Educare a prevenire

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Educare a prevenire
EDUCARE A PREVENIRE
Hanno collaborato (in ordine alfabetico)
Pasquale CALDAROLA
Direttore U.O. Complessa di Cardiologia Ospedale Terlizzi (Ba)
Giuseppe CAPONE
Cardiochirurgo Unità Operativa di Cardiochirurgia Dipart. delle emergenze dei trapianti
di organi - Policlinico Università di Bari
Marco CICCONE
Cardiologo e Angiologo medico, professore associato Istituto di Cardiologia Università Bari
Maria CUONZO
Dirigente Cardiologo U.O. Complessa di Cardiologia Ospedale Terlizzi (Ba)
Luigi DE LUCA TUPPUTI SCHINOSA
Cardiochirurgo Direttore Unità Operativa di Cardiochirurgia Dipart. delle emergenze dei
trapianti di organi Policlinico Università di Bari
Gaetano DERUVO
Neurologo Dirigente Medico Dipartimento Dipendenze Patologiche ASL BA
Luisa Maria ESPOSITO
Dipartimento di Pneumologia Riabilitativa Fondazione “S. Maugeri” Cassano Murge
Giuseppe FARINOLA
Cardiologo U.O. Complessa di Cardiologia 2 Fondaz. “S. Maugeri” Cassano Murge (Ba)
Stefano FAVALE
Cardiologo Direttore U.O. di Cardiologia Università di Bari
Maria Pia FOSCHINO BARBATO
Prof. Ordinario, Malattie Apparato Respiratorio - Università degli Studi di Foggia
Antonio GAGLIONE
Cardiologo prof. Associato di cardiologia Università Foggia
Sottosegretario Ministero della Salute Governo PRODI
Aldo GALEANDRO
Flebologo libero professionista Taranto
Rocco LAGIOIA
Direttore U.O. Complessa di Cardiologia 2 Fondaz. “S. Maugeri” Cassano Murge (Ba)
Filippo MASI
Cardiologo U.O. Complessa di Cardiologia Ospedale “SS. Annunziata” Taranto
Daniela SANTORO
Cardiologa U.O. Complessa di Cardiologia 2 Fondaz. “S. Maugeri” Cassano Murge (Ba)
Giovanni QUISTELLI
Cardiologo e Fisiatra, Dirigente medico U.O. Complessa Cardiologia Universitaria Policlinico Bari.
Francesco SCHITTULLI
Senologo Presidente Nazionale Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori
Domenico SCRUTINIO
Direttore U.O. Complessa di Cardiologia 1 Fondaz. “S. Maugeri” Cassano Murge (Ba)
Antonio SPANEVELLO
Direttore Istituto Scientifico di Cassano Murge (Ba) - IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri
Prof. Associato, Malattie dell’Apparato Respiratorio - Università degli Studi di Foggia
Emanuele STELLACCI
Preside del Liceo Scientifico “A. Scacchi” di Bari
Lucrezia STELLACCI
Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale Puglia
Francesco TROSO
Dirigente Cardiologo U.O. Complessa di Cardiologia Ospedale Terlizzi (Ba)
EDUCARE A PREVENIRE
Lucrezia Stellacci
Tra i diritti-doveri dei cittadini, a cui è dedicata la Parte I della
nostra Carta Costituzionale, figurano in sequenza, non casuale a
mio parere, il diritto alla salute (art. 32: La Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività...) e quello dell’istruzione (art. 33: La Repubblica
detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali
per tutti gli ordini e gradi. Art. 34: La scuola è aperta a tutti.),
presidiati da servizi pubblici essenziali posti a tutela della
conservazione della comunità sociale e della sua tradizione culturale.
I suddetti diritti non si limitano ad avere in comune la fonte primaria del nostro ordinamento giuridico, ma continuano nel loro
percorso evolutivo ad intersecarsi ed a condizionarsi a vicenda:
infatti, se la tutela della salute presuppone l’acquisizione da parte
degli individui di conoscenze utili a promuovere corrette abitudini comportamentali, l’esercizio del diritto all’istruzione è meglio
garantito in situazione di benessere psicofisico.
Tant’è che nelle Linee guida dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità si affida al sistema formativo di ogni Paese, in collaborazione con le agenzie socio-sanitarie del territorio, la duplice
funzione informativa e formativa sulla prevenzione dei rischi e
sulla educazione alla salute.
L’attuale concetto di salute, infatti, supera la visione bio-fisica
dell’individuo e la integra con le altre dimensioni, psichiche e sociali, che ne completano la realizzazione favorendo la crescita
equilibrata ed il benessere della persona.
In sintonia con le affermazioni di E. Morin, la scuola deve insegnare a vivere, vale a dire insegnare le regole che permettono
a ciascuna persona di crescere in piena sintonia con il suo mondo
e sviluppare quel patrimonio di conoscenze, competenze e abilità
che gli consentiranno, una volta divenuto adulto, di concorrere al
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progresso materiale e spirituale della società cui appartiene. (Art.
4 Cost.)
Il benessere dello studente che condiziona in maniera diretta la
sua capacità di apprendimento, e che costruito e curato giorno
dopo giorno diventerà abitudine da consolidare, stile di vita, non
è determinato solo dall’assenza di malattia o di comportamenti
a rischio, ma dipende da molteplici variabili che il giovane ha
la possibilità di sperimentare nella scuola, vivendo opportunità
di crescita intellettuale, di maturazione etica, di consapevolezza
critica e di responsabilità, da cui dipenderà la visione che saprà
costruirsi di sé, degli altri, della propria vita, e delle relazioni sociali entro le quali valorizzare la propria identità.
Per queste ragioni l’educazione alla salute come prevenzione
dei fattori di rischio, insieme ad altre aree di intervento contemplate nelle linee guida emanate dal Ministro Fioroni il 18 aprile 2007, entra di diritto nel Piano nazionale per il benessere
dello studente, (www.benesserestudente.it) che prevede nello
svolgimento delle attività curricolari, percorsi formativi multidisciplinari con l’obiettivo di coniugare il sapere con il saper essere, di dare senso alla fatica dello studio e dell’apprendimento,
offrendo sufficienti ed efficaci motivazioni agli studenti ed alle
loro famiglie per lavorare insieme alla costruzione di personalità
equilibrate, consapevoli e responsabili.
Fra le azioni attuate, la sottoscrizione in data 5 gennaio 2007 di
un protocollo d’intesa fra Ministero dell’istruzione e Ministero della salute che formalizza l’impegno dei due ministri a
definire strategie comuni tra scuola e salute per la prevenzione
di patologie croniche ed il contrasto di fenomeni tipici dell’età giovanile, ed a realizzare un programma di interventi che
rafforzi la collaborazione fra le strutture periferiche dei due
ministeri, valorizzando la rete dei referenti regionali e provinciali di educazione alla salute insieme con quella degli operatori
sanitari.
Si sta procedendo alla stesura di linee guida nazionali condivise da entrambi i Ministri, per tradurre in piani operativi i settori
di intervento già previsti nel protocollo:
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● Programmi di formazione su tematiche specifiche, nell’ambito degli obiettivi prioritari individuati, definendo
pacchetti formativi con contenuti comuni e differenziati
per le diverse professionalità coinvolte;
● Attivazione di un sistema nazionale di sorveglianza sugli stili di vita, finalizzato a monitorare in maniera continua, alcuni aspetti della salute dei bambini e degli adolescenti riguardo ai principali fattori di rischio comportamentali e ad alcuni parametri antropometrici e nutrizionali,
nel rispetto della regionalizzazione del sistema sanitario e
dell’autonomia scolastica;
● Iniziative congiunte di sensibilizzazione ed informazione per la promozione di stili di vita salutari nei giovani, con riguardo alla corretta alimentazione e ad una regolare attività fisica, quale ad es. “la giornata nazionale del
benessere dello studente”;
● Azioni di coinvolgimento delle famiglie nei programmi
nazionali di prevenzione su tematiche di interesse prioritario, quali la prevenzione di patologie orali, di patologie
infettive a trasmissione sessuale e neoplastiche.
Entrambi i Ministeri comparteciperanno con proprie risorse già
stanziate alla realizzazione di questo nutrito piano di azioni che
andranno ad implementare le diffuse e qualificate iniziative di
sensibilizzazione e di documentazione sulla prevenzione delle
patologie più ricorrenti, promosse da Associazioni professionali
ed Enti di ricerca, in maniera del tutto gratuita ed in spirito di
volontariato.
La presente pubblicazione che documenta le comunicazioni offerte da illustri sanitari nel corso di una Tavola Rotonda molto
seguita, svoltasi presso il Convitto Cirillo di Bari il 21 maggio
2007, ne rappresenta un esempio eloquente.
La speranza che vorremmo vedere realizzata è che non si continui ad operare secondo modalità logiche aggiuntive ma piuttosto
si persegua l’obiettivo irriducibile di una regia forte di coordinamento delle varie iniziative, quanto ai tempi di realizzazione, alle
tematiche ritenute prioritarie ed alle necessarie sinergie interisti9
tuzionali, riconoscendo il ruolo centrale che la scuola occupa nei
processi educativi delle giovani generazioni.
Educare, infatti, richiama il concetto di prevenzione applicabile
ad ogni settore della vita.
Ma perché la scuola possa rispondere adeguatamente alla domanda educativa sempre più emergente ed estesa che le viene rivolta
dalla società, è necessario un impegno corale che vada oltre la
squadra degli operatori scolastici e che comprenda i genitori, gli
EE.LL., le istituzioni e tutte le agenzie educative del territorio, disponibili ad interpretare compiti e ruoli diversi nella prospettiva
condivisa e comune di un’unica comunità educante.
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PREVENIRE È VIVERE
Emanuele Stellacci
Premessa
Questa pubblicazione riporta gli interventi che negli ultimi cinque anni un team di qualificati esperti durante la settimana per la
“donazione degli organi” ha proposto in vari convegni organizzati dal Liceo Scacchi sul tema della “Prevenzione”, ritenuta unanimemente più “efficace” e più “economica” di qualsiasi “cura”.
Hanno collaborato l’A.C.T.I. (Associazione Cardiotrapianti
Italiana), la Fondazione Maugeri di Cassano, le Società Scientifiche Cardiologiche Ospedaliere (A.N.M.C.O.) ed Universitarie (S.I.C.) e la “Lega Italiana contro i tumori” per favorire la
cultura della prevenzione delle malattie respiratorie e cardiovascolari e per diffondere quella della donazione degli organi ed in
particolare del cuore.
Costante e preziosa è stata la testimonianza e la collaborazione
dell’attuale Presidente Nazionale dell’A.C.T.I. sig. Vincenzo Catalano che ripetutamente e in varie circostanze ha riferito con
dovizia di particolari e molta passione la storia del suo trapianto
di cuore avvenuta oltre 10 anni fa.
La riflessione ed il confronto nella nostra scuola e in altre sedi
con esperti nazionali e internazionali, hanno favorito lo sviluppo di una notevole attenzione alla dimensione della prevenzione
tanto che alcuni cortometraggi prodotti da gruppi di alunni guidati dalla prof.ssa Lia D’Arpa hanno riscosso un notevolissimo
successo classificandosi al 1° posto in molteplici concorsi nazionali (ad es.: Giffoni 2007, 1° class. – Festival Scuola Cinema
– C.S.A. – Asti 2007, 1° class. – L. Bizzarri – Spot trasmessi su
Reti televisive locali, su RAI 3 (Screen saver).
I ripetuti interventi del cardiologo Rocco Lagioia e del prof. Francesco Schittulli, presidente nazionale della Lega Italiana contro i
tumori hanno diffuso nella scuola la cultura della prevenzione
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primaria ed una crescente domanda di attenzione all’intera e variegata problematica correlata agli stili di vita, alla guida sicura,
ad evitare tutte le dipendenze dall’alcool, dalle droghe leggere,
pesanti, sintetiche e sicure (sic!!!).
1) Prevenire ossia prevedere
Nella storia l’uomo ha sempre lottato per prevedere e prevenire
malanni, malattie, epidemie, interrogando le stelle o i maghi, le
viscere degli animali o qualche stregone e negli ultimi secoli si è
impegnato in una ricerca empirica e scientifica sempre più a largo
raggio sulle cause delle malattie e sulle possibili terapie.
Il concetto di salute, da semplice “assenza di malattie”, si è progressivamente ampliato fino a coincidere con uno stato di benessere con sé e nel tessuto sociale, ovvero con un complessivo star
bene sul piano psico-fisico-relazionale.
La salute non è solo un bene privato del soggetto, ma è un bene
sociale che interessa la collettività.
Oggi, come mai nel passato, è possibile prevedere e prevenire
alcune malattie ed è certo che è più facile, più vantaggioso e più
“economico” prevenire che curare: basterebbe pensare alle
malattie cardiovascolari, all’obesità, al cancro polmonare.
La scienza oggi possiede tutti gli elementi per prevenire, prevedere, provvedere in modo efficace. Inoltre un corretto stile di vita, una
dieta equilibrata, una sana alimentazione che non faccia perdere il
buon umore, un moderato uso di alcolici, un’attività fisica giornaliera, un no deciso al tabacco e alle droghe, sicuramente allungano la
durata della vita, ma soprattutto ne migliorano la qualità.
La promozione della cultura della salute è ormai un dato acquisito
dalla nostra società ed è anche un valore condiviso; la dimensione
culturale della “prevenzione”, oltre che animare alcune manifestazioni e convegni più o meno occasionali, deve concretizzarsi
in una specifica disciplina di insegnamento curriculare.
La salute è un “prodotto sociale”, il risultato di molte abitudini
di vita, di tradizioni, di scelte individuali e collettive, ed è oggi
sempre più condizionata dalla globalizzazione dei sistemi di pro12
duzione, degli stili di vita, dalle mode alimentari, dai “modelli
mass-mediali”.
2) Prevedere ossia conoscere
La cultura della salute è un processo mirante:
- ad assicurare un più elevato livello di benessere del singolo
con se stesso e nell’ambiente di vita e di lavoro;
- ad evitare le cause scatenanti di varie malattie dell’apparato circolatorio, cardiovascolare, dell’equilibrio fisico e di
quello psichico;
- ad incidere positivamente sulle abitudini di vita del singolo
e della collettività.
Ciò richiede la conoscenza delle più elementari regole igieniche
della persona, dei luoghi di vita e di lavoro.
La cultura della salute impone alcune scelte della collettività:
• la riduzione della disuguaglianza dello stato di salute tra i
vari gruppi sociali e socio-economici;
• una sana attenzione alla salute del neonato e del fanciullo,
evitando i casi estremi ma non infrequenti di “denutrizione”, di “obesità”, di scarsa igiene;
• uno sguardo costante alla salute del giovane preadolescente e adolescente troppo esposto al miraggio delle droghe,
della “linea” al confine con l’anoressia, al culto della trasgressione e del rischio estremo (si pensi alle stragi del sabato sera) e all’uso sempre più diffuso delle sostanze dopanti per raggiungere traguardi e record;
• una particolare attenzione alla “salute” della persona matura e anziana, più esposta ai pericoli derivanti dalla vita
sedentaria e da una errata alimentazione;
• l’utilizzo di tutte le “possibili cure esistenti” per contenere
gli effetti negativi delle malattie trasmissibili ed i danni derivanti da lesioni conseguenti ad incidenti e violenze;
• una cura per gli ambienti di lavoro e di studio, perché non
contengano agenti inquinanti e soprattutto non siano insi13
diosi e pericolosi;
• la precisa individuazione di stili di vita, più sani, per tutte
le età della vita;
• la limitazione dei danni già arrecati dalle dipendenze dall’alcool, dal fumo, dalle droghe, dalle sostanze dopanti;
• il coinvolgimento di tutti i soggetti cointeressati alla promozione della salute, dai genitori, ai docenti, dal medico di
famiglia all’istruttore di nuoto o di calcio, dalle istituzioni
territoriali alle aziende produttrici e distributrici di prodotti alimentari e/o di consumo;
• l’aggiornamento costante delle conoscenze mediante la divulgazione delle nuove conquiste della ricerca scientifica:
un chiaro esempio è dato dalle ampie prospettive collegate
all’utilizzo delle cellule staminali per curare alcune malattie
degenerative del sistema nervoso, linfatico, cardiocircolatorio; pochi sanno che può risultare preziosissimo conservare il sangue del cordone ombelicale del neonato.
3) Prevenire ossia modificare
La prima causa di morte nei paesi occidentali è data dalle malattie non trasmissibili, ossia dalle malattie che l’uomo si procura
autonomamente con errati stili di vita, alimentandosi troppo o
troppo poco, vivendo in ambienti insalubri, fumando, bevendo
troppi alcolici, assumendo droghe o sostanze dopanti o abusando in modo eccessivo di medicinali.
Le malattie non trasmissibili sono “prevenibili”, modificando in
tempo utile gli stili di vita, evitando i principali fattori di rischio,
tra i quali assume un peso sempre maggiore l’obesità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’obesità una
“epidemia”.
Nel mondo oggi le persone in sovrappeso sono di più di quelle
denutrite (un miliardo contro 800 milioni).
Sotto accusa sono le pessime abitudini alimentari: si passa da una
alimentazione squilibrata ad una compulsiva.
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Disturbi dell’alimentazione
“Il comportamento alimentare è legato all’affettività e dipende in
parte dai primi rapporti con la madre, o con le persone incaricate
dell’alimentazione. Si tratta di un vero e proprio “linguaggio” e
partecipa agli scambi e ai legami all’interno di uno stesso sistema
culturale.
I disturbi dell’alimentazione possono avere una causa organica
(disturbi del metabolismo, anomalie digestive congenite ecc.)
derivare da stress e conflitti o nascondere un quadro più grave.
L’anoressia può essere indice di una depressione, di uno stato
nevrotico o psicotico. Lo stesso può dirsi della bulimia e di altri
disturbi: gusto e disgusto eccessivamente selettivi, picacismo (impulso a ingerire sostanze non commestibili….). Anche particolari stati di obesità possono essere classificabili come disturbi del
comportamento alimentare. Il caso più comune è rappresentato
dal cosiddetto binge eating, o alimentazione compulsiva, stato per cui il paziente non è in grado di trattenersi dal mangiare
qualsiasi cosa, anche in orari inusuali (risvegli notturni). Anche in
questo caso si tratta di disturbi a carattere prevalentemente psichiatrico (psicosi affettive). (Dizionario medico Ricordati – Larousse – Reggio Emilia 2005 vol. 1 pag. 70).
Lo stimolo ai consumi, trasmesso a tutte le ore da tutti i canali
televisivi e proveniente da una miriade sterminata di manifesti
pubblicitari e volantini distribuiti presso il domicilio di ciascuno,
determina il bisogno indotto di tenere sempre qualcosa in bocca,
di mangiare a tutte le ore della giornata, di divorare velocemente
pasti supercalorici.
Negli Stati Uniti, ed in particolare in Pennsylvania, è stato inserito nelle pagelle il voto “negativo” all’alunno colpevole di essere
obeso calcolando l’indice di massa corporea; al contrario in vari
stati europei è iniziata una campagna contro le taglie minimali
delle modelle, costrette per ragioni di carriera a rasentare la morte per anoressia.
E’ indubbio che oggi i ragazzi mangiano più “merendine” che
verdura e frutta, bevono più coca-cola che acqua, si muovono
molto meno che nel passato.
“Alla fame atavica si è via via sostituta, nella società del benesse15
re, una specie di fame indotta che induce ai consumi compulsivi,
di cibo come di psicofarmaci, di cibo come di droghe, o di cibo
come di televisione, di cibo come di sesso. Va da sé che il cibo,
per la sua stessa basicità, e per non essere soggetto a particolari
tabù o a riprovazione sociale, e infine per via del basso prezzo, è
di gran lunga il primo, il più facile e il più accessibile tra gli oggetti
del desiderio compulsivo. E il corpo deformato, riempito oltre
ogni misura e oltre ogni controllo, diventa il segnale più evidente
e drammatico della disarmonia patologica di modelli sociali.
Il benessere diventa malessere, per via di inquinamento, di dissesto ambientale, di bulimia, di affanno psicologico (Michele Serra,
“Il malessere del benessere” in La Repubblica 9 gennaio 2007
pag. 20).
Il “benessere” non ci fa più apprezzare il dono della vita che con
molta facilità mettiamo a rischio; l’ebbrezza della velocità spinge
il giovane a mettere la propria vita e quella degli altri in pericolo.
I ragazzi nella società dei consumi non muoiono più di tubercolosi o per denutrizione, ma a seguito di incidenti stradali.
Il ripetuto, martellante, ossessivo stimolo ai consumi interviene
a modificare e deformare le naturali, buone, sane, ataviche abitudini di vita; l’antica dieta mediterranea viene oggi rispolverata
e riscoperta come un’ assoluta novità, dopo essere stata sepolta
sotto le macerie dei fast food, dei mordi e fuggi durante le cosiddette pause pranzo.
In un breve giro di alcuni decenni, siamo passati dagli spostamenti a piedi, o in bicicletta, all’uso ossessivo dell’automobile per
ogni sia pur minimo spostamento, dal pranzo e dalla cena a tavola con tutta la famiglia, ai pasti fuori casa con molto sale, molti
grassi, molte fritture, molti dolci ecc.
Le scorrette scelte alimentari e la sedentarietà (ci muoviamo seduti in macchina o nell’autobus, utilizziamo l’ascensore per salire
e scendere le scale) sono le cause principali dell’obesità.
Lo stile di vita assunto nella prima infanzia, nella preadolescenza
e adolescenza condiziona pesantemente quello della maturità e
della vecchiaia.
Una scarsa o errata conoscenza dei rapporti intercorrenti tra l’alimentazione e la salute costituisce una forma di analfabetismo
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sulla qualità della vita e sul suo valore.
In una società dominata dalle “informazioni”, o meglio da chi
esercita il potere di “informare”, l’uomo ha una sola possibilità
per esercitare il suo libero arbitrio: conoscere l’alfabeto della
vita, delle relazioni interpersonali, dei nessi di causa ed effetto tra
ciò che mangia e la sua salute, tra il suo stress più o meno indotto
e il suo equilibrio psichico.
Compito specifico di quanti si occupano di prevenzione primaria
è informare in anticipo su tutti i possibili rischi derivanti dalle abitudini quotidiane. Un livello più elevato e più “integrato”
d’istruzione, costruita nella prima infanzia, in famiglia, nell’asilo
nido, nella scuola materna, primaria e secondaria di primo e di secondo grado, dovrà avere come obiettivo prioritario lo sviluppo
della salute, dell’equilibrio bio-psichico armonico, avendo sempre di mira le conseguenze nel futuro.
La salute è un valore sociale “condiviso”, non di parte, insito
nella natura sociale dell’uomo.
4) Il sapere della vita: la disciplina della salute della vita
La cultura della prevenzione ha bisogno di fare un salto di qualità: non sono sufficienti né le campagne saltuarie di una giornata
o di una settimana per le emergenze (come tubercolosi, l’AIDS,
le malattie sessualmente trasmesse, le droghe, l’alcool, il fumo
etc.) né il passaggio delle consegne dal mondo medico a quello
della scuola o a quello dei mass- media.
La prevenzione primaria ha bisogno di darsi uno statuto epistemologico e contenuti scientifici coordinati e corretti, perciò deve trovare nella scuola un docente specificamente competente, che deve trasmettere il sapere della vita, bene primario
ed assoluto.
Non possiamo più ignorare i guasti né dell’obesità, né dell’anoressia, né delle droghe, né dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua,
delle sostanze che ingeriamo quotidianamente.
La cultura della prevenzione deve offrire risposte e proposte di
senso, aiutare a modificare i comportamenti, a operare scelte in
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vista di un processo migliorativo della qualità della vita.
Non basta prescrivere divieti contro il fumo, o contro l’assunzione eccessiva di zuccheri o sale, è necessario piuttosto spiegare i
danni irreparabili del fumo, di un eccesso di zuccheri o di sale,
come è altrettanto importante monitorare i comportamenti ed
indicare le possibili strategie per vincere la dipendenza dal fumo
o dall’abuso degli zuccheri o del sale.
L’alunno a scuola deve ricevere alcune risposte chiare e scientificamente corrette, coordinate fra loro ed in modo sistematico:
• Cosa sono i carboidrati? E i grassi? E le proteine? E le
fibre? E le vitamine? E i minerali?
• Qual è la quantità di acqua necessaria all’organismo in un
giorno?
• Perché l’acqua è importante ai fini dell’alimentazione?
• Quanti giorni l’uomo può sopravvivere senza acqua e
quanti senza cibo?
• Cosa sono le malattie cardiovascolari?
• Si possono prevenire le malattie cardiovascolari?
• Che cos’è il colesterolo?
• Cosa sono i trigliceridi?
• Cosa si può fare per abbassare il colesterolo?
• Farebbe bene alla salute eliminare del tutto i grassi?
• Di quanta fibra abbiamo bisogno?
• Perché è salutare mangiare pesce?
• E’ vero che i crostacei fanno male?
• Perché è utile mangiare carboidrati complessi?
• Quante proteine si devono assumere?
• Quanta frutta fresca e verdura bisogna mangiare?
• Si può fare a meno di mangiare per lunghi periodi frutta
fresca e verdure?
• Perché è utile usare poco sale?
• Perché è bene limitare gli zuccheri?
• Perché dobbiamo limitare l’alcool?
• Perché il fumo fa male?
• Quali sono i rischi di frequenti pranzi fuori casa?
• L’obesità è un male da curare?
All’interno di questo opuscolo, il lettore troverà una risposta a
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queste e ad altre domande; mi limito a tentare una risposta solo
all’ultima, perché è la più frequente e per molti versi assillante, affidandomi alle parole del prof. Michele Carruba, il noto direttore
del Centro Studi e Ricerche sull’obesità dell’Università di Milano:
“L’obesità riduce di almeno 10 anni l’aspettativa di vita, ma è un
disturbo che dipende da molti fattori, per metà legati all’ambiente
e per l’altre metà ad almeno un centinaio di geni. Ad oggi però
una cura risolutiva non esiste per gli adulti sopra i 30-40 anni.
L’approccio più efficace è quello interdisciplinare e integrato, che
affronti aspetti psicologici, comportamentali e medici, mirando
alla prevenzione attraverso un’attenta educazione alimentare”
5) Conoscere…per prevenire
Un capitolo importante della prevenzione primaria è rappresentato dalla conoscenza delle principali malattie non trasmissibili
per poterle prevenire: scompenso cardiaco, ipertensione, ulcera
gastrica o duodenale, bronchite, enfisema… Bisogna pensare all’ombrello prima che la pioggia ci colga impreparati.
Ora che sappiamo cosa sia lo tsunami, ci stiamo affrettando per
ridurre l’impatto e comunque per poterci difendere nel miglior
modo possibile.
Ogni volta che abbiamo notizia di un maremoto, ci allertiamo
immediatamente, perché temiamo l’arrivo dello tsunami.
Quando il medico ci informa che è in atto nel nostro organismo
un grave scompenso cardiaco, sicuramente è già molto tardi ed
alcuni guasti sono irreparabili, allora sottoponiamo il medico al
fuoco di fila delle domande sulle possibili cause, sugli errori già
commessi, su quello che avremmo potuto fare e sui farmaci che
abbiamo preso con troppa facilità, senza pensare mai alle “controindicazioni”.
Il medico ci informa che le nostre arterie coronarie, che portano
il sangue al cuore, si sono ristrette per la formazione di placche
causate dal deposito di colesterolo. La presenza di placche aterosclerotiche nelle coronarie riduce la quantità di sangue che irrora il cuore. Il sangue attraversa l’arteria con difficoltà. Il medico
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elenca i fattori di rischio: l’ereditarietà, l’età, il diabete, la pressione alta, il fumo, il colesterolo alto, lo stress, il bere, l’obesità,
le infezioni batteriche, la mancanza di esercizio fisico. E subito
il coniuge dice al malcapitato: te lo dicevo che il fumo fa male e
che non dovevi mangiare troppe fritture……ora certo è un po’
troppo tardi.
Il medico aggiunge che bisognerà far abbassare il numero elevato
dei trigliceridi e soprattutto il colesterolo e raccomanda di ridurre
grassi saturi, carni grasse e latticini, margarine dure, il fegato, il
cervello, le uova, gli insaccati. Inoltre il medico prescrive la dieta
e…l’incubo comincia a incidere sul buon umore e un velo di
malinconia avvolge il povero paziente. Ora, però, noi possiamo
prevedere, prevenire e provvedere in tempo.
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COME PREVENIRE
LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Marco Ciccone, Aldo Galeandro, Stefano Favale
Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte
nel mondo occidentale. Ad esclusione di una parte di esse dovute
a patologie congenite la gran parte di esse sono conseguenza di
una serie di fattori che ne aumentano il rischio detti appunto
fattori di rischio. I fattori di rischio aumentano la probabilità
di ammalarsi di malattie cardiovascolari e la gran parte di loro
sono modificabili e quindi possono ridurre il loro ruolo nel
determinismo della malattia. I fattori di rischio modificabili sono
errate abitudini quali il fumo, obesità, la vita sedentaria o malattie
croniche quali: l’ipertensione arteriosa (ovvero pressione arteriosa
molto alta); diabete mellito (ovvero aumento degli zuccheri nel
sangue); dislipidemie (ovvero aumento dei livelli di colesterolo e/
o trigliceridi nel sangue); sindrome metabolica (ovvero sindrome
da alterato metabolismo).
