Condizione necessaria dell`innovazione tecnologica per uno

Transcript

Condizione necessaria dell`innovazione tecnologica per uno
Sapere scientifico
Sintesi dell’intervento tenuto al Primo Convegno Nazionale sulla Formazione Scientifica in
Italia (Foligno, 17-19 marzo 2005) organizzato da IRRE Umbria, Laboratorio di Scienze
Sperimentali di Foligno, Università degli Studi di Perugia, CIFRE* (Consorzio Innovazione,
Formazione, Ricerca Educativa)
Edoardo Boncinelli*
Condizione
necessaria
dell’innovazione
tecnologica
per uno sviluppo
sostenibile
CIFRE* è un consorzio
composto da enti pubblici e soggetti privati, attivo
nell’ambito dell'innovazione, della ricerca educativa e della formazione in
Italia e in Europa. Tra le
sue finalità:
- attuare progetti europei,
attivare collaborative interazioni istituzionali e
con i diversi sistemi educativi;
- collaborare, progettare,
attuare e sperimentare
programmi di ricerca
educativa;
- individuare, selezionare
e comunicare progetti
formativi nazionali ed
europei ed attivare un
sistema di scambio di
documentazione tra le
istituzioni scolastiche.
Per maggiori informazioni:
www.cifre.com
12
n questa sede, vi farò un discorso generale su
quello che la scienza è oggi, naturalmente come la vedo io.
Io mi sono laureato in fisica e per tutta la mia giovinezza sono stato innamorato della fisica, ho letto
tutti i libri divulgativi che potevo trovare e che hanno guidato la mia vita. Mi sono laureato in fisica e
poi ho deciso – era il 1968 quindi tempi lontani –
di passare alla biologia. Avevo l’impressione a
vent’anni, impressione che si è rivelata non sbagliata, che ci fosse tantissimo da fare in biologia e che
quindi occorresse rimboccarsi le maniche e mettersi
a lavorare. Di fatto per trenta anni sono stato un
biologo, mantenendo, peraltro, l’amore e la forma
mentis di un fisico.
Che cosa è la scienza? Tutti ne parlano, ciascuno
la tira dalla sua parte, però forse ogni tanto converrebbe fermarsi a riflettere su che cos’è la scienza. Cos’è la scienza oggi, perché anche quella di
Euclide 2500 anni fa era scienza: era matematica,
era geometria di altissimo livello.
Quella che, però, noi oggi chiamiamo scienza è nata
da poco. E’ nata tre, quattro secoli fa e, sorpresa delle
sorprese, è nata in Italia. Noi spesso ce lo dimentichiamo, ma la scienza come la concepiamo oggi, cioè la
scienza sperimentale, è nata in questo stranissimo Paese che inizia tutto e non porta a termine nulla.
Che differenza c’è tra la matematica, che peraltro
è eterna e non cambia mai, e le scienze sperimentali? La matematica si occupa di problemi che si
possono risolvere con il cervello. Si danno delle
definizioni, si cerca di capire in base a queste definizioni che cosa se ne può dire e si tirano delle
conclusioni. La matematica si può fare chiusi in
una stanza. La scienza sperimentale no. E’ un cambiamento, è una cosa diversa in cui si usa certamente il cervello perché non c’è nessuna affermazione scientifica che sia logicamente non consequenziale. Però c’è qualcosa di più. C’è il ricorso
all’esperienza. In base alle mie osservazioni, a quello che so mi faccio un’idea di quali sono i principi che reggono un certo fenomeno, fisico, biologico, chimico, geologico…
Però io, appunto, mi faccio un’idea. Chi mi garantisce che ho ragione? Perché io, pensando e basta, dovrei trarre le conseguenze giuste su un mondo che
non è logico? La fisica è quasi logica, ma la biologia
non è logica. La biologia è una scienza storica. Gli
esseri viventi si sono evoluti nella maniera più casuale possibile. Non c’è stato un piano, non c’è stato
un disegno generale. C’è stato un sovrapporsi, uno
stratificarsi di eventi più o meno casuali che se fun-
I
zionavano venivano mantenuti; e se non funzionavano venivano persi. Allora, perché soprattutto la vita
dovrebbe essere logica? Se io non la osservo non potrò mai immaginare come stanno le cose. Una delle
scienze trionfanti di questo periodo, una delle cose
che più mi piacciono, passa sotto il nome di “scienze cognitive”. Noi stiamo imparando scientificamente come conosciamo il mondo, come ci facciamo delle idee, come ci comportiamo: sostanzialmente come funziona il nostro cervello e la nostra
psiche. Si stanno scoprendo cose che nessuno avrebbe mai immaginato. Semplicemente perché non
hanno una logica, non hanno un filo conduttore
ma “sono così” e negare che “noi siamo così” è
un’operazione di puro oscurantismo.
