Microsoft Word - Relazione Pellizzaropdf

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Microsoft Word - Relazione Pellizzaropdf
VIVIVIVI-AMO LA FAMIGLIA
Grembo di speranza
Convegno Gruppi AM.OR.
21 Aprile 2007
Don Giuseppe Pellizzaro1
Che cosa significa vivere l’esperienza familiare dentro l’esperienza cristiana? Che cosa intendiamo per
famiglia? Siamo in una situazione in cui molti preferiscono coniugare la famiglia al plurale.
Qual è la famiglia a cui facciamo riferimento?
- è la famiglia patriarcale di un tempo?
- è la famiglia mono nucleare?
- è la famiglia dei conviventi?
- è la famiglia di chi ha figli?
- è la famiglia di chi non li ha?
- è la famiglia di chi non li vuole avere?
- è la famiglia degli omosessuali?
Che cosa intendiamo con “famiglia”? Ci sono state delle trasformazioni radicali che hanno inciso
profondamente sul modo di essere famiglia e sul modo di stabilire le relazioni al suo interno. Solo per citare
quelle più macroscopiche, pensiamo al grande passaggio, già realizzato, dalla famiglia antica patriarcale, alla
famiglia nucleare e post nucleare. La famiglia patriarcale era articolata, sorgeva innanzitutto per uno scopo
preciso, (non dobbiamo stupirci) spesso di carattere economico: dare stabilità ai soggetti. L’espressione usata
da parte dei genitori era: “Ho sistemato i miei figli”. Dunque, sposarsi voleva dire dare una sistemazione di
carattere economico. Non era di carattere affettivo. Anche oggi si usa tale espressione, ma intendendola in un
altro senso. Poi, all’interno di quella famiglia che, bene o male, poteva anche essere formata non dai soggetti
che si sposavano, ma dalle famiglie di origine che sistemavano i figli, c’erano alcuni valori fondamentali.
Pensiamo al modo autoritario con cui erano impostate quelle famiglie. Le esperienze, le conoscenze
venivano dal passato, quindi era l’anziano che sapeva come coltivare i campi, conservare la messe... e
dunque l’anziano aveva sempre un posto centrale e restava parte della famiglia anche se i figli avevano
sessant’anni. Una famiglia autoritaria e per un certo verso anche comunitaria, perché non c’erano grandi
differenze: tutti davano quello che potevano e se c’era ad esempio il portatore di handicap riceveva ciò di cui
aveva bisogno. Quindi una famiglia che aveva delle ricchezze valoriali, ma era povera di altre
caratteristiche. Per esempio, dal punto di vista logistico, non dava sicuramente spazio all’affettività, alla
libertà individuale. Erano invece sottolineati altri valori, ad esempio quello della fecondità. Anche perché si
diceva: “I figli non fanno carestia”. Presto diventavano forza lavoro, utile per la famiglia. Non c’erano grossi
problemi educativi.
Altro valore era quello della fedeltà, soprattutto della donna, e non a caso, perché la proprietà era data al
figlio legittimo; quindi doveva essere assicurata la fedeltà della donna. Dunque, era una famiglia che aveva
alcuni valori e alcuni disvalori. Una famiglia che nessuno rimpiange. Possiamo anche idealmente decantare i
LA RELAZIONE È STATA TRASCRITTA DALL’AUDIOCASSETTA E NON È STATA RIVISTA DALL’AUTORE, CONSERVA IL
CARATTERE DI UNA CONVERSAZIONE.
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Don GIUSEPPE PELLIZZARO è sacerdote della diocesi di Vicenza e docente di Teologia Morale presso il Seminario
Diocesano. Da anni segue le problematiche legate alla famiglia e al matrimonio aiutando moltissimi gruppi a riflettere
su questi temi.
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valori di quella famiglia, ma si diceva che le donne andavano d’accordo quando erano in tre. Una viva, una
morta, una dipinta sulla porta. Sappiamo quante sofferenze, difficoltà si erano vissute in quella famiglia.
In Italia, nel dopoguerra, la famiglia aveva una larga caratterizzazione patriarcale, posta in una situazione
prevalentemente agricola; una famiglia molto povera dal punto di vista materiale, ma era anche caratterizzata
da una serie di valori positivi:
- il valore del risparmio,
- il valore del significato positivo del sacrificio,
- della casa propria,
- del vicinato (con loro si litigava, ma anche ci si aiutava nel bisogno),
- della festa, intesa come momento di sagra, incontro, condivisione e ricreazione delle energie, dove
c’è qualche cosa da celebrare tutti ci si ritrova.
C’era tutta una serie di valori, anche se già incominciavano in quella famiglia le prime forze centrifughe: la
emigrazione e l’introduzione dei primi mezzi di comunicazione, come la radio. Non ci sono più i filò, dove si
parlava insieme, ci si confrontava. Ormai le notizie vengono raccolte individualmente. Le cose iniziano a
cambiare, ma la grande rivoluzione avviene subito dopo, negli anni dal ’54 al ‘62 in Italia, quando si attua
nel nostro Paese, soprattutto al Nord, la rivoluzione industriale. Questa sconvolge la realtà della famiglia.
Lo si capisce perché nella rivoluzione industriale, l’impresa dà valore al singolo, alla sua prestazione
d’opera; è il lavoro che ha valore. Si trova sicurezza nella fabbrica, nell’ufficio. L’individuo non ha più
bisogno di sposarsi per trovare la sicurezza economica. Prima era la famiglia che possedeva l’attività
produttiva e quindi era al centro della società. Mettere in crisi quella famiglia significava mettere in crisi la
società e la sua struttura; doveva quindi essere difesa, non dai principi della Chiesa, ma dallo Stato, perché
crisi della famiglia significava crisi dell’attività produttiva. Adesso il singolo trova la sua sicurezza nel
lavoro in fabbrica. Anzi, sembra avere più sicurezza da singolo rispetto che come persona sposata: meno
oneri, meno impegni. Adesso uno si sposa non più per la sicurezza economica, ma per motivi di carattere
affettivo.
La famiglia che aveva un significato assolutamente centrale e pubblico, come luogo di produzione e poi
anche del consumo, diventa solo luogo del consumo, dal punto di vista dei beni materiali, ma anche dei beni
affettivi. Le attese che adesso i coniugi hanno sono profondamente trasformate.
Che cosa si aspettavano i coniugi una volta nella loro relazione? Che lui portasse a casa i frutti del lavoro,
che lei facesse da mangiare, che mettesse al mondo i figli. Erano delle attese di carattere strutturale. Adesso
le attese che i coniugi hanno in questa nuova famiglia caratterizzata sopratutto dall’affetto, sono totalmente
diverse. In pratica, nel loro rapporto si aspettano che l’altro abbia le caratteristiche dell’amante; non per il
breve momento dell’innamoramento, ma per sempre. Uno si aspetta una compensazione dei bisogni affettivo
- emotivi. La famiglia è sempre più ridotta al privato e costretta all’appartamento. E’ una famiglia che vive in
una stupenda chiusura affettiva, quando le cose funzionano bene. Diventa quasi un paradiso affettivo,
ricercato molto oggi dai giovani. Ma diventa una “bomba affettiva” se le cose vanno male, a causa della
privatizzazione e dello scarso confronto con altri. Prima se i due litigavano avevano modo di sfogare le loro
incomprensioni in una serie di relazioni, adesso invece ci sono soltanto loro due. L’atteggiamento negativo è
vissuto soltanto all’interno del loro rapporto. Questa privatizzazione da una parte toglie il rapporto con la
società, dall’altra, paradossalmente, fa sì che le singole famiglie diventino totalmente schiave della società.
Adesso non c’è più la possibilità per le famiglie di avere una visibilità pubblica per far fronte alle logiche
della società con i loro valori. Sono soltanto realtà che assorbono quello che viene dall’esterno, anche
attraverso l’imposizione dei mezzi di comunicazione. Il modo di pensare, le scelte che facciamo, in gran
parte sono determinate dall’esterno. Già Cesare Augusto diceva “dividi e impera!”. Più dividi, cioè quanto
più separi, tanto più puoi imporre la tua logica. Questa società ha la possibilità di imporre quello che più le
interessa.