Se noi correggiamo con l’ausilio di modificate abitudini di vita
i fattori modificabili numerosi studi clinici ci hanno dimostrato
che preveniamo le malattie cardiovascolari. Anni fa il Ministero
della Salute degli Stati Uniti d’America ha bandito l’uso degli
alimenti ricchi di sali a base di sodio e di colesterolo ottenendo
una riduzione del 30% delle malattie cardiovascolari. Il nostro
Ministero della Salute ha stabilito delle importanti campagne
pubblicitarie ed una normativa di legge contro il fumo di sigaretta
causa accertata di morte per malattie cardiovascolari e tumori.
Cerchiamo quindi di individuare quali siano le misure preliminari
per ridurre i rischi di malattie cardiovascolari:
1. Tenere sotto controllo la pressione arteriosa sanguigna.
2. Smettere di fumare ed evitare di assumere in maniera
indiretta il fumo.
3. Controllare il diabete e tenere bassi i livelli di glicemia.
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4. Controllare i grassi nel sangue e tenere bassi i livelli ematici
di colesterolo e di trigliceridi.
5. Dimagrire se si è in soprappeso
6. Limitare il consumo di bevande alcoliche
7. Contenere le ragioni di stress psico-fisico
8. Fare moto in modo regolare
9. Eseguire quando richiesto dal nostro medico curante una
visita cardiologica.
Le attuali conoscenze hanno largamente dimostrato quanto l’incidenza di cardiopatia ischemica sia strettamente correlata all’adozione di stili di vita errati quali: tabagismo, l’alimentazione
scorretta o eccessiva e l’inadeguata attività fisica. Per contrastare
tali errate abitudini occorre stimolare il diffondersi di una cultura della “Responsabilità della propria salute”. Cosa possiamo
allora fare per responsabilizzarci? Innanzitutto calcolare il nostro
rischio coronarico su apposite tabelle pubblicate dalle società
scientifiche cardiologiche (ad es. Società Europea di Cardiologia)
che tengono conto di età, sesso e fattori di rischio come illustrato
in seguito.
Tabella del rischio coronarico secondo le linee guida
delle società scientifiche europee (soggetti sani)
Fumatore
Pressione
arteriosa
mg/dL 150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300
70-79
ANNI
60-69
ANNI
50-59
ANNI
50-59
ANNI
50-59
ANNI
Non Fumatore
Colesterolo totale
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
Livelli
percentuali
di Rischio
Molto alto
oltre 40%
Alto
20-40%
Moderato
10-20%
Lieve
5-10%
Basso
meno del 5%
EAS-ESC-ESH, 1998.
22
Fumatore
Pressione
arteriosa
150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300 mg/dL
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
180
160
140
120
70-79
ANNI
60-69
ANNI
50-59
ANNI
50-59
ANNI
50-59
ANNI
UOMO
DONNA
Non Fumatore
Rischio a 10 anni di CVD fatale in regioni europee ad alto rischio,
per sesso, età, pressione sanguigna, colesterolo totale e abitudine
al fumo
Fumatore
Pressione
arteriosa
mg/dL 150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300
65
ANNI
60
ANNI
55
ANNI
Non Fumatore
Colesterolo totale
Fumatore
Pressione
arteriosa
150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300 mg/dL
7
5
3
2
8
5
3
2
9
6
4
3
10
7
5
3
12
8
6
4
180
160
140
120
13
9
6
4
15
10
7
5
17
12
8
5
19
13
9
6
22
16
11
7
14
9
6
4
16
11
8
5
19
13
9
6
22
15
11
7
26
16
13
9
180
160
140
120
26
18
13
9
30
21
15
10
35
25
17
12
41
29
20
14
47
34
24
17
4
3
2
1
4
3
2
1
5
3
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
180
160
140
120
8
5
3
2
9
6
4
3
10
7
5
3
11
8
5
4
13
9
6
4
9
6
4
3
11
7
5
3
13
9
6
4
15
10
7
5
18
12
9
6
180
160
140
120
18
12
8
6
21
14
10
7
24
17
12
8
28
20
14
10
33
24
17
12
2
1
1
1
2
2
1
1
3
2
1
1
3
2
1
1
4
3
2
1
180
160
140
120
4
3
2
1
5
3
2
1
5
4
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
6
4
3
2
7
5
3
2
8
6
4
3
10
7
5
3
12
8
6
4
180
160
140
120
12
8
5
4
13
9
6
4
16
11
8
5
19
13
9
6
22
16
11
8
1
1
0
0
1
1
1
0
1
1
1
1
2
1
1
1
2
1
1
1
180
160
140
120
2
1
1
1
2
2
1
1
3
2
1
1
3
2
1
1
4
3
2
1
4
2
2
1
4
3
2
1
5
3
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
180
160
140
120
7
5
3
2
8
6
4
3
10
7
5
3
12
8
6
4
14
10
7
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
180
160
140
120
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
1
0
0
0
1
1
0
0
1
1
1
0
1
1
1
1
2
1
1
1
2
1
1
1
180
160
140
120
2
1
1
1
2
2
1
1
3
2
1
1
3
2
2
1
4
3
2
1
Livelli
percentuali
di Rischio
oltre il 15%
65
ANNI
UOMO
DONNA
Non Fumatore
60
ANNI
55
ANNI
10-14%
50
ANNI
5-9%
3-4%
50
ANNI
2%
40
ANNI
1%
< 1%
40
ANNI
EAS-ESC-ESH, 1998.
Rischio a 10 anni di CVD fatale in regioni europee ad alto rischio,
per sesso, età, pressione sanguigna, colesterolo totale e abitudine
al fumo
Fumatore
65
ANNI
60
ANNI
55
ANNI
Non Fumatore
Colesterolo totale
Fumatore
Pressione
arteriosa
150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300 mg/dL
4
3
2
1
5
3
2
1
6
4
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
180
160
140
120
9
6
4
3
9
6
4
3
11
7
5
3
12
8
6
4
14
10
7
4
8
5
4
2
9
6
4
3
10
7
5
3
12
8
6
4
14
10
7
5
180
160
140
120
15
10
7
5
17
12
8
5
20
14
9
6
23
16
11
8
26
19
13
9
3
2
1
1
3
2
1
1
3
2
1
1
4
2
2
1
4
3
2
1
180
160
140
120
5
3
2
1
5
4
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
8
5
4
3
5
3
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
8
5
4
3
9
6
4
3
180
160
140
120
10
7
5
3
11
8
5
4
13
9
6
4
15
11
7
5
18
13
9
6
1
1
1
0
1
1
1
0
2
1
1
1
2
1
1
1
2
1
1
1
180
160
140
120
3
2
1
1
3
2
1
1
3
2
1
1
4
3
2
1
4
3
2
1
3
2
1
1
4
2
2
1
4
3
2
1
5
3
2
2
6
4
3
2
180
160
140
120
6
4
3
2
7
5
3
2
8
6
4
3
10
7
5
3
12
8
6
4
1
0
0
0
1
0
0
0
1
1
0
0
1
1
0
0
1
1
0
0
180
160
140
120
1
1
1
0
1
1
1
0
2
1
1
0
2
1
1
1
2
1
1
1
2
1
1
1
2
1
1
1
3
2
1
1
3
2
1
1
4
2
2
1
180
160
140
120
4
2
2
1
4
3
2
1
5
3
2
2
6
4
3
2
7
5
3
2
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
180
160
140
120
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
1
0
0
0
1
1
0
0
1
1
0
0
180
160
140
120
1
1
0
0
1
1
1
0
1
1
1
0
2
1
1
1
2
1
1
1
Livelli
percentuali
di Rischio
oltre il 15%
65
ANNI
UOMO
DONNA
Non Fumatore
Pressione
arteriosa
mg/dL 150 200 250 300 sistolica 150 200 250 300
60
ANNI
55
ANNI
10-14%
50
ANNI
5-9%
3-4%
50
ANNI
2%
40
ANNI
1%
< 1%
40
ANNI
EAS-ESC-ESH, 1998.
23
Noi ed il cibo
Ricordiamo questi altri utili suggerimenti che riguardano i nostri
rapporti con il cibo:
▪ Mangiare regolarmente rispettando gli orari.
▪ Bere molta acqua
▪ Evitare i pasti copiosi
▪ Evitare di cenare troppo tardi la sera
▪ Alzarsi da tavola non sazi
▪ Fare una passeggiata dopo un pasto
Evitiamo le seguenti abitudini alimentari errate:
Non mangiare mai o raramente:
▪ Frutta, verdura e pesce
Mangiare spesso o addirittura tutti i giorni:
▪ Carni rosse, fritture, dolciumi e bibite edulcorate.
Altro momento fondamentale nella prevenzione delle malattie
cardiovascolari è l’attività fisica. Infatti l’associazione dei cardiologi
Americana ribadisce che l’attività fisica è uno dei momenti
fondamentali della prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Infatti se smettere di fumare pesa per una riduzione del rischio
del 50% e il cambiamento delle abitudini dietetiche per una
riduzione del 15-40%, l’attività fisica pesa per un 20-30%.
ABCs of Preventing Heart Disease, Stroke and Heart Attack
americanheart.org 2006
24
Terminiamo l’analisi dei meccanismi preventivi ricordando i
seguenti suggerimenti:
► In considerazione dei benefici clinici osservati e dei ben documentati
meccanismi cardioprotettivi, l’attività fisica regolare di moderata
intensità dovrebbe essere considerata un efficace strumento terapeutico
per i pazienti con cardiopatia coronarica e di prevenzione per i
soggetti sani
► Una spesa energetica di 1.000 kcal/sett. può essere ottenuta
con almeno 30 minuti di attività aerobica di moderata intensità
per almeno 5 giorni/settimana
► Brisk walking (4.8-6.4 km/h) è considerato esercizio di
moderata intensità per la maggior parte degli individui.
► Una velocità più lenta è frequentemente di intensità
adeguata per gli anziani
► Chi percorre mille passi al giorno di cammino (circa
2 ore di marcia) e mangia pesce non fritto almeno
tre volte la settimana si ammala raramente di malattie
cardiovascolari.
25
PER UNA SANA E CORRETTA ALIMENTAZIONE.
ALIMENTAZIONE ERRATA: CONSEGUENZE
Pasquale Caldarola, Francesco Troso
“Coena brevis, vel coena levis fit raro molesta; magna nocet; medicina docet;
res est manifesta”
Scuola Medica Salernitana
Tutti gli organismi animali o vegetali, per poter vivere crescere e
riprodursi, ricercano continuamente energia dall’ambiente che li
circonda. Attraverso l’alimentazione, l’organismo riceve energia
e materia per vivere. Le scelte e le abitudini alimentari sono
influenzate da numerosi fattori come la cultura, fattori economici, psicologici, sociali ed emotivo-simbolici. Questi condizionamenti influiscono in modo determinante su cosa e come si
mangia, caratterizzando il comportamento del singolo individuo.
La nutrizione costituisce quindi un aspetto particolare dello stato
di salute individuale e condiziona, a sua volta, sia aspetti generali,
quali resistenza alle infezioni, comparsa di malattie metaboliche
(diabete, aumento dei grassi e degli acidi urici nel sangue), ecc.,
sia variabili psicologiche, quali per esempio sensazioni di piacersi
o viceversa, che influiscono sulla vita di ogni persona.
Generalmente, quando vi è equilibrio tra i nutrienti introdotti ed
utilizzati da un soggetto, vi è una situazione di “eunutrizione”
che porta l’individuo ad una condizione di benessere psico-fisico; quando non vi è equilibrio si parla invece di “malnutrizione” (individuo sottopeso oppure individuo sovrappeso). E’ dunque fondamentale alimentarsi in maniera corretta con il duplice
obiettivo:
- di fornire al nostro organismo tutto ciò di cui necessita
(e cioè ricoprire i fabbisogni energetici);
- di prevenire l’insorgenza di alcune malattie croniche quali l’aterosclerosi, l’ipertensione arteriosa, diabete, malattie
cardiache (angina pectoris, infarto), sovrappeso, obesità,
27
diverticolosi e stitichezza, entrambe divenute più frequenti proprio in corrispondenza dell’adozione di nuovi modelli alimentari ricchi di calorie e poveri di fibre, quindi
dannosi per l’organismo.
Che cos’è un alimento?
E’ qualsiasi sostanza che sia in grado di esercitare una o più delle
seguenti funzioni:
- fornire “materiale energetico” per la produzione di calore,
lavoro o altre forme di energia (proteine o protidi, zuccheri o glucidi, grassi o lipidi);
- fornire “materiale plastico” per la crescita e la riparazione
dei tessuti (proteine e minerali);
- fornire “materiale regolatore” per regolare le reazioni
metaboliche(minerali e vitamine).
Alcuni alimenti sono detti “protettivi”, indipendentemente
dal loro valore plastico ed energetico, in quanto hanno notevole
importanza per il normale svolgimento dei processi metabolici.
Essi sono i cereali, i legumi, i prodotti ortofrutticoli, il latte, i
formaggi, le uova, la carne in genere, i prodotti della pesca ecc.,
che debbono la loro azione protettiva al contenuto di vitamine, aminoacidi (strutture organiche semplici che compongono le
proteine) ed acidi grassi essenziali.
Alcuni alimenti sono detti “nervini”, in quanto agiscono stimolando il sistema nervoso centrale e tramite questa azione influiscono sui processi di digestione e di assorbimento degli alimenti:
the, caffè, cacao, alcool, ecc.
Altri alimenti sono detti “condimenti”: tra questi si trovano alcuni alimenti veri e propri (grassi, olii, sale, zucchero, miele, ecc.),
le sostanze aromatizzanti (aceto, prezzemolo, basilico, rosmarino, lauro, origano, ecc.) e le droghe (pepe, senape, cannella, noce
moscata, chiodi di garofano, zafferano, peperoncino, ecc.).
Dunque ci nutriamo di alimenti e viviamo di principi nutritivi che
contengono: zuccheri, proteine e grassi che danno calorie, nonché acqua, minerali e vitamine che non danno calorie.
28
Tra gli alimenti con funzione energetica (che danno calorie) troviamo, come abbiamo visto, gli zuccheri o glucidi (e con questi le
sostanze amidacee), i grassi o lipidi e le proteine o protidi.
I glucidi, che rappresentano la forma di energia “pronta” meglio
utilizzabile, sono presenti nei seguenti alimenti: zucchero, sciroppo di glucosio, melassa, miele.
Le sostanze amidacee (che rientrano tra i glucidi) sono presenti
nei seguenti alimenti: farina e derivati, pane, crackers, pasta, patate, vegetali farinosi, castagne.
I lipidi, che svolgono funzione di trasporto delle vitamine liposolubili nonché di protezione meccanica di tessuti ed organi,
sono presenti nei seguenti alimenti: burro, lardo, strutto, olio di
margarina, olii di semi, frutta oleosa, noci, mandorle, formaggi.
I protidi, che svolgono soprattutto funzione plastica poichè servono per la sintesi di strutture cellulari e per la riparazione e la
costruzione dei tessuti, sono presenti nei seguenti alimenti: carni
in genere, pollame, prodotti ittici, latte, uova, legumi, cereali.
Tra gli alimenti con funzione plastica o costruttiva, oltre ai protidi, troviamo i minerali.
Il Calcio è presente nel latte, formaggi, uova, pesci, carni in genere.
Il Fosforo ed il Ferro sono presenti anch’essi nel latte, formaggi,
uova, pesci e carni ma anche in legumi e cereali.
Lo Iodio è presente in prodotti ittici, pesci marini, alghe marine.
Tra gli alimenti con funzione regolatrice o protettiva troviamo,
oltre ai minerali di cui s’è parlato, le vitamine.
La vitamina A (retinolo) è presente nell’olio di fegato di pesce,
fegato, rene, tuorlo d’uovo, vegetali verdi e gialli.
La vitamina B1 (tiamina) è presente nei cereali integrali, legumi
secchi, carne di maiale.
La vitamina B2 (riboflavina) è presente in: carni in genere, latte,
formaggi, legumi, vegetali verdi, cereali.
La vitamina PP (nicotinamide) è presente in: cereali integrali, alcune carni.
La vitamina C (ac. ascorbico) è presente in: agrumi, frutta fresca,
pomodori, peperoni.
La vitamina D3 (colecalciferolo) è presente in: pesci grassi, fega29
to di pesce, tuorlo d’uovo.
Nell’alimentazione non va dimenticata l’acqua. In essa si svolgono tutte le reazioni chimiche indispensabili alla vita. Nell’organismo umano adulto, l’acqua costituisce il 60% del peso corporeo;
alla nascita, l’acqua costituisce il 75% circa del peso corporeo.
La sua mancanza porta a morte in tempi più brevi del digiuno.
Perdite di acqua pari al 10% di quella costitutiva dell’organismo
portano all’incapacità di attività fisiche organizzative. Una minima parte di acqua, nell’organismo, è di origine endogena, cioè
si forma dal catabolismo; la maggior parte è di origine esogena,
viene cioè introdotta con le bevande e gli alimenti.
Una alimentazione equilibrata ha come obiettivo più benessere
e più salute, senza tuttavia mortificare i sensi ed il piacere della buona tavola. Un modello di comportamento alimentare, che
può essere attuato facilmente rifacendosi alle più tipiche culture
alimentari di un paese mediterraneo quale l’Italia, è la dieta mediterranea, ritenuta oggi uno dei più efficaci modelli alimentari
per star bene. Si basa principalmente sul consumo di alimenti di
origine vegetale come pane, pasta, frutta, ortaggi, olio d’oliva e
moderati consumi di alimenti animali, latte, formaggi poco grassi, pesce, carni magre, come pollame e coniglio. Di conseguenza,
per gli italiani seguire questi consigli può essere più agevole in
quanto la dieta mediterranea stessa rappresenta la conservazione
o il recupero di abitudini tradizionali e culture regionali già note
e familiari.
Cosa e quanto mangiare per seguire una dieta corretta?
La dieta dovrebbe essere composta da: zuccheri e sostanze amidacee (pasta, pane, riso e patate) per il 55-65%; grassi per il 30%
(tra gli “irrinunciabili” troviamo quelli contenuti nell’olio d’oliva,
olio di soia, frutta secca e pesce azzurro); proteine per il 15%
(precisamente 1 grammo per kg di peso corporeo ideale). Occorre ricordare che 1 grammo di zucchero fornisce 4 Kcal.; 1 grammo di grassi fornisce 9 Kcal.; 1 grammo di proteine fornisce un
numero di Kcal. all’incirca intermedio tra quelli prima riferiti.
30
Le sostanze amidacee, incluse tra gli zuccheri o glucidi come
detto in precedenza, devono quindi trovare posto preponderante
nella dieta. Del resto l’amido rappresenta, ancora oggi, il maggiore componente della razione alimentare italiana, anche se il suo
apporto si è ridotto dal 60% circa delle calorie totali degli anni ’50
all’attuale 45%. Gli alimenti ricchi di amido forniscono, insieme
all’energia (e quindi alle calorie), anche proteine, vitamine e sali
minerali. In più, buona parte di essi aiuta ad introdurre nell’organismo una certa quantità di fibre. Queste ultime sono l’insieme
di quei componenti degli alimenti vegetali che non sono digeriti dall’uomo, in quanto manca nel nostro organismo l’enzima
(cellulasi) capace di scindere questi alimenti. Ciò produce effetti
fisiologici utili all’uomo e regola le funzioni e l’igiene intestinali.
Inoltre le fibre contribuiscono a “fare volume” nel cibo ingerito
e quindi al raggiungimento del senso di sazietà. E’ bene, pertanto,
consumare alimenti contenenti fibre (cereali, pane, pasta, frutta,
verdura, ortaggi e legumi) comprendendoli abitualmente nella
alimentazione giornaliera.
Quali sono le regole del mangiare sano?
Intanto è importante mangiare in maniera varia, cambiando possibilmente ogni giorno il menù. Quindi occorrerà:
- distribuire i pasti in maniera razionale: prima colazione sostanziosa, pranzo non troppo ricco, cena leggera,
eventualmente prevedendo due spuntini a base di frutta a
metà mattina e a metà pomeriggio;
- limitare l’uso dei grassi da condimento, dando comunque la preferenza a quelli di origine vegetale ed in particolare all’olio d’oliva;
- moderare il consumo di carni e salumi (tre volte a settimana), avendo cura di eliminare il grasso visibile e facendo
attenzione ai cibi ad alto contenuto di colesterolo;
- mangiare più frequentemente pesce (almeno due-tre
volte a settimana) cucinato in modo semplice;
- garantirsi un’adeguata assunzione di fibre vegetali
31
(consumando ogni giorno una porzione di verdura cruda
ed una di verdura cotta);
- ridurre il consumo di sale (in Italia si consuma sale in
eccesso: in media dai 10 ai 14 grammi a testa al giorno!);
- ridurre il consumo di zuccheri semplici (dolci, gelati,
creme, succhi di frutta, bevande zuccherine);
- bere alcolici con moderazione, preferendo quelli a bassa gradazione (vino, birra) e limitandone l’assunzione al
momento dei pasti (un bicchiere a pasto per le persone
adulte).
Prima colazione
Fare la prima colazione è una buona abitudine: essa, infatti, dopo
una notte di digiuno, fornisce all’organismo la quota necessaria di
energia per affrontare gli impegni della giornata.
Con la colazione bisogna introdurre circa il 20% delle calorie
totali giornaliere: esse devono essere fornite principalmente dagli zuccheri complessi, in quanto essi forniscono energia di pronto utilizzo al nostro organismo, ed in piccola parte dalle proteine
e dai grassi.
Cosa scegliere?
- Latte e derivati (yogurt)
- Cereali (fette biscottate, pane, cornflakes)
- Frutta o premute di frutta
Cosa evitare?
- Eccessivo uso di zuccheri semplici, merendine, biscotti
farciti, burro, panna, cioccolata, dolci, cornetti.
Esempio di una sana prima colazione:
Latte parzialmente scremato; cornflakes o fette biscottate o biscotti secchi; frutta fresca.
Pranzo
Il pranzo deve fornire il 50% delle calorie totali giornaliere.
Cosa scegliere?
32
Primo piatto
- Un piatto di pasta con verdure e legumi, oppure al sugo o
al pomodoro
Oppure
- Una zuppa di legumi
Oppure
- Un minestrone di verdure
Bisogna evitare i piatti troppo elaborati e ricchi di condimenti,
soprattutto di origine animale (ragù, bolognese, pasta al forno,
ecc…)
Secondo piatto
Bisogna tener presente che:
- la carne è un alimento ricco di proteine nobili (utili per
la crescita) ma anche di grassi (colesterolo in primis), per
cui il suo consumo va limitato a non più di due-tre volte a
settimana;
- bisognerebbe incrementare il consumo di pesce (specialmente il pesce azzurro, almeno due-tre volte a settimana),
ricco di una particolare categoria di acidi grassi (omega-3)
che proteggono dallo sviluppo di malattie cardiovascolari;
- le uova sono un alimento ad alto valore nutritivo ed andrebbero consumate una-due volte a settimana;
- i formaggi hanno un elevato contenuto in proteine nobili
ed in calcio, ma purtroppo sono alimenti ricchi di grassi
saturi che sono dannosi per la salute; limitare anche il consumo di insaccati (mortadella, salsicce, ecc.) per le stesse
ragioni.
Cereali (pane e simili)
Preferire il consumo di pane del tipo misto o integrale che apporta la stessa energia del pane bianco,
Frutta e Verdura
Sono ricche di vitamine e sali minerali (consigliato un consumo
quotidiano di una porzione di verdura cotta e di una porzione di
verdura cruda, e di due-tre porzioni di frutta fresca di stagione).
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Cena
Deve fornire il 30% circa delle calorie totali giornaliere: essa
deve comprendere un secondo piatto, un contorno, del pane e
della frutta.
Anche la pizza margherita può costituire una cena, a patto che
non si esageri (massimo due volte a settimana).
Condimento.
Il condimento ideale per tutte le pietanze è l’olio extravergine
d’oliva, mentre è da limitare il consumo degli altri condimenti,
specie di origine animale (burro, strutto, panna, salse di maionese, mascarpone, lardo, ecc.).
Dolci e Gelati.
I dolci sono da limitare a particolari occasioni. Inoltre sono da
preferirsi i gelati alla frutta (sorbetti) ed i dolci secchi o con marmellata.
Cosa bere?
Possibilmente acqua, evitando bevande zuccherine e l’uso quotidiano eccessivo di bevande alcoliche. A tal proposito va ricordato
che il vino, parte integrante della tradizione alimentare italiana,
ha come principale ingrediente l’alcool etilico o etanolo, sostanza non indispensabile per l’organismo. Chi sta in buona salute e
desidera prendere bevande alcoliche può farlo, purché in misura
moderata. Ogni grammo di alcool etilico fornisce 7 calorie.
Incidenza calorica dei fuori pasto: le calorie nascoste.
34
Alimentazione errata: conseguenze.
Negli ultimi decenni le abitudini alimentari sono profondamente
cambiate. Lo sviluppo dell’economia, i contatti con altre culture,
i grandi mutamenti sociali, la spinta a raggiungere un più elevato tenore di vita, la diffusione della pubblicità hanno spostato
l’attenzione dei consumatori, con maggiore frequenza ed in più
larga misura, verso quei generi alimentari un tempo considerati
elitari e pregiati. La possibilità di nutrirsi con una maggiore varietà ed abbondanza di cibi ha portato, nei paesi sviluppati, alla
scomparsa pressoché totale delle cosiddette carenze nutrizionali.
Invece la tendenza a mangiare più del necessario, anche come
dimostrazione di “status symbol”, spesso accompagnata da squilibri fra i componenti della dieta, ha portato gli italiani ad essere
più esposti a gravi rischi per la salute.
L’abbandono lento ma progressivo della dieta tipicamente mediterranea, ora presa a modello di sana alimentazione in altri paesi,
e l’introduzione, sempre maggiore nelle diete, di alimenti di origine animale, ricchi di grassi saturi e colesterolo, hanno prodotto
nella popolazione una maggiore incidenza di malattie.
L’ipertensione arteriosa, il diabete e l’aumento dei lipidi nel
sangue sono molto spesso dirette conseguenze di alimentazione
costantemente errata e costituiscono, promuovendo l’aterosclerosi, i principali fattori di rischio di insorgenza delle malattie cardiovascolari.
L’aterosclerosi, che consiste nella presenza nello spessore delle arterie di materiale lipidico che progressivamente occlude un
vaso sanguigno, è la causa principale delle malattie cardiovascolari. Le più note, tra queste, l’angina pectoris, l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale.
Un’altra patologia che colpisce l’organismo e che è una diretta conseguenza di alimentazione errata è l’obesità. In Italia un
quinto degli adulti oltre i 30 anni è decisamente obeso, mentre
poco meno della metà è in sovrappeso. E’ evidente come questa
patologia sopraggiunga per assunzione di troppe calorie rispetto a quelle necessarie. Tra l’altro, prevenendo l’obesità con diete
equilibrate, si riducono i rischi di insorgenza di ipertensione arte35
riosa, diabete ed ipercolesterolemia che sono proprio, come detto in precedenza, i principali fattori di rischio di insorgenza delle
malattie cardiovascolari. Quindi l’eccesso di peso va combattuto
non soltanto sotto l’aspetto estetico, ma anche per migliorare lo
stato di salute. L’unico modo per prevenire o ridurre l’obesità è
quello di equilibrare l’alimentazione, avendo cura di soddisfare
l’appetito con alimenti di più basso valore energetico e ricchi di
fibre vegetali.
Nelle abitudini di vita di un soggetto, però, deve trovare spazio
anche un idoneo esercizio fisico che, oltre a far consumare più
calorie, contribuisce al buon mantenimento delle funzioni cardiocircolatorie, respiratorie e del tono muscolare.
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Pulire i pavimenti
Dormire
30
Stirare
60
Spolverare
75
Camminare per lo shopping
85
110
In conclusione, la nutrizione è un fenomeno complesso che influisce sulla salute e che necessita di particolari equilibri tra le
sostanze che ingeriamo e che smaltiamo, un processo costellato
da dinamiche variabili, psicologiche e non, che possono condizionare in misura più o meno variabile l’esito del processo.
MANGIARE è un gesto profondo quanto quello di AMARE.
Il cibo stimola i sensi, distrae l’intelletto, esalta l’immaginazione,
spinge all’esplorazione, rispolvera e riattiva i ricordi, soddisfa e
rassicura.
Sono poche le cose che non riusciamo a controllare, tra queste
“il cuore” e… il cibo.
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I RISCHI DI ABITUDINI DIETETICHE ERRATE
Marco Ciccone, Giovanni Quistelli, Stefano Favale
Le attuali conoscenze scientifiche hanno largamente dimostrato,
quanto l’incidenza di molte patologie sia strettamente correlata all’adozione di stili di vita errati quali il tabagismo, l’abuso di
bevande alcoliche, l’alimentazione scorretta o eccessiva e l’inadeguata attività fisica.
Per contrastare tali errate abitudini occorre stimolare il diffondersi di una cultura della “ responsabilità della propria salute” ed in
tal senso corrette informazione, educazione e comunicazione sui
comportamenti salutari costituiscono gli strumenti principali.
