COACHING PER L`ECCELLENZA

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COACHING PER L`ECCELLENZA
Ideogramma cinese “Ascoltare”
CODESIGN ORGANIZZATIVO
di G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
potenziamo persone e organizzazioni
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche,
intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo.
I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.
CODESI GN ORGANIZZATIVO
Far accadere cose nelle organizzazioni
di Giulia Bussi, Alberto Carpaneto,
Pierpaolo Peretti Griva
E’ possibile surfare sulla complessità insita in un’impresa, invece che
scomporla nelle sue parti? Si può trovare un punto di equilibrio fra
interessi aziendali ed esigenze di affermazione e riconoscimento di chi
vi lavora? Possiamo coniugare senso della gerarchica e partecipazione
nei processi decisionali? La risposta è sì, secondo il codesign
organizzativo, un metodo di intervento nelle organizzazioni basato
sull’integrazione dei diversi attori interni al sistema azienda. Le pagine
che seguono raccolgono le esperienze di Mida nella coprogettazione e
delivery partecipata dei processi di business, di sviluppo organizzativo,
di management delle risorse umane. L’ideogramma è suddiviso in
quattro parti: la prima inquadra la storia e il modello complessivo del
codesign, la seconda e la terza entrano nel merito della metodologia, la
quarta presenta alcuni casi aziendali emblematici.
2
Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
Il codesign organizzativo:
precedenti e presupposti
Uno sguardo al di fuori delle aziende …
Il codesign non si afferma casualmente nelle aziende. Se,
come crediamo, rappresenta una corrente “profonda” della
contemporaneità e una risposta alla complessità crescente
del mondo, i suoi precedenti sono da cercare anche altrove,
al di fuori delle pratiche e teorie di management. Le aziende
hanno recepito e amplificato, a partire dal primo decennio
del 2000, una tendenza trasversale che nel frattempo si era
già manifestata in contesti molto diversi. Ne indichiamo tre,
fra i molti possibili: il design, l’information & communication
technology, le scienze sociali.
Dagli anni ’80 del secolo scorso nel design industriale
emerge la corrente del UCD, User Centered Design, che
teorizza e pratica l’importanza fondamentale di coinvolgere,
nel processo di progettazione di prodotti e beni, l’utilizzatore
cui quei prodotti e beni sono destinati. Si passa da una
filosofia progettuale centrata sulla figura del designer e
sull’industria committente a una partnership fra l’esperienza
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di chi pensa e crea l’oggetto di design e chi lo acquista e
usa. Si prova a mostrare prototipi di oggetti a gruppi o
singoli utilizzatori (tramite focus group, interviste,
questionari) per raccoglierne reazioni e suggerimenti.
Negli anni ‘90 il design dei servizi imprime un’ulteriore
evoluzione a questo approccio progettuale. Il punto di vista
dell’end-user è considerato in modo nuovo, non in un
ambiente simulato, ma nel contesto sociale e fisico in cui
avviene la transazione cliente-fornitore, come proposto per
esempio in Gran Bretagna da Hilary Cottam1. Attraverso
strumenti di indagine più sofisticati (come l’osservazione
partecipata, lo shadowing e così via) si vuole intercettare
non solo l’esigenza esplicita dell’utente rispetto alle
caratteristiche del servizio, ma i suoi bisogni latenti.
Il mondo dell’ICT è stato antesignano nell’abbracciare
approcci e pratiche di codesign. A partire dal 1980, con il
progressivo decollo del mercato di massa dell’informatica
distribuita, della telefonia mobile, dell’entertainment
elettronico, la usability irrompe nella progettazione software
e hardware con i lavori pionieristici del team Star di Xerox2 e
i contributi innovativi di Jakob Nielsen 3. Attualmente lo
sviluppo di applicazioni, pagine web e devices avviene
sempre più in Beta release. Il processo di sviluppo è
compresso e non ultimato, per anticipare la disponibilità sul
1
Cottam H. et alii, RED Paper 02 Transformation Design, London, 2006, Design
Council
2
Smih et alii, “Designing the Star User interface”, Byte, 7 (4), 1982
3
Nielsen J. "Coordinating User Interfaces for Consistency", San Francisco, 1989 e
successive, Morgan Kaufmann Publishers
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mercato della tecnologia, commercializzata appunto in
versione Beta. I successivi aggiornamenti sono il risultato
dell’interazione con la comunità degli utilizzatori, grazie
soprattutto a strumenti di intelligence indiretti (la tracciatura
digitale dei clienti consente di acquisire dati sui percorsi
d’uso, funzioni più scaricate, accessibilità ecc.). L’altro fronte
è costituito dal diffondersi dell’Open source, che supera la
logica proprietaria del software e che conta oggi migliaia di
progetti sviluppati grazie alla collaborazione volontaria di
utenti finali o di programmatori professionali (vedi i casi
molto noti di software come Firefox, VLC o di sistemi
operativi come GNU, Android e Linux).
Nelle scienze umane (in particolare sociologia,
antropologia culturale, scienze del territorio) la riflessione
sulla partecipazione sociale riprende vigore nell’ultimo
decennio del secolo scorso, senza la forte connotazione
ideologica degli anni ‘60-‘70. L’interesse è rivolto ai temi del
cambiamento sociale e delle decisioni pubbliche visti come
processi che nelle società complesse richiedono, oltre al
ruolo istituzionale dello Stato e della sua burocrazia,
l’“inclusione” di altri soggetti: le imprese e le professioni, i
cittadini, l’associazionismo locale. Uno dei contributi più
rilevanti è venuto dall’antropologa italiana Marianella Sclavi.
I suoi studi, noti a livello internazionale4, hanno avuto il
merito di liberare le pratiche di partecipazione pubblica da
4
Vedi per es. Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili, Milano, 2003, Bruno
Mondadori
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un’impostazione politica e di fondarle dal punto di vista
metodologico, applicandole ad ambiti molto diversi come lo
sviluppo urbano, la tutela ambientale, la salute pubblica, la
scuola. Si è costituito così un corpus di metodi e tecniche
molto ampio5, che includono dispositivi per l’ascolto del
contesto, strumenti di problem-setting e di dibattito, tools
per la composizione dei conflitti.
