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L'AUDIOVISIVO
La natura dell'audiovisivo è individuabile innanzitutto nel sincretismo dei materiali che lo
compongono e nell'eterogeneità dei codici utilizzati:
1) l'immagine
2) le scritte e gli altri elementi grafici
3) il parlato
4) la musica
5) il rumore
I primi due, immagine e tracce scritte, danno un contributo maggiore alla comprensione del testo e
appartengono entrambi alla sfera della vista. Gli ultimi tre invece interessano l'udito.
LE IMMAGINI NEGLI AUDIOVISIVI
Le inquadrature sono considerate (per convenzione) le unità di base del discorso filmico. Esse
corrispondono fisicamente a porzioni di pellicola, di nastro o a dei file.
Un'inquadratura consiste nella rappresentazione di un certo oggetto per un certo tempo ed è il
risultato di scelte relative ai due livelli di produzione dell'audiovisivo: filmico e profilmico.
Il primo livello - filmico - concerne l'utilizzo della macchina da presa e riguarda l'articolazione dei
codici più propriamente cinematografici, come l'angolazione, la distanza, la dialettica fra campo e
fuori campo, l'altezza e la profondità del campo visivo.
Il secondo livello - profilmico - concerne tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa e fa
concretamente parte della storia narrata: la scenografia, i personaggi, le luci e il colore, cioè quei
codici che prima il cinema e poi gli altri generi di audiovisivo hanno ereditato dal teatro.
Il profilmico può essere reale, modificato o artificiale, Marcel Martin propone tre categorie:
1) Realista: “che non ha altra implicazione che la sua stessa materialità, non significa che quello
che è”.
2) Impressionista: “è scelto, modificato o ricostruito a partire dalla dominante psicologica
dell'azione, è il paesaggio di uno stato d'animo”.
3) Espressionista: “può essere o meno funzionale alla dominante psicologica dell'azione ma,
contrariamente a quel che accade tanto per il modello realista quanto per quello impressionista,
questo ambiente è esplicitamente artificiale”.
INQUADRARE
L'atto di inquadrare consente di delimitare lo spazio che sarà ripreso e al contempo di escludere
tutto il resto che rimarrà fuori campo, ossia all'esterno del campo visivo dell'osservatore.
Inquadrare quindi significa allo stesso tempo includere ed escludere: si include tutto ciò che
concorre allo svolgimento della scena e si esclude ciò che non è necessario al racconto. Ma
nell'inquadratura, che è un frammento del racconto, gli oggetti in campo rimangono in rapporto con
quelli presupposti fuori campo, lo spettatore è consapevole che lo spazio continua ai quattro lati
dello schermo e anche alle spalle dell'obiettivo.
Nell'audiovisivo, a differenza della fotografia, l'inquadratura non è solo la porzione di spazio che
vogliamo inserire nel frame, ma ha anche una durata temporale: la durata della ripresa; mentre in
fase di montaggio l'inquadratura è considerata la porzione di ripresa che rimane integra da attacco a
stacco.
Le singole inquadrature, una volta montate nell'ordine voluto, formano le scene e le varie scene
formano le sequenze. Quindi, per puntualizzare, nel linguaggio dell'audiovisivo, il termine
inquadratura viene usato con due diversi significati:
A) Lo spazio che la macchina da presa (m.d.p.) delimita, catturandolo attraverso l'obiettivo:
concezione spaziale dell'inquadratura.
B) Il frammento ininterrotto di azione ripreso che si trova compreso fra uno stacco e l'altro:
concezione temporale dell'inquadratura.
L'inquadratura assume nomi diversi a seconda della posizione e dalle ottiche che la m.d.p. assume
rispetto al soggetto inquadrato. In riferimento allo spazio si parla di campi, in riferimento alla
figura umana di piani, in riferimento alla posizione si parla di angolazioni e inclinazioni.
Diciamo quindi che l'inquadratura è definita da:
1) Grandezza: ad esempio il fotogramma DV = 720x576 pixel.
2) Distanza e lunghezza focale cioè la distanza apparente: la definiamo apparente perché,
sebbene la m.d.p. possa essere posta ad una certa distanza “x” dall'oggetto da riprendere, (distanza
reale) questa può essere modifica attraverso gli obiettivi (otticamente) quindi dalla lunghezza
focale o distanza di presa. Solitamente durante le riprese variano sia la distanza reale che gli
obiettivi.
3) Posizione dell'asse ottico dell'obiettivo cioè la posizione della macchina da presa: l'asse ottico è
una retta immaginaria passante per il centro dell'obiettivo e per il punto d'interesse. La sua
inclinazione e la sua altezza rispetto al terreno determina il tipo di inquadratura:
- orizzontale
- obliqua (verso l'alto o verso il basso)
- verticale (supina/verso l'alto o a piombo/verso il basso)
4) Movimenti che possono essere:
- propri quando si muove solo la m.d.p. Avremo un movimento apparente degli oggetti in scena
che varia in base alla distanza tra m.d.p. e oggetti ripresi: gli oggetti più vicini sembreranno
muoversi più velocemente mentre quelli all'orizzonte appariranno fermi.
- Nel caso in cui si muovano sia la m.d.p. che gli oggetti avremo una combinazione di movimenti
oggettivi e soggettivi.
- Movimenti degli oggetti in scena quando la telecamera è fissa e si muovono gli oggetti.
In tutti e tre i casi l'esclusione/inclusione di spazio avverrà in maniera continuativa. In base al tipo
di movimento compiuto dalla macchina da presa, l'inquadratura può essere definita come carrellata
o panoramica.
Le inquadrature si definiscono fisse quando l'angolo di campo rimane costante e la macchina da
presa non compie movimenti. Nel caso variasse l'angolo di campo, l'inquadratura è definita
carrellata ottica o, più comunemente, zoom.
In base al punto di vista che lo spettatore percepisce, l'inquadratura è definita oggettiva quando è
neutrale, e soggettiva quando mostra il punto di vista di uno dei personaggi.
In base alla messa a fuoco, l'inquadratura può essere a fuoco, oppure sfuocata (detta anche flou).
Il fermo immagine è una inquadratura composta da un singolo fotogramma ripetuto più volte e si
ottiene in fase di montaggio.
Altre definizioni più tecniche possono essere utilizzate in base al tipo di attrezzatura utilizzata, alla
combinazione di più movimenti o alla presenza di effetti particolari, ad esempio, un'inquadratura
definita in inglese hand-held shot, è ottenuta con la camera a mano; un effetto Vertigo è ottenuto
combinando una carrellata e un movimento dello zoom. Il suo nome deriva dal fatto che Hitchcock
sfruttò quest'effetto nel suo film Vertigo, per creare il senso di vertigine del protagonista affetto da
acrofobia.
5) Durata: le inquadrature hanno una durata che in fase di ripresa va dal ciak allo stop e in fase di
montaggio da attacco a stacco.
Approfondiamo ora alcuni dei punti sopraindicati
IL PUNTO DI VISTA, LE DISLOCAZIONI DELLO SGUARDO
Nel linguaggio cinematografico la dislocazione della macchina da presa ha una importante funzione
espressiva in quanto definisce l'esatta posizione da cui lo spettatore vedrà la scena ripresa. Tenendo
conto delle odierne possibilità tecniche possiamo indicare alcune posizioni tipiche:
Oggettiva convenzionale: la m.d.p. è collocata nella posizione di un ipotetico testimone che
osservi dall'esterno una scena entro cui interagiscono i protagonisti della vicenda; un osservatore, in
qualche modo, supposto umano e verosimile.
