L`agricoltura al tempo dei romani

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L`agricoltura al tempo dei romani
L’agricoltura al tempo dei romani
Agricoltura
Occupazione prevalente
Ritenuta molto importante:
Gestito da:
De agri coltura
Pater Familias
Coloni
Latifondisti
Schiavi
Lavoravano tutto l’anno
Inverno/brutto tempo
Estate/bel tempo
Lavori interni
Lavori esterni
Agricoltura:
Quando i romani iniziarono a sottomettere le popolazioni italiche definirono le terre conquistate col
termine di "agro pubblico".
Una parte di questi terreni veniva divisa in centurie, cioè in rettangoli più o meno equivalenti,
destinati ad essere assegnati ai coloni-soldati, che di mestiere facevano i contadini e che su questi
lotti praticavano sostanzialmente un'agricoltura di sussistenza
Altri terreni potevano essere affittati a cittadini privati, che quindi li gestivano, anche potendo
trasmetterli in via ereditaria, senza averne la proprietà, che restava statale.
I processi di colonizzazione spesso coincidevano con migrazioni interne quasi bibliche, in quanto i
romani cacciavano gli esuberi relativi alle popolazioni autoctone: p.es. 40.000 liguri apuani, appena
vinti, furono trasferiti nelle campagne attorno a Benevento.
Fu soprattutto dopo le guerre puniche che alcuni ceti (i patrizi) si arricchirono enormemente,
trasformando il demanio pubblico in proprietà privata. Il processo di concentrazione terriera nelle
mani di pochi privilegiati non trovò ostacoli neppure con le vicende dei Gracchi e praticamente
determinò la crisi irreversibile della piccola proprietà contadina libera.
Pater Familias:
Il pater familias disponeva della patria potestas e la esercitava per mantenere unita la proprietà
famigliare, la res, composta da cose ed esseri viventi, fossero schiavi o liberi, uomini o donne.
Questo gli garantiva piena libertà nella nomina degli eredi e nella direzione della vita dei famigliari, al
fine di evitare che alla sua morte il patrimonio venisse diviso in parti uguali tra tutti i figli legittimi o
sprecato in doti troppo frequenti alle figlie. Ciò significava decidere chi si doveva sposare e uscire
dalla famiglia, e soprattutto stabilire di quali beni (peculium) dovessero godere i figli adulti,ma anche
gli schiavi, per le loro spese o attività economiche, dato che guadagni, doni o eredità dei membri
della famiglia appartenevano comunque al padre. Il rischio di essere diseredati o di una riduzione del
peculium era molto più concreto del famigerato ius vitae necisque (il “diritto di vita e di morte”) che
sembra caratterizzare in tutta la sua violenza questa fase della società romana. E’ comunque
indubbio che i rapporti fra pater e gli altri membri della famigli fossero improntati al massimo
autoritarismo, il che spiega la presenza di una conflittualità costante tra padri e figli in tutta la storia
della repubblica. I romani peraltro ritenevano questa durissima forma di autorità una virtù, e con essa
colorarono molte storie di età repubblica sulla severità di padri che uccisero i figli eroici in guerra, ma
troppo indipendenti e quindi colpevoli di disobbedienza.
Coloni:
La figura del colono iniziò a diffondersi al tempo dei romani durante la crisi economica e sociale del
III secolo d.C. Il coloni erano generalmente schiavi liberati oppure contadini liberi che troppo
impoveriti, erano disposti ad andare a lavorare in affitto presso le grandi e più ricche villae.
Quando un uomo andava a chiedere ad un padrone di lavorare per lui una volta assunto gli veniva
associato un appezzamento di terra che doveva lavorare fino alla morte e nel caso in cui per
qualsiasi motivo il proprietario del campo vendeva la sua terra, compresa nella vendita c’era anche il
colono. Questi uomini offrivano il loro lavoro in cambio di protezione.
