Gli innesti

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Gli innesti
Autori:
Carmine Alfano, Professore ordinario, Cattedra Chirurgia Plastica Università di Perugia, Azienda
Ospedaliera di Perugia Santa Maria della Misericordia.
Ha collaborato alla stesura del capitolo: Dott./Dott.ssa Stefano Chiummariello.
Introduzione
Si definisce innesto (graft nella terminologia anglosassone) il trapianto di uno o più tessuti, da
un'area donatrice ad una ricevente con interruzione delle connessioni neurovascolari tra la sede di
prelievo ed il trapianto stesso.
Cenni storici
Le prime descrizioni degli innesti cutanei risalgono al 3000 a.C. quando in India venivano prelevati
segmenti cutanei dalla regione glutea per la ricostruzione del naso. Nel mondo occidentale il primo
autotrapianto di cute venne effettuato nel 1804 da un chirurgo italiano, Baronio, su di una pecora, e
nel 1817, da un chirurgo inglese, Sir Astley Cooper su di un uomo.
Nel 1872 Ollier fu il primo a sottolineare l’importanza della componente dermica negli innesti e
Thiersch, nel 1886, applicò con successo gli innesti cutanei sottili per la copertura di ampie ferite.
Nel 1875 Wolfe descrisse il primo caso d’innesto a tutto spessore utilizzato per la correzione
dell’ectropion palpebrale, ma solo nel 1893, grazie a Krause, l’uso degli innesti a tutto spessore si
diffuse nella pratica clinica.
Nel 1939 Padgett introdusse il dermatomo. Nel 1964 Tanner pubblicò la tecnologia per espandere
la superficie degli innesti cutanei fino ad un massimo di 12 volte e nel 1975 Rheinwald e Green
furono i primi a coltivare in vitro i cheratinociti umani.
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Fisiopatologia
Modalità di attecchimento degli innesti di cute
Un innesto per definizione è sprovvisto di vascolarizzazione sanguigna e linfatica e di una
innervazione autonome. Il processo di ripristino neurovascolare dell’innesto nell’area ricevente è
definito attecchimento.
Le condizioni indispensabili ai fini di un attecchimento dell’innesto sono:
1. Area ricevente ben vascolarizzata (deve essere in grado di produrre neoformazioni
vascolari);
2. Massima aderenza tra innesto ed area ricevente (non si devono formare ematomi o
sieromi tra le due superfici);
3. Accurata immobilizzazione dell’innesto (qualunque movimento impedirebbe la sua
rivascolarizzazione).
Una volta trasferito l’innesto nell’area ricevente, è necessario effettuare una medicazione
compressiva (ad es. con garze o spugne fissate con fili di sutura) con l’obbiettivo di mantenere
l’innesto adeso ed immobilizzato al fondo dell’area ricevente per il periodo necessario al suo
attecchimento.
Il processo di attecchimento degli innesti è sovrapponibile a quello della guarigione delle ferite, ed è
suddivisibile in 3 fasi:
1. imbibizione (24 - 48 ore)
2. rivascolarizzazione (5 -7 giorni)
3. maturazione (fino 1 anno)
Fase dell'imbibizione
La prima fase, corrisponde a quella dell’infiammazione della guarigione della ferite, comincia dal
momento in cui l’innesto aderisce all’area ricevente. L’adesione avviene grazie ad un sottile reticolo
di fibrina che si forma tra le due superfici. La nutrizione dell’innesto avviene a spese dell’ossigeno
e dei nutrienti presenti nell’essudato. Questo processo consiste nel riempimento dei vasi
dell’innesto ad opera dell’essudato della regione ricevente e prende il nome di “imbibizione”. Il
peso del trapianto incrementa così del 40%. L’edema è in grado di mantenere la vitalità dell’innesto
per il periodo necessario alla sua rivascolarizzazione che, successivamente, ne determina il suo
riassorbimento; di conseguenza tanto più l’innesto sarà spesso tanto minore sarà la diffusione
dell’ossigeno e dei nutrienti nel suo interno e quindi più difficile e prolungato il suo attecchimento.
Fase della rivascolarizzazione
La seconda fase, corrisponde a quella della proliferazione della guarigione della ferite, si stabilisce
quando dal fondo e dai margini dell’area ricevente inizia la formazione di bottoni di cellule
endoteliali. Tali bottoni endoteliali, dapprima formano cordoni, poi vanno incontro a cavitazione,
infine rivascolarizzano l’innesto sia direttamente sia riabitando la rete vascolare recisa durante il
suo prelievo (questo fenomeno prende il nome di “inosculazione”). Una volta completata la
vascolarizzazione di un innesto (che avviene in maniera iniziale a partire dal III giorno, ma diviene
completa intorno al V-VII giorno) questo può dirsi attecchito.
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Fase della maturazione
La terza ed ultima fase, corrisponde a quella del rimodellamento delle ferite. Dopo una prima fase
di assestamento del tessuto trapiantato, durante la quale il tessuto va incontro ad una retrazione e,
dopo circa 2 mesi, ad una sua successiva distensione, l’innesto va incontro a reinnervazione ad
opera delle terminazioni nervose sensitive dell’area ricevente. Per quanto riguarda la rigenerazione
degli annessi si è visto come sia mantenuta sempre quella sebacea, mentre i peli e le ghiandole
sudoripare mantengono la loro funzione solo negli innesti più spessi. Nel tempo l’innesto può
andare incontro a modificazioni della sua pigmentazione.
