La crisi dell`estate 1943 fu gestita da Vittorio Emanuele III giocando
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La crisi dell`estate 1943 fu gestita da Vittorio Emanuele III giocando
Copertina I Savoia e l’8 settembre PESANTE FARDELLO DI VITTORIO EMANUELE III IL La crisi dell’estate 1943 fu gestita da Vittorio Emanuele III giocando le poche carte che l’Italia aveva in mano. Accerchiata dagli angloamericani e dai tedeschi – entrambi intenzionati a farne un campo di battaglia – il sovrano non poté far altro che prendere scelte più o meno obbligate. Nella speranza (vana) che gli Alleati avessero intenzione di rispettare la promessa fatta all’Italia di riconoscerle gli sforzi compiuti nella guerra contro la Germania di Aldo A. Mola V erso le ore 18 dell’8 settembre 1943, il comandante in capo delle forze angloamericane nel Mediterraneo, Dwight D. Eisenhower, intima al governo di Roma di dichiarare subito che l’Italia si è arresa (come del resto ha effettivamente fatto cinque giorni prima) pena pesantissime ritorsioni, prima tra tutte quella di dare lui stesso l’annuncio unilaterale al mondo della resa di Roma agli Alleati. I suoi messaggi vengono inviati da Algeri e ricevuti dal tenente Dick Mallaby, agente inglese paracadutato con tanto di ricetrasmittente sul lago di Como, recuperato dai Carabinieri e dal 28 agosto a disposizione, radio compresa, del Comando Supremo. Eisenhower è perentorio: «Avete intorno a Roma truppe STORIA IN RETE | 24 sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città (…). I piani sono stati fatti nella convinzione che voi agivate in buona fede (…). Ogni mancanza da parte vostra nell’adempiere a tutti gli obblighi dell’accordo firmato avrà le più gravi conseguenze per il vostro Paese. Nessuna vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella vostra buona fede e ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro Governo e della vostra Nazione». Non solo: se la resa non fosse stata annunciata entro l’ora convenuta (le 18.30) tutti gli accordi sarebbero stati nulli. Decrittati via via che pervengono, i dispacci sono comunicati al colonnello de Francesco, che li riferisce al maggiore Luigi Marchesi, presente alla riunione d’emergenza voluta dal Re al Quirinale con la partecipazione del capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio, e dei vertici militari a parte il capo di Stato Maggiore, Mario Settembre 2013 Vittorio Emanuele III accolto a Brindisi dopo aver lasciato Roma. Nella foto a destra, il sovrano e Pietro Badoglio durante un’esercitazione militare prima della guerra Roatta, impegnato ad assicurare ai tedeschi che l’Italia è al loro fianco. Bisogna scegliere: la resa o un secondo voltafaccia in pochi giorni? Con quali rischi? Erano in gioco la sorte di quarantacinque milioni di cittadini, dell’Italia stessa. Il tono del comandante alleato fa rompere gli indugi. L’Italia si arrende. Badoglio corre all’EIAR a registrare l’annuncio dell’armistizio diramato con dilazione giustificata nell’ultimo messaggio inviato da Roma ad Algeri tramite la radio di Mallaby: «L’eccessiva fretta (degli Alleati) ha effettivamente trovato i nostri preparativi incompleti e causato ritardo». Dominus di quelle ore decisive fu Vittorio Emanuele III. Come lo era stato il 25 luglio, quando aveva revocato la carica di capo del governo a Benito Mussolini e lo aveva sostituito con Badoglio; e come lo era stato il 28/30 ottobre 1922 quando con la Marcia su Roma in corso rifiutò di firmare lo stato d’assedio (del tutto inutile) approntato dal presidente dimissionario Luigi Facta e, in mancanza di alternative valide, incaricò Mussolini di assumere la presidenza del consiglio dei ministri. Anche la sera dell’8 settembre ’43 fu il Re a prendere in pugno le convulse trattative corse tra fine agosto e il Settembre 2013 | 25 STORIA IN RETE