Le caratteristiche del codesign organizzativo
In quale formula il codesign ha trovato crescente diffusione
nel contesto delle imprese negli ultimi dieci anni? In base
alla nostra esperienza di consulenti, il “corporate codesign”
si caratterizza per quattro aspetti:
1) è focalizzato sullo sviluppo e cambiamento
organizzativi: è una metodologia allo stesso tempo di
change e project management, efficace in tutte le
situazioni in cui si vuole far evolvere il sistema-azienda,
migliorare le sue performance, fare innovazione. Non
serve il codesign organizzativo se si tratta di preservare
l’efficienza ed efficacia di processo raggiunta, ripetere cicli
standard di lavoro, mantenere a regime l’organizzazione;
2) si basa su una visione sistemica dell’organizzazione,
considerata in particolare come un network strutturato
di stakeholder (costituiti da attori interni ed esterni al
5
Per una panoramica completa in lingua italiana vedi L. Bobbio, A più voci, Napoli,
2004, Edizioni Scientifiche Italiane.
6
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sistema-azienda) il cui coinvolgimento aumenta l’efficacia
e le probabilità di successo di un progetto. Il principio di
fondo è semplice; un’attività a progetto ricca e articolata
non ha un’ownership unica: è “di proprietà” della
committenza (in genere il management, il vertice
aziendale), di chi lo gestisce (i membri del project team,
le funzioni interne che hanno “voce in capitolo”), ma
appartiene anche ai suoi destinatari interni (chi ne
usufruirà o lo applicherà nell’organizzazione) ed esterni
(fornitori, consulenti, e ovviamente clienti);
3) fa riferimento alla prospettiva dell’open management,
per cui conviene ed è più efficace superare l’approccio
tradizionale di forte controllo gerarchico e tecnocratico
per intercettare la ricchezza di talenti, know-how e valore
potenzialmente presenti in ogni organizzazione. Per fare
ciò, si scala la “piramide dell’engagement”, si attivano
modalità di collaborazione e scambio fra i diversi attori
aziendali di intensità crescente6:
- WATCHING: a questo livello il coinvolgimento è
minimo, le persone sono messe al corrente, informate
di quanto avviene,
- SHARING & COMMENTING: in questo caso si mettono
insieme le conoscenze disponibili e c’è ampio ricorso al
feedback e al contributo critico,
6
Cfr. Charlene Li, Open Leadership, San Francisco 2010, pagg. 58 e segg.
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- PRODUCING: a questo livello il coinvolgimento porta
ad un’ampia delega nel produrre soluzioni e contenuti
da parte delle persone,
- CURATING: la partnership è completa, è normale che
le persone si sentano responsabilizzate rispetto a
obiettivi condivisi e collettivi e si attivino
spontaneamente nel farsi carico delle responsabilità;
4) si applica a una gamma amplissima di contenuti e
questo rappresenta un elemento apprezzato di flessibilità
e plasticità della metodologia. In pratica, come vedremo
più avanti, consente di gestire progetti:
- direttamente collegati al business (sviluppo del
prodotto/servizio, marketing-mix, strategie
commerciali, processo di vendita)
- di macro e micro cambiamento organizzativo (BPR,
revisione di strutture e ruoli, start-up di nuove unità,
fusioni e incorporazioni, sviluppo di sistemi qualità,
controllo di gestione, sicurezza del lavoro)
- focalizzati sul fattore umano (processi di gestione del
personale di ogni tipo, implementazione di nuovi
modelli di leadership, avvicendamento nel
management).
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La metodologia di intervento
Quando e perché scegliere il codesign
Nella nostra esperienza sono tre i casi principali in cui i
vantaggi di questo approccio sono massimizzati, il che non
esclude ulteriori possibilità di applicazione:
1) gestione di progetti in senso stretto (out-put definiti,
timing definito, coordinamento di risorse)
2) eventi aziendali di impatto (workshop, inaugurazioni e
lanci commerciali, iniziative di comunicazione interna)
3) situazioni nuove o di forte discontinuità con il passato
(mutamenti organizzativi rilevanti, fusioni e
incorporazioni, nuovo management, …)
Quali sono invece i vantaggi generati dal codesign, le
ragioni per adottarlo nelle organizzazioni?
Il codesign non è ovviamente una “ricetta organizzativa” di
sicuro successo o una bacchetta magica che risolve tutti i
problemi di un’azienda. I suoi limiti e potenziali rischi sono
intuibili: può non essere coerente con la “velocità” e
l”urgenza” di cui l’azienda ha bisogno (i risultati arrivano ma
non sono immediati, richiedono una costruzione graduale e
per step), può generare più know-how ed esperienza di
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quanta il sistema aziendale riesca a metabolizzare, può far
nascere aspettative da parte delle persone che dopo sono
difficili da soddisfare.
La sua crescente diffusione e attualità deve tuttavia far
riflettere con attenzione sui vantaggi che genera; il codesign
può creare valore per l’azienda e i suoi attori da almeno
quattro punti di vista:
1) genera output di qualità
Quanto realizzato grazie al codesign è spesso originale, di
elevato valore tecnico, accurato e del tutto coerente con le
caratteristiche ed esigenze dell’azienda; il fatto che il
codesign valorizzi e non nasconda la pluralità presente in
ogni organizzazione si traduce in diversità delle fonti di
competenza, ricchezza di informazioni, varietà degli approcci
professionali. L’apertura alla pluralità consente anche di
contenere il rischio di errore, in quanto è un "sistema" con
ampi margini di autoregolazione;
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2) rafforza l’elasticità organizzativa
Oltre a diverse soft skills (team working, problem solving,
lavoro per obiettivi, pianificazione, efficacia comunicativa,
ecc.) viene allenata una capacità oggi fondamentale per le
persone e le organizzazioni: saper lavorare
indifferentemente con un assetto organizzativo strutturato e
di tipo funzionale (quello che serve in tempi correnti) o con
un assetto per progetti (che per natura sono temporanei,
reversibili, meno strutturati, interfunzionali);
3) alimenta la condivisione “calda” della conoscenza
Un effetto spesso indiretto è la diffusione, scambio,
emersione di know-how ed esperienza che, come è noto,
non sono distribuite in modo omogeneo nelle organizzazioni;
in particolare il codesign favorisce la messa in comune della
conoscenza tacita, il sapere e saper fare posseduto dalle
persone e non “ingegnerizzabile”, non formalizzabile con
facilità;
4) agisce positivamente sul clima interno
Un codesign ben fatto porta “aria fresca”
nell’organizzazione, incrementa un bene fondamentale per
un’azienda: la fiducia organizzativa e la voglia di fare; le
persone si sentono veramente stimolate a realizzare
qualcosa, a cooperare, ad affrontare positivamente
situazioni conflittuali; va sottolineato che l’impatto positivo
sul benessere organizzativo si trasmette in genere oltre i
confini del progetto e dell’intervento in quanto “viaggia”
sulle reti informali che legano le persone di un’azienda
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(passa parola, scambi “peer to peer”, socialità nelle pause
del lavoro, …).
