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Fine ottocento
Il Simbolismo
Il simbolismo è una corrente artistica che si affermò in Francia a partire dal 1885
circa, come reazione al naturalismo e all’’impressionismo. L’’arte, in questo
movimento, era concepita come espressione concreta e analogica dell’’Idea, momento
di incontro e di fusione di elementi della percezione sensoriale ed elementi spirituali.
La pittura che ne derivava era estremamente raffinata, ricca di simbologie
mitologiche-religiose, e si proponeva di esplorare quelle suggestive regioni della
coscienza umana all’’affascinante confine tra realtà e sogno che fino ad allora erano
rimaste sempre escluse da qualsiasi indagine artistica.
Precorritori di questo movimento furono i pittori Gustave Moreau (1826-1898) e
Pierre Puvis de Chavannes (1824-1898). Nei loro quadri sono già evidenti alcuni dei
temi utilizzati dalla pittura simbolista: in particolare, il ricorso alla mitologia e alle
storie bibliche rivisitate come l’’apparizione di un sogno in cui le immagini e i
contenuti hanno la finalità di essere dei simboli.
Il simbolo è qualcosa «che sta in luogo di» (ad es. la bilancia che simboleggia la
giustizia, ecc.). Si differenzia dall’’allegoria in quanto quest’’ultima rimane
maggiormente confinata nell’’ambito della significazione letteraria e logica. Il simbolo
è invece analogico in quanto risolve il suo significato solo nella forma. Il simbolismo
è una delle componenti fondamentali dell’’animo umano che spesso traduce solo in
immagini concetti ed emozioni che con le parole necessitano di complesse
elaborazioni. Il simbolo, pertanto, ha una sintesi che riesce a racchiudere solo nella
sua forma contenuti anche complessi, per lo più universali o mitici.
Il simbolismo, in pittura, dà immagine a quelle suggestioni culturali molto più vaste
che vanno sotto il nome di Decadentismo e che caratterizzano la fine del XIX secolo.
E, al pari del Decadentismo, il simbolismo è caratterizzato da una estetizzazione
ultra-raffinata in cui l’’azione è pressoché nulla, mentre tutte le passioni e le tensioni
vitali vengono vissute nell’’ambito del sogno.
Il maggior pittore simbolista è Odilon Redon (1840-1916). Benché amico degli
impressionisti, egli rifiutò decisamente l’’uso di questo stile, soprattutto perché non
era interessato a rappresentare la realtà così come essa appare. Nella sua pittura la
natura è soprattutto sogno, ed egli ne coglie gli aspetti più sfuggenti, anormali,
inspiegabili.
Altre suggestioni simboliste, pur su un piano stilistico totalmente diverso, sono
rintracciabili anche nella pittura di Paul Gauguin. I soggetti dei suoi quadri hanno
sempre un contenuto simbolico, ma in Gauguin è assente qualsiasi suggestione
letteraria per esplorare in maniera autonoma i territori della spiritualità ancestrale e
primitiva. Da Gauguin prendono però le mosse alcuni dei gruppi artistici che si
collocano decisamente nella scia del simbolismo: prima la «Scuola di Pont-Aven» e
quindi i «Nabis».
La Scuola di Pont-Aven era un gruppo di artisti che si riuniva intorno Gauguin, in
Bretagna, dal 1886 al 1894. Temi fondamentali della loro pittura erano il rifiuto della
copia dal vero, l’’esaltazione della memoria e dell’’immaginazione. In tal modo
cercavano una dimensione nuova, e più intima, della realtà, effettuando una specie di
doppia fuga verso il passato e verso l’’esotico. La loro tecnica stilistica divenne il
1
«cloissonisme»: al pari di come erano realizzate le vetrate gotiche, la loro pittura si
componeva di stesure di zone piatte di colore delimitate da contorni scuri.
I Nabis (nome che in ebraico significa «profeti») fu un movimento della seconda
generazione simbolista. Suggestionati dalla pittura di Gauguin, che conobbero nel
1888, i Nabis operarono prevalentemente tra il 1891 e il 1900. Si dedicarono con
grande attenzione alle arti applicate (francobolli, carte da gioco, marionette,
manifesti, paraventi, carte da parati, decorazioni murali), in cui facevano ampio uso di
simboli storici e mitologici, risolti con notevole sintesi espressiva. La loro opera
contribuì notevolmente alla nascita dell’’estetica liberty.
