Malattie esantematiche

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Malattie esantematiche
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CAPITOLO 82
Roberto Novati
© 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati.
Definizione
Si definisce esantema un’eruzione cutanea caratterizzata
da lesioni elementari del derma e dell’epidermide, variamente associate tra di loro; quando la lesione esantematica interessa le mucose visibili (tipicamente quelle
del cavo orale) viene definita enantema. Non tutti gli
esantemi sono di origine infettiva, potendosi avere anche
in corso di altri processi patologici, più spesso di natura
allergica (esantemi allergici). D’altra parte, gli esantemi
vanno distinti dalle svariate manifestazioni cutanee occasionalmente presenti in corso di numerose malattie
infettive, ma che di queste non costituiscono normalmente un aspetto peculiare né tanto meno patognomonico. Gli esantemi infettivi riconoscono in generale due
meccanismi patogenetici principali; il più frequente è
dovuto all’attiva moltiplicazione del microrganismo responsabile nella cute e nei vasi dermici, di solito, ma
non sempre, in seguito a diffusione ematogena. Alternativamente l’esantema è provocato dalla liberazione di
un’esotossina, come nel caso della scarlattina. Dal punto
di vista anatomopatologico, la lesione elementare negli
esantemi infettivi è costituita da un’alterazione vascolare
con infiltrazione cellulare del derma, necrosi cellulare ed
edema. Le caratteristiche semeiologiche degli esantemi infettivi costituiscono storicamente un importante aspetto
di diagnostica differenziale nell’adulto e, soprattutto, in
ambito pediatrico; gli elementi diagnostici fondamentali
si possono riassumere come segue:
• tipo di lesione elementare, che consente
di distinguere tra esantemi maculo-papulosi,
vescicolari, petecchiali ecc;
• caratteristiche epidemiologiche e cliniche, per
esempio periodo di insorgenza, durata dei sintomi
prodromici, evolutività delle lesioni;
• distribuzione delle lesioni, spesso assai tipica;
• durata dell’esantema, modalità di risoluzione dello
stesso, eventuale compresenza di un enantema.
Delle principali lesioni elementari e delle loro modalità di
formazione viene qui riportata una breve descrizione.
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Malattie
esantematiche
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• Eritema: arrossamento diffuso della cute, non
rilevato, conseguente a vasodilatazione, che
scompare con la pressione.
• Macula: piccola alterazione del colorito cutaneo,
conseguente a lesione vascolare del derma, che non
scompare con la pressione.
• Papula: rilevatezza cutanea circoscritta; è di solito
l’evoluzione della macula in seguito a infiltrazione
cellulare.
• Petecchia: piccolo punto rosso, segno di emorragia
sottoepidermica; consegue a lesione dei capillari
dermici.
• Vescicola: è una piccola raccolta di liquido chiaro;
consegue a necrosi cellulare, acantolisi ed edema
intra- e intercellulare.
• Bolla: è una vescicola di maggiori dimensioni.
• Pustola: è l’evoluzione della vescicola dopo
essudazione e accumulo intralesionale di leucociti.
• Crosta: è un’escara secca, costituita da residui
essiccati, germi e cellule epiteliali.
• Squama: esfoliazione dell’epidermide
da paracheratosi o discheratosi.
L’insieme di questi elementi consente di inquadrare agevolmente l’eziologia della maggior parte degli esantemi;
gli esantemi allergici (in particolare quelli da farmaci)
vanno sempre posti in diagnosi differenziale. Morfologicamente sono forme cliniche spesso assai simili; gli
esantemi allergici, comunque, decorrono acutamente,
non risparmiano le regioni palmo-plantari, non si accompagnano necessariamente a febbre, sono spesso
pruriginosi e tendono a risolvere con desquamazione.
Le caratteristiche principali degli esantemi sono riassunte nella tabella 82.1 . Oltre alle più note malattie
esantematiche trattate nel capitolo, meritano una citazione alcune forme cliniche, infrequenti se non rare, a
probabile eziologia infettiva a oggi non identificata o
confermata: pseudoangiomatosi eruttiva, acrodermatite
papulosa di Gianotti-Crosti, sindrome papulo-purpurea
“a guanto” e “a calza”, pitiriasi rosea, esantema laterotoracico dell’infante.
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
Tabella 82.1 Caratteristiche generali degli esantemi
Malattia
Morbillo
Periodo di
incubazione
(giorni)
9-12
Rosolia
Carattere esantema
Maculo-papuloso,
confluente
Distribuzione
Generalizzata
Durata
(giorni)
3-10
12-23
Maculo-papuloso,
non confluente
Generalizzata
2-5
Varicella
10-23
Macule, papule, vescicole,
pustole, croste
Generalizzata centripeta
7-14
Herpes zoster
–
Eritema, vescicole, croste
Lungo il decorso di un nervo
cranico o spinale
14-28
Herpes simplex
2-12
Vescicole, croste, ulcere
mucose
Plurime sedi possibili
5-28
Vaiolo
12-14
Macule, papule, vescicole,
pustole, croste
Generalizzata centrifuga
15-30
Esantema critico
9-12
Maculo-papuloso
Generalizzata o solo al tronco
1-2
Megaloeritema infettivo
5-14
Eritematoso, Maculo-papuloso
Generalizzata o localizzata al volto
6-7
Scarlattina
2-5
Maculo-papuloso
Generalizzata
2-5
Erisipela
6-10
Eritema, talora vescicole
Localizzata
3-10
Rickettsiosi esantematiche
8-15
Maculo-papuloso, petecchiale
Generalizzata
14-20
Morbillo
Eziologia
Il morbillo è un’infezione virale acuta altamente contagiosa che colpisce prevalentemente l’infanzia; l’agente
eziologico è un virus a RNA a singola elica (morbillivirus)
appartenente alla famiglia delle Paramixoviridae; dall’involucro virale protrudono i cosiddetti peplomeri, costituiti
almeno in parte da emoagglutinine e dalle proteine di
fusione. Il genoma comprende 16.000 nucleotidi e codifica per otto proteine, sei delle quali strutturali, tra cui le
glicoproteine H e F, implicate rispettivamente nell’adesione e nella penetrazione nella cellula ospite. Il morbillivirus è coltivabile in vitro in cellule renali di scimmia ove
produce un caratteristico effetto citopatico (formazione di
cellule stellate oppure di sincizi multinucleati).
Epidemiologia
L’ospite naturale dell’infezione è l’uomo. L’infezione è
ubiquitaria e rappresenta ancora oggi un grave problema
di sanità pubblica; si stima che nel 2004 il morbillo abbia provocato 450.000 decessi, almeno la metà dei quali
in Africa sub-sahariana. La situazione epidemiologica
globale è in continuo cambiamento, benché l’incidenza
del morbillo risulti drasticamente ridotta laddove è stata
introdotta e promossa la vaccinazione estensiva in età
infantile; in particolare in Africa si osserva un forte calo
di mortalità a seguito delle campagne vaccinali, mentre
in Europa e anche nel nostro Paese continuano a verificarsi riaccensioni epidemiche di una certa importanza a
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elevato costo sanitario e sociale; i casi europei notificati
nel 2005 sono stati 1291, la metà dei quali dalla Germania e 214 dall’Italia; nel nostro Paese tuttavia sono stati
segnalati nei primi 6 mesi del 2008 più di 2000 casi, specie
in adolescenti, un terzo dei quali è stato ospedalizzato.
L’inatteso fenomeno è dovuto sia all’aumento della popolazione suscettibile sul territorio (flussi migratori), sia a
tassi di copertura vaccinale insufficienti per interrompere
la trasmissione endemica dell’infezione; in Italia, in particolare, si ha una copertura vaccinale assai disomogenea
(tra il 68% e il 94% secondo le regioni), come per tutte le
vaccinazioni facoltative.
Il morbillivirus è molto labile nell’ambiente, riesce tuttavia
a sopravvivere alcune ore nelle microparticelle salivari; il
contagio, di regola diretto, avviene pertanto per inalazione
e l’infezione è probabilmente una delle più contagiose che
si conoscano. Si ritiene che i bambini suscettibili esposti a
individuo contagioso si infettino pressoché invariabilmente. Il picco della contagiosità si ha al termine del periodo
prodromico, ma l’infezione può essere trasmessa con facilità anche qualche giorno dopo l’insorgenza dell’esantema;
in anni recenti è stata dimostrata la presenza di RNA virale
nei campioni biologici in circa un terzo di pazienti dopo
circa 3 mesi dalla guarigione clinica, probabilmente in
quantità inferiori alla carica infettante.
Immunopatogenesi
Qualunque tratto di mucosa dell’apparato respiratorio può
costituire il punto di ingresso del virus; successivamente
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
Figura 82.1
Patogenesi
del morbillo.
Esantema
Cute
Severità dei sintomi
Carica virale
Fegato
Polmone
Tessuto linfatico
Sangue
Linfonodi loco-regionali
Epitelio respiratorio
5
10
15
20
a
all’infezione mucosa si ha una prima fase viremica, con
disseminazione al sistema reticolo-endoteliale (soprattutto
linfonodi e milza; Fig. 82.1), attiva replicazione virale e
seconda fase di viremia, a elevato titolo, con invasione
in toto della mucosa respiratoria. Le gittate viremiche sono facilitate dal fatto che morbillivirus infetta le linee
mononucleate del sangue (linfociti T e B e monociti). La
mucosa respiratoria infettata si presenta all’esame istologico infiltrata da numerosi elementi giganti multinucleati,
espressione di citolisi virale; vi è inoltre un importante
deficit morfofunzionale dell’epitelio ciliato, sicuramente
corresponsabile dell’aumentato rischio di complicanze
broncopneumoniche associate alla malattia. Le macchie
mucose di Koplik, seguite a breve dalla comparsa dell’esantema, coincidono tipicamente con l’attenuazione della
mucosite e dei sintomi sistemici. In questa fase della malattia è difficile isolare il virus, mentre è comune il riscontro
di una robusta immunità specifica, elementi che nell’insieme fanno ritenere che la patogenesi dell’esantema sia
legata a un meccanismo di ipersensibilità del paziente,
probabilmente dovuta a meccanismi cellulo-mediati.
L’immunità specifica che si sviluppa dopo l’infezione è
sia cellulare sia umorale. La sintesi di anticorpi specifici
conferisce una protezione permanente, a causa forse della
persistenza dell’infezione in forma latente in qualche stipite cellulare suscettibile oppure, molto più probabilmente,
in seguito alle reinfezioni successive con effetto di boosting
sulla risposta anticorpale specifica. Il morbillivirus provoca
numerose anormalità immunologiche, responsabili di una
profonda immunodepressione, causa principale delle gravi
complicanze infettive, specie polmonari, che seguono
spesso l’esantema. Parte di tali anomalie immunologiche
sembra secondaria a complesse alterazioni nell’espressione
genica linfocitaria, secondo meccanismi ancora ignoti. Si
osservano in particolare:
• linfopenia transitoria con diminuzione dei linfociti
T CD4+ e CD8+, probabilmente mediante apoptosi
linfocitaria e dei timociti;
• diminuita risposta linfoproliferativa ai mitogeni
e arresto in G0 della proliferazione dei linfociti T,
almeno in parte dovuto a diminuita espressione delle
cicline cellulari D3 ed E;
• induzione di citochine immunomodulatorie:
interleuchina (IL)-4 e -10 e minore produzione di
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Congiuntivite
Tosse
Febbre
Macchie
di Koplik
5
Giorni dal contagio
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10
15
20
Giorni dal contagio
b
IL-12, critica per lo sviluppo di immunità cellulomediata. Diminuita sintesi di interferone (IFN)-␣ e ␤;
• diminuita differenziazione terminale e presentazione
antigenica da parte delle cellule dendritiche.
Manifestazioni cliniche
La malattia, che ha una durata media di 7-10 giorni, è
preceduta da un periodo di incubazione che va da 10 a
14 giorni ed è tendenzialmente più lungo nell’adulto che
nel bambino. A esso fa seguito una fase prodromica, non
specifica, della durata di alcuni giorni, corrispondente alla
viremia secondaria con invasione della mucosa respiratoria.
Il quadro clinico nel suo insieme è quello di un’infezione
acuta e piuttosto severa delle vie aeree superiori; si ha quindi
febbre anche elevata, astenia e malessere, anoressia, tosse
non produttiva, congiuntivite bilaterale e rinite. Al termine
della sindrome prodromica, poco prima dell’insorgenza
dell’esantema compaiono le macchie di Koplik, considerate
patognomoniche del morbillo; si tratta di un enantema del
cavo orale, costituito da piccole lesioni grigiastre, scarsamente rilevate e non dolorose. Le macchie di Koplik sono
di solito poche e vanno ricercate con attenzione, soprattutto
nella mucosa prospiciente i secondi molari, dove si manifestano più spesso, per motivi per altro ignoti. Nei casi più
gravi, comunque, l’intera mucosa del cavo orale può essere
interessata. L’esantema si manifesta di solito al volto e al
collo (regioni retroauricolari), estendendosi rapidamente a
tutta la cute in direzione cranio-caudale, inclusi i palmi delle
mani e le piante dei piedi. L’esantema è di tipo eritematoso
e maculo-papuloso e le lesioni tendono a confluire dopo
pochi giorni, specie al volto e sul collo; l’esantema dura di
solito circa 5 giorni e si risolve secondo l’ordine di comparsa
delle lesioni, che possono andare incontro a fine desquamazione furfuracea, a eccezione di quelle palmo-plantari.
Nel morbillo non complicato il massimo impegno clinico si
ha di solito nelle prime 48 ore dalla comparsa dell’esantema;
nei giorni successivi la febbre scende e i sintomi sistemici si
attenuano. La tosse è spesso l’ultimo sintomo della malattia
che regredisce. Le complicanze più comuni del morbillo sono la polmonite e la meningoencefalite. La prima può essere
causata direttamente dal virus oppure, più frequentemente,
da una sovrainfezione batterica, favorita dal danno alla clearance mucociliare e dal deficit dell’immunità cellulare che
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
caratterizza la malattia. La meningoencefalite al contrario
colpisce più spesso la seconda infanzia e gli adolescenti; si
tratta di un evento fortunatamente raro (0,01-0,005% dei
casi di morbillo), caratterizzato clinicamente dalla ripresa
della febbre in corso di convalescenza e dalla comparsa di
cefalea, convulsioni, alterazioni del comportamento e dello
stato di coscienza. Sono comuni le alterazioni dell’elettroencefalogramma, possibile espressione di un’invasione virale
del sistema nervoso centrale; i quadri clinici sono di gravità
variabile e nei casi più severi sono frequenti i reliquati neurologici. Le complicanze tardive neurologiche del morbillo
sono l’encefalite da corpi inclusi e la panencefalite subacuta
sclerosante (PESS), caratterizzata dal punto di vista clinico
da un deterioramento cognitivo di tipo simil-demenziale e
da segni neurologici focali di gravità variabile. Per entrambe
le forme di encefalite è ipotizzato anche un meccanismo di
tipo autoimmunitario; a oggi, tuttavia, la loro patogenesi
rimane da chiarire.
