino: 600 mq
Anno di fondazione impresa
1856
Anno di fondazione museo
1982
Inaugurazione ufficiale
10 febbraio 1982
Autore della progettazione
Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria (I.S.V.A.V.)
Numero annuo di visitatori
6.000 ca.
Nome e qualifica del responsabile
Gianluigi Pantaleo, presidente
15
Orizzonti
Michael Wolgemut, Genova, da Liber Chronicarum,
(Cronaca di Norimberga), Norimberga 1493.
Collezione privata, illustrazione acquerellata in antico.
16
storie
due miniature
trecentesche
per genova
Un anonimo artista ha realizzato
un codice miniato, tra il 1330 ed il 1340
per la famiglia dei genovesi Cocharelli
(o Cocarelli), forse di origine provenzale,
impegnata in transazioni finanziarie
e presente nelle colonie d’Oltremare.
di mario marcenaro
C
iò che rimane del codice è conservato alla British Library di Londra,
al Museum of Art di Cleveland e
al Museo Nazionale del Bargello
di Firenze. I fogli lasciano emergere due argomenti: un trattato sui vizi capitali e un poema in prosa sul Regno di Sicilia. La pregevole
opera si deve ad un genovese o almeno ad
una persona che abbia soggiornato a Genova lungamente.
Nel codice sono realizzate con precisione alcune illustrazioni che raffigurano o alludono a
Genova. Tra le varie miniature due sono particolarmente per noi interessanti: in una si vede
la costruzione della facciata della cattedrale
di San Lorenzo; e la seconda, la più problematica, è dedicata, dicono, all’odierna Akko
in Israele, assediata da truppe mamelucche.
Il committente del codice si presenta nel pro-
logo del manoscritto e sembra essere il figlio
di Giovanni e nipote di Pellegrino Cocharelli.
Il foglio che raffigura l’intera città è stato sovente attribuito all’assedio di San Giovanni
d’Acri. La miniatura presenta vari problemi,
alcuni risolti con certezza mentre per altri sono
state solo avanzate ipotesi. Michael Rogers,
estensore del testo nel catalogo della mostra
tenutasi al Bargello nel 1989 Omaggio ai
Carrand, riporta nella didascalia: «Nord Italia
o Mar Nero, tardo secolo XIV». Ma Semavi
Eyce, dell’Università di Istanbul, mi escluse
verbalmente ma decisamente che la pagina
miniata potesse raffigurare una città sulle rive
del Mare Maius genovese.
Nella miniatura a tutta pagina, che a mio avviso ritrae Genova, si vedono molti edifici e
una cinta muraria, mentre Acri, attenendoci
alla pianta medievale di Pietro Vesconte, ne
17
Orizzonti
più di un canale che
possedeva due.
di un braccio di mare
Nell’illustrazione del
e nel XIV secolo doveBargello si vede al
va essere da tempo
centro un edificio che
inglobata nel Molo
sembra affrescato con
Vecchio, come attesta
San Giorgio a cavallo
anche Francesco Poche trafigge il drago.
destà nel suo volume
Potrebbe trattarsi, anIl porto di Genova.
che se l’edificio non è
L’isola è documentaproprio sul mare, del
ta nella carta zero di
Palatium maris voluto
Forma Genuae di Pienel 1260 dal capiro Barbieri del 1938
tano del popolo Gue da Luciano Grossi
glielmo Boccanegra
Bianchi ed Ennio Poed edificato da frate
leggi nella seconda
Oliverio, cistercense.
edizione del 1987
L’edificio, a differendi Una città portuaza delle costruzioni
le del Medioevo. Il
private medievali geproblema più grande
novesi sviluppate prinresta quello dell’assecipalmente in altezza,
dio da parte di truppe
è caratterizzato nella
musulmane. Un’ipominiatura per la sua
tesi potrebbe essere
estensione orizzontaquella che il miniatole. Alle spalle ha due
re non conoscesse la
grandi chiese. Quella
città d’Oltremare che
a destra, che sul retro
voleva raffigurare e
ha una porta che poIgnoto miniatore del secolo XIV, Assedio di città, Firenze, seguendo l’Anonimo
trebbe alludere a Porpoeta genovese che
ta Soprana, può esse- Museo Nazionale del Bargello, inv. 2065v.
scrisse che dove giunre identificata con la
cattedrale, mentre quella a sinistra potrebbe gevano i Genovesi edificavano una nuova
essere l’antica basilica di San Siro. Sono inve- Genova, abbia voluto ricordare l’assedio muce ben riconoscibili le chiese di San Marco al sulmano ad una colonia come se fosse un atMolo, eretta nel 1173, e sul versante opposto tacco a Genova. La miniatura presenta molte
la chiesa di San Tommaso, documentata dal analogie con il capoluogo ligure. Non esiste
1134 ma edificata secoli prima e abbattuta alcun centro nelle colonie d’Oltremare che
nell’Ottocento per far posto alla Stazione ma- possa vantare edifici imponenti come quelli
rittima. Su una torre della cinta muraria sven- che abbiamo esaminato.
tola una bandiera genovese crocesignata, in- Non sappiamo quanto grandiosi fossero gli
segna riscontrabile anche su alcuni stendardi edifici del quartiere genovese di San Giovandei combattenti e sulle bandiere di molte navi ni d’Acri ma sappiamo dalla pianta di Pietro
presenti nella miniatura. Ma bisogna rilevare Vesconte e dalle sue rielaborazioni che la torche nella illustrazione mancano totalmente i re delle Mosche era posta al centro del baciponti e la Ripa. Le negatività maggiori restano no portuale e pur collegata con la terra restò
legate alla piccola isola e soprattutto all’asse- la parte terminale del molo. Anche David Jadio da terra della città. L’isoletta in questione è coby dell’Università di Gerusalemme e illustre
nella miniatura molto staccata da terra mentre studioso dell’Acri medievale mi ha confermato
nei documenti e nelle piante sembra trattarsi che non si tratta di San Giovanni d’Acri.
18
storie
Nella pianta di Pietro Vesconte elaborata da
David Jacoby si vedono chiaramente due moli,
quello occidentale realizzato collegando tra
loro varie isolette e, nell’ultima parte infissa,
la catena che chiudeva il porto interno mentre
il molo orientale termina appunto con l’isoletta
sulla quale sorgeva la Torre delle Mosche.
Il fondaco genovese vantava case, porte fortificate, torri, magazzini, botteghe e diverse
chiese, la principale dedicata ovviamente a
San Lorenzo, e come gli altri insediamenti coloniali si affacciava sullo slargo prospiciente
il porto: la ruga cathene. Se il miniatore avesse veramente raffigurato Acri, conoscendola,
avrebbe almeno fatto cenno alla ruga cathene
visibile nella mappa di Pietro Vesconte e ancor meglio evidenziata nella ricostruzione elaborata da David Jacoby. Dopo questa analisi
mi sembra di poter affermare con forza che la
miniatura del Museo Nazionale del Bargello
di Firenze non raffigura San Giovanni d’Acri
ma Genova.
Bibliografia
F. Fabbri, (da ultimo), Il Codice “Cocharelli”fra Europa,
Mediterraneo e Oriente, in G. A lgeri, A. D e F loriani ,
La pittura in Liguria. Il Medioevo. Secoli XII-XIV, Genova
2011, pp. 289-310; M. Marcenaro, Genova: una miniatura del XIV secolo al Museo Nazionale del Bargello,
in Il Medioevo in viaggio, a cura di B. Chiesi, I. Ciseri,
B. Paolozzi S trozzi, Museo Nazionale del Bargello, 20
marzo-21 giugno 2015, Firenze 2015, pp. 104-111;
Id ., Genova, due miniature del XIV secolo: una al Museo Nazionale del Bargello di Firenze e una alla British
Library di Londra, cds., in Atti della Società Ligure Storia
Patria.
In alto: Genova, Il Molo Vecchio con l’isoletta ancora
staccata (da P. Barbieri, Forma Genuae, carta zero).
Genova, Il Molo Vecchio con l’isoletta ancora
staccata, da L. Grossi Bianchi - E. Poleggi, Una città
portuale del Medioevo. Genova nei secoli X-XVI
(II edizione), p. 21, fig. 13.
A fianco: Il quartiere genovese e altri elementi
di San Giovanni d’Acri nel Medioevo: n. 18, Porta
fortificata della parte meridionale; 19, Corso principale
(oggi via del Mercato); 20, la principale torre
genovese: la Monçoia; 21, una casa; 22,
chiesa di San Lorenzo; 23, «Torre vecchia»; 3, il Molo
meridionale; 4, estensione settentrionale del molo;
5, la catena che chiudeva un settore del porto;
6, Torre delle Mosche; 7, molo orientale (da D. Jacoby,
Crusader Acre in the Thirteenth Century: Urban Layout
and Topography, in Studi Medievali, 3a serie, 20,
1979, tav. 4).
19
Orizzonti
20
storie
relitto
e anfore romane
Lo scorso maggio, Gianni Paccagnella,
comandante del peschereccio
“Intrepido” di Santa Margherita Ligure,
ha trovato nella sua rete, durante
una battuta di pesca ai gamberoni,
a 720 metri di profondità, al largo
di Portofino, quattro anfore.
di giovanna benetti
“
Accortomi dell’importanza del ritrovamento, molto emozionato, ho avvisato
subito la locale Capitaneria di Porto” - mi
racconta lo stesso pescatore.
Sono romane, databili tra il II e il I secolo A.C.
Lo si può affermare con certezza, perché riportano bolli, sigle, indicanti l’anno, la provenienza, la
fornace e lo schiavo che le ha realizzate. Sono
vinarie e olearie. Una volta studiate, il dottor Simon Luca Trigona, archeologo subacqueo della
Sovrintendenza Archeologica ligure, ha affermato
che “data la grandezza e la forgia, probabilmente
facevano parte di un grande cargo. Trasportavano
vino e olio verso la Gallia, essendo la Liguria terra
di passaggio. Milioni di ettolitri di vino venivano
commerciati dai romani in Gallia. Pare che le prime ritrovate venissero dalla Toscana, zona Argentario, le altre contenessero invece olio pugliese”.
In ottobre, scandagliando la zona dove il pescatore le aveva trovate, si è scoperto il relitto, una
Anfore recuperate dal pescatore Paccagnella.
Pag. 20 in alto: anfora tirrenica (tipo Dressel 1b)
I° secolo A.C. prodotta ne l’Ager Cosanus (AlbiniaArgentario). Sotto: anfore trovate nel luogo del relitto.
21
Orizzonti
nave romana di circa 25 metri di
lunghezza, tutto ricoperto di anfore
(pare addirittura 2500) e altri oggetti. È stato chiamato Daedalus 26.
Un grande aiuto lo ha dato un veicolo subacqueo filoguidato, il ROV
Pluto Palla, creato dall’ingegner Guido Gay della Gaymarine, ditta specializzata nel settore. Egli ha seguito
le operazioni svolte dal ROV da un
particolare catamarano con a bordo
strumenti specifici per le ricerche.
Presto sarà in team col dr Trigona
che mi dice: “Inizieremo un monitoraggio e un rilievo del relitto (detto
di ‘alto fondo’, data la profondità)
e successivamente uno studio e la
salvaguardia del sito. Non è questo
relitto di alto fondo l’unico scoperto in Liguria.
Col tempo si costituirà un vero e proprio circuito
tra i relitti per i subacquei”. Grazie alle sempre
più moderne tecnologie si potrà migliorare in ambito dell’archeologia subacquea.
Le anfore trovate, una volta pulite del sale saranno ospitate all’interno del Civico Museo delle tradizioni marinare di Santa Margherita Ligure che
sta venendo alla luce in città. “Una delle sedi,
come mi racconta Paolo Pendola presidente del
Museo, sarà il suggestivo castello cinquecentesco sul mare”.
Palpabile è l’entusiasmo del sindaco Paolo Donadoni che, ha sottolineato, “Il museo nasce
con buonissimi auspici e la scoperta del relitto
e delle anfore è il più bel dono che ci arriva.
Dato che Santa Margherita è un museo a cielo
aperto, dove, passeggiando, si incontrano
testimonianze della storia, delle tradizioni, del
profondo legame che
essa ha con il mare,
per salvaguardare la
memoria storica, valorizzare le radici sia
per gli abitanti, sia per
coloro che vengono
a soggiornarvi, si è
pensato di progettare
un civico Museo delle
Tradizioni Marinare itinerante, ‘diffuso’, con
Paolo Pendola, coordinatore dello staff, Enzo
Sorvino, della Società Progetto Santa Margherita, la dottoressa Silvana Vernazza, funzionario
della Sovrintendenza ligure, la responsabile della
Biblioteca locale Marina Marchetti e altri”.
Il rapporto col mare è culturale e commerciale.
La cittadina a trenta chilometri da Genova, nel
Levante, ha, per esempio, la più grossa flotta peschereccia ligure. Un tempo, già nel ‘500, tra i
mestieri del mare, c’era quello del pescatore di
corallo. Lo dimostra lo stemma della città: un delfino con un corallo rosso sul fondo. Partivano con
delle speciali barche, le ‘coralline’, per la Sardegna, la Corsica e l’Africa settentrionale. Qui
ha sede inoltre una nota società di canottaggio,
la Argus, nata nel 1910, che ha formato molti
giovani locali.
La storia di Santa Margherita è anche raccontata dalle meravigliose
facciate dipinte e dalle
edicole votive presenti sia nel quartiere di
Ghiaia sia in quello di
Corte (al porto). C’era, infatti, a Genova
e nel Levante l’usanza
e il gusto di decorare
le facciate con finte
architravi, colonne dipinte, finestre, balconi,
In alto: Paccagnella e le anfore. Sotto: nella foto il Sindaco Donadoni (anche Presidente dell’Ente
Parco di Portofino), il Presidente dell’Area Marina, Corrado, il Direttore dell’Area Marina, Fanciulli,
l’archeologo Trigona, il Presidente del Civico Museo delle Tradizioni marinare, Pendola.