Il simbolismo non interessò solo la Francia ma conobbe una ampia diffusione in tutta
Europa. In Svizzera può considerarsi simbolista l’’opera pittorica di Arnold Böcklin
(1827-1901). Pur esente da quel clima di morboso decadentismo del simbolismo
francese, anche la sua pittura si colloca nei territori tra la realtà e il sogno. Il suo stile
è più saldo e plastico e meno visionario di quello degli altri pittori simbolisti. Ma le
sue immagini (L’’isola dei morti, 1880) hanno un indubbio fascino visionario che,
reinterpretando i temi del romanticismo nordico, sono contraddistinte da atmosfere
tenebrose e lugubri.
Di marca simbolista è anche il contenuto della pittura di Gustav Klimt (1862-1918), il
maggiore esponente della Secessione viennese. La sua pittura, benché ha una cifra
stilistica molto originale, si basa sempre su soggetti di tipo simbolico: «Le tre età
della vita», «Salomè», «Danae», «Giuditta», eccetera.
Il Divisionismo italiano
Il simbolismo interessò anche l’’Italia, dove venne utilizzato soprattutto dai pittori
divisionisti.
Il Divisionismo è una tendenza artistica sviluppatasi in Italia tra il 1885 e il 1915. I
pittori divisionisti adottarono un procedimento molto simile a quello del neoimpressionismo francese. Scomponevano il colore con una separazione metodica
delle tinte complementari. Ciò che li differenziava dai neo-impressionisti è che,
invece di adottare il punto come elemento di base, utilizzavano un tratto molto più
lungo e filamentoso. Ne derivavano delle immagini dalla illuminazione molto diffusa
e antinaturalistica, dove le forme perdono peso e consistenza per fondersi in un’’unica
indistinta ondulazione luminosa.
I protagonisti del divisionismo italiano furono soprattutto i tre pittori: Gaetano
Previati (1852-1920), Giovanni Segantini (1858-1899) e Giuseppe Pellizza da
Volpedo (1868-1907).
Previati e Segantini sono i pittori che maggiormente parteciparono al clima simbolista
di quegli anni. Esempi ne sono il quadro di Previati «Maternità», o il quadro di
Segantini «L’’angelo della vita».
Diversa è la ricerca pittorica di Pellizza da Volpedo che, pur adottando un linguaggio
divisionista, si interessò ai temi del realismo sociale. Tipico esempio della sua
produzione è il famoso «Il quarto stato». Il quadro è quasi un’’elegia delle suggestioni
socialiste che in quegli anni si diffondevano in Italia. Ed il quadro divenne presto il
simbolo di un nuovo coinvolgimento dell’’arte nel campo dell’’impegno sociale. La sua
prematura scomparsa, all’’età di 39 anni, hanno privato l’’Italia di uno dei pochi artisti
che in questo periodo si esprimeva a livelli europei.
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Il divisionismo, oltre l’’opera dei tre pittori sopra citati, divenne un linguaggio molto
universale nella cultura artistica italiana agli inizi del Nocevento. Divenne la tecnica
«nuova» per eccellenza e dal divisionismo partirono molti dei pittori della
generazione successiva che avrebbero in seguito dato vita al Futurismo, quali
Giacomo Balla, Luigi Russolo, Gino Severini e Umberto Boccioni.
Il Liberty
Con il nome di Liberty si intende un vasto movimento artistico che, tra fine Ottocento
ed inizi Novecento, interessò soprattutto l’’architettura e le arti applicate. Il fenomeno
prese nomi diversi a seconda delle nazioni in cui sorse. In Francia prese il nome di
«Art Noveau», in Germania il nome di «Jugendstil», in Austria fu denominato
«Secessione», in Spagna «Modernismo». In Italia ebbe inizialmente il nome di
«Floreale», per assumere poi il più noto nome di «Liberty», così come veniva
chiamato in Inghilterra.
Il Liberty nacque dal rifiuto degli stili storici del passato che nell’’architettura di
quegli anni fornivano gli elementi di morfologia progettuale. Il Liberty cercò invece
ispirazione nella natura e nelle forme vegetali, creando uno stile nuovo, totalmente
originale rispetto a quelli allora in voga. Caratteri distintivi del Liberty divennero
l’’accentuato linearismo e l’’eleganza decorativa.
Nato inizialmente in Belgio, grazie all’’architetto Victor Horta, il Liberty si diffuse
presto in tutta Europa divenendo in breve lo stile della nuova borghesia in ascesa.