Forme cliniche particolari
Forme attenuate di morbillo, prive di una o più delle caratteristiche salienti della malattia, si possono osservare nel
neonato (a causa del parziale effetto protettivo delle immunoglobuline [Ig] materne) e nei soggetti suscettibili sottoposti a profilassi con Ig. Al contrario, il morbillo è di solito
particolarmente grave nei bambini con deficit immunitari,
specie cellulo-mediati. La causa globalmente più frequente
di immunodeficienza cellulare infantile è notoriamente la
malnutrizione, che spiega l’elevata incidenza di polmonite,
responsabile del 50-86% dei decessi in corso di morbillo nei
Paesi in via di sviluppo. Altre cause importanti di deficit immunitari infantili, per esempio tumori e infezione da virus
dell’immunodeficienza umana (HIV, Human Immunodeficiency Virus), si associano a una letalità in corso di morbillo
che varia dal 40 al 70%; in questi pazienti il quadro clinico
è atipico anche se spesso dominato dall’interessamento
polmonare, e la diagnosi eziologica è talora ardua. Per questo motivo, nei pazienti immunodepressi probabilmente
esposti al contagio andrebbe effettuata la profilassi con Ig,
anche se in precedenza vaccinati. Il morbillo contratto in
gravidanza non induce fortunatamente danno fetale; il
neonato può comunque presentare la malattia alla nascita
o nei primi giorni di vita, in forma clinica non di rado
severa. Si raccomanda pertanto l’immunoprofilassi passiva nei neonati da madre affetta da morbillo. Il morbillo
si può manifestare anche nell’adulto, con quadri clinici
di solito più impegnativi che nel bambino, caratterizzati
dalla maggiore frequenza (almeno il 30% dei pazienti) di
complicanze infettive da sovrainfezione batterica a carico
del parenchima polmonare, dell’orecchio medio e dei seni
paranasali. Infine, il morbillo è stato associato all’eziopatogenesi della sclerosi multipla; il nesso causale non è a oggi
stato dimostrato ma nemmeno escluso, quantomeno per
alcune varianti cliniche della malattia.
Diagnosi
La diagnosi di morbillo è facile nella maggior parte dei
casi in base alla tipica presentazione clinica (sintomi prodromici, macchie di Koplik, caratteristiche dell’esantema).
Eventuali indagini ematochimiche dimostrano non di
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rado un discreto grado di leucopenia. In casi particolari o
atipici (pazienti immunodepressi), la diagnosi può essere
circostanziata mediante la ricerca nel siero degli anticorpi
specifici che può essere effettuata con svariate metodiche, tra le quali la più adatta all’impiego clinico è quella
immunoenzimatica (ELISA). Un aumento del titolo degli
anticorpi specifici tra siero acuto e siero convalescente di
almeno quattro volte viene considerato diagnostico di
morbillo; in alternativa, alla stessa conclusione si può arrivare mediante il riscontro nel siero delle IgM specifiche,
espressione di un’infezione primaria. Infine, le metodiche
di isolamento virale da campione biologico, complicate
e dispendiose, sono a disposizione di pochi laboratori di
riferimento, per situazioni cliniche del tutto particolari.
Terapia e profilassi
La terapia del morbillo è sintomatica nella stragrande
maggioranza dei casi; le complicanze vanno affrontate
quindi in relazione al quadro clinico dominante (per
esempio, assistenza respiratoria in corso di polmonite).
Numerose sperimentazioni cliniche hanno dimostrato
l’efficacia della vitamina A nel ridurre la mortalità del
morbillo, a seguito di un effetto protettivo sulle barriere epiteliali e di effetti immunologici ancora non
delucidati. Tra i farmaci antivirali è stata sperimentata la ribavirina nella polmonite da morbillivirus, ma
l’efficacia del farmaco non è stata per ora definita;
da uno studio recente sono inoltre emersi risultati
incoraggianti nell’uso di IFN-␣ per via orale nel morbillo infantile non complicato. Per quanto riguarda la
terapia della PESS si è osservato un aumento della sopravvivenza nell’animale da esperimento dopo terapia
intrarachidea con elevate dosi di IFN-␣ e ribavirina in
associazione. Studi molto recenti hanno dimostrato un
certo grado di sinergia tra i farmaci citati e il metisoprinolo, con parziale recupero neurologico in qualche
caso. L’immunoprofilassi passiva si effettua mediante
Ig nei casi citati in precedenza. Il vaccino contro il
morbillo è stato introdotto negli Stati Uniti nel 1963;
dapprima il vaccino conteneva virus ucciso, successivamente si preferì virus vivo attenuato, per la migliore
efficacia. Sono oggigiorno disponibili numerosi vaccini
attenuati antimorbillo, in grado di indurre immunità
specifica cellulare e umorale; la schedula vaccinale
italiana prevede il vaccino trivalente morbillo-parotiterosolia (MPR), con una somministrazione a 12-15 mesi
di vita e un richiamo a 5-6 anni di età, che sembra
garantire tassi di sieroconversione superiori al 95%
dei bambini vaccinati, anche se con livelli anticorpali
inferiori e di minore durata di quanto osservato nell’infezione naturale. La vaccinazione è sconsigliata prima
dei 12 mesi di vita per la possibile interferenza da parte
di anticorpi materni specifici residui. Il vaccino vivo
attenuato è teoricamente controindicato nei bambini
immunodepressi, dove l’opportunità della vaccinazione va considerata in ogni singolo caso, ma è comunque raccomandato nei bambini HIV+ asintomatici,
secondo la normale schedula vaccinale. L’osservazione
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sporadica di qualche caso di sospetta PESS in soggetti
vaccinati ha, in anni passati, posto il dubbio che tale
complicanza potesse essere causata anche dal virus
vaccinico, contribuendo a rallentare l’introduzione
della vaccinazione estensiva in molti Paesi; tuttavia,
nessuno dei casi sospetti è stato in seguito confermato
e va aggiunto che l’incidenza della PESS è al contrario
drasticamente ridotta nei Paesi dove è stata introdotta
la vaccinazione, con riduzione conseguente dei casi di
malattia. Dal 2001 infine è stata esclusa l’associazione
tra vaccinazione MPR e autismo.
Eliminazione del morbillo
Nel 2001 è stata lanciata un’ambiziosa campagna internazionale di vaccinazione antimorbillo con l’obiettivo di
diminuire del 90% la mortalità per questa malattia entro il
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2010; in Africa sono stati vaccinati 478 milioni di bambini
in 5 anni, con una riduzione della mortalità per morbillo
del 91% già nel 2006. In Italia a fine 2003 è stato approvato
il “Piano di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita” con l’obiettivo di raggiungere e mantenere coperture
vaccinali superiori al 95% entro i 2 anni di età, vaccinare i
bambini oltre i 2 anni e gli adolescenti suscettibili e introdurre una seconda dose di vaccino. Numerosi esperti ritengono che il morbillo possa essere eliminato nonostante la
sua elevata contagiosità; a tal fine sono in corso di studio
nuovi vaccini monodose, termostabili, efficaci anche nel
neonato e il più possibile economici, per esempio vaccini
a DNA circolarizzato o vaccini ingegnerizzati, che usano
vettori alternativi dei geni virali (virus parainfluenzali,
enterobatteri), in qualche caso somministrabili per via
nasale. Sforzi particolari saranno inoltre richiesti per la
sorveglianza dei casi e la creazione-mantenimento delle
anagrafi vaccinali, specie in Africa.
Rosolia
La rosolia è una malattia esantematica acuta dell’infanzia e
dell’età adulta; spesso asintomatica, nei casi clinicamente
evidenti si manifesta con un tenue esantema morbilliforme, febbre e linfoadenopatia. Occasionalmente nell’adulto può provocare un’artrite polimorfa, ma l’importanza
della rosolia resta soprattutto legata all’infezione fetale,
per l’elevato rischio di malformazioni neonatali.
Eziologia
L’agente eziologico della rosolia è un virus a RNA, rubella virus, appartenente al genere Rubivirus, famiglia Togaviridae; appare sferoidale al microscopio elettronico, il genoma è rivestito da un nucleocapside del diametro di circa 30 nm, ricoperto
da un envelope del diametro di circa 60 nm. Si conoscono tre
proteine strutturali (E1, E2 e C) ed è supposta l’esistenza di
proteine non strutturali implicate nella trascrizione del genoma e nella replicazione virale. Il virus è coltivabile in vitro in
linee cellulari suscettibili ma non produce effetti citopatici;
la sua presenza in coltura può essere dimostrata mediante
tecniche di interferenza virale. È instabile nell’ambiente, essendo tra l’altro rapidamente inattivato dai detergenti e dagli
estremi di temperatura e di pH. Sono stati identificati alcuni
differenti genotipi, privi di significato clinico.
Epidemiologia
In era prevaccinale la rosolia si manifestava con epidemie
minori ogni 7-8 anni e con epidemie maggiori ogni 30 anni
circa, l’ultima delle quali, nel 1969, colpì almeno 12 milioni
di persone solo negli Stati Uniti. L’uomo è l’unico serbatoio
di infezione; il virus viene trasmesso per inalazione diretta
di microparticelle salivari dai pazienti da 10 giorni prima
a 15 giorni circa dopo la comparsa dell’esantema. Data
anche la labilità ambientale del virus, l’infezione è scarsamente contagiosa (assai meno di morbillo e influenza),
richiedendo contatti abbastanza stretti e prolungati. Al
contrario, i neonati affetti da rosolia congenita eliminano
elevate quantità di virus da numerose secrezioni organiche
e per lunghi periodi di tempo, spesso anche in presenza di
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anticorpi neutralizzanti. L’incidenza della rosolia è maggiore
in primavera e tra i bambini in età scolare (5-10 anni). Da
qualche anno, per la diffusione della vaccinazione estensiva,
sono divenuti relativamente più frequenti i casi adulti; la
sieroprevalenza per anticorpi specifici nella popolazione
generale è peraltro inferiore a quella del morbillo (80-90%
contro almeno il 95%). In Italia la vaccinazione antirosolia
viene raccomandata dal 1972 alle ragazze prepubere e dai
primi anni Novanta a tutti i bambini nel secondo anno di
vita. Ciononostante, la copertura vaccinale dai 12 ai 24 mesi
benché in crescita (56% nel 1998, 78% nel 2003 e 85% nel
2004) risulta ancora subottimale, specie in causa delle ampie
variazioni inter-regionali e tenendo conto che l’immunità di
gregge si manifesta per tassi di copertura vaccinale non inferiori all’80%. Di conseguenza, il virus della rosolia continua
a circolare in Italia e nel 1996 più del 5% delle donne di età
compresa tra i 15 e i 39 anni è risultato suscettibile all’infezione. L’ultima epidemia di rosolia in Italia si è verificata
nel 2002, con 6224 casi notificati; l’incidenza è da allora
in diminuzione, con soli 257 casi notificati nel 2006; nel
2005 inoltre è stata introdotta la sorveglianza della rosolia
in gravidanza e congenita, con notifica di sette casi, tre dei
quali in donne straniere. Sempre nel 2005 i casi europei
notificati sono stati 1498, con’incidenza cumulativa dello
0,51 /100.000 persone. Recentemente la rosolia è stata dichiarata eliminata negli Stati Uniti e in Scandinavia. Come
per numerose infezioni prevenibili, sono possibili casi sporadici o focolai epidemici a seguito dei flussi migratori di
persone provenienti da aree geografiche disomogenee.
Immunopatogenesi
La patogenesi della rosolia è simile a quella del morbillo;
vi sono due fasi viremiche, favorite probabilmente dall’infezione dei leucociti, separate tra loro dal tempo necessario per la disseminazione negli organi linfoidi. Come nel
morbillo, la comparsa dell’esantema coincide con la risoluzione della fase viremica; benché il virus sia stato isolato
dalle lesioni cutanee, è verosimile che l’esantema derivi
da un meccanismo immuno-mediato, come nel morbil-
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
lo, forse attraverso la formazione di immunocomplessi.
All’infezione segue lo sviluppo di un’immunità specifica
sia umorale sia, molto probabilmente, anche cellulo-mediata, sufficientemente protettiva ma che non sembra in
grado di conferire sempre una protezione permanente.
È stato dimostrato in anni recenti che non sono rare le
reinfezioni, anche in gravidanza, in soggetti con anticorpi
specifici contro il virus della rosolia; si tratta tuttavia di
eventi quasi sempre asintomatici, messi in luce in corso
di studi epidemiologici dall’aumento improvviso dei titoli
anticorpali specifici accompagnati, occasionalmente, da
sintomi aspecifici a carico delle vie aeree superiori.
con un decorso clinico che può essere prolungato senza
tuttavia mostrare una tendenza alla cronicizzazione; l’artrite rubeolica è invece rara nel sesso maschile e nei bambini. La trombocitopenia in corso di rosolia è abbastanza
comune (circa un caso su 3000), anche se quasi sempre di
lieve entità; sono tuttavia apparse alcune segnalazioni di
incidenti emorragici gravi (a danno, per esempio, dell’encefalo, del rene o della retina) in seguito a trombocitopenia
acuta grave. Una complicanza infrequente della rosolia è
l’epatite acuta di modesta gravità, mentre fortunatamente
molto rara (un paziente su 6000 circa) è l’encefalite, più
frequente nell’adulto che nel bambino, gravata da un tasso
di letalità tra il 20 e il 50%.
