Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
JOSIAS LEXMAN
LICANTROPIA
"Stamattina ho trovato una macchia di sangue sul cuscino!
Una vera e propria sbavatura, esattamente come sono appunto le macchie di bava sulle federe di chi dorme con la
faccia di lato e respira con la bocca, come fa mio marito.
Solo che questa stava sul mio cuscino e non era la solita macchia di saliva, quell'alone giallastro che spesso neanche la
candeggina riesce a tirar via. Questa era di un rosso rugginoso, scura, tendente al marrone. Di sangue, appunto.
Sangue rappreso.
Quando l'ho vista, la prima cosa che ho pensato è stata di essermi ferita in qualche modo nel sonno, ma guardandomi
con cura, non ho trovato nessuna ferita. Neppure una microscopica.
Sono corsa in bagno e ho cominciato a scrutarmi allo specchio in cerca di lividi, senza trovarne alcuno.
Poi, esaminando la bocca, ho notato delle vaghe strisce rossastre tra i denti e solo allora mi sono accorta che mi
dolevano un po' le gengive. Ho pensato: «Che cosa mi ha fatto quel pazzo?».
Ero sicura che fosse stato lui. E lo sono ancora! Credo che mi abbia colpita, forse con un pugno... Peccato però che
non possa provarlo.
Non ho nessun ricordo della notte scorsa. È colpa dei sonniferi, dei quali non posso più fare a meno se voglio dormire...
Mi rimbambiscono!
Tuttavia quel senso di stordimento ai muscoli della mandibola che sento ancora adesso, mentre scrivo, e sono passate
ore da stamane, rafforza in me la convinzione che mio marito mi abbia picchiata.
Non è mai successo prima però, considerando com'è cambiato in quest'ultimo periodo, non mi stupisce che possa
averlo fatto davvero.
E da qualche mese, infatti, esattamente da quando ci siamo trasferiti qui, nella villa in campagna, che mio marito si
comporta in modo strano. Sembra terrorizzato da me, mi evita, non dormiamo più nello stesso letto. Non mi cerca
neanche più per "quello".
Ha cominciato a bere, presumo.
Sta sempre con quel suo nuovo amico, Paolo mi pare si chiami.
Qui è stato solo una volta, lo incontrai in soggiorno che aspettava mio marito. A malapena mi ha detto buonasera e non
si è nemmeno presentato, da maleducato qual è. E poi non la smetteva di fissarmi.
Sicuramente mio marito é con lui che si sbronza, visto che rientra sempre a notte tarda e tante volte non va neanche
nella sua camera ma crolla addormentato sul divano.
Esattamente due mesi fa me lo son visto tornare a casa all'alba, pieno di lividi e con i vestiti stracciati. Era stato
pestato, ma mi aveva detto di essere scivolato nella scarpata affianco alla strada.
Che scusa banale!
Ma non voglio dilungarmi oltre, altrimenti perderò il filo.
Dico solo che mio marito é cambiato tanto da non riconoscerlo più.
È un'altra cosa adesso. Non è neanche più un uomo...
È un lupo mannaro!
Posso sembrare pazza a fare un'affermazione simile, ma se riesco a scrivere tutto prima che lui torni, chiunque leggerà
queste righe avrà chiaro quel che intendo.
E caso mai dovesse accadermi qualcosa... No, sarà meglio non pensarci! Altrimenti mi riprenderà la tremarella e non
riuscirò più a finire.
Tornando a stamane, ho detto di essere corsa in bagno. Ebbene, mentre ero lì a scrutarmi la bocca, ho notato che era
stata usata la doccia.
Noi donne ci accorgiamo sempre se qualcuno ha usato la nostra doccia, tanto più se ne abbiamo l'uso esclusivo.
Per quanto meticoloso possa essere uno a ripulire tutto dopo, noi lo scopriamo comunque.
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Ho naturalmente concluso che lui era stato nella mia stanza durante la notte e aveva usato il mio bagno.