Esso si fondò sul concetto di coerenza stilistica e progettuale tra forma e funzione.
Adottando le nuove tecniche di produzione industriale, ed i nuovi materiali quali il
ferro, il vetro e il cemento, di fatto il Liberty giunse per la prima volta alla definizione
di una nuova progettualità: quella progettualità che definiamo industrial design.
Il problema di dare qualità alla produzione industriale era stato già avvertito dalla
cultura precedente. Ma, nel caso dei movimenti di Arts and Crafts inglesi, la risposta
data era semplicemente anacronistica: ritornare alla produzione artigianale. Il Liberty
diede per la prima volta la risposta giusta al problema della qualità del prodotto
industriale. Il problema andava risolto sul piano della qualità progettuale.
L’’estetica del Liberty si affidò molto all’’uso della linea e degli elementi lineari.
Protagonista divenne soprattutto la linea curva definita «a colpo di frusta»: una linea,
cioè, che dopo una curvatura ampia si torceva in repentini scatti di curvatura più
stretta.
Le immagini che si ottenevano producevano effetti decorativi molto suggestivi e di
grande eleganza, ma che in genere tendevano all’’astrazione più pura. Quando nel
Liberty comparivano delle immagini, queste risentivano molto del clima simbolista in
voga in quegli anni. La stilizzazione delle figure era sempre molto evidente, risolte
tutte sul piano della bidimensionalità con l’’uso della linea funzionale di contorno.
Nel campo pittorico non vi fu un vero e proprio stile Liberty, che rimase utilizzato
soprattutto nella grafica o nelle arti applicate. Influenze e suggestioni liberty sono
avvertibili in alcuni pittori che operarono in quegli anni, quali Aubrey Beardsley,
Toorop e Hodler. Ma il pittore che più di ogni altro raccolse nel suo stile le
indicazioni che derivavano dal Liberty fu Gustav Klimt.
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Gustav Klimt
La vicenda artistica di Gustav Klimt (1862-1918), coincide quasi per intero con la
storia della Secessione viennese. Con il termine Secessione si intendono quei
movimenti artistici, nati a fine ’’800 tra Germania ed Austria, che avevano come
obiettivo la creazione di uno stile che si distaccasse da quello accademico. Di fatto, le
Secessioni introdussero in Austria e in Germania le novità stilistiche dell’’Art
Nouveau che in quel momento dilagavano per tutta Europa. La prima Secessione
nacque a Monaco di Baviera nel 1892. Fu seguita nel 1897 da quella di Vienna e nel
1898 da quella di Berlino. La Secessione viennese fu un vasto movimento culturale
ed artistico che vide coinvolti architetti (Olbrich, Hoffmann e Wagner) e pittori
(Klimt, Moll, Moser, Kurzweil, Roller). La Vienna in cui questi artisti si trovarono ad
operare era in quel momento una delle capitali europee più raffinate e colte. La
presenza di musicisti quali Mahler e Schönberg, di intellettuali quali Freud e
Wittegenstein, di scrittori quali Musil, rendevano Vienna una delle città più
affascinanti d’’Europa. L’’aura "biedermeier" di Vienna era tuttavia l’’apoteosi di un
mondo che stava per scomparire, consapevole della sua prossima fine. Cosa che
avvenne effettivamente con lo scoppio della prima guerra mondiale che decretò la
dissoluzione dell’’Impero Austro-Ungarico. Questa coscienza della fine, tratto comune
a molta cultura decadentista di fine secolo, pone anche la Secessione viennese
nell’’alveo della pittura simbolista. E tale caratteristica è riscontrabile anche nella
pittura di Klimt che rimane il personaggio più vitale ed emblematico della Secessione
viennese. Gustav Klimt nacque in un sobborgo di Vienna, e in questa città frequentò
la Scuola di arti e mestieri. Giovanissimo, insieme al fratello ed un’’amico, diede vita
alla prima società artistica, procurandosi commissioni per decorare edifici pubblici.
Ne ricavò una certa notorietà e ulteriori commissioni, quale l’’importante incarico di
decorare l’’aula magna dell’’Università. Nel 1897 fu tra i fondatori e primo presidente
della Secessione, partecipando sempre attivamente alle attività del gruppo da cui si
distaccò in polemica nel 1906 per fondare una nuova formazione: la Kunstschau.
