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Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo
L’autenticità mediante la messa in scena. Analisi dialogica delle
attività turistiche e culturali della piazza Jemaa El Fna e delle loro
rappresentazioni
Thibaut Danteur
Centro
dell'antica città rappresentano quindi degli spazi
privilegiati di coabitazione e di incontro per gli
stranieri, turisti e residenti, coi marocchini» (KurzacSouali, 2007, p. 64). Ma allora, a partire da questa
constatazione della coabitazione e della coinvenzione dello spazio culturale di Jemaa El Fna in
1
quanto sito turistico dagli usi stranieri e domestici,
non avremmo forse da guadagnarci in
comprensione se considerassimo che esista una
relazione complessa tra pratiche turistiche
straniere, pratiche domestiche ed usi locali della
piazza? In altri termini, potremmo descrivere le
relazioni fra pratiche sincretiche generate dalla
mondializzazione, che prendono la forma di una
performance degli attori mediante la messa in
scena di sé stessi a destinazione dei turisti, e le
pratiche cosiddette tradizionali che hanno luogo
sulla piazza, in un modo diverso da quello del
registro dell'opposizione e del dualismo? E in questa
stessa logica come potremmo articolare le diverse
rappresentazioni della piazza che sembrerebbero, a
prima vista, contraddittorie?
nevralgico dell'antica medina, la piazza
Jemaa El Fna è diventata un emblema di Marrakech
e di tutto il Marocco, grazie alle attività tradizionali
che essa accoglie. La piazza viene presentata come
l'ultimo posto di libera espressione della cultura
popolare e orale di tutta l'Africa del Nord. Gli artisti
e i turisti che vi si appressano nel corso di tutto
l'anno lasciano percepire il potenziale della piazza
per il turismo culturale; «istanza di regolazione
ideale: il “culturale” nobilita le pratiche e le
destinazioni e rende possibile immaginare degli
incontri» (Cousin, 2006a, p. 21).
Il presente studio è stato realizzato nell'ambito del
nostro dottorato di ricerca sulle industrie
mondializzate. Interessandoci particolarmente agli
esempi della grande distribuzione e del consumo
alimentare, abbiamo applicato una metodologia che
rientra nel campo del «mosaico di studio del caso»
(Beker, 1986), che ci ha portato a studiare il caso
marocchino, per mezzo di un programma di
scambio europeo, al fine di procedere a una
variazione dei contesti geo-culturali. È quindi in
un'ottica di induzione analitica che, allo scopo di
affinare le nostre ipotesi teoriche, abbiamo scelto di
confrontare le nostre osservazioni effettuate a
proposito delle scelte alimentari nella grande
distribuzione, con altre situazioni di consumo in
contesti differenti. Da allora, le pratiche turistiche, e
in modo specifico quelle che hanno luogo in seno
alla piazza Jemaa El Fna, si sono rivelate essere
completamente propizie a questa variazione dei
casi studiati a causa del loro legame evidente coi
fenomeni di mondializzazione economica e
culturale. (Lazarotti, 2000 ;
et al, 2007; Gay
et Violier, 2007).
Come durante tutto il percorso della nostra ricerca
dottorale, abbiamo cercato per questo studio del
caso di favorire un approccio socio-antropologico
pragmatico che dia importanza all'analisi qualitativa
e induttiva nell'ambito delle nostre osservazioni.
Abbiamo
voluto
prestare
particolarmente
attenzione sia ai discorsi dei turisti che a quello dei
responsabili, artisti e professionisti della piazza,
ovvero alla ricostruzione narrativa delle loro azioni,
delle loro percezioni e delle loro decisioni. Il nostro
interesse si è quindi concentrato prioritariamente
su questi discorsi e sulle «pratiche ricostruite e
dichiarate» (Poulain, 2002) nella misura in cui
queste esprimono gli immaginari e
le
rappresentazioni del posto, le sue attività e la sua
gestione 2.
Le interpretazioni opposte delle attività della piazza
la presentano, a seconda che ci si ponga dal punto
di vista dei professionisti del turismo o da quello dei
diversi ricercatori in scienze sociali, tanto come uno
spazio culturale autentico e storico, quanto un
luogo patrimonializzato dove questa autenticità
sarebbe fittizia (MacCannel, 1989) e rientrerebbe
nell'ambito dalla messa in scena e dalla
performance rituale (Turner, 1987). Difatti, come lo
fa notare Kurzac Souali, «i quartieri turistici
La maggior parte delle nostre osservazioni sono
state partecipanti o dirette, spesso clandestine. In
questo modo abbiamo seguito i turisti sul terreno,
tra di loro, andando nei luoghi che frequentavano,
parlando coi loro interlocutori, fotografando quello
che fotografavano, facendo tutto questo per avere
un accesso immediato all'organizzazione e
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all'esperienza del flusso turistico della piazza, del
punto di vista dei visitatori stranieri e locali. Queste
osservazioni
sono
state
successivamente
completate
da una serie di circa quaranta
interviste, rivolte principalmente ai turisti ma anche
agli artisti o ai venditori della piazza, ai contatti
locali, ai residenti stranieri, ai membri dei servizi
municipali che gestiscono la piazza. La maggior
parte sono state condotte in modo informale 3,
difatti abbiamo potuto constatare che le interviste
su appuntamento si scontravano con forti reticenze,
e numerosi attori intervistati rispondevano
solamente con parsimonia e con ritegno 4.
dal punto di vista del visitatore straniero.
Globalmente, la letteratura turistica lascia
intendere che il posto sia secolare e che le attività
culturali che ospita siano generate da una
tradizione unica ed immemorabile. Queste
descrizioni della piazza, mediante il suo carattere
storico, tradizionale e localizzato, partecipano a
fondare l'immagine rivendicata di uno spazio
autentico e preservato che, nello stesso tempo,
mostra un enorme potenziale di sfruttamento
turistico. La piazza Jemaa el Fna, con la sua
patrimonializzazione all'interno di uno spazio
localizzato, è un costrutto (Barthel, 2004) che è
stato effettuato nel corso di un processo iniziato
negli anni '70, con parecchi tentativi mirati a
dettagliare e a determinare in modo rigoroso la
qualità di patrimonio culturale della piazza e dei
suoi artisti, e che ha portato alla classificazione
dello spazio culturale della piazza come patrimonio
immateriale dell'umanità dell'UNESCO nel 2001 e
lanciato la sua valorizzazione come risorsa. Con
questo processo di patrimonializzazione, appare
anche una tensione profonda attraverso la
contraddizione di una volontà ambivalente di
proteggere la piazza e allo stesso tempo di
modernizzarla, ovvero di una volontà di
trasformazione e simultaneamente di preservazione
(Boyer, 2002). Di Méo (2007) ne descrive le tappe:
la «presa di coscienza patrimoniale» che, nel nostro
esempio, è segnata dalle conferenze che hanno
avuto luogo prima del 2001. Si instaura poi il «gioco
degli attori» implicati, e fra essi il Re Mohammed VI,
che mediante il suo discorso del gennaio 2001 ha
contribuito enormemente a innescare il gioco
politico e retorico del processo. Si citerà anche il
conseguente piano dell'Ufficio Nazionale del
Turismo o anche l'attivismo di parecchie
associazioni che hanno militato per la protezione
della piazza. La «selezione e la giustificazione
patrimoniale» sono, nel nostro esempio, illustrate
dalla classificazione UNESCO del 2001.
