MUSICOTERAPIA: UN PIANOFORTE PER GUARIRE

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MUSICOTERAPIA: UN PIANOFORTE PER GUARIRE
MUSICOTERAPIA: UN PIANOFORTE PER GUARIRE
Il suono è una chiave magica per aprire mondi interiori che la malattia rende
impenetrabili. Così la musica aiuta a vivere meglio. E benché la medicina tradizionale
la veda con sospetto, fa grandi passi in tutto il mondo. Ecco le esperienze più
avanzate in Italia
di Daniela Fabbri
Articolo tratto dal sito: http://www.dweb.repubblica.it
Cantanti professionisti e pazienti portatori di disagio fisico e psicofisico assieme sulle scene in teatro
C'è l'autistico che non ha mai detto una parola ma non si perde da anni una prova o uno
spettacolo. C'è il down che ha trovato la sua dimensione, lo schizofrenico che ha imparato a
volare, il superobeso che adesso convive con il suo corpo e lo muove. E poi ci sono i malati di
Alzheimer, i sordomuti, gli anziani e i bambini, i tossicodipendenti e gli alcolizzati, tutti quelli
che stanno "oltre". Oltre la soglia di quella che noi chiamiamo pomposamente "normalità",
oltre quella porta che cerchiamo faticosamente di non varcare mai. Ad aprirla quotidianamente
ci sono invece i musicoterapisti, professionisti di una disciplina di confine, un po' musica e un
po' psicologia, con le note che sostituiscono il lettino. Ufficialmente la musicoterapia in Italia
non esiste, nel senso che non esiste un riconoscimento ufficiale né diplomi "certificati".
Esiste però nei fatti delle moltissime associazioni, dei molti terapeuti che hanno scelto questa
strada perché credono che "la musica ha una marcia in più, muove mondi interiori senza la
necessità della parola, muove mondi altrimenti bloccati, senza uscita", come ricorda Gaita.
La storia di Gaita può aiutare a capire cos'è e come si muove la musicoterapia. Psichiatra di
formazione, da sempre impegnato nel servizio psicosociale della zona 1 di Milano, da oltre
vent'anni ha scelto la strada della musica per curare down e schizofrenici, autistici e malati
psichici di ogni tipo. "La constatazione di base da cui siamo partiti era semplice", racconta.
"Dove non può la parola o non possono i farmaci, qualcos'altro deve poter funzionare. E questo
qualcosa può essere la musica". È cominciato così un percorso che dall'ascolto in gruppo di
Verdi o Rossini ha portato alla messa in scena di spettacoli complessi, che ormai hanno girato
l'Italia e che il prossimo 3 dicembre approderanno anche al Parlamento Europeo per celebrare
l'apertura dell'anno del disabile. "Utilizziamo il metodo dell'ascolto con improvvisazione",
spiega Gaita, che coordina un gruppo di un centinaio di persone. "Possiamo ascoltare Verdi
piuttosto che Bach e tutti sono liberi di parlare, di fare, di muoversi, di improvvisare. La
genialità sta poi nel riuscire a integrare questi interventi singoli e fonderli in una forma che
possa dare vita a uno spettacolo". Così sono nati Una noce poco fa da Rossini, l'Aida da tre
soldi da Verdi, la Norma Traviata da Bellini, in cui fra l'altro cantano anche le detenute di San
Vittore grazie a un collegamento voce. "Ho scelto di lavorare con persone dalle patologie
diverse e mi sono reso conto che è un'esperienza molto formativa. Sia chiaro, la musicoterapia
non fa miracoli, non ci sono guarigioni improvvise, ma possiamo aiutare queste persone,
emarginate in vari modi, a prendere confidenza con il mondo. È importante per loro anche
saper gestire il tempo e l'orario delle prove, imparare a prendere l'autobus per venirci,
affrontare un pubblico che applaude, ma soprattutto usare la musica come strumento per
comunicare. Da anni abbiamo con noi un autistico: non ha mai detto una parola, si esprime
con cenni misteriosi ma non ci abbandona mai, non perde una prova. E anche questo per lui è
un modo di entrare in relazione con il mondo". Miracolo. È una parola messa al bando dal
