Hermann Löns - Area privata

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Hermann Löns - Area privata
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Di
Alchemica
IL FIUME ROSSO
Introduzione e note a cura di Stefano Senesi
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
II
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Hermann Löns
DIE ROTE
BEEKE
S
III
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Introduzione al testo
Hermann Löns, figlio di una generazione di insegnanti, nacque a Kulm - ovest della
Prussia - il 29 agosto del 1866. Suo nonno però sposò una contadina e questo ha indotto il
suo biografo Castelle a credere in una sorta di “influsso” folcloristico sulla vena artistica
del Löns.
In tenera età i suoi genitori si sistemarono presso DeutschKrone, dove suo padre poté
continuare ad insegnare. Nel 1873 divenne presto uno dei migliori studenti in circolazione.
Il suo intenso interesse nella natura lo portò ben presto a cercare la solitudine dei boschi e
delle brughiere circostanti. Durante questi anni la sua attività si focalizzò principalmente
sullo studio degli uccelli, questa la ragione per cui molte delle sue storie narrano di vita
agreste e caccia. Nel 1884 Friedrich Wilhelm Löns venne chiamato ad insegnare a
Münster, nella sua nativa Westphalia. Questo spostamento fu di decisiva importanza per lo
sviluppo del giovane Löns; la casa dei nonni dette lui l’opportunità di ricollegarsi alla
storia della sua famiglia e alle sue radici… le radici di un sassone. Ed è a questo punto che
è giusto introdurre uno di quei racconti che, senza ombra di dubbio, hanno creato il mito
dello scrittore.
“Die Rote Beeke” è una storia facente parte del lavoro di Hermann Löns dal titolo “Mein
braunes Buch” (My Brown Book), opera questa pubblicata nel 1907 e dalle tinte
fortementi provocatorie e anticlericali.
La storia è caratterizzata da incisive condanne verso le forze straniere della Germania, con
uno stile talmente colorito che ha decretato Löns il “poeta della tradizione”. L’atmosfera
che regna nel racconto è singolare e sinistra; c’è aria di resistenza, ma anche di
rassegnazione. Tutto è terribilmente reale. La lunga disputa tra franchi e sassoni giunge ad
un epilogo tremendo, compromettendo per sempre quello che di buono era stato fatto per la
pacifica - e forse impossibile - convivenza tra paganesimo e cristianesimo. Che fine hanno
fatto coloro che hanno dato la vita piuttosto che convertirsi? Perché questa storia è stata
sepolta e tutti ignorano che sia accaduta?
Il titolo tradotto “Il Fiume Rosso” indica il ruscello nel quale scorre con il sangue dei
comandanti Sassoni, giustiziati dai seguaci di Carlo Magno col desiderio di annientare le
propaggini pagane, radicate nella cultura sacrale di Teutoburgo.
IV
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Meglio morti che schiavi
Alla morte di Pipino Il Breve, uno dei suoi bastardi, Carlo, che la Chiesa chiamerà
Magnus, il futuro Carlo Magno allora ventiseienne, ereditò un territorio dall’estremità
orientale della Turingia e del nord della Frisia fino alla Guascogna. Nel 771, alla morte di
suo fratello, egli dominò su tutto il regno di suo padre. Nel 778 i Sassoni si ribellarono.
Guidati dall’audace capo Witukind (o Witikind: in antico sassone “il bianco fanciullo”),
forzano le frontiere del regno franco. Carlo Magno organizzò immediatamente delle
spedizioni punitive. Ma nel 782 un’armata franca fu sorpresa dai Sassoni e fatta a pezzi ai
piedi del Suntelgebirge, sulla riva est del Weser. Due dei tra generali che la comandavano
restarono sul terreno. La risposta di Carlo Magno fu di un’inaudita ferocia. Raggiunto il
suo esercito, egli sconfisse i Sassoni a Verden, vicino alla confluenza del Weser e
dell’Aller. L’eccidio in questione si consumò presso Externsteine in un solo giorno, dove
vennero decapitati 4500 primogeniti delle più nobili famiglie sassoni*.
Dal 783 al 785 gli scontri ripresero violenti. Carlo Magno si accanì e trionfò sulle ultime
resistenze nel 785. All’assemblea generale di Paderborn Witukind fu costretto ad
arrendersi. Un capitolare impiantò in Sassonia la civiltà franca e la religione cristiana. Esso
dispose che “ogni Sassone non battezzato, che cercherà di nascondersi ai suoi compatrioti e
che rifiuterà di farsi amministrare il battesimo, sarà messo a morte”.