Queste trasformazione di carattere esterno incidono più di quanto crediamo sul nostro carattere. Noi
diventiamo soltanto consumatori, non solo della logica della società, ma anche dei beni che la società offre.
Una società di carattere consumista ha vantaggio ad avere una famiglia che sia sempre più ristretta, magari
formata da single, perché è evidente che ad una famiglia di venti persone (patriarcale) basterebbe oggi una
sola lavatrice. Se invece abbiamo una famiglia con tre persone ci vuole anche una lavatrice; e se abbiamo un
single ci vuole anche lì una lavatrice, una televisione, un frigorifero... E poi ad un single attanagliato da
frustrazioni, insoddisfazioni fa anche piacere comperarsi qualche cosa che gratifichi e quindi diventa molto
più logico questo modello di famiglia agli effetti consumistici. Capite che queste trasformazioni di carattere
esterno incidono molto di più di quanto noi crediamo sul nostro modo di essere.
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Faccio soltanto accenno ad un altro aspetto prima di entrare nello specifico che voglio affrontare con voi, che
è il significato cristiano dell’essere famiglia.
Ci sono tanti fenomeni di cambiamento, per esempio il femminismo, che è stato una grande conquista.
Giovanni XXIII indicava il femminismo come uno dei segni dei tempi. Voi conoscete tutta la storia dal
femminismo: il primo, che immaginava l’emancipazione della donna, dopo una sua pratica esclusione
dall’attività e dalla vita pubblica, come una forma di equiparazione uomo donna, dove però non venivano
riconosciute le loro differenze. Mi pare, invece, che l’attuale femminismo sia molto più maturo, che
consideri in realtà l’aspetto della relazionalità, la quale implica il necessario riconoscimento delle differenze.
Per cui nell’uguale dignità uomo-donna devono essere riconosciute le differenze esistenti. D’altra parte,
siamo in momenti di passaggio che sono sempre momenti di crisi. Oggi, se noi guardiamo alle donne,
soprattutto alle giovanissime, alle ragazze, quali attese di emancipazione portano in sé? Le ragazze di oggi
non sono più quelle di quaranta, cinquanta anni fa, sono totalmente cambiate. E i ragazzi di oggi come sono?
Apparentemente possono essere aperti al femminismo, ma praticamente molti dei nostri ragazzi sono educati
in una mentalità maschilista e soprattutto la coltivano, anche a loro insaputa. Poi, quando sono sposati, le
cose non sono così semplici da combinare. Quando la famiglia era combinata, quando i ruoli erano definiti, i
due potevano anche immaginare che cosa li avrebbe aspettati. Lui sapeva ciò che poteva aspettarsi da lei e
viceversa. Una volta, quando uno diceva: “Quando mi sposerò…” poteva immaginare qualcosa. Oggi non è
più così. I ragazzi ancora immaginano “Quando mi sposerò…”, ma non hanno mai verificato questa idea con
l’altra persona per vedere se le loro attese, i loro sogni, sono anche i sogni e le aspettative dell’altro/a.
Ai fidanzati alle volte dico che non devono sposarsi per amore, ma per un progetto d’amore. E’ proprio
questa capacità progettuale ad essere venuta meno, ad essere messa in crisi. Per cui il concetto che può essere
messo al centro di tutto, che sembra giustificare tutto, in realtà è un concetto troppo povero. Di fatto, i due si
aspettano molto di più di quello che un progetto lasciato a se stesso può in realtà concedere o dare. Occorre
avere insieme un progetto d’amore. Il femminismo sicuramente ha portato dei grandi vantaggi rispetto alla
realtà di un tempo, ma in un momento di passaggio come il nostro, ci sono ancora alcune fasi da superare.
Sono convinto, per esempio, che una donna nel passato, dal punto di vista materiale, si trovava in situazioni
ben peggiori di oggi. Però da un punto di vista reale dava per scontata la situazione femminile, quindi non
immaginava qualche cosa di diverso rispetto a quella situazione. In secondo luogo, la donna è sempre stata in
grado di trovare anche dei luoghi di propria realizzazione. “Tre angoli della casa sono tenuti in piedi dalla
donna”, si dice. E poi a comandare non è chi e seduto sul trono, ma chi sta dietro il trono. Di fatto dietro a
molti uomini di potere c’erano molte donne che guidavano quel trono.
Oggi la donna se vuole essere emancipata deve lavorare, deve accudire i figli, dev’essere disponibile… Mi
chiedo come tante donne non siano nevrasteniche con tutto quello che devono fare, per essere quello che
devono essere. Ad esempio, un uomo e una donna lavorano in ufficio, nella scuola o in fabbrica; quando
tornano a casa, lui sa che ha terminato il lavoro, lei invece sa che deve cominciarne un altro. Quello che ha
fatto è stato quasi un sottrarre del tempo a quello che era il suo obbligo. Poi, lui è cosi bravo perché a casa dà
una mano, ma di diritto e di dovere i lavori di casa sono di lei! Il femminismo è un segno dei tempi e una
grazia, ma dobbiamo ancora scoprire la modalità corretta per instaurare rapporti significativi. Fintanto che
questi rapporti non sono trovati, il rischio è di creare situazioni di tensione, di incomprensione, di difficoltà.
Il fatto che un terzo dei matrimoni entri in crisi nel primo anno è dovuto proprio anche al fatto che le attese
che i singoli si portavano erano diverse l’una dall’altra.
Un’altra grande rivoluzione è quella sessuale, la rivoluzione del corpo. L’uomo è composto di anima e
corpo. Finalmente si è anche riconciliato con la sua corporeità, perché non c’è nessuna manifestazione
spirituale che non avvenga attraverso la corporeità. Però facciamo fatica a trovare gli equilibri. Se una volta
l’uomo era sacrificato, negato, tabuizzato, assoggettato all’intelligenza e alla volontà dello spirito, oggi sta
avvenendo esattamente l’opposto. Oggi, tutto ciò che è attinente al corpo sembra essere la verità della
persona. Mentre invece ciò che è legato all’intelligenza e alla volontà sembra essere una forma di
inautenticità. Per cui essere veri significa vivere secondo l’immediatezza, nella spontaneità del sentire,
dell’emozione. Se uno non vive immediatamente secondo la logica del sentire, dell’emozione, allora non è
autentico. Questo viene trasferito a tutti i livelli. Si dimentica però che l’uomo è una totalità e quindi anche la
sua intelligenza, anche la sua volontà è un fatto umano e dunque la spontaneità umana non può essere
semplicemente una immediatezza istintiva. Questo non è possibile; lo è per l’animale, ma non per l’uomo.
Volevo accennare ad un fatto riguardo alla riscoperta del corpo riferendomi a quella che vari autori chiamano
la ipergenitalizzazione. L’autore che cito è un filosofo non cristiano, freudiano marxista, della scuola di
Francoforte, Marcuse. Lui dice che uno dei valori fondamentali che stanno caratterizzando la nostra società è
quello della prestazione – produzione. Infatti, tutti vogliamo realizzarci, ma purtroppo questa idea di
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realizzazione di noi stessi è stata catturata troppo presto dallo spirito capitalista il quale fondamentalmente ha
identificato la realizzazione sulle cose: avere – possedere. Quando noi diciamo che una persona è realizzata?
Diciamo: “Hai visto che macchina? Hai visto che casa? Hai visto cosa può permettersi lui?”. Non ho mai
sentito dire di una persona che ha fatto un buon cammino spirituale: “Guarda come si è realizzata!” Si va a
finire sempre nelle cose materiali, che sono per altro importanti, però valgono sono quelle, e per averle, per
poter realizzarsi in esse, bisogna avere soldi; per avere soldi bisogna lavorare tanto. Quanto? Tantissimo.
Ormai la vita è soltanto orientata al fare, al produrre. Tutte le altre dimensioni della nostra vita
tendenzialmente vengono atrofizzate. Quanto spazio c’è per il dialogo, per la spiritualità, per la cultura, per il
gioco, per il silenzio, per la contemplazione? Se si vede qualcuno che sta contemplando qualche cosa gli si
chiede se sta male. E’ quasi un peccato fermarsi. E poi ci nascondiamo dietro il pretesto del tanto da fare.