Clinica
Classificazione
Da un punto di vista biologico, basato sulle caratteristiche antigeniche del soggetto donatore e del
soggetto ricevente (ad es. sistema HLA), gli innesti vengono classificati in:
Autoinnesti, quando il soggetto donatore e quello ricevente sono la stessa persona;
Omoinnesti, quando il soggetto donatore e quello ricevente sono diversi pur appartenendo
alla stessa specie.
A loro volta questi innesti si dividono in :
Isoinnesti se i due soggetti hanno la stessa struttura antigenica (es. nell’uomo tra due
gemelli monocoriali, nell’animale tra ceppi inbred);
Alloinnesti, tra soggetti appartenenti alla stessa specie animale, ma non geneticamente
identici (es. tra due esseri umani con differenti HLA);
Eteroinnesti o Xeroinnesti, quando il donatore ed il ricevente non appartengono alla stessa
specie (ad es. tra il maiale e l’essere umano).
Da un punto di vista topografico (basato sulle caratteristiche del tessuto prelevato e su quelle da
ricostruire) possiamo classificare gli innesti in:
Isotopici, quando il tessuto prelevato ha le stesse caratteristiche di quello da ricostruire (ad
es. cute della gamba pro cute della gamba controlaterale);
Eterotopici, il tessuto prelevato ha caratteristiche diverse di quello da ricostruire (ad es. cute
pro mucosa);
Ortotopici, quando pur non essendo analoghe le due sedi lo sono i tessuti trasferiti (ad es.
mucosa buccale pro mucosa congiuntivale).
In base ad i tessuti che li compongono gli innesti possono essere suddivisi in:
Semplici, quando composti da un unico tessuto (ad es. cutaneo, mucoso, dermico, adiposo,
fasciale, muscolare, nervoso, vascolare, tendineo, osseo o cartilagineo);
Composti, quando costituiti da più tessuti (ad es. innesti dermoadiposi, codrocutanei, etc...).
In base al loro spessore (peraltro variabile a seconda delle diverse regioni anatomiche) sono
suddivisi in: (Vedi fig. 1)
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Innesti a spessore parziale, ulteriormente divisibili (a seconda delllo spessore del derma
prelevato) in:
o sottili, (di Thiersch-Ollier) comprendenti l'epidermide e l'apice delle papille
dermiche;
o medi, (di Blair-Brown) comprendenti il terzo superficiale dello spessore cutaneo;
o spessi, (di Padgett) che comprendono i due terzi superficiali dello spessore cutaneo;
Innesti a tutto spessore, (di Wolfe-Krause) quando comprendono la cute a tutto spessore, e
quindi l'epidermide ed il derma in toto.
Fig. 1: Classificazione degli innesti a seconda dello spessore
Indicazioni chirurgiche
L'indicazione all'uso degli innesti cutanei è data dalla copertura di deficit di superficie non
risolvibili per semplice avvicinamento dei margini al fine di ricostituire la continuità tegumentaria.
Gli autoinnesti cutanei sono quelli più frequentemente utilizzati in chirurgia plastica.
L'indicazione chirurgica è diversa a seconda del tipo di innesto cutaneo (vedi paragrafo Clinica).
Innesti a spessore parziale
Gli innesti a spessore parziale vengono prelevati con appositi strumenti detti dermatomi che
possono essere manuali, pneumatici o elettrici. Le aree donatrici sono molteplici e rappresentate da
sedi in cui gli esiti cicatriziali si rendono poco visibili, o da cui sia possibile il prelievo di ampie
superfici, e non meno importante, da sedi vicine alla perdita di sostanza nelle quali il prelievo sia di
facile e rapida esecuzione. Dopo il prelievo, l'area donatrice viene lasciata guarire spontaneamente
per riepitelizzazione dal fondo (creste interpapillari, annessi cutanei). La rapidità di guarigione sarà
pertanto inversamente proporzionale allo spessore di cute asportato, in quanto tanto più ci si
approfondisce nel derma tanto meno sono le cellule epiteliali basali presenti. Tale epitelizzazione
avviene nel giro di 10-15 giorni.
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In casi di estrema necessità (grandi ustionati) praticamente tutta la superficie corporea, ad eccezione
del viso, può essere utilizzata come area donatrice, e dopo la guarigione può essere riutilizzata per
eseguire un nuovo prelievo di cute. Tanto più l'innesto è sottile tanto più facile sarà il suo
attecchimento, ma ne consegue una copertura limitata dei piani profondi, nonchè uno scandente
risultato estetico a distanza, in quanto tende a retrarsi, mutare di colore (ipo o iperpigmentarsi) e ad
assumere l'aspetto di una cute cicatriziale.
Caratteristiche dell'utilizzo di questi innesti sono la rapidità d'esecuzione, l'ampia superficie
disponibile e la guarigione spontanea dell' area donatrice.
