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Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo L’autenticità mediante la messa in scena. Analisi dialogica delle attività turistiche e culturali della piazza Jemaa El Fna e delle loro rappresentazioni Thibaut Danteur Centro dell'antica città rappresentano quindi degli spazi privilegiati di coabitazione e di incontro per gli stranieri, turisti e residenti, coi marocchini» (KurzacSouali, 2007, p. 64). Ma allora, a partire da questa constatazione della coabitazione e della coinvenzione dello spazio culturale di Jemaa El Fna in 1 quanto sito turistico dagli usi stranieri e domestici, non avremmo forse da guadagnarci in comprensione se considerassimo che esista una relazione complessa tra pratiche turistiche straniere, pratiche domestiche ed usi locali della piazza? In altri termini, potremmo descrivere le relazioni fra pratiche sincretiche generate dalla mondializzazione, che prendono la forma di una performance degli attori mediante la messa in scena di sé stessi a destinazione dei turisti, e le pratiche cosiddette tradizionali che hanno luogo sulla piazza, in un modo diverso da quello del registro dell'opposizione e del dualismo? E in questa stessa logica come potremmo articolare le diverse rappresentazioni della piazza che sembrerebbero, a prima vista, contraddittorie? nevralgico dell'antica medina, la piazza Jemaa El Fna è diventata un emblema di Marrakech e di tutto il Marocco, grazie alle attività tradizionali che essa accoglie. La piazza viene presentata come l'ultimo posto di libera espressione della cultura popolare e orale di tutta l'Africa del Nord. Gli artisti e i turisti che vi si appressano nel corso di tutto l'anno lasciano percepire il potenziale della piazza per il turismo culturale; «istanza di regolazione ideale: il “culturale” nobilita le pratiche e le destinazioni e rende possibile immaginare degli incontri» (Cousin, 2006a, p. 21). Il presente studio è stato realizzato nell'ambito del nostro dottorato di ricerca sulle industrie mondializzate. Interessandoci particolarmente agli esempi della grande distribuzione e del consumo alimentare, abbiamo applicato una metodologia che rientra nel campo del «mosaico di studio del caso» (Beker, 1986), che ci ha portato a studiare il caso marocchino, per mezzo di un programma di scambio europeo, al fine di procedere a una variazione dei contesti geo-culturali. È quindi in un'ottica di induzione analitica che, allo scopo di affinare le nostre ipotesi teoriche, abbiamo scelto di confrontare le nostre osservazioni effettuate a proposito delle scelte alimentari nella grande distribuzione, con altre situazioni di consumo in contesti differenti. Da allora, le pratiche turistiche, e in modo specifico quelle che hanno luogo in seno alla piazza Jemaa El Fna, si sono rivelate essere completamente propizie a questa variazione dei casi studiati a causa del loro legame evidente coi fenomeni di mondializzazione economica e culturale. (Lazarotti, 2000 ; et al, 2007; Gay et Violier, 2007). Come durante tutto il percorso della nostra ricerca dottorale, abbiamo cercato per questo studio del caso di favorire un approccio socio-antropologico pragmatico che dia importanza all'analisi qualitativa e induttiva nell'ambito delle nostre osservazioni. Abbiamo voluto prestare particolarmente attenzione sia ai discorsi dei turisti che a quello dei responsabili, artisti e professionisti della piazza, ovvero alla ricostruzione narrativa delle loro azioni, delle loro percezioni e delle loro decisioni. Il nostro interesse si è quindi concentrato prioritariamente su questi discorsi e sulle «pratiche ricostruite e dichiarate» (Poulain, 2002) nella misura in cui queste esprimono gli immaginari e le rappresentazioni del posto, le sue attività e la sua gestione 2. Le interpretazioni opposte delle attività della piazza la presentano, a seconda che ci si ponga dal punto di vista dei professionisti del turismo o da quello dei diversi ricercatori in scienze sociali, tanto come uno spazio culturale autentico e storico, quanto un luogo patrimonializzato dove questa autenticità sarebbe fittizia (MacCannel, 1989) e rientrerebbe nell'ambito dalla messa in scena e dalla performance rituale (Turner, 1987). Difatti, come lo fa notare Kurzac Souali, «i quartieri turistici La maggior parte delle nostre osservazioni sono state partecipanti o dirette, spesso clandestine. In questo modo abbiamo seguito i turisti sul terreno, tra di loro, andando nei luoghi che frequentavano, parlando coi loro interlocutori, fotografando quello che fotografavano, facendo tutto questo per avere un accesso immediato all'organizzazione e n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 1 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo all'esperienza del flusso turistico della piazza, del punto di vista dei visitatori stranieri e locali. Queste osservazioni sono state successivamente completate da una serie di circa quaranta interviste, rivolte principalmente ai turisti ma anche agli artisti o ai venditori della piazza, ai contatti locali, ai residenti stranieri, ai membri dei servizi municipali che gestiscono la piazza. La maggior parte sono state condotte in modo informale 3, difatti abbiamo potuto constatare che le interviste su appuntamento si scontravano con forti reticenze, e numerosi attori intervistati rispondevano solamente con parsimonia e con ritegno 4. dal punto di vista del visitatore straniero. Globalmente, la letteratura turistica lascia intendere che il posto sia secolare e che le attività culturali che ospita siano generate da una tradizione unica ed immemorabile. Queste descrizioni della piazza, mediante il suo carattere storico, tradizionale e localizzato, partecipano a fondare l'immagine rivendicata di uno spazio autentico e preservato che, nello stesso tempo, mostra un enorme potenziale di sfruttamento turistico. La piazza Jemaa el Fna, con la sua patrimonializzazione all'interno di uno spazio localizzato, è un costrutto (Barthel, 2004) che è stato effettuato nel corso di un processo iniziato negli anni '70, con parecchi tentativi mirati a dettagliare e a determinare in modo rigoroso la qualità di patrimonio culturale della piazza e dei suoi artisti, e che ha portato alla classificazione dello spazio culturale