Questa cosa potrebbe sembrare del tutto normale ma, considerando il fatto che mio marito, come ho già accennato, non
dorme nella mia stanza da mesi, ho trovato molto inquietante che nottetempo, mentre dormivo, avesse usato la doccia
del mio bagno, per accedere al quale bisogna per forza passare dalla mia stanza da letto.
Per questo ho pensato subito che vi fosse qualcosa di losco sotto.
D'impulso, sono andata a frugare nel cesto della biancheria sporca, temendo, alzando il coperchio, di trovare quello
che poi, appunto, ho trovato.
La sua camicia, la sua maglietta e i pantaloni erano lì. Intrisi di sangue.
Ho capito che lo aveva fatto di nuovo...
Da quel momento quella che era soltanto una lieve inquietudine si è trasformata in vera e propria paura.
Dietro la cesta c'erano le mie scarpe da running chiare, anch' esse sporche di sangue.
A quella vista la paura che sentivo si è un po' sciolta, lasciando spazio al fastidio iroso per quelle mie adorabili
scarpette rovinate.
Lo stronzo doveva averci fatto cadere sopra i suoi abiti lerci, nella fretta di nasconderli.
Mi son chiesta quale povera bestiola avesse ucciso stavolta e se avesse di nuovo conservato in casa il cadavere come,
tempo fa, aveva fatto con Chica.
Chica era la nostra cagnetta, un fox terrier a pelo duro dal carattere dolcissimo ma anche molto coraggiosa, a
giudicare da come difendeva il nostro giardino da estranei.
Io non sono mai stata un'amante dei cani, ma quella cagnetta era riuscita a conquistarmi.
Ha vissuto poco più di un anno con noi. Mio marito l'aveva acquistata da un allevatore che aveva solo cinque mesi e
l'aveva portata a casa in previsione del nostro trasferimento qui, nella villa.
Me n'ero affezionata davvero. Finché non è successa quella cosa...
È stato poco meno di un mese fa, lo so bene perché ricordo di aver notato che c'era la luna piena quella notte. E anche
ieri era plenilunio.
Durante il giorno mi era capitato un fatto strano con Chica: quando mi ero avvicinata per darle da mangiare, lei dal
buio della sua cuccia aveva ringhiato e guaito nello stesso tempo.
Ho creduto fosse ferita, così mi sono sporta appena sull'uscio della sua casetta e lei mi si è avventata contro, abbaiando
e sbuffando, con gli occhi spiritati.
Sono caduta all'indietro per lo spavento, ferendomi lievemente la mano. Ero certa che, se non mi fossi ritirata
velocemente, Chica mi avrebbe morso.
La cosa mi aveva preoccupato non poco, ma non avevo avuto il coraggio di provare ad avvicinarmi ancora alla cuccia,
dalla quale sembrava che il cane non volesse più uscire.
A cena, avevo raccontato tutto a mio marito. Mi aveva promesso che ci avrebbe pensato lui, che avrebbe chiarito il
motivo di quel comportamento anomalo.
«Potrebbe aver preso la rabbia.», mi aveva detto, ma a me quella frase era suonata come una bugia.
Mi era sembrato che lui sapesse bene il perché dell'atteggiamento aggressivo del cane.
Quella stessa notte mio marito ebbe un crollo nervoso.
La polizia lo trovò alle sei del mattino che vagava a piedi in mutande vicino la superstrada che porta in città, a quasi
tredici chilometri da casa. A loro non aveva saputo spiegare cosa gli fosse accaduto.
Gli agenti lo avevano portato in ospedale poiché era pieno di escoriazioni e ferite superficiali.
Lì i medici lo avevano ricoverato, giudicandolo in stato di shock.
Con la polizia non si era esposto per paura di non essere creduto, ma quando fummo lasciati soli in ospedale, mi
raccontò di essere stato braccato e inseguito nel bosco da qualche animale di grossa taglia che aveva cercato di
'predarlo'. Si! Si era espresso proprio così. Qualcosa che voleva catturarlo e a cui era sfuggito per miracolo.
Io non avevo osato contraddirlo. Non mi sembrava una bufala, lui era visibilmente impaurito, ma anche allora ebbi
come l'impressione che mi stesse nascondendo qualcosa.