Klimt nei suoi primi lavori mostra una precisione di disegno e di esecuzione
assolutamente straordinarie, ponendosi però in un filone di eclettismo storicistico
tipico di una certa cultura del secolo scorso in cui gli elementi della tradizione, in
particolare rinascimentale, vengono ampiamente rivisitati e riutilizzati. La sua
personalità comincia ad acquisire una importante caratteristica intorno al 1890
quando la sua pittura partecipa sempre più attivamente al clima simbolista europeo.
Ma la svolta che portò Klimt al suo inconfondibile stile avvenne dieci anni dopo con
il quadro «Giuditta (I)» del 1901. Da questo momento il suo stile si fa decisamente
bidimensionale, con l’’accentuazione del linearismo e delle campiture vivacemente
decorate. Due viaggi compiuti a Ravenna nel 1903 diedero a Klimt ulteriori stimoli.
Da quel momento l’’oro, già presente in alcune opere precedenti, acquista una valenza
espressiva maggiore, fornendo la trama coloristica principale dei suoi quadri. Il
periodo aureo di Klimt si concluse nel 1909 con il quadro «Giuditta (II)». Seguì un
periodo di crisi esistenziale ed artistica dal quale Klimt uscì dopo qualche anno. Il suo
stile conobbe una nuova fase. Scomparsi gli ori e le eleganti linee liberty, nei suoi
quadri diviene protagonista il colore acceso e vivace. Questa fase viene di certo
influenzata dalla pittura espressionista che già da qualche anno si era manifestata in
area tedesca.
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Gustav Klimt, Il bacio, 1907
Il bacio è probabilmente il quadro più famoso di Gustav Klimt, ed uno di quelli che
meglio sintetizza la sua arte. Come altri quadri di questo periodo ha formato quadrato.
In esso le figure presenti sono due: un uomo ed una donna inginocchiati nell’’atto di
abbracciarsi. Un prato ricco di fiori colorati funge da indefinibile piano di giacitura,
mentre l’’oro di fondo annulla l’’effetto di profondità spaziale. Il quadro ha quindi un
aspetto decisamente bidimensionale.
Delle due figure, le uniche parti realizzate in maniera neturalistica sono i volti, le
mani e le gambe della donna. Per il resto l’’uomo e la donna sono interamente coperte
da vesti riccamente decorate. Quella dell’’uomo è realizzata con forme rettangolari
erette in verticale, mentre la veste della donna è decorata con forme curve
concentriche. La differente geometria delle due vesti è espressione della differenza
simbolica tra i due sessi.
Dell’’uomo è visibile solo la nuca ed un parziale profilo molto scorciato. La donna ci
mostra invece l’’intero viso, piegato su una giacitura orizzontale. Ha gli occhi chiusi
5
ed un’’espressione decisamente estatica. È proprio il volto della donna che dà al
quadro un aspetto di grande sensualità.
Nell’’arte di Klimt la donna occupa un posto decisamente primario. Rinnovando il
mito della «femme fatale» per Klimt la donna è l’’idea stessa di eros. Di quell’’eros che
è a un tempo amore e morte, salvezza e perdizione. È un idea che serpeggia in tutta la
mentalità del tempo, ma con connotazioni decisamente antifemministe. In Klimt la
posizione tende invece a ribaltarsi, assumendo la donna ruolo di decisa superiorità
rispetto all’’uomo. È lei la depositaria di quel gioco amoroso che rinnova
continuamente la vita e la bellezza.
Ma il tutto si manifesta non tanto nelle azioni ma nelle sensazioni interiori. Ecco così
che la donna del Bacio riesce a sublimare un’’azione al limite del banale in qualcosa
che ha afflato cosmico. Qualcosa che trascende verso la pienezza interiore più
intensa.
La grande armonia formale del quadro, insieme al contenuto di elegante erotismo,
fanno di questo quadro il prodotto di un tempo che stava rapidamente scomparendo.
La comparsa in quegli anni dell’’espressionismo rese manifesta l’’inattualità di questo
mondo klimtiano fatto di eleganza e sensualità, che presto scomparve per tempi più
drammatici e violenti segnati dagli eventi bellici della prima guerra mondiale.
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Gustav Klimt, Amore, 1895
Il quadro rappresenta, insieme all’’opera «Musica I», il passaggio di Klimt da un’’arte
naturalistica e classicheggiante ad una di ispirazione più simbolica, che diverrà in
seguito tipica del suo stile. Il soggetto allegorico dell’’«amore» viene raffigurato
ricorrendo al bacio intenso ed appassionato di due amanti, circondati da un buio che li
estranea da qualsiasi contesto circostante, ma dal quale, quasi fatti di fumo, emergono
spettrali figure a simboleggiare le età della vita, e quindi il trascorrere del tempo di
contro alla sensazione di eternità che l’’amore ispira, soprattutto al suo primo apparire.