Sembra che se non si fa non si è a posto. A volte, il dialogo di coppia avviene solo per informazioni pratiche:
hai comprato… ti sei ricordato… hai pagato? Ecco il dialogo!?!. Hanno tempo i coniugi per guardarsi negli
occhi, per permettere che l’altro entri nei tuoi sogni, nelle tue attese, nelle tue speranze, nel tuo modo di
essere? E tu per entrare nel mondo dell’altro, nelle sue aspettative, nelle sue paure, nei suoi progetti? E se
non c’è questa profondità, che rapporto di coppia è? Non basta che i due vivano sotto lo stesso tetto, magari
più soli di un cane, perché voi sapete che non è sufficiente essere vicino ad una persona per essere tirati fuori
dalla propria solitudine. Che ti tira fuori dalla tua solitudine è questa complicità profonda, questo sentirsi
portati dentro dall’altro. Motivo per cui io di solito consiglio alle coppie una regoletta semplicissima, ma per
me fondamentalissima, cioè di dedicare almeno mezz’ora di tempo al giorno per se stessi come coppia.
Questo perché tutte le cose importanti domandano tempo, diversamente vuol dire che quella realtà non è
importante.
E c’è tempo per la spiritualità? Che non è una cosa dei preti, dei frati, dei cristiani. Se uno non si coltiva a
livello di interiorità, di tenerezza, di delicatezza, come fa ad instaurare un rapporto con l’altro? Siamo così
abituati a trattare con le cose che se non stiamo attenti rischiamo di trattare le persone come trattiamo le cose.
E c’è tempo per la cultura? C’è tempo per il gioco? Quella terribile frase o lamentela: “Non hai mai tempo
per me”. In questo contesto corriamo il rischio di vivere i rapporti con gli altri in modo assolutamente
funzionale e quindi anche la famiglia, se non si sta attenti, corre questo rischio, anche nell’esperienza
sessuale. Noi siamo in-vocazione di relazione. Si può coltivare la relazione con l’altro attraverso l’esperienza
del dialogo, del gioco, della cultura, della spiritualità, ma se queste dimensioni non sono coltivate e l’unica
dimensione vissuta è quella del fare, il rapporto con l’altro “si fa”. Dice l’autore citato: “Si fa l’amore…che
bella espressione è questa… se non si sta attenti si fa sesso”. Quando il rapporto viene terminato
probabilmente rischia di ributtare la persona ancora di più nella sua solitudine, nel suo vuoto, qualche volta
nella sua disperazione. Non vorrei essere frainteso. Non è che la persona che aveva coltivato quei valori di
cui prima facevo accenno, sia chiamata a fare di meno l’amore. Può essere chiamata a farlo molto di più, ma
il significato è diverso. In un caso diventa il momento celebrativo dell’amore, nell’altro caso diventa
momento sostitutivo dell’amore. È una regola semplicissima: se si vuole fare bene l’amore prima bisogna
vivere l’amore. Altrimenti Giovanni Paolo II diceva che ci può essere adulterio dentro il matrimonio, tra
marito e moglie, se quel gesto non è gesto di amore. Non è semplice. Provate a pensare se tutte le coppie
esistenti cominciassero a darsi tempo per dialogare, per stare insieme, per coltivarsi spiritualmente. Secondo
voi, questa nostra società sbrigativa e consumista, potrebbe stare in piedi? Invece, la società impone una
sessualità sbrigativa e consumista, rapporti sbrigativi e consumisti, che oltre tutto dovrebbero avere la
funzione di gratificazione rispetto alle inevitabili difficoltà che uno vive a livello di società. Il rischio è di
aspettarsi moltissimo dalla relazione, ma in realtà di non riuscire a darle tutto ciò di cui avrebbe bisogno
perché la relazione possa vivere. Mi spiego in maniera un po’ banale: uno torna a casa stanco, con tutti i suoi
problemi di lavoro, con un diavolo per capello, immagina di tornare a casa e di trovare un po’ di pace, un po’
di serenità… e chi trova? La moglie che ha appena litigato con i figli, che ha i suoi problemi…
allora….che cosa vuol dire…era meglio che stesse fuori? Ci si aspetta moltissimo dalla relazione, ma si è
disposti a darle tutto ciò di cui avrebbe bisogno? Capite che il nostro mondo traduce in funzionale anche
questi rapporti che invece avrebbero bisogno per vivere di altro respiro, di altre dimensioni, di altra
profondità. Anche il contesto dentro il quale viviamo ci condiziona anche se non ce ne rendiamo conto,
trasforma le modalità del rapporto dentro la coppia, con i figli, con la società. Una volta uno si sentiva in
casa anche quando era fuori della porta o quando era in paese, per cui la sua vita aveva una dimensione
sociale quasi immediata, scontata. Oggi, quando voi uscite di casa siete anonimi, il vostro volto non interessa
a nessuno, siete un numero, c’è una frattura totale tra il privato e il sociale. Allora il rischio è che quando io
ho dato quello che dovevo dare, quando ho ricevuto quello che dovevo ricevere, basta, sono a posto. Ma in
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realtà, in questo modo, la società può manovrare i singoli in una maniera assoluta e costringerli dentro la sua
logica.
La famiglia alla luce della fede (?) questo o qualcosa d’ altro…
Dentro queste problematiche come dovrebbe essere una famiglia alla luce della fede? Con quale stile di vita
la famiglia educa e si educa alla fede? È chiaro che dobbiamo confrontarci con la Bibbia che è il testo
normativo per una vita che voglia comprendersi alla luce della fede. Significa che la Bibbia rappresenta la
verità ultima della nostra vita e dell’esperienza familiare.
Chiarificazione: Per famiglia intendiamo una comunità di persone dove le componenti sono marito e moglie,
e si parla di coppia; per famiglia intendiamo più propriamente quella comunità dove oltre al marito e alla
moglie sono presenti, sono operative anche altre realtà: i figli ed eventualmente i nonni e gli zii; dove la
varietà di presenze crea la varietà di relazioni: relazione sponsale, filiale, parentale, fraterna… Relazioni
che man mano s’instaurano o si aggiungono modificando le relazioni esistenti. Pensiamo a due sposi quando
hanno un figlio: chiaramente la relazione si trasforma. I due devono ogni tanto imparare a risposarsi (con la
stessa persona, ovviamente) ma è altrettanto chiaro che la presenza di un figlio trasforma in qualche maniera
la relazione tra i coniugi. La relazione nel tempo si deve trasformare altrimenti crea delle frustrazioni e delle
delusioni talvolta molto forti; la relazione è una realtà viva quindi deve cambiare. In ogni caso, tutte queste
relazioni incidono sulla coppia stessa e la aprono ad un pluralità di relazioni anche all’esterno con la scuola,
con il lavoro, con la società in genere. La famiglia nasce con la coppia, ma non si riduce alla coppia.
Come la Bibbia vede la realtà familiare? Una cosa deve essere chiara, la Bibbia presenta vari modelli
familiari, non c’è un unico modello. C’è la famiglia di Nazareth, quella di Abramo, quella di Salomone che
aveva 300 mogli e 700 concubine… E diciamo Parola di Dio. Quella descritta da san Paolo alla lettera ai
Corinzi, cap. 11, dove la donna deve restare sottomessa al marito, anzi deve portare il velo; quella della
lettera agli Efesini… Nella Bibbia non troviamo un modello ideale, una famiglia che possiamo definire una
volta per sempre come “famiglia cristiana”, troviamo famiglie patriarcali, nucleari … troviamo di tutto.