Quella mi pareva solo una mezza verità...
Cominciai a chiedermi se mio marito non stesse impazzendo in preda a qualche delirio nel quale però cercava di non
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coinvolgermi.
Sembrava logorato dalla voglia di parlarmene e al contempo si sentiva in dovere di tenermene allo scuro, come se
volesse proteggermi dal suo personale incubo.
Stanca e avvilita me ne tornai a casa che era già pomeriggio inoltrato.
Quando imboccai il viale di casa, mi ricordai di Chica e andai a vedere se si era decisa ad uscire dalla sua cuccia.
Come avevo sperato, non la trovai lì.
La chiamai ripetutamente, ancora non sapevo la fine che avesse fatto.
Poi la trovai morta, adagiata sul top in marmo del cucinino giù in tavernetta, avvolta in un grande foglio di cellophane
trasparente. Esposta lì, manco fosse stata una pietanza da cucinare...
Con un coraggio che non so da dove presi, sollevai un lembo del velo plastificato.
Era stata martoriata, sembrava che l'avesse squartata qualche bestia feroce.
Aveva una lunga ferita che le partiva dal bassoventre per risalirle alla gola e più su fino al muso, con il labbro
superiore sinistro strappato che mostrava un canino.
Era morta con un digrigno di dolore stampatole perennemente sulla faccia, povera cucciola!
Accanto a lei c'era un sacchetto di plastica con dentro un pigiama sporcato dal suo sangue.
Era il pigiama di mio marito, a riprova del fatto che non poteva che essere lui, l'autore di quel delitto.
Non so come non abbia dato di matto anch'io di fronte a quella scena raccapricciante.
Ricordo solo che avevo le mani sporche del sangue di Chica e che piangendo scappai a lavarmi via quell'orrore
d'addosso.
Passai una notte in preda al panico pensando alle parole di mio marito della sera precedente:
«Me ne occupo io... », aveva detto. « Tu pensa solo a stare tranquilla!».
E se ne era occupato eccome!
Più ci pensavo e più non avevo dubbi sulla colpevolezza di mio marito. Ciò che non capivo era il perché. Non capivo
come, un uomo dolce e gentile come lui, potesse essere arrivato a compiere un gesto così empio e crudele.
Non sapevo assolutamente cosa fare, mica potevo denunciarlo! Una moglie che si rispetti non lo farebbe.
Ma dovevo pur dirgli qualcosa.
Lo chiamai, vagamente consapevole che era tarda notte e che lui, in degenza ospedaliera, stesse dormendo di un sonno
pesante.
Mi rispose dopo molti squilli, mezzo stordito e stupito della chiamata.
Io andai subito al punto e gli chiesi, fingendomi ignara della verità, se sapeva dove fosse Chica.
Mi rispose che non aveva idea di dove si trovasse il cane e che riteneva assurda quella chiamata in piena notte per
chiedergli una cosa simile, soprattutto con quello che stava passando.
Chiusi mentre ancora lui bofonchiava rimproveri, senza insistere.
Mi sentivo di nuovo in preda all'ansia.
La sua reazione mi era sembrata fin troppo sincera e legittima per uno che aveva squartato il suo cane domestico.
E questa cosa, che lui non ricordasse quello che aveva fatto, mi faceva gelare il sangue nelle vene.
Stavo scoprendo un lato oscuro di mio marito, fin troppo crudele e violento per i miei gusti.
E per di più sembrava nascosto persino alla sua coscienza.
Quella notte non chiusi occhio e, ora che ci penso, è da allora che ho cominciato a non dormire più, se non con i
sonniferi.
Ricordo che continuava a tornarmi in mente la povera Chica, il suo cadavere giù in tavernetta, con quel ghigno forzato.
Strane e paurose elucubrazioni mi passavano per la testa.
Cominciai a temere che questa cosa avrebbe distrutto inevitabilmente il nostro matrimonio.
In fondo lo amavo. E lo amo ancora.
L'indomani mi feci aiutare da Adelmo, il figlio del pastore che sta alla casa trecento metri più a valle, gli unici vicini
che abbiamo.