In questo quadro l’’immagine tende ancora al tutto tondo, e si presenta con
un’’atmosfera vagamente tardo-romantica molto inusuale nella produzione klimtiana.
Basta confrontare questo bacio con quello più famoso del 1907, per capire la
profonda distanza che separa questa fase della sua pittura da quella che lo rese
giustamente celebre. Ma il particolare della cornice dorata rende il quadro
sicuramente esperimento, forse necessario, per quelle scelte stilistiche successive,
così tipiche di Klimt, quali l’’uso del formato quadrato, in cui per contrasto inserire
composizioni verticali, e l’’uso simbolico del colore oro.
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Gustav Klimt, Giuditta I, 1901
Il quadro è la prima versione del
soggetto «Giuditta» che Klimt
realizza, ed è considerata come la
prima opera del periodo aureo. Da
questo momento in poi, per circa un
decennio, l'uso del colore oro
diviene uno dei tratti stilistici del
Klimt più noto. Il soggetto è
ovviamente una rivisitazione della
storia
biblica
di
Giuditta,
protagonista della vicenda che la
porta a tagliare la testa del generale
Oloferne per vincere l'assedio in cui
era tenuta la sua città. Il soggetto è
stato sempre utilizzato quale
metafora del potere di seduzione
delle donne, che riesce a vincere
anche la forza virile più bruta. In
clima simbolista la figura di
Giuditta si presta ovviamente alla
esaltazione della «femme fatal»
quale
simbolo
di
quella
esasperazione dell'eros che giunge
a confondere i confini tra amore e
morte. L'immagine ha un taglio
verticale molto accentuato con la
figura di Giuditta, di grande
valenza erotica, a dominare
l'immagine quasi per intero. La
testa di Oloferne appare appena di
scorcio, in basso a destra, tagliata
per oltre la metà dal bordo della
cornice. Da notare la notevole
differenza tra gli incarnati della
figura, che hanno una resa
tridimensionale, e le vesti, trattate
con un decorativismo bidimensionale molto accentuato. Si tratta di un sistema
rappresentativo già utilizzato dalla pittura gotica del Trecento, ma che in Klimt
assume una nuova valenza stilistica, riuscendo a fondere mirabilmente figura e
decorazione astratta, in uno schema compositivo di grande eleganza formale. I tratti
di Giuditta sono probabilmente quelli di Adele Bloch-Bauer, esponente dell'alta
società viennese, della quale Klimt eseguì due ritratti. La splendida cornice in rame
sbalzato, anch'essa in chiaro stile «secessione viennese», fu realizzata da suo fratello
Georg, scultore e cesellatore.
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Gustav Klimt, Faggeto, 1902
Klimt non è solo pittore simbolista di soggetti femminili ed erotici, non è solo
raffinato ritrattista, ma si dedica anche al paesaggio, pur se questa sua produzione
rimane spesso meno nota. In queste sue tele, anch’’esse di formato quadrato, la ricerca
parte da un natura vista sempre in una sorta di aristocratico silenzio. Nulla da
raccontare, ma solo la presenza degli elementi naturali che compongono frammenti di
visione incredibilmente decorativi. Come in questo caso, dove l’’effetto diviene quasi
astratto, pur riconoscendo agevolmente la fitta trama verticale dei tronchi di faggio,
l’’alta linea d’’orizzonte che da ariosità all’’immagine, e lo straordinario puzzle di foglie
autunnali che ricoprono il terreno.
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Gustav Klimt, Danae, 1907-08
Il quadro è uno dei più noti di Klimt ed appartiene alla sua fase creativa più feconda.
Il tema che egli tratta è ancora l'erotismo femminile, che egli rappresenta nella
rivisitazione del mito di Danae, personaggio dell'antica mitologia greca, che, secondo
la leggenda, fu fecondata nel sonno da Giove, trasformatosi in pioggia d'oro.
L'espressione di estatico abbandono della donna rimanda ad una dimensione onirica
dell'eros, molto frequente nelle immagini di Klimt, fatta soprattutto di percezioni
interiori che non di appagamento dei sensi.