Oggettiva irreale: la m.d.p. è collocata in una posizione inconsueta rispetto ai parametri spaziali e
cinetici, può essere resa anche grazie all'uso di una particolare tecnologia di ripresa o di una
simulazione al computer.
Interpellazione: il personaggio guarda in macchina come a voler incrociare lo sguardo dello
spettatore.
Soggettiva convenzionale: la m.d.p., e quindi anche gli occhi dello spettatore, s'identificano con il
punto di vista di un personaggio.
Soggettiva straniante: il punto di vista con cui lo spettatore è indotto ad identificarsi risulta in una
strana posizione rispetto alle comuni angolazioni percettive: potrebbe, ad esempio, trattarsi dello
sguardo mobile di una mosca simulato al computer.
Semisoggettiva: Suggerisce il punto di vista di un personaggio ma, a differenza della soggettiva
convenzionale, mostra anche (ad esempio) le spalle o la testa del personaggio stesso.
CONCEZIONE SPAZIALE DELL'INQUADRATURA: LA DISTANZA APPARENTE
Al cinema e alla televisione siamo abituati a vedere le persone vicine o lontane, a volte sono così
vicine che l'inquadratura è occupata solo dal loro volto, altre volte sono così lontane da non
distinguersi tra loro. Ogni volta che riprendiamo una persona con la m.d.p., ma anche per disegnarla
o fotografarla, siamo chiamati, inevitabilmente, a scegliere a quale distanza porci. Questa scelta non
può essere casuale, perché influisce in maniera sostanziale sulla composizione e comunicazione.
Da un punto di vista tecnico, se la distanza è consistente il soggetto apparirà più piccolo, se la
distanza è ridotta il soggetto apparirà più grande. Se però usiamo uno zoom in avanti, il soggetto
apparirà vicino anche se la camera è fisicamente distante dal soggetto. Per questa ragione lo spazio
che separa il soggetto dalla camera è stato definito distanza apparente. Per rendere più chiaro il
rapporto tra distanza della m.d.p. e spazio inquadrato si utilizza una nomenclatura che assegna ad
ogni distanza un nome.
Le inquadrature dove prevale il soggetto si chiamano piani, quelle dove prevale l'ambiente campi.
Piani
Primissimo Piano (PPP)
Va dalla fronte a sotto il mento. Gli occhi si situano all'incirca sulla linea del primo terzo
dell'inquadratura, la bocca sulla linea del secondo terzo. Il viso occupa tutta l'inquadratura. Le linee
della bocca e degli occhi sono in evidenza, perché anche nella vita reale attraggono la nostra
attenzione, mentre invece la parte alta della testa è inespressiva e per questo viene tagliata.
Utilizzato per rivelare lo spazio psicologico di un personaggio, è un piano molto forte,
coinvolgente, che induce ad un rapporto di prossimità molto stretto.
Primo Piano (PP)
Come il PPP ma più allargato simmetricamente. Include quindi tutti i capelli e un piccolo spazio in
alto chiamato in gergo "aria in testa", e in basso arriva fino alle spalle. Anche in questo caso,
dunque, le linee degli occhi e della bocca sono centrali. Si tratta di una inquadratura meno forte del
PPP, ma comunque intima, coinvolgente. Crea un legame con il pubblico, può sottolineare una
battuta di dialogo, mettere in evidenza un personaggio o le sue espressioni facciali.
Piano Medio (PM) mezzobusto
Va da sopra i capelli (lasciando "aria in testa") fino alla vita. Il viso è ben visibile con tutte le sue
espressioni, ma è una inquadratura meno forte delle precedenti, quindi adatta a momenti in cui non
si vuole trasmettere troppa tensione. È usata anche quando vogliamo passare delle informazioni che
non sarebbero percepite se fossimo in un piano più ravvicinato, come ad esempio i gesti, o mostrare
parte dell'ambiente circostante e anche quando si vuole tenere contemporaneamente in campo due
persone.
Piano Americano (PA)
Da sopra i capelli (lasciando "aria in testa") sino alle ginocchia. Il soggetto umano è più lontano,
l'ambiente non prevale ancora, ma è molto ben visibile. Le espressioni più sottili del viso non sono
percepibili.
Figura Intera (FI)
Da sopra i capelli (lasciando "aria in testa") sino ai piedi compresi. Il soggetto occupa in altezza
tutta l'altezza dell'inquadratura. Vi è un forte equilibrio tra ambiente e personaggio. Così come il
CM è spesso utilizzato per tenere contemporaneamente in campo più persone che siano facilmente
riconoscibili dal pubblico.
Campi
Campo Medio (CM)
Il soggetto occupa in altezza da un terzo a metà dell'altezza dell'inquadratura. Del viso percepiamo
solo le espressioni più marcate. L'ambiente prevale sul soggetto, l'attenzione torna sul personaggio
se questo si muove.
Campo Lungo (CL)
Prevalenza netta dell'ambiente sulla persona, il soggetto umano è lontano. Non scorgiamo più
alcuna espressione del viso, ma il suo movimento, se ampio, è ancora visibile. Si tratta di una
inquadratura che serve a mostrarci un paesaggio o per informarci, ad esempio, sul luogo in cui si sta
svolgendo un'azione. Contribuisce a "raffreddare" la scena, per questo potrebbe essere usata anche
alla fine di una scena per indicare che un'azione è terminata. Oppure potrebbe, come il CM e il
CLL, introdurre una nuova scena prima di mostrarci i personaggi in azione.
Campo Lunghissimo (CLL)
Il soggetto è molto lontano. Percepiamo i suoi movimenti nello spazio, ma in questo caso i suoi
gesti non sono chiari: l'ambiente è assolutamente prevalente.
Nell'uso comune si utilizzano anche altri termini che sono un po' più generici di quelli descritti
sopra:
Campo Totale (CT) o Totale (tot.)
L'azione è ripresa interamente come tutte le persone che ne prendono parte, quindi in un totale: non
c'è qualcuno in evidenza, ma vi sono varie persone od oggetti, situate anche a distanze diverse.
Dettaglio (dett.)
È quando un oggetto non è ripreso per intero, ma solo in parte.
Totale (di un oggetto)
(Ad esempio, di un cappello) è una inquadratura dove l'oggetto è ripreso interamente
Particolare (part.)
È una inquadratura che riprende solo una parte del corpo umano, ad esempio, quando gli occhi
occupano tutta l'inquadratura si scrive dunque: "particolare degli occhi".
La distanza apparente descrive sempre lo spazio che c'è tra la camera e un soggetto umano, dunque
non ha senso parlare di un primo piano di un insetto.
Molte inquadrature sono in realtà composite: al loro interno si trovano cioè oggetti con diverse
distanze apparenti.
La nomenclatura sopra riportata non è accettata unanimemente, si possano trovare testi che
assegnano diverse denominazioni alle distanze apparenti.