Gli ho raccontato che Chica era stata investita e volevamo seppellirla in giardino. Quel ragazzone di sedici o
diciassette anni è stato molto discreto, non ha fatto domande: con fare riverente ha scavato la fossa e vi ha deposto il
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corpicino del cane, poi ha ricoperto tutto con cura.
Un bravo ragazzo Adelmo...
Sono molto preoccupata per lui. Spero non sia davvero come temo...
Ma ora sto di nuovo divagando.
È necessario che spieghi tutto in maniera ordinata.
Dopo aver seppellito Chica e pagato un compenso ad Adelmo per l'aiuto, ho chiamato al telefono un mio vecchio amico
che sapevo docente di psicologia.
Gli ho chiesto se poteva aiutarmi, in via ufficiosa, con mio marito. Almeno per farmi un'idea di cosa gli stesse
accadendo.
Gli ho raccontato degli strani comportamenti che mio marito aveva mostrato negli ultimi tempi, dalla volta che era
stato pestato fino alla storia di Chica.
Gli ho parlato del distacco che tutta quella situazione ha creato tra noi e l'ho implorato di aiutarmi a guarirlo,
chiedendogli se esisteva una cura per quel tipo di disturbi.
Il professore è stato davvero molto gentile. Pur non sapendo darmi delle risposte lì per lì, al telefono, si è comunque
impegnato a inviarmi un’e-mail poche ore dopo la telefonata in cui venivano elencati una decina di casi simili a quello
di mio marito, tutti contrassegnati con una diagnosi di schizofrenia.
Nel complesso erano tutti casi di licantropi, ovvero pazzi paranoici che si credono consapevolmente animali e si
comportano come tali.
Ma alcuni casi parlavano di persone con disturbi bipolari che di solito non avevano coscienza di quelle crisi e non
ricordavano nulla di quei loro momenti, per cosi dire, "animaleschi".
Un’e-mail davvero molto esaustiva; c'era persino un file video in allegato.
È stato leggendo quei documenti che ho capito che mio marito è un lupo mannaro.
Certo, non sto parlando di quelle creature mitologiche che si trasformano in lupi antropomorfi nei film dell'orrore.
La licantropia è un disturbo mentale, in cui a trasformarsi è solo la mente dell'individuo.
Ma è anche vero che alcuni individui, durante queste crisi sembrano sviluppare una forza sovrumana.
E come se la loro tensione muscolare aumentasse di colpo, conferendo loro una potenza inaudita.
La spiegazione della licantropia sembrerebbe legata a una specie di retaggio atavico, un atteggiamento tramandato da
quando eravamo primitivi e basavamo il nostro sostentamento sulla caccia agli altri animali o agli uomini di altre
tribù.
Non a caso esistono ancora, o sono esistiti fino a poco tempo fa, in zone del mondo non ancora civilizzate delle
comunità di indigeni dedite al cannibalismo.
Anche l'insorgere di questi comportamenti primordiali quando c'è la luna piena non è un caso, pur non essendo una
regola. La luna piena, infatti, era propizia alla caccia notturna perché permetteva agli uomini di godere di una
visibilità maggiore.
In breve, è come se scattasse un meccanismo interiore in questi soggetti che, facendoli tornare a uno stadio puramente
istintivo, annienta temporaneamente la loro coscienza, trasformandoli, di fatto, in animali pericolosi e affamati.
La loro forza, in quei momenti, aumenta vertiginosamente, tanto che potrebbero tranquillamente smembrare a mani
nude un animale più debole. O un altro uomo.
Questo non deve sorprendere se si pensa che allo zoo è vietato allungare le mani nelle gabbie degli scimpanzé o degli
oranghi per toccarli o dare loro del cibo, perché questi potrebbero in un lampo afferrarci e staccarci il braccio dal
corpo, nonostante in genere non pesino più di cinquanta chili.
E loro in natura sono i nostri parenti più prossimi, perciò non dovremmo stupirci che un uomo possa dimostrare tanta
forza fisica.
Specialmente se è un licantropo.