della piazza come patrimonio immateriale dell'umanità dell'UNESCO nel 2001 e lanciato la sua valorizzazione come risorsa. Con questo processo di patrimonializzazione, appare anche una tensione profonda attraverso la contraddizione di una volontà ambivalente di proteggere la piazza e allo stesso tempo di modernizzarla, ovvero di una volontà di trasformazione e simultaneamente di preservazione (Boyer, 2002). Di Méo (2007) ne descrive le tappe: la «presa di coscienza patrimoniale» che, nel nostro esempio, è segnata dalle conferenze che hanno avuto luogo prima del 2001. Si instaura poi il «gioco degli attori» implicati, e fra essi il Re Mohammed VI, che mediante il suo discorso del gennaio 2001 ha contribuito enormemente a innescare il gioco politico e retorico del processo. Si citerà anche il conseguente piano dell'Ufficio Nazionale del Turismo o anche l'attivismo di parecchie associazioni che hanno militato per la protezione della piazza. La «selezione e la giustificazione patrimoniale» sono, nel nostro esempio, illustrate dalla classificazione UNESCO del 2001. La «conservazione, l'utilizzo e lo sviluppo del patrimonio» hanno, nel caso di Jemaa El Fna, consistito in una serie di ristrutturazioni condotte a partire dagli anni '80. Si percepisce qui la natura storica del processo di invenzione del luogo turistico (Raffestin, 1986). Abbiamo utilizzato infine la fotografia antropologica sia come strumento di rilevamento geografico della piazza ma anche come un efficace complemento dell'osservazione (Piette, 1996) 5. Abbiamo seguito 6 inoltre i turisti-fotografi , nella loro ricerca di immagini, che identificano in questo modo le loro «sceneggiature fotografiche» (Suchar,1997). Infine, abbiamo messo in opera un protocollo di recupero di immagini realizzate dai turisti stessi, per verificare lo status della piazza Jemaa El Fna durante la visita di Marrakech e i soggetti che erano stati fotografati 7. La messa in patrimonializzazione, rappresentazioni scena dell'autenticità: ristrutturazioni e Ci sembra opportuno che la teoria della ricerca dell'autenticità, presentata da MacCannell (1989), debba essere tuttora considerata come imprescindibile per lo studio del fenomeno turistico, sebbene non sempre abbia raccolto l'unanimità. Tuttavia, gli autori che l'hanno criticata la completano più che screditarla. Sottolineano specialmente la necessità di prestare una maggiore attenzione alle pratiche turistiche non-occidentali, così come al processo dialogico che collega i comportamenti turistici a quelli autoctoni (Picard, 1992; Coëffé et al, 2007). Eppure rappresenta, sempre ai nostri occhi, una chiave di comprensione fondamentale per ciò che riguarda l'analisi dei comportamenti e delle rappresentazioni turistiche nella piazza Jemaa El Fna. Il turista occidentale in visita in Marocco e a Marrakech viene a cercare un esempio di stile di vita percepito come tradizionale e immutato, in stretta relazione con un orientalismo e con una percezione dell'esotismo direttamente ereditati dal secolo XIX 8 (Staszak, 2006,; Guathier,2008). È peraltro sorprendente, alla lettura di guide, riviste e siti turistici su internet, constatare quanto le notizie disponibili a proposito della piazza Jemaa El Fna siano vaghe 9, mettendoci Questa politica di protezione si è affermata a partire dagli anni '70, di fronte a parecchi progetti di costruzione sul luogo, dei quali è stato talvolta difficile poter verificare la veridicità, come dei parcheggi, palazzi o fontane. Da allora, nei discorsi tenuti dagli attori militanti per la sua protezione, il posto viene presentato come un luogo di incontro, di mescolanza, e in possesso di valore storico, che n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 2 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo favorisce in questo modo la costituzione di un turismo culturale di buon gusto (Picard, 1992; Cousin, 2006b; Simon, 2008). I geografi hanno descritto in modo rigoroso la politica di sviluppo della risorsa patrimoniale che accompagna l'obiettivo di protezione (Choplin e Gatin, 2010; Gatin, 2008). Le differenti azioni condotte dalle autorità locali quali l'organizzazione di eventi culturali come il Festival Internazionale del Film, un festival di danza contemporanea, o di eventi promozionali, mirano a sviluppare il potenziale turistico della piazza, e sono sostenute dai discorsi che mettono l'accento sulla «valorizzazione» piuttosto che sul registro della trasformazione. Come lo dimostrano Chopin e Gatin, «lo spazio pubblico ristrutturato a fini turistici si piega ad un modello idealizzato associato ai temi dell'igiene, dell'ordine, della funzionalità e dell'apertura che cerca di rompere con una fisionomia e delle appropriazioni spaziali percepite come incompatibili con la strategia nazionale di sviluppo» (2010, p. 28). Queste ristrutturazioni sono state intraprese a partire dagli anni '90 e hanno preso diverse forme, sempre nell'idea di conformità a dei criteri occidentali. dimostrano le nostre interviste. Un ampio sforzo di pianificazione è stato condotto anche sulla gestione dello spazio, la sua organizzazione, il suo controllo, a partire dagli anni '90 e in modo speciale dopo la classificazione, per lottare contro l'insicurezza della piazza (Kurzac-Souali, 2007; Choplin e Gatin, 2010) che tanto ha recato danno alla reputazione della città rossa 10. Difatti, «la ristrutturazione del giardino e dei vicoli che sboccano sulla piazza Jemaa el Fna ha permesso di distruggere i bordi dei viali utilizzati dagli emarginati per riposarsi in giornata, e dietro i quali potevano dormire la notte al riparo dallo sguardo delle forze dell'ordine pubblico» Choplin e Gatin, 2010, p. 28). La piazza ha avuto per molto tempo, e talvolta ancora oggi, la reputazione di un luogo dissoluto, sporco, malfamato e anarchico (Gatin, 2008; Guathier, 2010) ed è per correggere queste rappresentazioni che la gestione dei mendicanti, specialmente, si compie trasversalmente mediante istituzioni religiose al di fuori dello spazio valorizzato. Per complementare queste misure, è stata instaurata una vera politica logistica, con delle misure non solo di ordine estetico, ma anche un'organizzazione e un controllo più rigoroso dello spazio geografico. La definizione di un'area specificamente destinata a ogni tipo di