22
storie
trompe-l’oeil. Le case sul mare con
le facciate dipinte permettevano
ai marinai di riconoscere la loro
quando sbarcavano a terra. Il più
famoso pittore di facciate e restauratore è stato Giovanni Franceschetti
(mancato nel 1961) che ha studiato
all’Accademia di Torino e ha lavorato a lungo per la famiglia Durazzo Centurione, ex proprietaria della
stupenda seicentesca Villa Durazzo
e in ambito ecclesiastico.
Le edicole votive (‘madonnette’), invece, erano un manufatto di marmi
e stucchi con statua o immagine nato
da un atto di devozione dei fedeli nel
medioevo per proteggere i lavoratori, pescatori, artigiani, negozianti.
“Un tempo, mi dice Alessandra Molinari storica dell’arte in occasione della festa del Santo,
erano tappe delle processioni, perciò punto di
aggregazione oppure semplicemente di preghiera per richiedere una grazia, un buon raccolto o altro”.
“Lo scorso 2 dicembre è stato firmato il protocol-
lo d’intesa con gli altri musei marinari liguri che
permetterà così un lavoro di sinergia, sostiene
Paolo Pendola, è avvenuta anche la donazione
da parte del Centro Latte Tigullio di piatti decorati dall’artista Flavio Costantini”.
È nata anche l’Associazione promotori del Civico Museo delle Tradizioni Marinare.
Il porto di Santa Margherita Ligure con un pescatore che aggiusta le reti.
23
Orizzonti
24
cartoline
il sogno
e la fatica di una
liguria eroica
Alcuni anni fa un anziano contadino
della Riviera di Levante mi raccontò
che quando Dio ebbe finito di creare il mondo
si accorse che gli avanzavano alcuni grossi
massi e non sapendo che farsene li gettò
giù sulla Terra a casaccio.
di oscar flacco
C
addero lungo la costa vicino a La Spezia e si ammucchiarono disordinatamente tra la val di Vara e il mare; fu così
che nacquero le Cinque Terre. Ma chi
volesse allontanarsi un po’ dai cinque borghi famosi
fino agli Antipodi e desiderasse cercare qualcosa
di altrettanto affascinante ma assai più inusuale,
cerchi la terra dei due Tramonti (di Schiara e di
Campiglia): troverà una Liguria di sogno e di fatica:
sogno sono le isole e le montagne che appaiono
e scompaiono al di là del mare, fatica è lavorare
questa terra verticale e fragile, sferzata dal libeccio
e abbagliata dal sole; sogno e fatica insieme è lo
scendere e il salir per questi viottoli di sassi e gradini
che affiancano piccoli vigneti, minuscoli campi coltivati, oliveti, boschetti di macchia mediterranea. In
un mondo in cui tutti desiderano il garage sotto casa
e nelle grandi città si parcheggia nelle aree blu, ci si
chiede come sia possibile che esistano luoghi come
Schiara, raggiungibile scapicollandosi a piedi tra
vigne e fichi d’India e di fronte c’è solo il mare… Ci
sono i pannelli solari su qualche tetto e sul sentiero
sospeso tra i lecci e il cielo il telefono prende benissimo: che effetto fa essere “sempre connessi” in un
posto così, più simile all’isola di Pasqua che alla città di La Spezia cui amministrativamente appartiene?
Ancora più fuori dal mondo è Monesteroli, grumo
di case stagionali di viticultori su un costone roccioso sopra il mare raggiungibile scendendo una ripidissima scalinata sospesa nel cielo, mille-duemila
gradini che solo uomini dalle capacità eccezionali
possono aver realizzato; si tramanda che il nome
della borgata derivi da Menestèo, compagno di
Ulisse nella guerra di Troia, che qui si sarebbe trovato al confine del mondo dei vivi, davanti al mare
su cui apparivano le “isole dei beati” e dove si
può entrare in contatto coi trapassati. Sciocchezze? Chissà… chi non c’è mai stato non può sapere
cosa si vede con gli occhi del corpo e dell’anima
in questo angolo di Paradiso-Liguria.
Vegetazione mediterranea ai Tramonti di Campiglia.
25
Orizzonti
Le auto si fermano a Campiglia: possiamo dire che
Campiglia è una Corniglia più in alto? Una Volastra
più a picco sul mare? Come che sia, il nucleo più
antico del borgo (il castello) è sul versante occidentale della collina e quindi rivolto totalmente verso La
Spezia mentre le parti ottocentesche e più recenti
dell’abitato si allungano proprio sul crinale a 400
metri di quota, e dalla piazza della chiesa e dal vicino cimitero si vedono benissimo sia il mare aperto
sia il golfo circondato dalle bianche cime Apuane.
Una larga fascia di terreno dove le viti lasciano cadere le loro foglie gialle e rosse novembrine; davanti, e 400 metri più in basso, il mare grigio appena
mosso è illuminato da un cielo quasi nuvoloso; l’isola
della Gorgona è l’unica cosa “al di là delle acque”
che si vede oggi, ma so bene cosa c’è di invisibile
nella foschia avendo già avuto occasione di trovarmi qui in un tersissimo giorno invernale: ci sono la
Corsica, la Capraia, l’Elba e la costa di Livorno a
sud, ci sono la Riviera di Ponente e la Costa Azzurra
francese con le Alpi Liguri e Marittime a ovest, e la
punta del Monviso alle spalle di Savona. Sono le
11 di un giorno feriale di novembre e il sentiero a
gradoni che col nome di Via Tramonti scende da
Campiglia verso la spiaggia del Persico offre come
unici rumori il cinguettio degli uccelli, il ronfare del
mare e il picchiar di una vanga mossa da un giovane senegalese giunto qui attraverso chissà quali vie
del mondo. A tener vivo questo territorio, “Patrimonio dell’Umanità UNESCO” al confine tra il Parco
Nazionale delle Cinque Terre e il Parco Naturale
Regionale di Portovenere, contribuisce l’Associazione Campiglia, che opera affinché l’indispensabile
presenza attiva degli uomini su questo territorio non
danneggi i caratteri che lo contraddistinguono,
mantenga il difficile equilibrio tra attività dell’uomo
e natura e l’identità agricola, sia pur un’agricoltura
parziale di colture di nicchia. Questa è l’unica via
per salvare i muri a secco e tutto questo paesaggio
creato in secoli di fatica, il cui unico simbolo di modernità è il trenino monorotaia che allieva la fatica
dei viticoltori durante la vendemmia. Ben più antico
è invece il mulino a vento nascosto tra gli alberi del
poggio a sud della chiesa di Santa Caterina, risalente probabilmente al Seicento e restaurato dopo
un lungo abbandono. Nel 1999 l’Associazione
Campiglia decise di rilanciare l’economia del borgo recuperando i terreni terrazzati incolti; si cercarono coltivazioni che richiedessero poca manodopera ma potessero garantire un reddito ragionevole:
26
si decise per zafferano – ampiamente diffuso nel
territorio allo stato selvatico – e fichi d’India. Per lo
zafferano furono individuati alcuni terrazzamenti
a 300-400 metri di quota rivolti verso il mare: fu
un successo immediato, con l’inserimento in riviste
specializzate quali Il Gambero Rosso. I fiori sono
raccolti all’alba e subito privati dei lunghi stimmi di
colore rosso, che vengono essiccati al sole o con
un’altra fonte di calore. Durante questa operazione
vengono persi i quattro quinti del peso originario,
per cui per un chilo di zafferano occorrono circa
150.000 fiori e due mesi di lavoro; fortunatamente
nessuno usa un chilo di zafferano tutto insieme…
Dal 2004 l’Associazione coltiva i fichi d’India per
produrre marmellate e conserve; le piante crescono sotto i 200 metri di quota e i frutti maturano tra
luglio e agosto. I terrazzamenti più vicini al mare
hanno subito un degrado più intenso per cui questa
iniziativa è essenziale per il recupero di una zona
che richiede una manutenzione continua per non
franare totalmente in mare. Altro prodotto di successo è il sale marino aromatizzato con le erbe aromatiche (elicriso, issopo, timo, origano) che crescono
spontanee sul versante a mare: è un condimento
dall’aroma e sapore intenso ed inconfondibile. In
piccole radure nella macchia mediterranea fiorisce
la lavanda, dal profumo intenso e persistente che si
unisce a quello dell’elicriso, del timo selvatico, del
rosmarino, delle ginestre che crescono tra le rocce.
Ultimo, anzi primo, il vino “Rinforsà”: è il prodotto
più antico del territorio, dove per secoli gli agricoltori hanno coltivato la vite su ogni angolo, anche il più
impervio; oggi pochi contadini ancora producono
vino; dalle fasce più vicine al mare arriva ancora
una piccola quantità del pregiato vino passito localmente detto “rinforzato” – uno Sciacchetrà senza
DOC; ne esiste anche una rara variante rossa.
La presenza nel territorio di Tramonti di numerose cave di arenaria e di macigno (ormai chiuse)
hanno abituato i suoi abitanti alla lavorazione della pietra e di ciò abbiamo tracce ben visibili nelle
case, nelle scalinate, nei portali. Nelle ex batterie
militari che si incontrano lungo la strada che sale
da La Spezia da quasi vent’anni una coppia di artisti italo-tedeschi organizza in alcuni periodi dell’anno un laboratorio internazionale di scultura artistica
che richiama giovani scultori da tutto il mondo.
Nella piazza della chiesa, di fronte all’alto campanile ottocentesco, si incontrano le principali vie
escursionistiche della Riviera Spezzina, il sentiero
cartoline
n.1 Portovenere-Levanto e l’Alta Via
del Golfo, che si intrecciano con una
complessa rete di sentieri di valore storico, culturale e naturalistico. Importante impegno associativo è anche quello di mantenere fruibile questa rete; in
particolare i collegamenti sul versante
mare sono fondamentali per le attività agricole, mentre quelli sul boscoso
versante del golfo sono importanti in
chiave storico-culturale. Il sentiero che
chiunque venga a Campiglia dovrebbe percorrere è quello che scende
alla spiaggia del Persico – fa parte
del sentiero CAI 11 – sono 400 metri
di dislivello percorribili in circa 40 minuti: la discesa lungo Via Tramonti è
inizialmente abbastanza morbida, tra
fasce in parte coltivate a vite e a olivo e sparse case abbandonate o ben
restaurate. La picchiata finale verso il
mare è vertiginosa, tra ginestre, euforbie e le tracce delle cave d’arenaria
che rifornivano l’edilizia della Spezia
e di Genova; in fondo c’è la ciottolosa
spiaggia del Persico con fondali ricchi
di fauna e flora marina. Poi bisogna
risalire e il tempo necessario dipende
dalle gambe e dal fiato di ciascuno…
Ringraziamenti
A
Marco
Cerliani,
presidente
dell’Associazione Campiglia e titolare
del Ristorante La Lampara, per l’utile e
piacevole conversazione durante il pranzo.
Riferimenti locali
Associazione Campiglia
[email protected]
tel. 0187 758514, 335 6961145
Siti web
www.associazionecampiglia.it
http://tramontidicampiglia.it
www.campiglia.net
http://pertramonti.it
www.viveretramonti.it
Il Golfo della Spezia con l’Appennino
Tosco-Emiliano sullo sfondo.
Le case di Schiara e lo Scoglio Ferale.
Scendendo Via Tramonti verso
la spiaggia del Persico.
Il borgo antico di Campiglia tra i boschi
che scendono verso il Golfo tra boschi
e pascoli.
27
Orizzonti
Il Guarnieri del Gesù,
di Niccolò Paganini.
28
palcoscenici
"lego il mio
violino alla città
di genova onde
sia perpetuamente
conservato"
Con queste parole, scritte il 27 maggio
1837, Niccolò Paganini, il più grande
violinista di sempre, donò il violino
alla città che gli aveva dato i natali.
di chiara cArenini
I
l violino che incarna l’essenza e la bellezza
di uno strumento ad arco: il ‘Cannone’, il
Guarneri del Gesù nato nel 1743 che ancora, alla bella età di 273 anni, contiene
in sé quella magia e quel mistero che avvolsero e
tuttora avvolgono il grande compositore genovese.
Il violino che il mecenate livornese Livron donò a
Paganini legandolo al patto che non vi fosse nella sua vita altro strumento che quello, è prima ancora che uno strumento musicale, un’opera d’arte.
Il ‘Cannone’ ha il fondo, le fasce e il manico di
acero, la tavola armonica di abete, la tastiera e
la cordiera di ebano, i piroli di palissandro. È più
lungo (centimetri 35,4 in totale), più alto (altezza
delle fasce laterali 31 millimetri) dei violini ‘normali’,
il legno della cassa armonica è di 2 millimetri più
spesso dell’usuale e le due “effe” della tavola superiore hanno lunghezze differenti (77 millimetri quella
destra, 79 quella sinistra). Infine la cordiera, cioè il
pezzo a cui sono ancorate le corde, è più corta di
un centimetro rispetto a quelle normali. Quest’ultimo
particolare conferma l’eccezionale estensibilità delle
dita della mano sinistra di Paganini. Un’estensione
forse dovuta alla patologia di cui soffriva il Maestro,
la sindrome di Marfan, che altera il tessuto connettivo e compromette vari apparati dell’organismo, tra
cui lo scheletro. Una patologia che deformò il suo
corpo e le sue mani capaci di effettuare passaggi
su tre e quattro corde non in successione ma come
accordi simultanei. Chi conosce i suoi ‘Capricci’, la
variazione Le streghe, il Trillo del Diavolo o ‘La Campanella’ può capire perché si dicesse che dietro alla
sagoma di Paganini che suonava il Cannone c’era
in verità l’ombra di satana che muoveva l’arco.