Ammalarsi di cuore non è una bella esperienza e fortunatamente
i progressi della ricerca scientifica hanno prodotto risultati strabilianti che ci hanno consentito di salvare molte vite umane grazie
a corretti interventi dietetici e terapeutici. Ma, purtroppo, sono
proprio il benessere, l’opulenza, i servizi e la sedentarietà che
stanno contribuendo nuovamente ad un impennata nell’ incidenza delle malattie cardiovascolari. Come combattere questi nuovi
nemici? Come fare in modo che, ciò che l’uomo ha desiderato
per decine di millenni della sua storia su questa terra, non diventi
oggi la prima causa della sua mortalità? In questo momento sono
utili alcune considerazioni.
La dieta mediterranea
Siamo così perché dalle origini abbiamo cacciato, pescato, allevato e coltivato i nostri cibi, quindi, a fronte di intenso esercizio
fisico ed intellettuale abbiamo introdotto nella nostra dieta piccole quantità di cibo ed acqua cucinate in modo semplice e senza
spezie. Prova ne è che popolazioni che utilizzano una dieta mediterranea, ovvero una cucina semplice a base di verdure spesso
crude, pasta e pane, legumi, pesce, carni bianche, acqua e vino e
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che utilizza come spezie olio di oliva, aglio, cipolla, peperoncino,
erbe (origano, rosmarino, etc), sale marino, si ammalano molto
meno di malattie cardiovascolari. Tali considerazioni ci portano
a considerare che il regime dietetico delle nostre nonne e delle
nostre mamme sia un mezzo ideale per ridurre il rischio di ammalarsi di cuore.
Le errate abitudini alimentari
Ora cerchiamo di capire brevemente il perché di ciò. L’uomo è
un animale onnivoro che ha bisogno di introdurre nella sua dieta
alimenti composti da: carboidrati (pane e pasta), grassi (olio di
oliva, carni e pesce), proteine (legumi, carni e pesce), fibre (vegetali e frutta), vitamine (frutta, vegetali crudi o poco cotti, uova
crude o poco cotte, carni e pesce), minerali (tutti gli alimenti ma
soprattutto latte e verdure) e acqua. E’ preferibile che la nostra
dieta contenga tutte queste componenti e che nessuna di queste
sia carente per un periodo della nostra vita. Infatti, alcuni alimenti come le vitamine ad esempio, se mancano dalla nostra dieta anche per brevi periodi possono causare gravi malattie. Dobbiamo
cercare, quindi, di introdurre tutti gli alimenti nella nostra dieta
ed evitare cattive abitudini alimentari quali:
non mangiare mai o raramente: la frutta fresca, le verdure e/o il pesce;
mangiare spesso o addirittura tutti i giorni: carni rosse
(carni bovine), fritture (ricche di sostanze ossidanti tossiche per il nostro organismo), dolciumi e bibite edulcorate
(è preferibile bere acqua).
Ci rendiamo quindi che anche e soprattutto a tavola dobbiamo
conservare il “self control”, analizzare tutte le vivande presenti sulla nostra tavola ed eliminare quelle potenzialmente inutili
(quelle che mangiamo troppo spesso) o dannose (estremamente
ricche di grassi o ottenute con una cucina elaborata o conservate). Ci rendiamo conto quindi che, come dobbiamo essere ricercati nell’ igiene fisica e nell’abbigliamento (siamo Italiani !!!), lo
dobbiamo essere nelle scelte dietetiche, soffrendo a volte un po’
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ma altre volte scoprendo nuovi sapori inaspettati. Ricordiamo
infine che il cibo non rappresenta né un premio, né una punizione da dare alla nostra esistenza o ai nostri genitori. Facciamo in
modo che conflitti tra noi, la nostra famiglia e gli altri non vengano risolti divorando una torta al cioccolato o saltando il pranzo
o la cena.
Noi e il cibo.
E’ preferibile mangiare regolarmente rispettando gli orari della
colazione, del pranzo e della cena ed effettuare uno spuntino a
metà mattinata e nel pomeriggio. Conviene bere molta acqua soprattutto se facciamo attività fisica, intellettuale o fa caldo. Conviene evitare pasti copiosi e cenare troppo tardi la sera. E’ buona
abitudine fare una passeggiata dopo un pasto e non rimanere
seduti in poltrona. Conviene alzarsi da tavola con un po’ di fame
e non completamente sazi. Se ci rendiamo conto che le abitudini
alimentari dei nostri parenti sono errate invitiamoli dolcemente
ma con fermezza a mutarle consultando magari il proprio medico
curante. Siamo, ritornando a quanto detto all’inizio di questo capitolo, noi i responsabili della nostra salute e vivere una vita senza
malattie vuol dire vivere meglio, più felici e più a lungo. Sono in
seguito riportate due tabelle relative alla dieta mediterranea:
La dieta mediterranea.
ƒ Verdure spesso crude, frutta fresca
ƒ Pasta e pane
ƒ Legumi
ƒ Pesce
ƒ Carni bianche
ƒ Vino rosso
ƒ Spezie (peperoncino, origano, aglio, cipolla, rosmarino)
ƒ Olio extravergine di oliva
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Alimenti della dieta mediterranea
ƒ Carboidrati (pane, pasta, riso, semola)
ƒ Grassi (olio di oliva, pesce, carni bianche, formaggi)
ƒ Proteine (legumi, carni e pesce)
ƒ Minerali (latte e verdure)
ƒ Vitamine (frutta e verdure crude)
ƒ acqua
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STRESS PSICOFISICI:
GRAVI RISCHI DA RIPETUTI ECCESSI
Daniela Santoro, Rocco Lagioia
Introduzione
Cari amici, è difficile parlare di stress psicofisici in un mondo in
cui ci viene chiesto continuamente di dare il massimo! Basti pensare che i disturbi legati allo stress sono molto più frequenti nei
Paesi Occidentali rispetto, per esempio a quanto non lo siano in
zone rurali dell’Africa.
Nonostante ciò, è importante analizzare la questione, perchè quel
che all’inizio può apparire come uno stimolo, può trasformarsi
ben presto in un rischio per la nostra salute. Faremo pertanto il
punto su questo argomento, in modo tale da fornirvi degli strumenti, per evitare, se possibile, situazioni che possono minacciare la nostra serenità.
Chiariamo innanzitutto i termini della questione. Quante volte
avete detto frasi come: “Che stress il prof. di filosofia! Che stress
la lezione di matematica!”?
... Ma cos’è lo stress?
Stress in inglese significa letteralmente “sforzo”. Con questo termine, in pratica, intendiamo una risposta del nostro organismo
ad uno stimolo qualsiasi, il cosiddetto “stressor”, che non deve
essere necessariamente negativo, ma può essere anche positivo:
pensate ad esempio ad un compito in classe oppure al bacio di un
fidanzato. Spesso tendiamo a confondere i due termini, per cui
stress e stressor vengono utilizzati come sinonimi, anche se quindi l’uno è lo stimolo (stressor) e l’altro la reazione dell’organismo (stress). Quindi il “prof. di filosofia” rappresenta lo stressor,
mentre la tachicardia che avverto mentre scorre con lo sguardo
sul registro scegliendo chi interrogare è lo stress!
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STRESSOR
(STIMOLO)
STRESS
(RISPOSTA)
Il più importante studioso che si è occupato di stress è stato
Hans Selye negli anni ’30. Egli si accorse che determinati stimoli erano in grado di aumentare la secrezione ormonale da parte
del surrene, una ghiandola del nostro organismo, determinando
quindi una risposta sistemica cioè generalizzata, detta “sindrome
da adattamento generale”. Secondo una teoria ancora valida, essa
si articola in queste fasi:
1. Fase di allarme: lo stressor (per esempio l’interrogazione),
produce una sorta di sensazione di “pericolo” (supponiamo ad esempio che il professore scelga il vostro cognome
dall’elenco del registro per una interrogazione…);
2. Fase di resistenza: vengono messi in atto dei complessi
meccanismi biologici per sostenere la risposta allo stressor (nel nostro esempio, attivate tutte le vostre energie
nel cercare di ricordare quel che avete studiato per sostenere l’interrogazione). In particolare in questo momento
si verifica nel nostro corpo l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), di cui parleremo più diffusamente in seguito;
3. Fase di “esaurimento”: se lo stimolo persiste si può avere
riduzione delle capacità adattative dell’individuo (alla fine
dell’interrogazione qualcuno potrebbe mostrare qualche
segno di “stanchezza”).
Gli elementi che interagiscono sono sempre tre: lo stressor, l’individuo e l’ambiente, ciascuno con caratteristiche peculiari che
influenzano la risposta.
STRESSOR
AMBIENTE
INDIVIDUO
44
Infatti, gli stressor a cui siamo costantemente sottoposti possono essere di diversa natura, intensità, frequenza e durata. Ma soprattutto può essere diversa la percezione che ciascuno di noi ha
dello stesso stressor, in relazione, in genere, al grado di prevedibilità ed evitabilità dello stesso. Facciamo il solito esempio: la mia
reazione all’interrogazione sarà differente a seconda che io abbia
studiato o meno, che mi sia proposto come volontario, o sia stato
scelto dal professore ecc. Inoltre lo stress sarà per me maggiore
se vengo esposto per la prima volta ad un nuovo stressor (parlare
in pubblico, primo giorno di scuola in un nuovo Istituto ecc). In
tal senso, elementi caratteristici dell’individuo, condizionanti la
risposta, sono l’età, il sesso, la personalità, l’esperienza. E’ a tutti
chiaro che “l’abitudine” riduce in genere l’intensità della reazione
a qualcosa o qualcuno, ma alcuni di noi, particolarmente sensibili ed emotivi, potrebbero avvertire, a parità di stressor, una
maggiore intensità della risposta. Per esempio, alcuni balbettano
ancora quando vengono interrogati, altri continuano a soffrire di
dolori addominali il giorno del compito in classe, ecc. Per quanto
riguarda l’ambiente, intendendo l’ambiente in senso lato, quindi
geografico, culturale, ma anche sociale, esso condiziona la presenza degli stressor. Un esempio per tutti: durante le vacanze al
mare non rischio interrogazioni. D’altra parte, la nostra insistenza con esempi riguardanti la vita scolastica nascono proprio dal
fatto che trascorrete la gran parte della vostra giornata “intorno”
a questo ambiente e quindi qui si esercita il maggior numero degli
stressor!
Fisiopatologia dello stress
Adesso dobbiamo cercare di capire cosa avviene dentro di noi
quando il nostro corpo viene sollecitato da uno stressor.
Partiamo dal presupposto che la reazione di stress rappresenta
una sollecitazione, ma non per questo è negativa, perché consente all’organismo di adattarsi allo stimolo e tornare all’equilibrio,
ossia ad uno stato di omeostasi. Quando questo avviene è detta
pertanto reazione di adattamento o eustress.
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In condizioni di stress acuto vengono attivati nel nostro organismo
il sistema nervoso vegetativo, il sistema endocrino e il sistema immunitario. In particolare, il sistema nervoso vegetativo fa sì che
si abbia una immediata risposta grazie alla liberazione di adrenalina e noradrenalina, che attivano l'organismo consentendogli
di fronteggiare il “pericolo”. Anche il sistema endocrino viene
prontamente stimolato, in particolare il già citato asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), per cui si ha l’attivazione a catena di
importanti ghiandole del nostro organismo. Infatti, l’ipotalamo
produce sostanze ormonali che a loro volta stimolano la corteccia del surrene e l’ipofisi, portando ad aumento di diversi ormoni, fra cui soprattutto cortisolo, ma anche adrenalina e noradrenalina, ossia le catecolamine, ormone della crescita, prolattina e,
più lentamente, di ormoni tiroidei. Viceversa gli ormoni sessuali
tendono a ridursi, mentre a livello metabolico, glicemia, colesterolo e trigliceridi aumentano. Per quanto riguarda il sistema immunologico, esso all'inizio riduce la sua attività, mentre in caso di
persistenza dello stress tende ad essere cronicamente stimolato,
per cui si va incontro alla cosiddetta “immunostimolazione reattiva”.
In sostanza si verifica un aumento del battito cardiaco, della
pressione arteriosa, l’attivazione muscolare, l’aumento delle performance intellettuale e il rallentamento di tutte quelle funzioni
(digestione, sessualità, difese immunitarie), che in quel momento
non servono a fronteggiare il pericolo. Per esempio se ci trovassimo improvvisamente dinanzi una belva feroce, certamente
non penseremmo ai compiti per domani, ma tutti i nostri sforzi
sarebbero volti a scappare!
Se lo stress persiste, ossia è cronico, nel nostro organismo si instaurano delle modificazioni ormonali stabili che possono portare ad
alterazioni patologiche sia fisiche che psicologiche: in tal caso si
parla di distress che conduce alla sindrome da esaurimento. Alcuni studiosi hanno proposto di rappresentare lo stress come un
peso attaccato ad una molla che può subire una deformazione. Se
il carico è eccessivo, quindi il peso supera la capacità elastica della
molla, la deformazione è irreversibile…
Quindi lo stress non è di per sé negativo, perchè può portarci a
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dare di più. E’ il suo eccesso o la sua persistenza che può condurre ad un esaurimento delle nostre risorse! Inoltre esso è soggettivo: una vita spericolata piena di guai esalta Vasco Rossi, ma
è ragione di frustrazione per il ragionier Fantozzi!
EUSTRESS
DISTRESS
Cause di stress
A questo punto è utile interrogarci su quanto e come lo stress
agisca su di noi. Ma per far questo dobbiamo capire quali sono le
situazioni che avvertiamo come soggettivamente “stressanti”.
Schematicamente potremmo dividere le cause in base all’ambiente in cui si esercita l’effetto degli stressor, ossia:
• AMBIENTE FAMILIARE
• AMBIENTE SCOLASTICO
• AMBIENTE RELAZIONALE
Per quanto riguarda il primo, tipiche cause di stress sono rappresentate da rapporti non sereni fra genitori (litigi, separazioni,
divorzi), allontanamenti forzati (lutti o genitori “assenti” perché
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dedicano molte ore al lavoro o addirittura trascorrono parte del
loro tempo lavorativo in altre città), per non parlare di violenze
fra le mura domestiche (situazioni per fortuna meno frequenti). In poche parole: trascuratezza, solitudine, ma talora bastano anche genitori “troppo” presenti o esigenti, e quindi a volte
agiscono un eccesso di responsabilizzazione o di controllo ed
aspettative. Ad esempio sarà capitato a qualcuno di voi di sentire
il peso di continue richieste da parte della mamma o del papà di
accompagnare i fratellini più piccoli, di metter a bollire l’acqua
per la pasta in attesa del loro arrivo a casa dal lavoro, ecc.
Nell’ambiente scolastico le condizioni di stress più comuni sono
tipicamente legate all’inizio di un nuovo anno, soprattutto nella
transizione da una scuola di un grado ad un altro (per esempio
inizio del liceo), agli esami di passaggio o al termine di un ciclo
(i fatidici esami di maturità…). Ma senza pensare sempre agli
esami, talora si vivono situazioni stressanti anche tutti i giorni, a
causa di ritmi frenetici, genitori o insegnanti esigenti ecc… Qualcuno di voi avrà avvertito il disagio nell’ambientarsi in una nuova
scuola, laddove cambiano i punti di riferimento (i professori, i
compagni), le finalità dello studio, le difficoltà, in un periodo in
cui probabilmente stava cercando di capire chi era e cosa voleva,
era alla ricerca di una identità personale. Non parliamo degli esami, poi: spesso costringono a tour de force finali e quindi a trascorrere numerose ore di studio, immobili alla scrivania, davanti
al computer, riducendo pertanto all’improvviso attività fisica e
vita sociale. Talora in questi casi l’alimentazione si fa squilibrata: alcuni di voi tendono a saltare i pasti, sperimentando fasi di
inappetenza, altri al contrario si fanno prendere da fame nervosa,
mangiano spesso snack ipercalorici fuori pasto o si abbuffano
nelle pause…Senza parlare di chi beve caffè e magari ne aumenta
le dosi per restare sveglio…E che dire poi dell’ansia da prestazione (“Che dirà mamma se prendo un cattivo voto?”, “Ho studiato,
ma che succede se poi non ricordo più nulla?”)?
Non ultimi, ci sono infine gli stressor a cui siamo sottoposti nel
nostro ambiente relazionale, ossia quando consideriamo noi nel
contesto, fra gli altri. Questo è un periodo “particolare”, nel quale molti di voi avvertono da una parte un forte desiderio di au48
tonomia, dall’altro la necessità di protezione; inoltre taluni provano insofferenza nei confronti degli schematismi e sentono il
bisogno di contestare l’autorità, di sovvertire le regole, ma talora
contemporaneamente hanno tanto bisogno di punti di riferimento. Spesso la percezione che ciascuno di noi si fa di se stesso è
legata all’autostima che ci siamo costruiti in base al giudizio degli
altri (genitori, amici, insegnanti), oltre che in base alle abilità individuali, più o meno evidenti, che possediamo. Sarà capitato a
qualcuno di voi di provare delusioni cocenti o forte sfiducia e tristezza in seguito ad un brutto voto o ad un giudizio espresso da
un amico, anche, a volte, solo in forma di battuta. A volte vi sentite costretti a seguire le regole del “branco”, perché il non farlo
vi metterebbe in cattiva luce, vi isolerebbe… E’ così che molti di
voi iniziano a fumare, si comportano come “bulli”, si scelgono
amici e divertimenti “eccessivi”. Inoltre tipica della vostra età è la
ricerca di modelli, con desiderio di emulazione di familiari, amici
o più frequentemente di personaggi belli ricchi e famosi dai quali
veniamo bersagliati in televisione.
Insomma, è difficile crescere!
Rischi dello stress psicofisico
Come abbiamo già accennato uno stimolo “stressante” può avere inizialmente un effetto positivo. Per esempio, un amico più
bravo di noi a scuola o un professore esigente possono spingerci
ad un maggiore impegno e ad un rendimento migliore. Purtroppo, con il protrarsi dello stimolo o se esso viene avvertito come
troppo intenso, si verifica la sindrome da distress, caratterizzata
da tutto un corteo sintomatologico spesso sottovalutato. Si tende
più frequentemente a porre l’accento su problemi fisici, talora
trascurando o addirittura ignorando i disagi psicologici o comunque gli effetti a lungo termine del distress.
Provate a pensare a quanti e quali fra questi disturbi avvertite o
avete avvertito:
• Dolore alla schiena e al collo (da tensioni muscolari, posture scorrette);
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• Cefalea tensiva, emicrania frequenti, spesso soprattutto
quando ci si rilassa, al termine dello stimolo (per esempio
il fine settimana);
• Acidità, pirosi (bruciore di stomaco) da gastrite o ulcera,
aggravati, in alcuni casi, dal consumo di alcool, caffè, tabacco…;
• Dolori addominali, intermittenti o sordi e continui, associati ad alterazioni della motilità intestinale, ossia stipsi
(stitichezza) e diarrea, legati alla sindrome del colon irritabile, che spesso hanno come concausa un’alimentazione
scorretta, povera di fibre ed irregolare e una scarsa attività
fisica;
• Pesantezza alle gambe, gonfiore dei piedi e delle caviglie, per
problemi venosi costituzionali accentuati dalla sedentarietà;
• Cali di pressione, soprattutto in condizioni di disidratazione, caldo;
• Insonnia, disturbi del sonno;
• Deficit attentivi (difficoltà di concentrazione) e della memoria, scarso rendimento, da “esaurimento delle energie”,
con cosiddetto underachievement (sottorendimento);
• Alterazioni del tono dell’umore, fino a depressione, crisi
di panico. A questo proposito, dobbiamo purtroppo aggiungere che molto spesso la diagnosi sfugge, in quanto i
sintomi sono atipici e i vostri genitori o insegnanti attribuiscono determinati comportamenti alla cosiddetta “fase di
crescita”. Talora atteggiamenti ostili, aggressivi, forte calo
di interesse per attività in precedenza ritenute coinvolgenti
nascondono la depressione, che sembra colpire maggiormente le ragazze. Secondo una ricerca americana, inoltre,
queste ultime tendono ad avvertire come particolarmente
negativi stressor legati alla vita di relazione, mentre i ragazzi all’affermazione sociale;
• Fame “nervosa”, inappetenza fino a veri e propri disturbi
alimentari, come anoressia e bulimia.
Come potete immaginare, non solo lo stress acuto agisce negativamente sulla nostra salute. Infatti, nelle condizioni di stress
cronico è stato dimostrato che si verifica un’aumentata incidenza
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di numerose malattie. Fra le tante, le patologie cardiovascolari: lo
stress, infatti, causa un aumento della frequenza cardiaca e una
costrizione delle arterie e quindi un aumento della pressione arteriosa e del volume di sangue pompato ogni minuto dal cuore.
Alla lunga tutto questo esercita effetti negativi sul muscolo cardiaco, causando in particolare ipertensione arteriosa, aritmie ed
infarto del miocardio. Per quanto riguarda gli altri apparati, lo
stress cronico è responsabile anche di un’aumentata secrezione
acida da parte dello stomaco, di alterazioni della motilità intestinale e quindi, dell’insorgenza di malattie gastroenteriche come
ulcera peptica, colon irritabile, malattie infiammatorie croniche,
ma anche di patologie dermatologiche (dermatiti), psichiche (depressione), disturbi sessuali (impotenza, calo del desiderio). Meno
chiari sono invece i rapporti con malattie come la schizofrenia, la
demenza o con la genesi di tumori e malattie autoimmuni.
Insomma, ce n’è abbastanza per tutti… perciò ragazzi, correte
ai ripari!
Come cercare di fronteggiare lo stress
Naturalmente non pretendiamo di offrirvi con la bacchetta magica la soluzione giusta, ma solo di darvi qualche suggerimento e
soprattutto lo spunto per riflettere e riconoscere il problema.
La prima cosa da fare è infatti cercare di individuare lo stressor,
di capire come stiate manifestando il vostro disagio e successivamente possono essere individuate delle eventuali soluzioni.
Qualcuna ve la proponiamo noi:
▪ Di fronte ad una situazione stressante “prevedibile”, cercate di prepararvi all’evento, “anticipando lo stress”: per
esempio, se sapete che l’esame sarà alla fine del mese, non
aspettate l’ultima settimana per cominciare a studiare!
▪ Provate ad affrontare il problema ridimensionandolo, se
possibile, anche se a volte, la situazione che vivete vi sembra soffocante, più grande di voi.
▪ Gestite il vostro tempo con serenità, pianificando le cose,
guardandole in prospettiva, stabilendo delle priorità.
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▪ Non scoraggiatevi! Errore e fallimento fanno parte del
processo di apprendimento: si può migliorare con l’esercizio e l’applicazione. Vi sarà capitato di disperarvi per un
amore finito, per un brutto voto, ma il ripensarci, dopo
tanto tempo, forse vi fa addirittura sorridere!
▪ Non riponete tutte le vostre aspettative su qualcuno o
qualcosa. Tenete sempre ben separato il mondo reale da
quello patinato della realtà virtuale della TV.
▪ Favorite il rapporto fra i vostri insegnanti e i genitori. Bisogna
ricordare che un atteggiamento ostile ed intrusivo da parte
della famiglia non giova a nessuno. Perciò basta con frasi del
tipo:”Il prof. di matematica ce l’ha con me!”. Bisogna collaborare per capire cosa non funziona nel vostro rapporto.
▪ Cercatevi degli hobby, delle distrazioni, delle “valvole di
sfogo”, per esempio la musica, lo sport.
▪ Durante il periodo di studio in vista di un esame, seguite
una dieta corretta ed equilibrata, senza saltare i pasti, privilegiando cibi leggeri e poco elaborati, svolgete un’attività
fisica leggera e regolare (piccole passeggiate con il cane,
stretching, ecc.), perché vi aiuta a scaricare la tensione e favorisce il sonno, concedetevi delle pause, per esempio per
far riposare la vista, soprattutto se passate molto tempo al
computer, e non studiate nelle ore notturne; non abolite
completamente la vita sociale: può essere stimolante studiare con un amico per allentare la tensione ed aumentare
il senso di sicurezza sulle nozioni che avete acquisito. Studiate in ambienti freschi, luminosi, silenziosi, cercando di
mantenere un po’ d’ordine… Non eccedete nel consumo
di caffè, che può rendervi nervosi ed irrequieti ed abolite
alcool e fumo, che provocano, fra gli altri, effetti negativi
sulla concentrazione e tachicardia.
▪ Non pensate che “falsi amici” come l’alcool, la droga o il
fumo rappresentino una soluzione.
▪ Affidatevi agli altri, non chiudetevi nei vostri problemi!
Anche se alle volte vi sembra di non essere compresi, parlarne sarà utile perché vi permetterà di sfogarvi, liberandovi di parte della tensione.
52
In conclusione è chiaro che lo stress non va sottovalutato. E’
importante che si intervenga perciò precocemente, prima che si
instaurino dei danni. Abbiamo cercato di darvi qualche suggerimento, ma purtroppo non esiste una regola valida per tutti. Pertanto se riuscite da soli a risolvere il vostro disagio (lo stressor si
interrompe, trovate la soluzione per neutralizzarlo), tanto di guadagnato, diversamente non negatene l’esistenza e chiedete l’aiuto
delle persone adulte in cui riponete più fiducia, in primo luogo
dei vostri genitori, ma eventualmente di altre figure come quelle
degli insegnanti o degli educatori. Buona fortuna!
BIBLIOGRAFIA
Axelrod J, Reisine TD. Stress Hormones: their interaction and regulation. Science 1984; 24: 452-453.
Sapolsky RM, Krey LC, McEwen BS. The neuroendocrinology of
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53
Scorpiniti M, Collaborazione scuola-famiglia: “alleanza educativa” o rischio di ingerenza? Aspettative reciproche e difficoltà. SRM Psicologia
Rivista. 2007.
ONLINE
What is stress
Bullismo nella scuola
Mind tools-how to master stress
Internet mental health
Psyreview
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DOPING & DROGHE:
LA PREVENZIONE POSSIBILE
Il ruolo dell’individuo, della famiglia, della scuola
Gaetano Deruvo
Individuo: le tentazioni del corpo
Il periodo storico e culturale che stiamo vivendo sembra sia quello in cui il corpo viene ostentato, celebrato, curato più che in tutti
i secoli precedenti.
Non che manchino esempi di culto per il corpo in tutta la storia
dell’umanità, a partire da quella antica: sculture come la Venere
di Milo, i Kouros greci, il Galata ferito sono diventati archetipi di
bellezza, grazia, perfezione.
Dopo l’età dell’oro per il fisico, la nostra cultura occidentale ha
attraversato secoli di oscurantismo medievale in cui l’attenzione per il corpo distraeva da quella per l’anima. Il corpo venne
coperto, mortificato e spesso torturato con ostinazione e furia
nevrotica.
Con il secolo appena trascorso il corpo è passato, nel giro di
poco tempo, dall’essere un semplice mezzo di sostegno per l’anima o per la mente, a una parte con una sua vita indipendente
e con le sue esigenze, ma, soprattutto, è diventato l’espressione
irrinunciabile della propria identità: con il corpo si comunica.
Non è un caso che problemi di immagine corporea sembrano
prendere avvio durante l’adolescenza, quando il corpo subisce
le più rapide modificazioni, alle quali non seguono alla stessa
velocità cambiamenti psicologici adeguati. Nello stesso periodo,
ragazzi e ragazze non riescono a trovare una facile soluzione alle
loro controversie, o risposte alle aspettative, richieste o ambizioni. Allora tornano sul corpo, lo esibiscono; lo curano con creme,
trattamenti, lozioni, lo modificano con tatuaggi, lo trapassano
con anelli, punte, spille, orecchini. Il punto fermo è sempre lì:
55
un continuo interesse sulla facciata, sulla componente sociale del
corpo che stimola identificazione e imitazione di attori, cantanti,
indossatrici, sportivi.
Insomma, la concentrazione sul corpo sembra essere diventata la
droga del momento; eppure, anche in quest’ottica, non si evitano
gli eccessi, quelli che fanno passare da un interesse per la vita ad
un gioco mortifero. L’eccesso di competitività degli sportivi e
l’uso di doping per stimolare il rendimento portano ad un consumo eccessivo e al deterioramento; per non dire del corpo come
sport del culturismo (body-building), in cui l’oggetto del competere
è il corpo stesso.
Ma può essere droga anche cercare una forma corporea impossibile con diete, restrizioni ed esercizi, e non essere mai soddisfatti
di quella che si ha. Non c’è più allegria o tranquillità ma soltanto
aggressività contro se stessi, contro le parti mentali, che viene
esercitata prendendosela con la parte più disponibile e accessibile: il corpo.
Doping & Droghe
Il fenomeno del doping, che non è nato ieri, si propone come
problema sociale oggi in quanto sconfina l’ambito che più gli
è stato consono, cioè quello dello sport agonistico, per dilagare
nella pratica non professionale o amatoriale, dove i controlli sono
più difficili, se non impossibili. In questi ultimi anni, infatti, il
fenomeno si è diffuso a largo spettro tanto da coinvolgere non
solo il settore dello sport giovanile ma anche il variegato mondo
delle palestre e dei centri fitness.
Il doping è ormai diventato un fenomeno sociale ben più complesso, che assume significati che vanno oltre la dimensione prestazionale, la performance fisica, per assumere in sé significati altri,
più vicini alla definizione della propria identità. Identità che passa
sempre più attraverso la rappresentazione corporea di sé.