POSIZIONI DELLA MACCHINA DA PRESA
Quando riprendiamo un soggetto scegliamo contemporaneamente sia la distanza che l'angolazione
di ripresa. In pratica dobbiamo decidere se il soggetto lo riprendiamo dal basso, dall'alto, oppure
frontalmente o di spalle, ecc. L'angolazione di ripresa, come la distanza, costituisce il punto di vista
attraverso il quale lo spettatore vedrà il soggetto, si tratta quindi di una scelta da compiere in
maniera non casuale, in quanto ogni diversa angolazione produrrà diversi effetti sul pubblico.
Consideriamo quindi la posizione della m.d.p. nel senso dell'altezza cioè della sua distanza rispetto
al suolo, e nel senso delle angolazioni cioè della sua rotazione rispetto al soggetto ripreso.
ANGOLAZIONI:
L 'angolazione della ripresa può variare in senso orizzontale e in senso verticale.
- Verticale: varia ruotando sul piano verticale intorno al soggetto ripreso. Potremmo avere dunque
una ripresa a piombo, dall'alto, orizzontale, dal basso, supina.
- Orizzontale: varia ruotando sul piano orizzontale intorno al soggetto ripreso: sarà quindi, ad
esempio, una ripresa frontale, di tre quarti, di profilo, tre quarti di spalle, di spalle.
Angolazioni di ripresa in senso verticale
A piombo:
L'angolazione a piombo guarda il soggetto, più spesso un ambiente, completamente dall'alto. Serve
per dare un'idea molto precisa dello spostamento dei soggetti, oppure per farne ammirare il numero,
o per mostrare molto chiaramente un certo ambiente.
Dall'alto:
L'angolazione dall'alto risponde di solito a due diverse esigenze. L’inquadratura dall’alto di una
persona sta ad indicare un suo stato di soggezione: può essere un bambino nei confronti di un
adulto, un sottoposto nei confronti del superiore, ecc. Corrisponde ad una nostra esperienza fisica ed
emozionale. Nelle scene di massa oppure negli inseguimenti serve a mostrare con chiarezza il
movimento dei soggetti e la loro disposizione nello spazio. È una inquadratura che ci permette di
comprendere bene quello che accade esattamente come nella realtà quando, per osservare un
avvenimento, cerchiamo un posto più alto per vederlo meglio.
Orizzontale:
L'angolazione orizzontale corrisponde alla maniera usuale con cui siamo soliti vedere le persone e
le cose: all'altezza dei nostri occhi. Può essere molto diretta perché il rapporto soggetto/pubblico è
paritetico, favorendo processi di condivisione/immedesimazione.
Dal basso:
L'angolazione dal basso, in contrapposizione a quella dall'alto, trasmette una condizione di
soggezione in chi guarda. Riprendere un personaggio dal basso significa sottolinearne la sua
l'autorevolezza oppure può rendere il punto di vista del bambino.
Nelle scene dove ci sono movimenti con più soggetti, questa angolazione non permette di rendersi
conto di quel che accade, per questo la si usa quando si vuole esaltare l'aspetto caotico e concitato
della situazione. Ad esempio, se si vuol mostrare un combattimento nella sua chiarezza dobbiamo
riprenderlo dall'alto, ma se vogliamo coinvolgere lo spettatore dovremo riprenderlo dal basso,
perché è come collocare lo spettatore al centro dello lotta. Per questo solitamente le scene di questo
tipo (battaglie, lotte, ecc.) cominciano con delle inquadrature dall'alto per mostrarci la situazione e
continuano con inquadrature orizzontali o dal basso per portarci dentro l'azione.
Supina:
È una angolazione dal basso estrema, corrisponde alla visione che abbiamo stando sdraiati e
guardando verso l'alto. Le sensazioni che le inquadrature dal basso provocano, qui vengono
notevolmente amplificate.
Angolazioni di ripresa in senso orizzontale
Frontale:
La camera è posta di fronte al soggetto. Nel caso di un piano ravvicinato vediamo ogni parte del
volto. È una angolazione che corrisponde alla nostra posizione quando parliamo ad una persona
nella vita di tutti i giorni; per questo è quella più adatta a coinvolgere lo spettatore in maniera
diretta.
Tre quarti:
Il viso presenta la parte della testa meno espressiva (capelli, un orecchio, ecc.) e la linea dello
sguardo del personaggio non incontra il pubblico. In linea generale possiamo dire che più un volto
si discosta dall'angolazione frontale minori sono le possibilità di coinvolgimento emotivo da parte
del pubblico. Il che può essere utile quando il pubblico deve vedere la scena con un certo distacco.
Profilo:
Si tratta di una angolazione non molto comune, perché il profilo relega la parte espressiva del volto
ai margini, non consentendo al pubblico di cogliere le sfumature della mimica facciale.
Tre quarti di spalla:
In questa angolazione il volto è quasi del tutto nascosto. Di solito la si incontra quando vengono
riprese delle conversazioni a due e a turno ogni personaggio è ripreso di tre quarti l'uno e di tre
quarti di spalle l'altro.
Di spalle (o di quinta):
Il soggetto viene visto da dietro. Di solito lo si utilizza per mostrare in secondo piano quel che il
personaggio sta guardando. Altre volte l'angolazione di spalle serve a mantenere l'incognita sul
personaggio inquadrato, oppure a far immaginare che sia seguito da qualcuno.
Le angolazioni come coordinate:
Una inquadratura dal punto di vista dell'angolazione di ripresa può dunque essere descritta
contemporaneamente in senso orizzontale e in senso verticale, come le coordinate geografiche.
Riportando quindi l'angolazione di ripresa e la distanza apparente diamo delle indicazioni
piuttosto precise delle sue principali caratteristiche visive.
I MOVIMENTI DI CAMERA. Tipologia dei movimenti della m.d.p.
L'inquadratura di una immagine in movimento non si distingue solo in base alla distanza, all'altezza
o all'angolazione di ripresa. Quando guardiamo un film, possiamo trovarci di fronte a inquadrature
fisse (statiche) e a inquadrature in movimento (dinamiche). Quella fra inquadratura statica e
inquadratura dinamica è una distinzione fondamentale dal punto di vista espressivo: al cinema
osservare da un punto di vista fisso qualcosa che si muove, comporta uno sguardo oggettivo sul
personaggio o sull'oggetto inquadrato; adottare un punto di vista mobile, invece, provoca sempre un
senso di maggiore coinvolgimento dello spettatore. La grammatica cinematografica tradizionale ha
classificato un certo numero di movimenti di macchina che possono essere così sintetizzati:
Panoramica
La panoramica è il movimento della m.d.p. intorno al suo asse. La m.d.p., fissata generalmente su
un cavalletto, ruota sul proprio asse in senso orizzontale, verticale o obliquo. Le inquadrature che ne
derivano prendono il nome dello spostamento quindi avremo: panoramiche orizzontali, verticali,
oblique. Se la camera compie un intero giro intorno a se stessa si parla di panoramica circolare, a
360°. Quando una panoramica è realizzata molto velocemente, tanto da non vedere quasi ciò che si
sta riprendendo, si dice panoramica a schiaffo.
Anche se in molte occasioni vengono usate le panoramiche a 360° o a schiaffo, solitamente le
panoramiche sono eseguite lentamente poiché simulano il movimento di rotazione della testa, ma
senza spostarci con il corpo, è il movimento che compiamo in maniera naturale osservando lo
spazio intorno a noi. Quindi il movimento della m.d.p. sarà realizzato nello stesso modo con cui
muoviamo la testa quando osserviamo l'ambiente che ci circonda: parte lenta, aumenta di velocità,
poi rallenta sino a fermarsi.