Ma torniamo al Cannone: splendido strumento,
svela attraverso la F la sigla che Giuseppe Guarne-
29
Orizzonti
ri usava mettere dentro i suoi strumenti: IHS. Quel
violino è senza dubbio un Guarneri del Gesù,
anzi è ‘il Guarneri del Gesù’ per eccellenza. Giuseppe Guarneri detto del Gesù per la sigla della
sua etichetta IHS, sormontata da una croce greca
posta accanto alla sua firma, è considerato uno
tra i più grandi liutai del suo tempo.
Figlio minore di Giuseppe Giovanni Battista si ispirò
inizialmente ai modelli dello Stradivari che poi abbandonò a partire dal 1726 per una sua personale
concezione. I piani armonici dei suoi strumenti sono
particolarmente spessi e le arcature dei suoi violini
molto più elevate di quelle dello Stradivari. Scelse
legni non sempre di pregio ma bellissime vernici.
Liutaio isolato, scrivono gli storici, è sempre stato
alla ricerca di “quel suono tanto inseguito da Stradivari”. Poi venne il ‘Cannone’, strumento di maggiori dimensioni, di rara e strana bellezza e con una
potenza di suono mai udita prima, strumento che
conferì al liutaio cremonese una fama stellare.
Il ‘Cannone’ è strettamente legato al nome, alla fortuna e alla figura di Paganini. Raramente chi ascoltava i concerti del Maestro non rimaneva colpito
dalla potenza, dalla eleganza e rotondità, dalla
30
possanza di suono del Cannone. Strumento sensibilissimo che Paganini suonava con una diabolica
maestria, non ha mai avuto rivali. Nemmeno i più
sofisticati strumenti del Guadagnini, di Amati o dello stesso Stradivari arrivarono a tanto. Il Cannone
però non rimase tal quale: fu lo stesso Paganini
a ordinare nel 1828 la sostituzione della tastiera
che venne effettuata a Vienna dal liutaio Nikolaus
Sawicki. Modifica che aumentò le potenzialità del
Cannone adattandole alla visione ‘trascendente’
che aveva Paganini della musica.
Alla morte del Maestro venne rispettato il suo legato: lo strumento fu consegnato dal barone Achille
Paganini, figlio di Niccolò, al magistrato municipale di Città Migone e “contrassegnato con nastro
verde munito del sigillo recante l’arma Paganini.
Fu depositato in un armadio la cui chiave rimase
a mani del Barone Achille Paganini fino alla consegna ufficiale al Comune che non potè avvenire
prima a causa della mancanza di locale decoroso e adatto per la conservazione del prezioso
strumento”. Infine il locale fu trovato e il ‘Cannone’
cominciò il suo lungo sonno stregato.
Stregato perché un violino se non viene suonato
palcoscenici
muore. Per tenerlo in vita è necessario suonarlo,
così come è necessario indossare le perle per non
farle morire. E così una volta al mese per un lungo
periodo un violinista di fiducia della Municipalità
e sconosciuto ai più andava a ‘tener compagnia’
al Cannone.
Oggi il prezioso strumento – il cui valore è stimato
per difetto sui 10 milioni di euro – è custodito in
una teca blindata che assicura il microclima adatto a mantenere l’elasticità del prezioso, antico legno. Monitorato da una centralina hi tech, viene
costantemente tenuto d’occhio, giorno e notte.
La sua vernice, una delle più belle utilizzate dal
Guarneri, non è mai stata rilucidata e è ancora
bellissima nonostante Paganini suonasse senza
mentoniera. Il Cannone viene ancora suonato
una volta al mese per tenerlo in vita ma una volta
l’anno in occasione del Premio Paganini viene affidato alle mani del vincitore oppure, in occasioni
speciali, a grandi violinisti come Accardo. Poco
lontano dalla teca che custodisce il Cannone c’è
una copia realizzata dal liutaio parigino Jean
Baptiste Vuillaume nel 1828, copia che Paganini
cedette a al virtuoso genovese Camillino Sivori.
Sentir risuonare il Cannone, con il suo potente vocione, è un’emozione unica e chiunque abbia la
fortuna di aver ascoltato le musiche che nacquero
dalla mente di Paganini, chiudendo gli occhi riesce
ancora a immaginare la silhouette mefistofelica del
grande Maestro che è e resta imprescindibile dalla
linea di questo strumento. Perché Paganini e il Can-
none sono stati e sono tutt’uno, l’uno il prolungamento e il completamento dell’altro in un abbraccio che
ha prodotto musiche straordinarie e straordinarie
performances, ma anche sogni stregati. Paganini
aveva bisogno del Cannone, e il Cannone del maestro. Se per qualche motivo non veniva suonato,
appena Paganini lo prendeva in mano il Cannone rispondeva quasi risentito per l’abbandono: “il
violino – scriveva Paganini – sta con me alquanto
corrucciato”. Quel violino, che oggi dovrebbe costituire una delle più importanti attrattive culturali di
Genova, era davvero stregato. Viveva di vita propria, dava voce al Maestro e con lui colloquiava.
La musica che ne veniva sprigionata era una musica
immensa per la altissima qualità della composizione
e per la potente morbidezza del suono. Attorno a lui
e a Paganini mille leggende sono nate per non morire mai: come quella che racconta chi, passando
per vico della Gattamorta dove si trovava la casa di
Paganini (demolita nel 1979) dice di sentire ancora
il suono acutissimo del Trillo del Diavolo.
Leggende, stregonerie che non prescindono dal
Guarneri custodito nella sua bara di cristallo a Genova. Proprio perché Paganini non prescindeva da
quel violino che è stato così importante per lui e per
tutta la grande musica dell’Ottocento.
Non è un caso forse che nel suo testamento il maestro usò la parola ‘legare’ invece che ‘donare’:
“lego il mio violino alla città di Genova onde sia
perpetuamente conservato”. Legare è parola importante: deriva da una parola greca che significa
piegare, annodare. Come una stregoneria ‘lega’ una cosa a un’altra, un
evento a un altro. Ma la radice della
stessa parola viene dal sanscrito: una
parola che significa ‘abbracciare’.
Non semplicemente avere, o esibire
o possedere. Non costringere né piegare a una qualche volontà altra da
noi. Significa abbracciare. Un invito
per Genova e i genovesi, e non solo,
a abbracciare la memoria di uno dei
suoi grandi figli che è stato ed è tuttora protagonista della cultura musicale
non solo dell’Ottocento. E con lui questo straordinario strumento che di Niccolò Paganini è stato ed è la voce.
Pag. 30: spartito della Sonata per violino
solo di Paganini.
31
Orizzonti
Gianni Ratto, scenografia per “Al Grand Hotel”, testo e regia di Garinei e Giovannini,
con Wanda Osiris protagonista. Milano, Teatro Lirico, 3 novembre 1948.
32
palcoscenici
gianni ratto,
scenografo
"magico"
Si considerava un artigiano del teatro
e si adontava se qualcuno si rivolgeva a lui
con l’aulico appellativo di maestro.
di pietro boragina
E
ppure Gianni Ratto, scenografo-regista
di origine genovese di cui, quest’anno, si celebra il centenario della nascita, maestro lo è stato per davvero.
Non nel senso abituale del termine ma nella pratica
quotidiana di un mestiere che si “...andava facendo
ogni giorno con la massima professionalità possibile”. E con l’adeguata preparazione. Cosa, questa,
che non mancò mai di ricercare nel corso della sua
intera esistenza. “Il teatro, come tutte le altre attività
umane – aveva sostenuto al Convegno Nazionale
del Teatro che si era tenuto a Milano dal 18 al 20
giugno 1948 – per avere una ragione d’essere,
per dare soprattutto una ragione d’essere a chi se
ne occupa, va inteso e affrontato con spirito professionale, deve insomma, occupare tutto il tempo e
l’intelletto di chi ad esso si accosta...”.
Gianni Ratto era nato casualmente a Milano il 27
agosto del 1916. La madre, Maria Ratto, allora
ancora “studentessa” al Conservatorio di musica
Giuseppe Verdi, e, successivamente, apprezzata
musicista, era genovese. Il padre, “un dandy di provincia” come lo considerò sempre Gianni, all’epoca
era già sposato con due figlie. Non ricoprirà alcun
ruolo nella vita futura del figlio tanto che Gianni sceglierà il cognome della madre. Qualche anno dopo
la sua nascita, la “famiglia” fece ritorno a Genova.
Ed è proprio nella città ligure che Gianni compì non
soltanto gli studi ma frequentò alcuni personaggi
che avrebbero segnato la sua vita. A cominciare,
lui dodicenne, dall’incontro con quel genio del
teatro europeo che, all’epoca, dimorava in una villa
a Sturla e che si chiamava Edward Gordon Craig.
Gianni Ratto fu condotto in quella casa dalla madre, insegnante di musica di Nelly, figlia di Craig.
“A partire da quel momento – scriverà tempo dopo
– e nei molti altri che seguirono, dopo aver visto e
rivisto le incisioni, i disegni e i progetti, e timidamente ma anche sfacciatamente esposto qualche mia
opinione al loro autore, il mondo di Craig trasformò
la mia passione latente per il teatro, in un delirio in
cui forme e colori, superfici e volumi, luci e ombre,
si mischiavano in una fantasmagoria in cui nulla era
chiaro ma tutto era meraviglioso...”. L’altro importante incontro a Genova lo fece con l’architetto Mario
Labò e con suo figlio Giorgio, allora tredicenne. Era
il 20 maggio 1932 quando Gianni Ratto si presentò in piazza Colombo e suonò al campanello
di una abitazione. La casa era quella dell’architetto
che, qualche giorno prima, aveva pubblicato sul
quotidiano Il Secolo XIX di Genova, un annuncio
per cercare un giovane di studio.
33
Orizzonti
L’“apprendista” Ratto, grazie al lavoro con Labò,
colse subito quanto fosse essenziale coltivare i particolari. Dettagli propedeutici ad una professione
che, soltanto all’apparenza, poteva sembrare lontana dall’idea stessa di una manualità che si coniugava con i vertici di un esclusivo artigianato. Casa
Labò, all’epoca, era punto di riferimento culturale tra
i più vivaci a Genova. Vi convenivano architetti, intellettuali, artisti, e non soltanto genovesi, in rapporti
d’amicizia con Mario e Giorgio Labò: Gio Ponti,
Giuseppe Pagano, Gianluigi Banfi, Raffaello Giolli,
Giancarlo Pallanti, Franco Albini, Luigi Carlo Daneri, Eugenio Fuselli, Lucio Fontana, Francesco Messina, Arturo Martini, Sandro Cherchi, Enrico Ribulsi...
Quel giorno si apriva per Ratto, studente alla Scuola
d’Arte, un vero e proprio universo che, scoperto, gli
avrebbe cambiato la vita. Gianni Ratto considerò
Craig e poi Mario Labò i suoi più importanti punti
di riferimento. Con Mario Labò non solo lavorerà
ma manterrà rapporti strettissimi fino al 1961, anno
della morte dell’architetto. Le prime esperienze teatrali a Genova Gianni Ratto le fece in compagnie
filodrammatiche. Fra tutte quella del “Gruppo Artistico Fausto Maria Martini”, fondata nel 1933 dal
regista e attore Aldo Trabucco e dallo scenotecnico
Codda, con la quale Ratto debutterà come attore in
Nascita e vita di Luigi Falta di Sebastiano Ricciardi,
34
regia di Giocondo Faggioni, presentato ai Littoriali del teatro del 1936. Lo spettacolo, organizzato
dalla sezione genovese del GUF, andò in scena il 2
aprile 1936 al Teatro Paganini di Genova. Poi, la
guerra, lo porterà prima a fare il militare a Cagliari
e poi in Grecia. Ritornerà a Genova soltanto a guerra terminata e troverà la città sconvolta dai bombardamenti. Cerca i “vecchi” amici: Ribulsi, Pacuvio,
Codda, Trabucco, Castello, Galloni, Chiesa... Apprende della morte di Giorgio Labò, con il quale “la
notte uscivamo andando a passeggiare tra i vicoli
adiacenti il porto, inondati dal puzzo di orina di
gatto e ignorando le prostitute. Finivamo in qualche
osteria a bere vino, mangiando pane e formaggio,
parlando di arte e architettura”. Giorgio, studente di
architettura, dopo l’8 settembre scelse di entrare a
far parte dei GAP romani, gruppo che contrastava i
nazisti occupanti la capitale con attentati dinamitardi, bombe costruite assieme al chimico, Gianfranco
Mattei, in una casa di via Giulia. Scoperti per una
delazione furono entrambi imprigionati nel carcere
di via Tasso. Mattei, per paura di rivelare i nomi dei
compagni, si tolse la vita. Labò resistette alle torture
senza far alcun nome. Fu poi fucilato a Forte Bravetta il 7 marzo 1944. Ratto considererà il ricordo
dell’amico come la cosa più cara della sua vita.
Con la guerra i teatri genovesi avevano subito gravi
danni. “In pochi giorni a Genova – scrisse Giannino Galloni sulla rivista Arte e cultura “Genova” del
settembre 1949 – non rimase in piedi un teatro.
Politeama Margherita, Politeama Genovese, il Paganini, Il Giardino d’Italia, il Nazionale, il Falcone.
Tutto in aria, tra lingue di fuoco e nuvole di polvere.
Non restarono che quattro muri anneriti, collinette di
macerie e il Margherita con le occhiaie vuote dei
palchi, una sorta di Colosseo...”.