Il corpo, quindi, come terreno comune di sperimentazioni e ricerca di identità che unifica, sia nella pratica che sul piano dei significati, l’utilizzo della manipolazione chimica. Da questo punto
56
di vista risulta evidente, infatti, come vi sia un’associazione fra
l’uso di sostanze dopanti, come gli anabolizzanti, e l’uso di sostanze come l’alcol o droghe quali la cocaina, l’ecstasy o la cannabis. Alcuni studi hanno evidenziato che, per amplificare gli effetti
di una sostanza dopante sulla capacità di prestazione, si ricorre
all’uso combinato con altre sostanze; ad esempio, gli anabolizzanti sono spesso assunti in combinazione con sostanze come
caffeina, antidolorifici, stimolanti e diuretici.
Il legame tra doping e sostanze psicoattive emerge anche dal fatto
che, chi fa uso di sostanze dopanti, rispetto a chi non ne fa uso,
risulta essere più frequentemente disponibile a fare uso di droghe. Quindi, sempre più oggi il fenomeno doping è da considerarsi
un fenomeno che rientra, a tutti gli effetti, nella più vasta problematica delle tossicodipendenze.
Alcuni studi mettono in luce che l’uso di anabolizzanti induce alterazioni della personalità, dell’umore e della salute mentale, come
psicosi, schizofrenia e disturbi della memoria, nonché alterazioni
del comportamento dovute ad un’aumentata aggressività.
Anabolizzanti: effetti psichici
Effetti psichici ricercati
Effetti psichici avversivi
Euforia
Irritabilità
Senso di benessere
Ansia – Disturbi dell’umore
Aumento della motivazione
Panico
Aumento dell’autostima
Disinibizione
Aumento del desiderio sessuale
Capacità di giudizio alterata
Aumento dell’aggressività
Comportamenti violenti
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Corticosteroidi: effetti psichici
Effetti psichici ricercati
Effetti psichici avversivi
Euforia
Depressione
Aumento della socialità
Sbalzi di umore
Aumento del senso di benessere
Insonnia
Beta-bloccanti: effetti psichici
Effetti psichici ricercati
Effetti psichici avversivi
Controllo dell’aggressività
Depressione
Diminuzione performance
intellettuali
Diminuzione della libido
Diminuzione dell’ansia
Disturbi del sonno
Efedrina: effetti psichici
Effetti psichici ricercati
Favorisce perdita di peso
(a breve termine)
Aumento dell’energia
Effetti psichici avversivi
Depressione
Agitazione
Ideazione suicidaria
Disturbi del sonno
Gli anabolizzanti, così come altre sostanze dopanti, inducono gli
effetti tipici delle sostanze stupefacenti quali ad esempio: la dipendenza e la tolleranza.
Dipendenza significa che chi fa ricorso a sostanze dopanti, analogamente a chi fa uso di droghe, dopo un uso continuato del
farmaco o della sostanza avrà difficoltà a farne a meno o a cessarne il consumo al momento in cui non ne avrà più bisogno per
incrementare la propria capacità di prestazione. Tolleranza significa, invece, che se l’uso di una data sostanza dopante è protratto e
continuativo, occorreranno quantità progressivamente crescenti
per ottenere lo stesso effetto.
58
ECSTASY: EFFETTI FARMACOLOGICI
Effetti ricercati
Sensazione di vicinanza emozionale verso gli altri (empatia), facilità di
comunicazione ed aumentata socialità
Aumento dell'energia fisica ed emozionale
Effetti a breve termine
Stanchezza e talvolta depressione al momento della sospensione
dell'utilizzo
A dosi maggiori, insonnia, ansietà e forti allucinazioni visive ed uditive
Nausea e vomito
Aumento della pressione e del ritmo cardiaco; morte per ictus
Effetti a lungo termine
L'utilizzo regolare e prolungato può causare gli stessi effetti a lungo
termine degli stimolanti sintetici, inclusi i danni al cervello dovuti alla sua
neurotossicità e danni al fegato
COCAINA: EFFETTI FARMACOLOGICI
Effetti immediati
Senso di euforia mentale e fisica
Aumento del senso di allerta
Riduzione del senso di fame e fatica
Effetti a breve termine
Perdita dell'appetito
Incremento della frequenza respiratoria, di quella cardiaca, della pressione
sanguigna e della temperatura corporea; sudorazione
Dilatazione delle pupille (midriasi)
Durante il permanere degli effetti, le facoltà intellettuali (ad esempio,
memoria a breve termine, ragionamento logico) e fisiche (ad esempio, la
guida od altri compiti complessi) risultano alterate
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Comportamento bizzarro, erratico, a volte violento
Dosi elevate comportano: allucinazioni, loquacità, senso di potere e di
superiorità, instancabilità, ipereccitabilità, irritabilità che può condurre al
panico ed a psicosi di tipo paranoide (che scompaiono se l'assunzione viene
interrotta)
Dosi molto alte di cocaina possono produrre convulsioni, infarto,
emorragia cerebrale e scompensi cardiaci
Effetti a lungo termine
Distruzione del tessuto del naso se sniffata
Problemi respiratori se fumata
Malattie infettive ed ascessi se iniettata
Malnutrizione, perdita di peso
Disorientamento, apatia, stato confusionale dovuto alla mancanza di
sonno
Sviluppo di tolleranza
Forte dipendenza psicologica (craving)
Con l'utilizzo continuo è possibile lo sviluppo di una psicosi paranoide
L'interruzione è generalmente seguita da un periodo più o meno lungo di
sonno e depressione; è possibile che in queste situazioni possano verificarsi
blocchi respiratori
EROINA: EFFETTI FARMACOLOGICI
Effetti immediati
Senso di benessere attraverso la riduzione della tensione, dell'ansietà e
della depressione; euforia in grandi dosi
Senso di calore, pace e distensione accompagnato da un distacco dagli
stress fisici e psichici
Effetti analgesici
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Effetti a breve termine
Nausea e vomito
Costrizione delle pupille
Sonnolenza, apatia, difficoltà a concentrarsi, diminuzione dell'attività
fisica e psichica
L'overdose (intossicazione acuta) può condurre a morte per arresto
respiratorio
Effetti a lungo termine
Rapido sviluppo di tolleranza fisica e psichica, dipendenza psicologica
(craving)
Costipazione
Irregolarità del ciclo mestruale
Malattie infettive, ascessi (se iniettata)
Danni alle strutture nasali, se sniffata
Problemi respiratori, se fumata
Decremento dell'appetito che può sfociare in malnutrizione e perdita di
peso
Sedazione cronica ed apatia che possono condurre alla perdita di attenzione
per la propria persona
L'improvvisa cessazione nell'assunzione può provocare una più o meno
grave sindrome di astinenza i cui effetti sono generalmente assimilabili
all'influenza (crampi, diarrea, naso gocciolante, tremori, panico, sudorazioni,
brividi, ecc..)
*L'eroina è fino a 10 volte più potente della morfina
61
CANNABIS: EFFETTI FARMACOLOGICI
Effetti immediati
Senso di benessere, euforia
Piacevole stato di rilassamento
Attivazione sensoriale; amplificazione delle percezioni e delle sensazioni
Effetti a breve termine
Incremento nell'appetito
Incremento nel battito cardiaco (tachicardia)
Arrossimento degli occhi
Durante il permanere degli effetti, le facoltà intellettuali (ad esempio,
memoria a breve termine, ragionamento logico) e fisiche (ad esempio, la
guida od altri compiti complessi) risultano alterate
In uno stadio successivo si raggiunge uno stadio di rilassamento
Dosi elevate comportano la distorsione o l'acutizzarsi di sensazioni e/o
percezioni
Dosi molto alte di cannabis possono provocare effetti comparabili
a quelli degli allucinogeni (confusione, agitazione, eccitazione ed
allucinazioni) che possono causare ansietà o sfociare in episodi psicotici
Effetti a lungo termine
Sviluppo di una tolleranza moderata
Possibile dipendenza psicologica (craving)
Perdita di motivazione ed interesse durante attività prolungate
Il fumo della canapa sembra contenere 50% più catrame rispetto al fumo
di sigaretta; con uso cronico il rischio di cancro polmonare, di bronchite
cronica ed altre affezioni polmonari aumenta notevolmente.
L’uso di sostanze d’abuso, sia per aumentare la propria performance sportiva che per alterare i propri stati emotivi interni, risponde
alla stessa logica: aggiungere qualcosa che trasformi “magicamente” la propria realtà facendola apparire diversa da quella che
è, nella speranza di renderla più accettabile e quindi maggior62
mente spendibile sul piano relazionale.
La storia di noti campioni sportivi che, cessata l’attività agonistica, ritornano a riempire le cronache per le loro disavventure tossicomaniche, evidenziano come il doping non sia solo una pratica
farmacologia volta a migliorare la performance sportiva, ma vada ad
incidere sensibilmente – come per le droghe – sull’immagine di
sé e sul proprio modo di percepire sé stessi.
Il fatto che “il doping ti cambia”, come recita lo slogan di una campagna informativa, va a puntualizzare come certe sostanze – al
pari delle droghe – vanno a toccare equilibri interni molto delicati, per cui il farne senza implica una crisi di identità di difficile
gestione.
Sport & Salute
L’attività sportiva, sia come attività di educazione fisica scolastica
che come impegno extra-scolastico, non è solo utile per un potenziamento fisico, ma assume in sé importanti significati formativi. L’attività sportiva è sempre stata considerata, nel tempo,
come fonte di salute sia mentale che fisica, come ci ricorda l’abusato detto latino: “mens sana, in corpore sano”, che propone l’idea
dello sport come un’occasione di promozione della salute, sia
della mente che del corpo.
Del resto, il concetto stesso di salute ha subito negli ultimi decenni una vera e propria evoluzione, passando da una condizione in
cui è assente la malattia ad una condizione più generale di benessere psicofisico, intendendo quest’ultimo come stato di efficienza
e soddisfazione nel rapporto con se stessi e con il proprio corpo.
Emerge la tendenza a considerare sempre più importante il “sentirsi bene” che non il solo “stare bene”, sottolineando così l’importanza della dimensione psicologica nella percezione del proprio
stato di salute che travalica la dimensione fisica per investire più
globalmente altre aree, fra cui non ultima quella relazionale.
Ci sono ormai molti studi che evidenziano come l’attività sportiva sia utile per aumentare la stima di sé, equilibrare l’umore, favorire la soddisfazione verso il proprio corpo e diminuire l’ansia
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e la depressione. In questo senso, fare sport fa bene alla salute,
sia fisica che mentale, e vale la pena ricordare come – in particolare nella fascia d’età 5-15 anni – l’attività sportiva, soprattutto di
gruppo, diventi importante occasione di sviluppo psicologico5,
in quanto:
1. favorisce nella competizione una maggiore capacità a tollerare gli insuccessi;
2. offre la possibilità di esprimere e imparare a controllare la
propria aggressività;
3. stimola l’acquisizione di sicurezza di sé, attraverso la partecipazione alla vita di gruppo;
4. favorisce una maggiore identificazione di sé, attraverso
l’acquisizione di ruoli determinati;
5. stimola il senso di partecipazione sociale, derivante dall’accettazione di legami comuni propri del “fare squadra”;
6. può favorire la compensazione di sentimenti di inferiorità attraverso l’identificazione con il gruppo e l’osservanza
delle regole del gioco;
7. incanala attraverso la gratificazione, socialmente approvata, certi bisogni di tipo narcisistico.
Scuola: quando l’informazione non basta
La scuola sta dimostrando una sempre maggiore sensibilità nei
confronti delle tematiche proprie della promozione della salute e
della prevenzione dei comportamenti a rischio. Forse, nell’ambito dell’educazione e promozione della salute non siamo ancora
giunti alla definizione di modelli e quindi di attività e procedure
riproponibili nel tempo da inserire stabilmente nel piano dell’offerta formativa di ogni singola scuola, ma sicuramente sono in
atto varie iniziative e molteplici sperimentazioni, che permettono
di tenere alta l’attenzione sulla salute in quanto bene indispensabile per ogni forma di sviluppo.
Osservando le varie progettualità, sembra che due siano gli ambiti in cui vanno a collocarsi le varie iniziative: l’ambito più propriamente informativo e l’ambito più definibile come formativo. Il primo
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ambito, quello informativo, è sicuramente quello in cui si collocano il maggior numero di esperienze. Rientrano in quest’ambito
molte delle iniziative di prevenzione e di educazione alla salute,
quali: educazione alla sessualità, informazione sulle malattie sessualmente trasmissibili, informazioni sui danni derivanti dall’uso
di droghe, informazioni sui rischi connessi alla pratica del doping,
informazioni su una corretta alimentazione, educazione alla sicurezza stradale e così via.
È opinione diffusa fra gli addetti ai lavori che l’informazione sui
rischi sia necessaria ma non sufficiente per produrre cambiamenti di comportamento, o per sviluppare atteggiamenti di protezione nei confronti di possibili comportamenti problematici. Tali
iniziative vanno sostenute e integrate con proposte che rientrano
nel secondo ambito di attività citato, cioè quello formativo. Qui
si collocano tutte quelle iniziative che vanno ad arricchire non
tanto il bagaglio di conoscenze dello studente, quanto la sua capacità di far fronte a difficoltà o la sua capacità di sviluppare o
esprimere le sue potenzialità, come ad esempio: laboratori sulle
emozioni, sulla affettività, sulla comunicazione, sull’autostima
etc. Se le iniziative di carattere informativo vanno ad incidere
sulla conoscenza dei rischi, quelle di carattere formativo vanno
a potenziare i fattori protettivi. L’idea di fondo che sta dietro a
questa impostazione è che se la scuola, come del resto la famiglia,
riesce a proporre esperienze che facilitano lo sviluppo sano della
personalità dell’individuo, questi sarà più adeguato e preparato a
fronteggiare le difficoltà della vita, più difficilmente rischierà di
percorrere strade pericolose e meglio saprà recepire le informazioni che, nel corso del suo sviluppo, gli saranno date sui rischi
derivanti da certi comportamenti.
Se immaginiamo un contesto educativo – sia scolastico che familiare – in grado di stimolare in un ragazzo l’acquisizione di
abilità cognitive quali il senso critico, la creatività, la capacità di
soffermarsi sulle varie situazioni, ponderandone tutti gli aspetti,
in modo tale da poter arrivare a prendere delle decisioni che lo
aiutino ad imparare a gestire lo stress e le proprie emozioni, o a
sapersi relazionare in modo adeguato, riusciamo ad immaginare
quello che si può ben definire uno sviluppo sano.
65
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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8. BANDURA A., Social learning theory, Englewood Cliffs, NJ,
Prentice Hall, 1997;
66
TABAGISMO:
DALLA PREVENZIONE ALLA DISASSUEFAZIONE
Antonio Spanevello, Luisa Maria Esposito,
Maria Pia Foschino Barbaro
“… Le solite considerazioni trite e ritrite sul fumo,… ancora una volta a demonizzare un “piccolo vizio”… certo non
salutare… ma per qualche sigaretta… e poi si può smettere
quando si vuole, basta volerlo…”
Se siete inclini a tali riflessioni, subito dopo aver letto il titolo di
questa breve trattazione sull’argomento “Fumo”, prima di girare pagina e cambiare argomento, provate a sottoporvi a questo
semplice Test:
1. Secondo recenti statistiche per il periodo 1950-2000, quanti decessi in Italia potranno essere attribuiti al “Fumo”?
a) Oltre 2.8000.000 decessi
b) Circa 700.000 decessi
c) Circa 300.000 decessi
2. Il fumo di tabacco è un aerosol micidiale di oltre 4000 sostanze nocive tra cui, oltre alla nicotina, il DDT, l’arsenico e
derivati del cianuro, la formaldeide, l’ammoniaca, l’acetone
ed il monossido di carbonio.
a) Vero
b) Falso
c) Non so
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3. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nell’ultima revisione della classificazione internazionale delle malattie (ICDX), ha definito il “Tabagismo”, ovvero l’abitudine al fumo di sigaretta, come:
a) Una tossicodipendenza
b) Un vizio
c) Un’abitudine
4. La dipendenza dal fumo di tabacco è definita dalla Medicina ufficiale come un “disturbo compulsivo del comportamento” e viene classificata e diagnosticata come vera e
propria dipendenza.
a) Vero
b) Falso
c) Non so
5. “La nicotina è la sostanza contenuta nel tabacco che porta alla dipendenza … l’uso del tabacco risponde ai criteri correntemente utilizzati per definire l’assuefazione”. Si tratta di una affermazione della Medicina
ufficiale che nel 1988 ha stabilito che la nicotina da dipendenza, al pari di altre droghe quali l’eroina e la cocaina.
a) Vero
b) Falso
c) Non so
6. La carenza di nicotina porta ad una vera e propria “sindrome di astinenza” caratterizzata da un’importante sintomatologia, che vede, tra l’altro, la presenza di senso di frustrazione, rabbia, depressione e deficit di concentrazione.
a) Vero
b) Falso
c) Non so
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7. Attualmente, la comunità scientifica è unanime nel considerare il fumo di tabacco la principale causa prevenibile
di morbosità e mortalità.
a) Vero
b) Falso
c) Non so
[Risposte Esatte:
1) – a); 2) – a); 3) – a); 4) – a); 5) – a); 6) – a); 7) – a)]
- Se al test avete totalizzato un maggior numero di risposte b) e
c), allora, forse è bene che spendiate qualche minuto nella
lettura delle pagine che seguono.
- Se, invece, avete totalizzato un maggior numero di risposte a),
val bene la pena di saperne di più sull’argomento.
Buona Lettura!!!
Introduzione
Vi siete mai chiesti: perché si fuma? Provate ad immaginare di
condurre un’indagine conoscitiva sul mondo dei fumatori, provate a chiedere ad un fumatore perché fuma: vi troverete di fronte ad un variegato ventaglio di risposte più o meno plausibili;
ma, oggi, sappiamo che la risposta giusta è una sola: il fumatore
abituale fuma per autosomministrarsi nicotina. La nicotina,
l’alcaloide più importante presente nelle foglie di tabacco, dove
si ritrova in quantità variabile a seconda del tipo di pianta, delle condizioni di coltura e dell’andamento stagionale, è un olio
incolore tossico dal sapore bruciante che a contatto con l’aria
imbrunisce. Si tratta di un potentissimo veleno, basti pensare che
una goccia è sufficente ad avvelenare un cavallo e se iniettata
accidentalmente per via endovenosa, è letale alla dose di 10 mg
69
nel bambino e di circa 60 mg nell’adulto, ma a piccolissime dosi,
come quelle inalate fumando una sigaretta – nella quale la quantità varia da 1 a 1.5 mg – ha diversi gradevoli effetti sul sistema
nervoso centrale. Effetti noti fin dall’antichità. Chiamata picictil
in Messico, sayri in Perù, yuri in Columbia e petum in Brasile, la
nicotina, (dal nome di Jean Nicot de Willemain, un ambasciatore
francese in Portogallo del XVI sec.), diversi secoli prima di giungere in Europa, era usata dagli indigeni del Nuovo Mondo, sia in
condizioni di malattia che di benessere fisico, per i suoi numerosi
effetti piacevoli, in particolar modo per aumentare la resistenza
alla fatica, al freddo, alla fame ed alla sete. Infatti, il tabacco, pianta erbacea a ciclo annuale o perenne, appartenente alla famiglia
delle Solanacee (come la patata, la melanzana, il peperone, ecc),
è originaria delle zone tropicali delle Americhe; sconosciuta in
Europa prima dei viaggi di Colombo, fu esportata, sul finire del
XVI sec., da marinai portoghesi in Giappone, Cina, Isole Filippine, diffondendosi poi in tutto il mondo. In Italia, ad es., il boom
del consumo di tabacco, o meglio di sigarette, si ebbe alla fine
della seconda guerra mondiale e l’arrivo degli americani, della
democrazia e delle sigarette fu per molti un tuttuno. Attualmente
vi sono, circa, 1 miliardo e 100 milioni di fumatori nel mondo
(un terzo della popolazione mondiale sopra i 15 anni); la maggior
parte di questi si trova nei paesi in via di sviluppo, di cui circa 300
milioni in Cina. Un terzo delle donne fuma nei paesi industrializzati ed un ottavo delle donne fuma nei paesi in via di sviluppo.
Il più alto tasso di fumatori maschi è in Corea del Sud (68%), il
più alto tasso di donne fumatrici è in Danimarca (37%). La prevalenza nel mondo di fumatori correnti subisce nel tempo delle
variazioni il cui andamento segue una curva che, partendo da
un minimo, raggiunge un apice e quindi declina; l’andamento è
modulato da fattori sociali, sociologici e di costume. Questo tipo
di andamento si può osservare, in tempi diversi, in popolazioni
geograficamente diverse o in sottogruppi diversi di popolazione
(ad es.: donne e uomini, appartenenti a diverse classi sociali, a diversi gruppi di età). Per la realtà italiana, dati dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) relativi al periodo ‘87-’94 mostrano
che la percentuale più alta di fumatori si ha nella fascia di età tra
70
i 29-35 anni con il 44% dei maschi ed il 37% delle femmine. Si
registra, dunque, una percentuale di fumatori più elevata fra gli
uomini rispetto alle donne, dato confermato, poi, in tutte le fasce
di età; anche se tale differenza è più accentuata fra i più giovani
(nella fascia 15-24 anni) e fra i più anziani (oltre i 64 anni). Inoltre, l’abitudine al fumo è leggermente più radicata nelle regioni
centro-meridionali d’Italia per quanto riguarda il sesso maschile,
nelle regioni settentrionali per il sesso femminile. Dall’analisi di
questi dati è interessante sottolineare che tale abitudine è maggiormente diffusa nelle classi meno istruite per quanto riguarda la
popolazione maschile, nelle classi più istruite per quanto riguarda
quella femminile: questa diversa distribuzione tra i sessi, relativamente all’età, distribuzione geografica e titolo di studio, riflette
la diversa situazione della donna, per la quale il fumo rimane, in
alcuni paesi, ancora un segno di emancipazione.
L’instaurarsi della dipendenza
Nel 1993, per la prima volta, l’Organizzazione Mondiale della
Sanità, nella decima revisione della classificazione internazionale
delle malattie (ICDX – International Classification Disease), include la dipendenza da tabacco nella lista dei disturbi legati alla
tossico-dipendenza, e la nicotina tra le sostanze stupefacenti capaci di determinare una dipendenza fisica e psicologico-comportamentale del tutto simile a quella determinata da altre sostanze
psicoattive.
Studi recenti hanno indicato un’influenza significativa – tra il
61% ed il 78% – della componente genetica rispetto a quella
ambientale sia per quanto riguarda l’iniziazione al fumo sia per
quanto riguarda il grado di dipendenza da nicotina. Considerando che il genotipo, ovvero l’insieme delle caratteristiche “in potenza”
custodite nel patrimonio genetico, si esprime “in forma” diversa
a seconda dell’interazione con l’ambiente, il fenotipo che si manifesta è, quindi, complesso, anche se si possono, tuttavia, identificare delle classi di “fenotipi del Tabagismo”, ognuna descrivibile
con delle misure oggettive correlate al grado di dipendenza dal
71
fumo di tabacco: il “fenotipo comportamentale” (quantità di nicotina, età di inizio, ora della 1° sigaretta mattutina, ecc.), il “fenotipo
biologico” (metabolismo basale, obesità, ecc.), il “fenotipo fisiologico”
(grado di astinenza, sensibilizzazione, ecc.) il “fenotipo psicologico”
(personalità compulsiva, deficit cognitivo, ecc.). Questi fenotipi
si possono manifestare in diverse associazioni tra di loro contribuendo, quindi, ad una variabilità individuale, complessa, ma
riconducibile a delle classi. La ricerca genetica suggerisce, perciò,
delle differenze individuali nell’instaurarsi del tabagismo, dovute
anche ad un diverso metabolismo della nicotina, con la comune
risultante, però, dell’azione a livello cerebrale.
Definita, dunque, provocatoriamente, da Giancarlo Arnao nel
1982 la “droga perfetta”, poiché disponibile sul mercato a
prezzi accessibili e socialmente accettata, soddisfa tutti i criteri
diagnostici che definiscono le droghe dipendentigene, in quanto determina un uso compulsivo, effetti psicoattivi, implica l’assunzione
-condizione che conduce al tabagismo- secondo rituali stereotipati, nonostante la consapevolezza di effetti dannosi, ed inoltre
determina dipendenza, (che è progressiva e regolata da meccanismi di tipo farmacologico e psico-comportamentali) ed una vera
e propria sindrome da astinenza una volta sospesa l’assunzione, (che
è caratterizzata da ansia, depressione, senso di frustrazione, nervosismo, ecc.). Dunque la nicotina è una sostanza psicoattiva in
grado di influire sulle funzioni mentali e sull’umore: ha, infatti,
un blando effetto antidepressivo e, grazie alla sua azione bifasica,
rilassante prima e stimolante poi, aiuta a rilassarsi ed aumenta la
concentrazione. Il suo effetto euforizzante, poi, determina una
piacevole sensazione, che agisce da rinforzo positivo, tanto da
automantenersi, attenuando lo stato di tensione emotiva.
L’abitudine al fumo è mantenuta, quindi, da due tipi di condizionamento: il condizionamento positivo, dovuto agli effetti gradevoli
del fumo, (almeno per quelli che li apprezzano) ed il condizionamento negativo dalla sindrome di astinenza.
72
Patologie Fumo-correlate
Definito dall’OMS “il principale fattore di rischio evitabile di morte
precoce, malattia, handicap” il Fumo di Tabacco, secondo le ultime
stime, è responsabile ogni anno nel mondo della morte di oltre
4 milioni di persone, di cui circa 650.000 nella sola Unione Europea e oltre 80.000 nel nostro paese, la maggior parte ascrivibile
al sesso maschile. Un trend in crescente aumento, tanto che, tra
il 2010 ed il 2030 sono attesi circa 10 milioni di decessi all’anno,
di cui 7 nei soli paesi industrializzati.
Il Fumo di Tabacco, quella nuvola azzurrognola che il fumatore
inala più o meno profondamente, è un aerosol, cioè una miscela
di sostanze, alcune delle quali allo stato solido altre allo stato
gassoso, composte da oltre 4000 sostanze, la maggior parte delle quali presenta un diametro medio inferiore al micron, caratteristica questa che permette loro, tra l’altro, di raggiungere le
porzioni più periferiche dell’Apparato Respiratorio e non solo,
in grado, cioè, di superare la barriera alveolare e diffondersi nel
sangue trasportando idrocarburi e sostanze ossidanti in tutti i distretti corporei.
Per questo l’esposizione cronica al fumo attivo è associata ad una
lunga serie di malattie fumo-correlate, stimate in circa 250. Sempre secondo l’OMS il Fumo di Tabacco è responsabile di circa il
20% delle morti nei Paesi sviluppati, oltre ad essere causa del 9095% dei tumori polmonari, l’80-85% delle Bronchiti Croniche ed
Enfisema polmonare ed il 20-25% delle malattie cardiovascolari.
Per semplificare e schematizzare i complessi problemi che riguardano gli effetti del fumo di tabacco sull’organismo umano
e le numerose patologie che ne derivano, direttamente ed indirettamente, è possibile suddividere le oltre 4.000 componenti del
fumo in quattro gruppi, cui, grossolanamente, ricondurre quattro principali aree patologiche:
1. La Nicotina: principale responsabile degli effetti sull’Apparato Cardio-Vascolare e degli effetti sul Sistema Nervoso Centrale. Questa, oltre ai già esposti effetti sul Sistema
Nervoso Centrale, ha una potente azione vasocostrittrice
73
a livello del circolo periferico: responsabile di un aumento
di frequenza dei battiti cardiaci, comporta un notevole aumento di lavoro per il cuore.
2. L’Ossido di Carbonio (CO): riduce la possibilità di trasporto dell’ossigeno da parte dell’Emoglobina contenuta
nei globuli rossi. Si tratta, infatti, di un gas che ha un assorbimento polmonare altamente competitivo ed un’affinità
di legame chimico con l’emoglobina di 250 volte superiore rispetto all’Ossigeno (O2). Ne deriva che i globuli rossi
che trasportano CO non sono disponibili a trasportare O2.
Pertanto, il fumatore ha nel sangue una elevata percentuale
di Carbossiemoglobina, quindi, sangue meno ossigenato
arriva a tutti i distretti del suo organismo (muscoli, cuore,
cervello, apparato sessuale, fegato, reni, ecc.). Da ciò le minori performance fisico-atletiche e sessuali ed i maggiori
rischi cardio-vascolari, oltre che alle patologie della gravidanza, compreso l’aborto spontaneo.