Le condizioni di successo
La nostra esperienza suggerisce che quattro fattori
rendono efficace il codesign organizzativo e ne garantiscono
in buona parte il successo:
1. COMMITTENZA PRESENTE E
2. ASPETTATIVE ESPLICITE DI
ATTIVA
RISULTATO
2. VALORE EFFETTIVO DEL
3. RICONOSCIMENTO DELLE
PROGETTO
PERSONE
Ovviamente molti altri aspetti condizionano la riuscita di un
progetto di miglioramento e sviluppo (la qualità delle
persone coinvolte nel project team, il clima interno e la
situazione complessiva dell’azienda, l’interferenza di altri
progetti e priorità aziendali, i carichi di lavoro, ecc.), ma
siamo convinti che quelli indicati possano fare veramente la
differenza.
1) La committenza. E’ fondamentale che l’intervento sia
voluto e sostenuto da un decisore aziendale. A seconda
del livello e complessità del progetto, può trattarsi del
vertice, del manager a capo di una Funzione o Divisione,
del Responsabile di un’unità organizzativa. Il suo ruolo è
fondamentale per dare credibilità all’iniziativa, per
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chiarirne il significato e i vantaggi attesi, per garantire
adeguatezza fra risorse e fini organizzativi. In genere il
committente non partecipa direttamente al lavoro di
progettazione, ma di fatto svolge una funzione
insostituibile durante tutto il codesign. Non si limita a
supportarlo e sostenerlo nella fase di lancio, è presente
nei momenti di monitoraggio intermedio, è accessibile e
disponibile nelle fasi critiche e di fronte alle inevitabili
difficoltà, svolge una funzione centrale quando il lavoro
progettuale termina e si tratta di mettere a frutto gli
output prodotti. Senza sponsorship, il codesign
organizzativo non può che impigliarsi nei mille lacci
organizzativi, perdere slancio, generare poco valore ed
essere dimenticato presto.
2) Il risultato atteso. Non si dedica mai abbastanza tempo
ad esplicitare che cosa si dovrà ottenere con il codesign
organizzativo. Ma aspettative e obiettivi di chi?
Certamente del committente, che ha deciso di varare il
progetto. Ma non solo. Una delle peculiarità del codesign
organizzativo è di conoscere, mappare e integrare i punti
di vista e gli interessi dei diversi soggetti coinvolgibili.
Cosa pensa e che cosa si aspetta la Linea? E i clienti
interni? E gli operativi che gestiranno a valle quanto
progettato? Un intervento di codesign parte infatti, come
sarà chiaro nel prossimo paragrafo, da una fase di
“ascolto e diagnosi organizzativa”. Il suo obiettivo è fare
emergere le aspettative e le percezioni sia a livello più
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“tecnico” e razionale (si tratta di fissare gli indicatori di
risultato o KPI e di formulare i risultati in modo tale che
siano verificabili se non misurabili a fine progetto) sia a
livello più profondo (la “pancia dell’organizzazione”, per lo
più silenziosa, dove alloggiano ansie e frustrazioni,
desideri nascosti e vere motivazioni, conflitti o alleanze,
aspettative di riconoscimento).
3) Il valore del progetto. Il contenuto, il “che cosa”
dell’intervento deve essere realmente nelle corde
dell’azienda, coerente con la strategia in atto, sostenibile
per le strutture e sensato per il tipo di cultura
organizzativa. Ma soprattutto deve essere percepito
dall’organizzazione come effettivamente dotato di
importanza, come la risposta a una sfida, come la
soluzione a un problema rilevante. A questo proposito in
genere riscontriamo come consulenti tre situazioni
diverse. Il primo caso è quello più semplice: l’azienda ha
circoscritto il progetto, che è frutto di un’analisi interna e
che ha le caratteristiche di senso e valore che sopra
ricordavamo. Più frequente è il secondo caso, in cui c’è
un progetto da sviluppare, ma non è chiaro a quale
problema o opportunità voglia rispondere; il lavoro di
project-setting preliminare porta allora a chiarire o
modificare sostanzialmente il progetto proprio perché lo
“sfondo organizzativo” (l’insieme di esigenze dei vari
portatori di interessi) alla fine risulta essere stridente con
quella iniziativa. Infine, non è raro il terzo caso: lo sfondo
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è ben chiaro, cioè c’è consapevolezza di quali sono le
necessità aziendali, ma non è messa a fuoco la figura in
primo piano: fuor di metafora, non si sa quale progetto
attivare oppure ne esistono diversi fra loro concorrenti.
4) Il valore riconosciuto alle persone. E’ tanto
importante “dare valore” al progetto quanto “potenziare”
le persone. Un codesign ben riuscito genera
empowerment nei protagonisti. Non serve
necessariamente lavorare sulla motivazione estrinseca
(dare incentivi retributivi, offrire status e carriera,
celebrare i successi) ma su quella intrinseca, come ha
messo molto bene in luce Daniel Pink7, identificando tre
leve motivazionali.
La soddisfazione e l’engagement si liberano se le persone
possono esercitare discrezionalità e scegliere
(autonomia), se sono nelle condizioni di affermare e
affinare le proprie competenze (senso di padronanza) e
se hanno la possibilità di elaborare il senso e il valore del
proprio compito (scopo).
7
Pink Daniel, Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita,
Milano 2011, Etas Libri.