Manifestazioni cliniche
Rosolia acquisita La rosolia acquisita postnatale è asintomatica nel 20-50% dei casi ed è di regola una forma clinica
lieve nell’infanzia, talvolta più impegnativa nell’adulto, nel
quale non sono rari i sintomi prodromici (febbre, malessere,
anoressia), che precedono l’esantema di alcuni giorni. Anche
nel bambino risulta molto suggestiva, benché non patognomonica, la linfoadenopatia superficiale, che interessa caratteristicamente i linfonodi auricolari posteriori e retronucali
e persiste per 10-14 giorni dopo la scomparsa dell’esantema;
frequente ma non costante è la febbre, che regredisce di
solito alla comparsa dell’esantema. Specie nel bambino si
può osservare un enantema petecchiale del palato molle
(chiazze di Forscheimer), caratteristico ma non patognomonico. L’esantema, non sempre presente, esordisce al volto
per diffondere successivamente in direzione caudale; dura
da 3 a 5 giorni ed è costituito da lesioni maculo-papulose
tenuamente pigmentate, non confluenti (utile elemento
di diagnosi differenziale con il morbillo) che tendono a
desquamare durante la convalescenza (Fig. 82.2).
Il decorso clinico della rosolia postnatale è quasi sempre benigno, la malattia guarisce in pochi giorni e le complicanze
descritte sono molto meno frequenti che nel morbillo.
Merita una citazione l’artrite delle piccole articolazioni, che
si manifesta in forma da lieve a moderata in una elevata
percentuale (fino al 70%) delle donne colpite da rosolia,
Figura 82.2
Aspetto clinico
della rosolia.
Diagnosi
(Da: Moroni M, Esposito R, de Lalla S. Manuale di malattie infettive. 7ª ed. Milano:
Masson; 2008.)
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Rosolia congenita La rosolia può avere effetti disastrosi se
contratta nella prima fase della gravidanza, potendo portare
a morte fetale, parto prematuro o a una pletora di difetti
congeniti. L’incidenza annua dei casi di rosolia congenita
dipende dalla sieroprevalenza e quindi dalla circolazione del
virus nella popolazione adulta ed è fortemente diminuita dopo l’introduzione della vaccinazione. Gli effetti della rosolia
sul feto dipendono dal momento del contagio; nel primo
trimestre il virus infetta tutti gli organi fetali con grave danno
all’organogenesi. Pertanto, quanto più precoce è l’infezione
tanto più gravi sono i danni al feto. Nelle prime 12 settimane
di gestazione la percentuale di contagio fetale sfiora l’80%,
con elevato rischio di aborto spontaneo o di difetti multipli,
meno gravi se l’infezione materna è asintomatica; già al terzo
mese si hanno prevalentemente difetti singoli (sordità o malformazioni cardiache) con una probabilità di contagio fetale
del 30-35%, che scende al 10% circa al quarto mese ed è solo
occasionale dopo le 20 settimane di gestazione. Gli effetti
della rosolia congenita sono di tipo transitorio, come il basso
peso alla nascita, permanente, come la sordità, oppure legati
allo sviluppo, come la miopia; a tale proposito non sono rare
le infezioni persistenti ad andamento progressivo, a patogenesi poco nota. L’elenco delle conseguenze della rosolia sul
feto è molto ampio; oltre a quelli già citati sono comunque
relativamente comuni la porpora trombocitopenica, la meningoencefalite, la cataratta, il glaucoma, la pervietà del
dotto di Botallo, la stenosi dell’arteria polmonare, i disturbi
del linguaggio, la microcefalia e il ritardo mentale.
Dato lo scarso rilevo dei sintomi, la diagnosi clinica di rosolia risulta non di rado disagevole, potendo la malattia essere
confusa con una forma lieve di morbillo, con il megaloeritema infettivo, la toxoplasmosi linfoghiandolare acuta,
la mononucleosi infettiva e la scarlattina. In aree tropicali
o al ritorno dai Tropici entrano in diagnosi differenziale
almeno la febbre Dengue, il Chikungunya e l’infezione
da virus West Nile. La diagnosi di certezza si può avvalere
dell’isolamento virale, complicato e dispendioso, della PCR
(Polymerase Chain Reaction), oppure dello studio della
cinetica anticorpale, effettuato di solito con tecnica ELISA.
L’aumento di almeno quattro volte del titolo delle IgG specifiche o la comparsa di IgM è diagnostico di rosolia; oggi
in Italia gli anticorpi anti-rubivirus vengono misurati di
routine alla prima visita in gravidanza. La comparsa di IgM
in un soggetto già positivo per IgG indica probabilmente
una reinfezione. In ogni caso, particolari cautela e acume
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
andranno spesi in presenza di una possibile rosolia in gravidanza, specie nel caso di un’anamnesi vaccinale non chiara.
L’infezione congenita va diagnosticata ricercando nel siero
del neonato le IgM specifiche, che non passano la barriera
placentare; le metodiche di ibridazione molecolare (in situ
hybridization oppure PCR per rubella virus RNA) sono state
impiegate in alcuni studi per la diagnosi di rosolia fetale, su
sangue fetale dopo funicolocentesi o su biopsia placentare,
ma l’interesse clinico di tale approccio diagnostico è ancora
oggetto di discussione, anche per la difficoltà a escludere
falsi negativi (e le inerenti responsabilità medico-legali).
Terapia e profilassi
Non si conoscono antivirali attivi e la terapia della rosolia è solo sintomatica, quando necessario (per esempio, in caso di artralgie); il trattamento della rosolia in
gravidanza con Ig non sembra in grado di prevenire
la viremia fetale e non è attualmente raccomandato
dalla maggior parte degli autori. Il virus della rosolia, isolato per la prima volta nel 1962, fu attenuato
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nel 1966; il programma di vaccinazione estensiva presenta alcune variazioni a seconda dei Paesi, ma ha ovunque l’obiettivo primario di immunizzare le bambine
prima della pubertà e dunque di prevenire la malattia
fetale. Il vaccino attualmente in uso (RA 27/3) stimola
inoltre la secrezione di IgA secretorie e umorali specifiche, contribuendo ad aumentarne l’efficacia; il tasso di
sieroconversione postvaccinale è del 95% circa e non vi
sono per ora dati sull’estinzione nel tempo dell’immunità acquisita. Il vaccino è ben tollerato, anche se non sono rari modesti effetti collaterali (febbre, linfoadenopatia
superficiale e, soprattutto, artralgie) correlati alla viremia
da virus attenuato; non è controindicata la vaccinazione delle persone con infezione da HIV. Per il rischio,
peraltro molto basso (3% dei casi), di trasmissione al
feto, il vaccino non va eseguito in gravidanza e la donna
dovrebbe astenersi dall’intraprendere una gestazione nei
3 mesi successivi alla vaccinazione. In molti Paesi, compresa l’Italia, viene somministrato il vaccino trivalente
MPR in due dosi (12-15 mesi di vita, con richiamo a 5-6
anni), all’interno di un piano nazionale di eliminazione
e sorveglianza della malattia, già discussi.
Herpes simplex virus (malattia erpetica)
Eziologia
L’Herpes Simplex Virus (HSV) appartiene all’importante
famiglia delle Herpesviridae, comprendente anche Varicella
Zoster Virus (VZV), l’Epstein-Barr Virus (EBV), il cytomegalovirus (CMV) e lo Human Herpes Virus-6 (HHV-6), responsabile dell’esantema critico. In anni recenti sono state
scoperte altre due Herpesviridae:
• HHV-7, un virus linfotropo, ad alta sieroprevalenza
nella popolazione generale, responsabile di alcuni
casi di esantema critico, ma tuttora non associato a
patologie particolari;
• HHV-8, virus linfotropo, che viene isolato anche dal
plasma seminale e dalla saliva e presenta elevati tassi di
sieroprevalenza nella popolazione sessualmente attiva;
questo virus è certamente implicato nell’eziopatogenesi
del sarcoma di Kaposi, tanto da essere da alcuni autori
denominato Kaposi-Sarcoma-Herpes Virus (KSHV), e
anche dei linfomi delle cavità sierose.
Tutte le Herpesviridae hanno un genoma costituito da DNA a
doppia elica e possiedono la caratteristica comune di indurre dopo l’infezione primaria un’infezione latente nell’ospite
con la possibilità di recidivare a distanza variabile di tempo.
I meccanismi che determinano la latenza virale non sono
per ora completamente chiariti.
L’HSV comprende due sierotipi classici, HSV-1 e -2, distinguibili per i differenti pattern di espressione antigenica,
per alcune caratteristiche in coltura e, soprattutto, per i
peculiari aspetti clinici ed epidemiologici correlati; il genoma virale è rivestito da un capside icosaedrico costituito
da 162 capsomeri e da una membrana esterna lipoproteica
(envelope). Il diametro del virione maturo è di 150-200 nm;
la replicazione virale avviene nel nucleo della cellula ospite,
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che va incontro a lisi in seguito alla produzione di nuova
progenie virale. In vitro, HSV cresce nelle cellule renali di
coniglio e in altre linee cellulari.
Epidemiologia
Le infezioni da HSV, note dall’Antichità, rappresentano
una delle malattie più diffuse e più frequenti del genere
umano; benché alcune specie animali siano suscettibili
all’infezione, l’uomo è quasi sicuramente l’unico serbatoio
naturale del virus. HSV-1 provoca nell’80-90% dei casi
un’infezione della mucosa labiale o del cavo orale e occasionalmente un’infezione genitale; HSV-2, al contrario,
provoca un’infezione uro-genitale nel 70-90% dei casi e
un’infezione labiale nella restante minoranza dei pazienti.
L’infezione viene trasmessa di regola per contatto diretto
con secrezioni infette, del cavo orale nel caso di HSV-1 e
genitali nel caso di HSV-2; sono ovviamente più contagiosi i pazienti con lesioni attive (visibili), ma l’infezione può
essere trasmessa anche dai portatori asintomatici. L’infezione da HSV-1 presenta elevati tassi di sieroprevalenza
già dalla seconda infanzia (57-80% di adulti sieropositivi
negli Stati Uniti) ed è maggiormente diffusa nelle fasce
di popolazione di basso livello socioeconomico; una categoria particolare di soggetti a rischio è data da alcuni
operatori sanitari come i dentisti e gli operatori ospedalieri di area critica. Negli Stati Uniti si stima che circa un
terzo della popolazione adulta abbia da uno a sei episodi
annui di herpes labiale ricorrente. L’infezione da HSV-2
riflette invece le abitudini sessuali della popolazione ed è
pertanto presente a partire dal secondo decennio di vita;
la sieroprevalenza negli stati Uniti è del 22% e il 38% dei
pazienti ha almeno sei episodi di herpes genitale ricorrente. Come per altre malattie a trasmissione sessuale,
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
l’herpes genitale favorisce la trasmissione di HIV. In Italia
nel 2004, in soggetti non ad alto rischio, la sieroprevalenza per HSV-1 era del 51,6% e del 5,5% per HSV-2, più
alta al Nord. Per entrambe le forme cliniche, l’infezione
primaria può guarire in assenza di sequele oppure esitare
in episodi ricorrenti; sia l’herpes labiale sia il genitale
tendono a recidivare almeno una volta nel 60-90% dei
pazienti, di solito in seguito a eventi scatenanti, tra i quali
sono ben noti l’esposizione prolungata ai raggi solari, gli
stress emotivi e i traumi; nella metà circa dei pazienti
l’incidenza delle recidive è bassa (una ogni 6-12 mesi). Le
recidive sono imputabili a una riattivazione dell’infezione
latente, anche se sono state descritte reinfezioni.
Patogenesi
Il virus infetta inizialmente le cellule parabasali e intermedie dell’epitelio; in seguito alla replicazione virale si
ha degenerazione balloniforme delle cellule infettate,
formazione di elementi multinucleati e lisi cellulare. Sono
caratteristici i cosiddetti inclusi intranucleari di Cowdry.
L’infezione si propaga per contatto cellulare diretto e
il corrispettivo anatomico di tali eventi è la vescicola
erpetica su base infiammatoria, indistinguibile da quella
provocata dal VZV. L’infezione primaria induce presto
una risposta infiammatoria specifica, sia umorale sia cellulare, con accumulo intralesionale di linfociti attivati e
citotossici, di macrofagi e produzione locale di citochine
e di chemochine. La risposta infiammatoria, specie quella
cellulo-mediata, circoscrive l’infezione impedendone la
disseminazione per via ematica, che si verifica invece nei
pazienti immunodepressi, nei quali è invece frequente la
disseminazione a numerosi organi e apparati. Al termine
dell’infezione primaria inizia il periodo di latenza, caratterizzato dalla localizzazione del virus nei gangli sensitivi afferenti la lesione cutanea, probabilmente dopo diffusione
centripeta lungo il nervo sensitivo. Come già accennato,
i meccanismi che inducono la latenza non sono ancora
chiari; sembra comunque che il virus infetti il neurone
sensitivo periferico con produzione solo di proteine precoci non strutturali in assenza di ciclo litico.
Manifestazioni cliniche
Infezione primaria L’infezione primaria da HSV è spesso
asintomatica; nei casi sintomatici l’infezione presenta numerose forme cliniche possibili, anche se alcuni quadri sono più frequenti e più caratteristici. La gengivo-stomatite
erpetica è la forma più comune di infezione primaria da
HSV-1 ed è comune in età pediatrica (2-5 anni di età). Dopo un periodo di incubazione di circa 10 giorni, l’infezione si presenta dapprima con febbre e faringite eritematosa,
cui segue a breve un’importante eruzione vescicolare con
interessamento più o meno esteso delle mucose del cavo
orale e labiale; si associano linfoadenopatia dolente sottomandibolare, febbre, dolori muscolari diffusi e astenia
importante. Il dolore locale è spesso molto importante e
tale da limitare l’introduzione di alimenti solidi e liquidi,
con rischio di disidratazione. Le vescicole vanno incontro
rapidamente a ulcerazione e sanguinano con facilità. La
guarigione si ha in 10-15 giorni e la diagnosi differenziale
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si pone con le forme più gravi di faringite, compresa la
difterite e alcune forme di stomatite aftosa di probabile
origine autoimmune.
L’infezione primaria genitale è di solito causata da HSV-2 e
si verifica nella popolazione sessualmente attiva (se determinata da HSV-1 il quadro clinico è di solito meno severo);
il periodo di incubazione è di 5 giorni circa ed è seguito
da un’eruzione vescicolare su base eritematosa, cui segue
la rottura delle vescicole il cui fondo viene ricoperto da
un essudato grigiastro. Nella donna si accompagna spesso
una vaginite essudativa; sono comuni i sintomi sistemici
(febbre e malessere) e la linfoadenopatia dolente inguinale. Se le lesioni interessano l’uretra, compaiono disuria e
talvolta ritenzione urinaria. Una complicanza caratteristica
è la neurite sensitivo-motoria dei plessi pudendi e dell’innervazione del pavimento perineale, tale da comportare
disturbi sfinterici. L’herpes primario genitale guarisce di
solito in 15-20 giorni e la diagnosi differenziale si pone con
altre malattie a trasmissione sessuale, compresa la sifilide
primaria. La prima infezione erpetica si può verificare in
altri siti cutanei e mucosi, spesso in relazione a esposizione professionale (personale sanitario), ponendo talvolta
problemi di diagnosi differenziale; è il caso, per esempio,
della localizzazione alle dita delle mani, che può essere
erroneamente interpretata di origine batterica. Infine, l’infezione primaria a livello oculare provoca di solito blefarocongiuntivite monolaterale, a prognosi favorevole, che può
tuttavia complicarsi con una cheratite, da seguire e curare
con particolare attenzione per le possibili sequele.