La
«conservazione, l'utilizzo e lo sviluppo del
patrimonio» hanno, nel caso di Jemaa El Fna,
consistito in una serie di ristrutturazioni condotte a
partire dagli anni '80. Si percepisce qui la natura
storica del processo di invenzione del luogo turistico
(Raffestin, 1986).
Abbiamo utilizzato infine la fotografia antropologica
sia come strumento di rilevamento geografico della
piazza ma anche come un efficace complemento
dell'osservazione (Piette, 1996) 5. Abbiamo seguito
6
inoltre i turisti-fotografi , nella loro ricerca di
immagini, che identificano in questo modo le loro
«sceneggiature fotografiche» (Suchar,1997). Infine,
abbiamo messo in opera un protocollo di recupero
di immagini realizzate dai turisti stessi, per
verificare lo status della piazza Jemaa El Fna
durante la visita di Marrakech e i soggetti che erano
stati fotografati 7.
La
messa
in
patrimonializzazione,
rappresentazioni
scena
dell'autenticità:
ristrutturazioni
e
Ci sembra opportuno che la teoria della ricerca
dell'autenticità, presentata da MacCannell (1989),
debba
essere
tuttora
considerata
come
imprescindibile per lo studio del fenomeno
turistico, sebbene non sempre abbia raccolto
l'unanimità. Tuttavia, gli autori che l'hanno criticata
la completano più che screditarla. Sottolineano
specialmente la necessità di prestare una maggiore
attenzione alle pratiche turistiche non-occidentali,
così come al processo dialogico che collega i
comportamenti turistici a quelli autoctoni (Picard,
1992; Coëffé et al, 2007). Eppure rappresenta,
sempre ai nostri occhi, una chiave di comprensione
fondamentale per ciò che riguarda l'analisi dei
comportamenti e delle rappresentazioni turistiche
nella piazza Jemaa El Fna. Il turista occidentale in
visita in Marocco e a Marrakech viene a cercare un
esempio di stile di vita percepito come tradizionale
e immutato, in stretta relazione con un orientalismo
e con una percezione dell'esotismo direttamente
ereditati dal secolo XIX 8 (Staszak, 2006,;
Guathier,2008). È peraltro sorprendente, alla
lettura di guide, riviste e siti turistici su internet,
constatare quanto le notizie disponibili a proposito
della piazza Jemaa El Fna siano vaghe 9, mettendoci
Questa politica di protezione si è affermata a partire
dagli anni '70, di fronte a parecchi progetti di
costruzione sul luogo, dei quali è stato talvolta
difficile poter verificare la veridicità, come dei
parcheggi, palazzi o fontane. Da allora, nei discorsi
tenuti dagli attori militanti per la sua protezione, il
posto viene presentato come un luogo di incontro,
di mescolanza, e in possesso di valore storico, che
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favorisce in questo modo la costituzione di un
turismo culturale di buon gusto (Picard, 1992;
Cousin, 2006b; Simon, 2008). I geografi hanno
descritto in modo rigoroso la politica di sviluppo
della risorsa patrimoniale che accompagna
l'obiettivo di protezione (Choplin e Gatin, 2010;
Gatin, 2008). Le differenti azioni condotte dalle
autorità locali quali l'organizzazione di eventi
culturali come il Festival Internazionale del Film, un
festival di danza contemporanea, o di eventi
promozionali, mirano a sviluppare il potenziale
turistico della piazza, e sono sostenute dai discorsi
che mettono l'accento sulla «valorizzazione»
piuttosto che sul registro della trasformazione.
Come lo dimostrano Chopin e Gatin, «lo spazio
pubblico ristrutturato a fini turistici si piega ad un
modello idealizzato associato ai temi dell'igiene,
dell'ordine, della funzionalità e dell'apertura che
cerca di rompere con una fisionomia e delle
appropriazioni spaziali percepite come incompatibili
con la strategia nazionale di sviluppo» (2010, p. 28).
Queste ristrutturazioni sono state intraprese a
partire dagli anni '90 e hanno preso diverse forme,
sempre nell'idea di conformità a dei criteri
occidentali.
dimostrano le nostre interviste. Un ampio sforzo di
pianificazione è stato condotto anche sulla gestione
dello spazio, la sua organizzazione, il suo controllo,
a partire dagli anni '90 e in modo speciale dopo la
classificazione, per lottare contro l'insicurezza della
piazza (Kurzac-Souali, 2007; Choplin e Gatin, 2010)
che tanto ha recato danno alla reputazione della
città rossa 10. Difatti, «la ristrutturazione del giardino
e dei vicoli che sboccano sulla piazza Jemaa el Fna
ha permesso di distruggere i bordi dei viali utilizzati
dagli emarginati per riposarsi in giornata, e dietro i
quali potevano dormire la notte al riparo dallo
sguardo delle forze dell'ordine pubblico» Choplin e
Gatin, 2010, p. 28).
La piazza ha avuto per molto tempo, e talvolta
ancora oggi, la reputazione di un luogo dissoluto,
sporco, malfamato e anarchico (Gatin, 2008;
Guathier, 2010) ed è per correggere queste
rappresentazioni che la gestione dei mendicanti,
specialmente, si compie trasversalmente mediante
istituzioni religiose al di fuori dello spazio
valorizzato. Per complementare queste misure, è
stata instaurata una vera politica logistica, con delle
misure non solo di ordine estetico, ma anche
un'organizzazione e un controllo più rigoroso dello
spazio geografico. La definizione di un'area
specificamente destinata a ogni tipo di attività
culturale o commerciale, l'attribuzione di un badge
con tanto di numero per la maggior parte degli
attori della piazza responsabili del commercio
alimentare, un contratto con un'impresa italiana
incaricata della pulizia quotidiana, hanno infine
completato la serie di ristrutturazioni susseguenti
alla patrimonializzazione della piazza. Tutto questo
processo di modifiche dell'organizzazione di Jemaa
El Fna poggia su un lavoro narrativo di ampio
respiro 11, da parte dell'insieme dei partecipanti al
«gioco degli attori» (Di Méo, 2007) che mira per un
certo verso a giustificare una nuova politica di
sfruttamento del sito, facendo la promozione di
nuove rappresentazioni della piazza come
patrimonio prezioso e fragile. Questi discorsi sono
fondatori del dualismo tra preservazione e
valorizzazione economica che caratterizza la
gestione della piazza, e che le procura a prima vista
questo carattere museificato che alcuni deplorano.