attività culturale o commerciale, l'attribuzione di un badge con tanto di numero per la maggior parte degli attori della piazza responsabili del commercio alimentare, un contratto con un'impresa italiana incaricata della pulizia quotidiana, hanno infine completato la serie di ristrutturazioni susseguenti alla patrimonializzazione della piazza. Tutto questo processo di modifiche dell'organizzazione di Jemaa El Fna poggia su un lavoro narrativo di ampio respiro 11, da parte dell'insieme dei partecipanti al «gioco degli attori» (Di Méo, 2007) che mira per un certo verso a giustificare una nuova politica di sfruttamento del sito, facendo la promozione di nuove rappresentazioni della piazza come patrimonio prezioso e fragile. Questi discorsi sono fondatori del dualismo tra preservazione e valorizzazione economica che caratterizza la gestione della piazza, e che le procura a prima vista questo carattere museificato che alcuni deplorano. Dal momento che la piazza appare come una risorsa turistica importante, l'ambizione del suo sfruttamento favorisce alcune trasformazioni presentate dagli attori implicati come delle «ristrutturazioni» chi si fanno prendendo in considerazione delle aspettative e delle norme di comfort estetico, logistico e di sicurezza, spesso percepite come di influenza occidentale 12. «Una rivalutazione in funzione dei bisogni e delle Le dotazioni urbane della piazza sono state pianificate col passare degli anni con, per esempio, una zona dove il rivestimento è stato rifatto «specialmente per raccogliere i corpi grassi (…) al centro della piazza, nella zona dei chioschi mobili di ristorazione» (Choplin e Gatin, 2010, p.27). Questa pavimentazione è stata accompagnata da una pedonalizzazione parziale della piazza così come da una politica di standardizzazione del mobilio urbano e dei negozi. Difatti, i ristoranti sono stati invitati ad armonizzare le loro vetrine e terrazze, «nel 2005, i venditori di spremute d'arancia, di frutti secchi e di lumache sulla piazza Jemaa el Fna hanno barattato le loro vecchie carrette per delle nuove strutture tutte simili fra di loro, su decisione municipale» (Kurzac-Souali, 2007, p.79) che richiamano le caratteristiche estetiche delle carrozzelle che percorrono la medina. Questa tendenza alla standardizzazione caratterizza principalmente la seconda categoria di ristrutturazioni che riguardano le installazioni commerciali installate sulla piazza oppure intorno a essa, come i ristoranti che la cingono. Questi ultimi hanno visto i terrazzi panoramici moltiplicarsi, e in seguito hanno armonizzato le loro dotazioni e modificato le loro pratiche. Una specifica politica di controllo di qualità e di freschezza è stata instaurata specialmente per preservare l'immagine della piazza e rassicurare i turisti inquieti, come lo n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 3 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo che si parli con i turisti stranieri che con quelli domestici. Lo studio delle foto dei turisti e dei loro discorsi a proposito della pratica della fotografia sulla piazza testimonia l'importanza di questo luogo nell'immaginario della città e di quella di queste immagini nella trasmissione delle sue rappresentazioni di esotismo e di autenticità. In quello che esprimono i turisti stranieri e quelli domestici quando parlano di Jemaa El Fna, ritroviamo questo criterio di «luogo da vedere» (Amirou, 1994; Boyer, 2002; Simon, 2008), dove la vista si rivela costitutiva del desiderio stesso di viaggiare. L'immagine fotografica può prendere allora il ruolo di testimonianza, come lo dimostrano le immagini delle persone ritratte in piedi e davanti alla scena, significando e certificando la presenza fisica sul «luogo da vedere» ma anche di documentazione, mirando a farlo vedere. La fotografia turistica «documenta dei luoghi, li enumera, come nel caso dei reportage di viaggio e, contemporaneamente rinvia ad una pratica di testimonianza e di appropriazione, come nei ritratti di famiglia. (...) [Essa] vive di questa tensione tra la messa in scena degli affetti (è un ricordo e, in certi casi, farà parte di un diario) e la volontà di registrare delle esperienze esemplari per fare del proprio viaggio un percorso ripetibile dagli altri turisti» (Dondero, 2008, p.24). I visitatori interrogati hanno già delle immagini in mente ancor prima della visita, e vengono sul posto per cacciare o raccogliere le foto di cui hanno «bisogno» 13 ed è interessante constatare che quelle che ci hanno fatto pervenire i turisti mostrano spesso delle fotografie simili fra di loro 14. Alcuni visitatori ci hanno persino confidato di avere voluto volontariamente «rifare» una fotografia vista da un amico o su internet. Se la fotografia ha quindi un status a parte nella pratica turistica della piazza, è anche consostanziale alle molte attività che vi hanno luogo. Come lo sottolineano fortemente Salazar (2009) o ancora Staszak a proposito della Polinesia francese (2006), l'immagine fotografica turistica partecipa al fenomeno di messa in scena dell'autenticità autoctona poiché viene percepita dalla popolazione locale come una sorgente di reddito potenziale, incoraggia a «dare a vedere», a giocare il ruolo di sé stessi, la propria caricatura, a un un tipo di rappresentazione che sa di performance teatrale (Schechner, 1977; Turner, 1987). In questo senso influisce maggiormente sull'io autoctono che su quello dei turisti (Bruner, 1991). Questa constatazione è perfettamente trasferibile alla piazza Jemaa El Fna, dove la pratica fotografica, banalizzata dalla comparsa del digitale, viene a rinforzare e ad alimentare un'autenticità fittizia allestita per i turisti e simultaneamente a aspettative (talvolta presupposte) dei turisti, e degli investitori» e che, come lo dimostra Kurzac-Souali, «sconvolge il rapporto dello spazio urbano con la popolazione abitante» (2007, p. 80). Parallelamente, la volontà di preservare le pratiche culturali conduce alla messa in scena di sé stessi, a interpretare il proprio ruolo (Staszak, 2006) per il turista straniero venuto qui per cercare questa autenticità esotica e per ritrovarsi poi con una messa in scena, «un'etnicità ricostruita» (MacCannell,1989). L'autenticità da vendere, consumo della piazza Le rappresentazioni della piazza come luogo