Nel fervore della rinascita culturale di Genova, sembrava potessero avere un ruolo importante il teatro e
i suoi interpreti, attori, registi, scenografi, autori. Nel
palcoscenici
tentativo di creare un organismo stabile di prosa a
Genova, vanno certamente ricordati Aldo Trabucco
e Enrico Bassano, che avevano dato vita alla Compagnia di Prosa Città di Genova che, con alterne
vicende, proseguirà negli anni. Ma ancor più significativo, nel 1944, in anticipo sui tempi, il pubblico
intervento di Gian Maria Guglielmino, allora giovane giornalista, collaboratore del “Giornale di Genova” e del “Corriere Mercantile”. In piazza Tommaseo al numero 7, dov’era la sede del dopolavoro
bancario, il D.I.C.E.A., per volere di Guglielmino,
nascerà quel Teatro Sociale,
poi Teatro Sperimentale Luigi
Pirandello, prodromo al futuro
Teatro Stabile di Genova. Elsa
Albani, Ferruccio De Ceresa,
Anna Bolens, Enrico Ardizzone, Alberto Lupo, Aroldo Capurro, Sandro Bobbio, Gian
Maria Guglielmino, Giannino Galloni, Aldo Trabucco,
Giulio Cesare Castello, Alessandro Fersen, Emanuele Luzzati, Nino Furia, Ivo Chiesa,
Pier Luigi Pizzi… precursori
dell’attuale Teatro Stabile.
Erano anni difficili. Anche se
i dibattiti sui futuri Teatri Stabili
erano un po’ ovunque in atto,
pensare di “fondare” un teatro
poteva sembrare un’impresa
ardua. Tre anni dopo la fondazione dello Sperimentale genovese, il 14 maggio 1947, sarebbe nato il Piccolo Teatro di Milano,
primo esempio di Teatro Stabile in Italia. E Gianni
Ratto che, dopo le prime esperienze con gli amici
genovesi, si era trasferito a Milano, sarà, in quella
occasione, al fianco di Paolo Grassi e di Giorgio
Strehler. Fu l’inizio di una lunga collaborazione fin
dal debutto con l’allestimento del primo spettacolo,
l’Albergo dei poveri di Mak’sim Gor’kij rappresentato al Piccolo di Milano il 14 maggio 1947. In
breve tempo, Ratto, grazie agli ottimi risultati ottenuti
col proprio lavoro e al proficuo sodalizio culturale,
anche se a tratti burrascoso, con Strehler, fu considerato uno dei più importanti e apprezzati scenografi
italiani. Assertore di una idea di scenografia che
fosse “personaggio” attivo dello spettacolo, frutto di
una unione di intenti col regista, Ratto sapeva creare
magiche atmosfere nel ridotto palcoscenico del Pic-
colo Teatro, sì da essere soprannominato “Il mago
dei prodigi”. Col suo lavoro di scenografo, e con
i suoi scritti, Ratto riuscì a conferire alla scenografia
una maggiore dignità e importanza. La scenografia
considerata quale presenza vitale nella complessità
dello spettacolo. Fu anche collaboratore del Teatro
alla Scala, del Maggio Musicale Fiorentino e di altre importanti istituzioni teatrali, lavorando al tempo
stesso con primarie compagnie teatrali. Convinto
che nella sua professione “tutto gli fosse utile” non
disdegnò di occuparsi delle scene e dei costumi
per alcune riviste musicali, tra
cui, su tutte, Al Grand Hotel
di Garinei e Giovannini con
Wanda Osiris protagonista.
Con Gianni Ratto la Wandissima scese le scale più lunghe
della sua carriera di soubrette. Al culmine della carriera,
seppur giovanissimo, agli inizi del 1954, Ratto decise di
lasciare l’Italia per trasferirsi in
Brasile “…alla ricerca di una
nuova erotica purezza teatrale…”. In Brasile Gianni Ratto
dispiegherà tutte le sue chance artistiche, riuscendo a creare e a dirigere teatri, a fare
l’attore, il regista, lo scenografo, l’insegnante, rinnovando
la scena teatrale brasiliana.
Pag. 34: Gianni Ratto, scenografia per “Il mago
dei prodigi” di Calderón de la Barca, regia di Giorgio
Strehler. Milano, Piccolo Teatro, 8 luglio 1947.
Gianni Ratto, scenografia per “Il servitore di due
padroni” di Carlo Goldoni, regia di Giorgio Strehler.
Milano, Piccolo Teatro, 24 luglio 1947.
Gianni Ratto, scenografia per “Il ratto dal serraglio”
di Mozart, regia di Ettore Giannini, costumi di Leonor Fini,
con Maria Callas protagonista. Milano, Teatro alla Scala,
2 aprile 1952.
In basso: Gianni Ratto (il primo a sinistra)
con Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi nel 1947.
Pag. 35: Gianni Ratto, scenografia per “La famiglia
dell’antiquario” di Carlo Goldoni, regia di Giannino
Galloni, con Lina Volonghi e Luigi Almirante.
Genova, Piccolo Teatro della Città di Genova,
piazza Tommaseo, 16 dicembre 1953.
Gianni Ratto, scenografia per “Lucia di Lammermoor“
di Gaetano Donizetti, direzione e regia di Herbert
von Karajan. Con Maria Callas e Giuseppe Di Stefano.
Milano, Teatro alla Scala, 18 gennaio 1954.
35
emozioni
36
sapori
croccante come
una nocciola
In Liguria “il” dolce di Natale
è il pandolce, ma ci sono altre
leccornie di stagione diffuse a livello
locale, a produzione familiare,
che a volte però soffrono la scomparsa
della materia prima tradizionale.
di gian antonio daLL'AGLIO
M
a non tutto è perduto quando
qualcuno decide di far rivivere le
antiche coltivazioni e di rimettere
in funzione una filiera produttiva
moderna nella forma ma tradizionale nella sostanza. È ciò che sta accadendo per le nocciole della
Fontanabuona. Il nocciolo è spontaneo nelle zone
collinari e di bassa montagna di tutta l’Europa a
clima temperato e le nocciole sono molto ricche
di vitamina E, fitosteroli e grassi monoinsaturi, utili
per abbassare il livello di colesterolo “cattivo” LDL.
L’amicizia tra il nocciolo e le genti fontanine data
da lungo tempo, certamente da ben prima di quel
5 novembre 1688 quando Nicolò Repetto, notaio
del Marchesato di Santo Stefano (d’Aveto), redasse
un atto che cita un tal Battistino Cuneo quondam
Andrea di Coreglia che affittava terreni dove si trovava “uno costo di nocciole”.
In Italia, seconda produttrice al mondo dopo la
Turchia, il nocciolo (Corylus avellana), è coltivato
intensivamente in Piemonte tra Langhe, Roero e
Monferrato, in Lazio nella provincia di Viterbo, nella Campania interna e in alcune zone della Sicilia.
I noccioleti aggrappati alle fasce della Fontanabuona e della valle Sturla non possono competere
per quantità con quelli delle – ottime, e ci mancherebbe! – varietà tipiche delle regioni succitate. Ma
dove non arriva la quantità può arrivare la qualità.
Giusto quindi che oggi qualcuno voglia far rinascere la tradizione della nocciola ligure, ridando
vita ai noccioleti dove per secoli si sono coltivate
numerose – circa ventiquattro – varietà di nocciole
di piccole dimensioni, riunite sotto la comune denominazione di “misto Chiavari”. Questo qualcuno
è l’associazione “Calvari insieme per la nocciola”
nata nel novembre 2015 per valorizzare questa
risorsa naturale ed economica, riprendere le tradizioni locali, proporre usi nuovi delle nocciole, ridar
fiato a una produzione agricola antica e incrementare la proposta turistica in questa valle che è un
po’ una “Cenerentola” rispetto ai territori limitrofi più
famosi (Tigullio, Cinque Terre, Val di Vara).
La nocciola delle valli chiavaresi è stata dimenticata
Tra i boschi di San Colombano Certenoli, un tempo
terra di noccioleti.
37
emozioni
dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando iniziarono a prevalere sul mercato le più grosse nocciole piemontesi e viterbesi. L’abbandono dei noccioleti non è stato solo una perdita economica ma
ha anche contribuito al dissesto idrogeologico di
questo territorio tutto a fasce e muri in pietra che ha
necessità assoluta della manutenzione umana per
non franare a valle. L’Associazione deve trovare i
proprietari dei terreni abbandonati e qualche agricoltore che voglia riprendere questa coltivazione
(pulendo il terreno, proteggendolo dai cinghiali, sistemando le fasce e i muretti crollati) e cercare aiuti
finanziari presso enti pubblici e privati. Non è un
lavoro facile anche perché a parole tutti sono contenti di questa attività, compreso il comune di San
Colombano Certenoli dove l’Associazione opera
e ha sede, ma... ma chi tira fuori i soldi necessari?
Qualcosa arriva dalla Comunità Europea tramite il
Piano di Sviluppo Rurale e si spera nei GAL (Gruppi di Azione Locale), il cui scopo – come si legge
nel sito del Parco Regionale dell’Aveto - è quello
di “realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato
delle economie e delle comunità rurali, compresi
la creazione e il mantenimento dei posti di lavoro”.
I GAL interessati allo sviluppo della corilicoltura (è
il termine tecnico) sono quello della Fontanabuona
e il VerdeMare che comprende i comuni delle altre valli del Levante genovese. Attualmente l’Associazione collabora con l’Azienda Agricola Fabio
Benvenuto che ha un noccioleto
in produzione sotto la borgata
di Romaggi, coltivato in maniera “biologica” anche se non ha
la certificazione ufficiale. Chi
conosce Romaggi però sa che
quelle colline sono molto liguri
(eufemismo per scoscese e ripide) per cui si vuole rimettere
in produzione un noccioleto
abbandonato in un terreno
pianeggiante tra Calvari e
il torrente Lavagna, che potrebbe diventar “didattico”
per le scuole e per chi voglia
apprendere e conoscere,
grazie anche alla collaborazione dell’Istituto Agrario “B.Marsano” che ha
una sede a 500 metri di
distanza. E di queste noc-
38
ciole, cosa ce ne facciamo? Ne facciamo un mucchio di cose buone... Ce le mangiamo così come
sono state raccolte, certo, ma non finisce qui: la trasformazione in prodotti di pregio avviene presso la
ditta Parodi Nutra di Campomorone, specializzata
nella produzione di olî vegetali “alternativi”, che ha
trovato interessante l’idea di produrre “il Parodi” olio
di nocciole liguri spremuto a freddo utilizzato sia
per usi alimentari(condimento utile in diete a basso
tasso di colesterolo) sia per uso benessere (massaggi rigeneranti) e per usi cosmetici (crema antirughe,
balsamo per le labbra...); costa più degli altri olî ma
se ne usa meno per via del suo sapore più intenso.
È simpatica la trasformazione delle nocciole in farina, con cui alcuni (pochi finora) ristoranti della valle
preparano pizze sfiziose e insolite. Come insoliti
sono il pesto di nocciole e il pane con le nocciole
tritate dentro. E poi i dolci: dalla collaborazione fra
l’Associazione e il forno Curotto di Lavagna escono
biscotti di pastafrolla e - grande successo - un dolce
che ha lontane parentele norvegesi (la socia che lo
ha inventato ha antenati “vichinghi”): cubetti di pandispagna con nocciole tritate ricoperti da una glassa di cioccolato; da gustare tiepidi con zabaione
e/o un vino passito tipo Sciacchetrà delle Cinque
Terre. La Cooperativa Agricola “Frantoio Oleario”
di Mezzanego produce Miss Nocciola, crema
spalmabile di cioccolato e nocciole locali. Certo,
queste produzioni artigianali hanno i loro costi, non
possono andare nei discount; sono destinati
a chi cerca la tipicità e
l’alta qualità nel cibo e ai
turisti che amano scoprire
le bellezze-e-bontà nascoste di cui grazie a Dio l’Italia è ricca.
In questo primo anno di
vita l’Associazione ha organizzato molti eventi; i
bambini delle elementari
liguri sono stati invitati a
inviare disegni dedicati
alla nocciola: graditissima
la collaborazione dell’Ipercoop I Leudi di Carasco
che ha fornito i materiali e i
premi. Altro evento carino è
stato organizzato per la Festa
della Mamma; buon successo
anche per un Percorso Relax
sapori
con massaggio di olio
di nocciola e crema
antirughe alla nocciola e degustazione di
tè verde aromatizzato
alla nocciola. Intensa la
partecipazione a feste
e sagre e ai mercatini
di Natale. L’Associazione ha partecipato a un
bando per un progetto
start-up over40 (per
imprenditori maturi, diciamo): non sa ancora
se il suo progetto verrà
finanziato però già la
partecipazione permette di farsi conoscere tra
le realtà del territorio.
Idee e speranze non
mancano: sarebbe bello convenzionarsi con gli alberghi della Riviera per portare gli ospiti a vedere
i noccioleti; è interessante il Mercatino dei Sapori
che si tiene una volta al mese a Chiavari ma possono partecipare solo i commercianti, le associazioni
culturali non sono ammesse; purtroppo la “nostra”
nocciola non la conosce nessuno, i turisti che vengono a Chiavari non ne immaginano l’esistenza. Si
vorrebbe avere qualche prodotto tipico, come un
cioccolatino alla nocciola e il dolce “norvegese”,
da vendere col marchio dell’Associazione e della
“Nocciola misto Chiavari”, ma occorre accordarsi
con una pasticceria che lo produca e che i costi
siano sostenibili; oggi i dolci alla nocciola che si
trovano a Chiavari sono prodotti con materia prima forestiera. Infine, l’Associazione nazionale delle
Città della Nocciola organizza il Nocciola Day a
metà dicembre; anche se San Colombano Certenoli non ne fa parte, si può ideare un Giorno della Nocciola nostrano per farsi davvero conoscere
nella valle.