3. Le Sostanze Irritanti (quali ad es. fenoli cresoli, formaldeide, acetaldeide, ossido di azoto, ammoniaca, ecc.): principali responsabili dei danni a carico dell’Apparato Respiratorio. In particolar modo responsabili di patologie quali
la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), un
termine ombrello usato per comprendere numerose diagnosi respiratorie più specifiche che possono comparire
individualmente od in ogni associazione, quali la Bronchite
Cronica, l’Enfisema e la Bronchite asmatica, che spesso degenerano in Insufficienza Respiratoria. La BPCO definita dalle
Linee Guida Internazionali GOLD come un “quadro nosologico caratterizzato dalla progressiva limitazione del flusso aereo
non completamente reversibile. Tale riduzione del flusso è, di solito,
progressiva ed associata ad una risposta infiammatoria polmonare in
seguito all’inalazione di particelle o gas nocivi,” rappresenta, attualmente una delle principali cause di morbilità e di mortalità nel mondo. Va detto che, anche se il danno provocato
dalla BPCO non è reversibile, la cessazione dall’abitudine
tabagica è l’unica strategia in grado di influenzare la storia
naturale di questa grave patologia. Inoltre, è stata dimo74
strata una correlazione tra il fumo di sigaretta e l’incidenza
delle infezioni respiratorie e delle morti dovute a polmoniti
e forme influenzali virali.
4. Le Sostanze ad Azione Cancerogena (quali ad es. nichel, arsenico, idrocarburi policiclici aromatici, etil e dimetilnitrosamine, polonio, cadmio, benzene, ecc.). Il Fumo di
Tabacco è l’unico elemento conosciuto che contenga tra i
suoi costituenti sostanze a varia e diversa azione cancerogena: in altre parole il Fumo di Tabacco è l’unica sostanza
conosciuta che abbia un potere cancerogeno completo. Un
recente studio dell American Cancer Society su oltre 1 milione di soggetti, di entrambi i sessi, sopra i 35 anni, ha evidenziato un aumento della mortalità nei fumatori rispetto
ai non fumatori per neoplasie polmonari, delle vie aeree
superiori (labbra, lingua, faringe e laringe), della vescica,
del rene, del pancreas, dello stomaco e della cervice uterina, che sono state riconosciute causate dal fumo. In particolare, per il Cancro del polmone è stato riconosciuto un
rischio relativo di 22,4 nell’uomo e 11,9 nella donna, con
percentuale di rischio attribuibile dell’87% e 77% rispettivamente (ciò significa che più di 4 tumori del polmone su
5 non si verificherebbero se le persone non fumassero).
Il fumo inoltre grazie alla sua azione sinergica con altri fattori
di rischio, quali l’Ipertensione Arteriosa e l’Ipercolesterolemia,
si associa ad un incremento del rischio cardiovascolare per Cardiopatia Ischemica (Angina ed Infarto del miocardio), accidenti
vascolari cerebrali, Arteriopatie periferiche, (dalla Claudicatio Intermittens ai disturbi trofici, fino alla Gangrena), Aneurisma dell’Aorta. Inoltre, riduce il flusso ematico cerebrale ed incrementa
il rischio di patologie cerebro-vascolari.
Prevenzione
In materia di prevenzione il Piano Sanitario Nazionale 19982000 ha previsto specifiche azioni preventive per combattere
75
l’abitudine tabagica, comprendenti sia provvedimenti nazionali
che interventi regionali e locali, che vedono, in particolare, tra gli
altri: la “promozione del rispetto di divieto del fumo nei locali pubblici e negli
ambienti di lavoro”, la “realizzazione di campagne mirate a promuovere
l’interruzione del fumo fra le donne in gravidanza”, la “vigilanza sulla corretta applicazione dei limiti della pubblicità diretta ed indiretta” e, provvedimento prioritario, l’“attuazione di interventi di educazione sanitaria”, con particolare riferimento alla popolazione in età scolare.
A questo proposito, per capire quanto sia importante, nella lotta
al Tabagismo, sviluppare strategie di prevenzione, soprattutto rivolte ad un pubblico di giovanissimi, basti pensare all’aggressività
di alcune campagne pubblicitarie promosse dall’industria del tabacco, che sempre più spesso esercitano vere e proprie pressioni psicologiche, attraverso l’utilizzo, quasi sempre improprio, di
modelli comportamentali “vincenti” (es. successo sportivo o del
mondo dello spettacolo), nella conquista di un pubblico sempre
più giovane e disinformato. L’età adolescenziale è ritenuta, infatti, dall’industria del tabacco un momento particolarmente vulnerabile per i suoi interessi, come si evince da un memoriale interno
della Philip Morris, 1975: “Gli anni dell’adolescenza sono importanti
anche perché sono gli anni in cui la maggior parte dei fumatori inizia a fumare, gli anni in cui viene scelta la marca di sigarette, ed il periodo della vita
in cui più forte è il conformismo nei confronti dei coetanei”.
Nell’ambito, dunque, delle strategie di prevenzione e controllo
del Fumo di Tabacco tra i giovani, un ruolo di primo piano rivestono gli interventi educazionali rivolti agli studenti. Gli Stati
Uniti, negli ultimi trent’anni, si sono fatti promotori di alcuni
programmi di prevenzione al Tabagismo, che hanno fatto scuola
in tutto il mondo. Sostanzialmente tali programmi sono ispirati a
tre tipi di approccio: il “modello razionale”, il “modello educativo” ed
il “modello della resistenza alle influenze sociali”.
Nel primo è sottolineata l’importanza di fornire informazioni
circa i rischi per la salute e le conseguenze negative dell’uso del
tabacco. La premessa in questo tipo di approccio è che i giovani
sono solitamente disinformati, circa i rischi del fumo, pertanto,
educarli sulle conseguenze negative sulla salute, potrà dissuaderli
dal cominciare a fumare.
76
Il secondo approccio, invece, tenta di influenzare le convinzioni,
gli atteggiamenti, le intenzioni e le norme sociali legate all’uso
del tabacco, con l’obiettivo di rafforzare l’autostima, l’immagine
di se, valorizzare e sviluppare alcuni atteggiamenti e comportamenti, quali ad es. la capacità di prendere decisioni e raggiungere
gli obiettivi. In questo tipo di approccio è sottolineato, infatti, il
ruolo che le influenze esterne all’individuo hanno sull’iniziazione
al fumo, mentre riconosce alla disinformazione un ruolo decisamente secondario.
Il terzo ed ultimo approccio, infine, riconosce ed enfatizza il ruolo che l’ambiente sociale riveste nel determinare l’iniziazione al
fumo ed al successivo consumo di tabacco; in particolare, il ruolo
giocato da alcuni modelli, sia positivi che negativi, riflessi e proposti dal contesto ambientale, familiare e culturale. Si cerca, cioè,
di sviluppare la capacità di riconoscere e resistere alle influenze
negative, come ad es. le strategie pubblicitarie, sviluppando senso
critico e determinazione personale.
Dei tre modelli proposti, quest’ultimo è quello che si è rivelato il
più idoneo ed efficace nella lotta al Tabagismo. Ad ogni modo,
recenti orientamenti giudicano più vantaggiose le sinergie tra diverse strategie d’intervento. Appare, inoltre, essenziale, a supporto di tali strategie, la conoscenza di alcuni importanti meccanismi
di iniziazione legati alla suscettibilità individuale nell’intraprendere l’abitudine tabagica; meccanismi definiti veri e propri fattori di
rischio, che possono essere socio-demografici, ambientali, comportamentali e personali.
Disassuefazione
Sono state messe a punto, negli ultimi anni, diverse tecniche relative alla cessazione dell’abitudine tabagica, alcune con solide basi
scientifiche, come la terapia farmacologica e la terapia comportamentale o psicologica. Tuttavia, smettere o far smettere di fumare
resta una delle sfide più difficili da affrontare, sia per i pazienti che
per i medici che tentano di aiutarli in questo tortuoso percorso
di disassuefazione. Ad ogni modo, sia attraverso metodiche psi77
cologiche, quali appunto il supporto motivazionale, il potenziamento dell’autoefficacia personale, il miglioramento della gestione comportamentale o la stessa promozione ad uno stile di vita
più salutare, sia attraverso il trattamento farmacologico, basato
sulla terapia sostitutiva nicotinica, (con utilizzo di presidi quali
gomme da masticare, cerotti, inhaler o compresse sublinguali a
lento rilascio di basse dosi di nicotina), o sulla somministrazione
di antidepressivi (come buproprione, nortriptilina), resta ancora
alta la percentuale di insuccessi definiti come vere e proprie “ricadute”. A tal proposito, però, va detto che l’obiettivo comune di
queste metodiche è mirato ad una risoluzione permanente del
problema. In realtà la vera natura della dipendenza tabagica è
quella di essere una malattia cronica, caratterizzata, quindi, da periodi temporanei di astinenza. Un approccio più realistico verso
questa dipendenza è quello, appunto, di riconoscerne la natura
di cronicità, ed attendersi che il fumatore possa alternare periodi
di astinenza a momenti di ripresa dell’abitudine al fumo. Una
ripresa che, più che un insuccesso della terapia adottata, va vista
come un evento probabile, che riflette proprio la natura cronica
della dipendenza.
Considerazioni conclusive
Nonostante la crescente consapevolezza dei danni arrecati alla
salute dal Fumo di Tabacco, la sua diffusione resta ancora ampia
e coinvolge persone di ogni età e classe sociale. Resta, pertanto,
un obiettivo prioritario per gli operatori sanitari sia programmare
interventi di prevenzione che perseguire la disassuefazione dal
fumo. Obiettivo che a tutt’oggi rimane una sfida difficile a causa
sia dei forti interessi economici dall’industria del tabacco - difesi
prima attraverso strategie politiche, poi con strategie pubblicitarie e di marketing sempre più raffinate ed aggressive - sia della
facilità con cui ci si può procurare quella che, provocatoriamente,
è stata definita la “droga perfetta”, sia per la natura stessa della
dipendenza tabagica - la nicotina, infatti, induce craving (bisogno
incontrollabile) e urgenza di fumare per evitare la sindrome di
78
astinenza. A questo proposito nulla possono le numerose metodiche basate sull’approccio psicologico-comportamentale o farmacologco se alla base non vi è una ferma volontà a smettere
di fumare.
BIBLIOGRAFIA
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79
ATTIVITA’ FISICA E
PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE
Filippo Masi, Antonio Gaglione
Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di
morte in Italia, essendo responsabili, secondo i dati dell’Istituto
Superiore di Sanità, del 50% circa dei decessi nel sesso femminile
e di circa il 40% nel sesso maschile (fig. 1). In realtà l’elevata incidenza di malattie cardiovascolari costituisce un problema mondiale, essendo queste la prima causa di morte fra gli adulti in tutto
il mondo (circa 14 milioni di morti, ossia il 29% dei decessi totali); in particolare, va ricordata la malattia coronarica responsabile
nel 1996 di circa 7,2 milioni di morti nel mondo (fig. 2), pari a
circa il 50% dei decessi per malattie cardiovascolari e al 14% dei
decessi per qualsiasi causa (al 30% se si considerano solo i paesi
industrializzati).
Uomini
Altro
82.798
Donne
Malattie sistema
cardiocircolatorio
109.518
29,2%
Malattie sistema
cardiocircolatorio
132.968
Altro
76.475
27,8
38,7%
32,1%
Tumori
90.888
Fig. 2: Principali cause
di morte nel mondo fra
gli adulti. (dati del World
Health Report 1997).
48,4%
Fig. 1: Principali cause
di morte in Italia nei
due sessi (Conti S, et al.
Rapporti ISTISAN
01/20. 2001; 143).
23,8%
Tumori
65.371
Coronary disease
Cancer
Cerebrovascular disease
Acute lower respiratory tract infections
Tuberculosis
COPD (chronic obstructive pulmonary disease)
Diarrhea (including dysentery)
Malaria
AIDS
Hepatitis B
7.2 milion
6.3
4.6
3.9
3.0
2.9
2.5
2.1
1.5
1.2
81
Le proiezioni per i prossimi anni, inoltre, risultano quantomeno
allarmanti, essendo previsti 11.110.000 decessi per malattia coronarica nel 2020, con un incremento del 28% nei paesi in via di
sviluppo (fig. 3).
11.11
12.00
9.37
1996
Previsioni
(milioni di morti)
9.36
7.20
8.00
7.12
4.48
2.24
0.00
1996
2000
2010
2020
Fig. 3: Andamento previsto della mortalità per malattie cardiovascolari.
(dati del World Health Report 1997).
Questi dati rendono conto della necessità di sviluppare programmi di prevenzione di tali patologie, allo scopo di ridurre l’impatto
delle stesse sulla mortalità e sulla morbidità nella popolazione
mondiale.
Lo “stato di salute”
D’altro canto, lo stato di salute di un individuo o di un gruppo
di individui non è identificabile unicamente con l’assenza di malattia, ma viene definito come una “condizione di benessere psico-fisico
in assenza di patologia”; ne deriva che i temi della prevenzione non
dovrebbero limitarsi ad agire sulla riduzione del rischio di comparsa della malattia, ma dovrebbero prevedere iniziative capaci di
promuovere “il benessere psico-fisico” degli individui.
Si tratta, invero, di un problema piuttosto complesso, poiché il
passaggio dallo stato di salute allo stato di malattia è legato all’interazione più o meno articolata dei cosiddetti “determinanti dello
stato di salute”; questi ultimi possono essere grossolanamente
distinti in tre categorie molto vaste che comprendono “condizioni
genetiche”, “condizioni comportamentali” e “condizioni ambientali”, e che,
nell’insieme, vanno a costituire sia le cause o agenti eziologici del82
le malattie (condizioni per le quali è possibile stabilire una correlazione costante e diretta del tipo causa-effetto con una specifica
malattia), sia i fattori di rischio.
Rischio cardiovascolare e Bilancio energetico
I fattori di rischio, in generale, possono essere definiti come un
insieme eterogeneo di elementi (fumo, obesità, dislipidemia, familiarità, dieta, inattività fisica, ecc.) la cui presenza in un individuo o in un gruppo di individui aumenta il rischio di sviluppare determinate malattie. Sull’organismo umano essi esercitano
un effetto sinergico spesso determinante nel favorire lo sviluppo di
condizioni negative e quindi il passaggio dallo stato di benessere
a quello di malattia; è pertanto evidente che la loro correzione,
laddove possibile, può indurre una riduzione dell’incidenza delle
patologie ad essi correlate.
Convenzionalmente i fattori di rischio cardiovascolare [cioè quelli
associati ad una maggiore incidenza di malattie a carico del sistema
cardiovascolare] possono essere distinti in tre gruppi (fig. 4.):
•
•
•
modificabili
parzialmente modificabili
immodificabili.
FATTORI DI
RISCHIO
MODIFICABILI
FATTORI DI
RISCHIO
PARZIALMENTE
MODIFICABILI
FATTORI DI
RISCHIO NON
MODIFICABILI
Fumo di
sigarette
Ipertensione
arteriosa
Età
Abuso di alcool
Diabete Mellito
Sesso
Dieta ricca di
grassi saturi,
ipercalorica
Ipercolesterolemia
Basso
colesterolo HDL
Fattori genetici,
predisposizione
familiare
Inattività Fisica
Obesità
Storia personale
di malattie
cardiovascolari
Fig. 4: Principali
Fattori di rischio per
malattie cardiovascolari
83
I più importanti, dal punto di vista medico, sono ovviamente
quelli sui quali è possibile agire in modo preventivo, ossia quelli
modificabili e quelli parzialmente modificabili; fra questi un ruolo sempre più importante è attribuito alla “inattività fisica”, a sua
volta strettamente correlata con fattori come la “dieta ipercalorica e ricca di grassi saturi” e l’“obesità”.
L’elemento di correlazione fra tali fattori è il cosiddetto “bilancio
energetico”, ossia l’equilibrio fra l’introduzione di energia da un lato
ed il dispendio di energia dall’altro.
Questi due elementi giocano entrambi un ruolo fondamentale
nel controllo del peso corporeo e nel determinismo della condizione di benessere; tuttavia, è un dato di fatto che, nella battaglia
per il mantenimento dello stato di salute, si tende generalmente a
dedicare molta attenzione al primo aspetto (tipo e quantità di cibi
e bevande consumate), trascurando invece il ruolo del secondo.
INTRODUZIONE
DI ENERGIA
DISPENDIO DI ENERGIA
9 Esercizio fisico
9 Metabolismo basale
9 Termogenesi
Fig. 5: Il “Bilancio energetico”.
In realtà il dispendio energetico è un aspetto fondamentale da valutare in qualsiasi programma preventivo volto al mantenimento
dello stato di salute, poiché esso risulta essere dovuto in parte a
fattori poco controllabili (metabolismo basale e termogenesi) ed in parte invece a fattori altamente modificabili (attività fisica) (Fig. 5).
A differenza dei nostri antenati, normalmente non abbiamo bisogno di spendere molte energie per procurarci il cibo. Il progresso tecnologico, infatti, (telecomunicazioni, computers, in84
ternet, trasporto motorizzato, automazione ed apparecchiature
che permettono un risparmio di manodopera e riducono i livelli
di attività fisica, ecc.) ha determinato per la maggior parte delle
persone una riduzione delle occasioni di dispendio energetico: è
stato dimostrato che circa il 70% della popolazione dei paesi occidentalizzati non ha un livello di attività fisica sufficiente a mantenere uno stato di salute ed un peso ottimale e che, negli ultimi
dieci anni, il peso medio della popolazione dei paesi occidentali è
cresciuto di circa 1 gr/die!
Non solo Sinonimi
Dal punto di vista scientifico, sebbene abitualmente utilizzati
quasi come sinonimi per riferirsi ad una vita attiva, i termini di
“Attività fisica”, “Esercizio fisico” e “Sport” hanno significato
diverso.
L’attività fisica si riferisce a tutta l’energia che si brucia con il movimento e comprende principalmente le normali attività quotidiane (camminare, andare in bicicletta, salire le scale, fare i lavori
di casa e la spesa, ecc.).
L’esercizio fisico, invece, fa riferimento al tentativo programmato ed
intenzionale posto in atto allo scopo di migliorare la forma fisica e
la salute; può comprendere attività come camminare a ritmo sostenuto, andare in bicicletta, fare ginnastica aerobica ecc., oppure
hobby di natura attiva come il giardinaggio e, in parte, attività
sportive competitive.
Lo Sport, dal canto suo, è costituito da un insieme di attività fisiche
che si esercitano in situazioni competitive strutturate e sottoposte a regole.
La Forma Fisica, infine, è definita da un insieme di attributi correlati
alla capacità di svolgere attività fisica (per es. mobilità, forza, abilità
ecc.); essa dipende sia dalla quantità di movimento che si fa (allenamento), sia da fattori genetici (alcuni individui presentano una
forma fisica ed un’attitudine naturale ad eccellere in determinate
attività, cosa che si evidenzia maggiormente negli sport competitivi).
85
La “reazione dell’energia”
In ogni caso, dal punto di vista biochimico, la reazione fondamentale per la liberazione di energia nei sistemi biologici è quella
dell’Adenosin-Tri-Fosfato (ATP); nel lavoro muscolare ed in altre forme di lavoro biologico, si ha una continua scissione di ATP per
coprire le richieste energetiche e consentire il movimento (fig. 6).
A fronte di ciò, essendo l’ATP una molecola molto pesante, il
suo accumulo nei muscoli e nelle cellule in genere risulta essere
sostanzialmente impossibile (solo piccole quantità, circa 80 gr in
tutto l’organismo); ne deriva che le vie metaboliche devono continuamente provvedere a produrre nuovo ATP.
7,3 kcal
Fig. 6: La “reazione dell’energia”.
Le “vie dell’energia”
Sulla base dei substrati energetici e delle vie metaboliche coinvolte nella produzione di energia per l’esecuzione di una determinata attività fisica, si possono distinguere i seguenti tipi di lavoro:
• Anaerobico puro o alattacido: utilizza la sia pur limitata
quantità di ATP accumulato nelle cellule e pertanto consente lo sviluppo di forza massimale per 5-10 sec; in tal
caso la disponibilità di ATP è l’elemento limitante della durata
dell’esercizio.
• Anaerobico lattacido: consente l’esecuzione di un lavoro
massimale di durata maggiore, circa 10-90 sec, ma la potenza erogata è inferiore rispetto al precedente; la resintesi
86
di ATP è primariamente legata ad una via metabolica anaerobica che utilizza come substrato il glicogeno accumulato nei muscoli
[degradato a glucosio che a sua volta viene scisso in due
molecole di acido Piruvico con produzione di ATP; l’acido Piruvico, in assenza di ossigeno, non può essere ulteriormente degradato per la produzione di ATP a livello
dei mitocondri, per cui viene convertito in acido lattico, la
sua “forma ridotta”, che si accumula nei fluidi organici ( in
ambiente sia intracellulare che extracellulare) e nel sangue,
limita progressivamente le vie metaboliche cellulari e determina la sensazione di fatica, generalmente associata ad
iperventilazione].
• Lavoro Aerobico: consente attività fisiche massimali di durata superiore ai 90 sec, ma la potenza muscolare espressa
è minore rispetto ai casi precedenti; i substrati energetici utilizzabili sono sia glucidici che lipidici e proteici, ed essi vengono
degradati ed ossidati a livello mitocontriale (in presenza
di ossigeno) per la formazione di elevate quantità di ATP;
tale via metabolica fornisce ATP ad una velocità circa 2.5 volte
inferiore rispetto alla via precedentemente descritta (anaerobica lattacida), ma ha una durata teoricamente illimitata, essendo l’elemento limitante costituito dalla disponibilità dei substrati
da metabolizzare.
In pratica, esistono sostanzialmente due vie metaboliche deputate alla produzione di nuovo ATP: una via aerobica ed una via
anaerobica.
La “via aerobica”, sfruttando l’ossigeno, utilizza come substrati
energetici per il lavoro muscolare non solo i carboidrati, ma anche le proteine e soprattutto i grassi e consente in tal modo di
compiere sforzi fisici di lunga durata.
La “via anaerobica” invece, sia in forma di anaerobiosi alattacida
che in forma di anaerobiosi lattacida, utilizza come fonte energetica principale direttamente l’ATP già formato ed i carboidrati
accumulati nel muscolo; essa consente di compiere sforzi fisici
che richiedano l’erogazione di una maggiore potenza muscolare
ma per brevi periodi tempo e determina un rapido affaticamento
muscolare.
87
Effetti biologici del movimento
Gli effetti biologici prodotti dalle due forme di esercizio fisico
(aerobico ed anaerobico) sono sostanzialmente diversi (fig. 7).
In generale il lavoro aerobico rappresenta la migliore forma di
allenamento per il sistema cardio-respiratorio in quanto induce
riduzione delle resistenze periferiche, della pressione arteriosa
e della frequenza cardiaca a riposo, aumento dell’inotropismo
cardiaco, della gittata cardiaca, del letto capillare periferico (per
estensione della rete capillare stessa e per maggiore reclutamento di capillari), del volume ematico, della capacità di trasporto
ematico di O2 (per l’aumento di emoglobina e di globuli rossi),
della capacità vitale a livello respiratorio e degli scambi gassosi
alveolo-capillari.
Il lavoro anaerobico invece consente un maggiore rafforzamento
del sistema osteo-muscolo-tendineo in quanto induce aumento
del tono e delle masse muscolari, migliore trofismo delle strutture tendinee e cartilaginee, aumento della densità ossea, della
resistenza meccanica delle ossa e della stabilità articolare.
La maggior parte degli studi condotti sinora, tuttavia, ha dimostrato che solo l’esercizio fisico aerobico regolare si associa ad
una condizione di migliore qualità di vita e quindi di benessere
e salute, laddove l’esercizio fisico anaerobico è risultato essere
talora controproducente.
AEROBICO
•Riduzione di RP, PA e FC a riposo
•Aumento Inotropismo Cardiaco
•Aumento di Gittata Cardiaca
•Aumento letto capillare periferico
•Aumento capacità di trasporto ematico
di O2
•Migliore capacità respiratoria (CV)
•Aumento scambi gassosi alveolocapillari
Fig. 7: Effetti del
lavoro aerobico ed
anaerobico.
88
BENESSERE
•Aumento del tono e delle
masse muscolari
•Migliore trofismo di strutture
tendinee
•Aumento della densità ossea
•Aumento resistenza
meccanica delle ossa
•Migliore trofismo delle
cartilagini articolari
•Maggiore stabilità articolare
ANAEROBICO
La quantità di esercizio aerobico necessaria per ottenere i benefici iniziali è minima: è stato calcolato che l’azione sul sistema
cardiovascolare e la riduzione del rischio per malattie da trombosi sono sufficienti per un’attività che determini il consumo di
almeno 700 Kcalorie/settimana. Tale obiettivo è raggiungibile
attraverso un’ampia varietà di semplici attività quotidiane come il
giardinaggio, i lavori domestici, la passeggiata con il cane, ecc.
Tuttavia i benefici maggiori, soprattutto in termini di modifica
del profilo di rischio sanitario, si ottengono con l’“allenamento”,
ossia con un’attività regolare, ripetitiva e programmata che consente
all’organismo di divenire sempre più abile nell’estrarre ossigeno
dal sangue, sicchè tutti gli organi (cuore, polmoni, muscoli) possano lavorare di più e con minore sforzo.
Le caratteristiche fondamentali dell’allenamento sono la “specificità”, il “sovraccarico”, la “progressività” e la “personalizzazione”.
Il concetto di “specificità” sottolinea come l’allenamento sia in
grado di migliorare solo la funzione che viene allenata, normalmente
a scapito della funzione che, fisiologicamente, ha caratteristiche
opposte; per esempio, il miglioramento delle prestazioni aerobiche si verifica a scapito di quelle anaerobiche e viceversa.
Il concetto di “sovraccarico” invece indica come l’allenamento
diviene efficace solo se impegna i vari sistemi ad un livello superiore
rispetto a quello normale; ne deriva che, a seguito dei miglioramenti
ottenuti, è il sovraccarico a dover essere “progressivo”, ossia bisogna aumentare progressivamente il carico allenante per ottenere ulteriori miglioramenti.
La scelta del carico deve essere proporzionata alle condizioni organiche del soggetto e deve essere mirata ad un obiettivo realistico; in tal senso l’allenamento deve essere “personalizzato”, ossia
il carico allenante deve essere adeguato alle condizioni individuali ed agli
obiettivi che si vogliono raggiungere.
Il “Principio del sovraccarico individualizzato e progressivo” che deriva
da quanto sopra esposto, è di validità generale in quanto applicabile
all’atleta, alla persona normale, al portatore di handicap o al paziente in fase di riabilitazione.
89
Effetti clinici del movimento
I benefici dell’attività fisica aerobica regolare si possono riassumere nell’“aumento dell’aspettativa di vita” e nel “miglioramento della qualità della vita”; in realtà essi sono il risultato di effetti
prodotti dal lavoro aerobico in diverse condizioni:
•
•
•
•
•
•
•
•
malattie cardiovascolari
obesità
diabete mellito
profilo lipidico
salute mentale
ipertensione arteriosa
neoplasie
trofismo osteo-muscolare
Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, come già detto, queste sono responsabili di circa 29% dei decessi annuali nel
mondo (14 mln/50mln), di cui il 50% per coronaropatia. L’azione dell’attività fisica sulle malattie cardiovascolari è dovuta sia ai
suoi effetti diretti sul sistema cardiovascolare e respiratorio sia
agli effetti prodotti sui principali fattori di rischio cardiovascolare
(ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia). In prevenzione primaria l’attività fisica aerobica riduce del 50% il rischio di
sviluppare malattie cardiache e riduce la mortalità da cause cardiovascolari; in prevenzione secondaria migliora la ripresa fisica
dopo un evento cardiovascolare maggiore e riduce la mortalità e
la morbilità.
L’obesità è una patologia complessa derivante da molteplici interazioni fra fattori genetici ed ambientali. Contrariamente a quanto
comunemente si crede, essa è correlata non solo ad un alterato
equilibrio fra le calorie in entrata e quelle in uscita, ma anche ad errori nella composizione della dieta, in particolare, ad esempio, ad uno squilibrio a favore dei grassi che sono più palatabili, richiedono meno
masticazione ed inducono senso di sazietà meno rapidamente. Il
grado di obesità è definito sulla base del Body Mass Index (BMI).
Tale indice è espressione del rapporto fra il peso (Kg) e l’altezza
90
al quadrato (m2) del soggetto ed è capace di predire il rischio di
comorbilità (fig. 8).
CLASSIFICAZIONE
BMI
(KG/MQ)
RISCHIO DI
COMORBILITA’
Normopeso
18.5 – 24.9
Nella Media
Sovrappeso
25 – 25.9
Aumentato
Obesità di classe I
30 – 34.9
Moderato
Obesità di classe II
35 – 39.9
Elevato
Obesità di classe III
≥40
Molto Elevato
Fig. 8: Obesità, BMI e Rischio di Comorbilità.
Un indicatore altrettanto efficace ma di più semplice valutazione
è rappresentato dalla misurazione della “circonferenza vita” all’altezza dell’ombelico; tale valore è espressione del tessuto adiposo
viscerale che, a sua volta, è correlato ad aumentata incidenza di patologie
cardiovascolari, diabete mellito tipo 2, morte prematura, carcinoma mammario ed endometriale (fig. 9).
DONNE
< 80cm
RISCHIO
Nessuno
UOMINI
<94 cm
≥80≤88cm
Lieve Aumento
≥ 94≤101cm
>88cm
Notevole
Aumento
Aumennto
>101cm
Fig. 9: Circonferenza vita e rischio per patologia.
L’obeso pertanto è esposto al rischio di numerose altre patologie, a livello di vari organi ed apparati. In particolare l’obesità è
associata nel lungo periodo ad un rischio aumentato di morte improvvisa, ictus, insufficienza cardiaca e coronaropatie (fig. 10).