Dal momento che la piazza appare come una risorsa
turistica importante, l'ambizione del suo
sfruttamento favorisce alcune trasformazioni
presentate dagli attori implicati come delle
«ristrutturazioni» chi si fanno prendendo in
considerazione delle aspettative e delle norme di
comfort estetico, logistico e di sicurezza, spesso
percepite come di influenza occidentale 12. «Una
rivalutazione in funzione dei bisogni e delle
Le dotazioni urbane della piazza sono state
pianificate col passare degli anni con, per esempio,
una zona dove il rivestimento è stato rifatto
«specialmente per raccogliere i corpi grassi (…) al
centro della piazza, nella zona dei chioschi mobili di
ristorazione» (Choplin e Gatin, 2010, p.27). Questa
pavimentazione è stata accompagnata da una
pedonalizzazione parziale della piazza così come da
una politica di standardizzazione del mobilio urbano
e dei negozi. Difatti, i ristoranti sono stati invitati ad
armonizzare le loro vetrine e terrazze, «nel 2005, i
venditori di spremute d'arancia, di frutti secchi e di
lumache sulla piazza Jemaa el Fna hanno barattato
le loro vecchie carrette per delle nuove strutture
tutte simili fra di loro, su decisione municipale»
(Kurzac-Souali, 2007, p.79) che richiamano le
caratteristiche estetiche delle carrozzelle che
percorrono la medina.
Questa tendenza alla standardizzazione caratterizza
principalmente
la
seconda
categoria
di
ristrutturazioni che riguardano le installazioni
commerciali installate sulla piazza oppure intorno a
essa, come i ristoranti che la cingono. Questi ultimi
hanno visto i terrazzi panoramici moltiplicarsi, e in
seguito hanno armonizzato le loro dotazioni e
modificato le loro pratiche. Una specifica politica di
controllo di qualità e di freschezza è stata instaurata
specialmente per preservare l'immagine della
piazza e rassicurare i turisti inquieti, come lo
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
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che si parli con i turisti stranieri che con quelli
domestici. Lo studio delle foto dei turisti e dei loro
discorsi a proposito della pratica della fotografia
sulla piazza testimonia l'importanza di questo luogo
nell'immaginario della città e di quella di queste
immagini
nella
trasmissione
delle
sue
rappresentazioni di esotismo e di autenticità. In
quello che esprimono i turisti stranieri e quelli
domestici quando parlano di Jemaa El Fna,
ritroviamo questo criterio di «luogo da vedere»
(Amirou, 1994; Boyer, 2002; Simon, 2008), dove la
vista si rivela costitutiva del desiderio stesso di
viaggiare. L'immagine fotografica può prendere
allora il ruolo di testimonianza, come lo dimostrano
le immagini delle persone ritratte in piedi e davanti
alla scena, significando e certificando la presenza
fisica sul «luogo da vedere» ma anche di
documentazione, mirando a farlo vedere. La
fotografia turistica «documenta dei luoghi, li
enumera, come nel caso dei reportage di viaggio e,
contemporaneamente rinvia ad una pratica di
testimonianza e di appropriazione, come nei ritratti
di famiglia. (...) [Essa] vive di questa tensione tra la
messa in scena degli affetti (è un ricordo e, in certi
casi, farà parte di un diario) e la volontà di
registrare delle esperienze esemplari per fare del
proprio viaggio un percorso ripetibile dagli altri
turisti» (Dondero, 2008, p.24). I visitatori interrogati
hanno già delle immagini in mente ancor prima
della visita, e vengono sul posto per cacciare o
raccogliere le foto di cui hanno «bisogno» 13 ed è
interessante constatare che quelle che ci hanno
fatto pervenire i turisti mostrano spesso delle
fotografie simili fra di loro 14. Alcuni visitatori ci
hanno persino confidato di avere voluto
volontariamente «rifare» una fotografia vista da un
amico o su internet. Se la fotografia ha quindi un
status a parte nella pratica turistica della piazza, è
anche consostanziale alle molte attività che vi
hanno luogo. Come lo sottolineano fortemente
Salazar (2009) o ancora Staszak a proposito della
Polinesia francese (2006), l'immagine fotografica
turistica partecipa al fenomeno di messa in scena
dell'autenticità autoctona poiché viene percepita
dalla popolazione locale come una sorgente di
reddito potenziale, incoraggia a «dare a vedere», a
giocare il ruolo di sé stessi, la propria caricatura, a
un un tipo di rappresentazione che sa di
performance teatrale (Schechner, 1977; Turner,
1987). In questo senso influisce maggiormente
sull'io autoctono che su quello dei turisti (Bruner,
1991). Questa constatazione è perfettamente
trasferibile alla piazza Jemaa El Fna, dove la pratica
fotografica, banalizzata dalla comparsa del digitale,
viene a rinforzare e ad alimentare un'autenticità
fittizia allestita per i turisti e simultaneamente a
aspettative (talvolta presupposte) dei turisti, e degli
investitori» e che, come lo dimostra Kurzac-Souali,
«sconvolge il rapporto dello spazio urbano con la
popolazione
abitante»
(2007,
p.
80).
Parallelamente, la volontà di preservare le pratiche
culturali conduce alla messa in scena di sé stessi, a
interpretare il proprio ruolo (Staszak, 2006) per il
turista straniero venuto qui per cercare questa
autenticità esotica e per ritrovarsi poi con una
messa in scena, «un'etnicità ricostruita»
(MacCannell,1989).