La domanda è: “Che cosa non deve mancare in una famiglia perché sia una famiglia cristiana? Quali sono i
valori costitutivi di una famiglia cristiana?” Lo specifico (vuol dire un modo specifico di vivere quel valore,
e non va inteso come esclusivo) dovrei trovarlo dentro una famiglia cristiana perché sia tale, ma lo possiamo
trovare in qualsiasi altra famiglia e a volte capita che sia più presente. Se parlo del valore cristiano del
perdono so che è un valore che vale per tutti. Tutti possono capire il significato positivo e liberante del
perdono. Il fatto che il cristiano sia capace di comprendere il perdono settanta volte sette questo sarà uno
specifico. Può esserci qualcuno che cristiano non è e sa vivere il perdono meglio di chi è cristiano. I valori
che adesso indico e che sono necessari per una famiglia cristiana, possono essere anche in altre famiglie che
non conoscono il Cristo. I valori in realtà sono tali in quanto sono umani, poi ci sarà un modo specifico di
viverli.
Lo specifico cristiano è la vocazione della famiglia ad essere una realtà dove si vive la comunione- carità,
cioè un’unione affettiva fatta di accoglienza, benevolenza, tra un uomo e una donna e con gli altri, sullo stile
di Dio e delle relazioni che il Signore vive al suo interno come Trinità e con noi. La famiglia è cristiana
quando vive sul modello dell’amore trinitario di Dio, quando vive la situazione di comunione trinitaria e
l’amore che il Signore ha per noi.
Quando parlo ai fidanzati talvolta dico loro che non chiedano solo la cerimonia, la coreografia - che pure è
cosa bella e noi siamo fatti anche di estetica, di esteriorità, di tradizioni… non mi sento di demonizzare o di
trattare come meno importanti alcune cose - penso che molti fidanzati oggi siano capaci di un passo in più
che chiedere a Dio che il loro amore venga benedetto, venga consacrato. E’ una cosa molto bella, ma non
sufficiente, perché il rischio è di porre il loro amore al centro e in qualche maniera volere che il Signore
benedica il loro amore. L’augurio che io faccio a loro è che abbiano il coraggio di sposarsi nel Signore, cioè
permettere che il loro amore venga elevato all’amore di Cristo Gesù. Dovrebbero intuire in qualche modo
che dovrebbero amarsi come Lui li ama, perdonarsi come Lui li perdona, valorizzarsi come Lui li accoglie e
li valorizza… fino al punto che il loro sposarsi nel Signore diventa sacramento. Sacramento significa segno
dell’amore di Cristo Gesù. Chi è sposato in Chiesa è segno dell’amore di Cristo e questo lo evidenzia da
come apprezza, stima, accoglie, perdona l’altro/a, facendo intuire l’amore di Cristo Gesù. Noi dovremmo
restare a bocca aperta, in un mondo caratterizzato dall’egoismo e dall’egocentrismo, vedendo come fanno a
sopportarsi così, ad amarsi così, a perdonarsi così, ad essere così entusiasti; e se Dio è amore diventano
testimoni della Sua presenza in mezzo a noi. La vocazione del sacerdote e del religioso è grande, ma vorrei
che le coppie prendessero coscienza della loro alta vocazione, della loro importanza nella Chiesa e nella
società.
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Se la famiglia dovrebbe essere quella realtà che vive all’interno l’amore e la comunione di Dio, può fallire
dal punto di vista economico, dal punto di vista pedagogico, forse è troppo quello che dico… ma se non
fallisce nella comunione-carità, nella capacità delle relazioni amorose fatte sullo stile di Dio e del suo amore,
non è fallita. Fallirebbe soltanto quando viene meno a questo livello, quando non è più capace di vivere
l’amore sullo stile di Cristo Gesù.
Vorrei mettere in risalto tre caratteristiche dello specifico cristiano dell’essere famiglia ed il conseguente
stile di vita: gratuità, missionarietà ed ecclesialità.
Gratuità quale riflesso della gratuità di Dio. Nella società emergono l’avere e il possedere. Questo non
significa mettere in crisi la positività del benessere. Significa criticare il benessere quando diventa lo scopo e
il fine di tutto. Questa preminenza di valori aggiuntivi, segna spesso anche però il modo delle nostre
relazioni. Provate a pensare, l’altro vale in quanto risponde ai miei desideri, ai miei gusti, alle mie idee, tanto
quanto mi gratifica. Per cui anche il rapporto con l’altro si può instaurare in un atteggiamento possessivo.
L’altro può diventare corpo offerto al mio piacere, non più relazione personale: anche nel rapporto con i figli.
Pensiamo quanto sta entrando nel linguaggio l’idea che il figlio è diritto: “Io ho diritto ad avere un figlio”.
Sono omosessuale, sono single, sono sterile…. ma ho diritto. Che cos’è un figlio? diritto o dono? Se noi ci
mettiamo nella linea del diritto di un figlio probabilmente quest’idea instaura un rapporto di tipo possessivo,
dominativo; anche nel rapporto educativo quel figlio dovrà rispondere ai miei desideri, alle mie attese. Se io
considero la realtà del figlio un dono, io non posso più vantare diritti sul figlio. Lui è al centro e io devo
aiutarlo a crescere, ma rispettando la sua vocazione. Anche nel rapporto con gli altri, essi vengono
considerati in questo nostro contesto, soltanto come soci, come indifferenti. L’altro non è il prossimo, colui
al quale io devo farmi vicino, anzi stando alla parabola di Gesù, devo farmi vicinissimo all’altro; non ho il
vicino, ma ho uno al quale io devo farmi vicino. In modo ironico Caino diceva: “Sono forse io il custode di
mio fratello?”. Quella frase ironica di Caino è diventata plausibile nella bocca dell’uomo del nostro tempo:
“Cosa m’importa dell’altro? Quando io ho curato le mie cose sono a posto”. No, tu devi essere al servizio
delle gioie, della fede, della vita dell’altro. Anzi, devi farti vicinissimo all’altro che ha bisogno della tua
presenza.
Stile della gratuità nei confronti di Dio.
Innanzi tutto avere la capacità affettiva di perdere tempo per Dio. Perdere tempo per Dio. C’è una frase nel
Vangelo “Là dov’è il tuo tesoro…” A determinare la verità della nostra vita e la modalità delle nostre scelte
concrete è la passione che ciascuno di noi coltiva dentro se stesso. Qual è la tua passione fondamentale? Se
per caso la tua passione è il denaro, il successo, la carriera … puoi fare anche bei discorsi sull’amicizia, sulla
verità, sulla carità, ma se quell’amicizia contrasta con la passione verrà negata. Se una persona è innamorata
di una persona, questa è la sua passione, piuttosto di perderla perde denaro, tempo, sonno… Capite che
ognuno compie le sue scelte in base alla passione fondamentale che porta dentro di sé. Provate a convincere
che la passione dell’altro non è la migliore, quella vera, più significativa! Chi ha la passione per il denaro è
convinto che se tu hai tanti soldi, di ragazzi e ragazze ne trovi quante vuoi, e uno/a meglio dell’altro/a. Un
altro, invece, al posto di perdere questa persona perde tutto il resto. Capite che la qualità morale di una
persona si vede sì dalle scelte che fa, ma le scelte derivano di fatto dalla passione fondamentale che coltiva
dentro di sé. Qual è la mia passione fondamentale? Dov’è orientata effettivamente la mia vita, non
teoricamente ma praticamente?
Capite quanto sia importante trovare innanzitutto un rapporto fondamentale con il Signore. Se noi
coltivassimo questo rapporto in modo concreto e vero, anche le nostre scelte sarebbero caratterizzate da
questa passione fondamentale che coltiviamo con Dio. Per la Bibbia è molto interessante vedere come
l’uomo trova la sua verità, la sua vita, soltanto quando entra in rapporto con il Signore; quando si stacca da
questo rapporto (Cfr Genesi), l’uomo diventa morto, perde la sua umanità, è un morto ambulante, non è più
capace di percepire ciò che è il valore e di fare ciò che vale. Così la famiglia, soltanto quando vive il rapporto
con il Signore può trovare la verità di se stessa. In particolare, la famiglia si scopre come comunità collegata
e sostenuta da un Amore con la A maiuscola. Un amore che può diventare ‘volano’ in tutti i momenti, quelli
belli e anche quelli difficili della vita. C’è un’immagine molto bella nel Cantico dei Cantici, dove si parla
della vigna d’amore. Una vigna stupenda, ma che ad un certo punto viene saccheggiata da piccole volpi; si
chiamano egoismo, superbia, orgoglio… dove facilmente inciampiamo. Può aiutarci superare questi ostacoli
solo avere una vita orientata a qualcosa di più grande, posta davanti a Dio. È in questa relazione con Dio che
possiamo trovare quello che Giovanni Paolo II indicava come “la strada del bell’amore”.
