n. 20 19 Maggio - Settimanale La Vita
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Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. 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Per i suoi notevoli contenuti, questa Nota dottrinale continua a essere citata e ricordata, in particolare per la presentazione dei principi non negoziabili, che da tempo costituiscono oggetto di discussione e di polemica all’interno della comunità cristiana. Un richiamo autorevole l’abbiamo ascoltato anche di recente, in occasione della Settimana Sociale dei cattolici della Toscana celebrata nella città di Pistoia. Pensiamo che per questo sia utile una rilettura del famoso documento, anche per evitare ricorsi tendenziosi e strumentali ai suoi contenuti. Dei testi ratzingheriani tutto si potrà dire, tranne che non siano chiari e chiarificatori nelle loro enunciazioni. Di principi non negoziabili fino allora non si era parlato. Il passo che dà inizio a questa problematica si trova al n. 4, nel contesto della condanna del pluralismo esasperato e del relativismo oggi imperante, specialmente nella cultura occidentale. Si tratta sostanzialmente di specificazioni del valore e del rispetto della persona umana, che costituisce da sempre il punto di riferimento centrale dell’intero pensiero della chiesa, comprendendo naturalmente anche la dottrina sociale. Alla resa dei conti, il principio non negoziabile è esattamente quello della persona, di tutto ciò che impedisce il suo sviluppo e la ferisce nei suoi elementi costitutivi ed essenziali. Tutto, senza eccezioni di sorta. “Poiché, dice il testo, la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica”. E allora si cominci pure dalla condanna dell’aborto, dell’eutanasia (da non confondersi con l’accanimento terapeutico), dalla difesa dell’embrione umano, dalla tutela della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità. Ma non ci si fermi qui. Perché, allo stesso modo va garantita ai genitori la libertà di educazione dei propri figli, riconosciuta tra l’altro dalle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani, va eliminata ogni forma di schiavitù (si pensi anche alla droga e allo sfruttamento della prostituzione), va assicurato il diritto alla libertà religiosa (e alla libertà in genere), va garantito lo sviluppo dell’economia al servizio della persona e del bene comune (non si dimentichi la condanna ripetuta del neo-liberismo, che non intende affatto morire, nemmeno dopo la grande crisi da esso provocata ai nostri giorni), va riconosciuto il rispetto della giustizia sociale e della solidarietà soffocata attualmente dall’imperante individualismo, va salvaguardata la pace nel rispetto della giustizia e nella pratica della carità, secondo il programma tracciato da Giovanni Paolo II. Non rimane fuori nulla: si va dall’aborto alla pace, passando attraverso una completa concezione della società rispettosa delle persone e degli enti intermedi che la compongono. Ora cosa succede normalmente? Che si scelgono alcuni di questi principi e si rifiutano gli altri. In nome di una precedente scelta politica, che così, rovesciando i termini, comanda alla fede e ai suoi imperativi categorici. La fede che da giudicante passa al rango di giudicata: per il vero credente un vero e proprio sovvertimento di valori. La destra e la sinistra nascono normalmente così. Prima si fa la propria scelta politica, poi da quella posizione data come stabile e irrimovibile, si scelgono gli elementi religiosi e morali con essa coerenti, gli altri si dimenticano e si mettono decisamente in disparte. Almeno si capisse che siamo fuori strada, da una parte e che il processo educativo è rimasto monco e incoerente, dall’altra. Si impone a tutti un supplemento di riflessione. Il discorso continua. La non negoziabilità dei principi ora ricordati va vista in rapporto alla concezione relativistica che nega ogni fondamento oggettivo della verità. È in questo senso che i principi non sono sottoposti alla discrezione dei singoli. Essi rimangono per sempre un’indicazione e un’imposizione per tutti. Ma l’impegno del politico va visto in un contesto diverso. Egli è chiamato alla realizzazione del principio nella misura che gli è consentita dalla mentalità e dalla cultura del proprio tempo, non perché rinuncia al principio, ma perché in questo momento non è possibile fare di più. La sua testimonianza per questo non rimane scalfita, anzi nello stesso momento egli si impegna a lavorare nella società perché quello che non è possibile ottenere oggi diventi possibile in un tempo futuro. Si tratta della famosa mediazione, che è stata molto criticata da parte di certi cattolici, ma che non sembra affatto misconosciuta nel nostro testo. Riprendendo infatti un’affermazione dell’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, il documento della Congregazione riconosce la possibilità che un parlamentare cattolico di fronte a una legge abortista, rimanendo fermo nelle sue convinzioni di fondo, possa “lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a limitarne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica”. Non è in effetti questa una vera e propria opera di mediazione? Giordano Frosini LA CRISI DEL LAVORO HA RADICI ETICHE Varare “riforme strutturali” che diano più “competitività” al nostro sistema produttivo, premiando il merito e operando “una sorta di grande riconciliazione tra mondo del lavoro e famiglia” PAGINA 4 VIOLENZA SULLE DONNE Un problema che si sta aggravando, giorno per giorno, provocando uccisioni e violenze giornaliere, in particolare da parte dei compagni di vita e degli amici occasionali PAGINA 14 SOMALIA: UN PAESE DIMENTICATO DOVE REGNANO FAME E GUERRA Attentati, raid e carestie l’unica realtà contro cui da anni si confronta la popolazione PAGINA 15 2 primo piano “R eligione all’italiana” è il titolo del libro-indagine di Franco Garelli – ospite a Pistoia nell’ambito dell’ultima Settimana teologica - su quella che definisce essere “la curiosa situazione religiosa dell’Italia contemporanea”. Sì, perché i risultati dell’analisi rivelano tratti molto particolari del rapporto che gli italiani hanno con la Chiesa, i sacramenti, il Papa e tutto ciò che rientra nella cornice della “religione”. Tratti che appaiono decisamente “particolari” se confrontati con quelli delle altre nazioni, ma che in realtà si armonizzano molto bene con i caratteri dell’improvvisazione, del pressapochismo, dello “speriamo che me la cavo”, tipici di noi italiani nei vari aspetti del vivere, dai livelli più quotidiani a quelli politicamente più elevati. Le domande su cui l’inchiesta del sociologo Garelli si incentra sono numerose: dalle immagini di Dio alla pratica della messa domenicale, dalla frequenza all’eucaristia alla preghiera individuale, dallo sposarsi in chiesa all’adesione ad associazioni cattoliche di volontariato, dal sentimento di vicinanza che ci accosta al parroco alle distanze che invece comunemente si sente nei confronti del vescovo. Qui, proviamo a seguire nel dettaglio i risultati della ricerca intorno alla fede sulle realtà ultime: inferno purgatorio, paradiso.“L’aldilà nebuloso” è il titolo del paragrafo, per segnalare immediatamente una certa vaghezza dei contorni della fede degli italiani sull’aldilà. L’aldilà nebuloso Subito i dati. Alla domanda “Che cosa crede vi sia dopo la morte?”, gli italiani, in percentuale, hanno espresso la seguente opinione: il 36, 3 % dei casi pensa che vi sia un’altra vita; il 22, 5% dei soggetti esprime la valutazione “oggettiva” di essere una tale domanda fuori dalla portata degli esseri umani, mentre il 21,4% si limita a dire,“soggettivamente”, di non saperlo; il 14,6% vede, invece, il “nulla”. Tra le fasce molto ridotte di coloro che hanno fornito un altro tipo di risposta si ritaglia una menzione il 3,5% degli interpellati che hanno dichiarato di credere in una reincarnazione in un’altra persona o essere vivente. Un dato, quest’ultimo, che nello spettro delle percentuali può sembrare rilevante, ma solo perché siamo in Italia, essendo in assoluto una quota molto piccola se confrontata con i dati di altre parti del mondo. Anche quando il campione si concentra sulla fetta di coloro che si dichiarano “credenti” non mancano alcune caratteristiche peculiari. Solo il 70,7% dei cristiani che si dichiarano “convinti ed attivi” ritiene di potersi dire “certo” dell’esistenza di una vita ultraterrena. Il dato cala al 44, 2% per i cristiani che si auto-definiscono “convinti, ma non sempre attivi” e perfino al 30,1% per quelli che si ritengono “selettivi”. Soltanto il 18,2% tra i cattolici che si definiscono tali “per tradizione ed educazione” aderiscono alla credenza di una vita ultraterrena. Lo studioso trae la conclusione che da questi dati, “contrariamente a ciò che pensano molti uomini di chiesa, la verità sulle questioni ultime non sono del tutto cadute nell’oblio n. 20 19 Maggio 2013 RELIGIONE ALL’ITALIANA Vita La L’aldilà in discussione Una recente indagine del sociologo Franco Garelli, pubblicata nel libro Religione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo, fa il punto sulla condizione religiosa degli italiani. Estraiamo dal testo la parte relativa alle forme di fede nell’aldilà di Andrea Vaccaro nella nostra cultura”. Esse possono risultare “allentate” o rappresentate in modo non del tutto ortodosso, tuttavia la loro persistenza rivela che gli italiani preferiscono affidarsi, dinanzi a tali domande, al repertorio di idee e di immagini offerte tradizionalmente dall’educazione religiosa, piuttosto che brancolare nell’incertezza o cercare di trovare spiegazioni “in proprio”. Salvarsi da soli o con la Chiesa? Rientra nell’ambito della ricerca sulla credenza degli italiani nell’aldilà la questione di chi possa ottenere la salvezza, ovvero se il paradiso sia una prerogativa esclusiva di coloro che osservano diligentemente i dettami della chiesa oppure vi sia possibilità di salvezza per tutti gli “uomini di buona volontà”, a prescindere dalla loro adesione alla fede, ai dogmi, ai sacramenti della religione cristiana. Unitamente a tale questione sta poi la domanda sul legame che si presume possa esserci tra la condotta tenuta nel corso della nostra vita terrena e il destino eterno dell’essere umano, ovvero se vi siano diverse forme di vita ultraterrena (di beatitudine o di sofferenza) e se queste dipendano dal comportamento tenuto in questo mondo. Garelli ricorda che, da un punto di vista teologico, il principio della “extra ecclesiam, nulla salus”, insegnato dalla chiesa nelle epoche passate, si è nel corso del tempo decisamente ammorbidito e che l’attuale dottrina della chiesa insegna che “possono essere salvati quanti cercano con sincerità Dio”, anche nel caso in cui non abbiano conosciuto Cristo o non partecipano alla vita sacramentaria della chiesa. Se questo è l’insegnamento “ufficiale” della teologia, tuttavia, non è detto che gli italiani cattolici aderiscano ad esso diligentemente, come accade in molte altre sfere della religiosità. Abbastanza in linea con quanto appena esposto, tuttavia, i 2/3 degli italiani dichiarano di credere che la salvezza non sia prerogativa esclusiva dei cristiani, in quanto “tutti possono salvarsi”. Solo il 13% dichiara, invece, di credere che solo i “cristiani autentici” potranno godere delle gioie del paradiso. Tutto sommato, risulta di gran lunga prevalente l’idea che tutti possano ottenere la salvezza tramite una condotta di vita onesta e responsabile e che, in questo caso, non vi siano steccati tra credenti e non-credenti, appartenenti a questa o a quella fede religiosa. Sulla seconda questione, ovvero sul rapporto “condotta di vita-stato di vita ultraterrena”, le opinione risultano assai diversificate. La maggioranza relativa degli italiani, per l’esattezza il 44,6%, crede che la qualità della vita terrena comporti delle conseguenze sulle condizioni dell’altra vita, mentre il 32,5% non vede la possibilità di tale connessione. I dati in questioni raccolgono poco meno dell’80% della popolazione, poiché circa 1/5 della popolazione si è tratta d’impaccio dalla domanda dichiarando di non credere in una vita ultraterrena. Conclusione parziale Considerato l’insieme dei dati, risulta, dunque, più diffusa la convinzione che tutti gli esseri umani possano ottenere la salvezza indipendentemente dalla religione di appartenenza rispetto all’idea che essa possa essere guadagnata tramite un impegno morale nella vita terrena. Questo esito conduce Garelli a concludere che “si sta stemperando anche l’idea -poco ecumenica- che il deposito della verità religiosa spetti soltanto a una confessione religiosa, mentre tutte le altre sarebbero portatrici di verità anche importanti, ma non decisive”.Anche questa considerazione, tuttavia, è resa nebulosa dal confronto incrociato con altre domande. Alla domanda circa la possibilità che la religione “vera” sia soltanto una oppure sia, per così dire, “plurima”, il 44,7% degli interpellati risponde optando per la prima ipotesi, mentre il 44,1% dichiara invece di credere che, in fondo, tutte le religioni contengono delle verità spirituali di pari dignità. Il restante 11,2% nega che le religioni siano portatrici di verità morali o spirituali. La grande maggioranza degli italiani dimostra, dunque, una sensibilità religiosa viva e un rispetto verso il “depositum fidei”. L’idea che le religioni siano portatrici di verità è, però, in qualche misura offuscata dall’incertezza circa l’esclusività di una determinata religione e della sua superiorità rispetto alle altre. Questo dato è riscontrato anche dalla “libertà” che la maggior parte degli italiani dichiara circa la professione di una particolare confessione religiosa e la loro preferenza nei confronti di uno stile di vita corretta piuttosto che in una precisa pratica religiosa. “In questo quadro, dunque, i concetti di verità e di salvezza religiosa non sono scomparsi dall’orizzonte di senso di molte persone; tuttavia si guarda ad essi in termini assai più aperti e pluralistici che nel passato, quando prevalevano su questi temi concezioni esclusive e tradizionali che confinavano sia la verità che la salvezza religiosa nella professione prevalente nel proprio ambiente sociale e storico”. Gruppi sociali e forme di adesione alla fede La variazione più significativa nelle risposte emerge a livello di genere, nel senso che è confermato, anche da rilevazioni statistiche a livello internazionale, il maggior impegno religioso delle donne rispetto a quello degli uomini. Nel mondo femminile, risulta che il 55,3% delle donne dichiara di credere in Dio, a fronte di un 36,3% dichiarato dagli uomini. Scendendo nel dettaglio dell’indagine, il dato è confermato: l’82,5% delle donne crede nella figura di un “Dio paterno ed amorevole”, a confronto del 68,3% degli uomini; e il 71,5% delle donne ritiene che ogni essere umano abbia un’anima immortale, a fronte del 55,9% del sesso maschile. Una seconda significativa variazione avviene nell’ambito delle generazioni. Le differenze esistono dunque non solo tra uomini e donne, ma anche tra giovani ed anziani. La quota dei soggetti che dichiara di credere aumenta notevolmente con l’aumentare dell’età. Dichiara, infatti, di credere in Dio solo 1/3 dei giovani contro il circa 2/3 delle persone che hanno più di sessantacinque anni. Si dichiarano, corrispondentemente, atei il 22,4% dei giovani e neanche il 9% degli anziani. Anche su domande religiose di altro tipo, viene segnalata una distanza anche di 25-30 punti percentuali tra le due generazioni. Il punto di maggior distanza, tra tutte le domande, è la credenza che “la chiesa sia assistita dallo Spirito Santo”, che trova una grandissima resistenza presso le giovani generazioni. La terza variazione rilevante -dopo quelle tra uomini e donne e tra giovani e meno giovani- è stata riscontrata nel confronto tra soggetti con tipi di istruzione diversa, con un’adesione largamente più ampia alla religione presso i gruppi con livelli formativi più bassi rispetto a quelli maggiormente scolarizzati. Proprio i laureati costituiscono il gruppo che esprime maggior difficoltà ad aderire ad alcune delle immagini tradizionali che la storia del cristianesimo ha proposto sulla persona di Dio e sulle raffigurazioni dell’aldilà. La variazione più notevole La variazione più marcata in Italia, in relazione alla fede religiosa, si riscontra però dal punto di vista geografico, risultando, di fatto, la penisola spaccata in due o tre macroaree. Il Mezzogiorno e le Isole costituiscono ancora le roccaforti della religione italiana, con una maggioranza di credenti che si colloca al 58, 1%. La fede di questa maggioranza è definita “certa e indubitabile”. Il Centro Italia rappresenta, invece, la zona religiosamente più incerta, con picchi in basso del solo 37%. In una posizione di mezzo, seppur più vicina ai dati del Centro rispetto a quelli del Sud, si colloca la rilevazione del Nord Italia. La variazione si fa ancora più notevole quando si passano ad analizzare le immagini tradizionali della fede popolare. Al Sud prevale una cultura religiosa più in linea con l’ortodossia cristiana; un’immagine largamente più secolarizzata prevale nelle altre zone. Vita La 19 Maggio 2013 3 n. 20 LEGGERE E PENSARE Sognavano Francesco e... Carlo afferrare come può afferrare un povero la rivelazione del vero amore”. L’uso distorto della cultura è uno dei punti su cui torna più spesso il Poverello. I nuovi frati, quelli che dovrebbero seguire il suo esempio, non fanno che dire “Occorrono libri, molti libri. I frati debbono essere colti. Non basta leggere il Vangelo!”, mentre il loro padre spirituale viene assalito dai dubbi: “Il vedere i frati diventare sapienti della sapienza del mondo mi era insopportabile e mi consumavo dentro”. Anche quando affronta il problema delle prime divisioni dell’ordine, il Francesco di Carretto mostra di La storia del Santo di Assisi per la penna di Carretto (1980) di Marco Testi “S ono un sognatore. Sono Francesco d’Assisi”. È il modo di presentarsi, quando ormai la sua storia volge al termine, del Poverello secondo Carlo Carretto. A più di trent’anni di distanza “io, Francesco” (si noti la non casuale i minuscola del titolo), edito nel 1980 da Cittadella Editrice di Assisi eD Edizioni Messaggero di Padova (181 pagine, con una appendice di preghiere francescane) del “profeta di Spello” acquista una nuova vitalità. Non solo per la scelta del cardinal Bergoglio di chiamarsi Papa Francesco, primo nella storia della Chiesa, ma perché questa sorta d’ideale “autobiografia” del Santo assisiate cela un’impressionante attualità. Per esempio il riferimento a Romero (“Che sublime esempio ha dato quest’uomo disarmato, che parole non ha detto contro i prepotenti che massacrano il suo popolo!”) che anticipa di trent’anni la volontà del Pontefice di accelerare la causa di beatificazione dell’arcivescovo ucciso nel 1980. Per esempio - e questo dovrebbe servire ad allontanare da Carretto i vecchi sospetti di eccessivo uso ideologico del Vangelo - gli attacchi all’iper-liberismo economico che sono tutt’uno con quelli portati ai totalitarismi “socialisti”. Se il poverello, guardando agli anni Ottanta del Novecento, afferma che “il capitalismo, il liberalismo (ma probabilmente voleva significare il liberismo esasperato) che ha fatto del denaro la molla del Carlo Carretto suo agire, muore nei suoi disastri e nelle sue vergogne”, ne ha anche per il marxismo,“che non ha capito quasi niente dell’uomo. Lo ha violentato e ha costruito sistemi altrettanto tristi e noiosi. Non c’è molta gioia a percorrere una città socialista!”