Ma… e il dolce di Natale? Secondo l’Atlante Regionale dei prodotti tradizionali di Liguria si tratterebbe del torrone, ma le donne dell’Associazione
dicono che è molto più diffuso il croccante: è tradizione che le famiglie fontanine lo preparino nei
mesi da ottobre in avanti, quando le nocciole sono
state raccolte, pulite e tostate. Un dolce “povero”
ma nutriente e veloce da farsi; gli ingredienti sono
zucchero e nocciole “misto Chiavari”. Si prepara
stendendo l’impasto su piastre da forno o di marmo;
alcuni lo tagliano a pezzi e lo consumano poco a
poco; si conserva per qualche mese senza problemi e senza conservanti. Anche fino a Pasqua...
Ringraziamenti
A Gabriella Lagomarsino, Jeanette Bonzani e Monica
Molinari per la piacevole chiacchierata e le utili informazioni.
Indirizzi utili
Associazione “Calvari insieme per la nocciola”,
via Domenico Cuneo 59/1, 16040 San Colombano
Certenoli (GE)
tel. 388 401 9993, [email protected]
Sitografia
www.facebook.com/calvariinsiemeperlanocciola/?fref=nf
www.parodinutra.com
www.ilparodi.com
www.facebook.com/PanificioPasticceriaFlliCurotto/
https://m.facebook.com/pizzeriaRobertone-255799614511061/
www.frantoiooleario.it
www.lacompagniadeisapori.it
www.nocciolaitaliana.it
www.agriligurianet.it/it/vetrina/prodotti-e-produzioni/
frutta-ortaggi-e-piante-aromatiche/prodotti-tipici-frutta-orto/
item/200-nocciolo.html
www.agriligurianet.it/it/vetrina/prodotti-e-produzioni/
miele-ligure/prodotti-tipicimiele/item/386-torrone-dolcedofontanabuona.html
www.fondazioneslowfood.com/it/arca-del-gusto-slow-food/
nocciola-del-rosso/
www.parcoaveto.it
www.nocciolare.it
San Colombano Certenoli è un comune
di mille borgate rurali sparse tra boschi e pascoli.
39
emozioni
sapori
il mediterraneo
in un vino
“Il Vermentino deve vedere il mare”
dicevano gli anziani contadini.
E, infatti, dal Medio-Oriente e dalla
Spagna è arrivato fino alla Liguria.
Ecco il Ponente del Vermentino
(con una digressione per la Granaccia).
I
di danilo poggio
l Ponente ligure è una terra orgogliosa dei
suoi segreti, che si svelano soltanto lentamente a chi percorre con rispettosa curiosità le sue strade tortuose. A ridosso del
mare, ci sono straordinari tesori che si nascondono
subito dietro le montagne. E in questo patrimonio,
i rari (ma non rarissimi) vigneti raccontano un’antica tradizione di sapori, colori e profumi: nel corso
dei secoli, migliaia di contadini hanno lavorato una
terra difficile da coltivare, ma in grado di dare sorprendenti risultati inattesi. Pur con una storia importante, soltanto recentemente il Ponente enologico è
riuscito a farsi valere, a livello nazionale e internazionale: forse per ancestrale prudenza, i vignaioli
hanno atteso il momento giusto. Oggi il Pigato, il
vino bianco più tradizionale e importante di questa terra, è ben conosciuto e ha raggiunto un livello
qualitativo altissimo, frutto di esperienza, sperimentazione e un’ottima coniugazione tra saperi antichi e
tecniche moderne. In questo breve viaggio, ci soffermeremo su altri vini, altrettanto tradizionali ma forse
meno celebrati. In modo particolare, parleremo del
cugino del Pigato, quel semi-aromatico Vermentino
della penisola iberica. Dalle leggendarie origini
medio-orientali, dalla Spagna e dal Portogallo si
diffuse in Francia e poi in Liguria, per arrivare sino
alla Sardegna. Il vitigno Vermentino ama luoghi ben
soleggiati, soprattutto non lontani dal mare. Spesso
in collina, dove i terreni sono più asciutti, viene allevato in filari, con potatura piuttosto corta, ma ricca.
Invece in pianura, nei terreni profondi di alluvione,
vengono utilizzati maggiormente i pergolati. Il grappolo è di grandezza media, di solito cilindrico, con
peduncolo visibile ed erbaceo. Un’uva con acini
medio-grossi, tipicamente mediterranea e marina,
in grado di proporre un territorio attraverso i propri
profumi, distinguendosi di zona in zona. E il nostro
viaggio ha una “particolare luce femminile.”
AZIENDA AGRICOLA BIOVIO
Giobatta Aimone Vio è un omone grande e grosso,
ma che sa commuoversi, soprattutto se parla della
sua famiglia e della sua terra. Vive a Bastia d’Albenga, in un borgo che ha tutto il sapore del Medioevo,
in una casa che ne mantiene inalterata l’essenza.
Proviene da una famiglia che ha sempre coltivato
gli ortaggi più tradizionali della zona (dal pomodoro cuor di bue alle zucchine trombetta, dall’asparago violetto al carciofo spinoso), insieme a qualche
vigneto, su quelle colline che circondano la piana
41
emozioni
d’Albenga. Dal 2000, al posto di vendere l’uva,
produce vino direttamente e ha ottenuto parecchi
premi, fino ad essere proclamato ufficialmente dal
Gambero rosso “Vignaiolo dell’anno”, il primo produttore ligure a ricevere tale riconoscimento. Merito
suo, certamente, ma anche delle donne della sua
vita: l’effervescente moglie Chiara, e le determinate
figlie Caterina, Camilla e Carolina. Un quartetto al
femminile che è stato capace di dare serenità, ma
anche utilissimi consigli pratici. Giobatta Aimone
esprime l’amore per la sua terra attraverso il vino,
la produzione di erbe aromatiche, di olive e un particolare agriturismo “diffuso”, all’interno del borgo
medievale. Con un’attenzione particolarissima alla
coltivazione biologica, che inizia nel 1989 con l’uva: “Partendo da Bastia – racconta – nella Piana ingauna dove coltiviamo erbe aromatiche, risaliamo
lungo quella dolce vallata che segue il corso dell’Arroscia per giungere fino a Ranzo e alle terre alte della provincia di Imperia, dove lavoriamo da sempre
vigneti ed oliveti. L’uso di pesticidi, di diserbanti e di
concimi chimici non fa parte della tradizione locale
e noi non abbiamo fatto altro che continuare con le
abitudini del passato. Coltivare biologico non è una
scelta né tecnica né economica: è semplicemente
culturale. La percezione di quanto stiamo facendo,
comunicata in maniera semplice (più che altro con il
passaparola) ci ha permesso di ritagliarci uno spazio significativo nella produzione di qualità del comprensorio di Albenga ed oltre.” La sua produzione
di vini è piuttosto ampia: Pigato (in diverse versioni,
anche in criomacerazione, vinificato a contatto con
le bucce e passito) e poi Rosso Igt, Rossese e Granaccia. Il Vermentino porta il nome del suo autore
(Aimone), ed è vinificato in criomacerazione per 24
ore seguita da una pressatura soffice e fermentazione a temperatura controllata in vasche di acciaio.
La maturazione è di quattro mesi, cui si aggiungono almeno i due mesi di affinamento in bottiglia. Il
colore è giallo paglierino, con profumo di cedro
misto a pompelmo e una lieve mineralità marina.
Rispetto al Pigato è più erbaceo, con sentori di erbe
aromatiche che ricordano il timo, perfetto per antipasti, ma anche per vellutate. “I vini non nascono
per volontà del singolo ma della famiglia tutta. Il
nostro progetto principale è il continuo investimento
per migliorare sempre più il livello qualitativo delle
uve, moderando la produzione per ceppo. Crediamo che la qualità del vino si ottenga nel vigneto e la
si concretizzi in cantina.” Aimone è anche un fiero
42
sostenitore della collaborazione tra aziende: “Abbiamo realizzato una rete di venticinque produttori
per creare l’Enoteca regionale a Ortovero. Una volta sarebbe stato impossibile, ma ora siamo in molti
a credere nel territorio e nei nostri vini. E dobbiamo
molto a chi ci ha aperto la strada, come le Cantine
Calleri e Pippo Parodi”.
CASCINA FEIPU DEI MASSARETTI
Ed ecco l’azienda fondata proprio da Pippo Parodi.
Sempre nella piana d’Albenga, dove prima si producevano soprattutto ortaggi. Poi, durante gli anni Sessanta, ci fu il tentativo di vinificare in cantina, con un
percorso graduale che portò a una grande qualità,
apprezzata dallo stesso Veronelli. Pippo fu affiancato da una grande donna (un’altra grande donna,
in questo viaggio nel vino del Ponente), sua moglie
Bice, determinata ancora oggi, nell’accompagnare
le figlie Ivana e Brunella, con i mariti Gianni e Mirco, nella conduzione dell’azienda. A parlare sono
direttamente i sei ettari di terreno, in gran parte sul
livello del mare (“Siamo ad altitudine zero”) di natura sabbiosa/alluvionale (mentre la parte collinare è
di tipo argilloso/calcareo) coltivati soprattutto a Pigato, Rossese e Granaccia. La cantina ha una capacità globale di 900 ettolitri: la vinificazione per il
Pigato avviene sia con la criomacerazione sia con
la pressatura soffice, seguite dalla separazione del
mosto dalle bucce e la fermentazione a temperatura
controllata. Per i vini rossi (Rossese e Russu du Feipu)
si utilizza il metodo tradizionale della diraspatura
con fermentazione sulle bucce e rottura ripetuta del
cappello mediante rimontaggio e ossigenazione. In
tutto il processo di vinificazione vengono utilizzate
attrezzature in acciaio inox di recentissima introduzione, con metodologie e tecnologie aggiornate.
L’affinamento avviene parte in vasi vinari in acciaio
inox a controllo termico e successivamente in bottiglia prima di andare sul mercato. I quantitativi in
bottiglie sono oscillanti tra le 60mila e le 70mila,
che vengono distribuite in Italia ma anche all’estero, fino al Giappone. Cascina Feipu dei Massaretti
produce Pigato (anche in versione Riserva), Rossese,
un interessante rosso secco (il Russu du Feipu) e due
vini dolci con uve passite (Il Pippo e La Bice), oltre
a un altro prodotto estremamente caratteristico del
Ponente: la Granaccia. “Questo vitigno – spiega
Mirco – fino a pochi anni fa era coltivato soltanto
a Quiliano, vicino a Savona. Nel 2003 abbiamo
provato ad impiantarlo anche ad Albenga, con
sapori
ottimi risultati.” E così nasce la produzione di una
Granaccia in purezza, dal colore rosso rubino, dal
profumo intenso e persistente, fruttato di confettura
con sentore di liquirizia e dal sapore morbido e
asciutto. Viene vinificato in modo tradizionale, in
vasi di acciaio inox, con rimontaggi, ossigenazione e rotture del cappello giornaliere. La svinatura
avviene dopo sei/otto
giorni, con maturazione del 15% in botte di
legno. “È un vino rosso
importante, che garantisce una grande capacità di invecchiamento,
ma anche una piacevolissima facilità di beva.
Questo è uno dei suoi
punti di forza. All’inizio
si sentono soprattutto i
frutti di bosco, in particolare il lampone, per
poi giungere alle note di liquirizia dopo qualche
anno.” Per questa flessibilità, accompagna in modo
egregio un’ampia varietà di piatti, anche di pesce:
dallo stoccafisso in umido ai moscardini, dal pollo
o coniglio a taglieri di salumi e formaggi, magari erborinati. Ideale, poi, per una pietanza antica come
la capra con i fagioli.
AZIENDA AGRICOLA MARIA DONATA BIANCHI
Il viaggio prosegue sino all’entroterra di Diano Marina, nel cuore del Ponente, a Diano Aretino. In un
paesaggio dominato dagli ulivi, in località Valcrosa,
si trova una enclave dedicata alla vite. A guidarla,
da pochi mesi, un’appassionata giovane donna
laureata in enologia, Marta Trevia, discendente di
una famiglia che ha contribuito a scrivere la storia
del vino in Liguria. Già il bisnonno Emanuele aveva
intrapreso un primo commercio di vino, piantando
proprio un grande vigneto di Vermentino nella piana
di Andora, mentre il nonno Pietro “Rino” è ricordato
da molti per aver contribuito al progressivo miglioramento dell’enologia della regione. Oggi Marta
lavora con suo padre Emanuele, che negli anni
ha impiantato parecchi vigneti tra Diano Castello
e Diano Arentino ed ha costruito la nuova cantina,
modernissima, per vinificare i 4 ettari di proprietà.
“Nasco con un nonno che aveva una vigna – racconta Emanuele - un padre enologo, una moglie che
aveva una vigna (Maria Donata Bianchi, appunto)
e una figlia che fa l’enologa. Direi che era destino.
Una volta, però, era più difficile. Ora c’è più gente
che crede nel nostro territorio e finalmente stiamo
iniziando a fare squadra.” Il primo imbottigliamento
dell’azienda risale al 1977 e nel corso degli anni,
da una grande passione per la terra, declinata con
il rispetto della tipicità e dell’ambiente, sono nati vini
che hanno ricevuto molti
premi: “Non sono l’interpretazione personale
di tecniche di cantina,
ma rappresentano la rispettosa trasformazione
di un’uva, ricompensa
di quotidiane fatiche”.
Oggi produce un Pigato, il rosso La Mattana,
con Syrah e Grenache,
come il Bormano, e il
rosato Ines. Due, invece, sono le versioni di
Vermentino proposte. La prima è quella classica: i
grappoli raccolti esclusivamente a mano vengono
diraspati, pigiati e sottoposti a pressatura soffice.