Infezione ricorrente Comunemente meno severa dell’infezione primaria sintomatica, è preceduta da sintomi
prodromici (dolore locale e sensazione di bruciore) della
durata variabile da poche ore a 2-3 giorni. L’herpes labiale si presenta come una lesione vescicolare che evolve
alla fase ulcerativa e crostosa in 3-4 giorni; la sede più
comune di presentazione è il labbro inferiore, ma non
sono rare le localizzazioni alla mucosa nasale o al cavo
orale. È caratteristica la tendenza, peraltro inspiegata, a
recidivare sempre nella stessa sede nel singolo paziente.
Il diametro della lesione raramente supera 1 cm e la guarigione avviene sempre entro 10 giorni. L’herpes genitale
ha tempi di guarigione lievemente superiori e la lesione
può essere più voluminosa, specie nel sesso femminile,
dove interessa più spesso la mucosa delle piccole e grandi
labbra. Nei due terzi circa dei casi non trattati si ha uno
spontaneo diradarsi nel tempo delle ricorrenze di malattia
fino alla guarigione. La cheratite erpetica ricorrente è di
solito monolaterale; si associa a fotofobia e dolore e nei
casi più gravi (frequenza e gravità delle recidive, specie nei
pazienti impropriamente trattati con corticosteroidi per
uso topico) si può complicare con ulcerazioni corneali,
neovascolarizzazione della cornea e uveite, tutti eventi in
grado di compromettere la visione, fino alla cecità.
Forme cliniche particolari La manifestazione clinica più
grave è l’encefalite erpetica, complicanza rara ma importante dell’infezione da HSV-1, descritta nel Capitolo 85.
L’infezione neonatale colpisce un neonato su 5000 circa,
con un quadro clinico che può variare da un esantema
lieve localizzato a un’infezione disseminata ad alto tasso
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
di letalità, che si presenta con ittero, epatosplenomegalia,
diatesi emorragica, convulsioni e vescicole cutanee. La
diagnosi differenziale si pone con altre gravi infezioni
congenite (rosolia e toxoplasmosi) e la mortalità supera
l’85% dei pazienti; quasi tutti i piccoli pazienti hanno
evidenza di interessamento neurologico, manifesta dal
quadro clinico e facile da circostanziare dall’analisi del
liquido cefalorachidiano (pleiocitosi linfocitaria e iperproteinorrachia). Nei casi lievi la malattia erpetica neonatale
si manifesta solo con le lesioni tipiche, variamente diffuse
a cute e mucose. Infine, l’infezione congenita da HSV può
provocare aborto e parto prematuro. Nei pazienti affetti
da immunodeficienza, malnutriti, defedati o con gravi
alterazioni dell’integrità cutanea, l’infezione da HSV si
presenta sovente con forme cliniche di particolare gravità,
con interessamento viscerale a carico soprattutto dell’apparato respiratorio (polmoniti interstiziali) e dell’apparato
digerente (esofagite, enterocolite ed epatite), che sono
descritte approfonditamente nel Capitolo 86.
Diagnosi
La diagnosi di infezione primaria da HSV e di herpes ricorrente è agevole sulla scorta del quadro clinico; il dubbio
diagnostico può insorgere per alcuni pazienti con infezione primaria, nella malattia neonatale e in alcune forme
di interessamento viscerale dell’ospite compromesso. In
questi casi va effettuato l’isolamento virale dal materiale
biologico, più spesso e preferibilmente dal liquido vescicolare o dall’essudato raccolto dal fondo di un’ulcera. I
preparati istologici mostrano la degenerazione balloniforme delle cellule epiteliali e la presenza delle cellule
giganti multinucleate, reperti tipici ma non patognomonici, mentre le tecniche di immunoistochimica con anticorpi monoclonali possono circostanziare la diagnosi e il
sierotipo responsabile dell’infezione. Infine, le tecniche
sierologiche (in immunofluorescenza o immunoenzimatiche) consentono la ricerca nel siero di anticorpi specifici
di classe IgG e IgM e sono utili soprattutto dal punto di
vista epidemiologico, a esclusione dell’infezione primaria,
nella quale sono dimostrabili le IgM specifiche.
Terapia e profilassi
La terapia antierpetica si avvale essenzialmente di tre
farmaci attivi per via topica e/o sistemica, in grado di
inibire selettivamente la DNA-polimerasi degli herpes
virus, aciclovir, valaciclovir e famciclovir, tutti convertiti nella forma attiva all’interno delle cellule infette da HSV e per questo motivo ottimamente tollerati.
Nell’infezione primaria, soprattutto genitale, e nelle
forme gravi e/o complicate, è indicato il trattamento
antivirale, in grado di ridurre la durata dei sintomi
e del periodo di contagiosità, ma probabilmente di
scarso effetto sulle recidive. I trattamenti consigliati
sono aciclovir in prima linea (15 mg/kg, 5 volte al
giorno per 1 settimana), valaciclovir o famciclovir in
alternativa per il trattamento ambulatoriale (minor
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numero di compresse). L’herpes ricorrente è scarsamente influenzato dalla terapia, specie la forma genitale. La terapia anti-HSV, apparentemente semplice,
può indurre in confusione, dovendosi distinguere tra
terapia soppressiva ed episodica, infezione primaria
e postprimaria, herpes orale e genitale e, non ultimo, tra le posologie dei farmaci citati. Gli approcci
terapeutici sono di tre tipi: 1) terapia episodica intermittente; 2) terapia soppressiva cronica; e 3) terapia
soppressiva intermittente.
La terapia episodica intermittente è efficace se iniziata
precocemente (durante il periodo prodromico); i farmaci citati sono in grado di abbreviare durata e intensità
dei sintomi, se somministrati per via sistemica, mentre
i risultati della terapia topica sono contrastanti.
La terapia soppressiva cronica è indicata se le recidive
sono particolarmente frequenti (sei o più episodi annui), severe e/o psicologicamente disturbanti; gli studi
controllati hanno dimostrato l’efficacia di aciclovir e
valaciclovir nel ridurre frequenza e durata delle recidive
di herpes sia labiale sia genitale, al prezzo di periodi
prolungati di trattamento (da 4 mesi fino a 1 anno per
l’aciclovir; la durata ideale della terapia soppressiva non
è standardizzata e va individualizzata). In molti pazienti, specie affetti da herpes genitale, le recidive comunque
riprendono a uguale frequenza e intensità dopo qualche
tempo dalla sospensione della terapia soppressiva.
La terapia soppressiva intermittente o terapia anticipatoria è efficace e consigliata, agli stessi dosaggi della
soppressiva cronica, ma per periodi molto più brevi, in
previsione di un evento scatenante (esposizione acuta e
intensa alle radiazioni solari), nei soggetti predisposti.
Per tutti i farmaci antierpetici fin qui citati è stato
dimostrato un effetto solo minimo contro l’infezione
latente a livello dei gangli sensitivi dorsali nell’animale da esperimento. In anni recenti infine sono stati
segnalati numerosi casi di resistenza virale all’aciclovir, soprattutto nei pazienti immunocompromessi in
trattamento prolungato; per questi ultimi la terapia
con fosfonoformato (foscarnet), brivudina o con cidofovir topico può costituire un’alternativa efficace.
Altri farmaci attivi contro HSV sono la vidarabina e
la trifluorotimidina, utilizzati per lo più nella terapia
topica della cheratite erpetica. Alcuni vaccini antierpetici sono in fase di studio, sia per la prevenzione
primaria dell’infezione, specie da HSV-2, sia per la
prevenzione delle recidive (vaccino terapeutico, assai
più promettente); l’approccio più innovativo consiste
nell’utilizzo di vaccini a DNA che esprime alcune
citochine-adiuvanti in grado di modulare la risposta
immune verso modelli di risposta Th1 o Th2.
La profilassi dell’infezione da HSV differisce in relazione alle diverse forme cliniche dell’infezione; si raccomanda quindi l’uso dei guanti nei lavoratori della
sanità (gabinetti odontoiatrici) e del profilattico per
evitare il contagio sessuale. I pazienti con forme estese
cutaneo-mucose andrebbero posti in isolamento cutaneo, mentre nella gravida affetta da herpes genitale si
dovrà valutare l’indicazione al parto cesareo.
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
Varicella e herpes zoster
Il VZV causa prevalentemente due distinte forme cliniche.
La varicella è l’espressione dell’infezione primaria; si tratta
di una malattia esantematica tipicamente infantile, dal
decorso clinico di solito benigno, a diffusione ubiquitaria
e andamento epidemico. L’herpes zoster invece colpisce di
solito l’anziano o l’ospite immunocompromesso e rappresenta la recidiva, di solito localizzata, dell’infezione. Entrambe le forme cliniche rivestono un’importanza sanitaria
e sociale non trascurabile, data l’elevata diffusione e il conseguente notevole assorbimento di risorse sanitarie.
Eziologia
VZV appartiene al genere Varicellovirus, sottofamiglia Alphaherpesviridae, famiglia delle Herpesviridae; è un virus a
simmetria icosaedrica, del diametro di circa 150-200 nm.
Il virione è costituito da DNA a doppia elica che codifica
70 geni, rivestito da un nucleocapside e da un involucro
glicolipidico. L’espressione sequenziale dei geni porta alla
sintesi di proteine precoci non strutturali e strutturali e
di proteine strutturali tardive. Il genoma è molto conservato e a oggi sono noti tre genotipi. Il virus è labile
nell’ambiente e viene inattivato dai comuni detergenti,
dall’etere e dall’essiccamento; si propaga sia in vivo sia in
vitro prevalentemente per contatto cellulare diretto ed è
coltivabile in linee cellulari suscettibili.
Epidemiologia
Varicella L’infezione colpisce soggetti suscettibili, prevalentemente i bambini da 1 a 9 anni di età; nell’area tropicale
la malattia si manifesta più tardi e interessa più spesso gli
adulti. La varicella è endemica e si manifesta durante tutto
l’anno, con un’incidenza tuttavia lievemente superiore nel
primo trimestre. Il virus si replica nel nasofaringe e nelle vie
aeree superiori e viene eliminato con le secrezioni respiratorie a partire da 2 giorni prima della comparsa dell’esantema
e dalle lesioni cutanee fino a 5-7 giorni dopo. Nei pazienti
immunocompromessi il periodo di contagiosità arriva a
qualche settimana; il contagio è diretto per inalazione e
richiede un contatto abbastanza ravvicinato. L’infezione
è molto contagiosa e si stima che il 70-90% dei contatti
domestici di un paziente, suscettibili all’infezione, sia destinato a contrarre la varicella. La malattia è molto diffusa in
Europa, con una media di circa 650.000 casi annui notificati
dal 2001 al 2006 (dati su 15 Paesi comunitari). L’incidenza
in Italia sembra di poco inferiore ai 200 casi/100.000 abitanti/anno; i casi notificati, probabilmente influenzati dalle
variazioni demografiche a seguito dei flussi migratori, sono
in continuo lento aumento, con più di 96.000 casi notificati
nel 2006. L’ospedalizzazione, per altro fortemente controindicata, si ha solo nello 0,3% circa dei pazienti e la letalità è
bassa, 2-4 casi/100.000, più elevata nei neonati e negli adulti
(circa 250 decessi annui negli Stati Uniti).
Herpes zoster L’herpes zoster si manifesta in soggetti
positivi per anticorpi anti-VZV, di solito con una storia
pregressa di varicella; l’incidenza della malattia è massima
dopo i 50 anni di età e nei soggetti immunocompromessi.
In seguito all’infezione primaria da VZV, il virus persiste
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in forma latente nell’organismo, annidandosi preferenzialmente nelle radici dorsali midollari. L’herpes zoster
si presenta quindi con casi sporadici, di solito unici nel
singolo paziente, anche se non sono rare le recidive, specie
nel paziente immunocompromesso. L’incidenza globale
della malattia è elevata, approssimando il 20% della popolazione generale secondo alcuni studi epidemiologici.
Patogenesi
In seguito al contagio si ha una prima fase replicativa, con
diffusione per contiguità a livello delle mucose respiratorie,
seguita da una moltiplicazione probabilmente nei linfonodi
loco-regionali e una prima fase viremica (periodo preclinico,
4-6 giorni dal contagio), con localizzazione agli organi del
sistema reticolo-endoteliale; la seconda fase viremica porta
a una localizzazione agli organi bersaglio, alle mucose respiratorie e alla cute, dove il virus si moltiplica attivamente.
L’immagine istologica delle lesioni è la stessa per entrambe le
forme cliniche dell’infezione e rispecchia fedelmente la storia
naturale della malattia; le vescicole interessano l’epidermide e
il derma e sono sede di un’attiva replicazione virale, in seguito
alla quale le cellule epiteliali acquisiscono un aspetto rigonfio,
presentano inclusi intranucleari eosinofili e vanno infine
incontro a fusione con formazione di cellule giganti multinucleate. Compaiono occasionalmente necrosi ed emorragia
nel derma. L’essudato vescicolare diventa presto torbido per
l’accumulo di polimorfonucleati di detriti cellulari e di fibrina;
infine, la vescicola si rompe e l’essudato fuoriesce o viene
riassorbito. L’infezione induce l’insorgenza di una robusta
immunità cellulare specifica (linfociti T attivati), oltre che di
citochine quali IFN-␥ e IL-10 e -12; per tale motivo l’infezione
conferisce un’immunità permanente e le recidive sono eccezionali. I meccanismi che inducono la latenza virale sono
per ora ignoti, mentre la riattivazione dell’infezione dipende
dall’alterazione del rapporto tra il virus e le difese immunitarie
dell’ospite; recentemente sono state dimostrate, con tecniche
di immunoistochimica, alcune proteine regolatorie virali nel
citoplasma dei neuroni sensitivi. La latenza sembra inoltre
associata all’abbondante espressione di una proteina virale
precoce (IE63, Immediate-Early Protein), tale da indurre una
forte immunità cellulare specifica, probabilmente sufficiente
ad arrestare il ciclo litico replicativo del virus.