. Questo tributo a Francesco non ha però una dimensione esclusivamente “politica” in senso lato e sociale, anzi: affronta i grandi problemi dell’uomo, che nascono dalla società, e questo è un altro importante messaggio del libro, ma possono essere affrontati e risolti dalla volontà e dall’amore del singolo. Il Francesco che parla qui rovescia i parametri materialistici e deterministici del marxismo, e questa è un’altra prova dell’indipendenza del pensiero di Carretto: l’uomo, con il suo esempio, la sua tempra, la sua capacità di andare controcorrente, può ribaltare quello che la società ha costruito nel corso dei secoli. La prova ne è Francesco di Bernardone, che in un momento in cui sembravano contare solo il denaro e il possesso, osò sfidare quella visione del mondo. Non lo fece predicando o rimproverando, ma con l’esempio radicale, dando un altro ammaestramento che potrà sembrare, alla fine del Novecento iper-critico e intellettualistico, ingenuo e inattuale. L’attacco di Francesco-Carretto è anche contro un altro vezzo di quella sinistra alla cui schiera l’autore veniva allora ascritto, il razionalismo spocchioso ed esclusivista, di una certa intellighenzia: “Siete troppo razionalisti voi moderni ed è anche questo uno dei motivi della vostra tristezza. (...) I troppo intelligenti mi facevano paura. Sentivo che la complessa realtà dell’universo doveva essere affrontata con umorismo”. Nonostante i digiuni, le penitenze, i lunghi viaggi a piedi, la cecità, i dispiaceri delle diaspore del suo gregge appena nato, il sorriso rimane uno dei punti fermi di FrancescoCarlo. Non è però un sorriso che nasce da un momento particolare. Scaturisce da più lontano, dalla comunione con il Creato, dall’aver capito che Dio ci sta già stringendo in un abbraccio di perdono e di gioia: “Al di là di me, per puro dono di Lui, ero entrato a vivere il vero mistero che domina l’universo invisibile, ad La paura della miseria Dalla prefazione dell’ultimo numero della rivista pistoiese i “Quaderni di Farestoria” di Roberto Barontini […] L’evento che più mi ha colpito in questi ultimissimi giorni è il fatto che, a Civitanova Marche, un intera famiglia si sia suicidata, avvolta dal dramma insopportabile della povertà e della solitudine. Non era mai avvenuto un evento di questa portata. Nella storia suicidi di coppia esistono:Von Kleist e la sua donna che si uccisero per paura della malattia, Stephan Zweig e sua moglie si presero per mano e si suicidarono per l’insopportabile tormento dell’avvento del nazismo e del razzismo nel mondo sconvolto senza pace e senza amore. Mai però avevamo visto un suicidio che rappresenta l’epifenomeno e la conseguenza di un agghiacciante crisi economica e sociale che avvolge l’umanità e soprattutto la parte più povera e impotente dell’umanità stessa. Attenzione però, qui non si tratta soltanto della paura della povertà, ma si tratta purtroppo della paura della miseria. Edgar Morin ha scritto: «La povertà deve essere distinta dalla miseria. Certo, povertà e miseria sono due poli di una realtà senza frontiere distante tra loro. Nella società tradizionale i poveri dispongono di un sistema minimo di assistenza; nelle società del Nord, dispongono spesso, e per ora, di un assistenza sociale. La miseria, al nord come al sud, è precarietà, marginalità, esclusione». Forse l’immagine della miseria, della profonda miseria che più coinvolge e angoscia, è quella riportata da Charles Baudelaire in una sua poesia: «[…] Penso alla negra smagrita e tisica, scalpicciante nel fango, in atto di cercare, con suo occhio sconvolto, gli alberi di cocco assenti della sua superba Africa dietro il muro immenso della nebbia; penso a chi ha perduto quel che non si ritrova mai più, a coloro che si saziano di lacrime, succhiando il Dolore come una buona lupa ai magri orfanelli appassitisi come fiori! […] E penso ai marinai dimenticati su un isola, ai prigionieri, ai vinti... e a molti altri ancora!» non gradire l’ideologia in quanto tale, rimproverando gli estremisti “eccentrici”, “senza equilibrio” che facevano “penitenze disumane”. Per questo il Santo appare amareggiato fino all’immersione nella notte che attende le anime alla ricerca di Dio, che ha fine con le stimmate della Verna e con il ritorno alla casa del Padre. Il Santo si spegne nella sua Assisi, attorniato dai suoi figli spirituali, e la narrazione di questo passaggio è una delle pagine più belle del libro: “Transitai per la porta e mi parve sentire un coro. Forse erano gli angeli di quella chiesina di S. Maria degli Angeli, la mia prediletta di sempre”. “Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” Un libro di Carmine Fiorillo e Luca Grecchi di Leonardo Soldati Un’opera sulla progettualità teorica del comunismo vista la grave condizione di sofferenza materiale e spirituale prodotta dal modo di produzione capitalistico, dal titolo “Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”, di Carmine Fiorillo e Luca Grecchi per le edizioni dell’associazione culturale Petite Plaisance. Tale progettualità avvertono gli autori, per essere buona necessita di un fondamento filosofico, ossia di una buona conoscenza della natura umana. In assenza di questo fondamento «”il comunismo” si trasforma in mera istanza oppositiva, smarrendo le proprie profonde radici culturali, orientali, greche, cristiane, medievali, non solo moderne. Solo recuperando una solida fondazione filosofica, nonché la consapevolezza della propria costante presenza nella storia umana, il “comunismo” potrà tornare ad essere pensato nella maniera corretta, ovvero come un modo di produzione sociale ideale in cui vivere, in quanto conforme alla natura comunitaria dell’uomo». Il libro è dunque un invito a confrontarsi in conformità a buoni progetti, razionali e morali, e di ampio respiro. «Anche progettandolo –afferma Carmine Fiorillo- possiamo offrire ai nostri figli e agli uomini che verranno un mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Pur se non riusciremo a veder compiutamente realizzato ciò che abbiamo progettato e tentato di realizzare ne avremo comunque vissuto e respirato l’essenza. È proprio questo respiro il lascito più importante, spirito comune a tutti gli uomini, insostituibile viatico sia per chi ha concluso il proprio viaggio sia per chi è e sarà ancora per la via». Nell’introduzione al volume due celebri ed indicative citazioni, di Aristotele da “Politica”VII, 1, 1323 a, 1-4: “Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla Costituzione migliore, deve precisare dapprima quale è il modo di vita più desiderabile. Se questo rimane sconosciuto, di necessità rimane sconosciuta anche la Costituzione migliore»; e di Karl Marx da “Il Capitale”: «Quello che fin dall’inizio distingue il peggiore architetto dalla migliore delle api è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di averla costruita nella cera (…) Egli non opera soltanto un mutamento di forma dell’elemento naturale; egli contemporaneamente realizza in questo il proprio fine, di cui ha coscienza». INFO E CONTATTI: editrice Petite Plaisance: via di Valdibrana 311 Pistoia, tel. 0573/480013, e-mail: [email protected]; sito www.petiteplaisance.it Poeti Contemporanei Un gioco molto speciale Giocava con l’argilla una mattina e faceva pupazzi il piccolo Gesù. E testa e piedi e mani e tutto il resto ad ogni pupazzo metteva al posto giusto. La vita diede infine a tutti insieme. Ed ecco uno stuolo di bambini insieme a Lui si misero a giocare. Venne la sera. Ma nel far la conta uno dei bimbi gli mancò all’appello. Era caduto e si era fatto male; si era ferito, ma senza aver dolore, giusto per questo non aveva chiamato. Presto fu poi tutto chiarito: del dolore il congegno, la mattina, il piccolo Gesù s’era scordato, quando quel bimbo era ancor d’argilla. Giovanni Sguazzoni 4 attualità ecclesiale È “umanizzare” la parola-chiave del Rapporto Cei. Dare fiducia e spazio ai giovani e puntare di più sull’occupazione femminile di M. Michela Nicolais V arare “riforme strutturali” che diano più “competitività” al nostro sistema produttivo, premiando il merito e operando “una sorta di grande riconciliazione tra mondo del lavoro e famiglia”, e puntare di più sui giovani e sulle donne. Sono due delle proposte concrete “per il lavoro”, contenute nel rapporto-proposta sulla situazione italiana elaborato dal Comitato della Cei per il progetto culturale. A presentarlo, a Roma, sono stati il cardinal Ruini, il sociologo Sergio Belardinelli, il presidente del Censis Giuseppe De Rita e Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’Università di Modena-Reggio Emilia. Per un lavoro degno dell’uomo “Rivoluzionare il modello” del lavoro “grazie al supporto di un pensiero nuovo, fermamente convinti che il lavoro è decisivo per la definizione dell’umano”. A proporlo è il cardinal Angelo Bagnasco, nel testo letto da monsignor Crociata. “È necessario creare un contesto sociale ed economico nel quale si dia vita ad un lavoro dignitoso”, afferma il presidente della Cei citando Benedetto XVI ed esortando a “sviluppare ogni sforzo affinché siano eliminate, oltre alle numerose sacche di non lavoro, le condizioni lavorative non degne della persona, ogni forma d’asserimento dell’uomo al capitale e tutte le situazioni di sfruttamento”, o peggio di “schiavitù”, di cui sono “vittime” troppe persone nel mondo, come ha denunciato Papa Francesco durante l’udienza generale del 1° maggio. “La soluzione dei problemi legati al lavoro necessita di un profondo rinnovamento strutturale, che ponga l’uomo al centro del processo di sviluppo”, è la tesi del cardinale, secondo il quale “la crisi impone di superare innumerevoli ostacoli e di liberarsi da pesanti zavorre, che impediscono di offrire risposte adeguate e di generare speranza. La disoccupazione, che ha raggiunto ormai livelli patologici soprattutto per le fasce giovanili, così come il sempre più diffuso precariato, hanno enormi riflessi sulla vita delle persone, collocandole in un alveo di insicurezza e instabilità che minano la progettualità sul proprio futuro”. La crisi del lavoro, insomma, come “crisi profonda a livello etico, ancor prima che a livello economico”. Un triplo appello “Armonizzare il più possibile” le due dimensioni, “soggettiva e oggettiva”, del lavoro, che invece “tendono sempre di più a divaricarsi e contrapporsi”. È l’invito del cardinale Camillo Ruini, che ha rivolto un appello ai “tanti giovani che non hanno ancora un lavoro, o che ne hanno uno insoddisfacente: accettare il più possibile le occasioni e condizioni di lavoro che effettivamente si pre- La crisi del lavoro ha radici etiche sentano, non però per accontentarsi di esse e fermarsi ad esse, bensì per migliorarle e superarle, creando così effettive possibilità di scelta e un reale - e non solo immaginario - spazio di espressione della propria soggettività”. A livello di politiche del lavoro, l’appello è a “liberare il mercato del lavoro da norme e regolamentazioni ormai obsolete e controproducenti, non però per lasciarsi guidare da una pura e astratta logica di mercato”, ma per “assumere come criterio e punto di riferimento delle normative l’interesse comune”. Tutto ciò, “non per eliminare la logica della competizione, ma per mettere in chiaro che questa logica non può che essere subalterna, rispetto alla necessità e all’urgenza di affrontare insieme una situazione economica e sociale molto grave e difficile per l’intero Paese”, che richiede a sua volta “un forte appello anche al mondo della politica, come a tutto il O ltre 800 superiore generali da 75 Paesi diversi, in rappresentanza di circa 700mila religiose di tutto il mondo. È un universo di fede in cammino quello giunto a Roma per la XIX assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) che, dal 3 al 7 maggio, si è riunito per discutere insieme del “servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Diverse nel carisma e nella cultura, le suore dell’Uisg sono accomunate da un’identità che affonda le radici nella sequela di Cristo nella vita religiosa apostolica. Ed è proprio l’organizzazione della vita comunitaria che sarà al centro dei lavori, con un’attenzione particolare all’esercizio dell’autorità. Abbiamo parlato con suor Josune Arregui, carmelitana della Carità di Vedruna, segretaria esecutiva dell’Uisg. “Il servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Perché questo tema? “Perché coinvolge direttamente i membri dell’Uisg: sono tutte superiore generali delle rispettive Congregazioni religiose apostoliche femminili. E poi perché si tratta di un tema chiave del rinnovamento post-conciliare che l’Uisg cerca di promuovere. La vita religiosa, così come accade più in generale per tutta la Chiesa, ha la tendenza ad adattarsi alla realtà sociale entro cui è inserita, e spesso nel mondo vediamo la brama del potere in chi esercita l’autorità e assistiamo a lotte per il controllo della leadership. A tutti piace parlare di democrazia - intesa come potere esercitato dal popolo - ma molti sono gli esempi di potere assoluto, a volte addirittura oppressivo. Dal Vangelo, invece, si alza una denuncia che ancora oggi ha una grande attualità: ‘Non sia così tra voi!’”. Come è stato recepito il Vita La n. 20 19 Maggio 2013 nostro sistema-paese”. Un doppio “sì” alle loro aspirazioni, ai loro talenti e bisogni”. È questa la ricetta su cui sta puntando l’Europa, e che comporta anzitutto due vantaggi: il reddito delle famiglia aumenta, e nello stesso tempo l’occupazione femminile crea altro lavoro, oltre a contribuire a “tessere” una rete di relazioni. Un doppio sì”: questo può diventare l’impegno femminile nel lavoro e nella famiglia, un processo cioè di “costruzione dell’identità, in grado di superare la dicotomia in ambiti differenti”. Rivalutare il lavoro intellettuale Il capitolo giovani, centrale nella questione del lavoro, “introduce anche l’importanza della loro formazione, sollevando l’urgenza di rilanciare in Italia il ruolo fondamentale del lavoro intellettuale”. È uno degli spunti più originali del Rapporto.