Le panoramiche hanno generalmente un carattere descrittivo, mostrano l'ambiente o seguono un
personaggio nel suo movimento, creano una certa dose di soggettività.
Carrellata
La carrellata è quando la m.d.p. si muove nello spazio. Corrisponde al nostro sguardo quando
camminiamo. La carrellata è realizzata posizionando la camera su un carrello che scorre lungo dei
binari, oppure su un pavimento liscio, oppure con la camera a mano o con la steadycam ecc.
Le carrellate si distinguono tra loro in base alla relazione spaziale che intercorre tra camera e
soggetto ripreso.
- Carrellata frontale avanti e indietro quando il movimento avviene in avanti e o indietro,
diminuendo o aumentando la distanza tra m.d.p. e soggetto.
Quando la distanza tra camera e soggetto aumenta, si dice carrellata indietro. La sua funzione
solitamente è quella di mettere all'inizio in evidenza il soggetto, e successivamente
contestualizzarlo, cioè mostrare dove si trova.
Carrellata avanti quando la distanza tra camera e soggetto diminuisce. La sua funzione
generalmente è quella di mettere in evidenza il personaggio (l'espressione del suo volto, o un suo
gesto, o la sua esistenza, ecc.) isolandolo dall'ambiente.
Queste carrellate possono essere realizzate spostando fisicamente la camera verso il soggetto (o
allontanandosi da questo), ma anche restando fermi con la camera e azionando lo zoom (in o out).
La scelta non è indifferente sul piano visivo, perché lo zoom cambia il punto di vista non in maniera
organica è un movimento ottico che noi non abbiamo.
Una funzione simile alla carrellata la svolgono i passaggi di piano. Passare da un CM al PP di un
volto chiaramente produce un effetto simile ma non identico a quello di una carrellata avanti che va
in modo continuo dal CM al PP. Il movimento di macchina mette in gioco un rapporto con lo
spettatore completamente diverso. La continuità dell'azione, che mette in gioco la carrellata,
sottolinea l'importanza dell'azione dell'attore in quel dato momento e accompagna lo spettatore a
entrare progressivamente in un rapporto di prossimità più intimo con l'attore. Scegliere di fare un
movimento di macchina invece che di un passaggio tra due piani fissi non è mai una scelta
indifferente. Così come non è indifferente la velocità con cui si opera il movimento. Una carrellata
rapida colpisce lo spettatore. Una carrellata estremamente lenta invece provoca un effetto di
dilatazione delle emozioni. In una azione basata sulla suspense ad esempio, una lentissima carrellata
avanti verso un personaggio “allunga” la tensione e questa sensazione non si può creare con un
passaggio di piano.
- Carrellata frontale a precedere e a seguire quando il movimento avviene avanti e o indietro,
mantenendo invariata la distanza tra m.d.p. e soggetto.
Quando la camera indietreggia mentre il soggetto avanza, e dunque la distanza tra loro rimane
invariata, si parla di carrellata a precedere. Serve, ad esempio, a mostrarci bene in volto i
personaggi mentre si spostano.
Quando la camera segue il soggetto mantenendo invariata la distanza, si parla di carrellata a
seguire. Può essere realizzata alternandosi a quella a precedere per mostrare il contesto ambientale,
oppure per dare la sensazione che il soggetto sia seguito.
- Carrellata laterale è lo spostamento della camera su una linea parallela a quella del soggetto. È
realizzata quasi sempre posizionando la camera su carrello e binario ed è utilizzata spesso per
seguire un personaggio mentre cammina. In questo caso ha un carattere descrittivo: mantiene
l'attenzione sul personaggio, ma dando un forte rilievo all'ambiente. Di solito dunque trasmette
tranquillità e può essere usata in momenti di pausa e/o per passare informazioni sul luogo. Se invece
il personaggio si muove più rapidamente rispetto al contesto (corre, mentre gli altri camminano,
ecc.) la carrellata laterale aumenta la sensazione di velocità relativa al soggetto e dona quindi una
impressione di forte movimento e concitazione.
- Carrellata verticale è lo spostamento della camera lungo il suo asse verticale. Mentre la
panoramica verticale corrisponde allo spostamento del nostro sguardo dal basso verso l'alto, la
carrellata verticale corrisponde al nostro sguardo quando ci alziamo da terra e ci mettiamo in piedi.
Quindi, mentre la panoramica verticale ha una tonalità soggettiva - lungo un grattacielo o una
persona, ad esempio, ci dà il senso dell'altezza dovuta all'angolazione, potremmo dire, “naturale”
della macchina da presa -, la carrellata verticale è più oggettiva - ad esempio lungo un grattacielo ci
porta a notare la sua struttura piano per piano; lungo una persona ci porta a notare come è vestita.
- Carrellata circolare è il movimento che realizza la camera quando ruota intorno al soggetto.
MOVIMENTI COMPOSTI:
La gran parte dei movimenti di camera in realtà non sono semplici carrellate o panoramiche, ma
combinazioni tra questi movimenti. È probabile che una carrellata laterale, ad esempio, sia
combinata con una panoramica orizzontale.
Quando la carrellata non avviene su dei binari:
- Camera-car: la macchina da presa è montata su un'automobile che consente maggior velocità di
spostamento.
- Travelling: con questo termine si indicano movimenti di macchina più complessi che uniscono
alle possibilità dinamiche di panoramiche e carrelli, quella di far salire e scendere la m.d.p. Tali
movimenti si realizzano con macchine come la gru che permette una notevole possibilità di
elevazione o il più agevole dolly in cui la macchina da presa è fissata su un braccio mobile collocato
su un veicolo a ruote che permette movimenti fluidi all'interno di spazi più stretti.
- Gru (crane) è un braccio mobile che consente sviluppi in altezza di oltre 4 metri.
- Louma: è un braccio snodabile che supera i 7 metri ed è controllato a distanza.
- Sky-cam: la macchina da presa, comandata a distanza, scorre su un cavo d'acciaio sospeso nel
vuoto.
- Macchina a mano: in questo caso la cinepresa non è più fissata a un cavalletto, ma è tenuta
dall'operatore fra le mani o appoggiata sulla spalla. Il movimento non ha più la fluidità del carrello
o del travelling, ma procede in maniera discontinua, sensibile al movimento dell'operatore. Dal
punto di vista espressivo, la macchina a mano permette uno straordinario effetto realistico, un
effetto di verità che sottolinea la sua presenza (contrariamente alla carrellata che con la sua fluidità
ci fa dimenticare la macchina da presa).
- Steadycam: questa tecnica di ripresa messa a punto negli anni Settanta permette di sposare la
fluidità del carrello alla maneggevolezza della macchina a mano. Si tratta di un'intelaiatura
indossata direttamente dall'operatore che, attraverso un sistema di ammortizzatori idraulici, rende la
macchina da presa insensibile agli sbalzi.
- Carrellata aerea: quando la macchina da presa è collocata su di un aeroplano.
Quale che sia il movimento di macchina che si è scelto di effettuare, bisogna tenere presente che la
scelta di un ritmo di spostamento piuttosto che un altro non è indifferente, questo è un elemento
fortemente comunicativo. Quindi, quando si inizia una ripresa bisogna sempre aver chiaro quel che
si vuol fare. Ogni inquadratura, ogni movimenti di macchina va deciso prima di effettuare la ripresa,
e previsualizzato nello storyboard.