Manifestazioni cliniche
Varicella
Il periodo di incubazione della varicella va da 10 a 20 giorni
(14-15 giorni in media); in una minoranza di pazienti vi
sono sintomi prodromici non specifici e di breve durata
(1-2 giorni), come febbre non elevata, astenia e malessere.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il tipico esantema è
già presente all’esordio della malattia. La febbre di regola dura da 3 a 5 giorni e i sintomi di accompagnamento
possono occasionalmente persistere per qualche giorno
dopo l’insorgenza delle manifestazioni cutanee. L’esantema
esordisce al tronco e al volto e diffonde rapidamente al
resto della cute, incluso il capillizio; le lesioni sono dapprima maculo-papulose ed evolvono in breve a vescicolari o
crostose. L’esantema è caratteristicamente asincrono, sono
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
Figura 82.3
Esantema
pleomorfo in
corso di varicella.
cioè visibili lesioni in tutte le fasi evolutive (maculopapule,
vescicole e croste; aspetto “a cielo stellato”). Le lesioni sono
di forma tondeggiante o ovalare, del diametro di 5-15 mm
circa, a volte confluenti. Il contenuto delle vescicole è sieroso all’esordio per assumere presto un aspetto purulento; le
croste si distaccano tutte in 10-15 giorni, residuando piccole
aree di assottigliamento della cute sottostante. È comune
il prurito, per lo più dovuto alle lesioni crostose prossime
al distacco. Talvolta si ha un interessamento della mucosa
del cavo orale (più raramente della mucosa vaginale), con
dolore locale e difficoltà alla deglutizione (Fig. 82.3).
Complicanze Le lesioni cutanee possono andare incontro
a sovrainfezione batterica, di solito da cocchi Gram+ di
provenienza cutanea, dopo autoinoculo in seguito a grattamento. Le complicanze extracutanee più frequenti della
varicella interessano il sistema nervoso centrale e l’apparato respiratorio. L’atassia cerebellare acuta colpisce circa un
paziente su 4000 di età inferiore ai 15 anni e si presenta di
solito dopo 1 settimana circa dall’esordio dell’esantema; il
paziente presenta atassia, vomito, disturbi del linguaggio e
ripresa della febbre. L’esame del liquido cefalorachidiano
dimostra pleiocitosi linfocitaria e iperproteinorrachia; la
prognosi è di solito favorevole, con restitutio ad integrum in
2-4 settimane. Più frequente (0,1-0,2% dei casi) e anche più
grave, specie nell’adulto, è l’encefalite da VZV, associata
a una letalità del 5-20% e a reliquati neurologici nel 15%
circa nei pazienti sopravvissuti; l’encefalite si presenta
con rapido decadimento psicomotorio, alterazioni dello
stato di coscienza, cefalea, vomito e crisi comiziali spesso
subentranti. La polmonite da VZV complica precocemente
la varicella ed è più frequente nell’adulto, dove colpisce
circa un paziente su 400, anche se modeste alterazioni
radiologiche in assenza di un quadro clinico di polmonite
sono probabilmente abbastanza frequenti (circa il 10% dei
pazienti adulti secondo alcuni studi). Nei casi clinicamente
manifesti si ha tosse non produttiva, tachipnea e/o dispnea
e riscontro radiologico di polmonite micronodulare o
interstiziale. Più raramente la varicella si complica con
miocardite, nefrite, epatite e con complicanze emorragiche. La varicella in gravidanza è associata a un rischio di
passaggio transplacentare dell’infezione non trascurabile
(circa il 9% nelle prime 24 settimane), con un’incidenza
di varicella congenita intorno al 3% dei neonati.
Varicella nell’ospite immunocompromesso Nel bambino
e nell’adulto immunocompromesso la varicella costituisce
un evento grave, associata a un tasso di letalità complessiva
di poco inferiore al 20% dei casi; sono particolarmente a
rischio i soggetti giovani (secondo e terzo decennio di vita),
affetti da neoplasie linfoproliferative, sottoposti a trapianto
di midollo osseo e/o a cicli di chemioterapia. In questi pazienti l’esantema è più grave che nel soggetto immunocompetente, il contenuto delle vescicole è spesso emorragico e
la guarigione delle lesioni avviene in un periodo molto più
prolungato (anche 45-60 giorni). Sono comuni i segni di
disseminazione viscerale dell’infezione, con complicanze
polmonari, neurologiche ed epatiche, di regola severe.
Herpes zoster
La malattia è caratterizzata da un’eruzione vescicolare a
distribuzione dermatomerica, di solito monolaterale. I dermatomeri più spesso colpiti sono quelli toraco-lombari, ma
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non sono rare le altre localizzazioni, ivi comprese quelle
interessanti le aree di innervazione sensitiva dei nervi cranici, più spesso il quinto, il settimo e l’ottavo (Fig. 82.4). La
complicanza più temibile dello zoster cutaneo è senza dubbio data dalla localizzazione oculare (zoster oftalmico), per
l’elevato rischio di cheratite acuta e di grave iridociclite, tale
da costituire un pericolo per la vista del paziente; per questo
motivo tutti i pazienti con herpes zoster al volto dovrebbero
essere sottoposti tempestivamente a controllo oculistico e
l’atteggiamento terapeutico nei casi di sospetto zoster oftalmico deve essere aggressivo. Nei casi tipici la malattia
esordisce con dolore a carico del dermatomero affetto, della
durata di 2-3 giorni, cui segue l’eruzione cutanea, costituita
dapprima da elementi maculo-papulosi, indi vescicolosi, infine crostosi. L’esantema completa il suo sviluppo in 5 giorni
circa, anche se la scomparsa delle lesioni richiede di solito
almeno 2-3 settimane. Durante l’eruzione persiste il dolore,
espressione della concomitante neurite acuta, che non di
rado (circa nel 50% dei pazienti ultracinquantenni) persiste
anche per qualche settimana dopo la guarigione delle lesioni
cutanee, dando luogo alla cosiddetta nevralgia o nevrite
posterpetica; la sindrome dolorosa è di entità variabile, ma
spesso assai importante e talora invalidante.
Complicanze Un certo grado di interessamento del sistema
nervoso centrale in corso di herpes zoster è probabilmente
più frequente di quanto comunemente ritenuto e può essere
sospettato solo dalla presenza di cefalea; l’interessamento
massivo cerebrale dà luogo alla meningoencefalite, rara
dopo lo zoster, con aspetti clinici sovrapponibili a quanto si
osserva dopo la varicella. Sono rare complicanze dello zoster
Figura 82.4
Herpes zoster
brachiale.
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
la vasculite granulomatosa cerebrale e la mielite anteriore,
dovuta alla localizzazione del VZV nelle corna midollari
anteriori, con andamento clinico simile a quello della poliomielite. L’herpes zoster nel paziente immunocompromesso
risulta più grave e di maggiore durata e le complicanze viscerali (polmonite, epatite e altre) e neurologiche sono gravi
e abbastanza frequenti; lo zoster è infine una complicanza
frequente dell’infezione da HIV, manifestandosi nel 10% circa dei pazienti, con una presentazione clinica tipicamente
severa e che non di rado interessa più dermatomeri.
Diagnosi
La diagnosi sia di varicella sia di herpes zoster è agevole nella
maggior parte dei casi già sulla scorta del quadro clinico e dei
dati epidemiologici. Fino a pochi anni orsono la varicella poteva essere confusa con il vaiolo o con l’esantema postvaccinale; questa diagnosi differenziale non si pone più in seguito
all’eradicazione del vaiolo. Resta la diagnosi differenziale con
l’impetigine, che riconosce tuttavia alcuni fattori favorenti
a livello cutaneo (eczema o ferite) ed è di solito un processo
localizzato. Possono occasionalmente presentarsi con lesioni
vescicolari diffuse l’infezione da HSV e alcune infezioni da
enterovirus, in particolar modo da virus coxsackie. L’herpes
zoster può raramente essere confuso con lesioni da HSV,
mentre nei casi frusti, quando l’esantema è poco o punto
visibile, la diagnosi differenziale si pone con le neuriti acute
di varia eziologia. In tutti i casi dubbi l’esame microscopico
e colturale del liquido vescicolare può dipanare il dilemma
diagnostico. Esiste la possibilità di misurare nel siero le IgM
e IgG specifiche, di solito con la tecnica immunoenzimatica
(ELISA); data l’elevata diffusione dell’infezione, la ricerca
degli anticorpi specifici ha tuttavia un significato prevalentemente epidemiologico e i titoli anticorpali sono spesso
molto bassi se non negativi nei vaccinati. Infine, la ricerca
del DNA virale mediante amplificazione genica è utile per
la diagnosi di encefalite da VZV e, se eseguito nel liquido
amniotico, di infezione fetale.
Terapia e profilassi
L’esantema della varicella va innanzitutto curato
con appropriate misure igieniche tese a diminuire
il rischio di sovrainfezione batterica delle vescicole; il prurito, spesso fastidioso, specie nel bambino,
diminuisce con l’uso di preparati topici (talco mentolato) ed eventualmente di antistaminici. L’aciclovir per os
è utile nell’abbreviare la durata delle lesioni e i sintomi
associati in un terzo almeno dei casi e diminuisce del
25% circa l’insorgenza di nuove lesioni, ma non le
complicanze. Nell’herpes zoster e nella varicella grave
o complicata, specie dell’ospite immunocompromesso,
è raccomandata la terapia con aciclovir (per via venosa
nei casi gravi), oppure con il valaciclovir o con il foscarnet in caso di sospetta resistenza agli altri farmaci. In
tutti i casi la terapia va iniziata molto precocemente. La
profilassi postesposizione andrebbe effettuata mediante
Ig specifiche ad alte dosi o plasma iperimmune nei pazienti appartenenti alle categorie a rischio, già descritte,
ivi compresi i neonati da madri che hanno contratto
la varicella nel peripartum. Particolare attenzione va
prestata ai pazienti ricoverati in ospedale, potendosi
l’infezione trasmettere facilmente al personale sanitario e ad altri pazienti. L’aciclovir ad alte dosi è anche
probabilmente efficace nella profilassi postesposizione, da solo o in associazione alle Ig, ma non vi sono
ancora protocolli definiti in tal senso. Dal 1995 esiste
un vaccino costituito da virus vivo attenuato (ceppo
di Oka), che sembra indurre tassi di sieroconversione
del 95-97%, con sintesi di anticorpi protettivi, di citochine ad attività T-helper e con sviluppo di immunità
cellulare specifica. Il vaccino è somministrabile anche a
bambini HIV+ con linfociti CD4+ superiori al 15-20%.
La vaccinazione va effettuata con una sola dose ai bambini tra i 12 mesi e i 12 anni di età, e con due dosi in
chi ha più di 12 anni. Dal 2005 è disponibile (in Italia
dovrebbe esserlo dal 2009) un vaccino quadrivalente
MPR più varicella, con tassi di sieroconversione del
98%. L’efficacia del vaccino è dell’85% nel prevenire
la varicella e del 95% nel prevenire le forme gravi e
complicate; negli Stati Uniti la vaccinazione in pochi
anni ha portato alla riduzione dell’80% delle ospedalizzazioni e dei decessi correlati alla varicella. L’effetto
collaterale possibile dopo la vaccinazione, non raro
nei bambini leucemici, è la comparsa dell’esantema,
di solito di lieve entità (breakthrough disease); i pazienti
sono comunque contagiosi. Esiste infine un vaccino
contro lo zoster, da somministrare dopo i 55 anni di
età, al fine di restimolare l’immunità cellulare specifica,
tipicamente depressa in relazione all’età, con l’obiettivo
di ridurre l’incidenza dello zoster nella terza età.
Esantema critico
Eziologia
L’esantema critico è una malattia infettiva della prima infanzia, a decorso clinico benigno, precedentemente nota
come sesta malattia. Gli agenti eziologici sono HHV-6 e
HHV-7, due specie strettamente correlate e uniche componenti del genere Roseolovirus. Si tratta di virus a DNA a
doppia elica del diametro di 200 nm circa, indistinguibili
al microscopio elettronico da altre Herpesviridae, caratterizzati comunque da specificità antigeniche e biologiche
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proprie, piuttosto affini a quelle di altre Herpesviridae, in
particolare CMV. Attualmente HHV-6 comprende due sierotipi principali e distinti, A e B (responsabile principale dell’esantema critico). In comune agli altri virus della
stessa famiglia, HHV-6 e -7 inducono un’infezione latente
nei monociti e nei progenitori emopoietici (HHV-6) e nei
linfociti T (HHV-7), con possibilità di recidive a distanza di
tempo; oltre all’esantema critico, HHV-6 e -7 possono dare
malattia disseminata, spesso grave, nell’adulto, specie se
immunocompromesso. Entrambi i virus, caso unico tra le
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
Herpesviridae, possono integrare il genoma nel DNA della
cellula ospite, ma l’eventuale significato clinicoepidemiologico di tale proprietà biologica è per ora ignoto.
Epidemiologia
Quasi tutti i bambini acquisiscono l’infezione da HHV-6
entro i 2 anni di età; l’infezione da HHV-7 è un poco più
tardiva (5-6 anni) e meno frequente (65% di una coorte
di bambini inglesi). L’infezione primaria da HHV-6 e -7
sembra causare fino al 20% degli episodi acuti febbrili tra
i 6 e 12 mesi di età e resta una causa abbastanza comune di ricovero ospedaliero in bambini con iperpiressia di
natura da diagnosticare. I due virus sono escreti con la
saliva anche per lunghi periodi di tempo e la prevalenza
dei portatori asintomatici del virus nelle vie aeree superiori
sembra essere del 95% circa già dai 2 anni di età. È possibile
ma è infrequente l’escrezione renale; l’infezione, pertanto,
è trasmessa per contagio salivare diretto. Rare ma possibili
(e ancora poco studiate) sono la trasmissione verticale e
quella sessuale, durante l’allattamento e iatrogena, a seguito di emotrasfusione o trapianto di midollo osseo.