“Insegnanti demotivati e mal pagati - la denuncia - sono un danno che oggi nessuna società può permettersi. Meno che mai ci si può permettere di trascurare il lavoro di coloro che dedicano la propria vita allo studio e alla ricerca. La crescita e il progresso di una comunità dipendono in gran parte proprio da questo tipo di lavoro intellettuale, che purtroppo viene spesso trascurato”. Troppe donne a casa e troppe culle vuote: è la fotografia del lavoro “rosa” in Italia, che registra oggi un tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa e un tasso di natalità tra i più bassi del mondo. Le donne, oggi, “non vogliono più essere costrette a scegliere tra famiglia e lavoro”, è uno dei dati del Rapporto, in cui il tema del lavoro femminile è considerato “cruciale” per la società. “Far ripartire l’Italia richiede di poter dare più spazio alle donne, LE SUPERIORE GENERAli Donne protagoniste A Roma, dal 3 al 7 maggio, la XIX assemblea plenaria sul tema conciliare “servizio dell’autorità secondo il Vangelo”. Suor Josune Arregui, segretaria esecutiva dell’Uisg: “Il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come deve cambiare nella società” di Riccardo Benotti Concilio dalla vita religiosa in questi 50 anni? “Il Vaticano II, partendo dal concetto di dignità umana, ha introdotto e incoraggiato atteggiamenti come il dialogo, la partecipazione, il discernimento. Tutti elementi che in questo mezzo secolo sono stati incorporati nelle Costituzioni e in particolare nello stile di esercizio della leadership delle Congregazioni religiose. Ma è un tema che non può essere trascurato perché, come possiamo constatare, persistono modelli verticali, a volte giustificati da una tendenza al maternalismo o da altre ragioni. La corresponsabilità che nasce dalla sequela di Cristo resta tutt’oggi una sfida”. Dunque il cammino è verso forme di autorità non verticali all’interno della Chiesa… “È l’esempio che ci viene proposto dal Vangelo. Gesù dice: ‘Chi vuol essere il primo sia il servo di tutti’ e ‘Non chiamate nessuno di voi padre né maestro, perché uno solo è il vostro Maestro’. La testimonianza che Gesù ci offre attraverso il gesto della lavanda dei piedi e molto più di un semplice ‘rito’, è parte dell’utopia evangelica a cui non possiamo rinunciare. Siamo convinte che se la vita religiosa sarà capace di testimoniare questo stile fraterno di leadership, potrà essere profezia nella Chiesa e per il mondo”. Qual è oggi il ruolo delle donne consacrate? “Il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come deve cambiare nella società. Nel momento in cui le donne prendono consapevolezza della loro ‘pari’ dignità e dispongono di una preparazione uguale - a volte addirittura superiore - a quella maschile, è chiaro che devono essere chiamate a ruoli di maggiore responsabilità. Nella realtà sociale siamo a volte scandalizzati dal fatto che le donne, in alcune culture, vengono ancora schiacciate e asservite agli uomini. Talvolta l’idea di servitù e sottomissione delle donne appartiene anche alla vita consacrata e, in questo senso, la Chiesa deve fare dei passi avanti. I 50 anni di rinnovamento postconciliare nella linea della corresponsabilità hanno dato seguito ad uno stile di vita religiosa femminile che non a tutti piace. Alcuni preferirebbero un atteggiamento più assoggettato e disponibile. Questo crea conflitti. Ma è stato proprio in obbedienza alla Chiesa che tale processo è stato posto in atto ed oggi risulta irreversibile”. Una donna protagonista anche nella Chiesa… “Come discepole alla sequela di Gesù abbiamo annunciato il Vangelo a tutti, essendo ‘memoria di Gesù’ attraverso il nostro stile di vita. Questa è la missione specifica della vita religiosa. Inoltre, come donne, credo che siamo chiamate a essere presenza viva della misericordia di Dio, con quelle caratteristiche umanizzanti che ci sono proprie e che rendono visibile il volto materno dalla Chiesa all’interno della quale, insieme ad altri laici cristiani, abbiamo il dovere di chiedere una maggiore partecipazione nelle strutture educative ecclesiali, parrocchiali e di governo. Dobbiamo superare il volto maschile della Chiesa che spinge alcune donne ad allontanarsi da essa”. C’è un “rischio estinzione” delle religiose? “Assolutamente no. Finché ci saranno credenti in Gesù ci saranno anche persone chiamate alla sequela, chiamate a seguirLo in comunità, a vivere come Lui il celibato, la comunione dei beni e l’obbedienza apostolica. Un dato però è certo: il numero dei religiosi sta diminuendo fortemente in Occidente, mentre cresce nelle Chiese più giovani dell’Asia e dell’Africa. In ogni caso la vita religiosa è chiamata ad essere lievito e per far questo non sono necessari i grandi numeri. Quali sono le attese per il pontificato di Papa Francesco? “L’inizio di questo pontificato ci porta a sperare in una Chiesa rinnovata ed evangelizzatrice, significativa per il mondo di oggi. Ci dà speranza anche il suo essere ‘gesuita’: è un riconoscimento ecclesiale importante dato che alcuni considerano ormai superate le Congregazioni tradizionali. Che abbia scelto il nome di Francesco ci incoraggia poi ad essere ciò che siamo, a non perdere la radicalità evangelica e a seguire questo nuovo stile che sta inaugurando con i suoi gesti e con le sue parole, rafforzando la nostra vicinanza e la nostra presenza tra i poveri”. Vita La 19 Maggio 2013 In 40mila, per le vie di Roma, per “difendere i diritti di chi non ha voce” di Nike Giurlani “A vanti popolo della vita”. Questo il coro che domenica 12 maggio ha animato i partecipanti della terza edizione della Marcia per la vita. In quarantamila hanno sfilato dal Colosseo fino a Castel Sant’Angelo, per poi portare il loro saluto al Papa. Associazioni cattoliche e non, famiglie e giovani provenienti da tutte le parti d’Italia, e del mondo, hanno marciato per le vie di Roma per “difendere i diritti di chi non ha voce”.“La nostra marcia -ha dichiarato la portavoce Virginia Coda Nunzianteè quella di un popolo che vuole infondere nuova vita in una società che si decompone e muore”. “La legge 194, a favore dell’aborto, approvata in Italia 35 anni fa, ha causato la morte di quasi 6 milioni di bambini -ha continuato-, oggi noi siamo qui anche per loro, affinché venga perseguita dai governi di tutta Europa una scelta di civiltà”. n. 20 attualità ecclesiale MARCIA PER LA VITA Tante voci dal mondo per fermare l’aborto In molti, infatti, hanno posto l’accento sull’importanza di “educare alla vita” e di “spiegarlo alle nuove generazioni”. Una missione portata avanti anche da padre Marcel Guarnizo, sia in America sia in Europa, il quale ha incitato i presenti a “resistere” e a “impegnarsi in prima persona per ottenere la chiusura delle cliniche abortiste nelle proprie città”. “In Belgio, ogni anno, 1 bambino su 6 viene ucciso a causa delle leggi liberticide, questo è inaccettabile e dobbiamo lottare insieme per costruire una nuova Europa”, ha sottolineato Paul Forget, di “Génération pour le Vie”. “La lotta contro l’aborto è una lotta mondiale - ha incalzato il portavoce dell’associazione spagnola ‘Derecho a Vivir’ - e deve vederci tutti coinvolti”. Lottare insieme oltre i confini Un “popolo” quello che è sceso in piazza che non ha confini, ma che condivide lo stesso obiettivo: “Affermare la sacralità della vita umana e, perciò, la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso”. A sostenere questo messaggio c’era anche Jeanne Monahan, neopresidente della “March for Life” di Washington. Quarant’anni fa, infatti, in concomitanza con l’approvazione della legge americana a sostegno dell’aborto, proprio a Washington si tenne la prima marcia a sostegno della vita. “In pochi credevano che il nostro grido sarebbe stato recepito dall’opinione pubblica, i difensori dell’aborto sostenevano che dopo poco tempo la Marcia avrebbe perso entusiasmo e partecipazione, invece, non solo il numero, ma anche l’interesse è fortemente cresciuto negli anni, coinvolgendo sempre più giovani, che sono diventati i nostri principali sostenitori”. Non a caso è proprio N ella solenne teofania della Pentecoste, con la drammatica discesa dello Spirito Santo, il meraviglioso intervento con cui Dio ha redento l’uomo trova il suo perfetto compimento. Il fatto avviene «nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui […] il numero delle persone radunate era di circa centoventi […]. Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo». (At 1, 12-14; 2, 1-4). Proprio da questo giorno, la Chiesa, adesso compiutamente costituita, inizia il suo cammino nello spazio e nel tempo, forte della presenza della SS. Trinità. Lo assicura la promessa di Gesù (lettura evangelica, Gv 14, 15-16): «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Da notare che in questo testo Gesù presenta l’ “altro Paràclito”, come una nuova e perpetua presenza che così viene così 5 Il futuro dell’Europa una giovane ragazza americana, classe 1988, Lila Rose, la principale nemica di Planned Parenthood, il più grande ente abortista del mondo. Presente anche lei all’evento ha voluto raccontare le attività promosse con il suo gruppo “Live Action”.“È importante educare l’opinione pubblica sulla cruenta pratica dell’aborto - ha dichiarato - e nel far questo è fondamentale diffondere le immagini che testimoniano cosa accade all’interno delle cliniche abortiste”. Educare alla vita Raccontare cosa si cela dietro la parola “aborto” è l’obiettivo anche di Irene van der Wende, attivista olandese che, dopo aver subito una violenza carnale, rimase incinta e decise d’interrompere la gravidanza. Pentitasi di questo gesto, da allora partecipa a numerose iniziative pro-life per portare la sua testimonianza, ma anche “per diffondere le immagini tangibili di cosa significa uccidere un bambino”. La Parola e le parole Domenica di Pentecoste - Anno C At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16. 23-26 avvertita dagli Atti degli Apostoli: «La Chiesa […] con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero» (At 9,31). «Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati» (At 13,2). Gli Apostoli ne sono tanto consapevoli da dichiarare, a conclusione del concilio di Gerusalemme: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). Tuttavia oggi potrebbe ripetersi ciò che accadde ad Efeso all’apostolo Paolo che, avendo chiesto ad alcuni cristiani: “Avete ricevuto lo Spirito Santo, quando siete venuti alla fede?”, si sentì rispondere: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo!” (At 19,2). “I predicatori parlano della Madonna e dei Santi, ma dello Spirito Santo tacciono!”, scriveva nel 1895 a Leone XIII una suora, Elena Guerra, beatificata nel 1961. Nel secolo scorso alcuni teologi parla¬vano dello Spirito Santo come del “grande sconosciuto” o, addirittura, del “parente povero” della SS. Trinità (M.H. Lavocat, L’Esprit de Vérité et d’Amour, 1968). Una curiosità: con la riforma liturgica del 1964, la Pentecoste, che precedentemente aveva la stessa dignità della Pasqua (doppio di prima classe con ottava privilegiata di primo ordine), superiore a quella del Natale (doppio di prima classe con ottava privilegia- ta, ma di terzo ordine), fu privata dell’ottava e perciò retrocessa al terzo posto, ma nel calendario civile di Germania e Francia essa ha conservato la sua posizione, tanto che il lunedì di Pentecoste è rimasto festivo al pari di quello di Pasqua! È vero che oggi si parla molto di più dello Spirito Santo ma, forse, non ancora abbastanza. Un noto sacerdote cantautore, Don Giuseppe “Giosy” Cento, così si sfoga: «Quando penso a questa “quasi sconosciuta” persona divina che, senza ricevere applausi, guida i cuori e la Chiesa, illumina e riscalda, mi sento commuovere». Si insegna che Gesù è presente in mezzo a noi nell’Eucarestia, nella persona del Papa, nei poveri, ma forse si dovrebbe insistere di più sulla sua presenza in noi anche mediante la potenza dello Spirito Santo, così descritta da S. Giovanni Crisostomo: «Se non esistesse lo Spirito Santo, non potremmo dire “Signore Gesù”, poiché nessuno può invocare Gesù come Signore se non nello Spirito Santo (1 Cor 12, 13). Se non esistesse lo Spirito Santo, non potremmo pregare con fiducia; infatti, quando preghiamo diciamo: “ Padre nostro che sei nei cieli” (Mt 6, 9). Se non esistesse lo Spirito Santo non potremmo chiamare Dio Padre nostro […]: “E siccome siamo figli, Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio che grida: Abbà, Padre” (Gal 4, 6). […] Se non esistesse lo Spirito occante, infine, la testimonianza di Xavier Dor, medico attivista francese che nonostante l’età, i problemi di salute e i vari arresti a causa delle sue proteste, continua a battersi per il “sì alla vita”. Molti, infatti, i medici che sono scesi in piazza e hanno voluto marciare a fianco degli attivisti indossando i loro camici bianchi per prendere le distanze dai colleghi favorevoli all’aborto. “È per questo che oggi siamo qui, per difendere la nostra ideologia e il nostro credo”, dichiara una studentessa della Facoltà di medicina del Sant’Andrea di Roma. Tra la folla, infine, anche associazioni e gruppi provenienti da Malta, Irlanda e Polonia, Paesi che stanno subendo forti pressioni dall’Europa perché attuino quanto prima una legge a favore dell’aborto. Proprio tra loro sventolavano striscioni che ricordavano le parole di Papa Giovanni Paolo II, una, in particolare, ricorreva spesso, “una nazione che uccide i propri figli è una nazione senza futuro”. Santo, non ci sarebbe nella Chiesa nessuna parola di sapienza o di scienza perché è scritto: “La tua parola di sapienza è data dallo Spirito” (1 Cor 12, 8). Se lo Spirito Santo non fosse presente, la Chiesa non esisterebbe». Sarebbe tutt’altro che improprio estendere anche ai battezzati e ai cresimati la raccomandazione dell’apostolo Paolo al suo discepolo e vescovo Timoteo, «Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri» (1Tm 4,14), mettendola in relazione con le parole della colletta, che vale, appunto, per tutti i battezzati: «O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo». Lo Spirito Santo che agisce nella Chiesa di oggi è lo stesso che agiva sulla Chiesa delle origini e conserva la stessa forza. Tocca quindi a noi prendere consapevolezza di questa sua potenza, cantata dalla Sequenza - «O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli; senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa; dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano, i tuoi santi doni» - , aprendoci ad essa fiduciosamente e coraggiosamente, perché così santificati ed illuminati, possiamo presentarci, come già facevano i protagonisti degli Atti degli Apostoli, come suoi trasparenti strumenti a tutti coloro che, non importa come, avremo occasione di avvicinare. Don Umberto Pineschi Pistoia Sette N. 20 19 Maggio 2013 Dopo la prima Settimana sociale di Pistoia Incontro con Edoardo Baroncelli dell’ufficio pastorale sociale del lavoro di Daniela Raspollini È stata redatta un’agenda di speranza per la Toscana. Quali sono gli aspetti più significativi che hanno interessato il mondo del lavoro giovanile? L’attenzione ai giovani è stato uno dei tratti caratteristici di questa Prima Settimana sociale dei cattolici toscani. Proprio per questo i vescovi hanno chiesto che un terzo dei delegati delle diocesi fosse al di sotto dei 40 anni. Penso che questa attenzione privilegiata dei vescovi possa essere ricondotta anche alla situazione che il nostro paese sta attraversando e che sembra togliere la speranza di un futuro possibile, di un lavoro possibile, di una famiglia possibile, soprattutto ai giovani. La Settimana sociale aveva il compito di essere uno strumento di ascolto del tempo presente e una occasione di confronto e di approfondimento su quanto è urgente fare. Ho avuto modo di vedere i risultati dei lavori di gruppo sui cinque ambiti: il confronto è stato generoso, ampio e approfondito e ci sono tutti i presupposti l’agenda di speranza che la Conferenza episcopale elaborerà con l’ausilio della Commissione regionale della pastorale sociale potrà davvero essere un’occasione di rilancio per l’azione ecclesiale e perché si possa, come chiesa, svolgere sempre meglio il servizio che siamo chiamati a dare al mondo, ovvero portare criteri e sguardi nuovi, ispirati al Vangelo, capaci di intravedere e di contribuire a costruire, nuovi inizi. Quindi, ascolto, analisi e riflessione da un lato; confronto, approfondimento e proposta dall’altro. Cerco di spiegarmi con un esempio. Se da un lato la Settimana sociale è stata l’occasione per comprendere di nuovo che la crisi che stiamo attraversando ha reso evidenti le contraddizioni e i Battistero di San Giovanni in Corte Cattedrale San Zeno Piazza Duomo Veglia di Pentecoste In Cattedrale, sabato 18 maggio alle 21, la chiesa di Pistoia partecipa alla Veglla di Pentecoste presieduta da monsignor Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia. animata da reale spirito di servizio e disponibilità ad operare per il bene comune, non soltanto a parole. Ma l’elenco è davvero molto ampio, per ciascuno degli ambiti. Davvero ci sono segni di vitalità e di speranza nelle nostre chiese che attendono solo di diventare concretezza. limiti dell’attuale sistema economico, dall’altro ha riportato all’attenzione della comunità ecclesiale l’urgenza di proporre e praticare modelli economici diversi e nuovi modi di fare impresa, in particolare l’impresa cooperativa, capaci di valorizzare tramite il protagonismo giovanile anche beni e terreni incolti, e prendere sul serio alcuni numeri della Caritas in Veritate. Mi ha fatto grande piacere che il Progetto policoro sia stato citato come uno strumento valido in questo orizzonte operativo. Le altre diocesi che si sono sedute ai tavoli di lavoro hanno portato nuovi progetti e L a presenza albanese a Pistoia, è conosciuta come la comunità albanese più grande d’Italia; questo dato ha destato la curiosità di alcuni amici e li ha spinti a proporre questa mostra, per conoscere un pò di più la storia e le origini di questo popolo che ci è compagno in questo pezzo di storia della nostra città, e che ci è “vicino” più di quanto possiamo pensare. L’ufficio Migrantes della diocesi ha voluto pertanto promuovere una mostra ed alcuni incontri con lo scopo di accompagnare il popolo albanese nella comprensione della propria identità e allo stesso tempo proporre alla città di Pistoia l’opportunità per conoscere meglio questa importante presenza. La mostra, con il seguente titolo «Albania, Athleta Christi, alle origini della libertà di un idee? Vi è stato un momento di condivisione? Sì, molte proposte assai incisive o di grande respiro sono emerse dalle indicazioni dei vescovi, dai contributi delle diocesi e dai lavori di gruppo. Ne cito solo alcune a mo’ di elenco: separare normativamente le attività bancarie speculative da quelle creditizie; ripensare radicalmente il rapporto tra scuola e lavoro, affermando l’idea che la stessa manualità è necessaria alla formazione della persona riportando all’attenzione dei giovani il recupero di antichi mestieri; l’impegno a ri-significare e rimotivare il volontariato; la burocrazia asfissiante; l’urgenza di una buona politica Tra i relatori della settimana sociale, Emanuele Rossi ha sottolineato che la chiesa deve svolgere un’azione di tipo educativo per aiutare cristiani e laici a produrre innovazione e sviluppo sociale e deve svolgere un’azione di supporto e di supplenza a fronte di tanti bisogni delle persone. In queste sue parole io vedo l’impegno e la concretezza di progetti che l’ufficio di pastorale sociale del lavoro sta portando avanti, come “Policoro” e la “Casa dei mestieri”. Può illustrarceli? Il progetto Policoro è effettivamente una bella occasione a disposizione delle diocesi dove questo è attivo. Ripeto spesso, proprio per sottolineare l’aspetto di concretezza del progetto, che Policoro ha contribuito a dare vita a oltre 600 cooperative e ditte individuali. Non sono numeri da capogiro, ma sono piccoli segni di speranza, piccoli miracoli, che possono fare la differenza. Anche da noi, anche se il progetto ha appena un anno di vita, già vediamo nascere i primi segni di concretezza. I bisogni sono moltissimi, e sopravanzano le nostre capacità e le nostre possibilità. Cerchiamo solo di poter dare il contributo più generoso e più