L'autenticità da vendere, consumo della piazza
Le rappresentazioni della piazza come luogo
magico, spazio ancestrale di mescolanza culturale,
vengono in parte generate dal processo di
patrimonializzazione della piazza, come lo
testimoniano i discorsi ottenuti dalle guide ufficiali e
dai turisti stranieri, ampiamente ispirati dalle
immagini stereotipate alimentate dalla letteratura
turistica e dalla cultura popolare occidentale. Ora,
queste rappresentazioni sono proprio il motore
dell'economia turistica della piazza, motivando sia
la scelta della destinazione che il contenuto delle
visite effettuate sulla piazza, come lo dimostra
molto bene Simon: «l'immagine e l'immaginario
occupano una parte essenziale in ogni viaggio,
specialmente nella sua forma preliminare di
progetto,
incarnando
la
rappresentazione
dell'altrove in un'immagine (...). Al momento della
concretizzazione fisica del suo viaggio, il turista
parte alla ricerca delle immagini (…). Questo
campione rappresentativo di immagini da vedere
compone un quadro iniziale a cui le guide hanno il
dovere di adeguarsi. Le immagini agiscono così
potentemente, che non ottemperare alla loro vista
o alla loro visita sarebbe certo problematico»
(Simon, 2008, p.8). L'immagine fotografica occupa
quindi un posto completamente peculiare nella
costituzione, nel supporto e nella trasmissione
dell'immaginario turistico, e questo accade fin dai
primi viaggi organizzati al XIX secolo in Inghilterra
(Miossec, 1977; Boyer, 2002). Nel caso che ci
riguarda, sia le nostre osservazioni che le nostre
interviste ci hanno presto indotto a prendere in
considerazione il peculiare ruolo rivestito dalla
fotografia nell'immaginario turistico della piazza e
nelle pratiche dei turisti in visita. L'immagine è
chiaramente il bene che più vi si consuma
(Giraud,2002). Queste foto che riporteranno a casa i
turisti alimenteranno il serbatoio di luoghi comuni
alla base dell'immaginario turistico e in questo caso
delle rappresentazioni legate alla piazza (Andrews,
1989; Urry, 1990), e questo fatto è riscontrabile sia
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
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(Cohen, 1988) oppure al contrario la sua solubilità
in una cultura non occidentale (Doquet et Evrard,
2008). Con ciò, ci uniamo a Berriane quando
descrive «le pratiche turistiche [domestiche] attuali
[come] la conclusione di un'evoluzione interna dove
i fattori esogeni possono ugualmente intervenire»
(Berriane, 1993, p. 139).
incoraggiare delle trasformazioni architettoniche
come
la
generalizzazione
delle
terrazze
panoramiche intorno alla piazza.
Per molti aspetti, la pratica turistica della fotografia
sulla piazza Jemaa El Fna ha generato delle
modifiche che spingono i turisti a comportarsi
spesso come in uno zoo o durante un safari. I turisti
occidentali soprattutto, ma anche alcuni
marocchini, passano sulla piazza molto del loro
tempo installati sui terrazzi panoramici dei caffè.
Come lo dimostrano le nostre interviste, i visitatori
apprezzano e ricercano questi punti di vista
sopraelevati, percepiti ed espressi come sicuri e che
permettono inoltre di abbracciare con lo sguardo
tutta la piazza (Leroux, 2007). Queste pratiche
hanno partecipato allo sviluppo di queste
installazioni, e sono legate all'ascesa di un nuovo
tipo di molestia mediante l'incitamento alla
consumazione fotografica. «Queste mode di
valorizzazione, come dice Kurzac-Souali, tendono a
soddisfare di più l'altro, il visitatore o il nuovo
investitore che non coloro che praticano la medina
per vivere» (2007, p. 80) e partecipano in questo
modo a provocare una messa in scena, una
ricostruzione a fini di lucro di un'identità culturale
immaginaria pronta a dare spettacolo di sé 15.
L’autenticità mediante la messa in scena
La piazza non è quindi ad uso esclusivo dei turisti
occidentali o dei visitatori temporanei: essa si trova
geograficamente molto integrata alla struttura
urbana della vecchia medina e costituisce una vera
«interfaccia tra la medina e i quartieri moderni»
(Gatin, 2008, p.8) così come un luogo di passaggio
obbligato per molti dei suoi abitanti. Per questo
fatto, si osserva una vera dicotomia delle attività
che si trovano sulla piazza. Questa si organizza in
particolar modo intorno a una temporaneità molto
marcata e a una territorializzazione dei differenti
attori della piazza, ma anche intorno a una
differenziazione della clientela a cui sono destinate
queste attività. Col passare delle ore, i turisti
stranieri, maggioritari durante il giorno, scendono in
proporzione fino a quando, sul finire della giornata,
arrivano i narratori o le veggenti, e preferiscono
ripiegare sui chioschi -ristoranti panoramici che
sovrastano il posto. Questa temporaneità del
pubblico della piazza va di pari passo con la
temporaneità delle sue attività. In giornata, si
trovano principalmente gli ammaestratori di
scimmie, gli incantatori di serpenti, le venditrici di
tatuaggi e i cavatori di denti. Tutte attività che sono
destinate chiaramente ai visitatori di passaggio. Alla
sera, arrivano i pagliacci, le veggenti, i giocolieri e i
travestiti che drenano le folle della medina,
formando degli ampi cerchi intorno agli artisti.
Ora, se si aderisce in parte all'idea della ricerca di
autenticità, declinata in questo caso sotto il registro
dell'esotismo (Guathier, 2008 e 2010) abbiamo il
dovere di sottolineare, come altri (Cohen, 1988;
Giraud, 2002) che la forza di questa idea risiede
soprattutto nello studio del turismo occidentale. Se
invece considerassimo lo sguardo del turista
domestico, bisognerebbe fare delle sfumature
probabilmente sulla validità paradigmatica di una
teoria che resta altrimenti di una rara pertinenza.