Manifestazioni cliniche
La malattia colpisce prevalentemente bambini piuttosto
piccoli e l’esordio è costituito dall’insorgenza improvvisa di
febbre piuttosto elevata, della durata di 3-5 giorni, talvolta,
ma non sempre, accompagnata da segni di flogosi delle vie
aeree superiori e/o da linfoadenopatia cervicale. Caratteristica della malattia, da cui anche il nome, è l’insorgenza,
entro 48 ore dalla scomparsa della febbre, di un esantema
maculo-papuloso al tronco e al collo, che consente con
facilità la diagnosi e che si risolve poi nell’arco di qualche
giorno; è comune una leucopenia lieve-moderata, mentre
occasionali sono piastrinopenia ed epatite. Talvolta l’infezione decorre solo con la sintomatologia febbrile oppure
l’esantema non viene identificato; in questi casi la diagnosi
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eziologica è quasi impossibile e può essere fatta solo retrospettivamente nell’ambito di studi sieroepidemiologici.
L’infezione primaria infantile da HHV-6 e -7 può provocare
convulsioni anche severe e sembra costituire una causa
molto frequente di encefalite infantile (17% dei casi in una
casistica inglese del 2007); la riattivazione è rara ed è stata
associata a sindrome simil-mononucleosica (da HHV-6; in
questi pazienti è molto importante la diagnosi differenziale
con l’infezione acuta da HIV), encefalite e paralisi flaccida (da HHV-7). La riattivazione dell’infezione nell’ospite
immunocompromesso può provocare quadri clinici in
parte sovrapponibili a quelli dovuti a CMV, ovvero sindromi febbrili, encefalite, mielosoppressione secondaria;
i presunti legami con l’eziologia della sclerosi multipla,
della sindrome da affaticamento cronico (HHV-6) e con la
pitiriasi rosea (HHV-7) non sono stati provati.
Diagnosi
La diagnosi clinica di infezione da HHV-6 e -7 in presenza
di esantema critico nel bambino è semplice. La diagnosi
eziologica è indicata nelle complicanze neurologiche, specie quando vi sia il dubbio di una complicanza postvaccinale (MPR); l’infezione primaria o la riattivazione da HHV-6
e -7 può essere diagnosticata mediante DNA-PCR nel siero,
oppure ricercando nel siero le IgM specifiche o l’aumento
di almeno quattro volte del titolo delle IgG; sono possibili
le cross-reazioni tra i due virus e anche con CMV ed EBV.
Terapia
L’esantema critico non richiede ovviamente alcuna
terapia. In vitro l’HHV-6 è inibito efficacemente da tre
antivirali, ganciclovir, cidofovir e foscarnet, che sono
stati impiegati con relativo successo in alcuni casi di
infezione complicata.
Megaloeritema infettivo
Il megaloeritema infettivo, noto in passato come quinta malattia, è una malattia esantematica acuta benigna
dell’infanzia; in anni molto recenti ne è stato identificato
l’agente eziologico, denominato parvovirus B19, responsabile di svariati quadri clinici, dei quali il megaloeritema infettivo rappresenta un epifenomeno dell’infezione
primaria. Per l’interesse e l’attualità dell’argomento si dà
anche una descrizione sommaria della patologia oggigiorno sicuramente associata al parvovirus B19.
Eziologia
Il parvovirus B19 appartiene alla numerosa famiglia delle
Parvoviridae, genere Erythrovirus, che comprende molte
altre specie per lo più di interesse veterinario. I parvovirus
sono piccoli virus (donde il nome) capsidici con DNA a
singola elica, a polarità negativa, del diametro di circa
25 nm. Il genoma è composto da 5600 nucleotidi ed è
piuttosto conservato; sono noti due genotipi, V9 e A6,
per ora privi di significato clinico. Sono altresì note due
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proteine strutturali, VP-1 e VP-2, quest’ultima costitutiva
di un capside di 60 capsomeri che conferisce al virus la
simmetria icosaedrica; la proteina non strutturale NS1
è citotossica per le cellule dell’ospite. Il virus cresce con
qualche difficoltà in alcune linee cellulari umane (cellule
staminali midollari, cellule eritroidi fetali).
Epidemiologia
L’infezione ha una diffusione ubiquitaria, è più frequente
nell’infanzia ma non è rara nell’adulto; i tassi di sieroprevalenza sono del 50-60% a 15 anni e aumentano con l’età.
L’infezione è più frequente in primavera, con riaccensioni
epidemiche ogni 3-5 anni. Il virus viene trasmesso per
contagio diretto tramite le secrezioni delle vie aeree superiori; il tasso di riproduzione primaria è piuttosto alto
a causa soprattutto della notevole resistenza ambientale
del virus ai solventi (etere e cloroformio) e alle temperature elevate (più di 60 min a 56 °C), caratteristica comune
a tutte le Parvoviridae. L’infezione provoca tipicamente
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
focolai epidemici, anche estesi, nelle comunità chiuse,
specie le scuole, e in ambiente familiare. L’infezione può
anche essere trasmessa mediante la trasfusione di sangue
e soprattutto di emoderivati, data la capacità del virus di
resistere ai trattamenti inattivanti. La prevalenza con cui
viene riscontrato il DNA virale mediante PCR nel siero dei
donatori supera lo 0,5% secondo alcuni studi; ciò spiega
l’elevata sieroprevalenza negli emofilici. Sono inoltre ben
documentate le trasmissioni nosocomiale e materno-fetale,
anche se il rischio relativo non è ancora ben noto.
Patogenesi
Il parvovirus ha un esclusivo tropismo per i progenitori
eritroidi midollari, legandosi all’antigene gruppo-specifico
P e provocando un’infezione litica, probabilmente dovuta
alla proteina NS1; l’effetto è l’interruzione improvvisa
dell’eritropoiesi con la scomparsa dal circolo dei reticolociti. Il blocco dell’eritropoiesi dura circa 1 settimana,
essendo limitato dalla sintesi di anticorpi specifici; pertanto l’evento è di solito privo di conseguenze nell’ospite
altrimenti sano, data la lunga emivita dei globuli rossi.
L’infezione ha un andamento bifasico, che è stato ben
studiato in volontari sani. Una settimana dopo il contagio
si ha una prima fase viremica della durata di 1 settimana
circa, talvolta accompagnata da sintomi non specifici,
seguita dall’invasione midollare. Il parvovirus possiede
anche un discreto tropismo per i precursori dei leucociti
e per i megacariociti, il che può risultare in gradi variabili
di leucopiastrinopenia. La risposta immune efficace e
necessaria alla guarigione è di tipo anticorpale, specie la
sintesi anticorpi anti-VP-1; bassi livelli di IgG e IgM sono
presenti nel siero dei soggetti con infezione persistente.
La sintesi di anticorpi specifici, 14-20 giorni dopo il contagio, coincide con l’insorgenza del tipico esantema e delle
eventuali complicanze articolari; entrambi i fenomeni
sembrano dovuti alla formazione di complessi antigeneanticorpo (soprattutto anti-VP-2). L’infezione conferisce
un’immunità persistente.
Manifestazioni cliniche
Megaloeritema infettivo L’infezione primaria è asintomatica nella maggior parte dei casi e come tale non
viene identificata; negli altri casi vi può essere un periodo
prodromico (viremia primaria) con febbre, astenia, cefalea, mialgie e prurito. L’esantema compare dopo circa
10 giorni; si tratta di un’eruzione eritematosa o maculopapulosa, diffusa dapprima al volto con risparmio della
zona circumorale (aspetto del “bambino schiaffeggiato”),
successivamente alle estremità e, più di rado, al tronco.
L’esantema si risolve di regola entro 1 settimana, parallelamente alla scomparsa dei sintomi prodromici di
accompagnamento; occasionalmente le manifestazioni
cutanee possono essere molto diverse, così da rendere ardua la diagnosi differenziale con le altre malattie
esantematiche. In tutti i casi è per altro possibile confonderlo con la rosolia. In corso di malattia l’esecuzione
dell’esame emocromocitometrico evidenzia una modesta
anemia iporigenerativa di breve durata, eventualmente
accompagnata da piastrinopenia di grado lieve. Sono state
descritte varie complicanze da coinvolgimento viscerale
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dell’infezione (per esempio, meningoencefalite), tutte
comunque assai rare.
Artrite Le artralgie e l’artrite accompagnano il megaloeritema infettivo nel 60% circa dei casi adulti, più
frequentemente nelle donne, mentre sono più rare in
età infantile; la patogenesi sembra legata al deposito di
immunocomplessi. Le articolazioni più spesso coinvolte
sono, nell’ordine, quelle delle mani, le ginocchia e i polsi.
L’artrite da parvovirus regredisce spontaneamente entro
poche settimane dall’esordio clinico e sembra non essere
causa di artrite cronica; è tuttavia una causa ancora oggi
piuttosto sottostimata di artrite acuta di natura indeterminata, anche di severa entità. Non è invece confermata
l’associazione patogenetica con l’artrite reumatoide.
Manifestazioni ematologiche Si è detto che l’infezione
acuta dei progenitori eritroidi è di solito priva di conseguenze nel soggetto sano; nel paziente affetto da alcune malattie
ematologiche l’infezione primaria da parvovirus B19 può
invece indurre gravi crisi aplastiche transitorie, della durata
di 7-10 giorni, con importante anemia. Le concause più
frequentemente correlate sono l’anemia falciforme e altre
emoglobinopatie, la sferocitosi ereditaria, le anemie emolitiche autoimmuni, la talassemia, le anemie sideropeniche
gravi, i deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi.
Infezione nell’ospite immunocompromesso Nell’ospite
immunocompromesso è stata descritta l’infezione cronica
da parvovirus; la carente sintesi di anticorpi specifici in
questi pazienti spiega l’assenza dell’esantema, mentre
sono caratteristici l’anemia grave persistente associata
al fabbisogno trasfusionale e in qualche paziente la leucopiastrinopenia; le forme cliniche più frequentemente
associate risultano essere a oggi la leucemia linfoblastica
acuta infantile (durante chemioterapia di induzione o di
mantenimento), le malattie linfoproliferative, l’infezione
da HIV e i trapianti d’organo. Nel siero dei pazienti sono riscontrabili alti livelli di viremia da parvovirus B19.
L’infezione contratta in gravidanza viene trasmessa al feto
nel 25% circa dei casi; l’infezione fetale decorre per lo più
in maniera asintomatica e può tuttavia esitare in idrope
e morte fetale (1,5-2,5% circa dei casi). Infine, l’infezione
da parvovirus è stata variamente associata a numerose
altre forme cliniche, tra le quali meritano una citazione
la miocardite e la vasculite necrotizzante.
Diagnosi
La diagnosi di megaloeritema infettivo è abbastanza agevole in presenza dell’esantema tipico, tenuto conto delle
peculiarità epidemiologiche dell’infezione; nei casi dubbi
e nelle complicanze ci si può avvalere dello studio della
cinetica anticorpale mediante la ricerca nel siero di IgM
e IgG specifiche, di solito mediante tecnica ELISA o radioimmunometrica (RIA). Le IgM specifiche scompaiono
dal siero entro 2-3 mesi dall’infezione, mentre le IgG
persistono probabilmente per tutta la vita, conferendo
immunità protettiva. Infine, la PCR per il DNA nel virus
è stata studiata con successo nel liquido amniotico per
facilitare la diagnosi di malattia fetale e la storia naturale
dell’infezione gravidica da parvovirus.
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
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Terapia e profilassi
Il megaloeritema infettivo non richiede alcuna terapia, mentre lecrisi aplastiche nel paziente predisposto
o immunocompromesso richiedono spesso una terapia trasfusionale di supporto; esistono dati preliminari a sostegno dell’utilità della terapia con Ig ad alte
dosi in questi pazienti. Le epidemie nelle comunità
sono difficili da prevenire, poiché i pazienti sono viremici e contagiosi nel periodo prodromico, quando
l’infezione non è identificabile; i pazienti ricoverati in
ospedale per crisi aplastiche da parvovirus andrebbero
senz’altro sottoposti a isolamento respiratorio, al fine
di prevenire la diffusione nosocomiale dell’infezione.
Non esistono inoltre a tutt’oggi delle linee guida univoche di comportamento per le donne che contraggono l’infezione in gravidanza. Recentemente, infine,
sono state sviluppate linee cellulari in grado di produrre virioni incompleti; di qui la possibilità di ottenere
un vaccino efficace, ancora oggi non disponibile.
Vaiolo
L’ultimo caso certo di vaiolo si è registrato in Somalia
nell’ottobre del 1977; nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato eradicata la malattia e
negli anni successivi è stata interrotta la vaccinazione
obbligatoria estensiva. L’eradicazione del vaiolo è stata
senza dubbio uno dei successi più importanti e per certi
versi inaspettati della medicina del XX secolo in generale
e della medicina preventiva in particolare. Il virus del
vaiolo è attualmente conservato in forma congelata in
due laboratori di virologia in tutto il mondo ed è possibile
che questi stock residui vengano distrutti nel prossimo
futuro; tuttavia, è ancora presto per relegare il vaiolo ai
trattati di storia della medicina, specie per il fatto che cospicue quantità di virus sono probabilmente stipate negli
arsenali militari delle nazioni detentrici delle cosiddette
armi biologiche. Prova ne è il fatto che, stante l’attuale
contesto geopolitico, è stata ripresa la vaccinazione di
fasce selezionate di popolazione (militari) e numerosi
studi sono oggi disponibili sulla tossicità ed efficacia
del vaccino, per esempio in formulazioni a bassa carica
(vaccino diluito 1:50), che hanno dimostrato buone doti
di immunogenicità (e notevoli effetti collaterali). Variola
virus è un voluminoso virus a DNA a doppia elica, del
genere degli Orthopoxvirus, facilmente distinguibile al
microscopio elettronico. Le caratteristiche colturali del
virus non sono più state approfondite per evitare il rischio di contaminazione in laboratorio. L’infezione viene
comunque ritenuta non particolarmente contagiosa;
il virus viene trasmesso per inalazione o per contatto
diretto con le lesioni cutanee.
Il periodo di incubazione è di 10-12 giorni, seguito da
una fase prodromica di 2-3 giorni caratterizzata da viremia ad alto titolo. L’esantema vaioloso si presenta
dapprima maculo-papuloso, poi vescicoloso, quindi pustoloso e infine crostoso; i quadri clinici cutanei variavano molto da paziente a paziente, da quadri sfumati e
localizzati a lesioni diffuse con un’ampia componente
emorragica all’interno delle vescicole. Le cicatrici residue sono tipicamente deturpanti (Fig. 82.5). Esistevano
due forme cliniche principali di malattia; la prima, più
lieve, era denominata anche variola minor o Alastrim ed
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era caratterizzata dalla predominanza dell’esantema in
assenza di segni sistemici, con mortalità dell’1% circa.
La forma grave di malattia, variola maior, era caratterizzata dall’estensione e dalla gravità dell’esantema e
dal coinvolgimento sistemico (stato settico) e viscerale
(specie polmonare); la mortalità era del 20-50% dei casi.