limpido che possiamo alla vita e alla formazione dei giovani. La Casa dei mestieri va in questa direzione. Al suo interno la diocesi tramite il Progetto policoro ha portato anche un’idea semplice ma forse significativa, apprezzata anche a livello universitario. Ogni volta che abbiamo davanti una azienda che voglia terminare la propria attività, perchè il titolare ha raggiunto l’età pensionabile o per altre ragioni, senza una “eredità” lavorativa, possiamo provare a intervenire e riallacciare i fili del patto tra le generazioni. La domanda che ci poniamo, confermati da alcune esperienze concrete, è se ci possano essere alcuni giovani che, opportunamente formati, desiderino proseguire quel lavoro e raccogliere il testimone lavorativo. Percorsi di formazione che intrecciano due movimenti: quello dell’elaborare conoscenza e acquisire competenze partendo dall’esperienza e dal contatto con altri; quello del sostare in prossimità della storia personale e lavorativa di altri, dell’educarsi a percepire se stessi “consegnati” a una storia, interiorizzando i doni vitali che altri ci hanno fatto e ci fanno. È necessario riscoprire e ricostruire una vera e propria alleanza tra le generazioni, per uscire dalla prigione della nostra particolarità, condizione necessaria perché un progetto come questo possa risultare efficace. I ragazzi sembrano smarriti di fronte alla complessità, hanno bisogno di qualcuno con cui camminare assieme per uscire dalla nebbia. Policoro cerca di fare semplicemente questo. FONDAZIONE MIGRANTES “Albania, Athleta Christi, alle origini della libertà di un popolo” popolo», sarà inaugurata venerdì 31 maggio alle 21,15 presso l’oratorio di San Gaetano, C.so Amendola (accanto alla chiesa di S. Paolo apostolo), alla presenza di monsignor Angelo Massafra arcivescovo di Scutari e presidente della conferenza episcopale albanese e Zhirajr Mokini Poturljan curatore della mostra, e rimarrà aperta fino al 15 giugno. La mostra è un percorso multimediale, che dopo un iniziale premessa sui dati che ne documentano i temi, racconta le origini del popolo albane- se, della propria radice indoeuropea e del loro legame con l’Impero romano al quale fornisce otto imperatori. Per poi passare alla prima figura storica di rilievo, Giorgio Castriota Scanderbeg, l’Atheleta Christi che fermò l’avanzata ottomana verso l’Europa. Il condottiero che dette vita ad un epopea che segna ancora profondamente l’identità degli albanesi. Per proseguire con le figure che predominano e permettono “il risorgimento albanese”, facenti parte per la maggior parte dell’ordine religioso francescano e gesuita, e che portarono all’indipendenza del 1912 dall’Impero ottomano. Infine il periodo oscuro del comunismo albanese, uno dei regimi più cruenti del XX secolo, per terminare con il movimento di liberazione e la formazione della Repubblica albanese nel 1992. La mostra durante il percorso storico offre al visitatore alcuni spunti di riflessione personale, interrogandolo su cosa costituisce l’identità di una nazione, cosa risponde alle attese di libertà personali e collettive. Paolo Palazzi 8 comunità ecclesiale Incontrando un grande testimone di speranza: Loris Capovilla Il nuovo papa, attraverso il corso delle vicende della vita, è come il figlio di Giacobbe che incontrandosi con i suoi fratelli di umana sventura, scopre a loro la tenerezza del cuor suo e scoppiando in pianto, dice: ‘Sono io... il vostro fratello Giuseppe’. Ecco a noi sta a cuore in maniera speciale il compito di pastore di tutto il gregge... Ma certo è che tutte le fisionomie dei Papi che si succedono nel corso dei secoli si devono riflettere nel volto di Cristo. Ora l’insegnamento divino è riassunto in queste parole del divino maestro: ‘Imparate da me che sono umile e mite di cuore’. Dunque la grande mitezza e umiltà.” (Dal discorso di Giovanni XXIII per l’incoronazione) Sabato 27 aprile, è stata organizzata dalle comunità parrocchiali di BonelleRamini e di Vicofaro, insieme al Centro di documentazione e di progetto “don Lorenzo Milani” di Pistoia, una gitapellegrinaggio a Sotto il Monte Giovanni XXIII, sia per visitare i luoghi del grande pontefice del concilio, sia per incontrare il suo segretario monsignor Loris Capovilla. Hanno partecipato alla visita, oltre ai membri delle due comunità, un gruppo cospicuo di ragazzi della scuola di Ramini, che sono stati i referenti privilegiati durante i vari momenti della visita. Momento di toccante emozione è stato a Ca’ Maitino -luogo, per oltre 30 anni, delle vacanze di papa Giovanni- l’incontro con il segretario del papa, che ha voluto rivolgere un messaggio di memoria e di speranza alla nostra comunità. Ha ricordato, come esempi da tenere sempre presenti nella nostra ricerca, due grandi figure legate alla Toscana, don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira. Proprio partendo dal difficile presente anche politico della società italiana, ha rievocato il messaggio di vita e di insegnamento di Giovanni XXIII, che seppe indicare strade nuove, con la convocazione del Concilio, con le sue encicliche, con la sua stessa vita umile e generosa. Ha espresso anche grande fiducia in papa Francesco, che si pone sulla linea dei gesti e del messaggio del grande predecessore, richiamandosi sempre alla povertà e alla misericordia. Profonda emozione ha suscitato la rievocazione della morte, quando papa Giovanni gli ha ricordato le dure opposizioni che entrambi avevano incontrato nel portare avanti il rinnovamento della chiesa. Ma per lui, papa Giovanni si può riassumere nei suoi occhi, nel suo volto aperto all’umanità. Nel pomeriggio abbiamo incontrato don Ezio Bolis -direttore della Fondazione Giovanni XXIII di Bergamo- che, in sintesi, rivolgendosi ai ragazzi che hanno seguito sempre attenti, ha individuato i punti centrali delle grandi intuizioni di papa Giovanni, legate al concilio, al dialogo ecumenico, alle encicliche. Abbiamo poi visitato la Colombera, la casa natale del pontefice, che proprio nella sua povertà dà il senso delle origini evangeliche di un messaggio così coinvolgente. La giornata si è conclusa con la celebrazione della Messa nella chiesa di Santa Maria in Brusicco da parte di don Massimo: membri della comunità, intervenendo durante la messa, hanno espresso il senso di una giornata che rimarrà indimenticabile per tutti i partecipanti. Massimo Biancalani, Mauro Matteucci n. 20 19 Maggio 2013 Santuario della Madonna delle Grazie Vita La Maggio a Valdibrana Numerosi gli appuntamenti per i fedeli. Ogni martedì alle 21 recita del rosario O gni anno come antica e tradizionale devozione il popolo della diocesi di pistoia si reca al Santuario della Madonna di Valdibrana per toccare il sasso dove è apparsa la Vergine e partecipare alla messa, al rosario e alla fiaccolata che si tiene in prossimità della fine del mese e alla quale prendono parte l’Unitalsi e i malati. Valdibrana è la piccola Lourdes locale: la Madonna lì venerata, è donna del popolo o, come la definisce il vescovo Mansueto Bianchi nella preghiera a lei dedicata, “nostra Signora dei giorni qualunque”. Maggio a Valdibrana è un appuntamento mariano irrinunciabile che molti fedeli nella Chiesa pistoiese attendono. Maggio infatti è il tempo dei numerosi pellegrinaggi da parte di tante parrocchie, che possono prenotarsi presso il santuario, di cui è rettore monsignor Cesare Tognelli. Dentro il santuario, sulle pareti dietro l’altare sono esposti molti ex voto. Oltre a quelli, innumerevoli, di più antica fattura, ve ne sono aggiunti anche di recenti. Il santuario Madonna delle Grazie sorse nel 1650 sul luogo di un piccolo oratorio al cui interno già dalla fine del XIV secolo era conservata un’immagine miracolosa della Vergine Come a Lourdes, anche a Valdibrana il culto è legato ad un’apparizione: quella di Maria a una pastorella, per rivelarle dove era sepolta quella sua immagine, che era andata perduta. Intorno all’immagine ritrovata fiorirono i primi miracoli e si formò il santuario. Don Cesare afferma “Ogni anno c’è un incremento della partecipazione sia dei singoli sia dei gruppi parrocchiali e di altri visitatori. In MOICA Incontro di spiritualità N ell’alveo della tradizione devozionale mariana, che a Pistoia trova il suo punto di riferimento nel santuario di Valdibrana nel quale è custodita un’immagine della Madonna tanto cara al cuore dei pistoiesi, il Moica organizza un pellegrinaggio che avrà luogo il 23 maggio alle ore 16,15. L’iniziativa nasce dall’intento di solennizzare il mese dedicato a Maria e di corrispondere alle numerose richieste espresse in tal senso da iscritte ed iscritti all’associazione. Il programma prevede: «Riflessione condotta da monsignor Giordano Frosini sul tema “Papa Francesco contro gli idoli di oggi”». La sede sarà il circolo locale posto a pochi metri dal Santuario. Al termine dell’incontro verrà celebrata la Messa. Nell’occasione sarà distribuito l’ultimo numero della rivista nazionale “Penelope” che dedica la copertina ed un ampio spazio interno allo splendido patchwork opera di socie Moica ed esposto nel Museo del ricamo. Si segnala che la linea 24 del Copit parte da Pistoia per Valdibrana alle ore 16. Chi per particolari difficoltà non potesse utilizzare il proprio mezzo o i mezzi pubblici, può contattare la presidente Annamaria Palchetti per reperire un passaggio con le auto di altri partecipanti. Si comunica a quanti fossero interessati che per il giorno 11 giugno prossimo è prevista una gita del Moica con meta Abetone, San Pellegrino in Alpe. L’invito a partecipare è rivolto ad iscritti ed amici. Su questo giornale verrà comunicato quanto prima il programma dettagliato della gita. conseguenza di questo incremento aumenta anche il numero degli ex voto a dimostrazione di particolari grazie che i fedeli attribuiscono all’intercessione di Maria.Valdibrana anche per questo è davvero un luogo particolare”. I prossimi appuntamenti in programma al Santuario di Valdibrana sono sabato 25 maggio, alle 17,30, con il pellegrinaggio diocesano Unitalsi, presieduto da monsignor Mansueto Bianchi; domenica 19 maggio, Giornata della devozione mariana con la presentazione dei bambini e ragazzi a Maria. Questo gli orari delle messe e della recita del rosario per il mese di maggio. Giorni feriali: ore 7 Lodi - ore 17.30 Rosario - ore 18 Messa con riflessione mariana Giorni festivi: sabato ore 17.30 rosario - ore 18 Messa festiva; domenica ore 7 - 8.30 – 10 - 16.30 - 18 Messa, ore 17.30 rosario Confessioni: ogni giorno, nel pomeriggio dalle 16.30 alle 17.45; mercoledì e venerdì al mattino dalle ore 9 alle 12. D.R. Ente Camposampiero Appuntamento a “Sfornaciando” per conoscere un piccolo villaggio della solidarietà A ppuntamento dal 30 maggio al 2 giugno con la festa di quartiere “Sfornaciando” che si svolgerà presso la sede dell’ente Camposampiero e che prevede varie iniziative culturali, musicali e ricreative. Sarà un’occasione per conoscere da vicino l’ente Camposampiero, che da quasi ottant’anni opera a Pistoia in favore dei poveri e delle famiglie in difficoltà. Nell’ambito della festa sarà anche inaugurato il nuovo ascensore per disabili realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Pistoia e della Lucchesia e alle offerte dei singoli cittadini. L’ente Camposampiero è sorto a Pistoia il 20 gennaio 1946 per onorare la memoria di Giuseppe Camposampiero, eminente studioso, apprezzato insegnante e appassionato sostenitore del riscatto e delle necessità dei più poveri. La Camposampiero oggi come ieri opera con lo stesso spirito di servizio di allora e con le stesse aspirazioni che hanno motivato e mosso Giuseppe Camposampiero e le signorine Borgioli, in particolare la professoressa Angela Borgioli, che hanno dato seguito concreto alle idee di giustizia sociale e solidarietà umana e cristiana promosse dal fondatore. “Anche oggi, come ieri, - afferma Luca Traversari, responsabile dell’Ente Camposampiero - sembra che la povertà bussi alla porta di tante famiglie che vivono nella nostra città e nei nostri quartieri. È povertà materiale, che riduce i consumi delle famiglie, ma è anche sopratutto mancanza di entusiasmo, di energia per realizzare il futuro e perdita di speranza”. Quale risposte avrebbe dato Giuseppe Camposampiero oggi a questa sfida? Non lo sapremo mai, ma possiamo vedere quello che si cerca di realizzare oggi alla Camposampiero. “Invitiamo tutti a venire a conoscere meglio questa realtà associativa pistoiese, - prosegue Traversari - che ha sede in Via Antonelli 307: è un piccolo villaggio della solidarietà, dove operano varie cooperative che si occupano di inserimenti lavorativi per fasce deboli (ex carcerati, disabili), un centro adolescenti che raccoglie i ragazzi della zona, la cooperativa di produzione Manusa, che si occupa di riuso di vestiti usati e messa a nuovo degli stessi, una scuola materna comunale e la Fabbrica delle emozioni, che rappresenta uno spazio aperto ad associazioni e realtà del quartiere”. L’ente Camposampiero, associazione di soli volontari senza dipendenti, nell’ultimo periodo si è impegnata per la realizzazione di un impianto fotovoltaico che produce il 50% dell’energia elettrica di cui la struttura necessita, di un centro Caritas per l’ascolto, ha effettuato la distribuzione di vestiti e aiuti alle famiglie del quartiere in difficoltà, e ha realizzato corsi per tagli e cucito. Opera anche in collaborazione con la Leonardo da Vinci nell’allestimento di opere teatrali di natura storica da realizzare con i ragazzi che frequentano la scuola. Ultimamente, con un gruppo di ragazzi aiutati da dei volontari, l’ente sta recuperando le zone verdi circostanti, la struttura è in abbandono, creando un orto sociale e un frutteto biologico. In questo modo i ragazzi coinvolti ricevono un contributo economico che li aiuta in un momento della loro vita non certo facile e contribuiscono a migliorare l’ambiente della zona. D.R. Vita La 19 Maggio 2013 Castellina Serravalle Restaurato il complesso dei Ss. Filippo e Giacomo Il 24 aprile alle 17 si è tenuta una celebrazione per l’inaugurazione dei lavori di restauro del complesso parrocchiale della Chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo. All’evento erano presenti il vescovo di Pistoia Mansueto Bianchi, la soprintendente ai beni archittetonici per Firenze Pistoia e Prato Alessandra Marino, il presidente della fondazione Caripit Ivano Paci, il sindaco di Serravalle pistoiese Patrizio Mungai e la vicesindaco Simona Querci. I lavori dei restauri del complesso parrocchiale della Chiesa dei Ss: Filippo e Giacomo a Castellina di Serravalle Pistoiese sono iniziati nel 2012. La chiesa fu costruita nel 1159, quando il vescovo Tracia, ne autorizzò l’edificazione e la volle dedicare a SS. Filippo ed Jacopo sul colle di S. Maria, dov’era un castello. Nei verbali delle visite pastorali la chiesa compare a partire da quella del vescovo Vivenzi. Le tracce della Chiesa originaria del XII secolo si ritrovano in qualche tratto dei muri esterni e della facciata. Commentando i restauri inaugurati, il parroco, don Stanislao Jakubczak ha affermato:“Con questa opera abbiamo realizzato i desideri di tantissime persone, anche di coloro che non sono più con noi.Abbiamo lasciato il segno concreto della nostra fede per le generazioni che verranno dopo di noi. La chiesa insieme con il complesso parrocchiale sarà a disposizione di tutti, dai bambini agli anziani, per lodare il Signore, per il catechismo e anche come luogo di ritrovo per la nostra comunita.” D.R. D ieci anni orsono il 3 del mese di luglio, giorno in cui la liturgia della chiesa fa memoria dell’apostolo Tommaso, dopo dodici anni di sofferenza trascorsi nell’infermeria del seminario, a causa dei postumi di un grave incidente stradale, don Marino faceva ritorno alla casa del Padre. Don Marino Pratesi nacque a Fucecchio il 23 ottobre 1923 dove il padre carabiniere prestava servizio. Nel 1935 entrò nel seminario a Pistooia, ove studiò; preghiera e disciplina erano le costanti che scandivano il tempo dei futuri ministri dell’altare. Per il giovane chierico furono anche anni difficili, sia per la perdita improvvisa del padre, sia per un infortunio durante la guerra che lasciò in lui problemi alla vista. Finalmente il 29 giugno 1948, insieme ad altri compagni riceve dalle mani consacrate di monsignor Debernar- n. 20 comunità ecclesiale COMNVEGNI “MARIA CRISTINA” 9 Verso la beatificazione M aria Cristina di Savoia regina del Regno delle due Sicilie sarà a breve Beata. La notizia arriva nell’anno della fede e per il bicentenario della sua nascita, dopo che Papa Francesco ha firmato il decreto riguardante un miracolo attribuito alla sua intercessione. Anche nella nostra diocesi l’associazione “Convegni Maria Cristina di Savoia” ha accolto con gioia la notizia. “Convegni Maria Cristina di Savoia” nella diocesi di Pistoia è un’associazione autonoma, laicale, riconosciuta dalla competente autorità ecclesiastica nel 1973. Il movimento nasce a Roma nel 1937, quale “Opera” dipendente dall’Unione donne di Azione cattolica; l’associazione si è costituita dopo che il papa Pio XI ha dichiarato venerabile la Regina delle due Sicilie, Maria Cristina di Savoia. Essa “nasce per difendere e promuovere la cultura cristiana, sopratutto in ambienti che, per tradizione, non sono raggiunti dalle associazioni cattoliche e che nella trasformazione istituzionale, rischiavano di rimanere isolati”. I suoi scopi principali sono dunque: la formazione cristiana, religiosa, morale, culturale e sociale degli aderenti, la loro testimonianza cristiana e presenza attiva nella vita sociale. L’associazione oggi conta circa 3.500 iscritte e più di 80 “Convegni” in tutta Italia. I “Convegni” locali organizzano conferenze, incontri tavole rotonde su argomenti religiosi, sociali, culturali. L’attività culturale si accompagna ad una attenzione alle persone, attraverso momenti di convivialità ed iniziative culturali di alto respiro. A proposito della nuova beata, il postulatore della causa di