Difatti, se sulla piazza Jemaa El Fna, numerose
attività presentate come tradizionali e fondatrici
dell'aspetto culturale del luogo, come gli incantatori
di serpenti, gli addestratori di scimmie o i cavatori di
denti, si rivelano poi essere una messa in scena e
strumentalizzate, non ci si può fermare tuttavia a
questa
constatazione
di
un
marketing
dell'autenticità fittizia. Il fatto di prendere in
considerazione lo sguardo domestico inverso
(Gillespie, 2006) ci permette quindi di rimettere in
prospettiva questa denuncia di una messa in scena
e di autorizzarci a portare avanti la descrizione degli
ingranaggi di una teoria complessa dell'autenticità
della piazza Jemaa El Fna, illustrando in questo
modo le nuove problematiche legate al prendere in
considerazione il turismo domestico in Marocco,
come il turismo dei non occidentali in generale per
ciò che riguarda il suo carattere acculturante
Prendendo in prestito lo schema della dicotomia
giorno/notte dei regimi dell'immaginario (Durand,
1998), questa temporaneità che ritma il passo della
piazza, come le attività di passatempo tradizionale
marocchino come i moussem (Berriane, 1989), si
presenta come un elemento di
importanza
fondamentale nella costituzione dell'immaginario
del sito. Le nostre interviste, come del resto la
letteratura turistica, dimostrano chiaramente come
questa evoluzione della piazza, col passare della
giornata e della serata, contraddistingua il discorso
dei viaggiatori. Numerosi artisti che appaiono in
serata, nel momento in cui la piazza si anima di più,
hanno per clientela una schiacciante maggioranza di
marocchini. Il teatro di strada, gli spettacoli di
travestiti e i narratori sono comprensibili solamente
a condizione di dominare il darija 16 e le sue
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
5
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sottigliezze. Anche se alcuni turisti stanno a
guardare o danno una moneta per scattare una
foto, non possono accedere
alla harqua17
strettamente parlando, e sono dunque relegati fuori
dal gioco. Sono queste attività, ad uso ampiamente
«riservato» degli arabofoni che costituiscono
un'isola di attività autenticamente tradizionali, fuori
dalla portata dei turisti stranieri, al contrario degli
18
spettacoli di gnawas e degli incantatori di serpenti
per esempio. I turisti, dal momento che non
possono accedere a questo contenuto culturale
della piazza, non lo percepiscono e ne consumano
soltanto l'estetica.
In questo modo, possiamo rivolgere la domanda
sulla ricerca di autenticità sia al turista domestico
che ai residenti locali. Questo interesse per
l'autenticità della piazza e per la sua protezione di
fronte ad un potenziale pericolo rappresenta il
nucleo dell'immaginario locale, e può essere
rilevato alla luce di certi discorsi che esprimono un
rapporto ansiogeno con la piazza, e con l'evoluzione
delle sue attività. Se le caratteristiche di Jemaa El
Fna che rendono fondata la sua immagine di spazio
culturale, provocano spesso il fascino dei visitatori
domestici o stranieri, sembra che queste possano
ugualmente generare una certa repulsione.
Il fatto di prendere in considerazione la dualità del
pubblico e delle attività ad esso destinate, ci
permette di mettere in luce la coesistenza dialogica,
in seno a questo spazio geografico, di attività
ricostruite a fini turistici e di attività tradizionali
fuori dalla portata dei turisti, delle quali solo le
reinterpretazioni sono messe a disposizione dei
visitatori stranieri. Questi due tipi di attività
potrebbero
apparire
a
prima
vista
in
contraddizione, ma tuttavia l'osservazione ci
autorizza a spingerci oltre nell'analisi di questa
relazione tra autenticità e messa in scena, e a
questionare il carattere rigoroso di questa
opposizione. Considerando il ruolo economico dei
turisti che stimolano questa ricostruzione
dell'identità culturale della piazza, e di fatto
partecipano alla perpetuazione di attività
tradizionali preservate, possiamo formulare che le
attività tradizionali tradizionali si realizzano
insomma all'interno della loro stessa caricatura, e la
cui perennità dipende, almeno in parte, da un
pubblico turistico al quale non sono direttamente
destinate 19. Le attività a scopo lucrativo e turistico
dipendono a loro volta da queste attività
tradizionali per garantire l'immagine della piazza e il
suo fascino. Questa autenticità mediante la messa
in scena designa, in questo rapporto antagonista e
allo stesso tempo reciprocamente necessario, ciò
che Morin chiama un'associazione dialogica (1990)
di termini simultaneamente contraddittori e
tributari l'uno dell'altro.
Nel caso degli attori locali, anche se tutti
convengono che lo sviluppo turistico della piazza sia
una risorsa importante della città, questa
immissione nel turismo angoscia però numerosi
attori della medina. Sul registro «dell'invasione», i
riacquisti dei riad nei quartieri della intorno alla
piazza vengono denunciati dalla stampa 20, che si
preoccupa dei fenomeni di gentrificazione dei
quartieri popolari della vecchia città. Le nostre
interviste lasciano emergere tali angosce di «vedere
gli europei installarsi» e «fare dei lavori», «bere
dell'alcol», «di non rispettare la decenza». Questo
timore della perversione e della deculturazione a
proposito dell'invasione manifesta il rapporto
ansiogeno che alcuni abitanti possano avere con le
attività della piazza. Queste sono percepite in modo
negative anche per altri motivi, difatti i lavori di
Gatin e Choplin (2010) fanno riferimento alla
reputazione poco entusiasmante della quale Jemaa
El Fna ha goduto per molto tempo agli occhi di
alcuni marocchini che la descrivono come un luogo
anarchico e arcaico, un contro-modello per alcuni
urbanisti marocchini.
Questo rapporto ansiogeno con le attività
della piazza è similmente riscontrabile presso i
visitatori stranieri che lo descrivono come un luogo
troppo turistico e «lasciano intendere che questa
attività l'avrebbe privata di ogni autenticità, sia da
un punto di vista paesaggistico che in termini di
rapporti intrattenuti con la popolazione locale. Il
turismo di massa sarebbe quindi un fattore di
corruzione di questa popolazione e l'avrebbe
addirittura contaminata» (Leroux, 2007, p.11).
Numerose interviste hanno validato questo
rapporto di fascinazione/repulsione 21, da parte dei
turisti occidentali che parlano della sporcizia della
piazza, del disagio occasionato dalla promiscuità
durante le attività notturne. L'assillo dei turisti da
parte di bambini che chiedono l'elemosina o dai
«puntatori», uomini che approfittano della folla per
venire a strusciarsi su giovani uomini o donne, la
paura dei borsaioli, vengono avanzati per spiegare
L’autenticità ansiogena
Questa relazione dialogica che ci autorizza, come
l'hanno dimostrato parecchi autori (Picard, 1992;
Coëffé et al, 2007), a descrivere più adeguatamente
l'articolazione tra il fomento del turismo e le sue
conseguenze sugli attori autoctoni, può permetterci
di pari passo di comprendere meglio anche le
differenti rappresentazioni della piazza.