Quindi la scienza sperimentale è una scienza che
senza rinnegare il cervello, la ragione, appoggiandosi
moltissimo sulla matematica, fa però del metodo
sperimentale il punto fondamentale: tanti bei ragionamenti, ma vediamo se è vero. Io personalmente
posso testimoniare che in trent’anni ho avuto tante
bellissime idee. Erano stupende e se le cose fossero
fatte così come io avevo pensato il mondo sarebbe
stato bellissimo. Ma non erano vere. Se non avessi
fatto gli esperimenti mi sarei cullato per anni e per
decenni in idee stupende ma false.
Tutte le volte, invece, che le mettevo alla prova si rivelavano false. Perché una cosa è la realtà, una cosa è
l’immaginazione. Lo scienziato, fra le cose che fa,
deve anche accettare il verdetto dei fatti. In genere
ad una certa età è più difficile accettare il verdetto
dei fatti; quando si è giovani è più facile. Però non si
è scienziati se si pensa di avere ragione noi e torto la
natura. Noi studiamo la natura. E’ pertanto inutile
sostituirle un simulacro, un feticcio soltanto perché
a noi piace. Quindi, quello che oggi noi chiamiamo
scienza è intrinsecamente una scienza sperimentale.
Come la possiamo definire oggi l’impresa scientifica,
visto che molte cose sono cambiate e molte cose stanno cambiando? Quando io sono passato alla biologia
questa scienza era tutta un’altra cosa. Si affrontavano
problemi diversissimi da quelli di oggi e con strumenti diversissimi. Sul giornale di oggi c’è la pubblicazione
della sequenza completa del cromosoma X. Una cosa
assolutamente impensabile vent’anni fa e nemmeno
sognabile quarant’anni fa. Stiamo acquisendo lentamente un sacco di conoscenze: strappandole, non perché la natura sia cattiva e non voglia mollare i suoi segreti, ma semplicemente perché la natura si fa i fatti
suoi. Noi siamo l’unica specie che vuole andare a vedere le cose come stanno. E la natura non ci aiuta,
non vi è alcuna ragione per cui dovrebbe farlo. In
Sapere scientifico
ogni caso mi pare che negli ultimi cento centocinquant’anni di strada ne abbiamo fatta tantissima.. Potrei parlare di moltissime cose che sono state scoperte
e che sono incredibilmente appassionanti.
Certo la scienza è cambiata. Una volta la scienza era
opera di poche persone, in genere benestanti, grandi
dilettanti che chiaramente hanno fatto le scoperte
fondamentali perché chi arriva prima trova le cose
relativamente più facili. Oggi è diventata un mestiere. Il numero dei ricercatori è incredibilmente aumentato, soprattutto nelle scienze della vita.
Oggi l’impresa scientifica è un’impresa collettiva,
perché fatta da tanta gente. Ed anche progressiva,
perché ciascuno porta un contributo e difficilmente si torna indietro (è una specie di senso unico per cui i risultati vecchi vengono incorporati
negli esperimenti e nelle concezioni nuove).