beatificazione, padre Giovan Giuseppe Caligano ofm, afferma che “con la sua dolce figura di sposa, di consigliera del re, di donna della preghiera, di madre di carità per il popolo ci mostra in maniera eminente che la vocazione alla santità è per tutti i battezzati, nel pieno gioioso compimento della propria vocazione “e, sottolinea, bisogna ringraziare il Signore che ha disposto di portare a compimento questa storica causa nel corso dell’anno della fede ed delle celebrazioni per il bicentenario della nascita della venerabile (2012-2013)”. Maria Cristina di Savoia era figlia secondogenita di Vittorio Emanuele I (1759-1824) re di Sardegna e di Maria Teresa d’Asburgo-Este (1773-1832). Il re di Napoli Francesco I l’aveva presa in considerazione come possibile sposa per il proprio figlio Ferdinando, ma Maria Cristina aveva detto più volte di preferire alle gioie del mondo il ritiro del chiostro.Tuttavia sopratutto dopo la morte della madre, convinta da Carlo Alberto e dal confessore della defunta, padre Terzi, vinse gli scrupoli religiosi e accettò di sposarsi. Il matrimonio fu celebrato a Genova il 21 novembre 1832 e nel complesso fu piuttosto felice. Grazie alla influenza della moglie, il re intensificò il suo impegno per le opere di carità. Infatti per Maria Cristina i poveri costituivano il primo dovere: le persone da lei beneficate non si contano e molti condannati a morte dovettero a lei la grazia o la commutazione della pena capitale. Trascorsi tre anni di matrimonio, la mancanza di un figlio la faceva soffrire e pregava incessantamente la Madonna affinché il suo desiderio di averlo fosse realizzato. Finalmente Maria Cristina fu esaudita. Dalla reggia di Portici, dove trascorse gli ultimi mesi della gravidanza, all’avvicinarsi del parto scriveva alla sorella: “Questa vecchia va a Napoli per partorire e morire”. Purtroppo era vero! Infatti l’erede al trono nacque il 16 gennaio e già il 29 Maria Cristina era morente per complicazioni sopravvenute al parto. Prendendo in braccio il tanto atteso piccolo Francesco e porgendolo al re suo marito disse: “Tu ne risponderai a Dio e al popolo e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui”. La fama di pietas di Maria Cristina e della sua devozione alla Madonna si diffuse e consolidò rapidamente. Nella chiesa di santa Chiara, la tomba di Maria Cristina, che si era conquistata l’appellattivo di “reginella santa” ed era molto amata dal popolo, divenne un luogo di pellegrinaggio pieno di ex voto per interventi ritenuti prodigiosi. Più tardi, nel 1937, Pio XI ne dichiarò eroico l’esercizio delle virtù cristiane autorizzandone il culto come venerabile. Siamo in attesa della data nella quale finalmente la Regina salirà agli onori dell’altare. D.R. La tavola domestica: luogo di pastorale B asta accendere il televisore e saltando da un canale all’altro troveremo diverse trasmissioni di cucina, con cuochi professionisti o anche con semplici donne o uomini di casa. Èla moda del momento! Perché non seguirla, perché non usare questo linguaggio mediatico che è così comune che tutti riescono ad ascoltare e capire? Allora partiamo dalla casa, dalla nostra casa. All’inizio non pensavamo di ripescare un tema a noi così caro! Sì, da sempre crediamo nella bellezza di ogni casa domestica, del grande valore che è metterla a disposizione per le più varie occasioni, ordinarie e straordinarie. Abbiamo così scoperto un’opportunità che può essere offerta alle coppie: semplici cene presso una coppia ospitante, per ritrovare o approfondire la bellezza della relazione di coppia. Il tutto in un clima di accoglienza, di amicizia sulla base di contenuti ben definiti su cui riflettere e dialogare in coppia. Al centro di tutto c’è il desiderio di ravvivare il dono dell’amore attraverso la presenza del Signore, vero ospite della casa da invocare e pregare. Non grandi numeri, ma un massimo di tre coppie invitate a riscoprire il potenziale di amore che sta dentro ciascuna di esse. Per privilegiare il lavoro di coppia evitiamo il lavoro di gruppo, lasciando ad altri validi contesti (gruppi famiglia, gruppi parrocchiali,…) la ricchezza dello scambio e della condivisione. Fondamentale è la totale gratuità dell’esperienza da parte di chi ospita. Ci ha colpito questo elemento della gratuità con cui la coppia ospitante mette a disposizione la propria casa, il proprio tempo, la propria cucina, i propri ambienti. Forse non siamo più abituati a questo e non sappiamo offrire niente se non dietro un compenso o un pagamento; questa è la nostra società! Al contrario è vincente la carta della gratuità, che non vuol perseguire nessun secondo fine e non nasconde alcun trabocchetto o “predicozzo” finale. Punta esclusivamente sul farsi strumento di amore, di accoglienza, sul dare stima, confidenza, condivisione. La coppia ospitante deve aver chiaro che al centro di tutto non c’è la sua bravura ma l’opera efficace dello Spirito ricevuto nel sacramento delle nozze; non c’è la capacità a produrre nell’altro cambiamenti o soluzioni, ma l’opportunità che è data attingendo interiormente la forza dell’Amore, sostenuti dalla preghiera. È un’esperienza in cui non esistono ruoli (come troppe volte si annidano nelle nostre comunità parrocchiali) e le coppie ospiti sono coppie chiamate con l’unico strumento vero: la relazione! Quella relazione che ti permette di chiamare il collega, il vicino di casa, la parrucchiera, il convivente, chi si è allontanato dalla chiesa, chi ha voglia di provare qualcosa di insolito… Questa esperienza ci interpella a mettere le nostre nozze a servizio degli altri per diventare riflesso vivo dell’amore trinitario e così è nato in noi il desiderio di diventare tessitori di comunione per dare lode a colui che sta all’origine di un mistero così grande. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla chiesa! (Ef 5, 31-32) Piero e Paola Pierattini Ricordo di don Marino Pratesi nel 10° anniversario della morte di il tanto sospirato Ecce sacerdos. Dopo una breve esperienza a Masiano fu invitato a S. Ippolito di Vernio in diocesi di Prato. Era allora una parrocchia molto difficile soprattutto per le ideologie politiche fortemente anticlericali. Tuttavia il giovane prete dotato di una forte personalità che lo sosterrà per tutta la vita cominciò a “seminare” -azione cattolica, giovani, ecc.- ed i frutti non tardarono a maturare. Purtroppo una seria pleurite lo costrinse a lasciare e a fare ritorno al Santonuovo, suo paese d’origine, dove trascorse diversi mesi a riposo. Nell’attesa di una completa guarigione viene inviato a Spedalino nel dicembre 1951. A questo punto è necessaria una precisazione. La chiesa di Santa Maria Assunta a Spedalino, pur trovandosi nel territorio parrocchiale di San Piero Agliana, aveva sempre vissuto di una vita liturgica autonoma, specialmente negli anni in cui fu curata da due sacerdoti spedalinesi: don Bartolomeo Magni e il di lui nipote il canonico monsignor Geremia. Qui don Marino iniziò un lavoro proficuo sotto ogni aspetto, compreso quello sociale. L’entusiasmo dimostrato riaccese nella popolazione la spe- ranza cullata fin dagli anni quaranta di essere parrocchia autonoma. La sua realizzazione non fu una cosa semplice; tuttavia con l’aiuto di un solerte comitato il sogno si realizzò e il 22 gennaio 1961 con decreto di monsignor Longo Dorni, la chiesa di Spedalino fu elevata al grado di prioria e don Marino nominato primo parroco. Con il trascorrere degli anni fu necessario pensare alla costruzione di una nuova chiesa e relativi servizi pastorali. Purtroppo don Marino non riuscì che a vedere il solo terreno per la sua costruzione, acquistato grazie alla generosità della popolazione. Il 7 novembre 1988 –come dicevamo all’inizio- rimase vittima di un incidente stradale, le cui conseguenze lo costrinsero a lasciare la parrocchia. Alcuni anni dopo la sua morte l’amministrazione comunale di Agliana in segno di ricordo e gratitudine, decise di intitolargli una strada che si trova vicino al nuovo complesso parrocchiale. Leggendo quella targa che reca il suo nome, par di vedere una sentinella che continua a vegliare su quella comunità che tanto lo amò, e per la quale spese quasi tutta la sua vita di uomo e di sacerdote. Franco Biagini 10 comunità e territorio Vita La n. 20 19 Maggio 2013 SOCIETà Un giovane su tre si sente insicuro dell’iniziativa -, ma per i giovani, che si stanno adattando a questa situazione nel bene e nel male, rimane ancora un punto sicuro. La sensazione di insicurezza deriva invece dall’aumento degli episodi legati alla criminalità, ma anche dalla mancanza di lavoro e di opportunità per il futuro». La settima edizione di «Dai un senso alla vita», prevedeva anche un concorso multimediale. Gli studenti di varie scuole superiori della provincia sono stati chiamati ad esprimere il proprio pensiero sul tema «Una società sicura: tra percezione e realtà», attraverso brevi filmati. Al termine del convegno sono stati premiati i migliori elaborati. Al primo posto si è classificata Ottavia Loppi (liceo artistico Petrocchi), 2° Marco Anastasio (liceo artistico Petrocchi), 3° Marta Zingarello (Istituto Pacini), 4° Margherita Azzini (liceo Forteguerri–Vannucci), 5° Francesca Sensi (Istituto Einaudi), 6° Tilde Esposito (Liceo Mantellate), 7° Alessio Fontanelli (Istituto Pacinotti), 8° il gruppo composto dagli studenti Breschi, Trabaldo, Maddalloni, Mannucci, Cirri, Zanobetti, Dimeglio, Anastasio (liceo artistico Petrocchi); 9° Fabbri (liceo artistico Petrocchi). Nuovo ospedale Una commissione di “saggi” per sceglierne il nome Emerge da una ricerca realizzata su 700 studenti pistoiesi. Temono anche la povertà e l’incertezza sul futuro di Patrizio Ceccarelli C resce la percezione di insicurezza, anche tra i giovani. Lo dice una ricerca realizzata su 700 studenti pistoiesi delle scuole superiori dal dipartimento regionale dell’Associazione nazionale sociologi (Ans) e dal Laboratorio toscano Ans di scienze sociali, comunicazione e marketing, che ha sede a Pistoia. A preoccupare i giovani sono, oltre alla criminalità crescente, l’incertezza sul futuro, la mancanza di lavoro, la salute e il rischio di povertà. La famiglia, invece, rimane un nido sicuro per gran parte degli intervistati. I risultati dello studio sono stati illustrati nel corso di un convegno che si è svolto alla biblioteca San Giorgio di Pistoia, nell’ambito della settima edizione di «Dai un senso alla vita: rispettala!». «Emerge la contraddittorietà che definisce e denota la situazione attuale - afferma Andrea Spini, docente di sociologia all’Università di Firenze - Gli stessi ragazzi che dicono la famiglia è un nido sicuro, la trovano allo stesso tempo anche oppressiva, quella che limita, che tarpa le ali, per usare le loro parole. Inoltre, manca la sicurezza, la prospettiva di iniziare un cammino alla fine del quale c’è la soluzione». «La famiglia si dice sempre che si sta disgregando, in realtà si sta trasformando - sostiene il sociologo Giuliano Bruni, dirigente del Laboratorio toscano Ans e promotore immigrati Scritte razziste contro il ministro Kyenge Parole di condanna da tutto il mondo politico e istituzionale N etta condanna da parte del mondo politico-istituzionale nei confronti degli autori delle scritte razziste contro il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge, apparse venerdì 10 maggio nei pressi del centro commerciale Panorama e in via Pertini, nell’area ex Breda. «Sono scritte volgari e spregevoli dettate dalla paura e dall’odio - le parole di condanna del sindaco Samuele Bertinelli - che offendono, insieme al ministro Kyenge, tutta la città di Pistoia che quotidianamente coltiva, nelle sue scuole, nelle numerose associazioni di volontariato, nei suoi circoli e nelle sue parrocchie, il progetto di una comunità ispirata ai principi di solidarietà, eguaglianza, libertà e giustizia. «L’autore o gli autori delle scritte razziste contro il neo-ministro Kyenge hanno certo letto pochissimi libri e fra questi, di sicuro, né il Vangelo né la Costituzione. Consiglierei di cominciare a farlo». È il commento del vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi. «Mi colpisce la circostanza che proprio oggi si ricorda l’ottantesimo anniversario del terribile incendio con cui Hitler cercò di incenerire quei simboli di cultura che sono i libri: leggere il libro eversivo per eccellenza, il Vangelo, aprirebbe certo gli occhi a persone - afferma ancora il vescovo - che con un gesto così inqualificabile pensano di intimidire un ministro della Repubblica la cui scelta costituisce sintomo di civiltà e di attenzione verso le grandi sfide del dialogo e della comprensione in un mondo piccolo come un villaggio». «Si tratta di atti miserabili e razzisti, che poco hanno a che fare con i principi di civiltà e di democrazia - afferma la presidente della Provincia, Federica Fratoni - Atti offensivi non solo del singolo, ma dell’intera comunità pistoiese, che si riconosce nei valori della convivenza, della partecipazione e dell’integrazione». «Non c’è bisogno di troppe parole né per condannare il gesto né per capire quanto sia lontano dai sentimenti dei pistoiesi e dei toscani - dice il presidente della Regione, Enrico Rossi -. L’autore, o gli autori, delle scritte razziste contro il ministro Kyenge cercano evidentemente un clamore mediatico. Sono certo che il loro intento sarà sconfitto da un altro clamore: quello della risposta democratica della società civile». «Chi è stato educato al confronto civile e democratico - afferma la deputata Caterina Bini - può sostenere la propria contrarietà a scelte o idee diverse dalle proprie senza ricorrere ad atti indecorosi e parole violente». «Non è tollerabile vedere scritte minacciose sui muri di Pistoia contro il ministro Kyenge - dice Anna Maria Celesti, capogruppo del Pdl in Consiglio Comunale a Pistoia L’odio e il razzismo sono estranei alla convivenza civile e vanno combattuti senza timori». P.C. Tramontata la proposta di dedicarlo al patrono, S. Jacopo, in lizza scienziati illustri pistoiesi, come Pacini, Tigri, Civinini e Matani S e scegliere la localizzazione del nuovo ospedale di Pistoia non è stata cosa facile, tanto che qualcuno disse lo faremo con le ruote, così lo potremo spostare di volta in volta, trovargli il nome sembra essere ancora più difficile. Intitolarlo a San Jacopo, il patrono della città, sembrava ormai cosa decisa e acquisita, ma evidentemente non è così.Tanto che è stato messo in piedi un tavolo informale per sviscerare la questione. È bastato riunire una volta una ventina di conoscitori della storia locale per veder fioccare proposte. A spemersi le meningi sul «nome più evocativo possibile», sono stati invitati storici, architetti, artisti, alcuni indicati dal Comune, altri dall’Azienda sanitaria. Fra i «saggi» qualcuno tendeva a condividere la prima scelta avanzata qualche anno fa dall’allora sindaco, Renzo Berti per San Jacopo. Lo stesso vescovo Mansueto Bianchi, allora, la benedisse subito, sottolineando che l’inaugurazione sarebbe d’altronde avvenuta proprio per il giorno del patrono. Ma al più recente «tavolo» non tutti si sono trovati d’accordo. «Non certo per livore anticlericale -si precisa subito- quanto piuttosto perchè, trattandosi di materia sanitaria, si dovrebbe puntare di più su uomini di scienza». Ecco giungere allora le prime preferenze per Filippo Pacini, lo scopritore del vibrione del colera, per il momento fra i più graditi, ma la rosa, che sarà oggetto di discussione nelle prossime settimane, si è subito arricchita anche di altri pistoiesi illustri in campo medico-scientifico come Atto Tigri, Filippo Civinini e Antonio Matani. MONTAGNA PISTOIESE Verso il comune unico L a montagna pistoiese verso il comune unico Verso un comune unico per la montagna pistoiese. Lo scorso 14 maggio infatti è arrivata in consiglio Regionale la proposta di legge “Istituzione del Comune Montagna Pistoiese mediante fusione dei Comuni di Abetone, Cutigliano, Piteglio e San Marcello Pistoiese” che è stata presentata dal gruppo Più Toscana. “Siamo assolutamente soddisfatti di come sia andata la votazione – ha detto il capogruppo Antonio Gambetta Vianna, primo firmatario dell’atto che vede come proponente anche il collega di Più Toscana, Gian Luca Lazzeri – e siamo tuttavia anche molto fiduciosi per arrivare al referendum entro il prossimo autunno in modo da poter vedere la nascita di Montagna Pistoiese a inizio 2014 per arrivare al voto amministrativo della prossima primavera.” Fra i favorevoli anche Roberto Orlandini del Comitato per il Comune unico, Valerio Sichi del gruppo consiliare Uniti per Piteglio, Davide Luca Ferrari, del gruppo consiliare Bene Comune di San Marcello Pistoiese i quali hanno sottolineato tutti i possibili vantaggi per il territorio derivanti dalla fusione dei vari comuni. Sulla stessa lunghezza d’onda Sergio Giusti della Cna pistoiese e Nicola Orlandini amministratore delegato della Sistemi biologici srl, la società che gestisce l’impianto di compostaggio di Piteglio, che hanno messo in evidenza gli effetti positivi per le imprese e non solo. Gabriele Ferrari dell’Avis locale ha ricordato inoltre che l’operatività a livello sovra comunale ha permesso alla sezione di raggiungere la cifra di 500 donatori stabili. Antonio Gambetta Vianna ha ringraziato infine il presidente della 1° commissione “Affari Istituzionali”, Marco Manneschi e tutti i componenti della commissione per “aver prestato particolare attenzione alle esigenze della montagna senza perdere inutilmente tempo e per aver espresso un parere unanime per indire il referendum.” Edoardo Baroncelli Vita La 19 Maggio 2013 comunità e territorio n. 20 11 “Pistoia con altri occhi” Cappuccetto rosso Lo spettacolo del Liceo Forteguerri-Vannucci di Silvia Mauro “I o credo questo: le fiabe sono vere”, diceva Italo Calvino nella raccolta “Fiabe Italiane”. E senz’altro una grande avventura è stata quella vissuta da nove alunni diversamente abili del Liceo delle Scienze Umane “ForteguerriVannucci” di