magico, spazio ancestrale di mescolanza culturale, vengono in parte generate dal processo di patrimonializzazione della piazza, come lo testimoniano i discorsi ottenuti dalle guide ufficiali e dai turisti stranieri, ampiamente ispirati dalle immagini stereotipate alimentate dalla letteratura turistica e dalla cultura popolare occidentale. Ora, queste rappresentazioni sono proprio il motore dell'economia turistica della piazza, motivando sia la scelta della destinazione che il contenuto delle visite effettuate sulla piazza, come lo dimostra molto bene Simon: «l'immagine e l'immaginario occupano una parte essenziale in ogni viaggio, specialmente nella sua forma preliminare di progetto, incarnando la rappresentazione dell'altrove in un'immagine (...). Al momento della concretizzazione fisica del suo viaggio, il turista parte alla ricerca delle immagini (…). Questo campione rappresentativo di immagini da vedere compone un quadro iniziale a cui le guide hanno il dovere di adeguarsi. Le immagini agiscono così potentemente, che non ottemperare alla loro vista o alla loro visita sarebbe certo problematico» (Simon, 2008, p.8). L'immagine fotografica occupa quindi un posto completamente peculiare nella costituzione, nel supporto e nella trasmissione dell'immaginario turistico, e questo accade fin dai primi viaggi organizzati al XIX secolo in Inghilterra (Miossec, 1977; Boyer, 2002). Nel caso che ci riguarda, sia le nostre osservazioni che le nostre interviste ci hanno presto indotto a prendere in considerazione il peculiare ruolo rivestito dalla fotografia nell'immaginario turistico della piazza e nelle pratiche dei turisti in visita. L'immagine è chiaramente il bene che più vi si consuma (Giraud,2002). Queste foto che riporteranno a casa i turisti alimenteranno il serbatoio di luoghi comuni alla base dell'immaginario turistico e in questo caso delle rappresentazioni legate alla piazza (Andrews, 1989; Urry, 1990), e questo fatto è riscontrabile sia n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 4 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo (Cohen, 1988) oppure al contrario la sua solubilità in una cultura non occidentale (Doquet et Evrard, 2008). Con ciò, ci uniamo a Berriane quando descrive «le pratiche turistiche [domestiche] attuali [come] la conclusione di un'evoluzione interna dove i fattori esogeni possono ugualmente intervenire» (Berriane, 1993, p. 139). incoraggiare delle trasformazioni architettoniche come la generalizzazione delle terrazze panoramiche intorno alla piazza. Per molti aspetti, la pratica turistica della fotografia sulla piazza Jemaa El Fna ha generato delle modifiche che spingono i turisti a comportarsi spesso come in uno zoo o durante un safari. I turisti occidentali soprattutto, ma anche alcuni marocchini, passano sulla piazza molto del loro tempo installati sui terrazzi panoramici dei caffè. Come lo dimostrano le nostre interviste, i visitatori apprezzano e ricercano questi punti di vista sopraelevati, percepiti ed espressi come sicuri e che permettono inoltre di abbracciare con lo sguardo tutta la piazza (Leroux, 2007). Queste pratiche hanno partecipato allo sviluppo di queste installazioni, e sono legate all'ascesa di un nuovo tipo di molestia mediante l'incitamento alla consumazione fotografica. «Queste mode di valorizzazione, come dice Kurzac-Souali, tendono a soddisfare di più l'altro, il visitatore o il nuovo investitore che non coloro che praticano la medina per vivere» (2007, p. 80) e partecipano in questo modo a provocare una messa in scena, una ricostruzione a fini di lucro di un'identità culturale immaginaria pronta a dare spettacolo di sé 15. L’autenticità mediante la messa in scena La piazza non è quindi ad uso esclusivo dei turisti occidentali o dei visitatori temporanei: essa si trova geograficamente molto integrata alla struttura urbana della vecchia medina e costituisce una vera «interfaccia tra la medina e i quartieri moderni» (Gatin, 2008, p.8) così come un luogo di passaggio obbligato per molti dei suoi abitanti. Per questo fatto, si osserva una vera dicotomia delle attività che si trovano sulla piazza. Questa si organizza in particolar modo intorno a una temporaneità molto marcata e a una territorializzazione dei differenti attori della piazza, ma anche intorno a una differenziazione della clientela a cui sono destinate queste attività. Col passare delle ore, i turisti stranieri, maggioritari durante il giorno, scendono in proporzione fino a quando, sul finire della giornata, arrivano i narratori o le veggenti, e preferiscono ripiegare sui chioschi -ristoranti panoramici che sovrastano il posto. Questa temporaneità del pubblico della piazza va di pari passo con la temporaneità delle sue attività. In giornata, si trovano principalmente gli ammaestratori di scimmie, gli incantatori di serpenti, le venditrici di tatuaggi e i cavatori di denti. Tutte attività che sono destinate chiaramente ai visitatori di passaggio. Alla sera, arrivano i pagliacci, le veggenti, i giocolieri e i travestiti che drenano le folle della medina, formando degli ampi cerchi intorno agli artisti. Ora, se si aderisce in parte all'idea della ricerca di autenticità, declinata in questo caso sotto il registro dell'esotismo (Guathier, 2008 e 2010) abbiamo il dovere di sottolineare, come altri (Cohen, 1988; Giraud, 2002) che la forza di questa idea risiede soprattutto nello studio del turismo occidentale. Se invece considerassimo lo sguardo del turista domestico, bisognerebbe fare delle sfumature probabilmente sulla validità paradigmatica di una teoria che resta altrimenti di una rara pertinenza. Difatti, se sulla piazza Jemaa El Fna, numerose attività presentate come tradizionali e fondatrici dell'aspetto culturale del luogo, come gli incantatori di serpenti, gli addestratori di scimmie o i cavatori di denti, si rivelano poi essere una messa in scena e strumentalizzate, non ci si può fermare tuttavia a questa constatazione di un marketing dell'autenticità fittizia. Il fatto di prendere in considerazione lo sguardo domestico inverso (Gillespie, 2006) ci permette quindi di rimettere in prospettiva questa denuncia di una messa in scena e di autorizzarci a portare avanti la descrizione degli ingranaggi di una teoria complessa dell'autenticità della piazza Jemaa El