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Il ruolo della consulenza
Una breve considerazione sul contributo della consulenza
negli interventi di codesign organizzativo. Noi non siamo
quasi mai gli “esperti” del mercato in cui opera l’azienda
cliente, dei suoi processi e prodotti. Il cliente ne sa molto di
più! I veri esperti sono dunque all’interno
dell’organizzazione. La consulenza, da questo punto di vista,
non si sostituisce al cliente nel prendere decisioni tecniche,
nel risolvere problemi progettuali, nel mettere in atto piani
di azione. Detto in altre parole, nell’organizzazione ci sono le
risposte e le risorse per affrontare la sfida che si è data,
un’impresa è in grado di risolvere i problemi che incontra o
che essa stessa genera. La consulenza svolge una funzione
complementare, mettendo a disposizione un altro tipo di
competenza, non di contenuto ma di metodo:
- sa gestire il processo “sociale” alla base del codesign
- ha un “occhio esterno” e allenato all’analisi e al feedback
- è in grado di supportare l’azienda nello sciogliere nodi,
superare momenti di impasse, comporre conflitti
- è esperta nel costruire dispositivi e contesti per
l’apprendimento
- aiuta a presidiare tempi, carichi di lavoro, a coordinare
risorse.
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Le fasi del processo di codesign
Ciascun progetto di codesign è un’esperienza a sé e non
segue un copione già scritto. Esiste comunque una sequenza
standard di fasi e modalità consolidate di intervento, che
possono adattarsi a progetti molto semplici e brevi o a
progetti di alta complessità e lunga durata. Qui presentiamo
una versione completa di codesign, che si può adattare
facilmente ad applicazioni più snelle.
1. DISEGNO DEL PROGETTO
Il codesign ha una fase preparatoria, che non è
“esterna” al progetto, ma è già essa stessa
codesign. Fin dall’inizio emergono alcune chiare
differenze rispetto ad altri approcci, che
riguardano non tanto il “cosa” (l’impostazione del
progetto), ma il “come” (le modalità coprogettuali
di lavoro).
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Gli obiettivi della Fase 1 sono in genere questi:
- identificare il ruolo e il contributo delle risorse coinvolte
(committenza interna, protagonisti diretti del progetto,
risorse in appoggio esterno e clienti interni, management
di linea e funzioni aziendali, …)
- coinvolgere questi soggetti, chiamandoli da subito a
disegnare il progetto fin dai suoi passi iniziali
- accertare la fattibilità del progetto (su quali contenuti,
output prodotti e risultati attesi, compatibilità con altri
investimenti e carichi di lavoro).
Le metodologie impiegabili possono essere …
- Ascolto organizzativo tramite 360°
(tecnica di raccolta qualitativa di informazioni e percezioni
utile per fotografare lo status quo aziendale tramite
interviste individuali e di gruppo a soggetti diversificati,
approccio che consente di ricostruire la “rappresentazione
che l’azienda ha di se stessa” in modo plurale e
policentrico)
- Open Space Tecnology
(metodologia di interazione e discussione pubblica ideata
da Harrison Owen, particolarmente adatta quando il
progetto non ha ancora un oggetto definito e le opzioni di
contenuto sono varie; consente la partecipazione di un
numero ampio di persone, da poche decine a diverse
centinaia)
- Town meeting e altri dispositivi deliberativi (incontri in
plenaria a tema con la partecipazione fisica dei vari
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soggetti coinvolti nel progetto, in analogia al suo utilizzo
storico come forma di democrazia deliberativa in USA,
che consente non tanto l’analisi di dettaglio del progetto,
ma la sua presentazione e la decisione in merito ad
aspetti rilevanti e strategici; una versione tecnologica del
TM, l’Electronic voting system, consente di votare in
diretta attraverso un software e un semplice telecomando
individuale collegato in rete wifi).
Le attività tipiche della Fase 1 sono:
1. selezione del progetto fra i diversi possibili
2. costituzione dello Steering committee (il team che
esprime la committenza dell’intervento) ed
eventualmente del Project team (se si ritiene utile avere
un gruppo di coordinamento operativo)
3. benchmark con altri progetti aziendali di change
management (le lezioni apprese)
4. scelta dei partecipanti del team di lavoro che gestirà
operativamente il progetto (in base alle dimensioni
dell’intervento possono essere ovviamente anche più di
uno).
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2. LANCIO INTERNO
Molto spesso si avverte la necessità di comunicare
il “calcio di inizio” del progetto all’interno
dell’azienda. Anche in questo caso la
comunicazione non è qualcosa di separato dal
resto del progetto, non è il puro trasferimento di
un contenuto informativo, ma è un’altra modalità
per fare codesign, che arricchisce, modifica,
sviluppa l’intervento.
Gli obiettivi della Fase 2 possono essere:
- celebrare l’avvio del progetto con i suoi protagonisti
rinforzando l’importanza e l’engagement
- precisare il master plan dell’intervento (output attesi,
tempi, ruoli interni, risorse e budget)
- raccogliere feedback dal resto dell’azienda.
Le metodologie più frequentemente utilizzate in questa
Fase sono …
- Brown Paper (metodo di coprogettazione e generazione di
idee in team di origine anglosassone che consente di
visualizzare graficamente il contenuto dell’intervento su
foglioni precisandone con un lavoro partecipato il flusso di
fasi, oppure la risk analysis, l’albero operativo dei
contenuti, la lista e pesatura degli obiettivi)
- Straight forward o altri dispositivi di project planning (il
primo è un processo che consente di sviluppare un
progetto attraverso 4 passaggi: analisi dei dati di
partenza, gallery of ideas con presentazione di
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ipotesi/soluzioni, matrice payoff costi/benefici per
selezionare le ipotesi migliori, piano di azione per passare
all’operatività)
- Forum e altri dispositivi web 2.0 (i forum sono in genere
ambienti digitali di confronto e scambio informali cui sono
abilitati pubblici specifici, che possono anche coincidere
con tutto il personale di un’azienda o limitarsi ai
partecipanti al progetto; sono più efficaci, informano più
velocemente e sono meno gerarchizzati rispetto a
modalità più tradizionali come newsletter, email, giornali
aziendali).
Le attività tipiche della Fase 2 sono in genere:
1. meeting di lancio con i partecipanti e/o le diverse figure
coinvolte nell’intervento di codesign
2. meeting di lavoro per il project management di dettaglio
3. avvio e successiva gestione degli strumenti di
comunicazione interna.