Pistoia - presenti in istituto con percorsi differenziati - grazie al lavoro dei quali, lunedì 6 maggio, sul palcoscenico di un Teatro Bolognini quanto mai gremito, ha preso vita la divertente favola “La bella Caterina o la novella de’Gatti” di Gherardo Nerucci, letterato, linguista e filologo originario della montagna pistoiese, ma soprattutto autore delle “Novelle popolari montalesi”, grande fonte di ispirazione per lo stesso Calvino. Il progetto “Pistoia con altri occhi”, che ha preso il via all’inizio dell’anno scolastico, ha visto infatti i ragazzi - supportati da un’operatrice teatrale, cinque docenti del Liceo pistoiese e due assistenti della Cooperativa “Gli altri” – impegnati nella trasposizione della novella scritta in dialetto dall’autore montalese. Un lavoro lungo e impegnativo, che ha coinvolto anche gli studenti della classe I° A, sviluppatosi a partire dall’analisi letteraria del testo - effettuata in classe grazie all’aiuto della docente di Lettere, professoressa Beatrice Fattori - e poi proseguito con la messa in scena della fiaba e, contemporaneamente, con la realizzazione dei costumi e delle scenografie, nel laboratorio di arte della professoressa Carmen Manca. Come elaborazione della fiaba in forma grafico-pittorica, è stato inoltre realizzato dagli studenti delle classi IVA e IVC - coordinate dalla professoressa Carmen Manca e con la collaborazione di una ex alunna del Liceo Pedagogico, Selene Franci - anche un libro con illustrazioni tattili e didascalie in braille. Un ciclo di conferenze – svolto grazie al Centro Titflodidattico di Firenze e all’Unione Italiana Ciechi, con l’aiuto della dottoressa Elisabetta Franchi, della signora Tiziana Lupi e della professoressa Jessica del Moro - ha, inoltre, contribuito a sensibilizzare gli studenti sulle strategie di inclusione sociale e scolastica delle persone non vedenti. Un momento prezioso di crescita e di responsabilizzazione verso gli altri componenti del gruppo, ma anche un’occasione imperdibile, per tutti gli alunni coinvolti, di sperimentare realmente valori come la solidarietà, la condivisione e la collaborazione, e, soprattutto, un’opportunità per vivere ed apprezzare la diversità altrui come fonte di arricchimento individuale. “La bellezza di questo spettacolo è stata proprio quella di non essere imperniato su di un unico protagonista: tutti i ragazzi sono stati indispensabili per la sua riuscita ed ognuno di loro ha contribuito con grande generosità, mettendosi in gioco e dando il meglio di sé”, ha assicurato la regista, professoressa Serena Mazzotta, durante la presentazione dello spettacolo. “Un’esperienza nuova. All’inizio l’intesa non è stata immediata, ma alla fine siamo veramente felici e soddisfatti”, ci confessano Lorenzo e Samuele della I° A, rispettivamente uno scanzonato principe azzurro ed un Gatto Mammone furbo e sornione. Grande l’emozione e la gioia anche per Giulia ed Emma, due delle ragazze con diverse abilità coinvolte nel progetto, deliziose e divertenti nei ruoli dello scrittore e di una delle gattine. Il progetto è stato realizzato grazie al supporto del Comune di Pistoia - in particolare, dell’assessorato educazione e cultura - ed al suo inserimento nel Piano educativo zonale dell’area pistoiese, come ha chiarito, nel corso della presentazione dell’iniziativa, la dirigente del Liceo “Forteguerri-Vannucci”, Patrizia Belliti, annunciando al tempo stesso che, in segno di ringraziamento, il libro tattile sarà in seguito donato dall’istituto agli alunni delle scuole primarie di Pistoia. “La scuola non è solo sapere, ma crescita ed educazione, e con la preside ci siamo riproposte proprio questo nella realizzazione dello spettacolo: preparare i ragazzi, futuri cittadini, alla convivenza ed al rispetto dell’altro da sé”, ha concluso la coordinatrice del sostegno e responsabile del progetto, professoressa Claudia Ciocchetti. E così tra variopinte scenografie, elaborati costumi e vaporosi mantelli, in un turbinio di stelle e cuori volanti (“tutto realizzato dai ragazzi, che sono stati bravissimi”, ci ha assicurato la professoressa Manca) è andata in scena molto più di una favola. Diceva Calvino: “La fedeltà ad un impegno e la purezza di cuore sono virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo”. Nelle fiabe, come nella vita. MUSICA Al via le iscrizioni alla scuola comunale Mabellini al Palazzo comunale di Pistoia È finita da qualche giorno la mostra “Lo specchio del mondo”: Casa del tempo e Cappuccetto Rosso (Palazzo Comunale, Sale Affrescate, 7 aprile-1 maggio), basata sulle stampe delle immagini di Roberto Innocenti (Bagno a Ripoli, 1940), il maggiore illustratore italiano, molto apprezzato a livello internazionale, unico italiano a ricevere il prestigioso Ibby Andersen Award a Copenhagen nel 2008. La mostra che è stata inaugurata il 6 aprile scorso ha riscontrato grande successo ed ha avuto un alto numero di visitatori. La peculiarità dell’evento è stata quella di avvicinare adulti e bambini al fantastico mondo di una fiaba antica, quella di Cappuccetto Rosso collocato però in un nuovo contesto dove deve affrontare un bosco moderno descritto come una immaginaria città piena di insidie e di pericoli facilmente riscontrabili nel nostro vivere quotidiano. Riuscirà alla fine a salvarsi e a salvare la nonna dalle grinfie del lupo dopo aver attraversato mille avventure. Ci sono voluti due anni di lavoro perché Roberto Innocenti completasse questa sua moderna fiaba. Una storia metropolitana imbevuta di tutti i modelli della contemporaneità, vuoti, quasi sempre senza una identità propria. Durante lo svolgimento di questo suo lavoro Innocenti afferma “Sto preparando un Cappuccetto rosso ambientato in periferia. In queste agglomerazioni urbane dove vive un terzo dell’umanità, non vi sono connotazioni particolari, qualsiasi ragazzo che vive in America o in Europa, ci si ritrova. La periferia, con i suoi segni sui muri, è quel luogo che in maniera più o meno simile si ripete in qualsiasi parte del mondo. Come? Il bosco si trasforma in un centro commerciale, il lupo in un motociclista vestito di nero, mentre il pericolo è rappresentato dal consumismo. Il bosco e il lupo non parlano più ai bambini di oggi, per raccontare storie dalle morali semplici, come quella di non prendere caramelle dagli sconosciuti, bisogna renderle attuali affinché, in esse, i bambini possano riconoscersi”. Nella seconda sezione della mostra, il visitatore ha potuto ammirare la “Casa del Tempo” dove sono rappresentate in una ventina di tavole le modifiche che una casa toscana subisce nell’arco di un secolo, dal 1900 al 1999. Così rappresentando i cambiamenti dei tempi , ogni volta in una stagione diversa, Innocenti ci sorprende disegnando i contadini e il lavoro dei campi e le vicende che toccano i momenti della vita di ogni famiglia come il matrimonio, le nascite, la morte. Anche momenti storici importanti del nostro Paese sono stati disegnati da Innocenti in maniera magistrale, dall’avvento del fascismo all’abbandono delle campagne e il sogno della città. Il disegnatore che in maniera scrupolosissima traccia particolari decisivi è riuscito ad evidenziare sui volti delle infinite piccole figure le espressioni tipiche delle emozioni e dei sentimenti umani. Meritoria l’opera dei promotori della mostra, il Comune, l’associazione Teatrale Pistoiese, la Regione Toscana e la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, che hanno contribuito alla realizzazione di questa incantevole mostra. Roberto Innocenti che ha trattato attraverso i racconti illustrati per bambini “Rosa Bianca” e “Storia di Erika” il triste tema della Shoah, si può annoverare, senza paura di essere smentiti, tra i più importanti illustratori dei nostri tempi. Quattro i percorsi offerti: classico, jazzistico, propedeutico e danza classica e moderna A l via le iscrizioni alla scuola di musica e danza Teodulo Mabellini per i corsi del prossimo anno accademico 2013-2014. Gli studenti già iscritti all’anno appena concluso, in tutto 425, possono rinnovare la loro iscrizione fino a venerdì 31 maggio, mentre i nuovi aspiranti allievi do- vranno presentare la loro iscrizione a partire dal 3 giugno e fino al 24 giugno (info: 0573-904604; email: [email protected]). Agli studenti vengono offerti quattro diversi percorsi: il classico, il jazzistico, quello propedeutico, e quello di danza classica e moderna. Nella sezione classica vengono inse- COMUNE DI AGLIANA P Bando pubblico ubblicato nei giorni scorsi dal Comune di Agliana il bando per l’erogazione di contributi economici ad integrazione dei canoni di locazione per il 2013. Requisito principale per fare domanda è la residenza ad Agliana, per i cittadini extracomunitari la residenza per 5 anni nella stessa Regione o per 10 in Italia e la titolarità di un contratto di affitto regolarmente registrato. I criteri per fare domanda sono abbastanza complessi, è necessario calcolare l’ISE e l’ISEE e richiedono un’attenta lettura del bando che è possibile scaricare sul sito del Comune di Agliana. Per ogni informazione, chiarimento e per poter fare domanda è necessario recarsi all’Urp del Comune aperto il lunedì e il mercoledì dalle 8,30 alle 13,30, il martedì e il giovedì dalle 8,30 alle 16,30, il venerdì ed il sabato dalle 8,30 alle 12. La domanda deve essere presentata entro il prossimo 1 giugno. La graduatoria provvisoria verrà formata entro il 15 giugno e quella definitiva entro il 15 luglio. Chi otterrà il contributo dovrà presentare le ricevute di pagamento degli affitti del 2013 a gennaio 2014. Per informazioni: tel. Urp 800.131.161. gnati tutti gli strumenti di un’orchestra sinfonica, con in più gli strumenti tradizionali a tastiera (pianoforte ed organo) e la chitarra, sia classica che elettrica. In quella jazzistica si imparano i tipici strumenti jazzistici, cioè il pianoforte, il sax, la chitarra elettrica ed il basso elettrico e la batteria. In questa sezione, oltre all’insegnamento individuale, è prevista la musica d’insieme, dal duo fino alla big band. La terza sezione è quella propedeutica, riservata ai bambini delle scuole elementari, con educazione al movimento ritmico, all’uso della voce e dei piccoli strumenti del metodo Orff. Infine nella quarta sezione di danza classica e moderna, la danza è abbinata ad esecuzioni musicali dal vivo. La scuola comunale Mabellini, fondata nel 1858, dal 2008 vede la collaborazione del Comune con l’Associazione Teatrale Pistoiese, che si occupa dell’attività di progettazione ed organizzazione dei percorsi formativi. Questa collaborazione ha potenziato i risultati nella gestione, facendo conoscere e apprezzare la scuola quale significativa realtà della città. di Alessandro Orlando ABETONE Stagione sciistica positiva Superati i 3,7 milioni di passaggi. Intanto il comprensorio si sta preparando per la stagione estiva «P ossiamo definirla una stagione buona, con 3.743.000 passaggi, simile quindi a 2 anni fa (2010/2011), quando registrammo 3.863.000 passaggi, mentre la scorsa stagione (2011/2012) siamo stati al di sotto dei 3 milioni (2.800.000)». Così il presidente di Abetone Multipass, Giovanni Guarnieri, commenta la fine della stagione invernale abetonese, durata quest’anno ben 5 mesi, con le prime sciate iniziate il 2 dicembre e le ultime domenica 5 maggio. «Questo non significa aver risolto tutti i problemi dell’Abetone - aggiunge -, che peraltro condividiamo con quasi tutte le località di sport invernali, ma certo ci conforta sapere che la nostra è sempre una stazione apprezzata dagli sciatori. Da segnalare anche, in questa stagione, le tante promozioni, in particolare quella che ha permesso agli under 14 di sciare con solo 1 euro se accompagnati da un adulto pagante». I biblietti ad un solo euro venduti nei comprensori di Abetone e Cutigliano, infatti, sono stati oltre 18mila. Il progetto «Neve baby free» è stato reso possibile grazie anche al contributo di 150.000 euro stanziato dalla Camera di Commercio di Pistoia. Intanto, la montagna pistoiese si sta organizzando per accogliere al meglio i turisti estivi. La stagione estiva ripartirà l’8 giugno con l’apertura del Gravity park e dei percorsi per la Mtb downhill. Vita La S n. 20 LA LEZIONE DI ALDO MORO 19 Maggio 2013 Governare la complessità ono passati 35 anni, lo spazio di una generazione matura. Eppure l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio del lontano 1978, ce lo fa ancora più presente, in questo momento di transizione. E non solo perché da 35 anni si continua a discutere della sua morte, uno dei più eclatanti omicidi politici consumati nelle democrazie occidentali dal secondo dopoguerra. Sono state scritte biblioteche sui misteri d’Italia e ancora se ne parla appassionatamente, anche se forse la verità è proprio quella, orrenda e banale che è stata oggetto di più di una sentenza. Ma oggi, in un momento di passaggio, di cambiamento, di crisi, di incertezza è piuttosto sulla sua vita politica che vale la pena di tornare a ragionare.A partire da un paradosso. Ai tempi di Moro la grande questione era l’assenza di alternanza. Oggi, dopo vent’anni di alternanze inconcludenti, siamo alla ricerca della stabilità. Che è il vero problema dell’Italia, un problema di sostanza, e non di forma del sistema politico, un problema che non può essere risolto con l’ingegneria istituzionale, con le formule e i sistemi elettorali, ma con la capacità e la qualità dei politici. Ecco allora la lezione di Moro che sinteticamente si può definire la disponibilità e la capacità a fare i conti con la complessità, con le contraddizioni della storia, secondo una linea U n momento delicato in cui la gioia per la nomina a ministro di Cécile Kyenge, si accompagna alla delusione per le offese degli ultimi giorni. “Ormai ho imparato che quando pensi che le cose stiano migliorando basta un attimo per ritornare indietro”, racconta Kossi Kolma-Ebri, medico e scrittore, di cui il nuovo ministro dell’integrazione è stata segretaria dal 2009. Arrivato in Italia nel 1974, Kolma-Ebri, si definisce un “artigiano della parola”, amante della lingua di Dante a tal punto da sceglierla per i suoi racconti. La nomina di Cecile Kyenge ha riacceso il dibattito sull’integrazione. Quale pensa potrà essere il suo contributo? “Non so se potrà risolvere tutti i problemi, ma certamente la sua nomina permetterà di metterli sul tavolo. Nessuno vuole negare che la priorità oggi sia il lavoro, anche perché, quando la coperta è corta, si diventa tutti più egoisti, ma per troppo tempo in Italia parlare di immigrazione ha significato parlare di sicurezza arrivando all’equazione tra immigrato, clandestino e criminale. Non è vero. Ci sono immigrati che delinquono e per questo vanno perseguiti e puniti, così come ci sono italiani che lo fanno. Del resto la parola ‘mafia’ non è di origine africana. Ma non credo che la maggioranza degli italiani la pensi così, altrimenti perché affiderebbero agli immigrati le loro cose più care: la Il 9 maggio del 1978, 35 anni fa, fu ucciso dalla Brigate Rosse, dopo una lunga prigionia, il presidente della Democrazia Cristiana. Ai suoi tempi la grande questione era l’assenza di alternanza. Oggi, dopo vent’anni di alternanze inconcludenti, siamo alla ricerca della stabilità. E così ritorna il tema della complessità, constatato il fallimento della logica binaria e contrappositiva in cui siamo immersi di Francesco Bonini attenta a cogliere (e intervenire) sui cambiamenti. Che è poi la prospettiva della Democrazia cristiana, la sua eredità migliore, ormai ad oltre vent’anni dalla sua dissoluzione. Della Dc, che ha saputo guidare e interpretare, Moro ha sempre puntato a promuovere l’unità, ma anche l’iniziativa. Serviva persuadere, coinvolgere, responsabilizzare, con pazienza e determinazione. Così sono rimasti famosi i suoi discorsi lunghissimi, come quello di sei ore al congresso di Napoli, per portare la Dc unita al governo di alleanza con i socialisti nel 1962. Ecco allora le sue formule apparentemente oscure e contraddittorie, come le famose “convergenze parallele”: il non-senso geometrico serviva per spiegare l’alleanza tra diversi che tali rimanevano, ma dovevano collaborare. Sembra il contrario delle regole della comunicazione che oggi imperano, per cui tutto si consuma in un tweet. Ma la suggestione deve essere raccolta, per costruire strumenti e prospettive nuove. Perché oggi ritorna il tempo della complessità, constatato il fallimento di una logica binaria, contrappositiva in cui siamo immersi. “Studiare Aldo Moro per capire l’Italia” è intitolato il convegno storico che accompagna l’anniversario. Padroneggiare la complessità oggi è indispensabile per governare. Si parla infatti di “multi level governance”, cioè si constata, in Europa, che esistono molti livelli di azione di governo, che devono essere tra loro coerentemente gestiti. E non solo molti livelli in senso verticale, dal locale al sovra-nazionale, ma anche sul piano orizzontale, quello che articola pubblico, privato e privato–sociale. Per rispondere adeguatamente a un pressante bisogno di rappresentanza, così come di efficacia e di efficienza. INTEGRAZIONE “Il ministro Kyenge? Per noi è una roccia” di Michele Luppi casa, i figli e gli anziani. Il problema è che questa maggioranza è troppo silenziosa”. Avendo lavorato per anni al suo fianco, secondo lei il neoministro per quale caratteristica vorrebbe fosse ricordata? “Il suo lavoro a favore dei diritti. La chiamiamo ‘roccia’ perché è una donna che non molla mai. È una persona molto generosa, impegnata, che non inizia qualcosa per poi lasciarla a metà”. Alcune sue dichiarazioni hanno riacceso il dibattito sullo “Ius Soli”. Cosa ne pensa? “Non so dove questo dibattito condurrà, ma credo sia già positivo che il problema venga posto. Ma vorrei sfatare un mito: non credo che se lo ‘ius soli’ dovesse essere introdotto in Italia, assisteremmo ad un’invasione di donne incinte provenienti dall’Africa. Viviamo vicini alla Francia, unico Paese europeo ad avere lo ‘ius soli’, e non