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Quanto più pieghiamo le ginocchia davanti a Dio, credo, tanto meno avremo bisogno di piegarle davanti agli
altri uomini, siamo liberi. Gesù che era il totalmente obbediente al Padre è l’uomo totalmente libero. Non
solo, ma quando t’inginocchi davanti a Dio riconosci di non essere tu Dio e quindi le tue ragioni non sono le
ragioni ultime; e anche nel rapporto con l’altro tu potrai sempre ricominciare un’altra volta. Potrai sempre
riconoscere anche l’atteggiamento di umiltà che le tue ragioni non sono le ragioni ultime, e che puoi
riprendere in quella relazione fondamentale la relazione con l’altro. Questa gratuità nei confronti di Dio ha
un nome ben preciso si chiama preghiera. Nella nostra esperienza umana non è possibile la relazione se non
c’è dialogo. Anche nel rapporto con Dio non è possibile se non c’è spazio per parlare con il Signore. Di
solito non c’è tempo per pregare. Lasciatemi dire una cosa a livello personale. Se riuscirete a trovare ogni
giorno dieci minuti per pregare troverete di avere più tempo perché riuscirete a dare ordine e senso alla
vostra giornata. Provate per trovare tempo nella vostra giornata a dare tempo alla preghiera, guadagnerete un
sacco di tempo. Ma la preghiera, soprattutto quella fatta insieme - “Dove due o tre sono riuniti nel mio
nome..” - è il momento in cui si può rendere grazie, chiedere aiuto, ricordare i propri cari, chi ci ha preceduti.
È un momento in cui noi ci ricordiamo di Lui, ma anche Dio si ricorda di noi. Noi rivolti a Lui e Lui rivolto a
noi. Il momento della preghiera è quando noi progressivamente guardiamo alla vita, non con i nostri occhi
ma con quelli di Dio, con la speranza di Dio. Se ti manca una persona è un dramma, è una sofferenza, ma se
riesci a guardare attraverso le lacrime quell’evento con gli occhi di Dio, resta dramma e sofferenza, ma si
può vedere che non tutto è chiuso. Significa vedere e vivere quell’esperienza con una modalità che è
assolutamente diversa: gratuità verso Dio e gratuità verso le persone. C’è la necessità di passare da
atteggiamenti di indifferenza, essere soci, ad atteggiamenti di prossimità. I tanti problemi concreti che stiamo
vivendo oggi (dal suicidio, all’eutanasia, al fallimento…) hanno come denominatore comune il fatto di una
società indifferente e la necessità di una società di prossimità. La necessità di passare da una società nemica
ad una società ospitale è uno dei valori centrali nella Bibbia. Il che significa mettere in atto tutti quegli
atteggiamenti di dialogo, di spiritualità, gioco, gratuità, libertà.
C’è poi la gratuità verso le cose. Nel Vangelo non troviamo mai il disprezzo della ricchezza, anzi nell’Antico
Testamento la ricchezza è considerata come una benedizione. Anche nel NT non troviamo mai un
atteggiamento diretto contro la ricchezza. Gesù ha amici ricchi, nel gruppo di Gesù c’è una borsa, la veste di
Gesù è una veste preziosa. Eppure Gesù mette in guardia contro il pericolo delle ricchezze perché possono
farci chiudere in noi stessi e farci credere di non avere bisogno di niente altro. “Lazzaro e il ricco epulone”,
“è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli...”. Le
ricchezze soffocano la Parola. Il fattore della parabola viene chiamato stolto perché ha accumulato tante
ricchezze pensando d’essere a posto. “Che giova guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria
anima?”… Ciò che nella Bibbia viene messo in evidenza non è tanto il disprezzo dei beni, ma chi è il vero
bene, il Signore della vita. Se guardiamo alle chiamate dei discepoli vediamo che lasciano tutto perché hanno
trovato un tesoro, che è Cristo Gesù. Di chi ci fidiamo? Chi è il nostro Signore? Quando nella vita si perde la
dimensione di ciò che conta, io dico dell’eterno, quando sulla bilancia pesano di più le cose materiali, pesa
meno la parte dell’eterno. Quando pesa di più l’eterno, pesano meno le realtà materiali.
Alcuni suggerimenti. Recuperare la bellezza delle cose semplici, dell’accontentarsi, per esempio anche nelle
spese saperci confrontare non solo con chi ha di più, ma anche con chi ha meno. Saper dominare le voglie…
Qualcuno di voi va a fare la spesa al supermercato… è dimostrato che l’80 % di ciò che si compra non
corrisponde a quanto era stato pensato a casa. C’è una scienza che studia il modo di presentare le cose per
attirare il cliente a comprare. Se vanno marito e moglie comperano di più e spendono peggio, per influenza
della pubblicità. Saper dominare le voglie, un’esatta sobrietà vuol dire anche spostare l’obiettivo della nostra
realizzazione su altre dimensioni rispetto alla compensazione che può semplicemente venire dal fare la spesa
comprandosi alcune cose. Occorre saper puntare su ciò che veramente disseta, su ciò che davvero può
soddisfare il bisogno profondo e non quello superficiale.
Nella religione cristiana la famiglia è aperta a nuovi confini. Pensiamo all’episodio in cui Gesù s’incontra
con i familiari: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Gesù propone un principio nuovo di familiarità,
di aggregazione, di stare insieme. Tanti sono i motivi per cui si sta insieme: la simpatia, gli interessi comuni.
Quello che principalmente unisce la famiglia sono i vincoli di sangue, motivi di carattere razziale, ma se ciò
non viene vissuto alla luce della Parola di Dio, si corre il rischio che diventi motivo di esclusione. Solo chi
appartiene alla mia famiglia ha diritto di attenzioni e di cure, della mia preoccupazione… gli altri dopo, sì e
no. Pensiamo a certi atteggiamenti rispetto ad alcune notizia: “E caduto un aereo”, “Quanti italiani c’erano?
“, “Nessuno” , tiriamo un respiro di sollievo… E gli altri chi sono?
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La famiglia immagine dell’amore trinitario è chiamata a respirare con il mondo, con il quartiere, con la
parrocchia, con i problemi, con le preoccupazioni e con le contraddizioni del mondo, ed è chiamata a
rispondere. Ma questa apertura ha oggi un significato e un’urgenza più grande.
La famiglia avrebbe bisogno per poter vivere di valori diversi da quelli proposti dalla società attuale, che
sottolinea in particolare l’efficienza, la razionalità e la produttività. Avrebbe bisogno dell’amicizia, del
dialogo, del perdono, del tempo, valori che oggi sembrano diventare “brutte parole”. Tra queste due logiche:
quella che può far vivere la famiglia e la logica della società, quale avrà il sopravvento? Oggi abbiamo la
sensazione che la logica della società stia schiacciando come un rullo compressore la famiglia. La possibilità
che sia invece l’altra logica a respirare e vivere è data dal fatto che la famiglia creda ai suoi valori, li viva al
suo interno e abbia anche la capacità di esportarli. Quando voi andate all’ospedale e trovate un medico, un
infermiere dal volto umano, quando andate in un ufficio e trovate una persona gentile, quando per strada
s’incontra una persona che nel traffico è capace di un gesto di gentilezza … ci si allarga il cuore… allora c’è
ancora umanità. Questa è la sfida che la famiglia deve vivere, questo è il concetto di missionarietà. La
famiglia che deve essere ciò che deve essere al suo interno, vivere i suoi valori, ma non creare una frattura
tra quello che vive all’interno e quello che vive all’esterno. Dobbiamo essere capaci di vivere i nostri valori
in famiglia e portarli là dove lavoriamo, facciamo la spesa… pensate ad un insegnante che vive la relazione
con i ragazzi, con questa ricchezza di umanità e non solo in modo funzionale.
Ecclesialità (?)