L’obesità (BMI >30) interessa circa il 20% delle popolazione europea, prevalentemente di sesso femminile, e rappresenta l’elemento
tipico della cosiddetta “Sindrome Metabolica”, derivante dall’asso91
ciazione di obesità, diabete mellito, insulino-resistenza ed ipertensione arteriosa, e legata ad elevato rischio aterosclerotico.
Coronaropatia
Insufficienza
Cardiaca
Ictus
Morte
Improvvisa
0
1
2
Aumento del Rischio
3
Fig. 10: Obesità e Rischio
Relativo per Morte Improvvisa,
Ictus, Insufficienza cardiaca e
Coronaropatia.
L’attività fisica regolare, a tale proposito, è in grado di esercitare
numerose azioni:
• preserva dall’aumento di peso tipico della mezza età;
• riduce l’adiposità addominale (maggiormente correlata ad un
aumentato rischio di malattie coronariche, diabete mellito,
morte prematura, carcinoma mammario ed endometriale);
• migliora la composizione corporea facilitando la perdita di
tessuto adiposo (cosiddetto “rapporto massa magra/massa grassa”).
Non vanno poi dimenticati gli effetti sul sistema cardio-respiratorio e su quello osteo-muscolo-tendineo, ed infine (ma non
meno importanti!!) gli effetti psicologici.
Ne deriva una generica sensazione di benessere psico-fisico e,
soprattutto, un netto miglioramento del Profilo di Rischio Sanitario. In
particolare, ad esempio, è stata segnalata nell’obeso che svolge attività fisica aerobica regolare una riduzione di malattie cardiache
e di diabete mellito fino a livelli simili ai non obesi, indipendentemente dalla perdita o meno di peso corporeo: l’essere obesi non è in sé una
condizione nociva per la salute , purchè ci si mantenga in forma!!
La malattia diabetica (DM) interessa circa il 20% della popolazione USA (17 milioni di persone) e circa il 35 % della popolazione mondiale. Nel 95% dei casi si tratto di DM tipo II (non
92
insulino-dipendente e correlato a fattori alimentari e all’attività
fisica), associato ad un netto aumento del rischio di malattie cardiovascolari (rischio aumentato di 2 volte negli uomini e di 3 volte nelle
donne). L’attività fisica, in prevenzione primaria, è in grado di
ridurre del 30-50% il rischio di sviluppare il diabete stesso e di
ritardare la comparsa di intolleranza glucidica; in prevenzione secondaria, ossia in pazienti già diabetici, è in grado di migliorare il
controllo della glicemia.
L’ipercolesterolemia è uno dei fattori di rischio cardiovascolare di maggiore rilievo: una riduzione del 10% del colesterolo totale si
associa ad una riduzione del 15% del rischio di malattie cardiovascolari in
genere e ad una riduzione del 20% del rischio di infarto miocardico acuto
(IMA). Nella relazione fra lipidi e rischio di malattie cardiovascolari, l’aspetto di maggiore interesse, al di là dei livelli di colesterolemia totale, è il rapporto fra HDL (“colesterolo buono”) ed
LDL (“colesterolo cattivo”): lo sbilanciamento di tale rapporto a
favore delle HDL si associa ad una netta riduzione del rischio di
coronaropatia. A tale proposito, l’attività fisica determina appunto, oltre alla riduzione del deposito lipidico e del colesterolo totale, una modifica favorevole del rapporto HDL/LDL, soprattutto
per incremento dei livelli di HDL.
Più del 10% della popolazione americana presenta sintomi depressivi, con un costo per la società di circa 45 miliardi di dollari/
anno per spese mediche, assenza dal lavoro ecc. Esistono ormai
numerose evidenze dell’azione prodotta dall’attività fisica a livello di salute mentale, azione che non riguarda solo percorsi di
natura “funzionale”, ma anche aspetti di tipo “organico”.
Relativamente agli effetti di natura funzionale, l’attività fisica, stimolando la produzione di endorfine e riducendo la produzione di cortisolo (noto
anche come “ormone dello stress”), è in grado di determinare:
• riduzione di depressione clinica (con effetti equivalenti a
quelli della psicoterapia!!);
• riduzione di circa 50% dei “livelli di ricorrenza” della depressione (ossia del rischio di ricadute);
• miglioramento del benessere mentale (in termini di umore,
emozioni, percezione di se stessi, autostima);
• migliore reazione allo stress;
93
• migliore qualità e maggiore durata del sonno;
• riduzione del livello di ansia;
• miglioramento della memoria a breve termine, delle capacità decisionali e di pianificazione.
Più recentemente è stato dimostrato come l’attività fisica induca
la produzione di fattori di crescita neuronali (Neurotrofine) capaci di favorire la rigenerazione delle fibre nervose e di interferire
sia con i processi di sviluppo e maturazione che con quelli di
invecchiamento e degenerazione della sostanza grigia. Nel 2004
Gogtay N. et al. hanno pubblicato uno studio morfo-funzionale
e dinamico (il più lungo finora eseguito) relativo allo sviluppo del
cervello umano in 13 ragazzi sani dai 4 ai 21 anni di età, esaminati ogni due anni e per un periodo di dieci anni con la RMN e
la PET. Ne è risultata una sequenza di immagini che sono state
sovrapposte come in un film (fig. 11).
5
Materia grigia
20
1.0
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0.0
Fig. 11: Obesità e Rischio Relativo per Morte Improvvisa, Ictus, Insufficienza cardiaca e Coronaropatia
La fig. 11 mostra le sequenze della proiezione laterale destra e della visione superiore del cervello umano dai 4 ai 21 anni ottenute
combinando tecniche di RMN e PET; la barra colorata indica la
rappresentazione cromatica in unità di volume di materia grigia:
in rosso le zone di corteccia più spesse, in blu quelle più sottili.
Appare evidente come la maturazione del cervello si associ ad
un progressivo assottigliamento della sostanza grigia (aumento
delle aree blu); si osserva inoltre che la corteccia di ordine supe94
riore (lobi frontali) matura tardivamente, dopo lo sviluppo delle
aree somato-sensoriali e della corteccia visiva, integrandone le
funzioni. La densità di materia grigia, pertanto, aumenta in età
prepuberale con un aumento delle ramificazioni sinaptiche, mentre si riduce notevolmente nell’età post-puberale a seguito della
perdita per “apoptosi” (morte programmata) di tutto il materiale
neuronale non utilizzato nell’età evolutiva. In definitiva, persistono solo quei circuiti neuronali più frequentemente utilizzati, ossia
quelli che sono stati allenati a funzionare.
Questi dati sembrano suggerire un possibile ruolo dell’attività
fisica nel favorire lo sviluppo di un numero maggiore di connessioni neuronali e quindi una maggiore “intelligenza” o “abilità
intellettiva”. I risultati migliori si otterrebbero praticando attività
fisiche differenti, perché in tal modo si sviluppano aree cerebrali
diverse (sport di coordinazione oculomotoria come tennis, pingpong e freccette; sport che stimolano le capacità propiocettive
come corsa lunga e nuoto; sport che sviluppano capacità legate
all’equilibrio come bicicletta e sci, ecc.).
Risultati interessanti, a tale proposito, sono stati riportati anche
da Molteni et al. che hanno studiato due gruppi di topi, uno “sedentario” (tenuto in gabbia con scarsa possibilità di movimento), l’altro “sportivo” (tenuto in gabbie più ampie con una ruota
utilizzabile a piacimento). E’ stato dimostrato che l’attività fisica
favorisce non solo la rigenerazione di fibre nervose a livello del
midollo spinale e dei muscoli scheletrici (cosa peraltro già nota)
mediante la produzione di proteine dette “Neurotrofine”, ma anche la formazione di un maggior numero di connessioni a livello di encefalo.
Un aspetto interessante evidenziato in questo studio, inoltre, è
che la produzione di neurotrofine avviene durante la stimolazione dei neuroni sensitivi (quelli che comunicano informazioni al
cervello riguardo ai movimenti del corpo nello spazio) e non di
quelli motori, rivelando in tal modo un ruolo fondamentale dell’“ascolto” del corpo durante l’esercizio fisico. Infine, si ritiene che
le neurotrofine possano agire sul cervello interferendo anche con
i processi di invecchiamento e di degenerazione legati all’età.
L’attività fisica è in grado di ridurre il rischio di sviluppare alcune
forme di neoplasie, probabilmente per potenziamento del siste95
ma immunitario. In particolare riduce del 40% il rischio di carcinoma del colon-retto e del 30% il rischio di carcinoma mammario (soprattutto nelle donne in menopausa); effetti positivi sono
descritti anche sul rischio di carcinoma prostatico, endometriale
e polmonare.
Per quanto concerne il sistema osteo-artro-muscolare, l’attività fisica determina aumento del trofismo muscolo-tendineo, aumento della densità ossea negli adolescenti e mantenimento della
densità ossea acquisita nell’età adulta, contribuendo alla prevenzione
dell’osteoporosi e dei dolori dorso-lombari. Induce inoltre riduzione
del dolore, della rigidità e della disabilità nelle osteo-artriti.
Un nuovo farmaco: l’attività fisica!
Dal punto di vista economico l’importanza dell’attività fisica
deve essere valutata in relazione alla sua capacità di ridurre la
morbilità da varie patologie. Per esempio negli U.S.A. si stima
che circa il 18% delle malattie cardiovascolari e circa il 22% delle neoplasie del colon possano essere correlate direttamente ad
inattività fisica, con una spesa complessiva di circa 26 miliardi
di dollari/anno per tali patologie (1995). Ancora, in U.K. il 20%
della popolazione è obesa (la più alta incidenza in Europa), con
un costo annuo di circa 500 milioni di sterline per 18 milioni di
giorni di assenza dal lavoro per malattia/anno. In Italia, i dati
dell’Istituto Auxologico del 2002 riportano un costo per l’obesità
pari a circa 22,8 miliardi di euro dovuto a perdita di produttività
(assenza dal lavoro per malattie) e alla cura delle complicanze
cliniche connesse con l’obesità.
Appare evidente da questi dati come le patologie correlate all’inattività fisica costituiscano una voce di particolare rilievo nell’economia di diversi paesi in termini di spesa sanitaria e di ridotta produttività. In questo senso, l’attività fisica può essere inquadrata come un farmaco efficace e a basso costo. Come per ogni
farmaco, pertanto, avendo già trattato a lungo dei benefici e delle
indicazioni dello stesso, dobbiamo considerarne ora le modalità
d’uso, i rischi, le controindicazioni e le avvertenze speciali.
96
Dose, modo e tempi di somministrazione
Abbiamo già sottolineato come l’attività fisica da preferire sia
quella aerobica (sport di resistenza o di durata: ciclismo, nuoto, corsa di media e lunga distanza, ginnastica aerobica, ecc). In
tale tipo di attività gli elementi che condizionano l’efficacia dell’allenamento per raggiungere un ottimale benessere psico-fisico
sono:
• la frequenza con cui viene svolta l’attività;
• la continuità dell’esercizio fisico con interessamento di grossi gruppi muscolari;
• l’intensità dell’esercizio fisico stesso, valutabile sulla base
della FC;
• la durata dell’esercizio
• il tipo di esercizio.
Tali elementi sono tutti importanti e correlati fra loro; secondo
le raccomandazioni dell’American College of Sports Medicine
(ACSM), l’esercizio fisico dovrebbe articolarsi come segue:
► Frequenza: si consigliano da un minimo di 3 ad un massimo di
5 sedute settimanali in modo da ottenere sia un’ottimale sollecitazione ed adattamento dell’organismo, sia un minimo
di recupero fisiologico per non sovraccaricare le strutture
muscolo-scheletriche;
► Continuità: l’esercizio aerobico deve coinvolgere i grandi gruppi
muscolari del nostro corpo (arti inferiori, dorsali, pettorali,
arti superiori, ecc) in modo ritmico e continuo, sì da permettere al cuore di fornire un’adeguata distribuzione del flusso ematico in tutti i gruppi muscolari, consentendo quindi
l’esecuzione dell’esercizio senza eccessivo affaticamento
(accumulo di acido lattico);
► Intensità: è definita dalla percentuale di lavoro cardiaco
utile per mantenere il consumo energetico in un regime di
aerobiosi; a tale scopo la frequenza cardiaca durante l’esercizio deve essere compresa fra il 60% e l’80% della FC
teorica max per l’età calcolata secondo la “formula di Blackburn” (FC max: 220 – età); il monitoraggio di tale intensità
può essere fatto manualmente (monitoraggio periodico del
97
polso durante l’esercizio) o con l’ausilio di un cardio-frequenzimetro. Un indice utile a tale scopo è anche il c.d.
“test del colloquio”, che consiste nel valutare la possibilità di
parlare durante l’esercizio;
► Durata: ogni attività deve partire da un minimo di 20 min.
ad un max di 60 min.; la durata ottimale è circa 45 min. La necessità dei 20 min. di durata minima dipende dal tempo in
cui il regime aerobico raggiunge la sua piena funzionalità;
infatti nelle fasi iniziali i sistemi energetici che mettono in
moto l’organismo sono di tipo anaerobico, poiché la via
del metabolismo degli acidi grassi si attiva più lentamente
raggiungendo la piena efficacia dopo appunto 20 minuti
circa. La durata dell’esercizio è strettamente correlata all’ intensità
con cui viene eseguito secondo una relazione inversa: quanto maggiore è l’intensità utilizzata tanto più breve è la durata dell’esercizio e viceversa. Ne deriva che, se ad esempio si deve
lavorare per un periodo superiore ai 45 minuti, l’intensità
di FC consigliata per mantenere un regime aerobio sarà
del 60-65%, laddove se invece si programma un lavoro di
durata fra i 20 ed i 45 min. la FC potrà essere aumentata
anche fino al 75-85%.
► Tipo di esercizio: deve essere scelto sulla base del profilo individuale, tenendo presente le motivazioni, gli obiettivi e
lo stato di salute di ogni singolo individuo (ad esempio, è
assurdo praticare la corsa, anche a scopo di migliorare il
profilo di rischio sanitario, se si odia correre!).
In altre parole, per ottenere i massimi risultati in termini di beneficio psico-fisico, l’attività fisica dovrebbe essere effettuata per
tutta la vita con regolarità da 3 a 5 volte la settimana, dovrebbe
comportare un impegno superiore alla norma con un dispendio
energetico compreso fra 700 e 2000 kcal/settimana, impegnare
la maggior parte dei muscoli del corpo e comprendere attività
fisiche diverse e comunque adatte al singolo individuo.
Sfortunatamente tale livello di esercizio fisico, consigliato dall’ACSM, risulta essere troppo difficile da raggiungere per la maggior parte delle persone, le quali rischiano pertanto di rimanere
del tutto inattive.
98
Già dal 1995 le linee guida per la buona attività fisica, oltre a sottolineare l’importanza di svolgere attività fisiche diverse, proponevano, accanto all’esercizio fisico atto ad ottimizzare i benefici della
salute, anche indicazioni su attività di minore intensità che, se praticate
con regolarità, apportavano comunque dei benefici. Infatti, a seconda del
tipo e dell’intensità, l’esercizio fisico migliora aspetti diversi dello
stato di salute: per esempio una tranquilla passeggiata all’ora di
pranzo, pur non essendo di intensità adeguata a migliorare l’attività del sistema cardio-circolatorio, può rappresentare un salutare
stacco dal lavoro, migliorare l’umore, ridurre lo stress e contribuire comunque al controllo del peso corporeo.
In effetti, raccomandazioni più recenti introdotte sia negli U.S.A.
che in U.K., suggeriscono periodi regolari di attività fisica aerobica con
un moderato livello di intensità (50-60% di fc max teorica). Per esempio, camminare a passo svelto per 20-30 minuti tutti i giorni o
quasi determina una differenza di 5 Kg/anno sul peso corporeo
e nella maggior parte dei casi è in grado di migliorare la forma
cardiovascolare e il benessere mentale; la stessa quantità di movimento suddivisa in due o tre periodi più brevi può essere quasi
altrettanto efficace e più facile da eseguire (perché più facilmente
inseribile nelle attività quotidiane: basta andare in ufficio a piedi!).
Anche la semplice riduzione delle attività sedentarie (TV, pennichella) può portare beneficio: lo stare in piedi un’ora al giorno
consente di bruciare l’equivalente di 1-2 Kg di grassi all’anno!
Anche l’attività sessuale regolare è risultata efficace nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari. In occasione
del 4° Congresso Mondiale sullo Stroke (Melbourne, 2005), un
gruppo di cardiologi britannici della Bristol University ha presentato i risultati di uno studio epidemiologico condotto su una
popolazione di 2400 uomini sani (città di Caerphilly in Galles),
seguita per 10 anni, studio che ne ha valutato le abitudini sessuali
(1-2-3 prestazioni/settimana) e le ha correlate con il rischio di
malattie cardiovascolari, in termini di sindromi coronariche acute e manifestazioni ischemiche cerebrali. I risultati indicano che
coloro che avevano praticato un numero di prestazioni sessuali >
3/settimana presentavano un rischio ridotto del 50% di incorrere
in crisi cardiache o cerebrali (fig. 12).
99
Fig. 12: Attività sessuale e rischio di malattie cardiovascolari.
Il punto importante da sottolineare è che le evidenze raccolte
sinora indicano l’esistenza di una correlazione fra salute e pratica
regolare di attività fisica, indipendentemente da qualsiasi componente
o dote fisica ereditaria. Ne consegue che chiunque, sia esso naturalmente dotato o meno dal punto di vista atletico, può trarre
benefici da una maggiore attività fisica.
Rischi e Controindicazioni
Non esistono, come è noto, farmaci efficaci che non siano gravati anche da un certo numero di “effetti indesiderati”, ed a
tale regola non sfugge neppure l’attività fisica. I rischi correlati
all’attività fisica tuttavia sono minimi, sostanzialmente costituiti
da lesioni da usura per microtraumi ripetuti o da lesioni osteo-muscolotendinee da traumi maggiori.
Accanto a questi va comunque ricordato il rischio di morte cardiaca
improvvisa associata allo sforzo fisico strenuo (cosa nota dai tempi
in cui Filippide giunse stremato ad Atene da Maratona nel 490
a.C. per dare l’annuncio della vittoria sui Persiani); tale rischio
sarebbe aumentato secondo alcune statistiche di 5 volte nei soggetti allenati e di 56 volte in quelli non allenati, rispetto al rischio
corso a riposo. In realtà la morte cardiaca improvvisa, evento in
se stesso drammatico ma assai raro nella popolazione, quando
si verifichi in occasione di sforzo fisico è associata praticamente
100
sempre a patologie cardiache non diagnosticate: cardiomiopatie a
carattere ereditario, miocarditi occulte, anomalie congenite delle
coronarie, anomalie della parete dell’aorta, anomalie del sistema
elettrico del cuore.
Un cenno infine merita la c.d. “Sindrome da dipendenza da sport”,
evento assai raro, in cui l’attività fisica diventa una sorta di “droga” per il soggetto che pertanto sottrae tempo ad altri aspetti della
vita sociale (lavoro, famiglia ecc) pur di praticarla; generalmente
tale condizione si associa ad altri problemi psichici quali l’anoressia nervosa, le nevrosi ed i disturbi ossessivo-compulsivi.
Tutti i rischi correlati all’attività fisica, comunque, possono essere
prevenuti con controlli medici adeguati e periodici e con sedute
di allenamento correttamente eseguite, mentre sono accentuati
dall’improvvisazione, dall’imprudenza, dalla mancata osservazione delle fasi di riscaldamento e raffreddamento e dall’inadeguatezza dell’attrezzatura.
Le controindicazioni sono anch’esse poche e per gran parte,
se si escludono le evidenti menomazioni psico-fisiche, di natura cardiovascolare (cardiopatie congenite cianogene, aneurisma
aortico, valvulopatie severe, scompenso cardiaco in fase acuta,
IMA, angina instabile, angina da sforzo a bassa soglia, ipertensione arteriosa severa non controllata dalla terapia).
Avvertenze speciali
In ogni caso, nel predisporsi ad iniziare o a potenziare una determinata attività fisica è bene prestare attenzione ad alcuni accorgimenti di particolare utilità di seguito segnalati:
• Iniziare gradualmente: uno degli errori più frequenti tra
coloro che decidono di intraprendere un’attività fisica, è
quello di “farsi prendere dall’entusiasmo”, cosa pericolosa
perché espone al rischio di infortuni osteo-muscolo-tendinei e ad un immediato sconforto; si può iniziare ad esempio parcheggiando l’auto lontano dall’ufficio e camminando per una decina di minuti oppure rinunciando all’ascensore e facendo le scale a piedi. In ogni caso, soprattutto se
si inizia un’attività fisica regolare dopo un lungo periodo
101
•
•
•
•
•
102
di inattività, è assolutamente utile sottoporsi ad una accurata visita medica (evitando gli atti di presunzione del tipo:
“sono stato sempre bene, non ho bisogno del medico”).
Ovviamente, secondo il principio del sovraccarico progressivo
personalizzato, il carico di lavoro sarà gradualmente aumentato nelle sedute successive, valutandolo in base ai miglioramenti ottenuti nella forma fisica.
Scegliere attività divertenti: l’esercizio si pratica più volentieri se piace e diverte.
Svolgere attività rigorosamente aerobica: corsa, nuoto, bicicletta, sci di fondo ecc., monitorando periodicamente la
FC per essere sicuri di essere nel range di intensità aerobico ed evitare rischi inutili; può essere utile a tale scopo
anche il c.d. test del colloquio.
Rispettare sempre i periodi di riscaldamento e di raffreddamento: queste due fasi, della durata di circa 10 min. ciascuna, sono fondamentali per evitare danni. La fase del riscaldamento serve a preparare il sistema cardiocircolatorio,
quello respiratorio, ed il sistema osteo-muscolo-tendineo in
modo graduale allo sforzo più intenso che rappresenta la
parte fondamentale dell’esercizio vero e proprio, riducendo
i rischi di un rapido affaticamento e di lesioni muscolo-tendinee (per esempio un buon riscaldamento può essere percorrere un chilometro a piedi o in bicicletta, seguiti da esercizi di stretching non forzati). La fase del raffreddamento,
allo stesso modo, evita il brusco rallentamento dell’attività
cardiocircolatoria con ristagno di sangue alle estremità.
Seguire una tabella di marcia: l’esistenza di un programma
da eseguire facilita l’applicazione regolare all’esercizio fisico; lo stesso dicasi per il sostegno di familiari e/o amici,
meglio se coinvolti anch’essi nell’esecuzione dell’esercizio.
Valutare luogo e clima ed usare gli strumenti adeguati: l’attività fisica deve essere praticata nelle migliori condizioni di
comfort (scarpe ed indumenti adatti) ed adeguata al luogo
ed al clima. Per esempio, in condizioni di alte temperature
queste possono favorire episodi lipotimici da ipotensione
o reazione vagale, o ancora indurre una importante disi-
dratazione con perdita di acqua e sali (fermarsi ai primi
segni di nausea o notevole difficoltà respiratoria; usare indumenti leggeri che lascino traspirare il corpo); ancora, è
bene sapere che l’aria rarefatta delle altitudini elevate rende
più difficile estrarre l’ossigeno senza un allenamento iniziale di alcuni giorni.
• Seguire un’alimentazione adeguata: l’alimentazione deve
essere adeguata al consumo energetico legato all’attività fisica sia in termini di quantità che, soprattutto, in termini di
qualità (reintegro di acqua e sali, zuccheri, vitamine, ecc.).
Conclusioni
In definitiva, l’aspetto fondamentale da ricordare è che l’attività
fisica aerobica regolare da una lato “aggiunge anni alla vita”, perché aumenta l’aspettativa di vita, dall’altro “aggiunge vita agli anni”,
perché migliora la qualità della vita stessa; chi svolge attività fisica
regolare, pertanto, può a ragione guardare al futuro con ottimismo (“lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte!”).
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Sports Research Digest
12. Gogtay N. et al., PNAS U.S.A. apr. 2004;101:8174-9.
13. Molteni R. et al., PNAS U.S.A. mag. 2004; 101: 8473-8.
103
IGIENE
Giuseppe Farinola, Domenico Scrutinio
L’igiene è quella branca della medicina che studia le interazioni tra
l'ambiente e la salute umana, si occupa di prevenzione primaria
al fine di evitare e combattere malattie e promuove il benessere.
Alcune misure igieniche importanti riguardano il rifornimento di
acqua potabile, lo smaltimento dei rifiuti, il commercio di alimentari, etc. In ambito medico l’igiene consiste nella difesa da possibili germi patogeni, attuabile con misure di disinfezione, sterilizzazione e smaltimento di rifiuti speciali per evitare infezioni. Non
meno importante la promozione della salute condotta attraverso
l'educazione sanitaria, per favorire comportamenti e stili di vita
atti a migliorare sia la durata che la qualità della vita umana.
Parlare di igiene oggi sembra un po’ antiquato, tutti ritengono
di conoscere le comuni regole igieniche e comunque si sentono
sicuri di poter combattere una comune infezione grazie ai progressi della scienza medica. Tutto questo non fa altro che far passare i problemi di igiene in secondo piano, fa abbassare la guardia
contro malattie e microbi che un tempo erano stati debellati.
L’incremento demografico pari ad una crescita di circa 90 milioni di persone ogni anno nel mondo ed i movimenti migratori
aumentano il rischio legato alla diffusione di microbi in aree geografiche fino ad allora “immuni”.
Anche lo stile di vita è cambiato, si consumano alimenti senza le opportune cautele quali una giusta cottura o una corretta
conservazione, spesso si ha poco tempo da dedicare all’igiene
domestica anche quando magari si condivide l’appartamento con
un animale domestico, si consumano troppi farmaci, specie antibiotici, favorendo la crescita di microbi “resistenti”.
E’ una situazione tutt’altro che semplice. Ciò che occorre è la
sensibilizzazione di ciascun individuo al problema attraverso
campagne di informazione mirate.
Poche regole di igiene personale contribuiscono a ridurre i ri105
schi di infezioni da germi patogeni preservando al tempo stesso
quella che è la flora batterica commensale o residente composta
per la gran parte da batteri non patogeni che riveste le mucose
e le pieghe cutanee ed impedisce ai microrganismi patogeni di
insediarsi.
Le mani per esempio vengono a contatto con l’esterno più di
ogni altra parte del nostro corpo potendo quindi accogliere un
numero elevato di germi che possono a loro volta contaminare tutto ciò che le mani toccano. Diventa quindi fondamentale
lavarsi le mani ogni volta che si tocca un oggetto sporco o un
animale, prima di mangiare o di cucinare, dopo essere andati in
bagno.
Ma quante persone sanno lavarsi le mani? Eppure è un atto quotidiano. Bisogna togliere eventuali anelli, bagnare le mani con
acqua tiepida, strofinarle bene fin sotto le unghie, che devono
essere tenute corte, con un sapone per almeno trenta secondi,
producendo una buona quantità di schiuma, sciacquare quindi le
mani e asciugarle con un panno pulito.
Ma non solo le mani possono essere contaminate, altre zone del
corpo soprattutto quelle umide e coperte dai peli possono essere
l’ambiente ideale per lo sviluppo dei microbi (le ascelle, gli spazi
tra le dita dei piedi, l’ano) e richiedere quindi dei lavaggi frequenti.
I gioielli infine possono favorire la crescita di microbi sulla loro
superficie o sulla pelle che ricoprono, compresi i piercing che
costituiscono zone particolarmente sensibili alle infezioni.
Una doccia quotidiana deve essere una sana abitudine per tutti,
specialmente dopo aver compiuto uno sforzo fisico. Ancora, è
necessario cambiare la biancheria intima tutti i giorni ed indossare sempre abiti puliti perché un tessuto dopo essere stato indossato per una giornata può contenere un numero elevato di germi
anche se il tessuto è apparentemente pulito.
L’igiene orale è molto importante perché la bocca è particolarmente esposta alla contaminazione microbica favorita dal pH
acido che si ottiene dalla decomposizione dei residui alimentari
nonché dalla cattiva abitudine di portare alla bocca dita o altri
oggetti. Una corretta igiene orale ridurrà così la formazione della
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placca, i problemi gengivali nonché la diffusione di germi che si
può avere con le goccioline di saliva soprattutto quando si starnutisce o si tossisce. Bisogna lavarsi i denti minimo due volte al
giorno e comunque dopo ogni pasto, avendo cura di spazzolare
i denti dall’alto verso il basso con un lieve movimento rotatorio
per tre minuti.
Una buona igiene prevede anche l’adozione di un corretto stile
di vita come condurre una vita regolare, evitare abusi di alcol,
tabacco e altre droghe, dormire otto ore a notte, attenersi ad una
dieta equilibrata. Tutti siamo a conoscenza, grazie ai mass media,
dei danni che provocano alcol, fumo e droghe ma troppo spesso
si chiudono gli occhi, si fa finta di non vedere. Ci si ricorda di
questi solo quando ormai è troppo tardi, quando la prevenzione
ha fallito e l’unica cosa da fare è curarsi, quando questo si può
ancora fare.