E’ difficile riproporre oggi questa storia, dopo secoli e secoli di distruzione mentale
sistematica da parte del fanatismo giudaico-cristiano. A testimonianza di questa crociata
contro l’Europa rimane il santuario dissacrato delle Externsteine. Il luogo dove si
svolgevano antichissimi culti millenari e dove i simboli della religione pagana sono stati
occultati, presenta alla base di una delle rocce sacre la Deposizione dalla croce. Risalente
al 1220 ca., ad opera di monaci cistercensi, propone la figura dell’Irminsul, l’axis
mundi venerato dai pagani piegato, sul quale Nicodemo sale per staccare il corpo di Cristo
dalla croce. E’ facile individuare in questa semplice raffigurazione la simbolica
rappresentazione del potere del Verbo che ha piegato il paganesimo, soffocandone la sua
atavica vitalità. Ma non è il caso di dilungarsi qui su questo argomento, che esigerebbe
decisamente troppe parole. Basti dire che ad osservare il sito roccioso di Externsteine con
la sua struttura, il pagano con il suo animismo ritorna prorompente, e pare vibrare nelle
tradizioni, nelle leggende, nella forma dei grandi massi. E allora l’Irminsul piegato pare
risollevarsi…
*A Verden, 4500 pietre infisse, provenienti dalla regione di Luneburg, commemorano oggi il loro ricordo. Le si
può vedere al Sachsenhain, due chilometri a nord della città.
V
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Der Wehrwolf
Per comprendere meglio il significato del racconto, è bene soffermarsi un attimo sulla
figura del “lupo”.
Il Wehrwolf è senza dubbio il più grande successo di Hermann Löns come romanziere e
racconta della stessa tribù che combattè Carlo Magno sotto Witukind, con la peculiarità
che la storia si svolge 800 anni dopo.
Il romanzo, ambientato sullo sfondo della Guerra dei Trent’anni che vide per decenni le
truppe imperiali scontrarsi con gli Svedesi e con altre fazioni in costante lotta tra loro,
racconta le vicende di un gruppo di contadini di Oedringen (luogo appartenente alla
geografia letterario dell’autore ma collocabile nella landa di Luneburgo) i quali, dopo una
serie di gravissimi fatti che videro coinvolti i loro beni e le loro famiglie, decidono di
cominciare a difendersi, catturando e uccidendo tutti coloro che in qualunque modo
minaccino le fattorie e la vita della comunità. Alla violenza dei soldati risponde una
violenza non meno feroce dei contadini e l’orrore è tale che gli abitanti di Oedringen non
possono più permettersi il lusso di valutare i singoli casi: chiunque entra nel loro territorio,
sia uno zingaro, un mercenario o un forestiero in cerca di guai, viene ucciso. Il contadino
Wulf è il personaggio principale del romanzo; lui rappresenta di volta in volta l’uomo mite
e lavoratore a cui uomini senza anima hanno strappato tutto con una violenza
incomprensibile; ma Wulf è anche il guerriero e il condottiero, il rappresentante della
comunità e il marito devoto. Fu proprio dalla sua vendetta privata che prese vita l’epopea
dei contadini di Oedringen i quali, dopo numerose battaglie, si diedero il nome di
Wehrwolf (“lupi da difesa”, ma anche “lupi mannari”). Wehr, deriva dal verbo wehren che
significa “difendere”.
I contadini di Oedringen, che né a Varo né a Carlo Magno consegnarono la propria libertà,
sono l’esempio di come il sangue dei Sassoni non sia scorso invano.
La fine di Löns
Caduto nella Grande Guerra il 26 settembre del 1914 nei pressi di Reims, i suoi resti
furono ritrovati solo nel 1933; erano stati sepolti velocemente durante i primi
combattimenti del 1914. Le sue ossa ricevettero una semplice cerimonia militare vicino
Fallingbostel nella sua amata brughiera di Lüneburg, l’area che ha dato vita ai suoi più
grandi capolavori.