La famiglia cristiana ha bisogno della comunità cristiana perché si nasce come famiglia cristiana, si nasce
alla fede, si cresce nella fede, ci si confronta nella fede nella comunità cristiana. Penso ad un’espressione
spesso usata in passato: “La parrocchia deve essere come una grande famiglia”. La famiglia modello della
Chiesa. Secondo la Parola di Dio prima di tutto è la famiglia che dovrebbe ripensare i ruoli familiari secondo
i ruoli esistenti nella comunità cristiana. Non la famiglia modello della comunità cristiana, perché ci
dovremmo chiedere “quale famiglia?” Quella dei DICO? Quella omosessuale? … Capite che è la comunità
cristiana che deve essere modello per la famiglia e le caratteristiche che troviamo nella comunità cristiana
dovremmo trovarle riflesse nella famiglia. La famiglia cioè è un’esperienza particolare di Chiesa. Che cos’è
la Chiesa? Che cos’è la comunità cristiana? È un luogo dove i rapporti reciproci sono definiti dal servizio.
San Paolo dice: “Siate sottomessi gli uni agli altri”. La comunità cristiana è il luogo dove vige
l’interdipendenza, la reciprocità, la gratuità e dunque se questo è vero, la Parola di Dio contesta la famiglia
albergo, la famiglia dove ognuno prende qualcosa per sé e non vive nella comunione, ma contesta anche la
famiglia autoritaria o la famiglia impositiva del passato. Se la comunità cristiana è il luogo del servizio
reciproco, la famiglia dovrebbe essere il luogo del servizio reciproco, dove anche l’autorità si comprende
come un servizio, un far crescere e dove questo compito del far crescere è un compito dei genitori nei
confronti dei figli, ma è un compito anche dei figli nei confronti dei genitori, perché anche il figlio ha la
capacità educativa nei confronti dei genitori. Se i genitori ascoltano il figlio, innanzi tutto senza parlare, il
figlio esige che i genitori siano tali, che prendano coscienza delle loro responsabilità e di quello che loro
devono essere e fare, per essere genitori. Qui si capisce anche l’importanza del dialogo, che non è soltanto
parlare, ma è qualcosa di più profondo, è capacità di comprendere che noi dobbiamo dare all’altro e ricevere
dall’altro. “Nessuno di noi è così ricco da non aver niente da ricevere e nessuno di noi è così povero da non
aver niente da dare”. Il mio insegnante di filosofia m’insegnava che noi siamo essere (e minuscola)
partecipazione dell’Essere, che è Dio, con la E maiuscola. Significa che nessuno di noi è Dio, ma che ognuno
di noi è Essere. Quindi ognuno è dialogo; è la capacità di comprendere che io posso, devo ricevere dagli altri,
ma anche è la coscienza che io posso e devo dare agli altri.
Se è vero che la famiglia deve modellarsi sullo stile della comunità cristiana, risulta però altrettanto vero che
anche la Chiesa, la comunità cristiana si concretizza e vive nella vita familiare. La Chiesa è comunione, ma
è la famiglia di fatto il luogo in cui quest’aspetto si vive e può essere vissuto con tutta la sua profondità. Se le
famiglie funzionano come comunità di vita e di amore, anche la Chiesa e la comunità parrocchiale
funzioneranno come comunità comunione, e lo stesso può dirsi di tutte le note fondamentali della vita
cristiana. Se la vita cristiana è vita di fede, di speranza e di carità è nella famiglia che s’imparano queste
caratteristiche, è lì che s’impara a fidarsi dell’altro, che s’impara ad amare, a credere, a sperare, a perdonare
nel concreto. Se la vita cristiana è unione nella diversità, è nella famiglia che s’impara a far riconoscere la
diversità: per età, per gusti, per sesso, per fede... La Chiesa è il volto concreto della famiglia che è piccola
Chiesa. Quindi da una parte la Chiesa diventa modello della famiglia, ma nello stesso tempo la famiglia
dovrebbe essere il luogo dove le caratteristiche della Chiesa si vivono e s’imparano.
Lavoro per piccoli gruppi sulle questioni qui sotto esposte
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Una catechista che lavorava in parrocchia ha divorziato dal precedente marito e si è risposata. Ora non fa
più catechismo. Frequenta la Messa in un’altra parrocchia e fa la Comunione. La cosa è risaputa tra le
catechiste, le quali ne hanno parlato con il parroco che ha risposto: “Questo è un suo problema di
coscienza”.
Che dire alla gente della parrocchia che domanda spiegazione e desidera sapere se alcune
norme (es. l’esclusione dalla comunione per i divorziati risposati) sono ancora valide?
Un giovane, figlio di una famiglia credente e praticante si è unito alla sua fidanzata con l’intenzione di
maturare insieme il matrimonio religioso. In famiglia, con gli amici, con il gruppo di riferimento parrocchiale il
giovane ha dichiarato di non approfittare della situazione e di rispettare la sua ragazza nell’area sessuale.
Può essere ammesso alla comunione come sarebbe suo desiderio?
Una ragazza discute sul tema dell’aborto con il suo gruppo e approva la legge che lo sostiene perché dice:
”Ho il diritto di non rovinare la mia adolescenza qualora rimanessi incinta”. Idea condivisa da tante altre
amiche. E’ convinta di aver diritto di vivere l’amore, cioè vivere liberamente rapporti sessuali senza
condizionamenti per vivere pienamente la sua giovinezza.
Cosa rispondere per tenere aperto il dialogo con queste adolescenti?
In un incontro di preparazione dei figli alla Cresima, una signora dice il suo rammarico perché non può fare
la Comunione il giorno della festa della sua unica figlia, che ha cresciuta con tanto amore. E’ divorziata, non
è risposata, ma convive. Si appella a Gesù che predica la misericordia del Padre. Si perdona anche ad uno
che uccide. Perché una convivenza, che sembra non fare danno a nessuno, non può essere perdonata?
Come si può affrontare questo problema?
Una frase della Nota del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana dice: “La legislazione
delle unioni di fatto è inaccettabile sul piano dei principi, pericolosa sul piano sociale ed educativo, avrebbe
effetti deleteri sulla famiglia perché toglierebbe al patto matrimoniale la sua unicità...” Il testo della Nota
aggiunge: “I cristiani sono tenuti ad obbedire al magistero della Chiesa”. Di fronte a questa affermazione
qualcuno ha reagito dicendo che la Chiesa è troppo costrittiva.
Come mettersi in dialogo con queste persone senza irrigidire la situazione?
Quello che segue è il parere di Massimo Introvigne a commento della Nota.
Spiega la Nota, i cattolici impegnati in politica devono decidere secondo coscienza, ma questa dev’essere
‘rettamente formata’. Diversamente, l’appello alla coscienza potrebbe giustificare qualunque cosa. ‘Il fedele
cristiano – spiega la Nota – è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con
l’insegnamento del Magistero, e pertanto non può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei
laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche
fondamentali per il bene comune della società’. Per chi non avesse capito, o non volesse capire, questo
significa che ‘il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo
disaccordo e votare contro il progetto di legge’. Se non lo fa, è un ‘cristiano incoerente’: e dovrebbero trarne
conseguenze precise sia il suo parroco sia gli elettori cattolici’.
Qualcuno definisce il pronunciamento della Chiesa, riguardo alle varie proposte di legge (PACS,
DICO, unioni di fatto…) come ingerenza indebita in ambito politico; spesso si fa riferimento alla
libertà di coscienza… Tu che cosa pensi?
Eugenia Roccella, ex radicale e femminista, si è detta sicura che i DICO sono un’esigenza non sentita e che
“la maggioranza degli italiani è affezionata al concetto di famiglia tradizionale”, patrimonio di affetti ed
esperienza comune a tutti e che non si può buttare con leggerezza. Nella legislazione zapaterista si parla di
“genitori A e B”, in quella scozzese di tutor. Le parole ‘padre’ e ‘madre’ sono scomparse dal lessico degli
organismi internazionali. Ammette di capire le problematiche e le esigenze degli omosessuali, ma afferma:
“una coppia di per sé non è famiglia”. Tantomeno “occorrono famiglie inventate” e questo non significa
attuare discriminazioni.