La fermentazione avviene in vasche di acciaio inox
con controllo della temperatura e lieviti selezionati,
con una maturazione di 5-6 mesi in vasca e almeno
un mese di affinamento in bottiglia. Brillante giallo paglierino, ha profumo elegante ed ampio con
profumi di frutta gialla, ginestra e rosmarino e gusto
minerale con piacevoli note aromatiche. L’Antico sfizio, invece, è una scelta più originale, con una macerazione all’antica che dura cinque giorni e con
lieviti esclusivamente autoctoni. Con una maturazione di almeno nove mesi si ottiene un vino con maggior intensità di colore e di gusto, dal colore carico,
quasi ambrato e dal profumo con sentori di miele e
note balsamiche. “Ricorda un sapore antico – spiega ancora Emanuele – di un vino prodotto come
cento anni fa. Da parte della società, sarebbe necessario più rispetto per l’agricoltura. Il contadino è
l’unico che sa piantare un seme e poi raccogliere un
frutto. In qualche modo, collabora ogni giorno alla
creazione”. E la Liguria con il vino può fare ancora
molto: “Questa è una regione poco conosciuta sotto
questo aspetto – dice Marta – ma ha peculiarità
incredibili. In pochi chilometri, presenta una grandissima varietà e nel giro di poche ore si possono
incontrare paesaggi e territori molto diversi.
A tutto questo ho deciso di dedicare la mia vita”.
43
emozioni
Renata Minuto, “L’acquasantiera”,
olio su tela, cm. 120x100 ca.
(Quadreria del Gruppo Banca
Carige, Savona).
44
visioni
renata minuto
canta la "liguria
madre" tra savona
e roma
Dal 1957, data del suo esordio, ad oggi
sono centinaia le mostre, non solo in Italia,
che hanno visto Renata Minuto protagonista
per motivi d’ispirazione legati
alla sua terra di origine (Savona).
di silvia bottaro
A
llieva di Achille Cabiati in quell’ambito culturale che tra le Albisole e
Vado Ligure negli anni Cinquanta
- Sessanta del Novecento ha dato
lievito a molte personalità artistiche, grazie alle
stimolanti presenze da una parte di Arturo Martini e dall’altra di Tullio d’Albisola, un humus
dove la giovane Minuto ha saputo, poi, essere
personaggio di spicco restando se stessa, al di
fuori delle mode, ma seguendo il proprio talento
in cui l’attaccamento al paesaggio ligustico le
ha permesso di giungere ad opere anche intimistiche. I quadri dell’artista, vigorosamente plastici, lasciano trasparire la sua vena autentica,
concreta, ligure, scarna da orpelli, essenziale.
In questo modo le sue opere offrono, a chi le osserva, immagini ricche di luce, di aria, di sensazioni capaci di suscitare emozioni ed evocazioni degli aspetti silenti della nostra cultura, della
nostra terra: dai maestosi portali delle case nobili ai vecchi muri delle antiche abitazioni liguri, dalle chiglie delle navi alle lampare oggetto
quotidiano di lavoro della gente di mare. Renata Minuto non cerca, però, stucchevolmente di
far tornare il tempo perduto, anzi, dalla sua pittura si ricava la sensazione opposta: l’indagine
sul lavoro, sull’accadimento è un dato positivo,
attivo e vitale. In questo contesto vanno letti i
suoi quadri ispirati al mare, al porto, opere che,
comunque, travalicano il mero dato localistico
per divenire “colori di Liguria”. La pittrice sente
anche il legame sottile che esiste tra poesia e
pittura ligure, così come è evidente il suo amore
per la natia terra: “in questi angoli, in queste
case, in questi muri, in queste porte e finestre e
nei vicoli antichi c’è un amore sconfinato, uno
strenuo attaccamento al natio loco, al cielo, al
mare, alla poca terra, alle mutevoli luci, ai co-
45
emozioni
lori ed all’atmosfera di
una Liguria madre…”
(L. Pennone). Con “la
sua alchimia cromatica e materica …” (G.
Di Genova) sublima
l’oggetto, lo smaterializza dalla sua forma
geometrica, per arrivare a cogliere la luce
dei luoghi attentamente indagati. Così, le
catene dalla superficie
aspra, rugginosa, le
ancore pesanti ed antiche non sono soltanto
oggetti di questo variegato mondo del porto,
ma ci accompagnano in un viaggio nuovo, alla
ricerca del lavoro che si svolge nello scafo stesso: impegno millenario e faticoso, ma determinante per la nostra storia anche antropologica
e sociale.
Una pietra miliare del suo “percorso” d’artista
è stata senz’altro l’importante mostra “Savona
e i Della Rovere” (1985): una riflessione visiva
dei legami tra i papi Della Rovere e Savona,
un rinvenimento delle “tracce”, anche quelle
meno consuete, della radicata presenza della
rinascenza roveresca nel tessuto urbanistico e
culturale del suo territorio (dalla casa natale
di Giulio II alla Cappella Sistina savonese). Da allora l’interesse della Minuto per il
patrimonio della tradizione, della storia,
dei manufatti e delle
conoscenze è stato un
crescendo per arrivare
nel 1992 alla creazione di un itinerario
espositivo dedicato a
Cristoforo Colombo,
navigatore, uomo di
scienza: ricordo i “libri” di bordo e quelli
letti
dall’Esploratore
ideati con la ceramica, con le pagine logore dall’usura della
46
fatica e dello studio,
ma ricche di suggestioni, di malìa.
Un momento chiave
dello sviluppo del suo
lavoro artistico è stato
l’impegno della progettazione e, poi, realizzazione della sua
ceramica policroma
in alto rilievo riproducente l’effige della
Madonna della Misericordia che appare al
Beato Botta, collocata dal 1995 nei Giardini
Vaticani, opera pensata in Savona e realizzata presso la “Fabbrica Casa Museo Giuseppe
Mazzotti 1903” di Albissola Marina. Savona
ed Albissola Marina mi pare si possa affermare che sono, quindi, rappresentate ad altissimo
livello in Vaticano, risaldando, poi, il legame
della nostra Artista con Roma, grazie al suo rapporto culturale e di stima che ebbe con Mons.
Raffaello Lavagna, nato a Savona, che le affidò
l’incarico di realizzate tale monumentale pannello in ceramica policroma.
Il 10 maggio 1995, alla presenza di Renata
Minuto, del Sindaco di Savona Ing. Francesco
Gervasio e delle Confraternite di Savona e
di numerosissimi savonesi, papa Giovanni
Paolo II diede la sua
benedizione,
collocando questo emozionante lavoro nei Giardini Vaticani e Renata
Minuto divenne, così,
l’unica artista donna
presente in tale contesto. Nell’anno del
Giubileo della Misericordia, tale fatto appare ancora una volta
nella sua essenza più
vera tra arte, fede,
tradizione e messaggio di pace. La Minuto dalle pagine della
storia vuole trarre linfa
visioni
per continuare la sua
ricerca sugli uomini
per rendere un omaggio sentito a Savona
e porla, come merita,
tra le città d’arte italiane: Savona diede i natali a papa Sisto IV ed
a papa Giulio II, ebbe
come prigioniero napoleonico papa Pio VII
e nel suo tessuto urbano esistono memorie
legate a tali avvenimenti con opere d’arte, anche, di indubbia rilevanza come la
Cappella Sistina ed
il coro intarsiato del
Duomo di Savona, voluto dal cardinale Giuliano Della Rovere nel
1500, anch’esso fonte di ispirazione per la
Minuto.
Non si può dimenticare, inoltre, che nell’anno giubilare (2000) la
Minuto, che non ama le imprese facili, come un
vero “viaggiatore dello spirito” ha sondato l’istituzione del Giubileo attraverso l’intricata strada
dell’araldica dei Papi che dal 1300 in poi lo
hanno indetto. Prese vita, in tal modo, una nuova rassegna espositiva che nella suggestiva scenografia della Cappella Sistina di Savona (12
dicembre 2000 – 14 gennaio 2001) ci ha permesso di avvicinarci, attraverso una ideazione
singolare, a uomini e paesi europei di diversa
origine culturale: segnature, sigle, sigilli, matrici
araldiche, il tutto risolto dalla felice “epica” artistica della pittrice. Personalmente ho avuto la
fortuna di condividere almeno i momenti allestitivi relativi alle emozionanti mostre sopra citate
e debbo dire che è sempre stata una scoperta,
non solo dal lato dell’arte, osservare i lavori di
Renata Minuto, così ricchi di rimandi, di sollecitazioni intellettuali, di momenti di riflessione, di
moti di orgoglio nell’appartenere e sentire vivo
il territorio.
Dalla ceramica al vetro, dalla pittura più tradi-
zionale alle tecniche miste, Renata Minuto ha
sperimentato e continua a farlo con rinnovata
forza, curiosità, capacità indubbia tecnica il
suo legame con la città di Gabriello Chiabrera
e di Leon Pancaldo, ma anche di Santa Maria
Giuseppa Rossello, patrona dei figuli e dei ceramisti liguri, figura alla quale in un’intervista
al giornale “Letimbro”, fece riferimento riguardo alla realizzazione della sua Madre di Misericordia per i Giardini Vaticani affermando:
“Sì, possiamo quasi dire che quest’opera così
savonese è nata per intercessione della Santa
Rossello…”.
Renata Minuto, Lo stemma dei Della Rovere,
olio su tela, cm. 50x50 ca. (Quadreria del Gruppo Banca
Carige, Savona).
Pag. 46 in alto: Renata Minuto all’opera.
In basso: 10 maggio 1995, papa Giovanni Paolo II
benedisce il grande pannello ceramico di Renata Minuto
con l’effige della Madonna di Misericordia di Savona,
collocato nei Giardini Vaticani (AA.VV., Renata Minuto:
N.S. di Misericordia in Vaticano, Savona, 2015).
47
emozioni
L’Apocalisse, particolare della Croce Puri, Genova, Cimitero di Staglieno, 1948, cm. 47x39.
48
visioni
edoardo alfieri,
testimone eclettico
della scultura
del '900
La produzione artistica di Edoardo
Alfieri è stata oggetto di numerosi
e approfonditi studi da parte di esimi
storici dell’arte genovesi e non.
di maria daniela lunghi
C
on queste poche
righe intendiamo
riportare all’attenzione di tutti, anche dei “non specialisti”, uno
degli esponenti più interessanti
del panorama artistico italiano
del XX secolo.
“Il più magmatico e virulento degli scultori contemporanei”. La
definizione è di Rossana Bossaglia, una grande storica dell’arte
italiana1 che ha esaminato l’arte
del XIX sec. in tutti i suoi aspetti
definendo i confini del “Novecento”. Il riesame del periodo
coincidente col trentennio fascista e la sua rivalutazione si deve
soprattutto a lei, a Franco Sborgi, che ha dedicato alla scultura
ligure moderna parte della sua
Disperazione, bronzo, 1944,
cm. 69x31x25.
esistenza, a Sandra Solimano. A
Maria Flora Giubilei si devono
l’analisi completa, la ricostruzione
della formazione e dei contatti
culturali dello scultore. Edoardo
Alfieri nasce a Foggia nel 1913
a Bardineto, Asti, da un ramo collaterale della famiglia del poeta
Vittorio Alfieri. La prima formazione avviene a Genova, al Liceo
Artistico Nicolò Barabino, come
allievo di Guido Galletti2.
Nel 1929 partecipa alla Mostra del Sindacato regionale fascista delle Belle Arti della Liguria e vince il premio Rotary. Nel
’30 aderisce al gruppo futurista
ligure ‘Sintesi’. Nel ’32 si trasferisce a Milano.
Era il maggiore di tre fratelli e al
padre, un umile ferroviere, mani-
49
emozioni
festò il desiderio di studiare scultura a Brera. Francesco Messina aiutò lo studente squattrinato portandolo ogni giorno a pranzo a casa sua. Negli anni
precedenti al diploma, conseguito nel 1936, segue
gli insegnamenti di Messina e di Francesco Wildt
che organizza la Scuola del Marmo.
Concorsi, premi e qualche sconfitta si susseguono:
I° premio alla Mostra dei Littoriali di Roma nel ’35;
nel ’40 con il bassorilievo ‘La famiglia’ vince alla
XXII Biennale di Venezia… Il carattere difficile talvolta lo tradisce, alcuni progetti non vanno a termine.
Allo scoppio della guerra è chiamato alle armi ma
si unirà ai partigiani. Nel ’47 fa ritorno stabilmente
a Genova. Insegna al Liceo Artistico N. Barabino,
poi all’Accademia Ligustica e continua a scolpire
incessantemente tra grandi consensi. Sua è la statua di Colombo offerta dal Comune di Genova alla
città di Columbus, Ohio. Il gusto per la sperimentazione lo porta in campi disparati, sperimenta i più
disparati materiali. Due progetti per foulard eseguiti
nel 1953 per la MITA3 sono stati esposti nell’anno
in corso alla mostra della manifattura al Palazzo
Ducale di Genova4. Tra le cose da segnalare,
troppe, perché l’entusiasmo che comunica questo
artista è contagioso, ricordiamo che Eugenio Battisti aveva acquistato una sua opera: la scultura in
bronzo ‘Senza titolo’ del 1966, figura nella collezione Battisti donata, in seguito, al Museo d’Arte
Moderna di Torino5. Il modello per la fusione era
in polistirolo su anima di fil di ferro, lavorato con la
fiamma ossidrica.
Edoardo Alfieri muore il 23 marzo 1998 a Sanremo. Le sue creazioni sono conservate a Genova,
presso la Galleria d’Arte Moderna, al Museo di
50
Villa Croce, al Gabinetto di Disegni e Stampe di
Palazzo Rosso, al Museo dell’Accademia Ligustica.