Latifondisti:
Dal II secolo a.C., quando ebbe inizio la distribuzione dell'ager publicus, fino a tutto il I secolo d.C.
l'agricoltura romana ebbe al suo centro il sistema della villa schiavistica, di dimensioni abbastanza
contenute, secondo i precetti del De agri cultura di Catone il Censore; l'abbondante produzione di
vino e olio fece la fortuna dei proprietari terrieri, che non seppero resistere alla tentazione di
annettere al proprio altri terreni limitrofi, creando così veri e propri latifondi. Il fenomeno si accrebbe
soprattutto a partire dal II secolo d.C., ma doveva presentare un preoccupante rilievo già nella
seconda metà del secolo precedente se Plinio il vecchio sosteneva che 'i latifondi avevano rovinato
l'Italia'.
Con la tarda età imperiale (III-V secolo d.C.) i latifondisti accrebbero il loro potere, arrivando a gestire
le loro proprietà in assoluto disprezzo del controllo statale, anticipando quasi alcuni aspetti della
società feudale; contemporaneamente i coloni, sempre più sfruttati e impoveriti, assumevano le
caratteristiche dei servi della gleba d'epoca medievale.
Schiavi:
La manodopera servile nella romanità doveva essere rigorosamente schiavile, organizzata in
squadre controllate da due villici, maschio e femmina, che, pur essendo schiavi, svolgevano la
funzione responsabile di un fattore.
Come si sa gli schiavi fin dai tempi più antichi erano molto diffusi e utilizzati per svolgere i lavori più
pesanti anche se tuttavia pochi privilegiati, generalmente nel caso di persone colte, venivano
impiegati per lavori d’ufficio o per l’istruzione dei figli del padrone.
Un uomo diventava schiavo nel caso in cui non era in grado di pagare i tributi o i prestiti che gli
venivano concessi o nel caso in cui venisse fatto prigioniero durante qualche guerra.
Una volta diventato schiavo un uomo non poteva ritornare al suo stato sociale originario e tutti i suoi
figli nascevano schiavi, raramente, nel caso di un padrone particolarmente onesto……
Lavori interni:
Lavori esterni:
De agri coltura:
Il più antico manuale riguardo la vita agreste è il De agri coltura di Marco Porzio Catone (234-149
a.C.). Il testo è costituito da una raccolta di consigli sulla conduzione dell'azienda, sulla coltivazione
dei campi, sull'allevamento, sulle pratiche enologiche ed olearie, sull'arte culinaria, ripartiti in
centoventi paragrafi privi, nella loro successione, di alcun disegno organico.
Più che un podere familiare, l'azienda descritta da Catone è un'autentica impresa agraria. Negli anni
in cui la politica di conquista sta portando la sfera del dominio romano ad assumere dimensioni
continentali, l'agricoltura latina mostra i primi segni di quella trasformazione in agricoltura mercantile
che si compirà in età imperiale. Tale processo si realizza nello sviluppo parallelo di due fenomeni:
l'ampliarsi delle dimensioni aziendali e lo specializzarsi di ogni azienda (in Italia e nelle regioni
conquistate) in un settore specifico di produzione. Rivolgendo la sua attenzione a quelli che già
appaiono come i due settori caratteristici dell'agricoltura italica, Catone si preoccupa soprattutto di
dettare le norme per la conduzione di un'azienda olivicola e di una viticola. A partire infatti dalla metà
del III secolo a.C., e soprattutto dopo la guerra annibalica, lo sviluppo storico portò ad un generale
regresso della cerealicoltura italica e quindi alla rovina dei piccoli proprietari. Estese superfici di
terreno, un tempo occupate da poderi contadini, furono convertite in pascoli ed adibite
all'allevamento di grosse mandrie bovine ed ovine. Mentre nelle immediate vicinanze delle grandi
città si poteva praticare su scala ridotta l'orticoltura, le coltivazioni della vite e dell'olivo - che
richiedevano l'impiego di ingenti capitali - erano accessibili solo alle grandi aziende agrarie.
Sfruttando senza risparmio gli schiavi, e approfittando di un terreno molto adatto alle colture arboree
come quello italico, in queste aziende si potevano ottenere rendite elevate.
Sitografia:
L'agricoltura romana fra Catone e Varrone
Documenti sull’agricoltura dei romani
Latifondo - MSN Encarta
Bibliografia:
“La nuova storia antica e medievale” edizioni scolastiche Bruno Mondadori