INQUADRATURA E COMPOSIZIONE
I professionisti sanno bene che un'immagine ben composta si impone all'attenzione più e meglio di
un'immagine composta male. Spesso si vedono fotografie che paiono molto belle, malgrado il
soggetto sia irrilevante, proprio perché la composizione conferisce loro dinamismo, tensione,
significati.
Se avessimo modo di osservare ad esempio dieci fotografie di dieci fotografi diversi che ritraggono
lo stesso soggetto, vedremo che la composizione scelta da ciascun fotografo sarà diversa.
Le regole per una buona inquadratura vengono dalla nostra cultura, l'immagine ben composta è
quella che rispetta alcune regole generali, che si fondano sulla fisiologia della visione e sulle
abitudini culturali. Su come l'uomo vede gli oggetti e su come il cervello li traduce in immagini
esistono numerosi studi e pubblicazioni e tutti sono concordi nell'affermare che il cervello organizza
i vari punti del soggetto che osserva secondo figure geometriche semplici.
Guardando una foto ci accorgiamo che non tutti i punti di una inquadratura hanno la medesima
importanza: alcuni saltano all'occhio subito, altri dopo. Ciò accade perché l'immagine è letta
secondo modalità precise. Nella cultura occidentale, ad esempio, si scrive da sinistra a destra e
dall'alto in basso, l'occhio di un occidentale sarà quindi abituato a percorrere un'immagine a partire
dall'angolo in altro a sinistra per finire all'angolo in basso a destra.
In genere, la disposizione degli elementi che più appaga rispetta il principio generale della massima
quiete e della massima simmetria. Il fotografo che vuole trasmettere a chi guarda le sue immagini
una sensazione di bellezza basa quindi la sua composizione secondo questo criterio di ordine e
simmetria.
La maggior parte dei principianti pone il soggetto principale al centro della inquadratura. Il centro è
il punto più importante e chi lo occupa sta anche “al centro” dell'attenzione di chi guarda, ma non
sempre questo tipo di inquadratura risulta interessante da un punto di vista compositivo.
La composizione dipende dalla distanza dalla quale si riprende il soggetto, dall'angolazione, dalla
lunghezza focale; quando inquadriamo bisogna quindi calcolare le prospettive, le proporzioni, le
diagonali.
La regola dei terzi
Dividere idealmente l'inquadratura in terzi consente di individuare spazi e linee basilari nella
composizione, che indicano i cosiddetti punti forti e deboli dell'inquadratura.
Proviamo a fare un esercizio: tracciamo su una foto delle linee che la dividono in tre fasce
orizzontali e tre fasce verticali, avremo come risultato 9 settori uguali, i punti di d'intersezione di
queste linee sono quelli che attraggono maggiormente l'occhio. Tracciamo poi le linee diagonali.
Queste linee che abbiamo tracciato potremmo chiamarle le corsie preferenziali dell'occhio, quelle
che sono percorse per prime: le linee diagonali che tagliano l'inquadratura da un angolo all'altro e le
linee verticali e orizzontali che la tagliano in terzi. Inoltre, le intersezioni di tali linee individuano
dei punti particolari, i cosiddetti punti forti dell'inquadratura, sui quali l'occhio si ferma prima che
sugli altri. Nell'immagine sopra (di Robert Mappletorphe) si può osservare la suddivisione
dell'inquadratura secondo la regola dei terzi. La composizione si sviluppa diagonalmente, tra il
ramo della pianta e la testa di Patty Smith. Il punto di maggior interesse è il punto di mezzo tra lo
sguardo della cantante e la colomba.
Le linee semplici
Le linee verticali conferiscono slancio alla composizione, suggeriscono un'idea di movimento che
va dal basso verso l'alto. Sono le linee orizzontali a dare alla foto senso di stabilità: allargano
l'immagine e le fanno assumere un andamento regolare. L'alternarsi di spezzoni di linee semplici dà
origine a linee irregolari. Attirano l'attenzione e introducono attesa a causa del loro disordine. Sono
le diagonali e le convergenti che attraversano l'immagine a trasmette il senso di profondità e
prospettiva e questo è particolarmente importante da tenere presente se si vuole conferire
all'inquadratura un senso di tridimensionalità. Per una buona inquadratura quindi è importante saper
bilanciare nel suo insieme tutti gli elementi, ma è fondamentalmente curare anche l'illuminazione
perché questa mette in condizione di evidenziare più o meno gli elementi compositivi che abbiamo
messo in gioco.
Coreografia dello sguardo
Le linee di struttura:
I tipi di linea che si possono individuare in una composizione fotografica non si esauriscono nelle
linee semplici. L'occhio può assimilare a una linea una serie di elementi, relativamente distanti tra
loro, che stanno allineati su di un piano. Sono le cosiddette linee di struttura. Sta al fotografo
individuare nel soggetto ripreso i punti che possono suggerire una linea di struttura e utilizzarla ai
fini della composizione dell'immagine. Nelle opere di pittori come Caravaggio, Rembrandt, che
dispongono nello spazio numerose figure complesse, troviamo esempi di inquadrature che sono
delle spettacolari dimostrazioni di dominio assoluto della composizione che guida l'attenzione dello
spettatore nel punto voluto.
Le linee di forza:
Non si tratta di linee reali come ad esempio l'angolo di un palazzo e nemmeno di quelle di struttura
create dal cervello allineando una serie di punti giudicati omogenei e vicini. Le linee di forza sono
quelle che lo sguardo è obbligato a prendere perché nella composizione è inserito un elemento che
suggerisce tale direzione o che attira lo sguardo in quella direzione: ad esempio, lo sguardo di un
soggetto che osserva qualcosa (anche posto al di fuori dell'inquadratura), oppure una mano che
indica qualcosa. Questi elementi generano una linea di forza che invita lo sguardo di chi osserva a
percorrerla. Anche lo "sguardo in macchina" crea una linea di forza, ad esempio le persone ritratte
nelle copertine dei settimanali guardando "in macchina" creano una linea di forza esattamente nella
direzione di chi guarderà quella copertina, attirandone l'attenzione.
IL SUONO NEGLI AUDIOVISIVI
SOUND DESIGN: CREARE LO SPAZIO ATTRAVERSO IL SUONO
Il Sound Designer si occupa del suono a tutto tondo, della sua collocazione negli spazi fisici, delle
fonti sonore, ma anche della percezione di questo, della sua fruibilità e della sua pertinenza in
determinati contesti.
Il suono, a differenza del visivo, presuppone il movimento come prima condizione: il suono è
azione. Il suono implica per propria natura uno spostamento, un’azione. Può anche indicare
immobilità, ma in casi limitati. Traccia di un movimento o di un tragitto, il suono ha una dinamica
temporale propria.
Le percezioni sonora e visiva hanno ciascuna una propria andatura media:
- L’orecchio analizza, lavora e sintetizza più velocemente dell’occhio;
- Il suono è veicolo del linguaggio;
- L’occhio è più lento dell’orecchio perché lavora contemporaneamente nello spazio che esplora e
nella successione temporale dell’azione;
- L’orecchio, invece, isola una linea appartenente al suo campo d’ascolto e la segue anche nello
spazio;
- L’occhio è abile spazialmente;
- L’orecchio è abile temporalmente.
