Interpretazione dei sogni

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Interpretazione dei sogni
Interpretazione dei sogni
Ho bisogno di scrutare dentro di me e nell’animo delle persone che mi stanno accanto. E il
momento migliore per scrutare è quando si sogna, quando l’anima si fa nuda.
Mi è capitato di leggere il libro “Inchiesta su Maria”, di Corrado Augias e Marco Vannini.
Leggo alcuni passi significativi sul tema dei sogni e delle visioni.
Sotto la guida di Furio Camillo, i Romani conquistarono la città di Veio. Dopo il saccheggio,
scrive lo storico Plutarco, Camillo decise di portare a Roma la statua di Era, cioè Giunone, la
moglie di Giove. Fu in quel momento che la statua pronunciò queste parole: “Voglio e accetto”.
Le antiche storie sono piene di statue che emanano gocce di sudore, di immagini divine che
gemono, o che volgono il capo o chiudono gli occhi.
Sono indubbiamente sintomi di un bisogno: rendere vicina e umana una divinità.
Plutarco aggiunse: “In siffatte questioni tanto una credulità fanatica, quanto un’eccessiva
incredulità sono ugualmente pericolose, data la debolezza della natura umana. Essa non sa porsi
dei limiti e dominarsi, ma s’abbandona ora a una vana superstizione, ora a uno sprezzante
disdegno degli dei”.
Plutarco, nella sua opera “La mancanza degli oracoli”, si interroga sul perché gli dei non
pronuncino più oracoli. La risposta è che gli dei ci sono sempre, ma è venuta meno la fede.
Comunque, visioni, apparizioni, sogni, evocazione di morti, sono una presenza costante in
tutta la cultura antica.
La cultura antica aveva intuito la parentela profonda fra il sogno e la visione.
Il filosofo Eraclito aveva così sentenziato: “Chi è sveglio partecipa al mondo comune, chi
sogna si rifugia in uno suo proprio”.
Oggi noi sappiamo che i sogni emergono dal profondo della nostra coscienza.
Gli antichi pensavano che i sogni prendessero origine da quella che potremmo chiamare la
“oscura luminosità” del divino. Non escludevano la profondità dell’inconscio che i neoplatonici
chiamavano la profondità dell’anima.
In un papiro egiziano si legge: “Dio ha creato le medicine per guarire le malattie, il vino
per guarire la tristezza e ha creato i sogni per guidare chi è cieco nel cammino della vita”.
Il neoplatonico Giamblico scriveva che durante il sonno quella parte dell’anima che non
dipende dal corpo, può liberarsi dai legami sensibili e ascoltare la voce della divinità.
Nel “Trattato di dietetica” di Ippocrate si elenca tutta una sintomatologia del sogno unita
ad una sua possibile utilizzazione diagnostica e terapeutica.
Gli antichi, senza bisogno di Freud, avevano scoperto quasi tutto sui sogni.
Lucrezio, nel suo libro “De rerum natura”, scriveva che dobbiamo spiegare gli eventi
sempre razionalmente, ma col cosiddetto “metodo molteplice”, ossia ammettendo la possibilità di
diverse spiegazioni, quando non siamo certi di avere quella giusta.
Il IV libro di Lucrezio comprende una settantina di versi indimenticabili sui sogni degli
animali e degli uomini, sui sogni erotici, sugli incubi, sui fantasmi e sui desideri.
Compito del poeta e del filosofo è quello di indagare sempre la natura delle cose.
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La realtà è che i sogni raramente danno i numeri giusti per vincere alla lotteria e ancora
più di rado mettono in comunicazione con la divinità.
I sogni permettono agli strati più riposti della coscienza di affiorare. In taluni frammenti
slegati, inverosimili, di azioni o di dialoghi, c’è una parte di noi, qualcosa che avevamo ricacciato
nel più profondo di noi stessi.
Le apparizioni, le visioni sono parenti stretti dei sogni e, in quanto tali, potenti rivelatrici
sullo stato d’animo del visionario.
Quando si parla di queste cose emergono due posizioni pre-giudiziali: quella di tipo
positivista, scientista, che considera tali fenomeni bugie o patologie; quella fideista che invece le
ritiene rivelazioni soprannaturali. Da ciò nasce il dualismo naturale-soprannaturale.
Va detto che all’origine di molti fenomeni, cosiddetti paranormali, ci sono dati non
comprovabili, che superano cioè le nostre conoscenze, senza che per questo li si debba ascrivere
al soprannaturale, al divino.
Del resto, anche la fisica ci dice che la materia nella forma conosciuta rappresenta solo il
6% del totale esistente. Gran parte di essa si trova nella forma di una materia sconosciuta,
chiamata “materia oscura ed energia oscura”.
Siamo circondati dall’ignoto.
Per quanto riguarda le visioni, va detto che i soggetti interessati non simulano o mentono:
vedono davvero ciò che dicono di vedere. Ma le loro visioni scaturiscono da loro interno, dai
desideri repressi, dagli aspetti irrisolti della loro coscienza profonda, della loro vita, da una
sessualità repressa, dalla crudeltà delle pene provate, dunque dal bisogno di alleviarle, per
riuscire a sopravvivere.
In merito, v’è da dire che la scienza sa di non dire cose vere, ma semplicemente esatte. La
mistica, invece, tratta come vere le visioni che sono semplicemente ottenute dalla soggettività
di chi le produce. Il problema è di non confondere questo tipo di soggettività con la verità.
La conoscenza scientifica è fenomenica, sperimentale, fallibile. Ma è anche verificabile. E
proprio questo che distingue la scienza dal dogma.
Ciò che mi piace della scienza è la possibile provvisorietà dei risultati. Viene da qui quell’ansia
di verifica, il bisogno di conoscenze ulteriori e di continuare a cercare in vista di successivi
traguardi.
Efficace l’esortazione di Ulisse ai suoi compagni di viaggio:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir vertute e canoscenza”
Troppo spesso dimentichiamo chi siamo e da dove veniamo e il fine della nostra esistenza.
Viviamo come bruti, avviliti da una sfrenata voglia di avere e non di essere!
Antonio Pappalardo
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