Che si intende per dieta equilibrata? Mangiare in maniera varia,
distribuendo i pasti in maniera da avere una prima colazione sostanziosa, un pranzo non troppo abbondante ed una cena leggera;
moderare il consumo di carni e salumi e mangiare più frequentemente pesce, almeno due - tre volte a settimana; consumare ogni
giorno una porzione di verdura cruda ed una di verdura cotta;
ridurre il consumo di sale e di zuccheri semplici come dolci, gelati, succhi di frutta; bere alcolici con moderazione (un bicchiere
di vino a pasto). Bisogna inoltre bere almeno due litri di acqua al
giorno, evitando le bevande zuccherine quali coca-cola, aranciata,
succhi di frutta zuccherati.
Mantenere una dieta equilibrata aiuta a mantenere il nostro organismo in salute e riduce il rischio di malattie cardiovascolari e
metaboliche. Ma chi ha mai detto che “grasso è bello”?
Tornando alla trasmissione delle infezioni, un ruolo importante
è dato dalla scarsa igiene dell’ambiente domestico. Non è sufficiente riordinare la casa, bisogna utilizzare prodotti efficaci per la
pulizia. Il disordine favorisce l’accumularsi di polvere, sporcizia
e quindi microbi.
La casa è piena di luoghi dove possono svilupparsi i batteri. Il
WC, i lavelli, la vasca da bagno, le maniglie, il frigorifero, i tappeti, gli strofinacci, gli stracci per pavimenti sono solo alcuni dei
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luoghi o degli utensili che possono essere contaminati dai germi.
Molti pensano che il luogo più contaminato della casa siano i sanitari del bagno ma i lavelli della cucina e gli strofinacci possono
esserlo molto di più. Attenersi a delle norme igieniche in cucina
diventa quindi fondamentale come, ad esempio, lavarsi bene le
mani prima di toccare gli alimenti, soprattutto dopo aver usato
il bagno o dopo aver accarezzato un animale domestico, mantenere puliti il lavello, i pensili da cucina, il frigorifero (che deve
mantenere una temperatura tra 0° e 4°C), lavare e disinfettare la
pattumiera e la zona adiacente tutti i giorni, cambiare spesso gli
strofinacci da cucina e le spugne, utilizzare detersivi per i piatti
con proprietà antibatteriche.
In bagno invece l’atmosfera calda ed umida favorisce la crescita
del microbi che spesso provengono dal nostro corpo e rimangono nell’acqua insaponata che si deposita sulla superficie della
doccia, della vasca da bagno, nelle spugne che andrebbero quindi cambiate spesso. Le norme igieniche ormai sono chiare, lavare e disinfettare con regolarità i sanitari, senza tralasciare porte,
maniglie, rubinetti, utilizzare un asciugamano diverso per ogni
membro della famiglia ed arieggiare frequentemente il bagno per
disperdere il vapore.
Non bisogna trascurare il lavaggio della biancheria perché la quota di batteri che sopravvivono ad un ciclo di lavaggio è in aumento per la sempre più crescente abitudine di utilizzare acqua fredda
che salvaguarda i capi ma elimina una quota di batteri molto inferiore all’acqua calda. Anche l’asciugabiancheria può contribuire
a ridurre i batteri perché quando i capi restano bagnati a lungo
questo favorisce la sopravvivenza batterica. Ricordarsi di separare sempre l’intimo, gli strofinacci da cucina e gli indumenti dei
neonati dagli altri capi, lavarsi sempre le mani dopo aver messo il
bucato in lavatrice e anche dopo il lavaggio, lavare frequentemente i capi che restano spesso umidi come gli asciugamani e non
aspettare che i capi siano molto sporchi prima di lavarli poiché
contengono più germi.
L’igiene in cucina non riguarda solo gli utensili o le superfici ma
anche gli alimenti, la metà infatti delle intossicazioni alimentari domestiche è dovuta a scarsa igiene. Chi prepara gli alimenti
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dovrebbe quindi lavarsi sempre prima le mani o utilizzare guanti
protettivi in caso di ferite alle mani, non utilizzare gli stessi utensili da cucina per alimenti diversi senza averli preventivamente
lavati, pulire il tavolo e le superfici di lavoro con un buon detergente, non lasciare umidi né le superfici di lavoro, né gli utensili
da cucina perché così verrebbe favorita la crescita batterica. Abbiamo già detto dell’importanza di lavare spesso gli strofinacci da
cucina che frequentemente rimangono umidi e vengono usati per
diverse funzioni come asciugarsi le mani, asciugare i piatti, diventando così un concentrato di germi. L’utilizzo dei rotoli di carta
è invece da preferirsi. Cani, gatti ed altri animali domestici sono
banditi dal tavolo della cucina, non bisogna accarezzarli mentre
si mangia, né farsi leccare le mani.
Gli alimenti devono essere conservati correttamente, in frigorifero quando serve o in ambienti non umidi, al riparo dalla luce
e dalle alte temperature, ponendo grande attenzione alla data di
scadenza riportata sulla confezione. Meglio buttar via un alimento quando abbiamo il dubbio che possa essere alterato piuttosto che rischiare un’intossicazione e questo vale soprattutto per
carne, latte e uova. Ricordiamoci però che la data di scadenza
ha valore per gli alimenti correttamente conservati e qualora
sia stata rispettata la catena del freddo, quindi non bisogna mai
ricongelare un alimento o consumare un prodotto che è stato
ricongelato e prestare molta attenzione a quelle confezioni che
appaiono visibilmente danneggiate. Congelare un alimento già
contaminato non serve a distruggere i microbi, ne rallenta solo la
crescita. Mai mettere a contatto tra loro diversi alimenti specie se
alcuni sono crudi ed altri cotti perché c’è il rischio di una contaminazione crociata. Non bisogna sovraccaricare il frigorifero per
consentire una buona circolazione dell’aria fredda, mantenendo
una temperatura che non sia superiore a 4-5°C, bisogna lavarlo e
disinfettarlo regolarmente, soprattutto dopo aver conservato un
alimento contaminato, riporre gli alimenti nei ripiani appositi in
base alla temperatura di conservazione. Gli alimenti andrebbero
conservati in frigorifero entro 2 ore dall’acquisto o dalla loro preparazione, è errato preparare i cibi molto in anticipo, gli avanzi
non devono restare a temperatura ambiente per più di 2 ore ma
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conservati in frigorifero e serviti dopo essere stati riscaldati a
temperatura di circa 70-75°C. Gli alimenti che non vengono conservati in frigorifero vanno consumati in tempi brevi.
La cottura elimina molti germi anche se non tutti. Va condotta ad
una temperatura elevata e per un tempo abbastanza lungo (10-15
minuti ad una temperatura di 65-80°C servono a distruggere il
batterio salmonella responsabile di molte tossinfezioni alimentari) anche se questo può alterare alcuni principi nutritivi come
le vitamine od alterare il sapore dell’alimento stesso. Oggi però il
problema è opposto perché prevale l’abitudine di consumare cibi
crudi o poco cotti. Bisogna quindi prestare molta attenzione al
luogo di provenienza dell’alimento, alla sua freschezza ed alla sua
conservazione.
Nel 2004 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diramato la
sua strategia per la prevenzione delle tossinfezioni alimentari che
si basa su 5 punti chiave (Five Keys for Safer Foods) e che riassumono quanto abbiamo già detto:
1. abituatevi alla pulizia
2. separate gli alimenti crudi da quelli cotti
3. fate cuocere bene gli alimenti
4. tenete gli alimenti alla giusta temperatura
5. utilizzate solo acqua e materie prime sicure.
Gli animali domestici fanno ormai parte integrante della nostra
vita, abitando la nostra casa e spesso dormendo vicino al nostro
letto o a quello dei bambini. Circa un terzo delle famiglie possiede in casa un animale, cani, gatti, pesci, ma anche roditori ed animali esotici. Gli animali però possono veicolare numerosi agenti
patogeni talora molto pericolosi per l’uomo. Questo impone una
particolare attenzione all’igiene dell’animale, dell’ambiente e della
persona stessa.
Le malattie degli animali trasmissibili all’uomo si chiamano zoonosi, tra queste la toxoplasmosi, molto pericolosa per le donne in
gravidanza per le conseguenze che può portare al feto; la rabbia,
trasmessa da cani o volpi attraverso la saliva, che può causare
lesioni neurologiche sino alla morte; l’echinococcosi che può colpire il fegato, anch’essa potenzialmente letale; la salmonellosi con
110
disturbi dell’apparato digestivo e meningiti; il morbo di Lyme,
trasmesso dalle zecche che danneggia il sistema nervoso; la leishmaniosi e la tigna che sono le più comuni.
L’animale può anche non essere malato e questo rende la trasmissione più subdola; i microrganismi possono essere trasmessi
attraverso la saliva, il pelo dell’animale, un graffio, un morso o
attraverso gli escrementi.
Bisogna avvicinarsi con cautela ad animali che possono mordere
o graffiare, a maggior ragione se questi sono sconosciuti. Dopo
un graffio o un morso, disinfettarsi con un prodotto adeguato e
farsi visitare da un medico se non si conosce l’animale o si tratta di un animale esotico che può veicolare agenti microbici non
presenti in Europa. Fare attenzione anche a non farsi leccare il
volto da animali sconosciuti e ad evitare che cani o gatti lecchino
le labbra dei bambini, potendo in questo modo trasmettere con
la saliva un numero molto elevato di germi.
Ma dobbiamo usare cautela anche con i nostri piccoli amici, evitando di dormire nello stesso letto o nella stessa stanza con un
animale, evitargli il più possibile l’accesso in cucina soprattutto
mentre si prepara da mangiare, non accarezzarlo mentre mangiamo, né tanto meno farlo mangiare a tavola o nel proprio piatto.
Dopo aver toccato un animale bisognerebbe lavarsi le mani con
acqua e sapone per almeno un minuto.
Mantenere gli animali ben puliti è fondamentale, lavando e spazzolando regolarmente i cani e tutti gli altri animali dotati di pelo,
vaccinandoli regolarmente e portandoli dal veterinario in caso di
malattie della pelle o in caso di presenza di pulci e zecche. Tutto
quello che i nostri animali toccano va pulito regolarmente e talora disinfettato (lettiere, gabbiette, scodelle), evitando di lavare
i panni utilizzati dagli animali assieme alla nostra biancheria in
modo da evitare le infezioni crociate, ma utilizzando un detergente adatto ad una temperatura superiore a 60°C.
Tutte queste precauzioni servono anche a ridurre il contatto con
sostanze allergizzanti che possono essere prodotte o veicolate dal
pelo o dalle piume dell’animale.
Cosa sono queste sostanze allergizzanti? Si tratta di sostanze,
esterne al proprio organismo, che scatenano delle reazioni dette
111
appunto allergiche che possono essere locali o generalizzate (prurito, gonfiore, rossore della pelle ma anche a livello degli occhi o
del naso con un'irritazione che prende il nome di congiuntivite
o rinite, fino a reazioni più gravi come l'asma allergico, una difficoltà respiratoria legata al restringimento delle piccole vie aeree).
Le allergie legate alle sostanze veicolate dagli animali domestici,
come cani e gatti, sono molto diffuse, circa il 50% delle allergie
dei bambini, tra cui le reazioni più frequenti sono proprio quelle
respiratorie e possono essere scatenate dal contatto con l'animale
o dalla frequentazione di ambienti in cui vivono animali. Diventa
quindi fondamentale una corretta igiene di tali ambienti soprattutto se sono presenti ricettacoli di allergeni come possono essere le moquette. Le sostanze allergizzanti sono presenti ovunque
nell’ambiente, per cui una persona allergica deve badare molto all’igiene personale per ridurre le allergie cutanee da contatto, così
come deve prestare molta attenzione all’igiene dell’ambiente domestico perché la polvere costituisce un importante serbatoio di
tali sostanze, tra cui gli acari, animaletti invisibili ad occhio nudo
che proliferano nei cuscini, nelle coperte di lana, nei peluche.
Esistono dei prodotti appositi anti-acaro detti acaricidi oppure
bisogna utilizzare lavaggi ad alte temperature, utilizzare coprimaterassi e specifiche fodere per avvolgere i cuscini.
Molti sono gli accorgimenti da utilizzare per una corretta igiene, sia personale, che dell’ambiente, domestica, alimentare. Sono
pratiche comuni, quotidiane, spesso intuibili, che però troppo
spesso ci dimentichiamo di mettere in pratica. Dovremmo ricordarci più spesso che noi stessi siamo al centro del nostro mondo,
curare di più l’igiene è un modo per vivere meglio, senza esagerati
estremismi, senza paranoie, ma nemmeno senza eccessive trascuratezze che possono essere alfine lesive della nostra salute. Le
regole le conosciamo, ora bisogna metterle in pratica!
112
USO ED ABUSO DI FARMACI
Pasquale Caldarola, Maria Cuonzo
La parola farmaco deriva dal greco pharmakon, che significa cura,
ma anche veleno. I farmaci vengono usati in medicina per curare
malattie o, in prevenzione, per difendere il paziente da minacce
alla sua salute. Molti farmaci sono estremamente pericolosi se
assunti in quantità errate, per patologie per cui non sono previsti,
o per pazienti per cui non sono adatti. Per tale ragione i farmaci
possono essere venduti solo in appositi luoghi gestiti da personale specializzato e solo con la prescrizione scritta di un medico abilitato alla professione. Poche categorie di farmaci possono
essere acquistate senza ricetta medica e sono dette “farmaci da
banco” in quanto risultano associate a pochi effetti collaterali
(dannosi), se utilizzate alle dosi consigliate e secondo indicazione. Certe particolari classi di farmaci, come gli stupefacenti e i
loro derivati, sono soggette invece a restrizioni molto pesanti.
Il farmaco può essere un utile alleato per la cura di una malattia,
ma può essere causa di gravi danni se utilizzato impropriamente
o a dosi inesatte. Pertanto è necessario seguire con attenzione le
indicazioni del medico sulla prescrizione e sulle dosi in quanto
le modalità di assunzione del farmaco sono importanti perché
possa agire ed essere ben tollerato.
Da recenti dati ISTAT sul consumo di farmaci nella popolazione
italiana, emerge che un terzo della popolazione (32,9%) fa uso regolarmente, per tutto l’anno, di farmaci prescritti da un medico, il
15.1% dei soggetti ha assunto farmaci nelle 2 settimane precedenti
l’intervista, ma non deve farlo regolarmente. Si rileva inoltre la
tendenza delle donne a consumare più farmaci rispetto agli
uomini (50,7% contro 39,5%) ed il consumo di farmaci è più diffuso al Nord che al Sud e nelle Isole. In Italia 1 farmaco su 5 di
quelli utilizzati (ossia il 20,1 per cento del totale) non richiede la ricetta medica, circa il 50 per cento della popolazione italiana adulta
fa ricorso stabilmente a farmaci di automedicazione.
113
Da quanto detto emerge che è possibile assumere farmaci in assenza di prescrizione medica, ma l’autoprescrizione è una pratica raramente consigliata e deve essere effettuata con grande
attenzione in quanto, oltre agli effetti benefici, ogni farmaco può
comportare effetti indesiderati.
A tale proposito bisogna ricordare che, per il trattamento di numerose malattie, prima di utilizzare il farmaco può essere
utile modificare lo stile di vita ed abitudini errate. In tal modo
è possibile ottenere risultati altrettanto efficaci senza effetti collaterali. Ad esempio nel trattamento dell’ipertensione arteriosa il
paziente dovrà cercare di perdere peso (se in soprappeso), incrementare l’attività fisica quotidiana, ridurre l’apporto di sale nella
dieta, abolire il fumo e solo se, modificando lo stile di vita, la
pressione non si normalizza, si interverrà con la terapia farmacologica. Questo principio vale anche per i soggetti che hanno livelli elevati nel sangue di colesterolo o iniziali segni di glicemia alta.
Infatti una dieta adeguata, perdita di peso, aumento dell’esercizio
fisico, potrà essere utile ad evitare l’uso dei farmaci o almeno
ridurne la quantità. Nei soggetti che soffrono di ansia o insonnia
la prescrizione di farmaci dovrà essere preceduta da una valutazione attenta del medico, e potrà in qualche caso essere evitata
anche modificando lo stile di vita (aumentando l’esercizio fisico,
abolendo l’assunzione di caffè) o facendo sedute di psicoterapia
che possono ugualmente risolvere il sintomo con efficacia.
Va ricordato che anche l’uso dei cosiddetti “preparati naturali”,
venduti in erboristeria, può essere gravato da un notevole numero di effetti collaterali, allo stesso modo dei farmaci di sintesi,
soprattutto quando associati ad altri farmaci. Anche i prodotti
derivati dalle erbe posseggono infatti proprietà farmacologiche,
talora non ben note a chi li utilizza o li prescrive, possono interagire con altri farmaci e causare gravi effetti collaterali. Per tale
ragione non vanno preferiti ai farmaci per il fatto che sono “naturali” e se ne sconsiglia il loro uso indiscriminato.
I farmaci provocano effetti collaterali. Questi possono comparire
sia subito dopo aver iniziato ad assumerli, che dopo alcuni giorni
o anche dopo la loro sospensione. E' bene perciò evitare di assumere farmaci non strettamente necessari e quando possibile si
114
dovrebbe utilizzare un solo farmaco per volta, o il minor numero
possibile di farmaci, per evitare il rischio di ridurre l'efficacia della cura o aumentarne i rischi. In particolare, i bambini e gli anziani sono abbastanza sensibili agli effetti dei farmaci e richiedono
attenzione nelle indicazioni e nelle dosi.
Esistono diverse grandi classi di farmaci che presentano vari effetti
terapeutici. Tra le più utilizzate classi di farmaci ricordiamo analgesici, antinfiammatori, antibiotici, psicofarmaci, antipertensivi.
Gli ANALGESICI (o antidolorifici, o antalgici) sono farmaci
che riducono la percezione del dolore. Si possono suddividere
in due classi: stupefacenti e non stupefacenti. La morfina è uno
stupefacente ed è l’oppioide ancora oggi più efficace ed usato
nella pratica medica, ma la sua prescrizione è sottoposta alle restrittive leggi sugli stupefacenti in quanto provoca dipendenza.
La dipendenza che induce può essere fisica ma soprattutto psicologica e quindi pur essendo un farmaco di grande efficacia è
strettamente riservato ai pazienti che, secondo il parere medico,
ne sono abbisognevoli.
GLI ANTINFIAMMATORI hanno diversi effetti. Alcuni di essi
svolgono azione di riduzione della temperatura corporea (antipiretica) oltre che antinfiammatoria (aspirina, nimesulide, piroxicam,
ketoprofene), altri hanno prevalente azione antinfiammatoria e
vengono normalmente assunti per alleviare il dolore (cefalee, dolori mestruali, mal di denti, mal di schiena ecc.) o per contrastare
infiammazioni (muscoli, tendini, malattie reumatiche ecc). I più
importanti effetti indesiderati sono a livello dello stomaco, dei
reni e, per l’aspirina, sulla coagulazione del sangue. L’aspirina
è un farmaco che può essere dannoso per alcune persone perché
causa un’irritazione al rivestimento dello stomaco provocando
piccole emorragie interne di entità variabile. Questo sanguinamento può essere abbastanza esteso da causare una leggera anemia, soprattutto nelle persone che soffrono di ulcera.
Gli ANTIBIOTICI sono farmaci di origine naturale o di sintesi, in grado di rallentare o fermare la proliferazione dei batteri.
Non hanno effetto contro i virus, funghi e parassiti e pertanto
non devono essere utilizzati in corso di malattie dovute ad
infezione virale, come l’influenza o il raffreddore. L’uso indi115
scriminato di tali farmaci può infatti essere responsabile della selezione di ceppi batterici resistenti, insensibili verso gli antibiotici
più comuni e richiedere l’utilizzo di farmaci sempre più potenti.
L’assunzione di tali farmaci deve essere secondaria a prescrizione
medica. Gli antibiotici possono dare importanti effetti indesiderati, come le reazioni allergiche, che si possono manifestare con
rossore cutaneo e prurito o difficoltà respiratorie.
Gli PSICOFARMACI sono farmaci che agiscono sul sistema
nervoso centrale e comprendono tra le varie categorie le BENZODIAZEPINE (BDZ) e i BARBITURICI. Questi ultimi sono
molto meno utilizzati per i gravi effetti indesiderati in caso di
assunzione di quantità eccessive. Le benzodiazepine possono intervenire sull’attenzione e sulla capacità di percepire i pericoli, per
tale ragione possono alterare la capacità di decidere. Le BDZ
provocano dipendenza, possono provocare sonnolenza, disturbi dell’attenzione, difficoltà nei movimenti, maggiore rischio di
incidenti specialmente se associate ad alcool. Gli antidepressivi
sono in grado di agire sull’umore, migliorandolo, ma provocano
effetti collaterali quali cefalea, secchezza delle fauci, più raramente agitazione e insonnia.
Gli ANTIPERTENSIVI sono farmaci che riducono la pressione
arteriosa. Si usano solo su prescrizione medica che viene personalizzata a seconda del paziente. Gli effetti collaterali variano
a seconda del tipo di antipertensivo e possono essere rappresentati dall’eccessivo abbassamento della pressione, sedazione,
secchezza della bocca, tosse, bassi livelli di potassio nel
sangue.
Tutti i farmaci vanno tenuti in luogo non accessibile ai bambini, a
temperatura ambiente, al riparo della luce e nella loro confezione
originale assieme al foglietto illustrativo. Qualora vengano ingeriti accidentalmente è necessario rivolgersi al Pronto Soccorso
portando con sé il flacone dei medicinali assunti. I farmaci sono
prescritti dal medico per il singolo paziente: ciascuno risponde ad
un determinato farmaco in modo del tutto personale e per tale
ragione un medicinale prescritto per un paziente può essere dannoso per un altro, anche se questi presenta i medesimi
sintomi. Inoltre, un disturbo anche banale può nascondere una
116
malattia più seria, pertanto ciò che è servito ad una persona non
è detto che vada bene per un'altra. L’uso o l’abuso prolungato di
farmaci crea una dipendenza fisica ed emotiva e può provocare
una serie di effetti negativi sullo stato generale di salute di un
individuo. Molto grave è il problema dell’uso indiscriminato dei
farmaci autorizzati, sia quelli da banco che quelli da acquistarsi
con la ricetta medica. Particolarmente pericoloso è l’uso abituale
di combinazioni di farmaci sonniferi per dormire, stimolanti per
alzarsi al mattino e sedativi associati ad alcool per rilassarsi in
serata. La persona che segue uno schema giornaliero di questo
tipo è un tossico-dipendente. Infatti, l’assunzione simultanea di
sostanze come alcool e sonniferi (barbiturici) può deprimere così
gravemente le funzioni dell’organismo da causare la morte. Tali
farmaci vanno assunti solo in caso di reali malattie che devono
essere diagnosticate dal medico e non vanno mai assunti autonomamente e per lunghi periodi.
I farmaci sono un bene prezioso ma vanno usati con saggezza,
in modo da sfruttarne gli effetti positivi e ridurre al minimo i
rischi derivanti dal loro uso. Non possono sostituirsi a corrette abitudini alimentari e di vita, ed a norme di prevenzione che
vanno seguite fin dall’infanzia. Qualora le malattie compaiano
ugualmente, il loro uso deve essere limitato alle prescrizioni del
medico. L’utilizzo improprio di un qualsiasi farmaco può essere
estremamente dannoso, sia quando assunto per errore, ma ancor
più se consapevolmente, al fine di procurare effimeri effetti positivi sul nostro corpo.
117
L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE
NELLE PATOLOGIE TUMORALI
Francesco Schittulli
In Italia ogni anno circa 280.000 persone si ammalano di cancro ed oltre 152.000 ne muoiono. Potrebbero però essere salvate
80.000 vite umane: una cifra enorme alla quale si potrebbe arrivare se tutti adottassimo stili di vita corretti e ci sottoponessimo
con periodicità regolare a controlli clinici trimestrali. Questo è un
dato allarmante, ma stimolante allo stesso tempo, da cui partire e
riflettere. Sappiamo che la ricerca è fondamentale, ma potrà dare
a pieno i suoi frutti tra quindici, venti anni mentre la prevenzione
è oggi l’arma più efficace e vincente per contrastare e sconfiggere
con successo la malattia. Per questo è fondamentale sviluppare
e implementare la corretta informazione e l’educazione sanitaria.
Per anni le patologie tumorali sono state considerate un vero e
proprio tabù, un messaggio di morte, privo di alcuna speranza.
E il non parlarne, il far finta di niente era il modo più semplice,
ma anche il più rischioso, per allontanare la paura del cancro, ma
non il cancro stesso.
Oggi, per fortuna, l’atteggiamento mentale è cambiato e fondamentali passi in avanti sono stati compiuti.
La cultura della prevenzione come metodo di vita e della diagnosi
precoce si sta diffondendo e consolidando, come corretta abitudine di vita e come messaggio di speranza e di guarigione nei
confronti della malattia. Solo attraverso la prevenzione è, infatti,
possibile vincere il tumore. Bastano semplici gesti, piccole accortezze e controlli periodici.
Tuttavia, nonostante i miglioramenti avvenuti nel tempo, il livello
di guardia è e resta ancora alto sul fronte della sensibilizzazione
e dell’educazione sanitaria. Molto è stato fatto, ma molto rimane
ancora da fare.
Sappiamo infatti che la prevenzione e la diagnosi precoce oggi
guariscono il 53% dei malati di cancro, ma siamo altresì consape119
voli che intensificando le campagne di sensibilizzazione potremmo arrivare a guarire, già oggi, oltre l’80% dei casi.
Questa certezza e consapevolezza fa sì che la Lega Italiana per
la Lotta contro i Tumori sia sempre più attiva sul fronte della
“prevenzione”.
Con la prevenzione primaria innanzitutto, che significa adottare
corretti stili e comportamenti di vita. Ovvero niente fumo (responsabile del 30% dei tumori), corretta alimentazione (gli errori
alimentari provocano il 35% dei tumori), attività fisica e lotta alla
cancerogenesi ambientale e professionale.
Prevenzione è informazione corretta
e informazione corretta significa educazione sanitaria
Non si può dimenticare che per prevenzione si intende anche il
ricorso alla diagnosi precoce, in grado di anticipare l’insorgenza
di un tumore e modificare in meglio il decorso della malattia.
Ricordo che a questo scopo le strutture ambulatoriali della Lilt
operano attivamente su tutto il territorio nazionale, come presidi
socio-sanitari in grado di offrire servizi di informazione, visite
mediche e assistenza sanitaria.
Sappiamo infatti che il cancro trova la sua origine di malattia ambientale su base genetica. L’ambiente - inteso in senso lato, quindi anche come stili di vita, comportamenti, condizione dei luoghi
di lavoro e così via - è responsabile dell’80 per cento circa di tutti
i tipi di cancro. Sappiamo che nel 65 per cento dei casi il cancro
è dovuto al tabacco e all’errata alimentazione, responsabile quest’ultima del 35 per cento dei casi di tumore.
Per questo dobbiamo, tra l’altro, “riscoprire” gli effetti benefici
della nostra dieta mediterranea, per rivalorizzarla e riportarla sulle
nostre tavole, evitando le conseguenze negative di quell’eccesso
di modernizzazione che ha portato una sorta di frenesia non soltanto nel nostro agire quotidiano ma anche nelle nostre abitudini
alimentari: non si può negare che i fast food siano letteralmente un
pugno nello stomaco, soprattutto se paragonati ai vantaggi di una
dieta mediterranea tipica. Mi piace ricordare che, tra gli elementi
120
di quest’ultima primeggia certamente l’olio d’oliva extravergine,
l’“oro verde”. Oro verde perché è un alimento antico quanto
l’uomo, prodotto naturalmente dalla terra e dall’uomo senza sofisticazioni e senza alcun procedimento di trasformazione. Questo lo rende un alimento prezioso non soltanto contro le malattie dell’apparato cardiocircolatorio e metaboliche, ma anche nei
confronti dei tumori. Ormai abbiamo un’amplissima letteratura
scientifica in questo campo, vi sono volumi e biblioteche intere
che stanno a significare quanto di positivo vi sia nel consumo di
olio extravergine di oliva.
La Lilt cercherà quindi di essere presente in maniera sempre più
capillare nelle scuole e di coinvolgere in maniera diversa, attiva,
i ragazzi fin dalla scuola elementare. Avere un approccio pedagogico, suscitare l’interesse, stimolare l’intelligenza dei giovani
fin dalla tenera età potrà certamente allontanarli - se fatto ovviamente in maniera pedagogicamente adeguata - dai rischi di danni
nefasti che un’alimentazione a volte troppo “commercializzata”
comporta, rispetto a un’alimentazione genuina e tipicamente mediterranea.
Per questo, l’obiettivo che ci siamo posti di coinvolgere nell’iniziativa anche il Ministero dell’Istruzione e poiché è bene educare i nostri ragazzi all’approccio con la corretta alimentazione:
prevenzione è informazione corretta e informazione corretta significa educazione sanitaria. Tutto a garanzia di una più lunga e
migliore qualità di vita.
E con la prevenzione secondaria, o meglio anticipazione diagnostica, che significa arrivare ad una diagnosi sempre più precoce,
attenta e puntuale. Questo consente di poter individuare tempestivamente anche lesioni tumorali minime e quindi meno aggressive da un punto di vista biologico e perciò più facili da sconfiggere. Arrivare all’80% di guarigione significa sottrarre alla morte
per cancro ogni anno oltre 80.000 italiani.