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Gustav Klimt, Le tre età della donna, 1905
Quadro conservato nella Galleria Nazionale d’’Arte Moderna di Roma, è una delle
poche opere di Klimt presenti in Italia. Nel 1911, nell’’ambito delle celebrazioni per il
cinquantenario dell’’Unità d’’Italia, fu tenuto un vasto programma di manifestazioni
artistiche, tra cui una mostra internazionale svolta a Valle Giulia. In quest’’occasione
fu allestito anche il padiglione austriaco, su progetto di Hoffmann, e tra le opere
esposte vi fu «Le tre età della donna» di Klimt, che si aggiudicò il primo premio e fu
acquistato dallo Stato Italiano, che la destinò appunto alla Galleria d’’Arte Moderna
romana, da poco istituita.
Il quadro ha le raffinate eleganze tipiche del periodo aureo. Si noti in particolare
l’’espressione estatica e con il capo reclinato della donna, che anticipa analoghe
soluzioni posteriori. Ma non mancano particolari espressionistici, riscontrabili
soprattutto nella resa della donna anziana, che ci mostrano come Klimt fosse, pur
nelle sue scelte stilistiche, un pittore molto aggiornato sui tempi, e meno
anacronistico di quanto siamo, oggi, indotti a credere.
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Gustav Klimt, Fregio Stoclet (L’’attesa), 1905-09
La Secessione viennese fu un sodalizio artistico che coinvolse anche gli architetti, e
tra essi uno dei più rappresentativi fu Joseph Hoffmann, che fu incaricato dal ricco
industriale Stoclet di erigere un imponente e sontuoso palazzo a Bruxelles, quale villa
di famiglia. Nell’’impresa Hoffmann coinvolse molti artisti e artigiani viennesi, con
l’’obiettivo di realizzare l’’opera «totale», un’’opera in cui si fondessero tutte le arti
(plastiche, architettoniche e figurative) con la vita stessa da vivere in quel luogo.
L’’esperienza è rimasta unica, anche per l’’eccezionalità del committente, che non pose
alcun limite di spesa per la realizzazione dell’’opera. Per questo edificio Klimt
progettò dei fregi decorativi da realizzarsi a mosaico per la sala da pranzo. Questo
raffigurato è uno dei suoi cartoni, servito agli artigiani viennesi per il mosaico
definitivo. Il motivo fondamentale è un grande albero stilizzato con ramificazioni a
spirale. In esso compare la donna che rappresenta l’’Attesa. In quello opposto Klimt
inserì invece le figure dell’’Abbraccio. Oltre ai motivi tipici dello stile klimtiano è da
notare la chiara impostazione "alla egiziana" della donna, evidente soprattutto nella
disposizione delle braccia e delle mani, e nel volto quasi di profilo con il busto visto
in posizione frontale.
12
Gustav Klimt, Giuditta II, 1909
È il quadro che chiude il periodo aureo di Klimt. Presentato a Venezia nel 1909, fu
acquistato dalla Galleria d’’Arte Moderna ed è oggi esposto nella sede di Ca’’ Pesaro.
Il motivo del quadro è quello della «femme fatale» che prende a prestito in maniera
occasionale la storia di Giuditta (anche se per alcuni è più corretto vedere nel soggetto
un’’immagine di Salomè). Ritorna il motivo della cornice dorata già visto nel quadro
«Amore». È un’’immagine di straordinaria intensità che volge il tema della sensualità
da un piano di dolcezza ad uno di maggior ferocia ed inquietudine.
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Gustav Klimt, La vergine, 1912-13
Chiuso il periedo aureo, inizia l’’ultima fase della pittura di Klimt che all’’incirca va
dal 1910 al 1918, anno della sua morte. I temi sono ancora di tipo simbolista, ma lo
stile conosce una nuova fase da cui non è esente una influenza della deformazione e
del colore intenso degli espressionisti. Da ricordare che proprio Vienna divenne sede
di sperimentazione del nuovo stile grazie a due pittori, Egon Schiele e Oskar
Kokoschka, entrambi ben noti a Klimt. L’’arte di Klimt, dall’’incontro con il nuovo
stile, non perde il suo grado di raffinatezza, e molti dei motivi decorativi da lui
utilizzati ritornano anche nelle tele di questo periodo. Ma la scomparsa dell’’oro, e un
nuovo studio sul valore simbolico e comunicativo del colore, sono di certo i tratti più
nuovi dell’’ultimo periodo dell’’attività di Gustav Klimt.
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