Il poeta, romanziere e conservatore, avrebbe preferito uscire di scena nel migliore dei
modi, come confermano i versi di un suo poema del 1912:
VI
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Il Canto della Sera
E se le cose dovessero finire, allora lasciatemi solo,
tutto solo sulla brughiera deserta,
Senza ascoltare o vedere ancora,
ad inaridire come un osso di un animale morto.
Il grigio muschio della brughiera dovrà essere il mio letto di morte,
Con il corvo che canta la mia litania funebre
La campana da morto suonata dalla tempesta
Dovrò esser sepolto dal bruco e dal coleottero
E sulla mia tomba nessuno dovrà stare
Nessun cumolo di terra
Nessuna corona
E nessuna lacrima dovrà esser versata
Non voglio sentire e vedere più niente
Solo a marcire come le foglie e l’erba dei prati
Non voglio una lapide né un mucchio di terra
Solo sparire senza lasciare rumore e traccia.
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Bibliografia:
Herman Wirth, Ura Linda, Ed. Barbarossa 1989 CN
J. Buckley, C. Clearly, M. Moynihan, Tyr vol. 1, Ultra 2002 USA
Massimo Centini, Guida Insolita, Newton & Compton 2000 Roma
Stefano Senesi
VII
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
1866-1914)
VIII
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Il fiume rosso
"Dem deutschen Mannen gereicht’s zum Ruhm, Dass sie gehasst das Christentum,
Bis Herrn Carolus’ leidigem Degen Die elden Sachsen unterlegen.”
(E’ gloria degli uomini della Germania aver odiato il Cristianesimo
fino al giorno in cui i nobili Sassoni dovettero soccombere sotto la spada di Carlo).
Goethe “Goethes Sprueche” Werke Band 1, Wegner Verlag, Hamburg 1969.
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I
l sole del mattino brilla come oro sulla brughiera, avvolge con il suo splendore
ramato i tronchi maestosi, i germogli, i cespugli. Dal villaggio sul fiume, un
giovane avanza, lentamente sale sul monte Heid; la sua bruna mano destra
impugna una lunga ascia. Sulla cima del monte si ferma e guarda intorno
appoggiandosi al ferro. Sopra di lui, sopra i prati, danzano e s’inseguono le nuvole, egli
deve attendere. Segue con lo sguardo il sole e i corvi che gli volano attorno. Oggi volano
molti corvi e tutti seguono la stessa via, e sopra di loro volano le aquile.
Il giovane piega leggermente la testa di lato e ascolta il rumore proveniente dalla
brughiera. Si volta e vede avvicinarsi qualcuno. E’ alto e magro, i suoi capelli rossi
brillano al sole; sulla schiena ha un sacchetto di pelo e sulla spalla destra un mantello di
pelle.
Sa gracchiare come il corvo, verseggia come il gufo, stride come il falco, gorgheggia come
la ghiandaia, trilla come l’astore e fischia come il fringuello. Il giovane contadino sorride;
conosce il viandante, è Renke, il giocoliere, il cantastorie, il buffone senza casa amico di
tutti. “Buon giorno figlio di Beekmann - grida lo straniero forte - Resta lassù, Lür caro, e
risparmia le tue gambe; ho già controllato le tue trappole per i lupi: tre sono già catturati e
ho provveduto io ad ammazzarli. Ma dimmi come va? Come stanno tuo padre, tua madre e
Hille del Brinkhof?”
Sorridendo Lür stringe la mano affusolata e abbronzata del viandante. “Ti ringrazio Renke,
va tutto bene a casa mia e dai Brink, ma s’è fatto tardi: senti, abbiamo ancora del grummet
a casa, lo andiamo a prendere, ci canti qualcosa e poi rimani da noi!”.
Il malizioso viso di Renke diviene ad un tratto serio. “Non è tempo di giochi, Lür, ma
tempo di battaglia. Non è tempo di canzoni figliolo, bensì tempo di morte. Non posso
cantare davvero. Pensate a cacciare i cavalli selvaggi dalla brughiera, accompagnate il
bestiame alla palude e nascondetevi, nascondetevi tutti, ché i Franchi non vi trovino!”.
IX
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
“Sì, ormai è tempo! Sì, i corvi volano, le aquile migrano verso Occidente. Devo fare in
fretta. Devo suonare… devo suonare il violino ad una danza, laggiù vicino al grande
Traghetto (1), una danza per quelle teste che voleranno nella sabbia.”