Il video in allegato all’e-mail mostra, a tal proposito, il comportamento degli scimpanzé a caccia.
Prima di vederlo avevo sempre pensato a questi animali come a simpatici mangiatori di banane molto intelligenti, ma
vederli a caccia, mentre predano scimmie di altre specie, mi ha davvero sorpreso.
Non li immaginavo capaci di tanta furia e violenza. Fanno davvero paura!
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Ecco, penso che le persone che soffrono di licantropia più che come lupi, diventino in realtà come gli scimpanzé
quando vanno a caccia: bestie feroci guidate dalla fame di carne e sangue e dalla frenesia di mostrare la loro forza.
Poi, finita la crisi, tornano in loro e spesso non ricordano niente di ciò che hanno fatto mentre erano così.
Ignorano addirittura di essere affetti da tale disturbo, come nello sdoppiamento della personalità, il bipolarismo, in cui
la parte sana non sa nulla di quella malata.
Mio marito, quindi, soffrirebbe di licantropia.
È malato e, anche se inizialmente pensavo che non fosse pericoloso per le persone, oggi purtroppo temo che dovrò
ricredermi su questa cosa.
Quando stamane ho trovato i suoi abiti sporchi di sangue, ho creduto che avesse ucciso qualche altra bestiolina come
Chica. E Dio lo sa quanto ho pregato che fosse solo un animale, la vittima della follia di mio marito.
Ho raccolto i vestiti dalla cesta, intenzionata a portarli di sotto per metterli a mollo, prima di passarli in lavatrice.
Frugando nelle tasche, ho trovato le chiavi del SUV, anche queste leggermente macchiate di sangue.
Se il SUV era qui, probabilmente in casa c'era anche mio marito.
Sono scesa con circospezione, temendo di trovarmelo davanti da un momento all'altro.
Lui però non era in casa... Era uscito con la mia auto.
Tirando un sospiro di sollievo ho attraversato il soggiorno lentamente dirigendomi alle scale che portano in tavernetta,
certa che lì mi sarei trovata davanti ad un altro scenario rivoltante come quello di Chica.
Ma il cucinino era pulito, nessuna bestiola morta, niente sangue.
Poi mi sono ricordata delle chiavi del SUV e stavo per andare in garage, quando ho sentito suonare il citofono.
Mi sono precipitata di sopra con il cuore in gola. Non credevo fosse mio marito, lui non avrebbe suonato, ma pensavo
che fosse qualcuno che lo cercava per chissà quale guaio.
Era invece il mio vicino, il padre di Adelmo.
Incuriosita, gli ho aperto il cancello, ho indossato una vestaglia al volo e l'ho raggiunto in cortile.
L'uomo sembrava molto preoccupato.
Mi ha spiegato che suo figlio Adelmo non era rientrato a casa ieri sera, che aveva il telefono spento e che era disperato
perché il figlio non è quel tipo di ragazzo che sparisce senza avvisare.
Temeva gli fosse accaduto qualcosa di brutto.
Io non sapevo come aiutarlo, mille pensieri mi affollavano la mente.
Gli ho chiesto se avesse allertato le forze dell'ordine e lui mi ha detto che lo aveva fatto, ma la polizia non sarebbe
intervenuta prima di ventiquattrore dalla scomparsa.
Ho cercato di rassicurarlo con qualche frase di circostanza, ma proprio non sapevo cosa dire.
Una nuova angoscia stava riempiendo il mio cuore.
Non so come ho retto finché il mio vicino non se n'è andato, scusandosi, cupo in volto forse più di me.
Sono rientrata e, non appena mi sono chiusa la porta alle spalle, sono corsa in bagno a vomitare.
Era quasi mezzogiorno e non avevo toccato cibo dalla sera prima. Eppure ho vomitato fino a svuotarmi lo stomaco e
rivoli rossi sono fiottati dalla mia bocca insieme a quelli che mi sono sembrati resti di carne mal digerita.
Ma dovevo essere molto suggestionata perché l'ultimo pasto che ricordavo era una mousse di piselli con crostini di
pane integrale.
