della menzogna
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EE EDITORIALE EDI RIALE Di Massimo Vallini adesso, non si è dissociato: ha Il gruppo, per eluso le domande. Ha fatto quadrato ed è comprensibile, ma la regola dell’omertà non deve più regnare. Lo spettacolarizzazione della menzogna L o confesso, in passato ho espresso qualche apprezzamento (senza esagerare) per Lance Armstrong. Me ne pento pubblicamente. D’altra parte che ne sappiamo noi? Tutti noi. Possiamo soltanto sentirci defraudati di quello che è il puro spirito sportivo. Nella sua confessione televisiva sulle poltrone di Oprah Winfrey, invece, Armstrong non si è davvero pentito. Si è mosso con la consueta e consumata abilità dell’uomo che ha ben presenti le conseguenze delle sue azioni. Ma è malato di protagonismo e ancora di agonismo. Vorrebbe disputare la maratona di Chicago, a cinquant’anni, quindi nel 2021. Ha ammesso che se non fosse ritornato alle corse, dopo il ritiro del 2005, non sarebbe successo niente e le sue menzogne avrebbero retto. E ha detto anche che si è dopato prima del 1996, quando si ammalò di cancro, e dopo, fino al 2005. Risultando per niente credibile, visto che i suoi valori di ematocrito, nel Tour del 2009, sono quantomeno sospetti. Dunque, a cosa serve il “pentimento” di Armstrong? Ancora una volta per salvare il sistema, senza coinvolgere altri: l’Uci che non sapeva, Michele Ferrari che è bravo e intelligente, la sua squadra della Us Postal che non obbligava i suoi compagni a doparsi. Certo, Armstrong si deve scusare con tanti e avrebbe dovuto farlo prima: sono parole sue... belle parole e anche qualche lacrimuccia. Di certo Armstrong ha modificato profondamente la sua linea difensiva. Dopo aver sempre negato tutto, ora l’ex vincitore di sette Tour de France vorrebbe collaborare con gli inquirenti dell’agenzia antidoping statunitense che l’ha smascherato. Secondo il teorema di Armstrong, il ciclismo tra fine anni Novanta e metà Duemila pretendeva il doping: “Qualcuno dice che c’erano 200 corridori al Tour e forse 5 non si dopavano...”. “Dal mio punto di vista doparsi era come mettere aria nelle gomme o acqua nelle borracce: lo facevano tutti...”. “Non merito la condanna a morte”, ha aggiunto. Quella forse no, ma la squalifica a vita certamente sì. Senza se e senza ma. Armstrong adesso si sentirà meglio, più libero. Ma questo gli deve bastare: la riabilitazione, semmai, verrà in un secondo tempo. Perché il gruppo, per adesso, non si è dissociato: ha eluso le domande. Ha fatto quadrato ed è comprensibile, ma la regola dell’omertà non deve più regnare. Anche Nicole Cooke si è sfogata soltanto dopo aver annunciato il ritiro. La sua, di esperienza, deve essere amplificata, per come la vedo io. La campionessa gallese che in carriera ha vinto Mondiale, Olimpiade, Giro, Tour e due volte la Coppa del mondo, ha lasciato dopo 11 anni di professionismo e ha scritto una lunga lettera, che trasmette la sua passione e l’amarezza per come va il ciclismo. Quello femminile è in grande crisi: “L’Uci ha passato gli ultimi 10 anni cercando di difendere Armstrong, lasciando che il ciclismo si sbriciolasse”. “Dopo lo scandalo Festina nel 1998, il doping era evidente e c’era già l’astro nascente Armstrong”. “Tyler Hamilton farà più soldi con un libro in cui descrive come abbia imbrogliato, che io dopo anni di sacrifici e duro, onesto lavoro”. La Cooke racconta di essersi sempre opposta a quanti le consigliavano farmaci. “Tanti ciclisti giustificano l’uso di doping con l’eccessiva pressione dei team, e io mi chiedo: troppe pressioni per cosa? Doparsi vuol dire rubare. Il furto è sempre esistito, ma se altri lo fanno non vuol dire che devi farlo anche tu. Non ci può essere giustificazione”. “Io ho corso in un periodo buio per questo sport, però sono orgogliosa di aver corso e vinto sempre onestamente, anche se a volte questo mi è costato parecchio”. “Se vuole ripulirsi il ciclismo maschile dovrebbe cominciare a considerare la riduzione dei chilometraggi”. Sono stata derubata da quelle persone che hanno usato il doping e a causa loro ci sono tante persone che hanno dovuto lasciare questo mondo dopo anni di duro lavoro e di scarsa ricompensa economica”. Ma non c’è solo il doping: “Molte atlete corrono gratis e per altre la ricompensa è costituita dai premi versati in modo capriccioso e ingiusto. Il contratto, per quelle poche atlete di prima fascia che ne hanno uno, è una barzelletta. In 11 anni di carriera ho dovuto portare in tribunale 4 squadre per far rispettare i miei diritti”. Credo più a Nicole Cooke che a Lance Armstrong. Dunque credo, voglio credere che ci possa essere un ciclismo pulito. Urge conferma dai fatti e non le solite, tragiche e dolorose smentite. Febbraio 2013 TO