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
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infatti di capire le performance di attori come i
gnawas, degli incantatori di serpenti o dei cavatori
di denti, come di una reinterpretazione sincretica di
una tradizione immaginata da una percezione
particolarmente occidentale, messa alla portata di
un pubblico turistico straniero. D'altra parte, si
osserva che numerose attività culturali tradizionali,
come i racconti dei griot, traggono profitto e
protezione dalla compagnia turistica e dalla messa
in scena che occasionano. Nel fare questa
constatazione è conveniente tuttavia fare anche
delle sfumature per quanto riguarda il caso
particolare dei narratori. Difatti, malgrado la
volontà dell'UNESCO di preservare questo
patrimonio attraverso l'organizzazione ed il
finanziamento di attività pedagogiche in ambito
scolastico, i griot di Jemaa El Fna vedono il loro
numero diminuire di anno in anno. Devono fare
fronte alla difficoltà di suscitare delle nuove
vocazioni in un mestiere che si trasmette oralmente
e in concorrenza con la televisione e con le nuove
tecnologie che captano gran parte del loro pubblico
tradizionale. Ciononostante, i griot si sforzano di
perpetuare la loro arte sulla piazza o durante alcune
manifestazioni culturali dedicategli per iniziativa
dell'UNESCO, o anche di altri organismi come
l'istituto francese di Marrakech. 22
questa paura che molti soggetti hanno espresso nel
descrivere la loro esperienza. Subito dopo troviamo
le angosce alimentari in quanto alla qualità dei
prodotti, specialmente dei chioschi-ristoranti, e
vengono espressi anche dei timori legati all'acqua,
ai succhi di frutta, alle malattie e all'igiene. Se la
letteratura turistica non ne fa troppo riferimento
per preservare l'immagine di prestigio di Jemaa El
Fna, i lavori di Guathier (2010) permettono di
constatare una certa permanenza di questo aspetto
ansiogeno fin dai primi viaggiatori del XIX secolo,
malgrado le ristrutturazioni della piazza. Come egli
lo dimostra, i viaggiatori occidentali, come avviene
anche oggi per alcuni turisti, già facevano
riferimento all'aspetto soffocante e pericoloso che
poteva rivestire la piazza, associando però questi
termini a dei valori di esotismo presentati come
positivi. Si può avanzare dunque che tanto la
repulsione quanto il fascino giustifichino la scelta
della destinazione, e che il turista cerchi, in una
certa misura, di vedere ciò che verrà a tormentarlo
o piuttosto a rassicurarlo nel suo senso di
superiorità (Boyer, 2002; Leroux, 2007). La relazione
tra fascino e repulsione ci sembra allora che possa
superare la semplice opposizione, nella misura in
cui i due termini sembrano discordare e completarsi
a vicenda, per fondare l'immaginario dell'autenticità
e dell'esotismo in una relazione dialogica e
complessa.
Le
attività
culturali
della
piazza
si
contraddistinguono dunque per l'aspetto dialogico
della loro organizzazione fisica ed amministrativa,
della loro clientela e della loro temporaneità. Si
avanzerà allora l'idea che se la piazza è teatro della
messa in scena di una «falsa autenticità»
ricostruita, marketizzata e strumentalizzata, è anche
simultaneamente lo spazio di espressione di una
tradizione molto concreta, messa a disposizione di
una maggioranza di stranieri mediante la sua
reinterpretazione sotto forma di performance di
ordine teatrale, e dipendente dalla presenza
turistica. Un'autenticità e la sua messa in scena che,
tutto sommato, si alimentano a vicenda, per
generare delle nuove pratiche sincretiche. La
prospettiva complessa permette dunque di
superare
una
visione
semplificativa
dell'antropologia del turismo, polarizzata intorno ai
suoi dualismi tradizionali, come le opposizioni
visitatori/ospiti oppure autenticità/messa in scena.
Nello stesso tempo, questa prospettiva complessa e
dialogica permette di comprendere meglio le
rappresentazioni che sono associate alla piazza
Jemaa El Fna, e di articolare in un insieme coerente
degli immaginari che potrebbero, a prima vista,
sembrare in stretta contraddizione. Così, piuttosto
che considerare le immagini legate ad alcuni aspetti
percepiti come repulsivi, e descritti nei racconti di
Conclusione
Le nostre osservazioni delle attività culturali e
turistiche della piazza Jemaa El Fna, del suo uso sia
da parte dei visitatori stranieri che dei suoi attori
domestici, così come le nostre interviste e
conversazioni con entrambi, ci hanno permesso di
fare luce sui diversi fenomeni che riguardano la
modalità della sua immissione nel circuito turistico,
le sue conseguenze a livello locale e anche le
rappresentazioni alle quali viene associata.
Innanzitutto, sul piano delle attività vi si svolgono, ci
sembra che bisogni considerare la piazza in un
modo diverso da quello del semplice luogo di messa
in scena di un'autenticità fittizia (MacCannell,1989).
Difatti, alla luce di alcune constatazioni come la
dicotomia giorno/notte che caratterizza la
ripartizione delle sue attività, le numerose
ristrutturazioni
dell'ordine
del
«neotradizionalismo»
(Graburn,
1983)
o
l'interiorizzazione da parte degli autoctoni del
raccolto fotografico turistico, e seguendo Picard
(1992) o Coëffé (2007, 2008), ci sembra che il suo
funzionamento venga descritto decisamente meglio
da un approccio dialogico. Questo ci permette
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
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moribondi della cultura, ma sono anche in grado di
permettere la diversificazione degli spazi-tempo
nell'organizzazione sociale delle «società locali»
(Coëffé, 2007, p.95). Unendosi dunque ai socioantropologi dell'alimentazione (Fischler, 1990;
Poulain, 2002), Coëffé e Violier utilizzano l'esempio
di McDonald's ad illustrazione «del dialogico della
standardizzazione e della differenziazione che
assume la mondializzazione», (Coëffé e Violier,
2008, p.10). È da questa convergenza tra studi
turistici e sociologia dell'alimentazione dalla quale
traiamo la coerente conclusione della nostra diversa
scelta di campo per l'applicazione, nel nostro lavoro
dottorale, di una metodologia comparativa di studi
del caso variati. Inoltre, unendoci a Castoriadis
(1975) per ciò che riguarda l'immaginario, a Fischler
(1990) o Poulain (2002) per l'alimentazione, oppure
a Picard (1992) e Coëffé (et al, 2007) per il turismo,
e sia che si tratti di pratiche culturali o
rappresentazioni, sia che si prendano in
considerazione i narratori di Jemaa El Fna o perfino
le tecniche e le abitudini culinarie marocchine, ci
sembra che i fenomeni generati dal loro confronto a
delle industrie mondializzate come lo sono il
turismo culturale o la grande distribuzione,
traggano sempre vantaggio ad essere analizzati e
descritti da una prospettiva dialogica, che non elude
le complessità naturali delle culture umane e si
scosta
dalle
semplificazioni
riduzionistiche
(Morin,1990).