Non so quanto tempo ho trascorso messa lì con la faccia sulla tazza ad aspettare che finissero i conati.
So solo che quando mi è tornato in mente che dovevo andare a controllare il SUV erano quasi le tre del pomeriggio.
Mi sono fatta coraggio, mi sono sciacquata più volte la faccia e mi sono decisa a tornare al garage.
Appena si è accesa la luce a neon ho subito notato la piccola macchia scura sul pavimento in corrispondenza del
paraurti posteriore del SUV. Sulle piastrelle bianche spiccava come un rubino.
Non senza riluttanza ho seguito con lo sguardo la traccia della colatura dal fondo verso la targa e poi su, dove il
paraurti è più bombato, fino all'origine che sembrava essere un piccolo lembo di telo che fuoriusciva dal portellone del
portabagagli.
Con la sola luce del neon e il vetro del lunotto oscurato non si riusciva molto a distinguere cosa c'era all'interno del
bagagliaio. Ma non avevo il coraggio di aprire il portellone.
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Così ho provato a spostarmi per guardare dal vetro laterale. Da lì si scorgeva quello che sembrava un grosso sacco di
iuta, tipo quelli che gli agricoltori usano per stipare le mandorle.
Alla fine la curiosità ha vinto sulla paura e mi sono decisa ad aprire il cofano del SUV.
Un lezzo di decomposizione mi ha travolto le narici procurandomi l'ennesimo conato a vuoto.
Non avevo davvero più niente da vomitare.
Sul telo di plastica messo a protezione della tappezzeria c'era un lago di sangue, tutto proveniente dal fondo del sacco.
Avevo paura di sapere cosa c'era in quel sacco ma ormai non potevo più tirarmi indietro, dovevo controllare. Ho
afferrato un lembo del telo dove sembrava più pulito e ho tirato.
Il sacco non si è smosso dalla sua posizione.
Allora ho dato uno strattone con tutta la forza che avevo e a quel punto il sacco si è rovesciato su un fianco, cadendo
dalla mia parte.
Il sangue sul telo è schizzato dappertutto e non ho potuto evitare di sporcarmi.
Nella caduta, la corda che stringeva l'orlo del sacco si è allentata un poco, e la suola di uno scarpone da uomo ha fatto
capolino dall'apertura.
Non mi è servito vedere altro...
Con quella visione la mia paura più grande aveva purtroppo trovato un fondamento.
In preda a un terrore incontrollabile ho richiuso il portellone del SUV sbattendolo rumorosamente e sono scappata di
sopra, gridando e piangendo come una bambina.
Da lì non saremo più tornati indietro.
Quel folle di mio marito aveva superato la soglia oltre la quale era impossibile ritrovare il buon senso...
Aveva ucciso una persona... Ed io non sapevo più cosa fare.
Ho trascorso il resto del pomeriggio a domandarmi come dovevo agire, ma alla fine mi sono decisa a chiamare la
polizia.
All'agente che ha preso la telefonata ho raccontato di non sapere dove si trovasse mio marito e che temevo fosse nei
guai dato che avevo trovato i suoi abiti insanguinati.
Ho mentito perché volevo che la polizia scoprisse da sola quello che lui aveva fatto, non mi andava di tradire mio
marito consegnandolo direttamente alle autorità.
L'agente però non ha compreso l'urgenza della mia chiamata perché mi ha spiegato che in quel momento erano molto
impegnati nella ricerca di un minore scomparso.
Adelmo, ho immaginato.
Mi ha comunque promesso che avrebbero mandato una pattuglia da me al più presto.
Poco dopo ha chiamato mio marito, per dirmi che sarebbe rientrato per cena.
Al telefono, per non insospettirlo, gli ho solo detto che al suo rientro avremmo dovuto discutere di una questione
importante. Lui mi ha promesso che non avrebbe tardato e ha messo giù.
È stato allora che mi sono seduta al computer per scrivere queste pagine.
L'ho fatto perché non so come andrà a finire questa storia. I dubbi mi stanno corrodendo l'animo.
Adesso si è fatta sera e la luna piena è spuntata nel cielo.