Fna, illustrando in questo modo le nuove problematiche legate al prendere in considerazione il turismo domestico in Marocco, come il turismo dei non occidentali in generale per ciò che riguarda il suo carattere acculturante Prendendo in prestito lo schema della dicotomia giorno/notte dei regimi dell'immaginario (Durand, 1998), questa temporaneità che ritma il passo della piazza, come le attività di passatempo tradizionale marocchino come i moussem (Berriane, 1989), si presenta come un elemento di importanza fondamentale nella costituzione dell'immaginario del sito. Le nostre interviste, come del resto la letteratura turistica, dimostrano chiaramente come questa evoluzione della piazza, col passare della giornata e della serata, contraddistingua il discorso dei viaggiatori. Numerosi artisti che appaiono in serata, nel momento in cui la piazza si anima di più, hanno per clientela una schiacciante maggioranza di marocchini. Il teatro di strada, gli spettacoli di travestiti e i narratori sono comprensibili solamente a condizione di dominare il darija 16 e le sue n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 5 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo sottigliezze. Anche se alcuni turisti stanno a guardare o danno una moneta per scattare una foto, non possono accedere alla harqua17 strettamente parlando, e sono dunque relegati fuori dal gioco. Sono queste attività, ad uso ampiamente «riservato» degli arabofoni che costituiscono un'isola di attività autenticamente tradizionali, fuori dalla portata dei turisti stranieri, al contrario degli 18 spettacoli di gnawas e degli incantatori di serpenti per esempio. I turisti, dal momento che non possono accedere a questo contenuto culturale della piazza, non lo percepiscono e ne consumano soltanto l'estetica. In questo modo, possiamo rivolgere la domanda sulla ricerca di autenticità sia al turista domestico che ai residenti locali. Questo interesse per l'autenticità della piazza e per la sua protezione di fronte ad un potenziale pericolo rappresenta il nucleo dell'immaginario locale, e può essere rilevato alla luce di certi discorsi che esprimono un rapporto ansiogeno con la piazza, e con l'evoluzione delle sue attività. Se le caratteristiche di Jemaa El Fna che rendono fondata la sua immagine di spazio culturale, provocano spesso il fascino dei visitatori domestici o stranieri, sembra che queste possano ugualmente generare una certa repulsione. Il fatto di prendere in considerazione la dualità del pubblico e delle attività ad esso destinate, ci permette di mettere in luce la coesistenza dialogica, in seno a questo spazio geografico, di attività ricostruite a fini turistici e di attività tradizionali fuori dalla portata dei turisti, delle quali solo le reinterpretazioni sono messe a disposizione dei visitatori stranieri. Questi due tipi di attività potrebbero apparire a prima vista in contraddizione, ma tuttavia l'osservazione ci autorizza a spingerci oltre nell'analisi di questa relazione tra autenticità e messa in scena, e a questionare il carattere rigoroso di questa opposizione. Considerando il ruolo economico dei turisti che stimolano questa ricostruzione dell'identità culturale della piazza, e di fatto partecipano alla perpetuazione di attività tradizionali preservate, possiamo formulare che le attività tradizionali tradizionali si realizzano insomma all'interno della loro stessa caricatura, e la cui perennità dipende, almeno in parte, da un pubblico turistico al quale non sono direttamente destinate 19. Le attività a scopo lucrativo e turistico dipendono a loro volta da queste attività tradizionali per garantire l'immagine della piazza e il suo fascino. Questa autenticità mediante la messa in scena designa, in questo rapporto antagonista e allo stesso tempo reciprocamente necessario, ciò che Morin chiama un'associazione dialogica (1990) di termini simultaneamente contraddittori e tributari l'uno dell'altro. Nel caso degli attori locali, anche se tutti convengono che lo sviluppo turistico della piazza sia una risorsa importante della città, questa immissione nel turismo angoscia però numerosi attori della medina. Sul registro «dell'invasione», i riacquisti dei riad nei quartieri della intorno alla piazza vengono denunciati dalla stampa 20, che si preoccupa dei fenomeni di gentrificazione dei quartieri popolari della vecchia città. Le nostre interviste lasciano emergere tali angosce di «vedere gli europei installarsi» e «fare dei lavori», «bere dell'alcol», «di non rispettare la decenza». Questo timore della perversione e della deculturazione a proposito dell'invasione manifesta il rapporto ansiogeno che alcuni abitanti possano avere con le attività della piazza. Queste sono percepite in modo negative anche per altri motivi, difatti i lavori di Gatin e Choplin (2010) fanno riferimento alla reputazione poco entusiasmante della quale Jemaa El Fna ha goduto per molto tempo agli occhi di alcuni marocchini che la descrivono come un luogo anarchico e arcaico, un contro-modello per alcuni urbanisti marocchini. Questo rapporto ansiogeno con le attività della piazza è similmente riscontrabile presso i visitatori stranieri che lo descrivono come un luogo troppo turistico e «lasciano intendere che questa attività l'avrebbe privata di ogni autenticità, sia da un punto di vista paesaggistico che in termini di rapporti intrattenuti con la popolazione locale. Il turismo di massa sarebbe quindi un fattore di corruzione di questa popolazione e l'avrebbe addirittura contaminata» (Leroux, 2007, p.11). Numerose interviste hanno validato questo rapporto di fascinazione/repulsione 21, da parte dei turisti occidentali che parlano della sporcizia della piazza, del disagio occasionato dalla promiscuità durante le attività notturne. L'assillo dei turisti da parte di bambini che chiedono l'elemosina o dai «puntatori», uomini che approfittano della folla per venire a strusciarsi su giovani uomini o donne, la paura dei borsaioli, vengono avanzati per spiegare L’autenticità ansiogena Questa relazione dialogica che ci autorizza, come l'hanno dimostrato parecchi autori (Picard, 1992; Coëffé et al, 2007), a descrivere più adeguatamente l'articolazione tra il fomento del turismo e le sue conseguenze sugli attori autoctoni, può permetterci di pari passo