viaggio del XIX secolo o dalle parole dei turisti
contemporanei,
sotto
il
registro
della
rappresentazione negativa; e viceversa, le parole
che denotano un certo fascino per il carattere
tradizionale della piazza sotto il registro della
percezione positiva, l'osservazione ci autorizza a
comprendere questi due tipi di rappresentazioni
all'interno di una relazione complessa che articola le
due categorie di fascino e repulsione in una
relazione dialogica partecipando ampiamente a
rinnovare l'attrattiva della piazza e la potenza della
sua rappresentazione nell'immaginario turistico. In
conclusione,
la
comprensione
complessa
dell'immissione nel turismo della piazza Jemaa El
Fna, permette di sviluppare un'analisi della
mondializzazione che supera la semplice denuncia
dei suoi aspetti standardizzanti (Brunel, 2006). A
partire da questo momento, si privilegerà una
descrizione delle industrie mondializzate quali il
turismo, come di una forma di differenziazione
culturale (Warnier, 1999) e di ibridazione, (Coëffé et
al, 2007), nel senso in cui queste industrie alterano,
rendono uniformi, museificano e mettono in scena
alcune pratiche culturali e nello stesso tempo esse
preservano, alimentano, modificano o ne generano
delle nuove. «Da questo punto di vista, il turismo
può apparire innanzitutto come un operatore di
ibridazione. Non solo gli attori della sfera turistica
sono capaci di attualizzare, riformulare, combinare
gli elementi dando loro una nuova forma che
permetta di mantenere in vita alcuni elementi
NOTE
1I ricercatori in scienze sociali concordano sul fatto che il sito turistico sia un costrutto (Raffestin, 1986; Knafou,
1991; Coëffé et Violier, 2008). In questo modo, se “l'invenzione del sito turistico comincia da uno scostamento
dell'utilizzazione tradizionale del territorio il cui (…) significato cambia” (Knafou, 1991, p.16), questa ha bisogno
simultaneamente della stipulazione di un “contratto tacito fra società locale e società globale” (Ibidem, p.19)
che autorizzi allora a parlare di co-invenzione.
2 Riprendiamo quindi alcune asserzioni della metodologia dell'intervista non-strutturata (Michelat, 1975;
Duchesne, 1996).
3 Sulle osservazioni partecipanti e clandestine, vedi specialmente, Becker (1985). Peraltro, i lavori di Wacquant
(2000) restano, per noi, di un'influenza fondamentale. Sui colloqui informali, citeremo il discorso metodologico
di Pétonnet (1982), le indicazioni di Olivier di Sardan (1995) che ne fa uno degli strumenti di impregnazione o
ancora i lavori di Bruneteaux e Lanzarini (1998). Più recentemente, Le Velly (2007), vi ha fatto ricorso durante
un'indagine sui dimos- tratori di fiera. Citiamo anche l'esempio di Dujarier che parla di "osservazione
dialogante" (2008: 18).
4 Su queste reticenze alla situazione dell'intervista, così come le eventuali strategie per aggirarle vedi Blanchet,
1989; Pinçon et Pinçon-Charlot, 1991; Chamboredon et al, 1994; Demazière, 2008.
5 La fotografia nell'ambito di una ricerca socio-antropologica risulta essere un eccellente supplemento al
prendere appunti e limita la "dispersione dei dettagli" che interviene durante le semplificazioni legate al
processo di scrittura scientifica della descrizione (Piette,1996). Tuttavia, è chiaro che non potrebbe sostituirlo
completamente poiché le scelte "tecniche, culturali, sociali ed estetiche", (Conord, 2002) portano ugualmente
ad operare una selezione del reale.
6 Il legame tra pratiche turistiche e produzioni di immagini è stato ampiamente studiato da molti autori, sia che
si trattasse di analizzare la convergenza tra pratiche di viaggio e tipi di fotografie turistiche (Dondero,2007) che
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di sottolineare l'avvicinamento tra foto turistica e foto di famiglia (Bourdieu et al, 1965) sia di comprendere
inoltre la fotografia turistica come strumento di registrazione per la cattura di immagini (Picard e Robinson,
2009), come strumento di memorizzazione e di verificazione di presenza (Sontag, 1978), come produzione di
materiali stereotipati che alimentano un circuito chiuso di rappresentazione (Urry,1990), o ancora di
interrogare l'impatto locale della pratica fotografica (Staszak, 2006; Salazar, 2009.
7 La domanda espressa ai turisti interrogati verteva su una "selezione di foto per illustrare la visita di
Marrakech e tutto ciò che era risultato sorprendente". Abbiamo ottenuto 52 fotografie di cui 23 relazionate
direttamente alla piazza. Le 19 persone che hanno risposto hanno fornito almeno una fotografia della piazza o
vi hanno fatto allusione nei loro commenti. Anche se non vi corrisponde totalmente, questa metodologia si
ispira ampiamente alla "foto elicitazione" (Harper,2002).5
8 In questo senso, la ricerca di alterità come giustificazione del viaggio affonda le sue radici in un certo
sentimento di nostalgia (Raffestin, 1986, p.12).
9 I fatti storici che sostengono la comunicazione di marketing intorno alla piazza non sono mai stati
chiaramente stabiliti. "Le origini della piazza Jemaa El Fna sono oscure e risalgono lontano nel tempo,
confondendosi con la storia della città. I testi storici vi fanno riferimento, senza nominarla, dalla fondazione di
Marrakech. " (Skounti e Tebbaa, 2006, p. 25). Se la traduzione del nome della piazza più spesso avanzata è "la
piazza dell'assemblea dei morti", in riferimento alle esecuzioni che vi hanno avuto luogo, vengono proposte
anche altre traduzioni. Su questo punto vedi Guathier, 2010.
10 L'analisi della stampa economica marocchina testimonia i problemi di sicurezza e di assillo dei turisti,
(L’Économiste, Édition N° 227 du 25/04/1996, « Touristes à Marrakech : harcèlement, coups de poing et
indifférence », et édition N° 253 du 07/11/1996, « Marrakech renoue avec ses touristes »). Gatin precisa: "Per
le autorità, è diventato progressivamente inconcepibile di offrire ai visitatori ed ai media del mondo intero
un'immagine di povertà e di insicurezza. Difatti, molte pattuglie di polizia (anche in borghese) circolano giorno
e notte per la sicurezza dei turisti. Sono stati inoltre regolamentati i comportamenti di vendita per limitare al
massimo le molestie per i turisti. Perciò, la piazza Jemaa el Fna, che appariva agli occhi degli attori culturali
come un spazio di libertà, è diventato progressivamente un spazio vigilato e sotto controllo" (Gatin, 2008, p.