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3. TEAM WORKING
Una volta che il progetto è stato avviato, è
inevitabile dotarsi di modalità di lavoro più snelle,
affidando la parte operativa con ampia delega a
uno o più project team. Questa fase risponde in
pieno allo spirito del codesign, perché si svolge
secondo due modalità tipiche:
a) ogni team di progetto è un’entità a sé stante e
autonoma, ma è al centro di una “rete”
organizzativa (la committenza, le funzioni
aziendali coinvolte, il project team, …) che
all’occorrenza fornisce supporto, mette a
disposizione risorse, sponsorizza internamente
l’iniziativa; ciò non accade per caso, è il
risultato di tutta l’attività di sviluppo in
codesign descritta nelle Fasi 1-2 e che ora
dimostra tutta la sua utilità pratica;
b) ogni team di lavoro è pienamente
responsabilizzato rispetto agli obiettivi, riceve
la delega più ampia possibile rispetto alla
cultura dell’azienda e alla seniority dei suoi
membri: in un contesto del genere è difficile
resistere alla voglia di fare bene, di mettersi in
gioco, di contribuire …
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Gli obiettivi della Fase 3 sono per lo più i seguenti:
- arrivare al miglior output progettuale grazie a un team
eterogeneo per professionalità e ruoli
- favorire un’esperienza stimolante di cooperazione fra i
suoi membri
- offrire un’occasione di apprendimento sul campo
intensiva, mirata e multi-tasking (su molte capacità e
molti contenuti tecnici).
La metodologia più frequentemente impiegata è il Project
system learning, una forma di action learning in gruppo
sviluppata da Mida negli ultimi anni, che utilizza i progetti
aziendali per generare apprendimento rendendo esplicite e
consolidando le competenze allenate (gestionali e
organizzative, di relazione e comunicazione, di innovazione e
pensiero strategico). Centrale è l’esplicitazione e
condivisione del duplice all’obiettivo del team-working:
quello di lavoro (l’output), e quello di apprendimento (lo
sviluppo di competenze). Il ruolo del consulente che
partecipa al lavoro del team non è sostitutivo, ma di
supporto attraverso:
- feed-back in diretta in base all’osservazione dal vivo
- momenti specifici di analisi dei “passi avanti” fatti a livello
individuale e di gruppo
- brevi pillole formative su metodi e tecniche di
management o di comportamento organizzativo.
Le attività tipiche di questa Fase 3 sono:
1. sessioni di lavoro in team facilitati dal coach
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2. sessioni di lavoro svolte dal team
3. momenti di formazione on the job e consolidamento degli
apprendimenti con il coach
4. incontri di SAL (Stato Avanzamento Lavori) con la
committenza.
4. DIFFUSIONE DEI RISULTATI
Capitalizzare quanto fatto, utilizzarne gli output,
diffondere l’esperienza e il know how accumulato
sono scelte normali quando un progetto aziendale
ha successo. Il codesign offre anche in questo
caso alcune modalità per far sì che questo accada.
Gli obiettivi della Fase 4 sono in genere legati a:
- fare un bilancio del progetto (output prodotto e
apprendimento generato)
- modellizzare l’esperienza per renderla applicabile ad altro
- riconoscere il merito di chi ha contributo al successo.
Le metodologie impiegabili variano in base agli obiettivi …
-
Audit dei risultati
(L’approccio completo prevede:
1) la valutazione tecnica e di contenuto del progetto con
la committenza
2) la valutazione sullo sviluppo delle competenze
individuali, affidata non al processo standard di
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performance evaluation, ma ad alcune interviste con i
responsabili diretti delle persone coinvolte a distanza di
2-3 mesi
3) la valutazione di gradimento condotta con i
partecipanti durante una seduta finale di lavoro del
team di progetto con la consulenza)
-
Knowledge Management “caldo” (strumenti che
consentono di memorizzare, rendere disponibile e
diffondere l’esperienza viva del progetto con l’uso di
linguaggi e mezzi evocativi e allo stesso tempo ricchi di
contenuto: contributi video con brevi interviste ai
protagonisti, diario di bordo redatto dagli stessi
partecipanti, book di progetto, …)
-
Workshop a tema (un progetto di codesign si presta
particolarmente a un momento di celebrazione finale e
di comunicazione attraverso una giornata conclusiva con
la partecipazione di chi spesso ha lavorato molto e bene
per portarlo a termine).
Le attività tipiche di questa Fase sono:
1. presentazione e restituzione alla committenza dei
progetti sviluppati dai team e loro validazione
2. momento di lavoro conclusivo con il team in cui si
analizza l’esperienza fatta
3. analisi di quanto appreso in termini di metodo con la
Direzione Risorse, il Project Team
4. messa a disposizione dei documenti di progetto
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5. verifiche a distanza di qualche mese con la linea (feedback sul miglioramento della prestazione e sullo
sviluppo di maggiore competenza).
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Storie di codesign
Raccogliamo, tra le diverse esperienze
consulenziali di codesign, tre interventi
emblematici per l’uso della metodologia e per i
temi affrontati.
Il primo caso riguarda un’azienda di servizi alle
prese con lo sviluppo del proprio business.
Il secondo caso descrive un intervento di
miglioramento organizzativo in un’azienda della
grande distribuzione.
Il terzo esempio ha per protagonista una public
utility del settore elettrico che ripensa il sistema
aziendale di valutazione delle performance.
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1ª storia - Creatività e innovazione per lo sviluppo del
business …
Un’azienda del settore media operante su più canali (carta,
voce e internet), dopo anni di crescita e di leadership nel
proprio settore, si trovava in un momento di rallentamento
del business, ormai maturo, e di contrazione delle quote di
mercato ad opera di nuovi player internazionali.
In questo scenario diventava vitale trovare nuove soluzioni
per presidiare le quote di mercato e stimolare l’espansione
del business. Di qui la richiesta a Mida di un supporto in
questo processo di cambiamento e innovazione.
Fin da subito sembrò evidente che il primo passo era capire
bene la situazione di mercato per poi costruire una nuova
vision, ideare la strategia di crescita e quindi implementarla.
Con il Board decidemmo di non procedere con un approccio
top-down, ma di attivare un processo di co-design creando
un management team formato dalla Direzione Generale, dai
manager delle Business Units e dai manager delle varie
funzioni di staff, per un totale di 12 persone.
L’obiettivo era quello di garantire una maggiore attivazione
dei manager nel processo, una riduzione delle resistenze al
cambiamento e una forte valorizzazione di idee e
competenze già presenti in azienda. Da qui il ricorso al codesign proprio per realizzare un cambiamento evolutivo e
non traumatico, fonte di engagement per le persone e
guidato da una leadership coerente ed empowerizzante.
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
Il progetto si sviluppò nell’arco di un anno circa di lavoro,
attraverso alcune tappe.