Nel corso della vita aveva formato un “archivio”
costituito da una ricca gipsoteca formata da pezzi
di varie epoche e culture: dall’antico Egitto sino a
Donatello e Canova, passando per le formelle bronzee del portale di San Zeno di Verona6. La raccolta,
donata al Liceo N. Barabino, testimonia la varietà
di interessi, l’onnivora, quasi ossessiva, ricerca di
riferimenti di un artista che vuole dare solide fondamenta al proprio linguaggio. Numerose opere di
Alfieri palesano l’influsso di Henri Moore, conosciuto in occasione della grande retrospettiva tenutasi a
Firenze nel 19727. Dell’artista inglese apprezza, oltre il linguaggio innovativo, il dialogo che le sculture
intrattengono con la natura. I capolavori di Picasso
lasciano un segno, “Guernica” soprattutto col il suo
dramma concitato e i cavalli che scalpitano impazziti. I cavalli sono infatti uno dei temi ricorrenti dell’arte del XX sec., eseguiti in ogni tecnica, dal disegno
alla scultura, dalla pittura all’arazzo. Maestosi, docili, impennati e nitrenti, pronipoti dei magnifici esemplari dell’antichità classica. Alfieri li raffigura spesso
e con vari mezzi, compresa la ceramica.
Anche Arturo Martini, riconosciuto come il maggiore scultore del Novecento, amava questo soggetto.
Proprio con Martini Alfieri ha un rapporto problematico: ne è dapprima affascinato, in seguito se ne
allontanerà per trovare una sua strada che l’ombra
del gigante sembra sbarrargli. L’influsso di Martini
è imprescindibile per l’arte del Novecento e si coglie chiaramente nelle opere figurative del nostro. Le
fonti iconografiche, la padronanza della tecnica, il
pathos che comunicano sono in ogni modo simili.
visioni
Una profonda spiritualità è espressa in ogni opera
di soggetto sacro culminante nella serie di arredi
eseguiti per la chiesa di Avilla di Buia, presso Udine, tra il 1958 e il 1997. Fra le sculture destinate
a cappelle funerarie, oltre alle note tombe del Cimitero di Staglieno, ricordiamo i quattro bassorilievi
bronzei raffiguranti le stazioni della Via Crucis che
ornano i lati della facciata della cappella De Gregori nel cimitero di Camogli del 19388. L’edificio,
un parallelepipedo in marmo bianco di Carrara
aperto verso il cielo, fu progettato da Luigi Falconi,
le formelle delle vetrate sono opera del pittore futurista Elio Randazzo.
Il percorso di Alfieri che partecipa alle avanguardie del XX secolo, astrattismo compreso, senza mai
rinnegare l’eredità classica, il suo darsi generosamente, lo rendono degno di essere annoverato fra i
grandi che hanno dato lustro al nostro Paese.
Le sue eredi spirituali sono le gemelle Silvana e Stefania Maisano. Entrambe scultrici e allieve di Alfieri
conservano devotamente un archivio del loro maestro e ad esse devo notizie e avvenimenti qui riportati. Tra i documenti mostratimi una lettera datata
‘Firenze 6 maggio 1934 XII’, firmata da Maurizio
Tempestini. L’architetto, membro del Comitato Littoriali Arte e Cultura9, chiede una replica di un suo
bassorilievo per esporlo negli Stati Uniti.
Una seconda lettera, Milano 24 giugno 1936 XIV,
Francesco Messina, in veste di direttore della Reale
Accademia di Brera gli comunica l’assegnazione
del corso di scultura e un premio di 1000 Lire in
considerazione degli alti meriti dimostrati.
Un buffo aneddoto è riportato da una pagina del
Corriere del Popolo, 19 marzo 1948. Per i bozzetti
preparatori per la Croce con l’Apocalisse di San
Giovanni, destinata al monumento Puri di Staglieno,
lo scultore doveva disegnare dei cavalli. Occorrevano con urgenza dei modelli: trovarli e portali nello
studio di via Monticelli non era facile. L’artista convocò due militi dei Carabinieri che arrivarono sui
loro destrieri, entrarono nello studio – lo sconquasso
conseguente è motivo di risate per il giornalista – e
gli permisero di eseguire il lavoro. L’anno dopo lo
stesso giornale pubblica un articolo di Alfieri: “Ricordo di Gemito padrone del Vesuvio”. In esso Alfieri
parla, con commossa devozione, di Vincenzo Gemito che aveva conosciuto nel corso degli anni Venti10, in uno dei suoi soggiorni a Napoli. Al Museo
Nazionale di questa città ebbe modo di copiare le
sculture greche che vi sono conservate.
Ringraziamenti
A Silvana e Stefania Maisano per il prezioso contributo
augurando loro di poter proseguire con il massimo successo
l’attività artistica.
Bibliografia essenziale
F. Sborgi, La scultura a Genova e in Liguria, Vol. III, Il Novecento, Genova 1989.
Edoardo Alfieri, L’opera: 1929-1997, cat. mostra a cura di
F. Sborgi, Milano 1998.
Edoardo Alfieri 1913-1998, Scultore del Novecento, una
donazione per Genova, cat. mostra a cura di M. Fochessati
e M.F. Giubilei, Firenze 2008.
Note
1. Rossana Bossaglia (Belluno 1925 - Varzi 2013).
2. Guido Galletti (Londra 1893 - Genova 1977).
3. MITA, Manifattura Italiana Tappeti Artistici.
4. M. Fochessati, G. Franzone, La trama dell’arte, arte e design
nella produzione della MITA, cat. mostra, Genova Palazzo Ducale, 25 marzo-19 giugno 2016, ill. n.72, p.69 e 71.
5. Il Museo sperimentale di Torino, Arte italiana degli anni Sessanta nelle Collezioni della Galleria Civica d’arte moderna,
cat. mostra, Milano 1985, p.379.
6. Citazione, quasi un omaggio, alle formelle di S. Zeno sono
evidenti nei due bozzetti per le porte del Duomo di Siena.
7. Henry Moore, cat. mostra, Firenze Forte del Belvedere, 1972
8. ’La Madonna del Boschetto’, bollettino dell’omonimo Santuario di Camogli, n.11-12, 1939. Copia della lettera di richiesta
per la costruzione del monumento della famiglia De Gregori al
Podestà di Camogli, mi è stata gentilmente fornita dall’ Avv. G.B.
Figari. Notizie e foto del monumento in M. Fochessati, Edoardo
Alfieri 1913-1998 scultore del Novecento, cat. mostra, a cura di
M. Fochessati e M.F. Giubilei, Firenze 2008, p. 48-49.
9. Maurizio Tempestini, architetto e designer (Firenze, 19081960). I Littoriali erano Manifestazioni Culturali artistiche e sportive destinate ai giovani universitari svoltesi in Italia tra il 1932
e il 1940. Prevedevano convegni e concorsi sulle varie arti tra
cui la scultura.
10. F. Sborgi, Edoardo Alfieri, l’opera 1929-1997, cat. mostra, Genova, Villa Croce, Milano 1998, p. 23 e nota 3.
Pag. 50: Fede Carità,
bronzi, 1954,
h. cm. 99x25x22.
Il Risparmio produttivo,
bronzo, 1959, bozzetto
per Banca di Novara,
Genova, cm. 68x36,5.
Architrave, bozzetto,
bronzo, 1960,
cm. 20x17,5.
A fianco: la Croce
Puri, marmo, Genova,
Staglieno.
51
Echi gruppo carige
L
E MONETE RACCONTANO:
STORIE E TESTIMONIANZE
DALLA COLLEZIONE
DI BANCA CARIGE
UN APPUNTAMENTO STRAORDINARIO
PER “INVITO A PALAZZO” 2016
www.gruppocarige.it
in mostra anche una parte della più recente acquisizione, ovvero le bilance pesamonete e i pesi monetali, che
costituiscono un interessante complemento per far comprendere la realtà economica del passato.
Ovviamente il cuore della mostra è stato costituito dall’esposizione di un’antologia della produzione monetale
della zecca di Genova, dalle origini fino al 1814.
I fili rossi da poter seguire nella fruizione della mostra, indicati dagli stessi materiali esposti e dai pannelli di sala,
sono stati molteplici: dall’iconografia scelta nel tempo per
la monetazione della Repubblica di Genova, alla variazione di prezzi e salari e alla figura del mercante-banchiere genovese, fino all’imprescindibile legame della
produzione monetale di Genova il Mediterraneo medievale, comprese le emissioni delle “colonie” d’Oltremare.
E ancora le testimonianze del vivace mondo nobiliare
ligure in età moderna, quando nella regione sono fiorite
molte zecche in testa ai feudi locali ed alcune di esse
hanno prodotto anche dei “falsi di stato”.
Non sono mancate poi le informazioni sulla storia questa importante collezione patrimonio di Banca Carige
e sul modo di affrontare la lettura di una moneta.
Impreziosita dalla vista unica della città che è possibile godere attraverso le ampie vetrate della sala e dalle
spiegazioni di guide esperte e appositamente istruite, la
mostra è stata ben accolta ed ha avuto un buon successo
di pubblico, a dimostrazione che le monete raccontano
sempre qualcosa di interessante: basta saperle ascoltare.
La XV edizione di “Invito a Palazzo” è stata arricchita da una mostra dedicata alla raccolta numismatica
di Banca Carige, allestita all’ultimo piano della sede
centrale di Genova. L’esposizione ha avuto lo scopo
di far scoprire - o far riscoprire - la rilevanza storica e la
capacità narrativa, oltre che il pregio artistico di questi
splendidi materiali.
Si è cercato così di porre in risalto le mille storie che
questi manufatti metallici, spesso anche di piccole
dimensioni, potevano e possono ancora raccontare,
come anticipato dallo stesso titolo. Spesso, infatti,
parlando di moneta, il pensiero corre al suo valore
economico, ma bisogna ricordare che in passato essa
era anche un potente mezzo per veicolare idee: un
mass medium per eccellenza, perché realizzata in materiale durevole e per sua natura destinata alla circolazione. Non solo: essa poteva avere anche un valore
simbolico, talvolta legato ad aspetti religiosi o rituali,
oltre che politici. Nella mostra si è cercato dunque di
far parlare le monete di questi temi, optando per un
allestimento semplice e al contempo efficace per indirizzare le informazioni, tanto per gli appassionati e gli
Monica Baldassarri
studiosi del genere quanto per “non addetti ai lavori”.
Daniele Ricci
Per tali motivi si è scelto
di esporre solo una parte della ricca collezione
(circa 1/4), cercando di
costruire un percorso che
aiutasse il pubblico più
ampio possibile a capire
meglio l’oggetto-moneta.
Sono stati inoltre selezionati i pezzi caratterizzati
da particolarità significative dal punto di vista storico o storico-artistico e
altri di una certa rarità, in
modo da poter offrire a
tutti la possibilità di poterli ammirare ancora una
volta. Infine si è colto
Pag. 53: Genovino in oro fine XIII secolo, Collezione Banca Carige.
l’occasione per mettere
Stradivari in Banca Cesare Ponti.
52
da 5 Doppie del 1647 venduto nella stessa asta al
doppio della stima, 43.920 euro. I collezionisti sono
interessati a vendere? “No, è un mercato per appassionati che preferiscono comprare”. Il panorama internazionale dei compratori alle aste numismatiche
è cambiato. Se prima i protagonisti erano europei,
inglesi, tedeschi, francesi e italiani negli ultimi anni si
sono aggiunti con forza gli americani, i cinesi, i giapponesi e gli indiani player che hanno messo in campo
anche fondi di investimento, che non disdegnano di
avere in portafoglio qualche esemplare numismatico
top su cui speculare. Cosa interessa maggiormente?
“Le monete antiche romane e greche. Rappresentano
la storia dell’umanità: le civiltà orientali sono molto
affascinate da questi oggetti”.
Roberta Olcese
M
ONETE ALLA CASA
D’ASTE BOLAFFI DI TORINO
L’ultima frontiera per gli investitori? Il mercato delle monete. Quando sono antiche e in ottimo stato di conservazione possono raggiungere qualsiasi risultato. Un
record recente che ha fatto palpitare i collezionisti è
stato battuto lo scorso giugno a Torino dalla Casa
d’aste Bolaffi. Quando un esemplare da 12 Doppie e
1/2 del 1641 della zecca di Genova è stato aggiudicato per una cifra potremmo dire “fuori mercato”,
ben 122mila euro da una stima di 70mila. Le Dodici
Doppie e 1/2 d’oro sono un tipo di moneta considerata “d’ostentazione”: venivano coniate non per circolare sul mercato ma per essere donate alle personalità
in visita a Genova nel Cinquecento e nel Seicento. Le
monete di rappresentanza hanno un diametro superiore alle altre, in questo caso ben 5 cm. La moneta
genovese è stata oggetto di un’aspra contesa in sala
e alla fine se l’è aggiudicata un collezionista straniero. Nessun problema per ottenere l’export “perché nei
musei italiani sono presenti altri esemplari”. Spiega
Gabriele Tonello esperto di monete per Bolaffi. E in
asta, se ne vedono? “L’ultima vendita di un esemplare
come questo risale agli anni ’80, troppo lontano per
fare un confronto di prezzo”. In realtà non esiste un
fuori mercato, perché i risultati li fanno proprio i compratori. “Pensavamo che le monete genovesi fossero
in declino, invece c’è molto interesse, abbiamo avuto
in ben due casi recenti dei risultati sorprendenti, sia
per la dispersione di una collezione che poi per una
selezione di pezzi” continua e cita subito un altro top
lot proveniente dalla zecca di Genova, l’esemplare
V
IOLINO
IN BANCA CESARE PONTI
La sede milanese in Piazza Duomo di Banca Cesare
Ponti si è trasformata la sera del 15 dicembre in una
raffinata sala da concerto. Il Maestro Francesco De
Angelis, primo violino di Spalla del Teatro alla Scala,
accompagnato dalla violoncellista Livia Rotondi hanno
eseguito un’applauditissima selezione di brani tratta
dall’Huit Morceaux di Reinhold Glière. Il noto violinista
ha suonato per l’occasione lo Stradivari “Lam - ex Scotland University” 1734 della collezione Eva e Arthur
Lerner-Lam esposto al Museo del Violino di Cremona.