Di che cosa si occupa la scienza? La scienza si occupa degli aspetti riproducibili del maggior numero possibile di eventi naturali. Quello che non è riproducibile non è scienza, non appartiene al dominio della scienza, anche se qualche volta ci incuriosisce da morire.
Ulteriore elemento, la scienza deve comunicare:
innanzitutto con i colleghi; e poi con tutto il
mondo, perché chiunque in linea di principio può
alzare la mano e dire: “Io ho verificato che questa
cosa non è vera”. Quindi il linguaggio della scienza è un linguaggio chiarissimo. Non è perfetto,
non è assolutamente non ambiguo, come quello
della matematica, per ragioni sostanzialmente inerenti alla materia ma deve essere il più possibile
privo di malintesi. Una scienza che non definisce i
termini di cui parla e non fa un ragionamento logico dall’inizio alla fine, non è una scienza, è una
pseudoscienza. Bisogna essere chiari, soprattutto
non bisogna dare luogo ad equivoci e, naturalmente, bisogna essere logici. La scienza è anche capacità di ragionare. Non perfettamente come la
matematica ma il più logicamente possibile.
La scienza è in grado di fare previsioni. Nelle pseudoscienze sono tutti bravissimi a spiegare perché
una cosa è successa, ma quasi mai a prevedere. E cosa ci vuole a spiegare quando una cosa è successa? Il
problema sta nel predire. La scienza è maestra di
predizione, anche se qualche volta, ovviamente, in
certi campi la predizione è particolarmente complicata. Ma lo è transitoriamente. Sicuramente con il
passare degli anni saranno sempre di più le cose che
si possono predire.
E, non ultimo aspetto, la scienza porta a realizzazioni concrete, porta alla costruzione di macchine, intese come marchingegni, come meccanismi
che possono essere materiali o anche mentali (non
è necessario che le macchine siano materiali), ma
che devono funzionare. Un bellissimo ragionamento, una stupenda teoria che non possa essere
messa in pratica, vuol dire che ha qualcosa che
non va. La realizzazione delle macchine è l’altra
faccia del metodo sperimentale.
Ne ho dette diverse di cose sulla scienza d’oggi:
l’essere collettiva, l’essere progressiva, l’essere potenzialmente controllabile da tutti, il parlare chiaro e senza contraddizioni interne, la capacità di
prevedere e la capacità di costruire macchine in
senso lato. Questa è la definizione di scienza oggi.
Di ognuna delle varie caratteristiche che ho nominato, ciascuno ne preferisce alcune. Io voglio, per
concludere questa prima parte, mettere l’accento
sul controllo collettivo. Quando uno fa un esperimento, è tutto contento e ha dei bei risultati se li
vuole comunicare al resto del mondo li deve prima mandare a un certo numero di esperti, i quali
devono dire se secondo loro è importante o non
importante, se è vero o non è vero. Naturalmente
anche questi ultimi possono sbagliare. Però una
cosa è sbagliare da soli e una cosa è sbagliare collettivamente. Può succedere che anche loro sbaglino, ma chiaramente è meno probabile e io devo
essere pronto, come un qualsiasi scienziato ad essere sindacato, ad essere criticato, ad essere anche,
più semplicemente, richiesto di essere più chiaro,
di essere più esplicito. Lì per lì fa arrabbiare terribilmente. Poi, se uno è onesto, deve sempre concludere che la critica è stata positiva, quantomeno
perché l’articolo uscito è più chiaro di prima, si
sono fatti più esperimenti ed è più inattaccabile.
Quale è il risultato di tutto ciò? Che mentre un secolo, un secolo e mezzo fa giravano degli errori
scientifici che potevano vivere per decenni, oggi ci
sono certamente degli errori scientifici, ma vivono
pochi anni. Naturalmente se sono cose importanti. Se si tratta di cose marginali di cui nessuno si
occupa possono vivere più a lungo. Ma le cose
importanti vivono poco, hanno una vita media di
quattro o cinque anni perché c’è sempre qualcuno
che o rifà lo stesso esperimento o ne fa uno molto
simile. Questa è la scienza.