“E’ il sole quella sfera vermiglia, oppure è una testa mozzata? E’ la brughiera
quell’insieme di macchie rosse laggiù oppure è sangue?”
“Ragazzo, ti dico, corri via al più presto: il Re
Carlo è su quel Traghetto e sta giudicando
migliaia e migliaia di uomini. Figliolo, ti dico
che il fiume diventerà per tre giorni rosso e tutti
i pesci che ci vivono si allontaneranno, nessun
animale berrà più la sua acqua e le rane
verranno tutte sulla terra ferma.”
“Corri ragazzo e scompari per tre giorni. Io
devo proseguire; Renke deve andare al
Traghetto; Renke il giocoliere, Renke il
cantastorie deve andare così che il sole mostri
ancora il suo sorriso”. Egli guarda verso il sole e
sputa poi nella sua direzione, mentre Lür scende
di corsa il sentiero.
Il cantastorie si addentra con passi veloci nella
brughiera, i suoi capelli rossi brillano al sole, ma
il suo viso è pallido e teso. Lui, lui che conosce
per nome ogni uccello, che riconosce ogni voce
e richiamo, che è solito conversare con aquile e
gufi, corvi e aironi... proprio lui oggi non sente
il grido del tordo. Col mento chino sul petto, attraversa la campagna, la brughiera, il bosco.
Sempre, tutte le volte che giunge in un villaggio, il viso di Renke s’illumina e ride, gli
occhi si riempiono d’allegria, i suoi passi sono leggeri e quando intravede un uomo, allora
racconta le sue storielle. Oggi però ammonisce e se vede che nel villaggio non c’è nessun
commerciante straniero, nessuno spione servo dei Franchi, mette in guardia gli uomini
dicendo: “I tempi sono duri, i giorni cupi. Il lupo della brughiera vive meglio del
contadino, il legno per la forca è a buon mercato così come la fedeltà è a basso prezzo. Il
tradimento invece è ben pagato”.
X
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Un’ora prima di raggiungere il Traghetto, si
ferma presso un piccolo ruscello; deve mangiare
nonostante il suo cuore sia di ghiaccio e il suo
cervello di fuoco. Lentamente si adagia, taglia il
pane, lentamente mastica, lentamente beve dalla
sua coppa. I suoi occhi, i suoi grandi occhi
azzurri sembrano distanti. Pulisce il coltello nel
muschio e chiude con uno spago il suo sacco di
pelle. Sente qualcosa, tende l’orecchio. E’ un
cavallo che nitrisce oppure un uomo che
chiama? Come una lince Renke salta in piedi,
raccoglie tre pietre dalla sabbia, sotterra
mantello, sacco, scarpe e berretto sotto il
muschio, controlla con le dita inumidite la
direzione del vento, si guarda intorno, guarda il
ruscello, scivola dietro un cespuglio e dopo
essersi sdraiato preme il petto contro la terra.
Ecco che arrivano: alla testa cavalcano tre
uomini, segue un cavaliere franco; venti
contadini camminano dietro a fatica, legati con
una corda. Le loro schiene sono coperte dai
segni della frusta, i capelli biondi sono madidi
di sudore, le loro labbra sono esangui. Dietro
cavalcano altri tre uomini, al loro fianco latrano sei cani da caccia.
Dietro cavalcano altri tre uomini; i cavalieri scendono dai loro destrieri, li abbeverano, si
rinfrescano le fronti e si dissetano. I venti pallidi contadini fissano l’acqua, sono assetati e
terrorizzati. Il cavaliere ride: “Acqua per voi? Per oggi avete avuto da bere a sufficienza
pezzenti! Vero!?”, e salta di nuovo a cavallo tenendo l’elmo in mano.
Renke si morde le labbra dietro il cespuglio e i suoi denti stridono. Lascia ripartire tutti,
poi mette una pietra nel laccio di cuoio e lo gira attorno, fissa di nuovo con gli occhi
sbarrati e la bocca spalancata, la fronte candida del cavaliere e ride piano. Guarda ancora
una volta il ruscello, si arrampica su una quercia e lì ride, ride dentro di sé. Sulla strada i
soldati si agitano come formiche che stanno per essere calpestate: “Che cos’è, cos’è stato?