Innesti a tutto spessore
Gli innesti a tutto spessore vengono prelevati a mano libera per mezzo del bisturi. Poichè per
questo tipo di innesti viene prelevata la cute in toto, l'area donatrice non può guarire
spontaneamente, ma deve essere chiusa per approssimazione o accostamento dei margini; pertanto
aree donatrici di questi innesti sono quelle in cui sia presente una lassità cutanea sufficiente ad una
chiusura per prima intenzione, ma anche zone in cui siano meno evidenti gli esiti cicatriziali (ad es.
la regione inguinale, quella retroauricolare, quella sovraclaveare e la superficie interna del braccio).
Date le limitate dimensioni delle aree donatrici questi innesti non possono essere utilizzati per
ricoprire superfici molto ampie. I vantaggi degli innesti a tutto spessore sono una migliore copertura
dei piani profondi, un migliore aspetto estetico dovuto anche alla minore tendenza alla retrazione ed
alla ipo e iperpigmentazione. Gli svantaggi sono un attecchimento più lungo e delicato e la scarsa
disponibilità di tessuto.
Innesti cutanei a rete
Gli innesti cutanei espansi o a rete (mesh graft) sono degli innesti a spessore parziale incisi in
maniera tale da assumere la forma di una rete; pertanto ne risulta un' amplificazione della superficie
dell'innesto che sarà dipendente dal numero e dalla distanza delle incisioni effettuate sulla sua area.
La riepitelizzazione avviene anche all' interno delle maglie permettendo di ricoprire una maggiore
superficie di perdita di sostanza. Per ottenere tali innesti si ricorre all'ausilio di un particolare
strumento chirurgico detto Mesher. (Vedi fig. 2)
Gli innesti a rete vengono utilizzati in particolare nei grandi ustionati quando vi è necessità di una
vasta superficie da ricoprire e, a causa della noxa, sono poche le aree di prelievo. Ulteriore campo
d¡ utilizzo degli innesti a rete è la traumatologia (ad es. perdite di sostanza contaminate); in questi
casi gli innesti attecchiscono più facilmente grazie al fatto che le essudazioni possono fuoriuscire
all'esterno senza raccogliersi tra la cute innestata ed il letto ricevente. Gli svantaggi degli innesti
espansi, oltre a quelli propri degli innesti a spessore parziale, sono legati al loro risultato estetico
definitivo che, anche a distanza di tempo, conserva un aspetto a rete.
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Omo ed eteroinnesti cutanei
L' indicazione principale al loro uso è data dalle ustioni molto estese nel caso in cui non siano
disponibili sufficienti aree donatrici di autoinnesti e non sia possibile aspettare il tempo necessario
alla coltivazione delle cellule cheratinocitarie in vitro.
Gli scopi dell¡' utilizzo di questi innesti sono i seguenti:
Protezione delle aree riceventi dagli agenti atmosferici e dalle infezioni;
Limitazione delle perdite di sangue, plasma e siero;
Preparazione delle aree riceventi ad un successivo innesto autologo;
Riduzione del dolore.
Gli omoinnesti vengono normalmente prelevati da cadavere (più raramente da donatori come
parenti del paziente).
Gli eteroinnesti vengono prelevati in genere dal maiale, più raramente dal vitello o dal feto bovino,
in quanto questi tra tutti gli animali hanno una cute con alcune analogie strutturali, e soprattutto una
minore reattività antigenica con quella umana.
Sia gli omo che gli eteroinnesti possono essere utilizzati freschi o conservati ma, in considerazione
dei fenomeni immunitari che si accompagnano al loro trapianto è necessario, prima del loro
impiego, sottoporli a delle procedure che ne riducano il potere antigenico.
Omo ed eteroinnesti cutanei freschi
Questi innesti dopo il loro trapianto attraversano le stesse fasi degli autoinnesti. A partire dalla VIVII giornata, in occasione della ripresa della vascolarizzazione degli innesti, a seconda del grado di
incompatibilità tra donatore ed ospite (che dipende dall' entità delle differenze antigeniche),
vengono rigettati per trombizzazione e necrosi. L'innesto appare edematoso, si formano quindi delle
flittene a sede giunzionale, l'epidermide si desquama e distaccandosi gradualmente dal derma viene
eliminata. Il derma, che possiede una minore antigenicità, viene rigettato solo più tardivamente. Gli
eteroinnesti, che per natura possiedono una maggiore differenza antigenica, vengono rigettati molto
più rapidamente e tale processo talvolta si accompagna a reazioni di tipo anafilattico per cui devono
essere rimossi in II-III giornata, prima del loro attecchimento.
In linea di massima sono sempre da evitare le connessioni vascolari tra ospite ed omo o
eteroinnesti; in questo modo si evitano le eventuali reazioni di rigetto che possono essere pericolose
per il paziente (date le ampie superfici innestate), e si mantiene la possibilità di riutilizzare lo stesso
donatore per un successivo innesto.
Omo ed eteroinnesti cutanei conservati
Questi innesti sono ottenuti previo congelamento a -4/-20° C o in azoto liquido a -196° C. La
conservazione dell' innesto in azoto liquido (dopo raffreddamento graduale di circa 1 grado al
secondo con l' ausilio di sostanze citoprotettive in dimetilsulfossido o glicerolo) consente di
mantenere una certa vitalità e quindi di attecchire venendo poi rigettato molto più lentamente
rispetto ai tessuti freschi, poichè alla riduzione della temperatura corrisponde una riduzione della
antigenicità.