Ho messo una tuta sportiva di mio marito. Non so perché l'abbia indossata.
Forse volevo solo sentirmi protetta.
Vestirmi con le sue cose mi ha sempre fatto sentire come se stessi tra le sue braccia.
Non ho mai avuto tanto bisogno di un suo abbraccio come oggi...
Ecco, mio marito sta rientrando adesso. Ho visto i fari della nostra utilitaria riverberare nella stanza e sono andata
alla finestra. C'è anche Paolo con lui...
Chissà perché la presenza del suo amico non mi tranquillizza affatto. Per quanto ne so, quel Paolo potrebbe essere
complice delle malefatte di mio marito.
Ho paura, ma prima che arrivi la polizia sento che devo provare a parlargli.
Devo fare capire a mio marito che ha un problema e che deve curarsi.
Inoltre spero di convincerlo a costituirsi. Forse, se gli parlo col cuore, si lascerà aiutare.
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Voglio credere che ci sia ancora qualcosa di buono in lui. Perché?
Perché lo amo e, come moglie innamorata, devo provare a salvare quel che resta del nostro matrimonio.
Sempre che ancora ci sia, qualcosa da salvare.
Ci siamo, stanno entrando. Ho sentito la serratura scattare... Che Dio mi assista!”.
L'ispettore Mostardi in tanti anni di carriera non aveva mai visto una scena del crimine così.
Sembrava che quei poveretti fossero stati attaccati da una belva.
Il primo dei due, l'uomo che abitava in quella casa, tale Dario Rivaldi, era stato sgozzato con qualcosa di uncinato che
gli aveva strappato via la trachea e buona parte dei tessuti del collo. L'altro, invece, all'anagrafe Paolo Bosseni, era
messo peggio.
Gli avevano staccato il braccio destro dal corpo e aveva il petto spaccato in due, come se due mani dalla forza
spaventosa lo avessero afferrato dalle costole e tirato fino ad aprirgli la gabbia toracica.
L'ispettore aveva visto decine di morti ammazzati, ma quei due cadaveri dilaniati in quel modo orrendo, erano la visione
più truce che gli fosse mai capitata.
Appena era entrato in quella casa e aveva visto la scena, aveva ordinato alla sua giovane collega di controllare il PC che
era stato lasciato acceso sulla scrivania. Lo aveva fatto per distrarre l'ispettrice novellina dalla vista di quei cadaveri, che
stavano impressionando persino lui.
Come se non bastasse, uno degli agenti gli portò la notizia di un terzo cadavere, fatto a pezzi e nascosto in un sacco nel
bagagliaio del SUV, in garage.
Si trattava del ragazzo scomparso la sera prima, Adelmo Serrigi, di soli sedici anni.
Quando l'ispettore si recò dalla sua collega per riferirle della terza vittima, scoprì che lei lo sapeva già.
<< Come lo sai? >>, le chiese stupito. In risposta l'ispettrice indicò il PC aperto su un documento Word.
<< C'è scritto qui. >>, disse seria. << È il ragazzo scomparso, vero? >>.
L'ispettore annuì. << Cos'altro c'è scritto? >>.
<<Dobbiamo trovare la donna! La padrona di casa... So che sembra impossibile, ma è stata lei a compiere questo
massacro! >>.
L'ispettore Mostardi guardò la collega come se stesse farneticando, però la ragazza non si scompose.
<< Non lo sto certo inventando! Ti dico che è stata lei! Se leggessi anche tu qui, capiresti... >>, spiegò, battendo un
indice sullo schermo del computer. << ... È una donna "mostruosamente" pericolosa! >>.
L'ispettore fissò lungamente negli occhi la sua collega, senza proferir verbo.
Alla fine concluse che poteva fidarsi.
Per quanto pazzesco sembrasse, la novellina era sicura di quello che stava affermando.
Così Mostardi prese il telefono e chiamò la centrale.
<< Voglio dei posti di blocco su tutte le strade! ...Si, anche sulla provinciale! Fate presto! >>, ordinò.
La donna che aveva scritto quelle pagine non poteva essere arrivata molto lontano.
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