Che cosa produce la scienza? La scienza produce secondo me tre cose. Conoscenza e cultura, applicazioni pratiche e una forma mentale. Se io dovessi
scegliere metterei quest’ultima funzione per prima.
Per me la scienza è soprattutto una scuola di pensiero critico, di razionalità e di capacità di ascoltare le
obiezioni degli altri. Doti che in questo Paese non si
sa proprio dove sono andate a finire.
Ma cominciamo dalla produzione di conoscenza.
Uno dei motivi, anche se certamente non il più
importante, per cui in questo Paese la scienza è di
basso livello e i giovani vanno poco alla scienza, è
perché si è creata una convinzione diffusa che le
conoscenze scientifiche non sono conoscenze vere. Solo i grandi sistemi, solo le massime domande, solo i ragionamenti che nessuno capisce, solo
quello è conoscenza. E’ un errore fondamentale e
lo era anche quattrocento anni fa. Non ci scordiamo che Platone è Platone perché si è innamorato
della geometria di Euclide. Aristotele è Aristotele
perché ha studiato gli “animaletti” e mai gli sarebbe venuto in mente di dire che l’individuo è sinte-
Per me
la scienza
è soprattutto
una scuola di
pensiero critico,
di razionalità
e di capacità
di ascoltare
le obiezioni
degli altri
13
Sapere scientifico
14
si di materia e forma se non avesse visto qualche
vermetto diventare insetto o altro animale. Vi assicuro, perché questo è stato il mio mestiere per anni, che se uno vede da un piccolo ovetto crearsi
un organismo, capisce che la materia è quella di
cui gli esseri viventi sono costituiti e chiaramente
non potranno essere senza materia, ma ci deve essere un principio generale che oggi sappiamo essere l’informazione genetica, il genoma. Lo studio
della biologia suggerisce fortemente questa doppia
natura delle cose. E tutto quello che ha a che fare
con la vita, ma non solo quello che ha a che fare
con la vita, ha una forma e una materia.
Infine Kant, probabilmente il più grande dei filosofi, si era talmente innamorato delle scoperte di
Newton, che uno dei pochi grossi granchi che ha
preso a proposito dello spazio e del tempo, derivava dal fatto di avere creduto oltre al lecito alle scoperte newtoniane.
La scienza, quindi, è sempre stata conoscenza e
produzione di novità. A maggior ragione oggi. Prima di cinquanta anni fa della mente si facevano
solo chiacchere. Così della psiche, sulla quale se
ne fanno tante anche oggi. Però è abbastanza chiaro che sono chiacchere. Mentre le cose sulle quali
non ci piove sono scoperte relativamente recenti.
La scienza ha scoperto tante cose e ha anche proposto tanti nuovi problemi. Molte questioni culturali sono state completamente riformulate sulla
base delle idee e delle scoperte della scienza. Quindi la conoscenza scientifica è conoscenza, la cultura scientifica è cultura.
E’ un errore diffuso ritenere che la conoscenza
scientifica sia una conoscenza parziale del mondo.