I suoni udibili all’interno di un prodotto audiovisivo sono suddivisibili in tre categorie: parole,
rumori e musica.
PAROLE:
Con parole si intendono quei suoni dipendenti dall’articolazione del linguaggio verbale. Michel
Chion1 distingue tre tipi di parola nel cinema: la parola teatro, la parola testo e la parola
emanazione.
La parola teatro è la parola dei dialoghi, quella emanata dai personaggi all’interno della diegesi.
Quando essa è presente condiziona fortemente lo sviluppo delle immagini nella loro articolazione
ed impone la sincronizzazione con il labiale visivo.
La parola testo ha una fonte d’emissione esterna alla diegesi e intrattiene con le immagini un
rapporto di conferma/negazione del senso, in relazione alla quantità/qualità di informazioni che reca
con sé. La parola testo è la parola del narratore, quella che nel cinema muto era veicolata dalle
didascalie.
La parola emanazione, il terzo genere, è svincolata dal suo senso e valida nelle sue qualità foniche.
1
Michel Chion, L' audiovisione. Suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino, 2009.
Essa è come un’emanazione dei personaggi, un loro aspetto, allo stesso titolo della loro figura,
significativa in quanto tale ma non centrale per la messa in scena e l’azione.
In breve, da un lato la parola teatro e la parola testo si occupano di sviluppare il lato semantico
del linguaggio, dall’altro la parola emanazione pone l’accento su tratti linguistici quali
l’intonazione e la dinamica.
RUMORE:
La realtà privata di suono risulta astratta, innaturale. Eliminando l’immagine e mantenendo il suono,
la percezione risulta reale ma incompleta. I rumori esercitano un’influenza sulla percezione stessa
della scena mostrata e sul suo senso. Essi rimandano alla materialità del suono, alla sua sorgente, al
modo nel quale viene emesso o ottenuto. Nell’audiovisivo, il calibrato dosaggio di indizi sonori
materializzanti è un fondamentale mezzo di messa in scena, di strutturazione e di
drammatizzazione. I rumori del film, prima che la tecnologia permettesse il montaggio audio in
multipista, erano funzionali, intervenivano puntualmente ed erano stereotipati. Il rumore veniva
scartato sia per ragioni tecniche che culturali: il rumore è stato sottovalutato sul piano estetico.
MUSICA:
Una distinzione classica della teoria cinematografica è quella tra musica diegetica e musica
extradiegetica: la prima è quella proveniente da una fonte interna all’universo abitato dai
personaggi; la seconda è percepita solo dagli spettatori. La musica diegetica ha una valenza
principalmente informativa, ad esempio fornisce informazioni riguardo l’ambiente o la persona che
la ascolta. La musica extradiegetica è portatrice del punto di vista assunto dall’istanza narrante e,
ponendosi al di sopra della situazione mostrata, assume una spiccata funzione di commento.
La riflessione sul ruolo della musica nel cinema e in particolare lo studio dell’interazione musicaimmagine-racconto implica due fondamentali riferimenti teorici: una teoria del funzionamento
semantico e una teoria del funzionamento pragmatico del linguaggio musicale. La musica,
anche se nel cinema agisce in maniera sincretica e non autonoma, non per questo perde le sue
peculiari qualità strutturali e le relative possibilità espressive. Il suo ruolo è, proprio in virtù di tale
specificità strutturale, semantica e pragmatica, quello di interagire con gli altri linguaggi - visivo,
narrativo, filmico.
Montare i suoni di un audiovisivo consiste nell’assegnare ad ogni traccia audio, in relazione alle
immagini, un determinato tempo (sincronia/asincronia), un determinato volume (forte/debole, che
rimanda ad una spazialità vicino/lontano), ma anche una posizione: infatti, rispetto al sistema di
diffusione, i differenti suoni possono essere distribuiti in modo che vengano percepiti dal pubblico
come provenienti da posizioni spaziali diverse. Tramite degli effetti è possibile cambiare le
caratteristiche dei suoni in un processo che si definisce di manipolazione, trattamento, rimodellatura
o editing. Molto spesso la manipolazione non mira che a rigenerare, ritoccare o ripristinare il
segnale sonoro. Attraverso un gioco di correzioni di frequenze e di intensità si può dare più
presenza e vigore al suono. I progressi della tecnologia digitale permettono di eliminare i rumori di
superficie delle vecchie registrazioni e di ravvivarne i colori. Gli effetti (per esempio echi e
riverberi) collocano i suoni in uno spazio diverso da quello in cui sono stati registrati o li
modificano in modo da renderli irriconoscibili. Alcuni effetti, come il pitch shifter (variatore di
tono) sono molto usati nell’horror o nella fantascienza per trasformare le voci dei doppiatori.
SUONO E SPAZIO AUDIOVISIVO
Constatata la distinzione tra suono diegetico ed extradiegetico, dove con diegetico intendiamo
interno alla narrazione (come le voci dei personaggi o il suono ambiente) e con extradiegetico quel
suono esterno alla narrazione ma funzionale alla narrazione (come la musica di accompagnamento o
la voce narrante), il suono diegetico si divide a sua volta in suono in campo, quando la fonte
sonora è visibile, e in suono fuori campo, quando la fonte non è visibile. Suono in campo, suono
fuori campo e suono extradiegetico possono essere definiti anche suono in, off e over.
Il rapporto tra spazio e sonoro non si limita allo schermo ma coinvolge direttamente lo spettatore
nella fruizione del prodotto audiovisivo; il suono in si lega agli elementi del profilmico, il suono
off fornisce informazioni sugli elementi che si trovano fuori campo e in alcuni casi ne
annuncia l’ingresso, il suono over è funzionale alla narrazione.
I suoni possono dividersi ancora in:
- visualizzati, quando la fonte è visibile o è stata precedentemente mostrata;
- non visualizzati, quando non è possibile ricondurli ad una fonte precisa.
Michel Chion individua tre tipi di suoni che non sono perfettamente collocabili come in campo o
fuori campo. I casi citati sono il suono on the air, il suono ambiente e il suono interno:
- il suono on the air è trasmesso da altoparlanti e la sorgente originale si trova in altro luogo
rispetto a quello nel quale è udito;
- il suono ambiente è inglobante e non proviene da una fonte precisa ma da un insieme di emittenti;
- il suono interno è interno al personaggio cioè è pensato o immaginato.
Con l’applicazione della stereofonia e della registrazione multipista, prima le sale cinematografiche
e poi gli impianti di home theatre, si sono dotati di numerosi diffusori disposti attorno agli spettatori
in modo tale da fornire informazioni riguardanti non solo informazioni relative alla maggiore o
minore prossimità ma anche informazioni sulla collocazione spaziale della fonte sonora. Quindi il
suono, più facilmente dell’immagine, è in grado di creare uno spazio tridimensionale perché è
possibile percepirne la direzione e la prossimità. Questa modalità di gestione del suono, definita
supercampo da Chion, permette la costruzione dell’ambiente attraverso il suono.