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Un altro metodo di conservazione utilizzato è la liofilizzazione che consiste in un processo di
disidratazione sotto vuoto, che ne permette la conservazione per un periodo illimitato di tempo,
dopo il quale gli innesti non attecchiscono ma agiscono come una medicazione biologica. In
entrambi i casi gli innesti preparano il letto ricevente ad un successivo innesto autologo. Con tali
tecniche è possibile conservare anche innesti autologhi. In questi casi la tecnica più comunemente
utilizzata è la conservazione di innesti di cute avanzati al termine di un intervento a +4°C (ad es. in
un comune frigorifero) ed un loro utilizzo successivo su aree di mancato attecchimento.
Banca della pelle
La banca della pelle è una struttura, autorizzata dal Ministero della Sanità e dalla Regione, diretta da
un chirurgo plastico, capace di prelevare e conservare la cute cedendola a fini d¡ utilizzo come
omoinnesto terapeutico. In queste strutture gli innesti possono essere conservati per 72 ore a +4° C,
fino ad un massimo di 2 anni a temperatura ambiente per gli innesti liofilizzati e per un periodo
illimitato a temperature < di -80° C.
Innesti di mucosa
Gli innesti di mucosa si utilizzano per sopperire a deficit delle superfici mucose. La sede più
comune di prelievo è il vestibolo orale, anche se prelievi meno ampi possono essere effettuati dalle
coane nasali e dalle cavità congiuntivali.
Le fasi dell'attecchimento ricalcano quelle già esaminate per gli innesti di cute, ma a differenza di
questi ultimi gli innesti di mucosa vanno incontro ad una maggiore retrazione e pertanto è
necessario effettuare prelievi 1,5-2 volte maggiori della perdita di sostanza da ricoprire. Questo tipo
di innesti vengono in genere prelevati come innesti a spessore parziale medio o spesso.
Innesti di derma
Gli innesti dermici consistono in innesti cutanei a tutto spessore disepidelizzati, cioè privati dello
strato epiteliale. In caso si rendano necessari ampi prelievi si utilizza dapprima il dermatomo con lo
scopo di escidere un innesto di cute sottile, poi si preleva il derma sottostante, quindi si ricopre
l'area con l'innesto precedentemente escisso. Gli innesti dermici seguono le stesse tappe
dell'attecchimento degli innesti cutanei, ma a differenza di questi non vengono utilizzati per riparare
perdite di sostanza bensì per colmare deficit di tessuti profondi, per proteggere organi troppo
superficiali, per rinforzare pareti o strutture altrimenti deboli (ad es. per il rinforzo della parete
addominale nel trattamento del laparocele o per la riparazione di ernie).
Innesti di tessuto adiposo
Gli innesti adiposi vengono utilizzati per colmare deficienze volumetriche o per ricostruire le
normali salienze anatomiche. Le aree donatrici sono quelle da cui può essere effettuato il prelievo di
una sufficiente quantità di tessuto senza produrre un eccessivo danno estetico mascherando le
cicatrici nelle pieghe. La metodica di prelievo è, salvo piccole differenze, simile a quella utilizzata
in chirurgia estetica per la lipoaspirazione. Il tessuto adiposo, povero di strutture vascolari, non
riesce a sopravvivere quando posizionato in forma compatta. Per superare tale problema si associa il
tessuto adiposo al tessuto dermico adeso ad esso così che la ricchezza della rete dermica consenta la
sopravvivenza dell'adipe.
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Gli innesti adiposi possono essere effettuati come innesti adiposi semplici o composti. Nel caso
degli innesti adiposi semplici questi vengono posizionati nell'area ricevente tramite iniezioni
eseguite con apposite cannule (lipofilling). Quelli composti devono essere inseriti chirurgicamente.
Una caratteristica di questo tipo di trapianti è il riassorbimento cui vanno incontro (fino al 50 % del
volume iniettato) tale da rendere necessaria una ipercorrezione in previsione dell'ottenimento del
risultato definitivo. Per ovviare a tale inconveniente si utilizza oggi una nuova metodica
(lipostructure sec. Coleman) che consiste nell'infiltrare il tessuto adiposo autologo solo dopo averlo
centrifugato. Questo tipo di centrifugazione "dolce" permette di separare in modo atraumatico gli
adipociti dalle emazie e dal plasma così da permettere la sola infiltrazione delle cellule adipose.
Innesti di fascia
Gli innesti di fascia trovano indicazione nelle patologie in cui si rende necessario un tessuto
autologo dotato di notevole resistenza e pertanto può essere utilizzato per il rinforzo (ad es. nelle
ernie), il sostegno (ad es. nella paralisi del nervo faciale, nelle ptosi) od in sostituzione di strutture
lese (ad es. la dura madre). Sede preferenziale è la fascia lata. Il prelievo si esegue sia a cielo aperto,
esponendo ampiamente la fascia, sia tramite una piccola incisione utilizzando il "fasciotomo", uno
strumento apposito che consente di ridurre al minimo gli esiti cicatriziali. Un'altra sede di prelievo è
la fascia del muscolo temporale. (Vedi fig. 3)
Innesti di muscolo
L'innesto di tessuto muscolare è una procedura che veniva utilizzata prima dell'avvento dei trapianti
microvascolarizzati muscolari reinnervati. I muscoli che venivano utilizzati per questa procedura
erano i muscoli estensori brevi delle dita del piede ed il palmare lungo. Per evitare che andassero
incontro ad una atrofia e fibrosi eccessiva, tali muscoli venivano selettivamente denervati circa 14
giorni prima del loro trasferimento ("deneurotizzazione" di Thompson). In seguito a tale procedura
le fibrocellule muscolari vanno incontro a dei mutamenti del loro metabolismo, che diventa
prevalentemente anaerobio, permettendo così di resistere maggiormente allo shock ischemico subito
durante la loro devascolarizzazione. Un'altra possibilità era rappresentata dalla immediata
reinnervazione dell'innesto muscolare.