13). In questo senso molte ristrutturazioni intraprese sulla piazza dopo il riconoscimento dell'UNESCO
partecipano ad una logica di “regolazione del turismo”(Knafou, 1996, p.4).
11 Fine e Haskell Speer (1985) sottolineano questo lavoro narrativo che accompagna le tappe di
"sacralizzazione del luogo" (MacCannell,1989), concentrandosi sulle prodezze narrative e retoriche delle guide
turistiche.
12 Questa occidentalizzazione viene denunciata da una parte della popolazione, e da certe sfere d'influenza
estremiste (Le Monde, « Pour les djihadistes salafistes, Marrakech est symbole de débauche: entretien avec
Lhoussain Azergui » , Édition en ligne du 29/04/11).
13 Staszak descrive come le rappresentazioni di Tahiti siano collegate alle immagini stereotipate e aggiunge :
“la produzione di immagini, sul posto, non si fa in assenza di mediazione: entrano in gioco delle immagini che si
hanno in mente o negli occhi” (Staszak, 2006, p. 91). Vedi anche Urry, 1990 o Boyer, 2002.
14 Le selezioni mostravano non solo una forte ridondanza di soggetti ma anche di inquadrature, confermando
gli argomenti avanzati da certi autori sul carattere predefinito e stereotipato di alcune fotografie (Urry, 1990;
Boyer, 2002; Staszak, 2006; Simon, 2008).
15 Ad esempio, si citerà il cavatore di denti che espone i suoi strumenti la sua collezione dentaria. La vendita di
foto ricordo costituisce l'essenziale dei suoi redditi, ed egli spiega chiaramente di essere là per sfruttare la
ricerca turistica di immagini (Arrif, 2006), quella di un'autenticità e di un esotismo percepiti in maniera
sprezzante e mescolando con forza attrazione, fascino, disgusto e repulsione.
16 Il darija è il dialetto arabo utilizzato quasi esclusivamente all'orale in Marocco.
17 Il termine harqua designa il cerchio di spettatori che cinge il narratore e che partecipa attivamente e
finanziariamente all'evoluzione della storia raccontata dal griot. Vedi Berriane, 1989.
18 I gnawas sono membri di una confraternita che pratica dei riti in cui cantano ed entrano in trance. Questi
repertori sono reinterpretati, sulla piazza, in versioni sincretiche destinate ai turisti stranieri e marocchini.
Possiamo paragonare questo fenomeno a quelli descritti da Picard (1992) o Coëffé (2007) a Bali e Hawaii. "La
danza allestita nell'universo del turismo è irriducibile all'insieme del repertorio locale (...). Non si tratta per
altro di un imbroglio dal momento che il tempo dell'esperienza turistica, corto per definizione, non permette ai
turisti di detenere i codici più sofisticati che rendono possibile la lettura e soprattutto la comprensione delle
sottigliezze “locali" (Coëffé e Violier, 2008, p.9).
19 Con questa autenticità alimentata dalla sua messa in scena, ci uniamo a Coëffé che presenta lo spazio del
turismo come un "rifugio di incubazione" di forme di pratiche culturali nuove e sincretiche (2007, p. 93).
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Inoltre, sottoscriviamo la sua visione di un spazio turistico che assicura una certa protezione per delle pratiche
che "sarebbero senz'altro in via di sparizione senza la loro riattivazione/riappropriazione" (2008, p. 9).
20 Si constata che un tempo "denigrate dal Protettorato e poi dalle élites locali, le medine sono oramai un
luogo di reinvestimento e sono desiderate dagli Occidentali affascinati da questi scenari sconcertanti" (KurzacSouali, 2008, p. 65). L’Économiste, Édition N° 985 du 29/03/2001, « Les chasseurs de ryads s’activent à
Marrakech » ; L’Économiste, Édition N° 997 du 16/04/2001, « Marrakech : ruée des investisseurs dans
l’ancienne médina ». Su questo fenomeno e la sua analisi mediante il concetto di momento di luogo, vedere
anche Équipe MIT, 2005.
21 Bennani-Chraïbi descrive bene proprio questo rapporto di mescolanza fra fascinazione e repulsione a
proposito di giovani marocchini ed egiziani in contatto con popolazioni turistiche (Bennani Chraïbi, 2008).
Anche Boyer insiste su questa ricerca dello spettacolo dei popoli «dei quali le usanze, i costumi, le pratiche
sono oggetto allo stesso tempo di attrattiva e di repulsione». (2002, p. 400).
22 Secondo un griot che abbiamo incontrato, non rimarrebbe che un mezza dozzina di narratori che
frequentano più o meno regolarmente la piazza, quando invece se ne potevano trovare ancora una ventina
negli anni '70 che vi recitavano allora quotidianamente in mattinata ed in serata. A questo titolo, l'UNESCO che
non finanzia direttamente i griot, contrariamente a ciò che si sente spesso dire nella medina, non sembra che
possa fare gran cosa per arrestare il declino progressivo di questa pratica.
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PER CITARE QUESTO ARTICOLO
Riferimento elettronico :
Thibaut Danteur, L’autenticità mediante la messa in scena. Analisi dialogica delle attività turistiche e culturali
della piazza Jemaa El Fna e delle loro rappresentazioni, Via@, Gli immaginari turistici, n°1, 2012, postato il 16
marzo 2012.
URL : http://www.viatourismreview.net/Article7_IT.php
AUTORE
Thibaut Danteur
Dottorando in sociologia, Université Paul Valéry, Montpellier III, LERSEM (IRSA-CRI).
Lavorando, nell'ambito di una tesi di sociologia, sull'industria della grande distribuzione ed il suo impatto sulle
rappresentazioni e sull'immaginario delle culture in cui essa sia installata, attraverso l'esempio del fatto
alimentare, le sue ricerche, condotte durante ventiquattro mesi in Marocco e già avviate in Francia e negli Stati
Uniti, seguono una metodologia qualitativa e socio-antropologica. Il suo lavoro si fonda negli ambiti della
sociologia economica, dell'alimentazione, dell'immaginario e delle rappresentazioni sociali. La sua tesi analizza
le interazioni complesse che si creano tra distribuzioni mondializzate ed ambito locale sia sul piano economico
che culturale, e questo l'ha portato ad interessarsi al turismo come elemento fondamentale del fenomeno di
mondializzazione economica e culturale in Marocco.
TRADUZIONE
Bureau de Traduction de l'Université
Université de Bretagne occidentale - Brest
http://www.univ-brest.fr/btu/
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