Se gli italiani in genere non sono interessati ai DICO, da chi nasce la proposta? Chi alimenta la
pubblicizzazione di una problematica che potrebbe meglio essere risolta con attenzione alle
singole persone?
I Vescovi nella Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata del matrimonio e
di iniziative legislative in materia di unioni di fatto, scrivono:
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Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso
sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.
Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il
nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo
di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di
garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.
Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche
per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che
questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica
che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.
Una frequente accusa alla Chiesa è di essere rigida e di non rispettare le esigenze delle persone.
Che cosa ne pensi?
Replica di don Giuseppe
A proposito del dibattito in atto, si entra in un atteggiamento di equiparazione di qualsiasi tipo di
relazionalità. Sotto, sotto l’atteggiamento è quello di arrivare al riconoscimento delle coppie omosessuali
come coppie che hanno la stessa struttura di quella matrimoniali. Qui bisogna dire che dovremmo essere
anche noi più chiari. I diritti e i doveri di queste persone dovrebbe essere garantiti, perché non possiamo non
riconoscere che anche dentro una coppia omosessuale possono esserci dei valori significativi. In fondo, tra
un’esperienza omosessuale saltuaria, precaria, vissuta in modo distruttivo, e una coppia omosessuale (non
pensate che un vero omosessuale possa risolvere il suo problema sposandosi, perché creerebbe un’infelicità
per sé e per l’altro) un’amicizia stabile con una persona è certamente più sicura e più significativa di quanto
lo sia quella precaria. Che dentro questa relazione stabile ci siano anche dei diritti e dei doveri riconosciuti a
livello individuale credo sia estremamente corretto, importante e anche doveroso. Il problema è il
riconoscimento degli altri diritti. Pensate alla Spagna dove si è riconosciuto il diritto di avere un figlio. Fino
a ieri gli psicologi ci hanno riempito la testa nel sottolineare l’importanza di un corretto rapporto di
identificazione con il padre e la madre. Tutti questi discorsi cadrebbero nel vuoto e non avrebbero più
significato. Noi partiamo da una società tutta concentrata sull’idea dei diritti, ma i diritti di chi li ha e di chi li
può far valere. Se noi partiamo dall’omosessuale, perché non potrebbe avere anche lui il diritto di un figlio?
Che un omosessuale non sia persona, non abbia sensibilità, non sappia amare, non sappia educare? Pensiamo
a due donne lesbiche che con l’inseminazione artificiale possono avere una figlio proprio. Se guardiamo a
queste persone, perché non possono avere ciò che hanno gli altri? Ma se noi partiamo dalla realtà del figlio le
cose cambiano decisamente, perché a lui vengono sottratti dei diritti fondamentali: il diritto di avere una
famiglia, il diritto di avere un modello significativo di identificazione. Questa società rischia di riconoscere i
diritti, non di tutti, ma di chi li ha già, di alcuni a svantaggio di altri. Ecco il problema.
Se voi osservate le leggi permissive che sono approvate, in realtà vanno ben oltre a quello che si dice per far
passare la legge. Ad esempio, la legge sull’aborto dice che tale legge non può essere usata per la regolazione
delle nascite, ma solo per motivi ben precisi di salute. In realtà, se siamo onesti e guardiamo come vanno le
cose, (i casi drammatici e difficili sono tali che tutti li riconosciamo, e qui l’atteggiamento di comprensione
c’è e non andiamo a giudicare) ma la legge 194 è una legge che di fatto permette l’interruzione di gravidanza
quando altri sistemi contraccettivi non funzionano, o quando arriva un figlio non è atteso. Anche in questo
caso, tra quello che si dice e quello che si vuole ottenere passa molto. Lo si vede dalle rivendicazioni che
vengono fatte, dal fatto che davanti alla proposta di allargare tutti i diritti individuali, di riconoscere tutte le
richieste che vengono fatte la risposta è no. Si vede che le esigenze e le mete sono altre, si vede il passo oltre.
Lo si vede anche incluso nella legge che passa.
Circa la convivenza. Una volta quando andavo nei corsi di fidanzati il parroco mi diceva: “Guarda che c’è
una coppia di conviventi”, ora è il contrario, c’è la “convivenza all’italiana”, cioè ciascuno dei due vive in
casa dei propri genitori, vivendo poi da coppia. Perché solo in Italia un ragazzo può rimanere in casa sino a
trent’anni? In realtà, i figli se ne andrebbero da casa …
Una volta, nello schema antico, c’era l’istituzione del fidanzamento ed era tutto orientato all’istituzione del
matrimonio. Il fidanzamento doveva essere breve e orientato a… Oggi, ad un anticipo della maturazione
fisica, e non di poco, corrisponde un posticipo della maturazione psichica, e non di poco; ci sono condizioni
di vita totalmente cambiate e noi assistiamo ad una condizione di coppia molto diversa. Una volta dal
fidanzamento, al matrimonio e alla nascita del figlio passavano circa tre anni. Oggi dall’esperienza sessuale
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con una persona, con un'altra e con un'altra… eventuale convivenza… eventuale matrimonio … nascita del
figlio… passano…
Capite che diventare coppia in questo contesto si pone in modo totalmente diverso…
Credo che nella vita ci sono anche le stagioni. Oggi spesso il primo figlio nasce a 33-35 anni della madre.
Abbiamo spostato ampiamente le stagioni della vita. A livello ideale possiamo pensare come vogliamo le
cose, ma a livello reale… Noi viviamo molto sfalsati: a 35 anni non avere ancora delle prospettive davanti, ci
troviamo in una situazione insostenibile. Una volta a 12/13 anni il ragazzo cominciava a lavorare e ad avere
delle responsabilità. Oggi a 35 anni è ancora “fiol de fameja” e questo non credo sia il progetto di Dio.
In questo contesto totalmente diverso è anche comprensibile, ma non giustificabile, conoscete infatti la
decisione della Chiesa sui rapporti pre matrimoniali, che due possano avere un tipo di mentalità coniugale in
ambiente molto erotizzato. Una volta venivano a confessarsi se avevano avuto rapporti, oggi avviene il
contrario. È così danno per scontato che debba esserci, non che possa esserci.
Il problema per me, al di là della posizione della Chiesa sui rapporti pre-matrimoniali, è che quella stupenda
esperienza, diventi una stupenda fregatura. Molte volte credono di aver raggiunto una stupenda armonia, una
splendida intesa; in realtà, i problemi vengono solo messi da parte se manca una progettualità d’amore, se
non si danno tempo per farla. Rischiano di confondere il loro appartenersi soltanto con il loro stare bene
insieme, che è importante, ma non sufficiente per un progetto matrimoniale.
Circa la convivenza, io non so se sia più negativa quella reale o la convivenza all’italiana. Prendete con le
pinze quello che dico. La convivenza reale costringe i due a confrontarsi anche su aspetti concreti e molto
pratici, mentre la convivenza all’italiana li mantiene in una perfetta immaturità e irresponsabilità. Io sono
sempre convinto che la convivenza reale dove i due vivono insieme, sia meno negativa dell’altra, quella
all’italiana, dove tutto sommato ci nascondiamo dietro un dito.
Certo siamo pubblicamente in contrasto con quella che è la visione della Chiesa. Visto che la Comunione è
anche un esercizio pubblico, dovrebbe risultare un contratto con questa situazione che è pubblica; questo è il
motivo per cui non so quale sia la situazione migliore, se l’una o l’altra. Se quelli effettivamente fossero
capaci di vivere la loro convivenza nel rispetto dell’altro, anche dal punto di vista sessuale, se non ci
nascondiamo dietro un dito, non capisco perché quei due non possano fare la Comunione.
Se viene da me un fidanzato che ha rapporti sessuali e mi dovesse confessare questo (oggi non avviene più),
è chiaro che gli do l’assoluzione, quindi è chiaro che fa la Comunione. Allora, la situazione pubblica di per
sé è quella che impedisce. Le persone sensibili possono anche cogliere questa differenza. In ogni caso, per
me il vero problema oggi è costituito soprattutto dal fatto di una possibile e diffusa banalizzazione
dell’esperienza sessuale. Questo è il punto.