Partimmo con un workshop residenziale per la costituzione
del management team: 2 giorni “outdoor” per conoscersi più
approfonditamente, sviluppare fiducia reciproca e coesione,
facilitare l’esplicitazione delle percezioni e delle attese
reciproche tra i vari membri del team e soprattutto definire
insieme “le regole dello spogliatoio”, cioè quelle regole di
comportamento relazionale che garantiscono il buon
funzionamento del team.
Dopo un mese di rodaggio, in cui il gruppo si impegnò nella
sperimentazione del nuovo assetto in riunioni reali on the
job con la supervisione della consulenza, lanciammo un
secondo workshop su creatività e business.
In tre giornate, dopo aver condiviso dati di mercato, trend
aziendali e scenari di business, il focus si spostò sulle
persone, lavorando sulla consapevolezza e sul
potenziamento delle risorse creative dei vari membri del
team. Queste “risorse generative” vennero canalizzate nella
produzione di una vision e di una strategia condivisa,
integrando elementi di desiderio individuale con le
opportunità offerte dal contesto di mercato. Infine, si arrivò
a individuare alcune business-idea per portare l’azienda alla
realizzazione di vision e strategia.
Fra le tante idee prodotte, le più promettenti vennero
declinate in progetti da implementare nelle varie funzioni.
Tre in particolare vennero scelti dal gruppo come progetti
strategici, affidandoli a tre sottogruppi multifunzionali:
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1. l’individuazione di KPI cruciali per misurare e gestire un
business ad alto potenziale di sviluppo e la loro
implementazione in un “cruscotto” informatizzato di
business intelligence;
2. la messa in efficienza di alcune aree di business per
raggiungere tutti gli SLA di servizio e i target di
riduzione costi;
3. la creazione di una nuova linea di business che
valorizzasse alcune competenze di eccellenza presenti in
azienda nell’area dei servizi web.
La scelta fu fatta non solo in base al presunto impatto dei
progetti sul business, ma anche sulla valenza che ciascun
progetto aveva come opportunità formativa “on the job”,
utilizzando la metodologia del Project System Learning
(PSL).
Il PSL è una metodologia formativa ideata da Mida nel solco
dell’action learning, che facilita i progetti reali di sviluppo
aziendale (Project), li trasforma in occasioni per generare
apprendimento individuale e di gruppo (Learning), grazie ai
vari attori coinvolti nel sistema (System). Il progetto diventa
quindi una “palestra quotidiana” per sviluppare sul campo
un’ampia gamma di apprendimenti in modo molto più
concreto di quanto si potrebbe fare in percorsi d’aula
tradizionali. In questo modo si allenano dalle competenze
tecnico-specialistiche alle capacità manageriali (ad es.
project management, goal setting, cost & risk analisis,
visioning, strategia), dalle soft skills (come ascolto,
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
comunicazione persuasiva, teamworking, leadership, ecc.)
alle metacapacità (iniziativa, dealing with ambiguity,
resilienza, pensiero positivo) e soprattutto self-efficacy.
In questo caso specifico il PSL si articolò in:
- incontri di team coaching per ogni sottogruppo,
osservati e facilitati dal consulente (circa 6 incontri a
sottogruppo)
- sessioni plenarie, con tutto il gruppo al completo, con
presentazione dello stato di avanzamento del progetto
(SAL) e raccolta di feedback da parte dei partecipanti
agli altri team (4 incontri)
- sessioni di presentazione del SAL alla Direzione con
raccolta di feedback (3 incontri)
- un evento finale di celebrazione dei risultati conseguiti e
di chiusura dei progetti.
Basandoci sulla valutazione di progetto effettuata a valle
dell’esperienza, possiamo concludere che questa storia è un
caso di successo. Tutti e tre i progetti scelti furono portati a
termine positivamente. I partecipanti si dichiararono molto
soddisfatti del percorso, valutandolo come una ricca
esperienza di sviluppo personale e professionale in cui:
- si sono confrontati sulle diverse implicazioni del
cambiamento in atto in azienda,
- hanno trovato convergenze strategiche su intendimenti,
significati, rappresentazioni e snodi operativi cruciali,
- sono diventati più consapevoli delle proprie risorse e
delle competenze utilizzate,
- hanno sviluppato maggiore motivazione e engagement.
Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
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Infine, dopo un momento di perplessità iniziale su
metodologie maieutiche pull-based come quella del PSL e
del co-design (che non danno “risposte consulenziali”, ma
stimolano ciascuno a trovare le proprie), riconobbero che
questo approccio aveva permesso loro di individuare,
scambiarsi e diffondere buone pratiche, aiutandoli a
progettare il loro futuro da protagonisti.
2ª storia - Una nuova figura organizzativa e altri
cambiamenti …
Un’azienda della grande distribuzione organizzata italiana
stava vivendo con fatica, al pari dei suoi competitors, la
crisi finanziaria in corso dal 2008. Le iniziative di marketing,
commerciali, di comunicazione messe in atto potevano solo
“tappare” qualche falla, in un contesto caratterizzato dalla
diminuzione del potere di acquisto delle famiglie e dalla
feroce competizione sui prezzi. L’azienda non voleva
ricorrere a strumenti quali riduzioni del personale o pesanti
ristrutturazioni: non erano nella sua cultura e non li
riteneva funzionali. Continuava invece a investire in
formazione e sviluppo.
Inizialmente Mida venne coinvolta nella realizzazione di un
progetto formativo dedicato a sensibilizzare la prima linea
degli ipermercati sull’importanza di agire con orientamento
alla clientela e in modo allineato con l’azienda, valorizzando
le nuove iniziative commerciali messe in campo e curando la
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
relazione nei confronti dei collaboratori (far passare i
messaggi aziendali, sostenerli rispetto ai problemi,
affiancarli in una logica di miglioramento …).
Durante gli incontri di progettazione proponemmo
all’azienda di coinvolgere i primi livelli delle varie strutture
commerciali - il gruppo di regia dei grandi ipermercati della
catena - in un ripensamento dei suoi processi interni,
trasformando il momento formativo in un laboratorio che
coinvolgesse direzione-consulenti-dipendenti. Chi meglio
della prima linea dei grandi ipermercati poteva conoscere il
processo commerciale e immaginare gli interventi
migliorativi per renderlo più efficace in un momento così
difficile?