di comprendere meglio anche le differenti rappresentazioni della piazza. n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 6 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo infatti di capire le performance di attori come i gnawas, degli incantatori di serpenti o dei cavatori di denti, come di una reinterpretazione sincretica di una tradizione immaginata da una percezione particolarmente occidentale, messa alla portata di un pubblico turistico straniero. D'altra parte, si osserva che numerose attività culturali tradizionali, come i racconti dei griot, traggono profitto e protezione dalla compagnia turistica e dalla messa in scena che occasionano. Nel fare questa constatazione è conveniente tuttavia fare anche delle sfumature per quanto riguarda il caso particolare dei narratori. Difatti, malgrado la volontà dell'UNESCO di preservare questo patrimonio attraverso l'organizzazione ed il finanziamento di attività pedagogiche in ambito scolastico, i griot di Jemaa El Fna vedono il loro numero diminuire di anno in anno. Devono fare fronte alla difficoltà di suscitare delle nuove vocazioni in un mestiere che si trasmette oralmente e in concorrenza con la televisione e con le nuove tecnologie che captano gran parte del loro pubblico tradizionale. Ciononostante, i griot si sforzano di perpetuare la loro arte sulla piazza o durante alcune manifestazioni culturali dedicategli per iniziativa dell'UNESCO, o anche di altri organismi come l'istituto francese di Marrakech. 22 questa paura che molti soggetti hanno espresso nel descrivere la loro esperienza. Subito dopo troviamo le angosce alimentari in quanto alla qualità dei prodotti, specialmente dei chioschi-ristoranti, e vengono espressi anche dei timori legati all'acqua, ai succhi di frutta, alle malattie e all'igiene. Se la letteratura turistica non ne fa troppo riferimento per preservare l'immagine di prestigio di Jemaa El Fna, i lavori di Guathier (2010) permettono di constatare una certa permanenza di questo aspetto ansiogeno fin dai primi viaggiatori del XIX secolo, malgrado le ristrutturazioni della piazza. Come egli lo dimostra, i viaggiatori occidentali, come avviene anche oggi per alcuni turisti, già facevano riferimento all'aspetto soffocante e pericoloso che poteva rivestire la piazza, associando però questi termini a dei valori di esotismo presentati come positivi. Si può avanzare dunque che tanto la repulsione quanto il fascino giustifichino la scelta della destinazione, e che il turista cerchi, in una certa misura, di vedere ciò che verrà a tormentarlo o piuttosto a rassicurarlo nel suo senso di superiorità (Boyer, 2002; Leroux, 2007). La relazione tra fascino e repulsione ci sembra allora che possa superare la semplice opposizione, nella misura in cui i due termini sembrano discordare e completarsi a vicenda, per fondare l'immaginario dell'autenticità e dell'esotismo in una relazione dialogica e complessa. Le attività culturali della piazza si contraddistinguono dunque per l'aspetto dialogico della loro organizzazione fisica ed amministrativa, della loro clientela e della loro temporaneità. Si avanzerà allora l'idea che se la piazza è teatro della messa in scena di una «falsa autenticità» ricostruita, marketizzata e strumentalizzata, è anche simultaneamente lo spazio di espressione di una tradizione molto concreta, messa a disposizione di una maggioranza di stranieri mediante la sua reinterpretazione sotto forma di performance di ordine teatrale, e dipendente dalla presenza turistica. Un'autenticità e la sua messa in scena che, tutto sommato, si alimentano a vicenda, per generare delle nuove pratiche sincretiche. La prospettiva complessa permette dunque di superare una visione semplificativa dell'antropologia del turismo, polarizzata intorno ai suoi dualismi tradizionali, come le opposizioni visitatori/ospiti oppure autenticità/messa in scena. Nello stesso tempo, questa prospettiva complessa e dialogica permette di comprendere meglio le rappresentazioni che sono associate alla piazza Jemaa El Fna, e di articolare in un insieme coerente degli immaginari che potrebbero, a prima vista, sembrare in stretta contraddizione. Così, piuttosto che considerare le immagini legate ad alcuni aspetti percepiti come repulsivi, e descritti nei racconti di Conclusione Le nostre osservazioni delle attività culturali e turistiche della piazza Jemaa El Fna, del suo uso sia da parte dei visitatori stranieri che dei suoi attori domestici, così come le nostre interviste e conversazioni con entrambi, ci hanno permesso di fare luce sui diversi fenomeni che riguardano la modalità della sua immissione nel circuito turistico, le sue conseguenze a livello locale e anche le rappresentazioni alle quali viene associata. Innanzitutto, sul piano delle attività vi si svolgono, ci sembra che bisogni considerare la piazza in un modo diverso da quello del semplice luogo di messa in scena di un'autenticità fittizia (MacCannell,1989). Difatti, alla luce di alcune constatazioni come la dicotomia giorno/notte che caratterizza la ripartizione delle sue attività, le numerose ristrutturazioni dell'ordine del «neotradizionalismo» (Graburn, 1983) o l'interiorizzazione da parte degli autoctoni del raccolto fotografico turistico, e seguendo Picard (1992) o Coëffé (2007, 2008), ci sembra che il suo funzionamento venga descritto decisamente meglio da un approccio dialogico. Questo ci permette n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 7 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo moribondi della cultura, ma sono anche in grado di permettere la diversificazione degli spazi-tempo nell'organizzazione sociale delle «società locali» (Coëffé, 2007, p.95). Unendosi dunque ai socioantropologi dell'alimentazione (Fischler, 1990; Poulain, 2002), Coëffé e Violier utilizzano l'esempio di McDonald's ad illustrazione «del dialogico della standardizzazione e della differenziazione che assume la mondializzazione», (Coëffé e Violier, 2008, p.10). È da questa convergenza tra studi turistici e sociologia dell'alimentazione dalla quale traiamo la coerente conclusione della nostra diversa scelta di campo per l'applicazione, nel nostro lavoro dottorale, di una metodologia comparativa di studi del caso variati. Inoltre, unendoci a Castoriadis (1975) per ciò che riguarda