La profilassi del vaiolo si basa sul vaccino vivo attenuato
monodose (virus vaccinico), somministrato comunemente nel derma della spalla; la vaccinazione è efficace
anche postesposizione, se eseguita precocemente. Le Ig
specifiche sono anche utili nei soggetti esposti. Tra i farmaci attivi contro variola virus è sicuramente efficace la
rifampicina a dosaggi molto elevati, mentre il cidofovir è
l’unico farmaco approvato per la terapia del vaiolo; probabilmente efficace è l’adefovir, mentre tra i numerosi
farmaci sotto sperimentazione meritano una citazione
l’ST-246 e l’antineoplastico erlotinib. In anni recenti
sono stati riscontrati nello Zaire circa 300 casi umani di
una malattia esantematica vescicolare, simile al vaiolo
ma di minore gravità, dovuta a un orthopoxvirus delle
scimmie, tra le quali l’infezione è endemica, denominata vaiolo delle scimmie (Monkeypox); l’infezione è stata
diagnosticata anche negli Stati Uniti, probabilmente
trasmessa dai roditori.
Figura 82.5
Caso di vaiolo,
in un paziente
indiano.
(Da: http://www.bt.cdc.gov/agent/smallpox/smallpox-images/smallpox1.htm)
14
6/9/10 7:01:22 PM
1794
Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
Esantemi da enterovirus
Il genere Enterovirus, famiglia Picornaviridae, è un gruppo
di virus a RNA a singola elica e privi di involucro che
causa un’ampia varietà di malattie nell’uomo e in molte
specie animali. Gli enterovirus di interesse umano comprendono oggi 68 sierotipi, classificati in poliovirus (3
sierotipi), coxsackie virus di tipo A e B (rispettivamente
23 e 6 sierotipi), echovirus (da Enteric Cytopatic Human
Orphan viruses, 27 sierotipi) ed enterovirus (9 sierotipi).
Tutti gli enterovirus costituiscono una causa frequente
di malattie esantematiche febbrili, prive tuttavia di caratteristiche peculiari tali da consentire la diagnosi differenziale con le analoghe forme cliniche; gli enterovirus,
dopo un’iniziale replicazione intestinale, disseminano
per via ematogena ad altri organi e apparati e vengono
eliminati con la saliva e le urine per circa 1 settimana. Il
periodo di incubazione è abbastanza breve (4-7 giorni)
e a esso seguono le manifestazioni esantematiche, variabili e non specifiche; si può quindi avere un’eruzione
maculo-papulosa, eritematosa, vescicolare, petecchiale o
mista. Sono comunque forme cliniche autolimitanti, che
si possono tuttavia saltuariamente complicare con enantema, linfoadenopatie diffuse e, soprattutto, meningite a
liquor limpido. Due forme cliniche caratteristiche sono
l’herpangina e la malattia mano-piede-bocca. La prima
(dovuta di solito al virus coxsackie B), altrimenti detta
stomatite vescicolare, colpisce bambini tra i 3 e i 5 anni di
età ed è caratterizzata da faringite e stomatite vescicolare,
accompagnate da febbre elevata, faringodinia e disfagia;
guarisce di solito senza complicanze e la diagnosi differenziale si pone con la gengivostomatite erpetica. Per la
malattia mano-piede-bocca si rimanda al paragrafo sulle
malattie infettive emergenti.
Scarlattina
L’infezione da streptococchi ␤-emolitici di gruppo A produttori della tossina eritrogenica può provocare (in soggetti non immuni) la scarlattina, una malattia esantematica
acuta caratterizzata da febbre, esantema maculo-papuloso
puntiforme, enantema e compresenza dell’infezione streptococcica, di solito (ma non necessariamente) a carico delle tonsille palatine e della faringe. Si ricorda per inciso l’ampio spettro di malattie invasive streptococciche, trattate
altrove nel testo: fasciite necrotizzante, sindrome da shock
tossico, cellulite e sepsi puerperale, oltre alle ben note complicanze immuno-mediate rappresentate dalla glomerulonefrite post-streptococcica e dalla malattia reumatica.
Epidemiologia e patogenesi
La malattia è endemica con esacerbazioni epidemiche nella
stagione fredda e sono colpiti soprattutto i bambini in età
scolare (3-10 anni); l’infezione streptococcica viene trasmessa per via diretta e indiretta tramite le secrezioni infette delle
Figura 82.6
Lingua “a fragola
rossa” in corso di
scarlattina.
(Da: Moroni M, Vullo V, Antinori S. Manuale di malattie infettive. Milano:
Elsevier; 2009.)
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prime vie aeree dei soggetti malati e (più raramente) dei
portatori asintomatici, ed è comunque scarsamente diffusiva. L’esantema non è contagioso, mentre lo sono le forme
streptococciche cutanee. Dopo alcuni decenni di progressivo declino, l’incidenza della scarlattina in Italia è stata in
aumento negli anni Novanta, probabilmente quale effetto
della diminuita sorveglianza clinica ed epidemiologica della
faringo-tonsillite streptococcica infantile, ed è tornata in
calo dal 2003, anche se la malattia resta frequente con più
di 17.000 casi notificati nel 2006. L’infezione streptococcica
costituisce ancora una inaccettabile tragedia nei Paesi in
via di sviluppo dove, complici le carenze igienicosanitarie
soprattutto abitative e la frequente assenza della pediatria
di base territoriale, provoca ancora oggi un elevatissimo
numero di casi di grave cardiopatia reumatica infantile.
Manifestazioni cliniche
Il focolaio infettivo streptococcico che provoca la scarlattina
consiste per lo più in una faringotonsillite; non di rado, tuttavia, vi può essere un’infezione streptococcica cutanea (per
esempio, ferite sovrainfettate), o a livello urogenitale. In tutti
i casi la patogenesi dell’esantema è dovuta alla produzione
e immissione in circolo dell’esotossina specifica (tossina
eritrogenica), in grado di produrre vasodilatazione capillare
e le tipiche lesioni cutanee; la tossina ha potere antigenico,
con induzione della sintesi di anticorpi neutralizzanti, che
conferiscono immunità permanente contro la scarlattina
(ma non contro le infezioni da streptococco). Al contagio
segue un breve periodo di incubazione (2-5 giorni); l’esordio
clinico è brusco, con febbre elevata, faringodinia, cefalea,
talora nausea e vomito. L’esantema può essere preceduto
dalla comparsa del tipico enantema; insieme all’iperemia
tonsillare si può avere un eritema puntiforme diffuso a tutta
la mucosa del cavo orale, più evidente a livello del palato. La
lingua risulta ricoperta da una patina biancastra dalla quale
emergono le papille arrossate (lingua “a fragola”); dopo pochi
giorni la lingua va incontro a disepitelizzazione e assume un
colorito rossastro (lingua “a fragola rossa o a lampone”; Fig.
82.6). L’esantema compare dopo 2-3 giorni, dapprima alla
6/9/10 7:01:23 PM
Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
parte superiore del tronco e al collo, quindi agli arti e al volto,
con risparmio della zona circumorale, del mento e del naso
(maschera scarlattinosa). Sono anche risparmiati le piante
dei piedi e i palmi delle mani. L’esantema è di tipo maculopapuloso; le lesioni sono minute, puntiformi, ravvicinate
tanto da dare l’apparenza di un eritema uniforme, e tipicamente scompaiono alla vitropressione. Sono caratteristiche
le petecchie confluenti alle pieghe ascellari e antecubitali
(segno di Pastia), la positività delle prove di fragilità capillare
(segno di Rumpell-Leede) e il dermografismo bianco (segno di
Borsieri). La cute assume un aspetto ruvido, “a carta vetrata”,
reperto utile per la diagnosi nei pazienti di pelle scura; la
prognosi della scarlattina è favorevole. Nei casi tipici l’esantema regredisce in 4-5 giorni provocando una fine desquamazione cutanea diffusa, mentre la febbre si attenua per lisi.
Le complicanze possibili della malattia, occasionali, sono di
tipo settico (otiti medie, ascessi tonsillari, linfoadeniti acuta,
ascessi cerebrali), di tipo tossico, dovute alla tossina (miocardite, nefrite interstiziale), o di tipo immunologico (malattia
reumatica, glomerulonefrite acuta diffusa), già citate.
Diagnosi
La diagnosi di scarlattina è agevole nella maggior parte dei
casi, data la peculiarità dell’esantema in presenza di un
focolaio di infezione streptococcica in atto; quest’ultima
è facilmente diagnosticabile dall’indagine microscopica e
soprattutto colturale del tampone faringeo o dei campioni
biologici ottenuti da altri siti di sospetta infezione. Il titolo
antistreptolisinico aumenta in corso di infezione, ma non
è necessariamente correlato a infezione streptococcica in
1795
atto. Sono inoltre costantemente aumentati gli indicatori
di flogosi acuta (proteina C reattiva, velocità di eritrosedimentazione, leucocitosi neutrofila).
Terapia
La penicillina per via parenterale e l’amoxicillina restano i farmaci di prima scelta e la terapia andrebbe
protratta per almeno 10 giorni; nell’infanzia si ricorre
di regola a terapie più praticabili, per esempio alla penicillina V, ai macrolidi (resistenza in aumento) o alle cefalosporine per via orale. In tutti i casi, l’antibiogramma
sul ceppo isolato, possibilmente quantitativo, consente
di effettuare trattamenti mirati con antibiotici efficaci;
a tale proposito si sottolinea che un tampone faringeo
correttamente eseguito e processato, se ripetutamente
negativo, consente di escludere un’eziologia da streptococco nella maggior parte dei pazienti.
Un’ulteriore possibilità terapeutica consiste nell’uso
della penicillina a lento rilascio per via intramuscolare (una sola iniezione, ma assai dolorosa), utilizzabile
anche nella terapia soppressiva delle faringotonsilliti
cronico-recidivanti, mentre i portatori asintomatici
tonsillari dello streptococco non andrebbero di norma trattati. Infine, giova rammentare l’elevato rischio
di esantema allergico, anche grave, nei pazienti affetti
da faringodinia in corso di mononucleosi acuta impropriamente trattati con ampicillina o suoi derivati
nel sospetto di una malattia da streptococco.
Erisipela
È un’infezione della cute e dei tessuti molli provocata di
solito da germi Gram+, streptococchi ␤-emolitici di gruppo A o Staphylococcus aureus.
Epidemiologia e patogenesi
La malattia è ancora abbastanza frequente, anche se sono
pochi gli studi di incidenza, specie a causa della non semplice diagnosi differenziale tra erisipela, cellulite e fasciite
necrotizzante; non vi sono in particolare dati epidemiologici italiani pubblicati. Una ricerca olandese del 2006
descrive un’incidenza annua dell’1,7 per 1000, con tasso di
ospedalizzazione del 7%. Oggi l’erisipela è presente soprattutto nella prima infanzia e negli anziani e si manifesta di
solito in presenza di alcuni fattori favorenti, abbastanza ben
identificati, di natura sistemica (obesità) o locale: edema e
linfedema degli arti, pregressa chirurgia agli arti (specie la safenectomia), pregressi episodi di erisipela e, più importante
di tutti, l’intertrigine alle dita dei piedi. Il germe responsabile è di solito lo streptococco ␤ emolitico di gruppo A, ma
sono in aumento i casi provocati da CA-MRSA (Community
Acquired Methicillin Resistant Staphilococcus aureus), che
causano fino ai due terzi dei casi in alcune comunità (Los
Angeles, 2005). La malattia consegue alla penetrazione nella
cute del germe e alla disseminazione al derma circostante
con conseguente intensa risposta flogistica (accumulo di
cellule infiammatorie, rilascio di mediatori infiammatori).
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Manifestazioni cliniche
Dopo un periodo di incubazione di circa 1 settimana, la malattia esordisce bruscamente, con il
quadro clinico di una sindrome settica; si hanno
quindi febbre elevata, malessere e astenia, cefalea,
talvolta nausea e vomito. A breve compare l’esantema; si tratta di una lesione rossastra, rilevata,
a margini dolenti, lucida, dolente ed edematosa.
È più spesso presente al volto o, meno frequentemente,
agli arti inferiori (Fig. 82.7); la lesione si estende rapidamente (al volto è tipico l’aspetto “ad ali di farfalla”)
e talora sulla superficie della stessa possono compari-
Figura 82.7
Erisipela degli arti
inferiori.
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1796
Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
re numerose piccole bolle, che vanno poi incontro a
rottura ed evoluzione in escara. La prognosi dell’erisipela è di regola favorevole, con guarigione spontanea
della lesione in 7-10 giorni; le complicanze possibili si
verificano nel neonato e nel paziente immunodepresso.
Una complicanza locale è rappresentata dalla formazione di flemmoni, eventualmente a evoluzione gangrenosa, mentre le complicanze sistemiche sono legate
all’estensione e all’aggravamento del processo settico
e infettivo, con rischio di infezione polmonare, meningea o endocardica, conseguenti alla disseminazione
ematogena dell’agente causale. La diagnosi di erisipela
è piuttosto facile già sulla scorta della presentazione
clinica; si ha sempre un aumento degli indici della
fase acuta nel sangue, mentre l’isolamento del germe
dalla lesione cutanea è abbastanza difficile. La diagnosi
differenziale in qualche caso si può porre con l’herpes
zoster.
Terapia
Il farmaco di prima scelta è la penicillina G per via
endovenosa o i suoi derivati semisintetici (ampicillina
o amoxicillina); nei pazienti allergici alle penicilline,
un’alternativa terapeutica possibile è data dai macrolidi
(eritromicina o derivati più recenti) o dalle cefalosporine. Le infezioni streptococciche acquisite in comunità
sono di solito sensibili alla penicillina; in tutti i casi
l’isolamento del germe permetterà di guidare la terapia
sulla scorta dell’antibiogramma. La durata del trattamento è di almeno 5 giorni e i casi più lievi possono
essere curati a domicilio e con antibiotici per via orale;
la profilassi secondaria delle recidive con penicillina a
lento rilascio è stata studiata in qualche trial clinico,
con risultati non del tutto soddisfacenti.
Rickettsiosi esantematiche
Si tratta di un vasto gruppo di infezioni trasmesse da artropodi, causate da piccoli bacilli Gram–, le rickettsie; oggi
resta abbastanza diffusa la febbre purpurea delle Montagne Rocciose (FPMR), la più importante tra le rickettsiosi
esantematiche, delle quali rappresenta anche la forma
clinica più severa, con tassi di letalità che superano il 25%
nei pazienti non trattati.