Innesti tendinei
Gli innesti tendinei trovano la loro indicazione soprattutto nella traumatologia della mano e dell'arto
superiore per la riparazione di rotture e lacerazioni tendinee in cui non sia possibile la sutura dei
monconi. Un'altra indicazione è il sostegno statico di strutture (ad es. negli esiti da paralisi del
nervo faciale). Le sedi donatrici sono il tendine del muscolo palmare lungo, i tendini del muscolo
flessore lungo delle dita del piede. Il tendine deve essere trapiantato senza ledere il rivestimento
connettivale (peritendine) al fine di rendere possibile una rapida rivascolarizzazione dell'innesto e di
ridurre il rischio di aderenze cicatriziali con i tessuti circostanti. E' indispensabile pertanto che, ad
un iniziale fase di immobilizzazione tesa a garantire una rapida rivascolarizzazione dell'innesto, si
riprenda immediatamente dopo con la fisioterapia tesa ad impedire la formazione di aderenze
cicatriziali.
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Innesti vascolari
Gli innesti vascolari vengono utilizzati sia in traumatologia, per il ripristino del flusso in un vaso
che ha subito un danno tale da impedire il riaccostamento dei due monconi, sia in microchirurgia
per garantire il flusso ematico al peduncolo del lembo trapiantato. I vasi utilizzati a questo proposito
sono preferenzialmente le vene. A seconda del calibro del vaso da ricostruire si sacrificheranno
vene di minima o nulla importanza funzionale, come la vena safena, le vene del dorso della mano,
le vene dell'avambraccio o altre vene superficiali. Questo tipo di innesto viene utilizzato anche per
la riparazione di tratti arteriosi avendo cura, durante l'anastomosi, di orientare la vena in modo tale
che le eventuali valvole presenti all'interno non ostacolino il flusso sanguigno e che la vena sia di
calibro leggermente inferiore al tratto di arteria da ricostruire. Quest'ultimo aspetto è di
fondamentale importanza in quanto, nel tempo la vena va incontro a modificazioni strutturali della
sua parete a causa delle notevoli differenze pressorie tra il comparto venoso e quello arterioso.
Questo fenomeno è detto "arterializzazione". Gli innesti di vena possono essere utilizzati anche
eterotopicamente per la riparazione della cavità congiuntivale, per la riparazione di deficit nervosi,
nella chirurgia dell'orecchio, etc...
Innesti nervosi
Gli innesti nervosi vengono utilizzati nei casi in cui, in seguito a traumi o a resezioni tumorali, sia
necessario ricostruire il tratto nervoso mancante per ristabilire la sensibilità o la funzione motoria
alterata. In questo caso più che di un innesto di nervo si tratta di un innesto di guaina nervosa. In
seguito alla sezione del nervo l'assone va incontro a degenerazione walleriana mentre così non
avviene per le cellule mieliniche. La sutura tra il nervo reciso e l'innesto, detta neurorrafia, ha infatti
lo scopo di favorire la ricrescita assonica (fenomeno noto come neurotizzazione) all'interno delle
guaine connettivali dell'innesto (le cellule di Schwann) fino a raggiungere le guaine del moncone
distale del nervo reciso. La velocità di rigenerazione dell'assone è variabile da nervo a nervo con
una media di 2-4 mm al giorno. In questo modo l'assone potrà raggiungere le normali terminazioni
nervose. I nervi che vengono in genere prelevati a questo scopo sono il nervo surale o alcuni nervi
sensitivi dell'avambraccio, il cui sacrificio non comporta alterazioni di rilievo salvo una transitoria
anestesia delle aree denervate che si risolve spontaneamente nell'arco di pochi mesi. Nel caso in cui
il calibro del nervo da riparare sia molto maggiore di quello utilizzato come innesto, si potrà
dividere quest'ultimo in diversi segmenti, ciascuno dei quali verrà utilizzato per ripristinare la
continuità dei singoli fascicoli nervosi che costituiscono il nervo interrotto. (Vedi fig. 4) (Vedi fig.
5) (Vedi fig. 6)
Innesti cartilaginei
Gli innesti cartilaginei vengono utilizzati isotopicamente in sostituzione di altre strutture
cartilaginee quali quelle del naso e dell'orecchio; eterotopicamente quando si vuole fornire una
impalcatura di sostegno rigida ed elastica come in sostituzione delle ossa proprie del naso, o della
struttura fibrosa tarsale della palpebra o per aumentare la proiezione del capezzolo ricostruito.