l'immaginario, a Fischler (1990) o Poulain (2002) per l'alimentazione, oppure a Picard (1992) e Coëffé (et al, 2007) per il turismo, e sia che si tratti di pratiche culturali o rappresentazioni, sia che si prendano in considerazione i narratori di Jemaa El Fna o perfino le tecniche e le abitudini culinarie marocchine, ci sembra che i fenomeni generati dal loro confronto a delle industrie mondializzate come lo sono il turismo culturale o la grande distribuzione, traggano sempre vantaggio ad essere analizzati e descritti da una prospettiva dialogica, che non elude le complessità naturali delle culture umane e si scosta dalle semplificazioni riduzionistiche (Morin,1990). viaggio del XIX secolo o dalle parole dei turisti contemporanei, sotto il registro della rappresentazione negativa; e viceversa, le parole che denotano un certo fascino per il carattere tradizionale della piazza sotto il registro della percezione positiva, l'osservazione ci autorizza a comprendere questi due tipi di rappresentazioni all'interno di una relazione complessa che articola le due categorie di fascino e repulsione in una relazione dialogica partecipando ampiamente a rinnovare l'attrattiva della piazza e la potenza della sua rappresentazione nell'immaginario turistico. In conclusione, la comprensione complessa dell'immissione nel turismo della piazza Jemaa El Fna, permette di sviluppare un'analisi della mondializzazione che supera la semplice denuncia dei suoi aspetti standardizzanti (Brunel, 2006). A partire da questo momento, si privilegerà una descrizione delle industrie mondializzate quali il turismo, come di una forma di differenziazione culturale (Warnier, 1999) e di ibridazione, (Coëffé et al, 2007), nel senso in cui queste industrie alterano, rendono uniformi, museificano e mettono in scena alcune pratiche culturali e nello stesso tempo esse preservano, alimentano, modificano o ne generano delle nuove. «Da questo punto di vista, il turismo può apparire innanzitutto come un operatore di ibridazione. Non solo gli attori della sfera turistica sono capaci di attualizzare, riformulare, combinare gli elementi dando loro una nuova forma che permetta di mantenere in vita alcuni elementi NOTE 1I ricercatori in scienze sociali concordano sul fatto che il sito turistico sia un costrutto (Raffestin, 1986; Knafou, 1991; Coëffé et Violier, 2008). In questo modo, se “l'invenzione del sito turistico comincia da uno scostamento dell'utilizzazione tradizionale del territorio il cui (…) significato cambia” (Knafou, 1991, p.16), questa ha bisogno simultaneamente della stipulazione di un “contratto tacito fra società locale e società globale” (Ibidem, p.19) che autorizzi allora a parlare di co-invenzione. 2 Riprendiamo quindi alcune asserzioni della metodologia dell'intervista non-strutturata (Michelat, 1975; Duchesne, 1996). 3 Sulle osservazioni partecipanti e clandestine, vedi specialmente, Becker (1985). Peraltro, i lavori di Wacquant (2000) restano, per noi, di un'influenza fondamentale. Sui colloqui informali, citeremo il discorso metodologico di Pétonnet (1982), le indicazioni di Olivier di Sardan (1995) che ne fa uno degli strumenti di impregnazione o ancora i lavori di Bruneteaux e Lanzarini (1998). Più recentemente, Le Velly (2007), vi ha fatto ricorso durante un'indagine sui dimos- tratori di fiera. Citiamo anche l'esempio di Dujarier che parla di "osservazione dialogante" (2008: 18). 4 Su queste reticenze alla situazione dell'intervista, così come le eventuali strategie per aggirarle vedi Blanchet, 1989; Pinçon et Pinçon-Charlot, 1991; Chamboredon et al, 1994; Demazière, 2008. 5 La fotografia nell'ambito di una ricerca socio-antropologica risulta essere un eccellente supplemento al prendere appunti e limita la "dispersione dei dettagli" che interviene durante le semplificazioni legate al processo di scrittura scientifica della descrizione (Piette,1996). Tuttavia, è chiaro che non potrebbe sostituirlo completamente poiché le scelte "tecniche, culturali, sociali ed estetiche", (Conord, 2002) portano ugualmente ad operare una selezione del reale. 6 Il legame tra pratiche turistiche e produzioni di immagini è stato ampiamente studiato da molti autori, sia che si trattasse di analizzare la convergenza tra pratiche di viaggio e tipi di fotografie turistiche (Dondero,2007) che n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 8 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo di sottolineare l'avvicinamento tra foto turistica e foto di famiglia (Bourdieu et al, 1965) sia di comprendere inoltre la fotografia turistica come strumento di registrazione per la cattura di immagini (Picard e Robinson, 2009), come strumento di memorizzazione e di verificazione di presenza (Sontag, 1978), come produzione di materiali stereotipati che alimentano un circuito chiuso di rappresentazione (Urry,1990), o ancora di interrogare l'impatto locale della pratica fotografica (Staszak, 2006; Salazar, 2009. 7 La domanda espressa ai turisti interrogati verteva su una "selezione di foto per illustrare la visita di Marrakech e tutto ciò che era risultato sorprendente". Abbiamo ottenuto 52 fotografie di cui 23 relazionate direttamente alla piazza. Le 19 persone che hanno risposto hanno fornito almeno una fotografia della piazza o vi hanno fatto allusione nei loro commenti. Anche se non vi corrisponde totalmente, questa metodologia si ispira ampiamente alla "foto elicitazione" (Harper,2002).5 8 In questo senso, la ricerca di alterità come giustificazione del viaggio affonda le sue radici in un certo sentimento di nostalgia (Raffestin, 1986, p.12). 9 I fatti storici che sostengono la comunicazione di marketing intorno alla piazza non sono mai stati chiaramente stabiliti. "Le origini della piazza Jemaa El Fna sono oscure e risalgono lontano nel tempo, confondendosi con la storia della città. I testi storici vi fanno riferimento, senza nominarla, dalla fondazione di Marrakech. " (Skounti e Tebbaa, 2006, p. 25). Se la traduzione del nome della piazza più spesso avanzata è "la piazza dell'assemblea dei morti", in riferimento alle esecuzioni che vi hanno avuto luogo, vengono proposte anche altre traduzioni. Su questo punto vedi Guathier, 2010. 