Certamente è una conoscenza parziale. Quando ci
insegneranno come si fa a non avere una conoscenza parziale, saremo felicissimi. Io in questo
momento insegno presso la Facoltà di Filosofia
del San Raffaele di Milano e potrete capire che sono circondato da filosofi che molto seriamente mi
spiegano come la nostra conoscenza, la conoscenza scientifica, guarda ad un aspetto particolare, ha
un approccio particolare rispetto all’universo. Io
dò loro ragione, pero gli chiedo di spiegarmi come si fa a conoscere il tutto promettendo, in questo caso, di cambiare mestiere il giorno dopo. Sono in un’età in cui posso tranquillamente farlo. Il
problema è che non lo sanno nemmeno loro come si fa. L’unico modo che c’è per conoscere il
mondo è quello di sminuzzarlo pezzettino per
pezzettino. Chiaramente poi i pezzi vanno messi
insieme. Pensate all’inizio della meccanica Pensate
all’attrito. L’attrito è ineliminabile, è una componente fondamentale della vita. Se non ci fosse attrito noi non cammineremmo. Nessuno si muoverebbe. Ce ne accorgiamo quando camminiamo su
un lago ghiacciato. Se è perfettamente senza attrito noi non ci muoviamo. Quindi, l’attrito è un’essenza ineliminabile della realtà. Ma se i primi meccanici avessero voluto studiare i moti del corpo
senza eliminare l’attrito, non sarebbero andati da
nessuna parte. Hanno utilizzato una finzione, hanno fatto un’ipotesi temporanea (supponiamo che
questa palla rotoli o che questo pendolo oscilli
senza attrito). E poi l’attrito è stato rimesso. Tanto
è vero che andiamo in aereo e in motoscafo. L’essersi privati dell’idea di attrito è stata una temporanea chiusura di orizzonti per potere poi riallargarli. Ecco, questa strategia, questa modestia della
scienza, l’utilizzo necessario di un tale metodo
vengono vissuti da molti come una deminutio, anche per la responsabilità di chi dovrebbe produrre
interesse per la scienza, vale a dire gli scienziati.
Non esiste in Italia una cultura della divulgazione.
Tutti i libri belli che io ho letto nella mia vita erano di autori stranieri. I giornalisti fanno del loro
meglio. Non è vero che non capiscono niente e
non sono informati. Sono giornalisti e fanno il loro mestiere. Quindi per loro una cosa che fa rumore è più importante di una cosa silenziosa. La
doppia elica l’hanno passata sotto silenzio cinquanta anni fa mentre su tutti i giornali, tutti i
giorni si legge qualche fesseria che non ha il respiro nemmeno di arrivare di qui a cinque anni.
Ma sono soprattutto i formatori, cioè gli insegnanti, che hanno l’onere e l’onore di diffondere
la mentalità scientifica soprattutto. E’ su di loro
che pesa prevalentemente questo impegno. Del
quale peraltro penso che siano perfettamente consapevoli. Io ho un ottimo ricordo dei miei professori. Non posso dire altrettanto dei miei figli, che
sono stati evidentemente sfortunati. E’ andata in
questo modo, ma certamente la scuola italiana
non è così male. Certo bisogna rafforzarla sull’aspetto scientifico, che non è secondario, ma è fondamentale ed è cultura. Alcuni insegnanti con i
quali parlo spesso si lamentano che le novità sono
tante. E’ vero, le novità sono tante, soprattutto in
campo biologico. Ma non c’è bisogno di seguire
le ultime novità. Un vero insegnante deve sapere
che cosa è importante, che cosa è lucido e duraturo e poi fa come i tracchi e finisce per terra. Un
vero insegnante deve essere soprattutto uno che
discrimina il grano dall’oglio, l’importante dal secondario. Egli fa un’opera meritoria, perché quello che entra nei cervelli a sei, a dieci, a quindici
anni non va più via, mentre quello che entra nel
cervello a venticinque, trenta, quarant’anni ha un
ruolo importante ma non così fondamentale. Cerchino gli insegnanti di dire poco e bene, di distinguere soprattutto il metodo dai contenuti, perché
i contenuti passano, il metodo resta. E per quanto
riguarda i ragazzi, credetemi, quello di scienziato è
il mestiere più bello del mondo e chi non lo fa
non ha capito niente.
*Professore Ordinario di Biologia e Direttore del
Laboratorio di Biologia Molecolare dello Sviluppo, DIBIT, Istituto Scientifico H San Raffaele