Le sedi donatrici sono il setto nasale, il padiglione auricolare e la cartilagine costale che, a
differenza delle altre, tende a riprendere la forma originaria curva. La cartilagine essendo
prevalentemente vascolarizzata attraverso il pericondrio, attecchisce più facilmente e sopravvive
mediante imbibizione dai tessuti circostanti. La preservazione del pericondrio dell'innesto facilita
quindi l'attecchimento dei condrociti evitando la loro sostituzione con fibroblasti (cicatrice). Gli
innesti cartilaginei possono andare incontro a deformazione nel tempo. E' fondamentale assicurare
una copertura dell'innesto cartilagineo con un tessuto ben vascolarizzato in modo da favorire
l'attecchimento e scongiurare il rischio d'infezione.
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Innesti ossei
Gli innesti ossei vengono generalmente utilizzati per colmare deficit scheletrici come negli esiti di
fratture o per fornire un sostegno permanente a particolari strutture come il dorso del naso, oppure
per ricostruire le arcate alveolari. Il processo di guarigione di un innesto osseo è lo stesso di una
frattura. Gli innesti ossei possono essere suddivisi in innesti di corticale, di midollare o di corticale e
midollare insieme. Le più comuni sedi di prelievo sono l'ala iliaca, da cui è possibile prelevare sia
innesti di corticale che di midollare (Vedi fig. 7) ; la superficie anteromediale della tibia, da cui si
preleva la corticale e la spongiosa (Vedi fig. 8) ; le coste, da cui si effettuano prelievi di corticale e
di spongiosa (Vedi fig. 9) (Vedi fig. 10) (Vedi fig. 11) . Meno comuni come sedi elettive, ma di
frequente utilizzo quando si rende necessario un unico campo operatorio, sono virtualmente
utilizzabili tutte le ossa maggiori; in particolare il tavolato esterno della teca cranica, il radio e la
mandibola vengono spesso utilizzati per il prelievo di piccoli innesti ossei. La fibula, un tempo una
delle sedi elettive per il prelievo di innesti ossei, viene oggi prevalentemente utilizzata come lembo
libero microchirurgico. La dimensione massima oltre la quale un innesto osseo non può attecchire a
causa dell'impossibilità da parte del tessuto ricevente a rivascolarizzarlo è di 4-6 cm. Gli innesti
ossei omologhi ed eterologhi vengono pretrattati in modo da denaturare le proteine eliminando la
conseguente reazione immunitaria. In questo modo gli innesti ossei si comportano come delle
strutture in minerali che offrono una guIda alla rigenerazione ossea. Sfruttando questa possibilità
segmenti ossi infiltrati da neoplasie sono state trattate (ad es. in autoclave o in azoto liquido) e poi
riutilizzate a ricostituire il difetto che si era creato.
Innesti composti
Gli innesti composti sono gli innesti in cui sono presenti più di un tessuto. Il loro impiego attuale è
limitato ai casi in cui si voglia ricostituire contemporaneamente più piani tissutali. L'attecchimento
di questi innesti è molto delicato data la scarsa superficie di contatto con il letto ricevente e la
conseguente difficoltà a nutrire per imbibizione le parti più interne dell'innesto. Il loro utilizzo è
oggi raro ed escusivamente limitato alla ricostruzione della palpebra con innesto palpebrale
controlaterale e dell'ala del naso utilizzando una piccola sezione dell'elice.
Colture cellulari di cheratinociti
Le tecniche di colture cellulari attuali permettono di incrementare il processo riproduttivo cellulare.
In questo modo è possibile ottenere a partire da un piccolo prelievo di cute, in circa 3 settimane,
oltre 1 mq di cute. Le aree di prelievo della cute da coltivare sono quelle delle pieghe naturali come
quella inguinale o quella ascellare, dove il tasso di replicazione cellulare è maggiore di quello della
pelle delle altre zone del corpo. L'obiettivo finale resta la coltivazione in vitro della pelle artificiale.
Allo stato attuale è altamente complesso riuscire a produrre un sostituto del derma che permetta il
sostegno dei cheratinociti.
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Fig. 2: Mesher
Fig. 3: Prelievo di fascia lata per innesto di fascia. Per gentile concessione del Prof. F. Santanelli.
Fig. 4: Prelievo di nervo surale per innesto di nervo. Per gentile concessione del Prof. F. Santanelli.
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Fig. 5: Nervo surale diviso in segmenti multipli per innesto nervoso. Notare la distinzione tra
porzione prossimale e distale dei singoli segmenti. Per gentile concessione del Prof. F. Santanelli.
Fig. 6: Nervo tibiale posteriore ricostruito mediante innesti multipli di nervo surale. Per gentile
concessione del Prof. F. Santanelli
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Fig. 7: Spongiosa e compatta ossea prelevate dalla cresta iliaca. Per gentile concessione del Prof. F.
Santanelli
Fig. 8: Spongiosa ossea prelevata dalla tibia e pronta per l'innesto. In alto a dx è possibile osservare
un tassello di compatta ossea tibiale. Per gentile concessione del Prof. F. Santanelli.
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Fig. 11: Innesto di costa in corrispondenza della volta cranica. Il segmento costale è stato suddiviso
in tre parti nel senso della lunghezza. Per gentile concessione Prof. F. Santanelli.