vocabolario di chi fa musicoterapia per mestiere e per passione. Parlando con molti
professionisti ti accorgi che su questo insistono tutti: al bando le attese salvifiche, e un po'
maniacali, al bando i cd new age che ti insegnano come combattere la depressione con un
foglietto simile a quello che si trova nelle scatole dei medicinali. "La musicoterapia fornisce un
notevole materiale di indagine al terapeuta", afferma Stefano Martini della Fedim (la
Federazione italiana di musicoterapia). "Il compito dell'operatore è quello di saper leggere i
segnali che il paziente invia, interpretando gli stati d'animo o gli effetti che la musica ha su di
lui, proprio perché la musica riproduce il complesso simbolico del nostro universo affettivo,
quello che di solito compare solo nei sogni e che fatica a venire a galla". I risultati possono
essere sorprendenti, soprattutto in presenza di patologie gravi. Non serve invece scomodare la
musicoterapia per curare lo stress o la depressione: "Per intervenire, come spesso ci viene
chiesto, sulla depressione (naturalmente non strutturata) o sullo stress si può semplicemente
ascoltare della buona musica in forma autogestita senza scomodare il musicoterapista, che non
potrebbe fare nulla di più di quanto non possa fare ognuno per se stesso", ribadisce Martini.
Uno dei tenori della Stravaganza: Gianluca Cellai
In ogni caso sono molte le patologie per le quali la musicoterapia può essere di notevole
supporto: c'è chi lavora con gli autistici e chi con gli anziani malati di Alzheimer, chi opera con
le persone "multihandicap" (i sordo-ciechi per esempio) e chi si è specializzato nel trattare
pazienti terminali per tumore o Aids, o anche persone uscite dal coma. "Certo, non puoi
identificarti completamente con il dolore ad esempio che prova un bambino, ma puoi lavorare
per allontanarlo. È come trovarsi di fronte a una persona caduta nelle sabbie mobili. Per
salvarla non ti ci butti anche tu, ma ti ancori saldamente al mondo, alla realtà, all'esterno, per
tirarla fuori. Il che crea una forte relazione empatica, che deve però essere supportata da una
forte preparazione di base dell'operatore e da un impianto teorico preciso". E qui si arriva alle
note dolenti, cioè al fatto che non essendo riconosciuta e non avendo un percorso di studi
definito la musicoterapia si presta a essere utilizzata anche da chi non ne avrebbe i requisiti.
"Per questo stiamo avviando un lavoro con il professor Carlo Sini, docente di filosofia teoretica
alla Statale di Milano, per gettare le basi epistemologiche di questa disciplina, che ha bisogno
di riferimenti teorici precisi", conclude Giulia Cremaschi Trovesi. Ma, al di là di teorie e scuole
fenomenologiche o psicanalitiche, rimane il valore di tradizioni che si sta perdendo: "Le madri
hanno sempre cantato ai loro figli, hanno sempre utilizzato questa forma primitiva di
musicoterapia. Aiuterebbe molto già solo conservare questa antica abitudine".
Il Maestro Giuseppe Verdi
Mentre in Italia la musicoterapia è ancora guardata con una punta di scetticismo
dall'ambiente accademico, all'estero sono in tanti a riporvi grandi ambizioni. Un guru
internazionale, considerato addirittura un guaritore, è Ralph Spintge, direttore dell'Ospedale
sportivo di Hellersen, in Germania, e professore all'Università di San Antonio, in Texas: utilizza
la musica anche in sala operatoria, come una colonna sonora in grado di raggiungere il
paziente in anestesia e migliorare le sue reazioni allo stress operatorio, oltre che per
riabilitazioni dopo traumi ortopedici. La specialità di Michael Thaut, direttore del Centro di
ricerca musicale e neuroriabilitazione alla Colorado State University (nelle altre foto di queste
pagine) è invece lo studio del ritmo e delle sue influenze sull'apparato motorio. E al top della
fama a livello mondiale si colloca il Beth Israel Medical Center di New York, dove opera
un'esperta come Joanne Loewy.