Il raccordo sonoro
Il suono può essere anche un elemento di coesione fra diverse inquadrature, cioè un raccordo
sonoro. Il raccordo sonoro, detto anche ponte sonoro, consiste nella sovrapposizione di tutta, o di un
solo elemento, della colonna audio tra due inquadrature. La sua funzione è di favorire la continuità
narrativa e di coprire le cesure causate dagli stacchi di montaggio. Il raccordo sonoro pone suono e
immagine in tempi narrativi coincidenti. Un’inquadratura che per sua natura necessita di un
raccordo sonoro è il cosiddetto piano d’ascolto, che si ha quando in una scena di dialogo, o in un
dibattito televisivo, la regia stacca sul narratore e inquadra il volto di chi sta ascoltando. In un piano
d’ascolto è il suono che pone le due inquadrature successive nel medesimo tempo e luogo.
Le strutture musicali, in rapporto alle immagini, possono essere organizzate in due modi principali:
una narrativa in cui la musica si fa perno stabile o provvisorio della narrazione, vuoi penetrando
nella sua materia, vuoi dettandone le regole; e una non-narrativa in cui la musica è parte integrante
decisiva di un organismo filmico che si emancipa dalle leggi del racconto o di una sequenza.
FORME BREVI, IL SINCRETISMO
Come collocare il tempo del suono in relazione al tempo delle immagini? Ovvero, come è possibile
che un audiovisivo sia percepito come un prodotto coerente nel suo fluire? Vediamo questo rapporto
tra immagine e suono nell’ambito dell’audiovisivo nella sua forma breve.
Soffermiamoci sul concetto di sincretismo che comprende sia considerazioni sull’immaginemovimento sia sul montaggio.
La significazione audiovisiva non avviene mediante una logica componenziale, cioè la fruizione del
sincretismo audiovisivo non si basa sulla sommatoria tra un "io vedo" e un "io ascolto", ma si
risolve in un "io sento" esperienziale. Ciò che appare particolarmente interessante è che la
peculiarità e l’efficacia discorsiva di un testo sincretico dipendono dalla capacità di contenere
configurazioni di senso interrelate tra i differenti regimi espressivi. Questi regimi espressivi,
linguaggi, piani sensibili non sono semplicemente tra loro giustapposti, la loro coesistenza spaziotemporale determina reciproci effetti di correlazione che ricreano piani semantici, l’uno nei
confronti dell’altro, esattamente come nella nostra percezione quotidiana: recepiamo stimoli
percettivi afferenti a ordini sensoriali diversi e li mettiamo insieme, successivamente ricerchiamo in
questa congiunzione una coerenza, un’orchestrazione.
Michel Chion sostiene che nel cinema a livello percettivo si ha una dominanza dell’immagine con il
suono che sembra creare valore aggiunto. Con l’espressione "valore aggiunto" designa il valore
espressivo e informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere,
nell’impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che se ne conserva, che quell’informazione o
quell’espressione derivino "naturalmente" da ciò che si vede e siano già contenute nella immagine.
Il fenomeno del valore aggiunto funziona soprattutto nel quadro del sincronismo suono/immagine,
per il principio della sincresi che permette di istituire una relazione immediata e necessaria tra
qualcosa che si vede e qualcosa che si sente.
Nella sincronia audio/video il punto di sincronizzazione è un punto in cui l’effetto di sincresi risulta
più accentuato, un momento saliente di incontro. Questi punti di sincronizzazione hanno sempre un
senso in rapporto al contenuto della scena e alla dinamica generale e sono questi che danno alla
catena audiovisiva il suo fraseggio, esattamente come potrebbero darlo, in una sequenza musicale,
gli accordi marcati e le cadenze.
Spesso nell’audiovisivo le cose non funzionano precisamente così. In questa dialettica tra piano
visivo e piano sonoro, talvolta emerge l’accordo, altre invece l’accento sulle differenze, sulle
tensioni e le discontinuità. Asincronie e asincretismi locali e isolati possono essere intenzionalmente
prodotti, finalizzati cioè alla creazione di specifici effetti di senso e/o introdotti per far risaltare i
loro termini contrari: ad esempio è noto che il silenzio e l’armonia sono più apprezzati dopo
momenti di rumore e disarmonia. La dimensione di accordo emerge tuttavia come elemento
portante e fondante il sincretismo stesso perché ne coordina il progetto, ne "gestisce", per così dire,
il continuum discorsivo. In generale, possiamo concludere che è costitutivo del sincretismo
audiovisivo il rapporto di forza tra i piani e che tali tensioni sono caratterizzate da esiti contrastanti.
INFLUENZE DAL SUONO SULLA PERCEZIONE DEL TEMPO NELL'IMMAGINE
Il tempo dell’immagine è influenzato dal suono in diversi modi:
Linearizzazione temporale dei piani: il suono sincrono impone un’idea di successione; quando
una successione di immagini non pregiudica di per se stessa il concatenamento temporale delle
azioni che essa illustra, l’aggiunta di un suono realistico e diegetico dona ad essa un tempo reale,
lineare e successivo.
Vettorializzazione del tempo reale: il suono è in grado di tracciare un asse temporale - unilaterale sul quale si svolgono gli eventi rappresentati. Il senso di passato e futuro è marcato dal suono.Questi
aspetti dipendono dalla natura delle immagini e dei suoni messi in rapporto.
Se l’immagine è fissa: il suono è in grado di inserirla in una temporalità.
Se l’immagine ha una propria temporalità: la temporalità del suono si combina con quella
dell’immagine, i due "strumenti" suonano contemporaneamente.
Il suono può più o meno animare un’immagine in relazione al proprio ritmo:
- un suono che si mantiene uniforme e continuo anima meno di un suono variabile e discontinuo;
- un ritmo regolare conferisce prevedibilità, un ritmo regolare ma serrato genera tensione, un ritmo
irregolare conferisce imprevedibilità, un suono ricco di frequenze acute genera allarme.
I MICROFONI
Una buona ripresa sonora dal vivo contribuisce a rendere molto più interessante qualsiasi filmato.
In genere per le riprese sonore si utilizza il microfono incorporato sulla camera, ma di solito non
sono di grande qualità, per un risultato professionale vengono utilizzati microfoni esterni che si
distinguono in due tipi:
- microfoni panoramici o omniderezionali:
questo tipo di microfono, come dice il nome stesso, capta i segnali sonori ad ampio raggio
provenienti da qualsiasi direzione: è indicato se si tratta di registrare suoni di sottofondo o
ambientali. Se utilizzato per registrare dialoghi questi potranno risultare poco chiari e confusi
perché disturbati da altre fonti sonore vicine.
- microfoni direzionali:
Questo microfono, detto anche "cardioide", capta prevalentemente i suoni frontali e leggermente
laterali, ed è quindi indicato per registrare voci, dialoghi, esecuzioni musicali.
Nella videocamera esistono degli ingressi microfonici con i quali si possono utilizzare uno o più
microfoni esterni, con la possibilità di miscelare le due fonti sonore o di utilizzarli in combinazione
col microfono incorporato della camera. A questi ingressi è possibile collegare anche
radiomicrofoni senza filo. Su alcune videocamere è possibile regolare manualmente il livello
d'ingresso della fonte sonora o di miscelare più fonti.
Quando invece durante le riprese viene usato un impianto di registrazione esterno alla telecamera è
necessario l'utilizzo del ciak per permettere durante la post produzione il montaggio sincronizzato
del suono con il video. In ogni caso si deve sempre controllare la qualità del suono attraverso le
cuffie.