Top
Accertamenti preoperatori
Preparazione della ferita
Fondamentale per il successo di un innesto cutaneo è la preparazione del sito ricevente. Gli innesti
cutanei non possono attecchire su tessuti che manchino di vascolarizzazione come:
osso non ricoperto da periostio
cartilagine non ricoperta da pericondrio
tendini non ricoperti dal peritenon
nervi non ricoperti del prinevrio
Viceversa potranno attecchire innesti cutanei effettuati su:
periostio
pericondrio
peritenon
perinevrio
derma
fascia
muscolo
tessuto di granulazione
Le ferite secondarie ad irradiazione dei tessuti hanno solitamente un carente apporto vascolare e
difficilmente possono supportare un innesto cutaneo.
In pazienti con ferite derivanti da stasi venosa o insufficienza arteriosa la patologia di base deve
essere trattata precedentemente all'innesto per aumentare quanto più possibile la percentuale di
attecchimento dell'innesto.
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In aggiunta è importante considerare che la ferita deve essere priva di tessuti non vitali e deve
essere diminuita quanto più possibile la carica batterica locale.
Principi di terapia chirurgica
Una tecnica operatoria attenta e rispettosa dei tessuti è fondamentale per l'attecchimento degli
innesti. Nella preparazione del letto ricevente sono fondamentali la pulizia con soluzione fisiologica
dopo l'utilizzo di disinfettanti aggressivi, una accurata asportazione del materiale necrotico ed una
perfetta emostasi.
L'utilizzo di adrenalina in corrispondenza del sito donatore o del sito ricevente non compromette
l'attecchimento dell'innesto.
Innesti cutanei a tutto spessore
Gli innesti a tutto spessore sono prelevati con un bisturi. La ferita deve essere misurata, viene
eseguito un modello e questo viene riportato sulla zona donatrice. Normalmente il modello deve
essere ingrendito del 3-5% per compensare l'immediata retrazione cutanea legata alla presenza di
fibre elastiche nel derma.
Il sito donatore viene infiltrato con sluzione anestetica con o senza adrenalina per facilitare il
prelievo. Dopo l'incisione del disegno viene sollevata la cute.
I residui di tessuto adiposo devono essere asportati con una forbice (il tessuto adiposo è poco
vascolarizzato ed impedirebbe il diretto contatto tra il derma dell'innesto ed il letto della ferita).
(Vedi fig. 12) (Vedi fig. 13) (Vedi fig. 14) (Vedi fig. 15) (Vedi fig. 16)
Innesti cutanei a spessore parziale
Gli innesti a spessore parziale vengono prelevati con l'ausilio di particolari strumenti chiamati
Dermatomi. Tali strumenti permettono il rapido prelievo di innesti con dimensioni e spessore
uniforme. Ne esistono munerose varietà e possono essere manuali, elettrici o ad aria. In tutti i casi il
meccanismo è lo stesso: una lama molto affilata viene fatta oscillare rapidamente all'interno di una
struttura che permette al chirurgo di regolare la profondità del prelievo.
A prescindere dal tipo di strumento usato deve essere sempre eseguita infilrazione del sito donatore
con soluzione anestetica con adrenalina al fine di ottenere unadeguata analgesia, un controllo
dell'emostasi ed un maggior turgore dei tessuti che faciliti l'operazione di prelievo.
Dopo la disinfezione del sito è importante l'utilizzo di sostanze lubrificanti che facilitino lo
scorrimento della lama sulla cute (pre es.: paraffina sterile). Queste sostanze debbono essere
asportate dall'innesto dopo il prelievo e non compromettono la sua sopravvivenza.
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Il dermatomo viene tenuto dall'operatore con un angolo di circa 45° rispetto alla superficie cutanea.
Sia l'operatore che l'aiuto devono mantenere la cute del sito donatore tesa mediante appropriata
trazione. Una volta attivato il Dermatomo l'operatore inizia un movimento lento in direzione
anteriore accompagnato da una pressione gentile ma costante per garantire un prelievo uniforme in
spessore. Una volta che sia stata raggiunta la lunghezza desiderata il dermatomo viene allontanato
dalla cute diminuendo l'angolo di incidenza al fine di tagliare la porzione distale dell'innesto, ancora
adesa al sito donatore.
L'innesto viene quindi lavato con soluzione fisiologica al fine di asportare i residui di disinfettante e
di lubrificante e viene avvolto un una garza inumidita con soluzione fisiologica fino al suo utilizzo.
(Vedi fig. 17) (Vedi fig. 18) (Vedi fig. 19)
Innesti a rete
Una volta prelevato, un innesto a spessore parziale può essere trasformato in "innesto a rete" grazie
all'utilizzo dei Mesher. Ciò è ottenuto distendendo l'innesto su di uno speciale supporto e
passandolo attraverso un apposito strumento. I Mesher permettono al chirurgo di stabilire le
dimensioni delle maglie della rete e quindi della espansione dell'innesto con ratio variabili da 1,5:1
fino a 9:1. In pratica, questa operazione permette di espandere la superficie dell'innesto fino a 9
volte.
(Vedi fig. 20) (Vedi fig. 21)
Fissazione dell'innesto
Una volta prelevato l'innesto, dovrebbe essere nuovamente controllata l'emostati nel sito ricevente.
Una volta che ciò sia stato fatto l'innesto deve essere posto sul letto della ferita con il lato dermico
posto inferiormente. Devono essere evitate sia le pieghe sia l'eccessiva trazione che portebbe
portare ad "effetti tenda". L'innesto deve quindi essere fissato al sito ricevente mediante sutura ai
margini per assicurare assoluta stabilità nelle prime fasi dell'attecchimento. A volte può essere
necessario eseguire suture anche nel contesto dell'innesto per assicurare completa aderenza in caso
di concavità del letto ricevente.