L’iniziativa nasce da una collaborazione tra Banca Cesare Ponti col Museo del Violino, volta ad offrire una
vetrina come la sede milanese di Piazza Duomo a quelle realtà che testimoniano l’eccellenza e la creatività
del made in Italy. Al termine del concerto, nel corso del
brindisi natalizio, il presidente Cesare Ponti e il Direttore Generale Daniele Piccolo con la dirigenza di Banca
Ponti hanno salutato il numeroso pubblico presente.
53
Echi gruppo carige
I
L VICEPRESIDENTE
E L’AMMINISTRATORE
DELEGATO DI BANCA CARIGE
PARTECIPANO ALL’OSSERVATORIO
PROVINCIALE PER IL CREDITO
E L’ECONOMIA DI SAVONA
Lo scorso 9 novembre il Vicepresidente di Banca Carige,
Vittorio Malacalza, e l’Amministratore Delegato, Guido
Bastianini, hanno partecipato a Savona, presso la sede
dell’Area Territoriale Ponente di Banca Carige, ai lavori
dell’Osservatorio Provinciale per il Credito e l’Economia.
Presieduto dal Dottor Luciano Pasquale, l’Osservatorio
è composto da personalità rappresentative del sistema
economico della provincia di Savona, in tutto 18 realtà
tra Associazioni professionali e di Categoria, portatrici
di interessi collettivi. L’Osservatorio monitora costantemente l’andamento e le istanze del tessuto economico
savonese e rappresenta il punto di riferimento per l’attività del Gruppo Banca Carige su un territorio che lo vede
come primo partner di imprese (33% degli impieghi bancari) e privati (20% degli impieghi totali erogati dal sistema bancario in provincia). Nel corso della riunione è
stata approfondita e dibattuta l’analisi della congiuntura
economica locale illustrata dal Direttore di Area, Alessio
Berta. Lo studio ha confermato come poli trainanti per il
territorio il turismo e la logistica, ambiti a cui l’istituto di
credito sta guardando con un interesse particolare. Nel
dibattitto sono intervenute diverse Associazioni di categoria – dagli Agenti Immobiliari, agli Albergatori, agli
Artigiani, agli Agricoltori – tutti rappresentando istanze
ed esigenze di un tessuto economico fatto da piccole
www.gruppocarige.it
e medie imprese. Proprio a queste si è rivolto l’Ad Bastianini ricordando come Carige abbia nelle PMI il proprio interlocutore ideale ed abbia la volontà di orientarsi
sempre più al servizio e a sostegno di questo settore.
Un segmento che anche il Vicepresidente Malacalza ha
dichiarato fondamentale per il territorio. “Carige crede
nel territorio e nelle sue potenzialità – ha detto Vittorio
Malacalza – e, nel caso specifico della Liguria, crediamo anche che piccolo sia pure bello. Perché noi liguri
siamo sì piccoli ma anche attivi, creativi, innovativi. Se
riusciremo a far dialogare un modo intelligente e innovativo di fare banca con uno stile altrettanto innovativo
e intelligente da parte delle nostre imprese, sono sicuro
che la Liguria possa avere un futuro importante”.
A
CCORDO DI COLLABORAZIONE
TRA L’UNINDUSTRIA SAVONA
E BANCA CARIGE
Banca Carige e l’Unione degli Industriali della Provincia
di Savona hanno siglato il 26 dicembre un accordo di
collaborazione volto a promuovere ed agevolare l’accesso al credito del sistema produttivo savonese, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Consulenza
finanziaria personalizzata ed una nuova relazione tra
banca e impresa sono i due cardini dell’intesa sottoscritta
dal Presidente dell’Unione Industriali, Elio Guglielmelli, e
dal direttore dell’Area Ponente di Carige, Alessio Berta.
“L’accordo con l’Unione Industriali della Provincia
apre la strada ad un nuovo modo di fare banca –
ha commentato Alessio Berta – La nostra attenzione
va in particolare alle tante piccole imprese che, pur
esprimendo delle eccellenze sotto il profilo produttivo e del
know how, spesso a
causa delle proprie
dimensioni non sono
dotate di una direzione finanziaria interna.
Carige da oggi mette
a loro disposizione un
consulente dedicato,
un professionista del
settore creditizio che
dall’esterno accompagnerà le aziende, rendendosi disponibile a
supportarle con con9 novembra 2016: incontro dell’”Osservatorio Provinciale
per il Credito e l’Economia di Savona”.
cretezza ed efficacia”.
54
dallo scorso agosto
ha più volte colpito le
popolazioni del Centro Italia. Alla vigilia
di Natale il Presidente
di Banca Carige, Giuseppe Tesauro, e l’Amministratore Delegato,
Guido Bastianini, hanno consegnato la cifra
nelle mani del Direttore
della Fondazione Auxilium-Caritas di Genova, Luigi Borgiani, alla
presenza del Cardinale Arcivescovo Angelo
Incontro tra i vertici Carige, le Associazioni di Categoria e le Istituzioni di Carrara.
Bagnasco. Alle prime
drammatiche notizie
ARRARA: MALACALZA
dell’evento sismico, il Gruppo Banca Carige si è imE BASTIANINI INCONTRANO
mediatamente attivato per agevolare la raccolta fondi
GLI ENTI LOCALI E
tra i propri clienti aprendo un conto dedicato, esente
LE ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA da commissioni e spese, con un’iniziativa pubblicizzata
da una campagna informativa sul sito internet e presso
Si è svolto il 14 dicembre a Carrara, presso la sede tutte le filiali del Gruppo. La risposta della clientela è
dell’Area Levante, un partecipato incontro tra il Vicepresi- stata generosa e non si è limitata, come talvolta avviedente di Banca Carige Vittorio Malacalza, l’Amministra- ne, all’onda emotiva dei giorni successivi al disastro. La
tore Delegato Guido Bastianini e il mondo delle imprese, raccolta presso gli sportelli Carige è infatti costantemengli Enti locali, le Associazioni di categoria e gli Ordini te cresciuta nel corso delle settimane, fino a toccare in
professionali. Le realtà rappresentative del tessuto eco- questi ultimi giorni i 100mila euro. La Banca ha deciso
nomico e istituzionale locale hanno espresso ai vertici di integrare la cifra raccolta con una propria donaziodella Banca le proprie istanze e le attese nei confronti di ne, portando a 150mila euro la somma donata alla
Banca Carige, erede naturale della Cassa di Risparmio Caritas di Genova impegnata nel sostegno alle popodi Carrara, e considerata quindi la banca di riferimento lazioni delle zone sismiche. “La Caritas è attiva fin dalle
del territorio. Un privilegio ma anche una responsabilità, prime settimane dopo il sisma nell’opera di ricostruziocome è emerso dal confronto con le categorie produttive, ne del tessuto sociale che è stato travolto insieme ai
che implica per Carige un forte impegno nell’area carra- centri abitati, alle attività economiche e alle infrastrutture
rese. Il legame con la provincia toscana più prossima alla – spiega Luigi Borgiani, direttore della Fondazione AuLiguria, come sottolineato da Malacalza e Bastianini, è xilium-Caritas di Genova –, il nostro impegno è rivolto
peraltro testimoniato dalla presenza di una rete operati- soprattutto all’assistenza alle famiglie che non hanno più
va capillare che comporta una conoscenza diretta della un tetto e a creare luoghi di aggregazione e punti di
realtà e delle esigenze locali. Una relazione che Banca riferimento per chi ha perso davvero tutto. È un lavoro
Carige intende intensificare nei prossimi mesi col rilancio che andrà portato avanti ricostruendo i siti distrutti ma
commerciale a cui il gruppo sta lavorando.
soprattutto la speranza e la fiducia nel futuro di tante
persone”. “La bella risposta che i nostri clienti hanno
ENTOCINQUANTAMILA EURO
dato in questa occasione – commenta il Presidente di
PER LE VITTIME DEL TERREMOTO Banca Carige Giuseppe Tesauro – dimostra quanto sia
ancora forte e vivo il senso di solidarietà nella società
Banca Carige insieme ai propri clienti ha donato per italiana e come una banca radicata come Carige sia
Natale alla Caritas diocesana di Genova la somma di una risorsa che dà forza e valore a quanto di meglio
150mila euro, destinata alle vittime del terremoto che esprime il nostro territorio”.
C
C
55
notizie in pillole
di guido conforti
G
ASA,
DOLCE CASA
Le periodiche indagini svolte da
Eurostat circa l’inclusione sociale
delle giovani generazioni mostra
un ampio divario tra i Paesi europei sui tempi di permanenza
presso la famiglia di origine.
In particolare, nella fascia di età
che naturalmente si pone al termine degli studi universitari (25-29
anni), rispetto a una media nella
UE a 28 Stati del 39,9% di giovani che ancora vivono insieme ai
genitori, si passa dal 68,6% della
Slovacchia, il 67.7% della Croazia e il 65,1% dell’Italia al 4,1%
della Danimarca, il 5,4% della
Finlandia, il 5,7% della Svezia.
In questa statistica il permanere
della residenza nella casa familiare è del 58% in Spagna, del 30%
in Germania, del 22,7% in Gran
Bretagna, del 17% in Francia.
S
ODDISFATTI A
LIVELLI PRE-CRISI
Secondo le rilevazioni dell’Istat,
il grado di soddisfazione delle
famiglie italiane circa le proprie
condizioni di vita è tornato ai livelli del 2011, precedente la crisi dei debiti sovrani. Il giudizio
degli italiani è particolarmente
favorevole per quanto riguarda
il sistema di relazioni familiari o
amicali, per il proprio stato di salute e per la gestione del tempo
libero, ma gli indici di gradimento sono tornati a salire anche per
ciò che riguarda il lavoro e le
proprie condizioni economiche.
La soddisfazione decresce con
l’aumento dell’età, con le eccezioni dei “giovani adulti” (35-44
anni) e “giovani anziani” (65-74
anni) che si dichiarano più a proprio agio delle fasce di età immediatamente precedenti.
Diminuisce la percezione del
rischio da criminalità presente nella zona in cui si abita. Le
emergenze percepite sono altre:
sporcizia, inquinamento, inadeguatezza del trasporto pubblico.
56
S
HARING
ECONOMY
Durante la IV edizione di Shareitaly è stato diffuso un censimento delle piattaforme operanti in
Italia dedicate alla condivisione
di beni e servizi, che nel 2016
sono arrivate a quota 138, in
particolare dedicati al settore
dei trasporti (18%), dei servizi
alla persona (16.6%), del turismo (12%), della cultura (9%) e
dei servizi alle imprese (8,7%).
Nel campo affine del crowdfunding le piattaforme attive in Italia
sono salite a 68.
U
N ANDROIDE
PER GEMELLO
Il 24 novembre Hiroshi Ishiguro
dell’Università di Osaka ha presentato all’auditorium del Macro
(il museo di arte contemporanea
di Roma) Geminoid, un androide costruito con i suoi stessi tratti
somatici.
A differenza della sua copia
umana, l’androide non invecchia e così la copia presentata
a Roma è in realtà la quarta versione di Geminoid, a partire dal
2004.
C
RISI
E INNOVAZIONE
La crisi economica incide sugli
investimenti delle imprese in processi di innovazione.
In base alla periodica rilevazione dell’Istat nell’ambito della
Community Innovation Survey,
risulta che nel biennio 20122014 la percentuale di imprese
con almeno 10 addetti che ha
svolto attività finalizzata all’introduzione di innovazioni è scesa
dal 50.1% al 44,6%.
Il fenomeno riguarda essenzialmente le piccole imprese (-8%)
rispetto alle medie e soprattutto
le grandi, per le quali gli investimenti in innovazione costituiscono una componente strutturale
del proprio modello organizzativo.
In termini quantitativi, il complesso degli investimenti in innovazione di prodotto e/o di processo nel periodo è stimata in 23,2
miliardi di euro nel 2012 (-4,3%
rispetto al 2012).
M
ISERICORDIA
ET MISERA
Nella lettera apostolica pubblicata al termine del Giubileo,
Papa Francesco ha disposto affinché divenga permanente la facoltà per i sacerdoti di assolvere
quanti hanno procurato peccato
di aborto, poiché “non esiste alcun peccato che la misericordia
di Dio non possa raggiungere e
distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre”.
L
AVORARE
PER L’ARTE
ArtReview ha stilato la classifica
delle cento persone più influenti
nel mondo dell’arte.
Al primo posto Sheika Al-Mayassa, presidente del QMA (Qatar
Museum Authority) che ha in
dotazione un budget annuale di
circa 1 miliardo di dollari, con
l’obiettivo di trasformare il Qatar
in un polo artistico di primo livello nel contesto internazionale.
In graduatoria seguono galleristi
e direttori di musei.
P
RIMO 2000
IN CAMPO
Moise Kean, nato a Vercelli da
genitori ivoriani, è il primo calciatore nato nel 2000 a debuttare in serie A, durante la partita
Juventus-Pescara del 20 novembre 2016.
(1)
Performance Benchmark: +6,61%
Performance Benchmark: +5,38%
(2)
Dalla parte delle persone
da sempre
Messaggio pubblicitario con finalità promozionale.