mi sembra ci sia la corsa degli immigrati italiani ad andare a partorire là. Detto questo credo si possa discutere sul tipo di legge da introdurre perché la convivenza la si costruisce partendo dalla condivisione dei valori costituzionali e dei valori morali”. Parlando di integrazione, quale crede sia l’urgenza più grande? “Quella delle cosiddette ‘seconde generazioni’: ci sono un milione di ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma che sono discriminati nella quotidianità. Quando i loro compagni di scuola vanno in gita all’estero non possono partire, quando i loro genitori perdono il lavoro e con esso il permesso di soggiorno, lo perdono anche loro. Questa è una forma di razzismo istituzionale, la peggiore perché non da a tutti le stesse opportunità”. Uno dei suoi libri più conosciuti “Imbarazzismi” raccontava con ironia l’esperienza di tanti immigrati vittime del pregiudizio. A circa quindici anni dall’uscita, come vede la situazione italiana? “Oggi, purtroppo, se dovessi scrivere un libro come quello, lo intitolerei “razzismi” e sostituirei l’ironia con la denuncia. Allora volevo dimostrare come 13 dall’Italia la non conoscenza della differenza creasse imbarazzo. Oggi la situazione è tragica perché la possibilità di conoscere c’è, ma a questa viene contrapposto il rifiuto e la discriminazione”. Come si può intervenire? “Non si può imporre l’integrazione o l’inclusione per decreto. È necessario lavorare per creare spazi di rapporti quotidiani, a partire dalla scuola. Bisogna far capire che le nostre differenze (colore della pelle, aspetto fisico, età) sono minori rispetto a ciò che ci accomuna (sogni, aspettative, emozioni). Il problema è che per scoprire le cose in comune non basta guardarsi, ma è necessario parlarsi”. Come vede il futuro? “La ragione mi rende pessimista, ma emotivamente voglio credere che le cose cambieranno, che dopo la notte venga il giorno. La nomina di Cécile è un tassello che può portare a questa strada. Mi permetta un’immagine: nessuno vuole una società che sia un frullato insapore di culture diverse, ma una macedonia. Una società multiculturale dove si possa sentire il gusto di ogni singolo frutto”. INCIDENTE GENOVA Il dolore della città di Adriano Torti N ove morti, quattro feriti e due dispersi: è il bilancio della tragedia avvenuta il 7 maggio nel porto di Genova. Intorno alle 23 la nave portacontainer Jolly Nero della Compagnia Ignazio Messina ha urtato il molo durante le operazioni per uscire dal porto, provocando il crollo della torre di controllo dei piloti. I lavoratori dello scalo hanno interrotto il lavoro. Numerosi gli attestati di solidarietà dal mondo della politica, del lavoro e della Chiesa. Profondo cordoglio “Profondo cordoglio, solidarietà e vicinanza ai familiari delle persone coinvolte”. Li ha espressi il cardinale Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo del capoluogo ligure, venuto a conoscenza del tragico incidente. Il cardinale, si legge in una nota diffusa dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali,“insieme ai fedeli tutti e ai sacerdoti della diocesi prega il Signore per tutte le vittime”. Maria con i suoi figli “Solidarietà e vicinanza alle vittime e alle loro famiglie per l’immane tragedia che ha colpito il porto di Genova, la città e il mondo marittimo italiano”, è stata espressa anche da Massimo Franzi, diacono responsabile della “Stella Maris Genova” e presidente della Federazione nazionale “Stella Maris”. Franzi, ricordando che “sulla Torre era stata ricollocata la statua di Maria Regina di Genova, ritrovata nei fondali del porto dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale”, sottolinea: “Ancora una volta, Maria Santissima è scesa in mare con i suoi figli per condividerne le sorti”. Il diacono ricorda anche che “il direttore nazionale dell’Apostolato del mare e il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti al quale l’Apostolato del mare mondiale fa capo, hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza alla città”. La forza della fede Tutta la Chiesa genovese in queste ore si sta stringendo attorno a quanti sono stati colpiti direttamente dalla tragedia. “Siamo vicini agli uomini e ai loro familiari con tutto il cuore perché tragedie come queste ci toccano da vicino come uomini e come sacerdoti”, afferma monsignor Giovanni Denegri, primo cappellano militare di Genova, che si è subito recato al porto dopo la tragedia. Anche monsignor Luigi Molinari, responsabile dei cappellani del lavoro della diocesi di Genova, esprime “vicinanza e una grandissima solidarietà alle vittime, alle famiglie, alle aziende coinvolte e alle istituzioni”, anche perché “le persone coinvolte le conosciamo tutte personalmente per rapporto di lavoro e di fiducia. Preghiamo per loro e per le loro famiglie”. Di un “fatto che ci addolora tantissimo perché ha coinvolto i nostri ragazzi”, ha parlato il comandante Giambattista Ponzetto, ufficiale della Capitaneria di porto (Genova). “Si tratta di un grave lutto per tutti noi - ha aggiunto - e il nostro corpo deve affrontare questa difficoltà con la forza dello spirito e, per chi crede, con la forza della fede”. 14 dall’italia n. 20 19 Maggio 2013 LA STRAGE DELLE DONNE Il criminologo Duccio Scatolero mette in guardia dai conflitti che hanno una dinamica paritaria e si sviluppano fino alla prova finale, quella fisica. In cui prevale il più forte. “Non devono essere lasciati andare fino a quel livello” “Troppe relazioni guaste” di Patrizia Caiffa I laria, Chiara e Alessandra sono solo i nomi delle ultime vittime di una strage che i media definiscono oggi “femminicidio”. Nel 2012 sono state uccise 124 donne, quest’anno già 36. Le stime dicono che in Italia una donna viene uccisa ogni tre giorni, uno dei più alti tassi al mondo. Di solito i responsabili sono mariti o ex fidanzati di ogni età o ceto sociale che dichiarano di “amarle”. Ne abbiamo parlato con il criminologo Duccio Scatolero, dell’Università di Torino, che amplia l’analisi ad una sorta di “guasto” che colpisce tutte le relazioni. Cosa sta succedendo in Italia? Cosa pensa del cosiddetto “femminicidio”? “Sicuramente le cifre sono in aumento. Non sono incredibili in termini assoluti perché gli omicidi si contano sull’ordine delle unità. Ma certo un aumento di quaranta è già fenomenale. Ed in altri Paesi non succede. A me la definizione di ‘femminicidio’ non piace perché semplifica un problema molto complesso. Vorrebbe dire costituire una nuova categoria di autori di reati, che non si chiamerebbero più omicidi ma ‘autori di femminicidio’, che non vuol dire nulla. Non penso che lo scontro di genere sia un nuovo problema sociale e culturale, anzi, mi sembra che in questa stagione di crisi, di difficoltà, sia molto più forte l’unione tra i generi, la collaborazione”. Però si parla di un machismo che torna in una veste nuova, diversa… “Non credo nemmeno a questo. Penso invece ci siano molte più eventualità di scontro e prove di forza tra gli umani. Ci sono molti scontri non gestiti, non tenuti sotto osservazione, fino ad arrivare alla prova di forza finale, nella quale la donna è fisicamente più debole. Il conflitto ha una dinamica paritaria che si sviluppa fino ad arrivare alla prova finale, di forza fisica. I conflitti non devono essere lasciati andare fino a quel livello. Perché quando ci si arriva è inevitabile che uno vinca e l’altro perda. Ma la questione del conflitto tra persone non trova nessun interesse pubblico”. Qual è il percorso che porta alla violenza estrema, fino all’omicidio? “Il percorso della violenza è lo stesso per tutti: de-umanizzare chi hai di fronte, farlo diventare una cosa.A quel punto lo colpisci. Questi processi di de-personalizzazione, che una volta facevano parte dei sintomi dell’infermità mentale, oggi sono diffusi tra le persone normali. Oggi si de-personalizza il proprio interlocutore mille volte durante una giornata: allo sportello della Asl, per la strada, sull’autobus. Diventa un processo così facile, quotidiano, che quando arriva il momento adatto è semplice fare il passaggio e trasformare chi hai di fronte in un oggetto e colpirlo”. E come si argina la violenza? “La violenza viene da un impulso naturale all’aggressività. Poi per fortuna gli umani, a differenza degli animali, sono dotati di un’arma di È difficile negarlo, forse è possibile rimuoverlo, ma con quali conseguenze? Ormai è una costante, leggendo i nostri quotidiani, trovarsi dinanzi alla notizia di un omicidio, magari talvolta passato con inganno ad altro termine: tragico incidente, scontro verbale degenerato.Vi abbiamo fatto il callo? Siamo diventati insensibili per proteggerci? Forse la risposta si colloca sul confine ed accetta più elementi per essere composta. In quanti lettori e lettrici è affiorato un altro rilievo? Donne, giovani o magari anziane vengono colpite a morte. Perché? Ai nostri giorni non è il caso di parlare di sesso debole o di oppressione patriarcale, pur sempre presente in alcune sfere della nostra società. Allora dove trovare il bandolo per darsene ragione? Fermarsi alla fenomenologia, alla superficie dei “casi”, porterebbe ad una degenerazione duplice: le persone, cioè le donne in questo specifico caso, verrebbero ridotte a rango di “caso”. Ed è notorio che il “caso”, essendo più asettico, più neutro, si scava nella nostra mentalità un pertugio indolore. Quando però il “caso” ha il volto di una figlia, di una sorella, di una cara amica? È ancora un pertugio indolore oppure acquista i toni di un dramma in cui la sofferenza si fa acuta e insostenibile? Si avvie- difesa, che è la cultura. In contesti in cui la cultura si è impoverita o non funziona più come freno, gli umani seguono l’impulso naturale. Cultura non significa istruzione, ma riferimenti culturali come l’etica, i valori, i principi, la considerazione della vita propria e degli altri, il rispetto del corpo, la dignità. O si usa la cultura per tenere a bada la voce dell’istinto. Oppure, quando si sdoganano tutti questi valori e contenuti culturali che dovrebbero accompagnare la nostra vita, si segue l’istinto”. Sarebbe utile una “task force” contro il “femminicidio”? “Non so cosa si intenda per task force. I processi sono lunghi e comprendono, da un lato interventi molto più approfonditi per le vittime, come i centri di aiuto, che non ci sono o non hanno abbastanza risorse. L’unico vero intervento di protezione delle vittime è fare qualcosa nei confronti degli autori, che non vuol dire solo sbattere in galera chi commette i reati. Bisogna considerare che chi va in galera, se non ha ucciso dentro di sé la propria vittima, esce e riattiva i meccanismi che ha in testa in una nuova relazione. E Il discorso ricomincia. È un lavoro psicologico, di decondizionamento e disintossicazione dalla violenza”. E leggi contro la violenza o limiti alla mercificazione del corpo delle donne? “Non si può pensare che una legge risolva tutto. Sono dei baluardi di difesa utili ma non illudiamoci che risolvano ciò che ha radici sociali, culturali e psicologiche e richiede interventi non solo giudiziari. Sicura- Vita La mente limitare la mercificazione del corpo delle donne può servire per contribuire a ri-umanizzare i percorsi di vita quotidiana, ricordando che intorno a noi ci sono persone in carne e ossa, non solo immagini o figure virtuali. Bisogna rimettere in gioco la dimensione umana delle relazioni. Ciò che può essere più utile è offrire a chi sta vivendo esperienze conflittuali con il prossimo, degli spazi dove ricevere aiuto, ascolto e accoglienza. Le relazioni domestiche si sono guastate e non c’è nessuno intorno a cui rivolgersi per dire: ‘non ce la faccio più’. È vero che ci sono gli enti di solidarietà che danno aiuti alimentari o economici ma c’è chi non regge più l’impatto sul piano delle relazioni. E dove vanno queste persone? Non sono malati che possono rivolgersi alla sanità o casi sociali che possono ricevere assistenza. Non hanno un posto dove andare”. Siamo dunque una società seriamente malata nelle relazioni? “Esatto. Ci sono delle relazioni guaste e bisogna trovare figure, anche volontari, che ascoltino i problemi delle persone. Dovrebbero essere presidi sul territorio. Pensiamo a tutti i casi di suicidi di disoccupati, imprenditori, familiari. Prima di arrivare a quel punto ci dovrebbe essere un posto dove andare a chiedere una mano. È la malattia di una società che non è più capace di occuparsi del prossimo. Bisognerebbe anche lavorare molto nelle scuole, educando i ragazzi a gestire il reale e il virtuale. L’intervento più utile a livello governativo sarebbe di mettere a disposizione qualche risorsa agli enti locali, perché possano rimettere in moto dei meccanismi naturali di aiuto e accoglienza sul territorio”. UCCISIONI A CATENA Sta a noi donne crescere Ma anche agli uomini... La cronaca ci restituisce una sequenza infinita di violenze omicide su giovani o anziane. A colpirle spesso sono proprio i compagni di vita o gli amici occasionali di Cristiana Dobner rebbe una sorta di registro in cui il “caso” entrerebbe nell’ambito dell’inchiesta, della percentuale. Bisogna ammettere che una simile procedura, in fin dei conti, rassicura donne e uomini. Perché è ben più raro che una donna uccida. Come uscire dal vicolo cieco? Volutamente cieco? Si deve affrontare con coraggio il “perché” sotteso a questi omicidi in cui le donne sono vittime. Il nostro vivere quotidiano è stato privato di una solida radice con cui confrontarsi: la certezza che come io sono in vita per dono del Creatore che ha avuto compartecipi quell’uomo e quella donna che chiamo genitori, così anche l’altro e l’altra, sono doni preziosi. Non esistono esistenze di seconda categoria o di seconda scelta e neppure reali esistenze “usa e getta”. Eliminata questa consapevolezza di profondo rispetto, prima per se stessi e poi per gli altri, che cosa resta? La violenza che esplode quando tutto e tutti non si sottomettono a voglie, capricci, interessi. La donna diventa un “usa e getta” che si consuma, sessualmente, economicamente, anche nella vita di coppia che non trova stabilità e non sperimenta la dedizione. Chi fra le donne non si presenta palestrata o addestrata nelle arti marziali, soccombe alla forza fisica del maschio. Chi cerca amore e affetto e viene intrappolata in una relazione temporanea che non chiede riscontri ed obblighi ma si butta così in un’avventura passeggera, si ritrova non solo nel trash ma talvolta persino all’obitorio. Non è argomento banale invocare “i principi” che poi non si sanno né declinare, né spiegare, è questione di non aver sperimentato nella vita che cosa significhi sguardo amoroso sulla vita altrui, nel guardare alla donna per il valore che ha in sé e con la quale posso condividere il mio progetto di vita. Se però, quest’ultimo disegno si pone all’insegna delle luci rosse, del bagliore delle insegne luminose di Las Vegas o di quelle più modeste ma non meno dannose delle sale gioco con le slot machine, si può diventare persone o si scatenano gli istinti più brutali che possano albergare in una persona? Il mercato della droga, la dipendenza da uno stupefacente, diventa motivo di azzardo assoluto; una gelosia non verificata conduce ad un’esplosione in cui ci si scaglia e si elimina la donna; la noia porta al consumo del sesso ridotto a brandello di umanità e non segno e comunione di amore. Certo, sta a noi donne crescere e dimostrarci per quello che siamo: persone con cui condividere la vita, capaci di stare accanto con tenerezza, ma proprio perché abbiamo intuito che non tutto quanto brilla o è fosforescente, è duraturo. Bisogna però crescere insieme, uomini e donne, e guardarci come il Creatore ci ha creati: pellegrini nell’avventura d’amore eterno. Vita La 19 Maggio 2013 dall’estero n. 20 SOMALIA Un paese dimenticato dove regnano fame e guerre U na strage continua. Circa 260mila Somali, metà dei quali bambini d’età inferiore ai cinque anni, sono morti di fame tra ottobre 2011 e aprile 2012 a causa della grave crisi alimentare che ha sconvolto il Paese e alla quale – secondo uno studio pubblicato dalle Nazioni Unite – è stata data una risposta umanitaria “insufficiente”. Il bilancio della crisi, che si è tradotto in sei mesi di carestia, supera – secondo il documento dell’Onu – quello della terribile carestia del 1992, che uccise 220mila persone in dodici mesi. In base a una prima stima scientifica,“la carestia, e la grave insicurezza alimentare hanno ucciso il 4,6 per cento della popolazione totale e il 10 per cento dei bambini con meno di cinque anni nel sud e nel centro della Somalia”, è l’agghiacciante statistica riportata dalle Nazioni Unite. “Nelle regioni di BasShabelle, di Mogadiscio e di Bay, le più duramente colpite – riferiscono i relatori del N on ci saranno grandi cambiamenti in Pakistan con la vittoria alle elezioni generali di Nawaz Sharif, leader della Lega dei musulmani (Pml-N), formazione moderata di centro-destra. I pakistani cristiani e le altre minoranze non subiranno pesanti contraccolpi ma certo non potranno sperare in una revisione della legge contro la blasfemia, perché Sharif è stato lanciato proprio dal generale Zia-ul-Haq che in passato ha introdotto la normativa. È però “una bella notizia che i partiti fondamentalisti abbiano perso”. È il parere di Ejaz Ahmad, giornalista, direttore della rivista dei pakistani in Italia “Azad” e mediatore culturale per il Forum intercultura della Caritas di Roma. Dopo il voto dell’11 maggio, insanguinato da oltre 150 morti in attentati compiuti nelle ultime settimane, il Pakistan ha premiato Sharif, magnate dell’acciaio, che è già stato premier due volte. Abbiamo chiesto ad Ahmad un’analisi degli scenari che si aprono. Quali novità da queste elezioni? “Tutti pensavano vincesse Imran Khan, ex campione di cricket, perché si è presentato per la prima volta ed è una persona carismatica. È stato molto votato anche dai pakistani in Italia. Il fatto nuovo è che Khan, pashtun, ha vinto nella provincia del nord che