10 L'analisi della stampa economica marocchina testimonia i problemi di sicurezza e di assillo dei turisti, (L’Économiste, Édition N° 227 du 25/04/1996, « Touristes à Marrakech : harcèlement, coups de poing et indifférence », et édition N° 253 du 07/11/1996, « Marrakech renoue avec ses touristes »). Gatin precisa: "Per le autorità, è diventato progressivamente inconcepibile di offrire ai visitatori ed ai media del mondo intero un'immagine di povertà e di insicurezza. Difatti, molte pattuglie di polizia (anche in borghese) circolano giorno e notte per la sicurezza dei turisti. Sono stati inoltre regolamentati i comportamenti di vendita per limitare al massimo le molestie per i turisti. Perciò, la piazza Jemaa el Fna, che appariva agli occhi degli attori culturali come un spazio di libertà, è diventato progressivamente un spazio vigilato e sotto controllo" (Gatin, 2008, p. 13). In questo senso molte ristrutturazioni intraprese sulla piazza dopo il riconoscimento dell'UNESCO partecipano ad una logica di “regolazione del turismo”(Knafou, 1996, p.4). 11 Fine e Haskell Speer (1985) sottolineano questo lavoro narrativo che accompagna le tappe di "sacralizzazione del luogo" (MacCannell,1989), concentrandosi sulle prodezze narrative e retoriche delle guide turistiche. 12 Questa occidentalizzazione viene denunciata da una parte della popolazione, e da certe sfere d'influenza estremiste (Le Monde, « Pour les djihadistes salafistes, Marrakech est symbole de débauche: entretien avec Lhoussain Azergui » , Édition en ligne du 29/04/11). 13 Staszak descrive come le rappresentazioni di Tahiti siano collegate alle immagini stereotipate e aggiunge : “la produzione di immagini, sul posto, non si fa in assenza di mediazione: entrano in gioco delle immagini che si hanno in mente o negli occhi” (Staszak, 2006, p. 91). Vedi anche Urry, 1990 o Boyer, 2002. 14 Le selezioni mostravano non solo una forte ridondanza di soggetti ma anche di inquadrature, confermando gli argomenti avanzati da certi autori sul carattere predefinito e stereotipato di alcune fotografie (Urry, 1990; Boyer, 2002; Staszak, 2006; Simon, 2008). 15 Ad esempio, si citerà il cavatore di denti che espone i suoi strumenti la sua collezione dentaria. La vendita di foto ricordo costituisce l'essenziale dei suoi redditi, ed egli spiega chiaramente di essere là per sfruttare la ricerca turistica di immagini (Arrif, 2006), quella di un'autenticità e di un esotismo percepiti in maniera sprezzante e mescolando con forza attrazione, fascino, disgusto e repulsione. 16 Il darija è il dialetto arabo utilizzato quasi esclusivamente all'orale in Marocco. 17 Il termine harqua designa il cerchio di spettatori che cinge il narratore e che partecipa attivamente e finanziariamente all'evoluzione della storia raccontata dal griot. Vedi Berriane, 1989. 18 I gnawas sono membri di una confraternita che pratica dei riti in cui cantano ed entrano in trance. Questi repertori sono reinterpretati, sulla piazza, in versioni sincretiche destinate ai turisti stranieri e marocchini. Possiamo paragonare questo fenomeno a quelli descritti da Picard (1992) o Coëffé (2007) a Bali e Hawaii. "La danza allestita nell'universo del turismo è irriducibile all'insieme del repertorio locale (...). Non si tratta per altro di un imbroglio dal momento che il tempo dell'esperienza turistica, corto per definizione, non permette ai turisti di detenere i codici più sofisticati che rendono possibile la lettura e soprattutto la comprensione delle sottigliezze “locali" (Coëffé e Violier, 2008, p.9). 19 Con questa autenticità alimentata dalla sua messa in scena, ci uniamo a Coëffé che presenta lo spazio del turismo come un "rifugio di incubazione" di forme di pratiche culturali nuove e sincretiche (2007, p. 93). n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 9 Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo Inoltre, sottoscriviamo la sua visione di un spazio turistico che assicura una certa protezione per delle pratiche che "sarebbero senz'altro in via di sparizione senza la loro riattivazione/riappropriazione" (2008, p. 9). 20 Si constata che un tempo "denigrate dal Protettorato e poi dalle élites locali, le medine sono oramai un luogo di reinvestimento e sono desiderate dagli Occidentali affascinati da questi scenari sconcertanti" (KurzacSouali, 2008, p. 65). L’Économiste, Édition N° 985 du 29/03/2001, « Les chasseurs de ryads s’activent à Marrakech » ; L’Économiste, Édition N° 997 du 16/04/2001, « Marrakech : ruée des investisseurs dans l’ancienne médina ». Su questo fenomeno e la sua analisi mediante il concetto di momento di luogo, vedere anche Équipe MIT, 2005. 21 Bennani-Chraïbi descrive bene proprio questo rapporto di mescolanza fra fascinazione e repulsione a proposito di giovani marocchini ed egiziani in contatto con popolazioni turistiche (Bennani Chraïbi, 2008). Anche Boyer insiste su questa ricerca dello spettacolo dei popoli «dei quali le usanze, i costumi, le pratiche sono oggetto allo stesso tempo di attrattiva e di repulsione». (2002, p. 400). 22 Secondo un griot che abbiamo incontrato, non rimarrebbe che un mezza dozzina di narratori che frequentano più o meno regolarmente la piazza, quando invece se ne potevano trovare ancora una ventina negli anni '70 che vi recitavano allora quotidianamente in mattinata ed in serata. 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Lavorando, nell'ambito di una tesi di sociologia, sull'industria della grande distribuzione ed il suo impatto sulle rappresentazioni e sull'immaginario delle culture in cui essa sia installata, attraverso l'esempio del fatto alimentare, le sue ricerche, condotte durante ventiquattro mesi in Marocco e già avviate in Francia e negli Stati Uniti, seguono una metodologia qualitativa e socio-antropologica. Il suo lavoro si fonda negli ambiti della sociologia economica, dell'alimentazione, dell'immaginario e delle rappresentazioni sociali. La sua tesi analizza le interazioni complesse che si creano tra distribuzioni mondializzate ed ambito locale sia sul piano economico che culturale, e questo l'ha portato ad interessarsi al turismo come elemento fondamentale del fenomeno di mondializzazione economica e culturale in Marocco. TRADUZIONE Bureau de Traduction de l'Université Université de Bretagne occidentale - Brest http://www.univ-brest.fr/btu/ n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici 13