Figura polare2
La figura polare di un microfono è la rappresentazione grafica su di un piano della sensibilità di un
microfono in funzione della direzione di provenienza di un segnale che lo colpisce.
Questo tipo di diagramma si presenta come una linea curva chiusa (o insieme di più linee di questo
tipo) e simmetrica rispetto all'asse del microfono, al cui interno si trova contenuto il polo che
rappresenta la "punta" del microfono stesso: la linea rappresenta la curva di livello relativa ad un
generico valore di intensità di risposta del microfono stesso, e come tale fornisce una rapida
indicazione visiva di come l'intensità di risposta sia geometricamente distribuita intorno al
microfono stesso.
Il piano rappresentato è un qualsiasi piano passante per l'asse del microfono, semplificazione resa
possibile dalla simmetria cilindrica della distribuzione spaziale della sensibilità di risposta prodotta
dalla maggior parte dei microfoni.
2
Tratto da Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Figura_polare
La figura polare è spesso denominata diagramma polare, benché questa seconda espressione risulti
impropria essendo la rappresentazione fatta del tutto qualitativa e non quantitativa, e come tale non
definibile come diagramma.
Le figure più comuni sono le seguenti:
- omnidirezionale: la risposta è pressoché uniforme per qualsiasi angolo di incidenza (diagramma
di forma circolare). Il corpo del microfono provoca una leggera caduta nella risposta, specie alle
alte frequenze, tanto più trascurabile quanto minore è il diametro del microfono stesso.
- unidirezionale: la risposta è massima se la fonte sonora è posta di fronte al microfono e
diminuisce progressivamente se la fonte ruota intorno al microfono (perpendicolarmente al suo
asse); questo tipo di risposta è ottenuta combinando una capsula omnidirezionale con una
bidirezionale e, a seconda della prevalenza del contributo dell'omnidirezionale, si ottengono figure
polari più o meno direzionali:
cardioide: presenta un'attenuazione di circa 6 dB ad un angolo di incidenza di 90°, fino a
respingere completamente i suoni provenienti da dietro (punto di ripresa nulla a 180° rispetto
all'asse); il nome deriva dalla forma del suo diagramma polare, che descrive vagamente un cuore
stilizzato.
supercardioide: la risposta è simile a quella del cardioide, ma è ancora più direzionale.
Presenta un'attenuazione di circa 8,7 dB ad un angolo di incidenza di ±90° e un lobo di ripresa
posteriore (dalla sensibilità e risposta in frequenza ridotta); il punto di ripresa nulla è a ±125°
rispetto all'asse.
ipercardioide: la direzionalità è ancora più accentuata rispetto al supercardioide, con
l'effetto di aumentare la sensibilità posteriore. Presenta un'attenuazione di 12 dB ad un angolo di
incidenza di 90° ed un lobo posteriore più ampio; il punto di ripresa nulla è a ±110° rispetto all'asse.
- bidirezionale o "figura a otto": la risposta è massima per i suoni provenienti dal fronte o dal
retro del microfono (angoli di incidenza di 0 e 180°), mentre è nulla per i suoni provenienti dai lati
(angoli di incidenza di 90° e 270°).
A seconda delle esigenze di ripresa, viene scelta la figura polare più appropriata: i microfoni
omnidirezionali sono meno sensibili al vento, risentono meno dell'effetto prossimità, hanno una
migliore risposta alle basse frequenze e consentono di ottenere una ripresa globale ed equilibrata
(anche della riverberazione della stanza); i microfoni direzionali consentono una ripresa più
selettiva, respingendo fonti sonore estranee e minimizzando la ripresa del rumore di fondo e delle
caratteristiche acustiche dell'ambiente.
TIPOLOGIE DI MONTAGGIO
Montaggio alternato: alterna inquadrature di due o più eventi che si svolgono in
ambienti diversi ma che sono destinati a convergere in uno stesso spazio.
Esempio : http://www.youtube.com/watch?v=7bjA-4no1ZY
Nel film L’altro uomo (Strangers on a Train, 1951) di Alfred Hitchcock, possiamo
ammirare una straordinaria sequenza iniziale dove il montaggio alternato è
perfettamente funzionale alla storia. Due sconosciuti si incontrano casualmente e da
quel momento si svilupperà un terrificante legame tra loro. Hitchcock ci presenta i
personaggi in questo modo: prima vediamo i piedi di un uomo che vanno in una
direzione, poi vediamo quelli di un altro uomo che vanno nella direzione opposta.
Con gli stacchi di montaggio continuiamo a passare dai piedi di uno a quelli
dell’altro, fin quando, saliti sul treno, i due si incontrano. Questo è il montaggio
alternato alla perfezione perché la direzione delle camminate degli uomini ci
suggeriscono ancora di più che i due si incontreranno in uno stesso ambiente.
Montaggio parallelo: è simile al montaggio alternato solo che in questo caso gli
eventi e i personaggi procederanno sempre lungo strade parallele senza mai
convergere in uno stesso spazio.
Esempio : http://www.youtube.com/watch?v=xJm26M6igp0
Nel film Il mistero dell’acqua (The Weight of Water, 2000) di Kathryn Bigelow,
vengono contrapposte due storie ambientate in epoche diverse. Viene da sé che il
passaggio dall’una all’altra storia è legato da stacchi di montaggio parallelo. Al
minuto 10 circa, e anche dopo, possiamo vederne vari esempi.
Montaggio ellittico: è un montaggio di contrazione temporale. Ovvero lo stacco
funge da ellissi temporale non mostrando determinate azioni ma sintetizzandole e
procedendo col racconto.
Esempio : http://www.youtube.com/watch?v=gtQO93-x_f0
Nel film Oldboy (2003) di Park Chan-Wook possiamo notare un’enorme quantità di
ellissi, in particolare microellissi (cioè salti temporali molto piccoli) come si vede in
questa scena. Il protagonista resta rinchiuso per 15 anni e il passaggio di tempo è
mostrato tramite tante microellissi continue (spesso sono anche jump cut, ma ne
parleremo più avanti).
Montaggio connotativo: è un montaggio che ha lo scopo di produrre senso, di creare
un significato.
Esempio : https://www.youtube.com/watch?v=Ybhz5Dpet_0
Nel film Tempi moderni (Modern Times, 1936) di Charlie Chaplin possiamo notare il
montaggio connotativo già nel primo stacco del film. Nella prima inquadratura c’è un
gregge, nella seconda inquadratura ci sono gli operai che tutti insieme raggiungono la
fabbrica. Il significato prodotto è evidente ed è bastato accostare due immagini.
Montaggio formale: si basa su effetti di tipo formale, sia grafico-spaziali che
ritmico-temporali.
Esempio : http://www.youtube.com/watch?v=QSxI0OOjR0Y
Nel film 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) di Stanley
Kubrick c’è un famosissimo esempio di montaggio formale che funge anche da ellissi
temporale. Al minuto 2' 30'' possiamo ammirare come la forma dell’osso ed il suo
movimento ci porta con estrema fluidità alla forma dell’astronave nell’inquadratura
successiva.
Montaggio discontinuo: tipo di montaggio che racconta la storia trasgredendo le
regole della continuità classica.
Esempio : http://www.youtube.com/watch?v=1KUVwKp6MDI
Nel film Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle, 1960) di Jean-Luc Godard ci sono
ad esempio dei falsi raccordi come al minuto 00:20.

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