prima era governata un partito Attentati, raid e carestie l’unica realtà contro cui da anni si confronta la popolazione di Angela Carusone rapporto – la crisi alimentare ha ucciso rispettivamente il 18, il 17 e il 13 per cento dei bambini con meno di cinque anni. Inoltre, la fame ha provocato 30mila morti al mese tra maggio e agosto del 2011”. Lo stato di emergenza per carestia era stato proclamato a luglio del 2011 in due regioni della Somalia, per poi essere esteso al resto del paese nel mese successivo. L’Onu aveva dichiarato la fine della carestia a febbraio del 2012, avvertendo però che un terzo della popolazione somala aveva ancora bisogno di aiuti alimentari urgenti. La carestia aveva colpito quattro milioni di persone, ossia la metà della popolazione. “Una delle peggiori carestie degli ultimi 25 anni”, ha affermato Chris Hillbruner, uno dei relatori del documento. Ma le 260mila persone uccise dalla fame si aggiungono ai 290mila morti stimati nelle stesse regioni nel periodo considerato. “Questo incredibile ecatombe, che comprende anche i decessi legati al conflitto in corso nel Paese – aggiunge Hillbruner – rappresenta un tasso di mortalità due volte superiore a quello medio dell’Africa subsahariana”. Provocata principalmente dalla grave siccità che ha colpito in quel periodo tutta la regione del Corno d’Africa, la carestia e la crisi alimentare sono state aggravate dalla situazione catastrofica della Somalia, sconvolta dal caos e dalla guerra civile da oltre vent’anni, da quando fu deposto il presidente Siad Barre nel 1991. “Gli effetti della siccità sono stati aggravati da diversi fattori – si legge nel rapporto delle Nazioni Unite – non ultimo una crisi prolungata combinata al conflitto armato, un rialzo dei prezzi e un debole aiuto umanitario”. “È incontestabile che la risposta alla carestia sia stata tardiva e insufficiente – sottolinea il rapporto – ma è anche vero che l’accesso limitato alle popolazioni colpite, conseguenza dell’insicurezza generalizzata e delle restrizioni alle operazioni di aiuto imposte alle agenzie internazionali dai gruppi armati, abbia avuto un effetto moltiplicatore”. È ormai dal 1991 che la Somalia è nelle mani delle milizie dei signori della guerra, di gruppi islamisti e di gang criminali, e oltre un milione di Somali si è rifugiato nei Paesi vicini, mentre un altro milione costituisce l’esercito dei profughi interni. Il ritiro delle milizie islamiste Shebab da Mogadiscio lo scorso settembre e l’elezione di nuove autorità hanno aperto uno spiraglio alla speranza che il Paese, dopo 22 anni, posssa trovare una qualche stabilità e dotarsi di un vero governo. Ma da allora è anche uno stillicidio di attentati e raid che lasciano sul terreno lunghe scie di sangue, come i 34 civili uccisi lo scorso 14 aprile a Mogadiscio, quando un’ autobomba è esplosa davanti al tribunale della città, o la dozzina di vittime provocata da un kamikaze a Galkayo, nel centro del Paese, l’11 febbraio. Per questo il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso il 2 maggio di istituire una nuova missione delle Nazioni Unite in Somalia, per assistere il presidente eletto Hassan Cheik Mohamud durante la fase di transizione che dovrà portare il Paese verso la democrazia e uno Stato di diritto. La missione, che dovrebbe prendere le mosse il 3 giungo, avrà la durata di dodici mesi e il mandato di “sostenere il processo di pace e riconciliazione portato avanti dal governo federale somalo”, e di fornire ad esso “orientamenti e consigli strategici in materia di consolidamento della pace e creazione dello Stato”. Essa dovrà inoltre “coordinare l’azione dei donatori internazionali”, e promuovere il rispetto dei diritti umanitari. Per fermare la strage. ELEZIONI IN PAKISTAN damentalismo. Il consenso nazionale andrebbe contro qualsiasi partito che dichiarasse di volerla cambiare. Solo se diminuisse il fondamentalismo, le minoranze avrebbero più respiro”. attentati, il Paese ha premiato Nawaz Sharif, leader della Lega dei musulmani. Il commento del giornalista Ejaz Ahmad I sanguinosi attentati delle ultime settimane sono riusciti a orientare il voto? Il nuovo governo riuscirà a gestire la sicurezza? “A Karachi hanno raggiunto lo scopo perché devono votare di nuovo. Il partito che ha avuto più vittime ha perso le elezioni. Il governo sarà più instabile, i problemi sociali e i conflitti aumenteranno. Ci sarà una ripresa nello sviluppo ma non credo più pace e sicurezza. I talebani sono amici di Sharif ma con gli Usa e l’India ci saranno più problemi geostrategici”. Non ci saranno grandi cambiamenti Dopo il voto dell’11 maggio, insanguinato da oltre 150 morti in di Patrizia Caiffa la legge contro la blasfemia perché è stata fatta proprio da Zia-ul-Haq. Però è un moderato, quindi li rispetterà. Ma non ci saranno vantaggi. Per fortuna ultimamente tutti i partiti insieme, compresi i militari, hanno dichiarato che il fondamentalismo interno è una malattia sociale. Questo è un passo in avanti”. fondamentalista. Invece Sharif rappresenta l’alternanza al potere, ma per governare dovrà fare delle alleanze. A Karachi, invece, che è una polveriera, dovranno rifare le elezioni. È una città con più di 18 milioni di abitanti e tanti problemi, con una guerra civile etnico-religiosa e legata alle mafie”. La vittoria di Sharif assicurerà maggiore stabilità al Pakistan? “No. Cinque anni fa il People’s party aveva i numeri per governare il Paese. Ora è molto più difficile. Il partito di Sharif, la Lega dei musulmani, già governava il Punjab e lo ha fatto bene, nello stile pakistano, un po’ feudale. Ma ricordiamo che Sharif è nato con Muhammad Zia-ul-Haq, un dittatore terribile che aveva tolto i diritti alle minoranze e istituito la legge contro la blasfemia. Sharif era il suo delfino. Però è un moderato, quindi potrebbe gestire i rapporti con gli Usa, al contrario di Zia-ul-Haq. Ora vedremo come faranno le alleanze”. Quali ricadute sui pakistani cristiani e le altre minoranze religiose? “I cristiani erano politicamente divisi tra People’s party e Lega dei musulmani. Sharif non toccherà assolutamente Casi come quello di Asia Bibi, legati alla legge contro la blasfemia, rischiano di non risolversi? “No, peggioreranno. Asia Bibi è punjabi. Ricordiamo che quando è stato ucciso il governatore del Punjab, Salman Taseer, per averla difesa, Sharif aveva scelto il silenzio”. Quindi non ci sono speranze che la normativa venga rivista? “In questo momento nessuno può cambiare questa legge, nemmeno Khan l’avrebbe fatto. Perché nessuno ha il coraggio di contrastare il fon- Quali bisogni sociali della popolazione evidenzia questa vittoria? “Sharif è un industriale. Il popolo spera che il cambiamento arrivi con l’industrializzazione. Tutti gli industriali lo appoggiano perché in Pakistan manca la corrente elettrica 16 ore al giorno e Sharif intende risolvere questi problemi, con l’aiuto della Cina. Conosce bene le caste, è ben inserito nel tessuto sociale, feudale, pakistano. Grandi intellettuali pakistani dicono che è un cambiamento positivo perché un industriale può portare un po’ di sviluppo”. 15 Dal mondo Giotto al Louvre Fino al prossimo mese di luglio, il giorno 15, la città di Parigi accoglie in mostra nelle sale del Louvre la collezione “Giotto e compagni”. Si tratta di una trentina di opere ordinate nella cappella del museo fra le quali figurano dipinti, disegni, sculture e miniature: di esse la metà è attribuita a Giotto di Bondone 1267 circa - 1337) e alla sua bottega, e altra parte è assegnata a pittori dell’epoca soggetti all’influenza artistica di Giotto. È una rassegna i cui gioielli, proprio delle varie fasi della produzione di Giotto, sono costituiti dal grande “San Francesco che riceve le stigmate” (proveniente da Pisa, e firmato negli anni giovanili), la monumentale croce dipinta (restaurata dalle italiane Rosana Motta e Claudia Sindaco), la crocifissione ideata e nata a Napoli nel XIV secolo, intorno al 1330. Oppio afghano Ogni record del tempo nel quale l’Afghanistan era dominato dai talebani è superato: il mercato dell’oppio nel paese centro-asiatico è rigoglioso, e la produzione della sostanza pare sia destinata a crescere per il terzo anno consecutivo: è l’allarme lanciato dall’ufficio delle Nazioni Unite per la droga e il crimine (Unodc). L’incremento delle coltivazioni fa sì che l’Afghanistan rischi di divenire un “narco-stato” a meno che una strategia mirata e stringente abbia subito applicazione; il governo è attivo nel distruggere le coltivazioni di papavero, ma ciò non è sufficiente dal momento che gli agricoltori non riescono a individuare alternative utili per vivere:“Quattro chili di Oppio valgono quanto cinque tonnellate di grano lamenta un coltivatore e il raccolto del grano serve appena per mangiare”. Nel 2014 il ritiro delle truppe internazionali genererà forse una ulteriore spinta al commercio criminale dell’oppio, i cui guadagni sono appannaggio dei talebani. Innalzamento del mare Allo scopo di moderare l’azione di innalzamento dei livelli del mare, ossia per prevenire temporaneamente la velocità di aumento del livello marino dal 25 al 50%, è necessario ridurre le quantità dei quattro principali inquinanti che resistono in atmosfera per la durata di una settimana e fino a un decennio: metano, ozono troposferico, idrofluorocarburi, fuliggine. È il risultato di uno studio effettuato dai ricercatori dello “Scripps institution for oceanography” di San Diego in collaborazione con il “National center for atmosferic research” (Ncar) e con il “Climate central”. Si tratta di gas che possono influenzare il clima in maniera più rapida del biossido di carbonio, che rimane nell’atmosfera per secoli. È stato dimostrato che una nutrita riduzione di tali inquinanti, quelli a più breve durata, a partire dal 2015 potrebbe equilibrare l’innalzamento delle temperature fino al 50% entro il 2050, perciò rallentando assai l’innalzamento del livello del mare. 16 musica e spettacolo Vita La n. 20 19 Maggio 2013 AL CINEMA L Passione sinistra iberamente tratto dal romanzo di Chiara Gamberale “Una passione Sinistra”, il film “Passione Sinistra” è una commedia ironica prodotta da Rai Cinema, dimostrante che cuore e cervello non si danno mai del tu quando prevalgono i sentimenti. Nina è idealista ed è convinta che valga la pena lottare per avere un mondo migliore. Vive con Bernardo (Vinicio Marchioni), giovane intellettuale e scrittore non ancora arrivato al successo. Giulio (Alessandro Preziosi), invece, erede di una famiglia di industriali, è arrogante e qualunquista ed è fidanzato con Simonetta (Eva Riccobono), una simpatica ragazza Un film con Alessandro Preziosi e Valentina Lodovini di Leonardo Soldati bionda alle volte nemica dei congiuntivi. Nina e Giulio casualmente si incontrano ed è odio a prima vista. Mondi ed ideali (o non ideali) diversi i loro, ma il confine tra odio e amore è molto labile quando la passione irrompe sulla scena (Nina parla per l’appunto di una ‘passione inquietante, sinistra!’), quando ogni presunta certezza viene distrutta e le proprie esistenze sconvolte. Ma è proprio vero che in amore le regole non valgono?. La canzone di Giorgio Gaber sui titoli di testa in una commedia sentimentale per la regia di Marco Ponti, che mette alla berlina entrambe le parti con un girotondo di coppie e slalom degli attori tra luoghi comuni e qualche stereotipo politico. Storia in cui l’attualità politica si insinua tra le pieghe della commedia all’italiana, sul genere di “Benvenuto presidente!” (sempre di Ponti), “Metalmeccanico e parrucchiera…” (con Tullio Solenghi e Irene Pivetti) di Lina Wertmuuller o “Matrimoni e altri disastri” (Margherita Buy e Fabio Volo).Valentina Lodovini (Nina), bella e brava, deve decidere se gli steccati ideologici hanno ancora un senso, in quanto spin doctor di un aspirante sindaco, Andrea Splendore (Glen Blackhall), bravo a vendersi come il nuovo che avanza. Un cameo da parte del giornalista Marco Travaglio, nel cast principale anche Geppi Cucciari. Marco Ponti è considerato il regista del citazionismo di cuore ma allo stesso tempo sa essere divertente, ha all’attivo come film, oltre alla sceneggiatura de “L’uomo perfetto”, anche la regia di “Santa Maradona” e “A/R:Andata e Ritorno” con Vanessa Incontrada. spor t pistoiese EVENTI Memorial Giampaolo Bardelli C i saranno anche i presidenti del Coni nazionale, Giovanni Malagò, del Coniregionale toscano, Salvatore Sanzo, e di quello provinciale pistoiese, Gabriele Magni, sabato 1° giugno 2013 alla cerimonia di premiazione del XXIX Memorial Giampaolo Bardelli. Si preannuncia, quindi, un evento grandioso, come nelle intenzioni del suo creatore Renzo Bardelli, tra l’altro massimo dirigente del “Gruppo Sportivo Giampaolo Bardelli per lo sport etico”, la società organizzatrice della manifestazione. La cerimonia di premiazione del riconoscimento etico per antonomasia, che da quest’anno insignisce non solo chi compie atti tangibili nella lotta al doping ma anche le eccellenze pistoiesi, si terrà appunto il 1° giugno nella splendida cornice dell’Hotel Villa Cappugi, in Via Collegigliato, 45, a Pistoia: dalle 9.30 alle 13 verranno celebrate le eccellenze pistoiesi, dalle 15 alle 17.30 si svolgerà il Memorial vero e proprio, con la partecipazione, in qualità di ospiti d’onore non solo della presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, e del magnifico rettore dell’Università di Firenze, Alberto Tesi, ma anche dei sovra citati Malagò, Sanzo e Magni.Tra le novità dell’ultim’ora, anche i nomi importanti di Riccardo Magrini, montecatinese d’origine, ex corridore ciclistico e attuale telecronista di Eurosport, e di Claudio Rosati, saggista, ex capo di gabinetto di diversi sindaci pistoiesi, direttore del polo museale di Villa Bellosguardo a Lastra a Signa, già direttore dei musei della Regione Toscana, cui verranno attribuiti premi in qualità di eccellenze pistoiesi (si andranno ad aggiungere, tra gli altri, al celebre teologo monsignor Giordano Frosini, direttore del nostro settimanale). Grande gioia, poi, per la conquista della maglia rosa da parte di Vincenzo Nibali, lo Squalo dello Stretto, uno degli insigniti del Memorial 2013. Il campione, che ha sempre dichiarato di non essersi mai sottoposto a pratiche dopanti e che proprio per questo motivo verrà celebrato sabato 1° giugno, aveva promesso la sua prima eventuale maglia rosa all’organizzatore Renzo Bardelli. Il Memorial Giampaolo Bardelli, quindi, si fregerà dell’ambitissimo trofeo. Gianluca Barni Sostieni LaVita Abbonamento 2013 Sostenitore 2013 Amico 2013 euro 45,00 euro 65,00 euro 110,00 c/c postale 1 1 0 4 4 5 1 8 I vecchi abbonati possono effettuare il bollettino postale preintestato, e chi non l’avesse ricevuto può richiederlo al numero 0573.308372 (c/c n. 11044518) intestato a Settimanale Cattolico Toscano La Vita Via Puccini, 38 Pistoia. Gli abbonamenti si possono rinnovare anche presso Graficamente in via Puccini 46 Pistoia in orario di ufficio. Calcio - Basket Tempi Supplementari P di Enzo Cabella istoia Basket e Pistoiese calcio stanno viaggiando a gonfie vele nei playoff. La squadra di basket ha vinto le prime due gare che si sono giocate al PalaCarrara di via Fermi, superando nettamente la squadra di Scafati, sotto di 21 punti nella prima partita, di 11 nella seconda. Troppo forte il divario tra le due formazioni. Ora i biancorossi di Moretti sono chiamati a confermare anche in casa della formazione salernitana la loro superiorità. La terza partita (la prima in casa Scafati) è stata giocata ieri; se Toppo e compagni avranno saputo confermare le qualità e le prestazioni viste in gara-1 e gara-2 Pistoia dovrebbe aver acquisito il lasciapassare per andare avanti. In caso contrario, ci sarà la gara-4 per rifarsi. Le speranze generali sono comunque ben radicate, proprio per quanto la squadra di Moretti ha saputo fare nelle due partite giocate in casa. Ha ritrovato la condizione fisica che aveva un po’ perso nelle ultime gare del campionato regolare, ha visto crescere le seconde linee, in particolare Borra e Rullo, ha visto che Fajardo è un campione e sarà molto utile per le prossime sfide. Senza contare Toppo che dimostra, di partita in partita, di essere un grande capitano, non solo per il carisma ma anche per il costante miglioramento dei suoi mezzi tecnici e atletici. La Pistoiese di Massimo Morgia non finisce di stupire. Conquistato il quarto posto nei playoff, dopo una rincorsa durata undici giornate, la squadra arancione ha esordito nel mini torneo con una probante vittoria sulla Massese, che al termine del campionato regolare era arrivata seconda dietro il Tuttocuoio. C’era qualche giustificato timore sull’esito della partita di Massa, soprattutto ricordando la pesante sconfitta partita nel ritorno del torneo regolare. Ma Gambadori e compagni hanno superato la prova dimostrando di non essere inferiori a nessuno e di avere le qualità per imporre il proprio gioco. Dopo Massa, mercoledì ha giocato la finale del girone D contro il Piacenza, che in semifinale aveva sbancato lo stadio lucchese. Non sappiamo quale sia stato il risultato della sfida: se avrà vinto, avrà compiuto una grande impresa, come scalare l’Everest; in caso di sconfitta, dovremmo ugualmente applaudire la squadra di Morgia per quanto ha fatto sotto la guida di Morgia, dopo aver rischiato di cadere nel più assoluto anonimato nel campionato regolare. Ad ogni modo, sia la squadra di basket che quella di calcio meritano il plauso sincero di tutti i pistoiesi. Comunque andrà a finire, sarà un successo. LaVita Settimanale cattolico toscano Direttore responsabile: Giordano Frosini STAMPA: Tipografia GF Press Masotti IMPIANTI: Palmieri e Bruschi Pistoia FOTOCOMPOSIZIONE: Graficamente Pistoia tel. 0573.308372 e-mail: [email protected] - [email protected] Registrazione Tribunale di Pistoia N. 8 del 15 Novembre 1949 e-mail: [email protected] sito internet: www.settimanalelavita.it CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 15 MAGGIO 2013