Mi sono preso in mano quest’anno, in occasione di san Valentino, una rivistina che leggono le nostre
ragazzine di prima e seconda media, Cioè! E lì insegnavano molto bene dove devono toccare, come devono
fare… Una ragazzina scrive che ha fatto l’amore con un ragazzo di cui è stata profondamente innamorata per
quattro giorni; una bella esperienza che consiglia a tutti. E io non so se questa cretinata che è stata scritta, sia
davvero anonima, se serve a chi redige la rivista per poter vendere… ma provate a pensare cosa vuol dire
per una ragazzina che legge quella lettera e che si sente anormale se non è capace anche lei di avere una
esperienza simile…
Circa i divorziati e risposati, vorrei dire soltanto che se noi guardiamo nel Vangelo il fallimento non è mai
considerato una grazia - i poveri non sono beati perché poveri - ma è sempre il luogo dove Gesù si piega
con la sua misericordia, con il suo amore, con il suo perdono. I divorziati non sono fortunati perché
divorziati, il fallimento non è una grazia, ma è il luogo, per noi comunità cristiana, dove dobbiamo piegarci e
manifestare l’amore di Cristo. Che cosa significa concretamente manifestare il vero amore di Cristo nelle
varie situazioni? Bisogna essere capaci di fare la carità nella verità e la verità nella carità. Tutte e due le cose
devono essere messe insieme; l’atteggiamento di accoglienza che noi dobbiamo avere nei confronti di queste
persone non deve essere un atteggiamento tale che chiude gli occhi di fronte alle eventuali ingiustizie o
pesantezze che quelle persone, o una delle due, possono avere. Dobbiamo aiutare queste persone a fare la
verità nella propria vita, a rielaborare davanti a se stessi (anche la parte che fosse più innocente) quanto è
avvenuto. Una cosa importante è di non contrapporre mai il discorso del Vangelo o della dottrina cristiana al
discorso della misericordia; sembra quasi che l’atteggiamento cristiano sia non misericordioso. La Parola
Dio è libera, perché la Parola di Dio vuole mettere tutte le condizioni perché un amore posso svolgersi nella
sua bellezza, nella sua profondità. Se io parlo ai divorziati e risposati, ai divorziati che hanno avuto il
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coraggio di risposarsi, (accettate questa espressione, perché se due si risposano, vuol dire che ancora credono
al valore del matrimonio e dunque vuol dire che hanno pensato che quei valori che non sono stati realizzati
nel primo matrimonio per dei dati motivi, per loro colpa o per colpa di uno o dell’altro, possono realizzarsi
ora) è importante che possa annunciare la bellezza del matrimonio. La Parola è libera; è la Parola che fa
liberi; se io dovessi rinunciare ad annunciare la Parola del Vangelo, tradirei non soltanto il Vangelo ma
tradirei anche la verità dell’amore.
Però credo che oggi sia da dare attenzione a tutte quelle situazioni nelle quali sempre più spesso dovremo
chiederci. “Ma lì c’è stato davvero un matrimonio?”. Spesso capita che delle coppie si presentano per
separarsi dopo pochi giorni che sono sposate ed è lecito allora domandarsi se li ci sia stato un vero
matrimonio. Ma se noi definiamo il matrimonio, non come nella dottrina tradizionale, istituto che ha come
scopo primario la procreazione della prole, ma come comunione di vita e di amore, dovremo purtroppo
domandarci seriamente quante coppie hanno la capacità di capire che stanno costruendo una comunione di
vita, un progetto di amore. Purtroppo, qualche volta, incontrandomi con i fidanzati, ho la sensazione di molta
superficialità e qualche volta anche di molta incoscienza. Qualche volta viene deriso, viene snobbato il diritto
canonico, che può essere un aiuto per alcune coppie in crisi o che sono fallite nel proprio matrimonio.
Qualche volta possono arrivare alla conclusione di avere riconosciuta la nullità del loro matrimonio dal
punto di vista giuridico della Chiesa (non è ancora dal punto di vista morale), ma soprattutto attraverso
questo faticoso cammino possono avere la possibilità di riesaminare profondamente la loro situazione, di
fare la verità dentro se stessi e dunque possono iniziare un nuovo rapporto con un atteggiamento diverso,
altrimenti rischiano di cadere dalla padella alla brace. Talvolta bisogna anche dire che ci sono dei fallimenti
dopo il primo matrimonio valido e qui sarebbe interessante tutto l’atteggiamento che la Chiesa ci
raccomanda nei confronti di queste persone: il fatto di sentirli cristiani, appartenenti alla Chiesa. Purtroppo,
invece, cosa succede? Che noi siamo schiavi di una mentalità di tipo sociologico per cui corriamo il rischio,
senza rendercene conto, che loro si chiudono, si separano, formando ‘groppuscoli’ e noi in qualche maniera
prendiamo un po’ di distanza. La Chiesa insiste perché si sentano appartenenti alla Chiesa. Se noi pensiamo
ad un edificio che è sostenuto da diversi pilastri, se manca un pilastro, quello della comunione, non è che
l’edificio cade, però….
Anche per quanto riguarda il fare la Comunione, sarebbe interessante conoscere che cosa queste persone
chiedono, quando chiedono di fare la Comunione. Ci sono delle persone che fino a quel tempo non avevano
mai fatta la Comunione. Il fatto che adesso la chiedano, che ritengano importante la Comunione, qualche
volta è per un motivo diverso, perché diventerebbe un riconoscimento sociologico dell’irregolarità della loro
nuova situazione, più che un fatto ecclesiale, sacramentale; per cui bisogna capire la domanda ed educare la
domanda.
La dottrina della Chiesa attuale è quella che voi conoscete. C’è però da chiedersi, da un punto di vista
teologico, (ma nessun teologo è chiamato a proporre una nuova dottrina) se non ci sia la possibilità di
qualche cosa di diverso. In altri termini, non c’è nessun cammino penitenziale della Chiesa che non preveda
alla fine una riconciliazione piena con la Chiesa. Perché non ci potrebbe essere anche in quest’ambito la
possibilità di un cammino penitenziale, ma alla fine la possibilità di una riconciliazione piena con la Chiesa?
Lo pongo solo come domanda, ma non è una domanda che faccio io. E’ una domanda che hanno fatto anche
i Vescovi, i Cardinali. La Chiesa Orientale è su questa linea. La Chiesa Cattolica non ha mai condannato la
prassi delle Chiese orientali, di fatto però ha sempre difeso il matrimonio in una maniera molto più rigida con
la prassi che noi conosciamo. Credo che una riflessione più profonda dovrebbe forse portare anche ad altri
atteggiamenti. In ogni caso, il giudizio che la Chiesa dà, anche quello del Diritto Canonico, è un giudizio,
che pur essendo della Chiesa, è di Diritto. Per cui potrebbe essere che in coscienza uno sa che il suo
matrimonio dichiarato nullo dalla Chiesa era assolutamente valido, oppure il contrario.
Quel matrimonio che la Chiesa non considera nullo, lui sa che non era matrimonio. Da un punto di vista di
atteggiamento di coscienza, capite che uno potrebbe benissimo fare la Comunione. E il pastore potrebbe
anche suggerire… perché conosce la situazione di…
Quello che io mi domando - non vorrei complicare troppo le cose - è se il giudizio del Diritto Canonico non
dovrebbe essere completato da altri aspetti, come ad esempio quello pastorale.
Se uno vive davvero bene la bellezza del matrimonio, non si stupisce, né si scandalizza che chi ha fallito
possa accostarsi al medico che guarisce le sue ferite. Quando Giovanni Paolo II diceva che si facesse più
attenzione al matrimonio, diceva anche che dietro il matrimonio qualche volta ci sono forme di infedeltà, di
violenza, di non amore, e, quindi di non matrimonio. Lui parlava di adulterio tra marito e moglie, se il
matrimonio non è vissuto secondo le caratteristiche che dovrebbe avere. Anche il rapporto sessuale, se non è
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espressione di amore, se non è espressione della ricchezza di relazione delle persone può diventare ricatto,
sfruttamento, anche dentro il matrimonio.
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