Il progetto si trasformò così in una iniziativa di formazioneintervento, all’interno della quale co-progettare soluzioni
organizzative e gestionali per migliorare i risultati
nell’ambito del ciclo del servizio. I passi seguiti furono i
seguenti.
1. Rilevazione del ciclo del servizio commerciale così come
era, attraverso un’intervista a due responsabili chiave
dell’azienda.
2. Validazione del ciclo del servizio con il Direttore del primo
ipermercato coinvolto nell’iniziativa (il “pilota”).
3. Realizzazione del Laboratorio: due giornate intere,
impegnate a lavorare con tutta la prima linea
dell’ipermercato, suddividendo il processo in fasi e
Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
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chiedendo a sottogruppi di lavoro di concentrarsi su “pezzi
del processo” per individuare le cose che funzionano, le aree
di criticità, le migliorie da proporre. I capi reparto
dell’ipermercato erano i protagonisti, i principali contributori
delle proposte, accompagnati dai Capi Settore, che
svolgevano la funzione di membri esperti, e dai consulenti
con il ruolo di facilitatori. Le proposte erano elaborate a
partire dalla raccolta di idee individuali (su post-it), ordinate
in cluster e poi sviluppate attraverso il lavoro creativo e
propositivo nei gruppi.
4. Discussione e validazione da parte del Direttore
dell’ipermercato delle proposte dei gruppi di lavori, con il
supporto del Responsabile della Formazione dell’azienda e
della consulenza, in modo che le “buone idee” non si
perdessero nella fatica dell’elaborazione e della
socializzazione.
5. Lancio di gruppi di lavoro a seguito del Laboratorio che
presero in carico i temi di miglioramento organizzativo e
gestionale identificati e li elaborarono ulteriormente in
proposte più strutturate, da sottoporre alla Direzione
aziendale.
Il progetto così disegnato, dopo il pilota, fu confermato
dall’azienda e replicato in tutti gli ipermercati della catena
commerciale su base regionale (in Lombardia).
I vantaggi dell’iniziativa di codesign furono diversi:
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1. miglioramento del clima interno, nelle relazioni tra le
diverse figure professionali coinvolte;
2. maggiore consapevolezza del fatto che i risultati
commerciali sono frutto del contributo di tutti (contributo
di lavoro e di idee), con un aumento di iniziativa e
responsabilità;
3. concrete proposte organizzative, che hanno portato a
cambiamenti nel processo di vendita; man mano che si
andava avanti con i Laboratori nei diversi ipermercati,
venivano messe in evidenza aree problematiche simili e
questo - insieme a una buona strutturazione del lavoro ha dato grande forza (anche statistica) alle proposte di
miglioramento, trasformandole in progetti operativi
praticabili.
Alcuni esempi di cambiamenti attivati:
- introduzione di un nuovo ruolo organizzativo, il
“responsabile di chiusura”; questo ruolo, che prima non
esisteva, fu individuato - a seguito della co-progettazione
fatta nei gruppi di lavoro - per ovviare a una serie di
problematiche connesse alla tenuta dell’ipermercato nelle
ore immediatamente precedenti la chiusura;
- progettazione e realizzazione delle riunioni di reparto: un
cambiamento gestionale, ma la cui realizzazione ha
comportato un intervento nella gestione dell’orario di
lavoro per trovare delle "finestre di orario" nelle quali la
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squadra che presidia l’iper la mattina e quella che lo
presidia nel pomeriggio potessero incontrarsi.
In conclusione l’approccio del codesign, che punta sul valore
della collaborazione e valorizza le competenze dei diversi
attori coinvolti, ha portato risultati in un campo specialistico
(quello della progettazione organizzativa), considerati molto
interessanti dalla Direzione dell’azienda e del tutto inattesi
prima che cominciasse l’esperienza.
3ª storia - Un nuovo modello di prestazione per la
gestione delle persone ...
Che l’azienda stesse cambiando da alcuni anni era sotto gli
occhi di tutti: cambiava in conseguenza della maggiore
apertura del mercato elettrico (non più un oligopolio, ma
sempre più produttori, broker, player internazionali …),
dello sviluppo tecnologico (nel risparmio energetico, nella
sicurezza elettrica, nelle fonti alternative di produzione), del
quadro normativo in evoluzione.
Il cambiamento richiedeva, fra l’altro, alcune innovazioni
nella gestione delle risorse umane: i ruoli manageriali si
dovevano trasformare (più orientamento al business, più
capacità di gestire i costi e difendere il margine, più visione
di insieme e sguardo strategico); il modello di prestazione
lavorativa per tutti doveva evolvere (eccellenza aveva
significato da sempre un lavoro “fatto al meglio dal punto di
vista tecnico”; ora era necessario integrarvi alcuni fattori
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
soft di prestazione come orientamento al cliente, messa in
comune del know-how, proattività a tutti i livelli).
Al vertice aziendale era chiaro che parallelamente bisognava
ripensare le politiche e i processi di gestione delle persone,
modellati fino ad allora su un’azienda di tipo tradizionale
(forte enfasi sulle funzioni e meno sui processi, controllo dal
centro, orientamento alle procedure, ecc.) che gradualmente
avrebbero lasciato il posto a un’altra organizzazione. Dopo
alcune analisi, la scelta cadde sul sistema di valutazione
delle prestazioni che, se innovato, poteva diventare lo snodo
e l’occasione per un modo più avanzato di fare gestione
delle risorse umane, coerente con l’esigenza di cambiamento
strategico dell’azienda.
Alla consulenza fu chiesto di predisporre un progetto classico
di rifacimento degli strumenti e logiche del sistema di
performance management insieme a chi lo amministrava (il
Servizio del Personale), collegandolo agli altri processi HR
esistenti (formazione, sviluppo di carriera, rewarding).
Noi facemmo una proposta un po’ diversa: far progettare il
nuovo sistema ai valutatori, i circa 40 responsabili di unità
organizzative presenti in azienda in base a un nuovo
modello di prestazione lavorativa. L’idea fu adottata dal
vertice aziendale e in breve tempo furono costituiti uno
steering commitee (il Comitato di Direzione), un presidio per
il coordinamento del progetto (formato dagli specialisti HR e
dai consulenti), alcuni team di progetto formati da tutti
(tutti!) i valutatori.
Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
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Il progetto si sviluppò nell’arco di 9 mesi con alcuni passaggi
fondamentali:
1) la survey con tutti i valutatori e, in un momento distinto,
con un campione di collaboratori, da cui è emersa la loro
percezione e il livello di soddisfazione rispetto al sistema
valutativo in uso;
2) la definizione di un’ipotesi di massima di lavoro: un
sistema valutativo basato su poche competenze tecniche
e comportamentali core, non eguali per tutti ma
differenziate per famiglie professionali, e collegato in
modo inedito al sistema retributivo con il riconoscimento
di una componente variabile individuale;
3) l’impegno dei tre principali attori a sostenerla e realizzarla
(vertice aziendale, capi e Funzione HR), con una
negoziazione incrociata e rivisitazione del progetto, che
ha incluso la discussione dell’intervento anche con le
OO.SS.;
4) il laboratorio in cui i responsabili hanno progettato
interamente il sistema, costituito dal modello di
prestazione attesa (formalizzata in una nuova scheda di
valutazione), lo sviluppo del repertorio di competenze
(l’insieme di know how tecnico e manageriale posseduto
dall’azienda e richiesto alle persone), il processo
operativo (con diverse novità sul ruolo della Funzione HR,
il livello di coinvolgimento dei collaboratori, round table
fra valutatori, ecc.) con circa 16 ore di lavoro per ogni
gruppo;
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
5) il piano di comunicazione interna destinato a tutto il
personale aziendale e concretizzatosi in un “road show” di
presentazione e discussione del nuovo sistema presso
tutte le sedi di lavoro e nella stesura di una guida
operativa di supporto alla valutazione distribuita a tutta
l’azienda;
6) la formazione d’aula intensiva per tutti i valutatori,
soprattutto sugli aspetti meno toccati in fase di
progettazione: rapporto con il collaboratore, gestione del
colloquio, uso della valutazione per tutte le successive
attività di sviluppo delle persone.
Che cosa si è ottenuto con questo intervento di co-design?
- Un cambio di rotta nel concepire le attese di prestazione:
l’introduzione di pochi e chiari fattori di capacità adottati
e discussi, insieme alla salvaguardia del grande
patrimonio di know-how dell’azienda attraverso le schede
di valutazione differenziate per famiglia professionale.
- Un forte investimento sul management intermedio (i
valutatori), che ha ripensato il proprio ruolo e il modello
di leadership, ha praticato in modo nuovo la gestione
delle risorse umane (prima considerata di fatto un
“affare” del Servizio Personale), ha generato
spontaneamente una “community” capace di maggiore
legame e propositività.
- La percezione chiara che con il codesign “Si può fare!”.
Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
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Giulia Bussi
Mi occupo di formazione finalizzata allo sviluppo di
comportamenti organizzativi funzionali al
raggiungimento degli obiettivi aziendali, di
consulenza di accompagnamento al cambiamento e
di coaching.
In particolare ho approfondito i temi legati alla messa in pratica
efficace del ruolo nel contesto lavorativo, al coordinamento di
persone e gruppi, alla identificazione e assegnazione di obiettivi,
alla valutazione di risultati e al problem solving. Nell’ambito della
consulenza, lavoro su progetti di cambiamento strategico delle
aziende, attraverso il modellamento di esperienze di successo e
l’individuazione dei principi di funzionamento e dell’identità
organizzativa delle imprese. Mi sono occupata, per alcuni anni, del
mercato della Pubblica Amministrazione Locale e sono intervenuta
a numerosi convegni pubblici e aziendali sui temi della qualità della
formazione.
[email protected]
Alberto Carpaneto
Mi occupo di management delle persone dal 1990,
attraverso un percorso personale e professionale in
cui si sono intrecciati: l’interesse per le “humanities”
(ho una laurea in filosofia con lode), l’esperienza
quadriennale in azienda (ho lavorato nell’area del personale di una
banca italiana e di una multinazionale) e la formazione psicologica
individuale e di gruppo. Per me fare consulenza significa fare
innovazione: è un’attività sul campo, in cui do e ricevo molto nei
progetti realizzati con i clienti, ed è un’attività parallela di studio e
ricerca, che realizzo da alcuni anni con il Dipartimento di Psicologia
dell’Università di Torino e il Dipartimento di Ingegneria gestionale
del Politecnico di Torino. Oggi affianco all’attività professionale la
direzione di Human+, fondazione di ricerca che promuove iniziative
nell’ambito della gestione delle persone e dello sviluppo
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Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva
organizzativo. I miei campi di intervento consulenziale sono: le
strategie HR, il management della formazione, la valutazione della
performance, i sistemi premianti e la gestione della carriera, il
knowledge management, l’ascolto organizzativo. Ho maturato una
buona esperienza nella gestione dei cambiamenti complessi, in cui
è determinante integrare gli aspetti “hard” (metodologie, project
management, ICT) con la parte “soft” (comunicazione, ascolto e
coinvolgimento).
[email protected]
Pierpaolo Peretti Griva
Coach, formatore, consulente senior. In Mida dal
2001.
Dottore di ricerca in Scienze Cognitive e counsellor
certificato in Analisi Transazionale. Accanto
all’attività di ricerca presso il Centro di Scienza Cognitiva
dell’Università di Torino, dal 1993 realizzo progetti di formazione
nell’ambito del comportamento organizzativo e progetti di
consulenza per la gestione e lo sviluppo delle risorse umane. Ho
sviluppato particolare passione e competenza per l’ambito della
Self-efficacy, e più in generale della Positive Psychology, applicate
all’interno dei loro contesti lavorativi. Per il mio benessere suono
musica elettronica e ho realizzato dischi e colonne sonore di film.
Dal 2005 insegno al Master in Psicologia dello Sport presso la
S.U.I.S.M.- Università di Torino e sono responsabile scientifico
dell’area comunicazione della Juventus University. Sono coautore
del libro L’Analisi Transazionale e la formazione degli adulti, F.
Angeli 2003, e autore di articoli nell’ambito della psicologia
sperimentale e della psicologia applicata ai contesti lavorativi.
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In copertina
L'ideogramma cinese di “ascoltare” è composto da diversi elementi:
l’orecchio naturalmente, ma anche l’occhio per vedere il tu inteso come
altro da sé, infiine il cuore indica la qualità e la profondità del vedere e del
sentire, il tutto vissuto in termini di unitarierà degli elementi.
In sintesi il verbo ascoltare è rappresentato dall’idea-immagine che sia
sentire e vedere l’altro con il cuore.
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