Eziologia
La famiglia delle Rickettsiaceae comprende numerose specie, strettamente correlate dal punto di vista antigenico;
sono piccoli coccobacilli pleiomorfi intracellulari obbligati, Gram−, a localizzazione di solito intracitoplasmatica.
Le rickettsie crescono in coltura in un ristretto numero
di linee cellulari suscettibili (Vero, L929, MRC5), mai nei
comuni medium acellulari. Sono state identificate due
famiglie di proteine della superficie batterica, OmpA e
OmpB, contenenti epitopi termolabili, in parte speciespecifici. Il lipopolisaccaride batterico contiene antigeni
fortemente immunogeni e induce la sintesi di anticorpi
specifici ampiamente cross-reattivi tra le diverse specie e
anche con altre specie batteriche (Legionella e Proteus).
Epidemiologia
La zecca della famiglia Ixodidae è sia il vettore sia il principale serbatoio dell’infezione; l’insetto si infetta di regola
durante il pasto ematico da un animale infetto e allo stesso
modo trasmette l’infezione all’uomo. Tra gli altri possibili
serbatoi (animali domestici e selvatici, conigli e piccoli roditori), sembra particolarmente importante il cane. Le zecche
perpetuano il germe mediante la trasmissione transovarica
alla progenie e durante i diversi stadi dello sviluppo. A
seguito dell’adesione e del pasto ematico della zecca si ha
la riattivazione delle rickettsie da uno stadio quiescente a
uno patogeno; il processo richiede qualche ora, per tale
motivo per trasmettere le rickettsie è necessaria l’adesione
della zecca alla cute per almeno 6-10 ore. I bacilli vengono
iniettati in circolo attraverso le ghiandole salivari, oppure
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vengono trasmessi in seguito alla rimozione cruenta della
zecca dopo contatto con parti dell’insetto. La malattia ha
un andamento stagionale, con la massima incidenza dei
casi (tipicamente sporadici) da aprile a settembre, periodo
legato alla più alta circolazione delle zecche all’aperto, ed è
chiaramente più frequente nelle zone rurali e boschive.
Le rickettsiosi in Italia sono per lo più rappresentate dalla
febbre bottonosa, trasmessa dalla comune zecca canina, e
sono tutt’altro che rare, anche se l’incidenza sembra in calo:
1349 casi notificati nel 1996 e 419 nel 2006, circa la metà
dei quali in Sicilia. La FPMR è diffusa invece soprattutto
nelle regioni centrali e atlantiche degli Stati Uniti, dove
l’incidenza è in aumento da qualche anno con più di 2000
casi diagnosticati nel 2006; la FPMR è comunque presente in
ampie aree del continente americano: Canada occidentale,
Messico, Brasile, Colombia. La malattia è più frequente nel
sesso maschile e nella seconda infanzia. Si ritiene che la
FPMR sia ovunque ampiamente sottodiagnosticata. Le rickettsie infine possono essere trasmesse essiccate per areosol
e come tali sono una delle armi biologiche disponibili.
Patogenesi
La saliva delle zecche è in grado di interferire con la funzione granulocitaria, le attività delle cellule natural killer e
dei macrofagi e ha proprietà antiemostatiche; l’insieme di
queste caratteristiche biologiche consente all’insetto pasti
prolungati (giorni) in assenza di un’efficace riposta immunitaria o di rigetto. Le rickettsie penetrano nell’organismo
attraverso la cute e successivamente disseminano attraverso
i linfatici e la circolazione ematica. I germi penetrano nelle
cellule endoteliali e della muscolatura liscia vascolare grazie
ad apposite proteine di superficie e a una fosfolipasi speciespecifica. Nelle cellule bersaglio le rickettsie si moltiplicano
rapidamente inducendo un effetto citopatico diretto. Ne
deriva un danno vascolare generalizzato, più evidente a
danno del microcircolo, con conseguente attivazione dei
fattori della coagulazione, stravaso extravasale di plasma
per alterazione della permeabilità vasale e ipoperfusione
tissutale. L’alterazione della permeabilità vasale provoca
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Capitolo 82 - MALATTIE ESANTEMATICHE
inoltre edema, ipovolemia, ipotensione e ipoalbuminemia. I meccanismi di risposta immunitaria comprendono
(nell’animale da esperimento) la lisi dei batteri da parte delle cellule endoteliali con un meccanismo mediato
dall’ossido nitrico dopo stimolo da parte di IFN-␥ e di TNF;
nel controllo delle rickettsiosi è stato anche recentemente
evidenziato il ruolo dei linfociti CD8+.
Manifestazioni cliniche
Il periodo di incubazione va da 2 a 14 giorni, ma è in media di 7 giorni. La classica triade clinica di febbre, esantema
e recente anamnesi di esposizione alle zecche si riscontra,
in realtà, in non più del 18% dei pazienti. La maggior parte
dei pazienti presenta all’inizio per lo più febbre elevata,
malessere e importante cefalea; un’anamnesi di un recente
morso di zecca si ha nell’80% dei pazienti in cui tale dato
viene ricercato, ciò che spesso purtroppo non avviene.
L’esantema compare dopo 2-3 giorni dall’insorgenza della
febbre (anche prima nei pazienti più giovani), all’inizio
come piccole macule confluenti (1-4 mm), che diventano
rapidamente petecchie; l’esantema si manifesta innanzitutto alla cute delle caviglie e dei polsi e successivamente
si estende al tronco e nella regione palmo-plantare.
Nei casi gravi le lesioni tendono a divenire confluenti e si
formano vaste aree di cute ecchimotica che possono andare incontro a necrosi, specie nei distretti cutanei irrorati da
arterie terminali (dita, falangi, naso, orecchie). La nausea e
il vomito sono sintomi di accompagnamento frequenti. La
gran parte delle complicanze della rickettsiosi esantematica dipende direttamente dalla vasculite sottostante; si può
avere quindi una pletora di forme cliniche possibili, tra le
quali si ricordano la meningoencefalite, la sindrome da
distress respiratorio dell’adulto, l’edema polmonare acuto,
i disturbi del ritmo cardiaco, le emorragie dell’apparato
digerente e le necrosi cutanee, già citate. Vi possono essere
sequele a lungo termine della malattia, per lo più di natura
neurologica e sempre riferibili al danno microvascolare;
tra le più comuni si ricordano la neuropatia periferica
mista, i disturbi sfinterici, le anomalie del linguaggio e
della funzione cerebellare.
Nei pazienti adulti vi è una percentuale relativamente elevata di quadri clinici anomali e/o severi; l’esantema compare più tardi, non di rado è assente e l’anamnesi è più spesso
negativa per il morso di zecca. Ne consegue spesso un certo
ritardo nella diagnosi e nell’inizio della terapia, purtroppo
a volte sufficiente per oscurare la prognosi dell’ammalato;
occorre infatti sottolineare che nella FPMR vi è un chiaro
legame tra letalità e ritardo della diagnosi. La prognosi
della malattia è infatti favorevole se la diagnosi è precoce
e la terapia idonea; negli altri casi la prognosi è severa e il
decesso si verifica dopo 8-15 giorni dall’esordio clinico.
Una variante clinica è la forma fulminante della FPMR,
talvolta presente nei pazienti di origine africana affetti da
deficit congenito della glucosio-6-fosfato-deidrogenasi,
nella quale si ha emolisi intravascolare massiva e decesso
entro 5 giorni dall’esordio dei sintomi.
Diagnosi
Per la diagnosi di rickettsiosi esantematica è importante la raccolta dell’anamnesi e dei rilievi clinici; l’assenza
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1797
dell’esantema in una percentuale non trascurabile di casi
rende la diagnosi eziologica spesso difficile, se non ardua.
Per favorire la diagnosi eziologica sono stati studiati numerosi approcci diagnostici alternativi all’indagine colturale;
l’immunofluorescenza indiretta su campioni di biopsia
cutanea possiede un’elevata sensibilità (70-90%), ma è per
l’appunto applicabile ai soli pazienti con un esantema in
corso. L’amplificazione genica (PCR) per il DNA di Rickettsia
rickettsii nel sangue possiede un’insufficiente sensibilità, specie nei primi giorni della malattia; la sensibilità è superiore
sui campioni di cute, ma sono necessarie una notevole esperienza e competenze specifiche. Analogamente, la cinetica
anticorpale ricerca gli anticorpi specifici che iniziano a divenire positivi nel siero da 7 a 10 giorni dall’esordio clinico;
la diagnosi sierologica richiede un aumento del titolo degli
anticorpi specifici di almeno quattro volte tra il siero della
fase acuta e il siero convalescente (l’immunofluorescenza
sembra essere la tecnica con la migliore sensibilità: 94%).
Anni addietro veniva utilizzata la reazione di Weil-Felix,
che sfrutta la cross-reazione degli anticorpi specifici contro
gli antigeni di Proteus (OX-2 e OX-19), attualmente quasi
del tutto abbandonata per il valore predittivo diagnostico
insoddisfacente. L’isolamento del germe è possibile solo
nei laboratori a elevata sicurezza biologica (BSL-3), inadatti
alla routine diagnostica. Il laboratorio di analisi offre alcuni
elementi peculiari ma non patognomonici, tra i quali si
ricorda la piastrinopenia, l’assenza di un’elevata leucocitosi,
l’anemia, l’iponatriemia, l’aumento delle transaminasi e della bilirubina. Infine, la diagnosi differenziale della FPMR è
abbastanza ampia e comprende almeno meningococcemia,
febbre tifoide, leptospirosi, mononucleosi infettiva, febbre
Dengue, porpora trombotica trombocitopenica e vasculite
da immunocomplessi.
Terapia e profilassi
I soli farmaci di comprovata efficacia nella cura delle rickettsiosi esantematiche sono le tetracicline e il cloramfenicolo e con entrambi i farmaci la terapia andrebbe
protratta per almeno 1 settimana. Si ricorda che le tetracicline possono dare alterazioni della pigmentazione
dentaria, se somministrate ai bambini (eccetto forse la
doxiciclina), e che il cloramfenicolo è associato a svariate forme di tossicità midollare, anche potenzialmente
gravi e irreversibili; anche i fluorochinoloni sono attivi,
ma l’efficacia clinica di questa categoria di antibiotici
nella terapia delle rickettsiosi esantematiche non è
ancora stata adeguatamente studiata. In area endemica è fortemente raccomandato l’uso tempestivo delle
tetracicline nei casi di sospetta FPMR, senza aspettare
la conferma diagnostica. Non esiste, a oggi, un vaccino
efficace contro tali infezioni, pertanto la prevenzione si
basa sulla protezione della cute quando si soggiorna in
aree endemiche (abiti coprenti), sull’uso di repellenti
cutanei (permetrina) e sulla ricerca sulla cute delle zecche; queste ultime, se identificate, andranno rimosse
con cautela e per intero, evitandone la frantumazione.
Infine l’efficacia della profilassi antibiotica postesposizione non è stata ancora dimostrata.
14
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Parte 14 - MALATTIE INFETTIVE
Tabella 82.2 Principali rickettsiosi esantematiche
Forma morbosa
Tifo esantematico
Eziologia
R. prowazeki
Serbatoio
naturale*
Uomo
Artropodi vettori
Pidocchi
Diffusione
Globale
Letalità
Elevata
Tifo murino
R. typhi
Ratti
Pulci
Globale
Bassa
Febbre purpurea
delle Montagne
Rocciose
R. rickettsii
Zecche
Zecche
Americhe
Elevata
Febbre bottonosa
R. conorii
Zecche, cani,
roditori
Zecche
Europa
meridionale, Africa
e Asia meridionale
Lieve-moderata
Tsu-tsugamushi
R. tsu-tsugamushi §
Acari, roditori
Acari
Giappone, Sud-Est
asiatico, India,
Australia
Bassa
*
§
Il serbatoio naturale più importante è comunque costituito dalla zecca stessa.
Attualmente denominato Orientia tsu-tsugamushi.
Altre rickettsiosi esantematiche
Le altre più comuni rickettsiosi esantematiche e le loro
caratteristiche cliniche sono riassunte nella tabella 82.2.
In generale si tratta di infezioni poco diffuse, la cui incidenza è in evidente diminuzione negli ultimi decenni,
grazie al progredire dei livelli igienici delle popolazioni;
non sono comunque rare occasionali riaccensioni epidemiche, anche nel nostro Paese.
Fa eccezione la febbre bottonosa (causata da Rickettsia conorii), tuttora abbastanza diffusa nel bacino del Mediterraneo,
in Africa e in Asia. In tutte le rickettsiosi sono peculiari sia i
serbatoi naturali sia i vettori dell’infezione, che sono sempre insetti e talvolta ectoparassiti (oltre alle zecche, pulci,
pidocchi e acari). Il tifo murino, o tifo petecchiale, causato
da Rickettsia typhi, ha come ospite naturale il ratto e come
ospite occasionale l’uomo e viene trasmesso dalle pulci. Il
tifo epidemico è causato da Rickettsia prowazeki e trasmesso
dal pidocchio del corpo (Pediculus humanus corporis); l’infezione fu responsabile di estese e gravi epidemie tra militari
e civili nei due conflitti mondiali (si stimano per esempio
ben tre milioni di morti per tale causa nella sola Russia
durante la Prima Guerra Mondiale); oggigiorno è una patologia emergente ad andamento epidemico in Africa, Stati
Uniti, Canada Francia e Russia. Sono a rischio aumentato
le persone senza fissa dimora e i rifugiati (campi profughi).
Il tifo epidemico ha anche una curiosa recidiva tardiva, la
sindrome di Brill Zinnser, che si manifesta occasionalmente
in pazienti precedentemente affetti (anche anni prima) a
seguito di deficit immunitari intercorrenti.
La patogenesi e gli aspetti clinici di tutte le rickettsiosi
sono sovrapponibili; la febbre bottonosa è caratterizzata dalla frequente formazione di un’escara nerastra in
corrispondenza del morso della zecca (tâche noire), utile
per la diagnosi. Per la diagnosi di un sospetto caso di
rickettsiosi esantematica sono imprescindibili le notizie
anamnestiche e l’indagine epidemiologica; se il quadro
clinico risulta compatibile, la diagnosi può essere confermata mediante la ricerca di anticorpi specifici nel siero,
documentando la sieroconversione o l’aumento del titolo
anticorpale nel siero convalescente. Tutte le rickettsiosi
esantematiche, infine, sono sensibili alle tetracicline e al
cloramfenicolo.
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