Per questo è fondamentale diffondere tutte quelle conoscenze
necessarie per contrastare la malattia, con messaggi semplici, diretti, ma efficaci per sviluppare una maggiore presa di coscienza
e consapevolezza.
Perché l’elemento fondamentale per la guarigione è e resta lo sta121
dio in cui si interviene con la terapia. Per questo non ci stancheremo mai di ripetere che sottoporsi ai controlli medici e clinico
strumentali è fondamentale.
Le donne, come ben evidenziano recenti statistiche, sono quelle
più disposte nei confronti della prevenzione.
Infatti, il rapporto della popolazione femminile con la malattia, e
con tutto ciò che ruota intorno, è con gli anni progressivamente
cambiato. Per questo è diminuita la mortalità dei tumori femminili. Oggi, diversamente dal passato, è infatti possibile vincere il
tumore del collo dell’utero e il tumore della mammella: i tumori
più frequenti della donna.
Per questo la Lilt, proprio per tenere alta l’attenzione di ogni
donna sul problema “tumore”, ogni anno organizza e promuove,
tra le tante campagne di sensibilizzazione, il “NASTRO ROSA”,
nel mese di ottobre. Obiettivo è quello di fornire informazioni
in modo semplice e diretto, per sottolineare l’importanza di una
corretta prevenzione dei tumori della mammella. Ma non solo.
Tutte le campagne di sensibilizzazione della Lilt hanno come
unico obiettivo quello di indurre la persona a considerare la prevenzione e la diagnosi precoce un vero e proprio passo in avanti:
l’arma vincente contro il cancro.
Tuttavia, mentre al Centro Nord gli screening sui principali tumori sono una realtà diffusa e consolidata, al Sud si registrano
minori campagne di prevenzione e soprattutto minori possibilità
di accedere alla diagnosi precoce. Nel Mezzogiorno, infatti, scontiamo un minor numero di strutture a cui rivolgersi, e spesso la
loro dotazione organizzativa e tecnico-strumentale non è capillarmente all’avanguardia. Questo significa che al Sud, malgrado
ci si ammali di meno, si muore percentualmente di più rispetto al
Centro Nord.
Se questa tendenza non verrà arginata e invertita, nei prossimi
anni assisteremo ad una tragica incolmabile statistica predominanza del Sud sul resto dell’Italia per quanto si riferisce alla mortalità da cancro.
Una differenza priva di uguali nel resto d’Europa e dei Paesi sviluppati del mondo, ed ingiustificabile per la presenza di professionalità d’alto profilo sanitario.
122
Questo è un dato sconcertante, ma che dimostra in modo chiaro
e efficace, quanto sia fondamentale la prevenzione per diminuire
l’incidenza e la mortalità per cancro.
E per questo oggi prevenire significa più che mai vivere più a
lungo e soprattutto bene.
123
LA DONAZIONE DI ORGANI: DIMENSIONE
CULTURALE ED ETICA DELLA SOLIDARIETA’
Emanuele Stellacci
La donazione di organi: storia recente
L’uomo è uomo, quando entra in comunione con un’altra persona, quando comunica, quando “dona” qualcosa a qualcuno,
quando unendo alla propria “ala” quella di un altro uomo riesce
a volare in alto. La “vita” è sinonimo di comunicazione, movimento, volo, dono e il suo opposto è la morte. La prima grande
battaglia dell’uomo è vincere la morte, prolungare la vita… continuare a vivere in qualche modo anche dopo la morte.
Il momento più bello nella vita di una donna è rappresentato
dal “parto”, quando cioè dona la vita ad un’altra creatura. La
maternità è stata rappresentata in tantissime opere d’arte come
il momento culminante della trasmissione della vita, della catena
della vita. In anni molto recenti è stato reso possibile dalla ricerca
medica il dono di un organo vitale da parte di un essere “clinicamente morto” ad un’altra persona, la cui vita è appesa ad una
sottilissima speranza, ad un filo impercettibile, il trapianto di un
organo altrui.
Il trapianto di un organo era assolutamente sconosciuto e impensabile sino a cinquant’anni fa, in meno di mezzo secolo è diventato non solo una realtà, ma anche un fatto di routine giornaliera
in molti ospedali del mondo.
La storia del trapianto inizia nel 1902 quando il chirurgo francese
Alexis Carrel eseguì con una sutura vascolare il primo trapianto
di un rene su un cane. Nel 1954 fu eseguito a Boston il primo
trapianto di un rene fra due gemelli. Nel 1960 a Parigi fu trapiantato un rene tra due soggetti estranei fra loro. La data storica
è rappresentata però dal 3 dicembre 1967, quando il chirurgo
Christian Barnard eseguì il primo trapianto di cuore a Città del
Capo nel Sudafrica.
125
La notizia fece molto scalpore nei mass-media, sia perché riguardava il cuore, da sempre ritenuto l’organo centrale della vita, il
simbolo dell’amore, sia perché fu realizzato da un chirurgo che
non disdegnò di diventare un mito, un eroe, un simbolo della
scienza e del superuomo.
Il grande balzo in avanti nel trapianto degli organi è avvenuto
però nel 1982, quando fu sperimentato un nuovo farmaco antirigetto, molto più efficace dei pallidi precedenti tentativi: la ciclosporina.
Donazione di organi:
Dubbi – Problemi – Certezze – Speranze
Oggi il trapianto rappresenta una consolidata terapia e non costituisce più un clamoroso evento eccezionale né è prerogativa di
un solo mago della scienza chirurgica.
Grazie ai progressi della chirurgia e alla scoperta di nuovi farmaci
anti-rigetto, il trapianto rappresenta per un numero crescente di
pazienti l’unica terapia possibile.
Permangono alcuni dubbi e varie perplessità.
Siamo proprio certi che l’ accertata morte encefalica coincida con
“la morte”? L’èquipe medica è sempre non solo competente ma
anche disinteressata?
Da un punto di vista etico, è giusto menomare l’integrità di un
cadavere per prelevarne gli organi? E’ corretto ed è naturale che
un uomo viva grazie all’inserimento di un organo non suo?
E’ giusto destinare tante risorse economiche e umane per realizzare i trapianti?
A queste ed ad altre domande bisognerà trovare una risposta, non
solo all’interno dei principi dell’economia o del bilancio di questo
o quel ministero, né solo nella asettica terminologia scientifica
degli anestesisti, ma anche e soprattutto nella nostra coscienza di
uomini, di persone solidali, capaci di aiutarsi reciprocamente nel
cammino della vita.
Solo un dato è ancora drammatico: la carenza di organi da trapiantare, o detta in altre parole, la diversa percentuale di pazienti
126
che ricevono il dono di un organo e continuano a vivere e i pazienti che in lista d’attesa da tempo muoiono prima di ricevere il
dono tanto atteso.
Su questo scarto tra la domanda e l’offerta possiamo e dobbiamo
intervenire, modificando i nostri comportamenti.
Lo scarto è il segno concreto dell’egoismo, dell’ignoranza, delle
paure immotivate, dei tabù e può essere affrontato solo con argomenti culturali e con un ampio respiro umano, oltre che religioso.
Esiste un altro scarto, quello tra le varie regioni d’Italia e tra l’Italia ed altre nazioni europee, come la Spagna. Questi “scarti” sono
la riprova che le paure hanno origine nei tabù locali, nell’ignoranza e negli egoismi.
Le liste d’attesa di trapianto dipendono essenzialmente dall’opposizione all’espianto da parte di congiunti e parenti dell’ipotetico donatore, timorosi di arrecare ulteriore sofferenza al congiunto, del quale i medici hanno improvvisamente e da pochi istanti
accertato la morte cerebrale; i parenti, colpiti da pochi istanti dall’improvviso e gravissimo malore del congiunto, non hanno la serenità per poter prendere una decisione razionale e, fra l’altro, si
interrogano su quale sarebbe stata la reale volontà del soggetto.
Sono, inoltre, ancora molto scarse le dichiarazioni di disponibilità
alla donazione di organi: ognuno di noi deve prendere la propria
libera decisione in un momento di assoluta tranquillità e dichiarare la disponibilità a donare, sollevando i parenti dall’ansia e dall’incubo di mal interpretare la propria volontà.
Negli stati esteri come la Spagna, o nelle regioni d’Italia come la
Toscana o il Piemonte, in cui è stata fatta invece una capillare e
sistematica informazione attraverso i mass media, e nelle scuole,
il dato percentuale dei donatori è salito notevolmente. E’ un dato
di fatto che su un milione di abitanti, nel 2004, i donatori sono
stati 7 in Sicilia, 36,3 in Toscana, 4,5 in Calabria, 29,3 in Piemonte
e nel Veneto, 8,5 in Puglia e 34,6 nella provincia di Bolzano. Questi dati, così diversi da regione a regione, sono il segnale concreto
che qualcosa non va o, se si preferisce, che dove si è operato di
più e in maniera più sistematica, sono stati raggiunti i risultati
attesi.
127
Nel 2004 l’attesa media per un trapianto era:
- per un rene 3 anni;
- per il fegato 1 anno e 6 mesi;
- per il cuore 2 anni e 3 mesi.
Sarebbe anche utile conoscere un altro dato: di quanto si sarebbero ridotte le liste d’attesa se tutti coloro che avrebbero potuto donare, avessero realmente donato? Quante persone in lista
d’attesa di un cuore o di un fegato, muoiono prima di arrivare al
sogno del trapianto? E’ una questione morale: se San Martino
divise a metà il suo mantello per poter coprire un povero che
soffriva il freddo, se è giusto provvedere a ridurre la fame dei
paesi poveri con una più equa distribuzione delle risorse, è ancor
più “umano” ed eticamente sublime donare un organo di una
persona già “morta” ad un’altra che può solo con quel dono sopravvivere, per una media di altri dieci – venti anni.
E’ bene distinguere la mancata soluzione di problemi assolutamente irrisolvibili, da quella dei problemi facilmente risolvibili.
Qualche anno fa, l’ex presidente degli Stati Uniti d’America Lindon Jonson affermò che durante il suo mandato presidenziale,
per la prima volta nella storia, si erano verificate le condizioni
concrete per poter eliminare la fame dal mondo, ossia l’obbrobrio di bambini falciati dalla denutrizione, eppure era mancato il
consenso intorno a questa battaglia di civiltà.
Oggi è possibile che una persona con un organo, fegato o cuore,
rene o pezzo di intestino, in totale e preannunciata paralisi, possa sopravvivere con un trapianto: la sua vita è nelle mani di altri
uomini disposti a donare un organo.
La chirurgia del trapianto ha instaurato tra gli uomini una nuova
sinergia di scambio, di arricchimento reciproco, di interrelazione
profonda: è un monumento alla creatività e alla generosità dell’uomo l’aver immaginato e realizzato che un individuo sopravviva con un organo di un altro “sconosciuto”.
128
Il dono di organi:
Prospettiva culturale di un nuovo umanesimo
La chirurgia ha aperto all’uomo una nuova dimensione di vita,
ossia la possibilità di poter prolungare la propria esistenza attraverso il dono di un organo. Il trapianto è l’equivalente della vita
che continua, che non si arresta o che dopo un arresto cardiaco
riprende a palpitare.
A volte il dono di un organo, come il rene, avviene tra due congiunti: la madre o il padre al figlio, il fratello alla sorella o viceversa.
Più frequentemente il dono è fra due persone che non si conoscono e consente o di salvare la vita di un uomo, altrimenti
destinato ad una morte preannunciata, o a migliorare di molto la
qualità della vita.
Il trapianto dipende però da un dono volontario, gratuito, fatto
da una persona sconosciuta clinicamente morta.
Attraverso il trapianto, anche grazie al progresso scientifico, si
offre al paziente una durata e una qualità di vita che nessuna terapia oggi può altrimenti assicurare.
La possibilità di trapiantare organi, prelevati in un ospedale da
una persona deceduta, e trasferiti con grande velocità da un èquipe medica in un altro ospedale, non solo offre un’inaspettata e
reale speranza di vita al soggetto ricevente, ma rende concreta
una grande gara di solidarietà tra gli uomini e tra quanti si occupano di tutta la trafila dell’espianto, del trasferimento e dell’impianto.
La qualità della vita del soggetto trapiantato migliora di molto e
l’aspettativa di vita si allunga incredibilmente.
E’ data all’uomo la possibilità mai prima concessa di autorizzare,
con un semplice atto di volontà e una firma su di un modello, il
trasferimento di un suo organo, altrimenti destinato al disfacimento, ad un’altra persona che ne ha urgente bisogno e che da
vari mesi è iscritta in una lista di attesa.
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L’iter del trapianto
Il prelievo di uno o più organi (ad esempio il cuore, il polmone, il
pancreas) meglio noto come “espianto”, avviene dopo che è stata
accertata da un collegio di 3 medici (medico legale, anestesistarianimatore, neurofisiopatologo) la morte encefalica o celebrale,
in modo assolutamente definitivo e irreversibile.
Il donatore è un soggetto deceduto per lesioni celebrali traumatiche emorragiche o ischemiche ed è esente da malattie trasmissibili.
Un rigido protocollo prescrive che l’espianto debba essere effettuato una volta accertata la morte celebrale, dopo 6 ore per
l’adulto, 12 ore per i bambini tra uno e cinque anni, 24 ore per i
bambini inferiori ad un anno.
Secondo la legge n. 593 del 28.12.1993 la commissione medica
deve accertare:
• Il totale stato di incoscienza;
• L’assenza totale di riflessi e di reazione a qualsiasi stimolo
esterno;
• L’assenza di respiro spontaneo;
• L’assenza di attività elettrica cerebrale documentata dall’elettroencefalogramma.
Una corretta e scientifica informazione fornita da medici competenti, in particolare da assistenti-rianimatori, può aiutare a superare le paure.
Il legislatore ha richiesto e imposto tante rigide condizioni per
l’espianto, pertanto si può tranquillamente affermare, senza alcun timore di smentita, che, accertata la morte cerebrale, trascorse le ore prescritte a seconda dell’età del soggetto, non c’è più
alcuna speranza di rinvenimento o di ritorno di vita.
Alcune paure sono, invece, determinate o da ignoranza, o da una
distratta e superficiale disattenzione ai problemi scottanti dell’essere, o da una visione egoistica della vita: preferiamo non parlare,
quando stiamo bene, di malattie o di morte. Immaginiamo che
non parlando mai di malattie o di morte, queste vengano automaticamente allontanate nel tempo, scotomizzate, esorcizzate.
130
Quando qualcuno ci vuole parlare di… morte, ricorriamo a pratiche superstiziose e… tocchiamo ferro.
L’etica del trapianto
L’uomo ritrova la sua essenza di uomo quando ama e l’amore è
un dono reciproco, è insieme eros alla ricerca della felicità con
l’altro e nell’altro, ed agape che si realizza nel dono dell’altro.
Sant’Agostino sosteneva che si è nulla senza amore.
L’uomo può avere tutto, l’essenziale e il frivolo, accumulare immense ricchezze e patrimoni inestimabili, ma il tutto non rappresenta l’essenza, la caratterizzazione del suo essere uomo, che è
invece data dalla sua capacità di curare ed essere amato.
L’uomo è spesso ingannato dalle promesse della globalizzazione
dei sistemi produttivi, dalla ottimizzazione dei risultati, poiché è
sempre condizionato in positivo e in negativo dall’amore, dalla
capacità di donare.
Il Papa Benedetto XVI afferma che Dio è amore, è eros per il
popolo prescelto, che l’intera esistenza umana ruota intorno al
tema dell’amore. La possibilità di trasferire un organo vitale , il
sangue, un tessuto da un uomo ad un altro, ha allargato il dominio dell’amore, stringendo fra gli uomini di paesi diversi, di
religioni e culture anche lontane fra loro, una nuova alleanza, una
nuova “agape”.
I trapiantati sanno di portare nel loro corpo un organo donato
loro da uno sconosciuto, assetato di amore e non possono non
vivere una nuova stagione di vita, ossia una nuova dimensione
dell’amore.
È bello donare:
Fermati e decidi di… donare
Forse è bene che ogni tanto ci fermiamo e ci attrezziamo in tempo, per affrontare al meglio le tempeste della vita.
È bello fermarsi a decidere in un momento di assoluta tranquilli131
tà, se non sia opportuno che un nostro organo vitale sia donato a
qualche sconosciuto essere umano, che un giorno potrà ricevere
la vita, da qualcuno di noi, che in quel momento ci ha lasciati.
Mi riesce più facile parlare in prima persona: io non desidero
morire del tutto e spero che, quando sarà accertata la mia morte,
un mio organo sia espiantato e donato ad una persona, che successivamente potrà donare a qualche altro uomo un suo organo:
è bello immaginare una catena umana di donazioni.
Il dono di un organo, oltre a ridare una nuova e notevole aspettativa di vita ad una persona, ha un’altra caratteristica: è un dono,
un regalo ad uno sconosciuto: è un dono assolutamente gratuito,
senza l’attesa di una ricompensa; siamo soliti colmare di regali
una persona amata e… ci attendiamo di essere ricambiati.
Chi dà la propria disponibilità a donare un organo, decide di
“donare” una parte di se stesso a qualcuno, senza attendersi in
cambio; anzi potrebbe avvenire che chi ha deciso di donare possa trovarsi nella necessità di dover attendere per poter ricevere
il dono da un’altra persona.
L’ipotetica donatore si trasforma in fortunato ricevente, scongiurando l’ipotesi contraria che un uomo, sempre scettico e diffidente sui trapianti, si trovi improvvisamente a dover sperare, per
poter sopravvivere, che qualcuno si faccia suo donatore.
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IL TRAPIANTO CARDIACO
E LA DONAZIONE DEGLI ORGANI
Giuseppe Capone, Luigi De Luca Tupputi Schinosa
Il trapianto cardiaco è attualmente la sola fondata e condivisa
opzione chirurgica per il trattamento dell’insufficienza cardiaca
cronica refrattaria a qualunque terapia medica.
Le correnti indicazioni al trapianto cardiaco focalizzano l’attenzione sull’identificazione di pazienti con severa disfunzione
cardiaca o dipendenza da farmaci cardioattivi somministrabili
esclusivamente per via endovenosa. Indicazioni meno frequenti
includono le aritmie ventricolari maligne ricorrenti e l’angina refrattaria non suscettibile di rivascolarizzazione.
Il primo trapianto di cuore nell’uomo fu eseguito con successo il
3 dicembre 1967 a Città del Capo da Christian Barnard; da allora,
ma soprattutto dagli anni ’80, epoca della scoperta della ciclosporina, un potente farmaco immunosoppressore, ad oggi in tutto il
mondo sono stati eseguiti migliaia di trapianti.
L’intervento di trapianto, importante e delicato, che si svolge in
circolazione extracorporea, non è esente da rischi ed ha una durata all’incirca di cinque ore. Al termine dell’intervento il paziente
viene trasferito nell’unità di cure intensive.
Le complicanze più frequenti del trapianto cardiaco sono:
○ Rigetto - la prevenzione e la terapia del rigetto ottenuta con
farmaci immunosoppressivi hanno permesso gli attuali risultati dei trapianti. Il rigetto rappresenta una reazione dell’organismo contro qualcosa che esso non riconosce come
proprio; ciò comporta che non esiste trapianto senza terapia immunosoppressiva. Il rigetto è frequente nella storia
di un trapiantato e non è prevedibile.
○ Tossicità da terapia immunosoppressiva - ogni farmaco ha una
sua tossicità, a volte dipendente dalla dose, a volte imprevedibile; per la maggior parte dei casi l’effetto tossico regredisce con la diminuzione della dose.
133
○ Infezioni - ogni farmaco che abbassi i poteri di difesa immunitaria comporta, come inevitabile conseguenza, un
aumento della patologia infettiva; mentre ciò era particolarmente evidente con i vecchi protocolli immunosoppressivi, la ricerca scientifica ha attualmente messo a disposizione del medico una serie di farmaci con effetto sempre
più selettivo per il rigetto che lasciano poco modificata la
capacità di difesa dagli agenti infettivi.
○ Neoplasie - la percentuale di neoplasie nel paziente trapiantato è più alta che nei soggetti normali, questo aumento
non è valido però per quei tumori di frequente riscontro
nella popolazione cosiddetta sana e che rappresentano in
ultima analisi le più frequenti cause di morte per questa
malattia, come i tumori del colon, mammella, polmone
ecc. I tumori legati allo stato immunitario del soggetto che
insorgono più frequentemente sono i linfomi, la malattia
di Kaposi e i tumori cutanei. Per quanto riguarda i tumori
cutanei ricordiamo che solo eccezionalmente sono di alta
malignità e che, solitamente, la loro asportazione è un intervento semplice e risolutivo.
Il paziente viene dimesso, generalmente dopo 14-30 giorni dall’intervento quando le sue condizioni cliniche lo consentono e,
bene informato, è autonomo nella cura della propria persona e
nella assunzione della terapia.
Gli accertamenti previsti per l’iscrizione in lista d’attesa, per i
controlli durante il periodo pre-trapianto e dopo l’intervento
sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Tutti i pazienti assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, ritenuti
idonei dai Centri di Trapianto di Cuore o Cuore-Polmone hanno
accesso alla lista d’attesa; tuttavia, lo scarso numero di donatori
disponibili e la maggior frequenza di complicanze nei soggetti
anziani consigliano per il cuore un limite d’età per la candidatura
attorno ai 65 anni.
Al momento dell’iscrizione, il Centro di Trapianto assegna ad
ogni paziente, in base alle condizioni cliniche, una classificazione
in "Status".
134
Nel momento in cui il paziente viene selezionato per un donatore
viene eseguita una prova di compatibilità chiamata cross-match
per assicurarsi che nel siero del paziente non vi siano anticorpi che reagiscono contro le cellule di quel donatore. Se dovesse
verificarsi questa eventualità il trapianto è sconsigliato per quel
paziente per l’altissimo rischio di rigetto.
Il donatore e il ricevente sono le due figure protagoniste del mondo dei trapianti e come tali vanno tutelate. La condizione di base
per tutelare il ricevente è che l’organo che gli verrà trapiantato sia
sano. Oggi il miglioramento delle metodiche utilizzate per eseguire i marcatori virali e l’accurata valutazione clinica del donatore consente un alto grado di sicurezza del trapianto. Sicurezza
altissima, ma non assoluta poiché esiste una teorica possibilità
che un donatore in fase cosiddetta "finestra", cioè quando non
sono ancora comparsi nel sangue gli anticorpi contro la malattia
virale, possa trasferire la malattia per l’impossibilità di effettuare
la diagnosi. Questa evenienza, come quella di trasferire con gli
organi altre patologie (tumori, infezioni, ecc.), è comunque estremamente remota proprio per l’accuratezza con la quale vengono
valutati i donatori, sia dal punto di vista clinico che di esami strumentali e di laboratorio.
Diritto fondamentale del donatore è invece la tutela della sua volontà. Questo implica che se egli ha espresso la scelta di donare
gli organi dopo la morte nessuno si può opporre.
La dichiarazione di volontà a donare organi e tessuti è regolamentata dalla legge n.91 del 1 aprile 1999 e dal decreto ministeriale dell'8 aprile 2000.
L'art 4 della legge n.91/99 introduce il principio del silenzio assenso; tale principio non è tuttavia ancora in vigore.
Per il momento la manifestazione della volontà è regolamentata
dall'art. 23 della stessa legge (disposizioni transitorie) che introduce il principio del consenso o del dissenso esplicito. A tutti i
cittadini viene data la possibilità (non l'obbligo) di esprimere la
volontà in merito alla donazione dei propri organi.
Attraverso la dichiarazione di volontà ogni singolo cittadino ha
la possibilità di esprimersi liberamente, facendo in modo che, in
caso di morte, la sua volontà non venga violata dalle decisioni
135
altrui, sia che si tratti di una dichiarazione favorevole alla donazione che sfavorevole.
Diritto fondamentale del donatore è invece la tutela della sua
volontà. Questo implica che se egli ha espresso la scelta di donare gli organi dopo la morte nessuno si può opporre. Inoltre,
deve essere chiaro che si effettuerà il prelievo solo in seguito ad
accertamento di morte. Tutte le fasi di accertamento di morte
tramite criteri neurologici sono rigorosamente sancite dalla legge
e vengono effettuate da un collegio di medici esperti (anestesista,
neurofisiopatologo, medico legale) che viene convocato dalla Direzione Sanitaria della struttura ospedaliera, indipendentemente
dall’eventuale consenso al prelievo di organi. Nel caso in cui il
soggetto, al quale si sta accertando la morte con criteri neurologici, presenti le condizioni cliniche per diventare un potenziale
donatore di organi e tessuti, il medico coordinatore del prelievo
verifica se è presente nel sistema informatico nazionale l’espressione in vita del soggetto o se ha con sé un qualsiasi documento
di volontà espressa.
Spesso si sente parlare di morte cerebrale, morte clinica o morte
cardiaca, in realtà la morte è una sola, ma ci sono diverse modalità di accertamento: secondo criteri cardiaci, neurologici o
necroscopici. La Legge 29 dicembre 1993, n. 578 “norme per
l’accertamento e la certificazione di morte”, stabilisce che la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni
del cervello. Questa condizione può presentarsi in seguito ad un
arresto della circolazione sanguigna (elettrocardiogramma piatto
per non meno di 20 minuti) o per una grave lesione che ha danneggiato irreparabilmente il cervello.
In quest’ultimo caso i medici eseguono accurati accertamenti clinici e strumentali per stabilire la contemporanea presenza delle
seguenti condizioni:
▪ stato di incoscienza
▪ assenza di riflessi del tronco
▪ assenza di respiro spontaneo
▪ silenzio elettrico cerebrale
136
L’art. 4 del Decreto Ministeriale 22 agosto 1994, n. 582 sancisce
che, per tutti e indipendentemente dal trapianto, la durata dell’osservazione ai fini dell’accertamento della morte deve essere non
inferiore a:
a) 6 ore per gli adulti e i bambini in età superiore ai cinque anni,
b) 12 ore per i bambini di età compresa tra uno e cinque anni,
c) 24 ore nei bambini di età inferiore ad un anno.
In caso di morte possono verificarsi tre casi:
1. il cittadino ha espresso in vita la volontà positiva alla donazione, in questo caso i familiari non possono opporsi: donazione si.
2. il cittadino ha espresso volontà negativa alla donazione, in
questo caso non c'è prelievo di organi: donazione no.
3. il cittadino non si è espresso, in questo caso il prelievo è consentito se i familiari non si oppongono: donazione si/no.
Sebbene la legge 91/99 abbia contribuito in parte ad aumentare
il volume dell’attività trapiantologica e nonostante la qualità dei
trapianti effettuati sia migliorata notevolmente negli ultimi anni,
tanto che nel 2005 l’Italia ha raggiunto il primo posto in Europa,
la percentuale di donatori per milione di abitanti resta estremamente variabile tra le diverse regioni (la Puglia è purtroppo agli
ultimi posti) e con un dato nazionale che seppur in crescita è ben
inferiore alla media europea.
Ciò determina un’offerta fortemente inadeguata rispetto alla domanda con conseguente formazione di lunghe liste d’attesa.
Le liste di attesa rappresentano un fenomeno sociale comune a
tutti i servizi sanitari, compresi quelli più complessi come i trapianti ed è solitamente percepito dai pazienti come una forte
criticità del sistema. Ma a differenza di altri settori della sanità,
dove il potenziamento strutturale, organizzativo, tecnologico e
professionale può incidere sui tempi di attesa, per chi è in attesa
di un organo ciò potrebbe non essere sufficiente in quanto la
possibilità del trapianto è legata soprattutto ad un gesto di altruismo e solidarietà.
137
INDICE
EDUCARE A PREVENIRE
L. Stellacci
Pag.
7
PREVENIRE È VIVERE
E. Stellacci
“
11
COME PREVENIRE LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
M. Ciccone, A. Galeandro, S. Favale
“
21
“
27
I RISCHI DI ABITUDINI DIETETICHE ERRATE
M. Ciccone, F. Quistelli, S. Favale
“
29
STRESS PSICOFISICI: GRAVI RISCHI DI NUMEROSI ECCESSI
D. Santoro, R. Lagioia
“
43
DOPING & DROGHE: LA PREVENZIONE POSSIBILE
Il ruolo dell’individuo, della famiglia, della scuola
G. Deruvo
“
55
TABAGISMO: DALLA PREVENZIONE ALLA DISUASSEFAZIONE
A. Spanevello, L. M. Esposito, M. P. Faschino Barbaro
“
67
ATTIVITA’ FISICA E PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE
F. Masi, A. Gaglione
“
81
IGIENE
G. Farinola, D. Scrutinio
“ 105
USO ED ABUSO DI FARMACI
P. Caldarola, M. Cuonzo
“ 113
PER UNA SANA E CORRETTA ALIMENTAZIONE.
ALIMENTAZIONE ERRATA: CONSEGUENZE
P. Caldarola, F. Troso
L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE
NELLE PATOLOGIE TUMORALI
F. Schittulli
“ 119
LA DONAZIONE DI ORGANI: DIMENSIONE
CULTURALE ED ETICA DELLA SOLIDARIETA’
E. Stellacci
“ 125
IL TRAPIANTO CARDIACO E LA DONAZIONE DEGLI ORGANI
G. Capone, L. De Luca Tupputi Schinosa
“ 133
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BARI, 2008
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI FEBBRAIO 2008
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