I caso di innesti non meshati è possibile eseguire piccoli buchi con una lama 15 o 11 per facilitare il
drenaggio delle secrezioni del sito ricevente.
Medicazione
La medicazione del'innesto è un altro tempo fondamentale per il futuro attecchimento. Deve essere
eseguita in modo di garantire una pressione uniforme su tutto l'innesto con materiale non aderente,
semiocclusivo ed assorbente. Il modo più semplice di ottenere questo risultato è con
l'applicazione di garze non aderenti sovrastate da garze di cotone appena umide disposte
uniformemente e fissate tramite suture disposte radialmente rispetto all'innesto (alternativamente si
possono lasciale lunghi i fili utilizzati per la fissazione dell'innesto ed usarli per la fissazione della
medicazione).
In caso di innesti applicati sugli arti è utile eseguire medicazione compressiva di tutto l'arto per
prevenire l'edema. In caso di superfici mobili è raccomandato l'utilizzo di splint che prevengano i
movimenti da mantenere fino all'attecchimento. (Vedi fig. 22)
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Fig. 12: Zone di prelievo degli innesti a tutto spessore
Fig. 13: Prelievo di innesto a tutto spessore - disegno preoperatorio
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Fig. 14: Prelievo di innesto a tutto spessore - difetto residuo
Fig. 15: Prelievo di innesto a tutto spessore - chiusura del difetto
Fig. 16: Sgrassamento dell'innesto prelevato
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Fig. 17: Zone di prelievo degli innesti a spessore parziale
Fig. 18: Prelievo di innesto a spessore parziale mediante Dermatomo elettrico
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Fig. 19: Prelievo di innesto a spessore parziale mediante dermatomo elettrico: particolare
dell'innesto prelevato
Fig. 20: Mesher
Fig. 21: Innesto a rete applicato su di un difetto cutaneo
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Fig. 22: Medicazione compressiva - schema
Complicanze
Le complicanze degli innesti sono strettamente legate alle condizioni generali del paziente (pazienti
defedati, arteriopatici, etc…), alle condizioni locoregionali che possono ostacolare il normale
processo di cicatrizzazione e, di conseguenza, a tutte quelle condizioni che possono interferire con il
normale processo di attecchimento precedentemente descritto.
Il sieroma e l’ematoma sono complicanze temibili e piuttosto frequenti della chirurgia degli
innesti. Esse scaturiscono, in genere, da una non rigorosa immobilizzazione e da una errata
compressione dell’innesto stesso, od infine da una cattiva emostasi nell'area ricevente. La
formazione di raccolte ematiche e/o sierose, anche modeste, può determinare uno scollamento delle
superfici di contatto ed un mancato attecchimento parziale o totale dell’innesto.
L’infezione è un’altra complicanza frequente degli innesti; essa può essere determinata dalla
presenza di infezioni locali non trattate adeguatamente o misconosciute che non solo impediscono
l’attecchimento ma, se trattate in modo non radicale, possono recidivare determinando, in tempi
successivi, la progressiva distruzione dell’epitelio, anche se ben attecchito (melting graft wound
syndrome).
Le precedenti complicanze, insieme a tutte quelle condizioni dell’area ricevente che compromettano
la possibilità di rivascolarizzazione (aree radiodermitiche, zone necrotiche, etc…) possono portare
alla più temibile delle complicanze della chirurgia degli innesti: la necrosi. Essa può essere parziale
o totale, la prima può essere trattata mediante escarectomia della zona necrotica ed eventuale
posizionamento di un nuovo innesto o, in alternativa, guarigione della zona interessata per seconda
intenzione. La necrosi totale invece richiede la ripetizione completa dell'intervento.
Altre complicanze minori ed a lungo termine degli innesti possono essere le ipo o
iperpigmentazione, discromie ed ipoestesie di diversa natura e grado.
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Prognosi
Guarigione delle aree innestate
Come già ampiamente trattato nel paragrafo "Fisiopatologia" di questo capitolo, un innesto cutaneo
necessita circa cinque giorni per l'attecchimento (minor tempo per gli innesti a spessore parziale
sottili, più tempo per gli innesti a spessore totale). Al termine di tale periodo di tempo viene rimossa
la medicazione compressiva ed assorbente allestita in sala operatoria. E' buona norma in questa fase
evitare ancora l'utilizzo di disinfettanti aggressivi che potrebbero danneggiare l'epitelio. Le
eventuali zone in cui l'innesto non sia attecchito verranno trattate come piccole ulcere in via di
guarigione.
Guarigione delle aree donatrici
La guarigione delle zone donatrici degli innesti varia a seconda dello spessore del prelievo. Nel caso
di innesti sottili sono necessarie 2 settimane, mentre per gli innesti a spessore medio e spesso
possono essere necessarie anche più di 3 settimane. Per gli innesti a tutto spessore invece la
guarigione spontanea avviene per seconda intenzione; pertanto tali innesti vengono prelevati solo
di dimensioni tali da permettere un facile accostamento dei margini ed una guarigione per prima
intenzione. In alternativa l’area di prelievo può essere ricoperta da un innesto a spessore sottile.