Hai visto? Avete osservato? Il signore è stato colpito? C’è sangue sulla sua fronte! Il cranio
spaccato! Il sangue!”. Qualcuno ha lanciato una pietra. La pietra è a terra, è rossa.
Assicurano il cavaliere colpito al suo destriero e proseguono. “Non è il grido di un gufo
questo? Un gufo di giorno? Porta male, porta male”. I Franchi sussultano, i contadini legati
XI
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
continuano a camminare urtandosi continuamente. Un gufo urla, un gufo dalle piume
rosse, che può cantare, suonare il violino, raccontare storie allegre e fare scherzi buoni o
cattivi, talvolta sanguinosi. E se pure noi dovessimo perire oggi, anche nella morte,
dovremmo ridere dello scherzo di Renke! Egli è seduto sulla cima della quercia ma non
ride più.
Trema dalla rabbia e mormora tra i denti: “Uno, uno soltanto, uno contro venti che
conoscevo bene, venti al cui tavolo mi sedetti, nelle cui case dormii, il cui pane mangiai,
venti a cui strinsi la mano. Fratelli, miei fratelli,
non vi rivedrò mai più!”. Sulla corteccia della
quercia scivolavano le sue lacrime.
Renke dove hai lasciato le tue lacrime, perché
ridi così allegramente? Il tuo cuore è forse come
il vento prima della pioggia che cambia veloce
la direzione? La rabbia ti ha corrotto l’anima?
Siedi là, tra i servi dei Franchi e le prostitute
renane, bevi il loro vino, mangi il loro pane e
canti le loro canzoni. Canti dove l’aria è aria di
morte, ridi nel posto in cui su tutti gli alberi
stanno i corvi, scherzi e le aquile volteggiano sul
Traghetto. Ma in fondo perché non dovresti
ridere, anche il sole ride e la brughiera è fiorita e
l’acqua è splendente. E’ così bello qui vicino al
Traghetto, così colorato. Il trono per il Re è
coperto di porpora, rivestito di scarlatto d’oro; il
vento agita migliaia di bandiere colorate, su
mille scudi brillano bagliori argentati, l’aria è
piena di nitriti e la chiara estate si attarda
allegra.
Fai largo Renke, arriva il Re! Trenta mori suonano i corni d’oro, altri trenta battono i
tamburi.
Vedi i cammelli con le portantine da cui provengono le risate delle concubine del Re? I
fanciulli con il viso truccato, nani, i giganti, i buffoni, i sapienti, i preti, i cavalieri? I
mercanti italiani, i giocolieri di Roma, le prostitute galliche? I carnefici, i ladri, gli
assassini, gli schiavi in vendita? Vedi il Re? E’ quell’uomo obeso sulla portantina purpurea
con il viso grasso e pallido, senza barba, sostenuto da sei mori, quello a cui due mori fanno
aria con le piume, quello davanti a cui tutti i capi si chinano, colui che ogni bocca acclama.
XII
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Inneggia insieme agli altri Renke! Più forte che puoi! La puttana alla tua sinistra e lo
schiavo di destra ti stanno spiando. Se non esulti con gli altri tra poco la tua testa varrà
quanto il mangime per il pollame. E Renke acclama, grida più forte di quanti gli stanno
intorno. “Evviva! Evviva!”, urla, sventola il berretto e fissa il Re; la sua bocca ride, lui ride
come sa fare. Come quando era nei villaggi della brughiera e i giovani, alla luce delle
fiaccole, ballavano al ritmo del suo violino.
Di fronte al trono purpureo ricoperto d’oro e scarlatto, sei mori si inginocchiano e dalla
lussuosa portantina scende faticosamente, sorretto da forti signori, il Re gemente e
ansimante. Vino e concubine del Sud hanno indebolito le sue membra. I suoi occhi
guardano fisso, le sue labbra sono sottili, durante la notte ha sognato qualcosa di orribile, è
pallido e sotto i suoi occhi ci sono profondi segni blu. Attorno a lui tutte le labbra
sorridono e tutti i cuori tremano. Il Re non è di buon umore; là siedono le teste
predestinate, le 4.500 teste bionde dei contadini, cacciatori, pescatori, pastori, carbonai e
zatterieri che a gruppi di cento, incatenati e imbavagliati, attendono la morte dietro un
recinto.
Il Re si alza dal suo trono purpureo, ricoperto d’oro e scarlatto. Il suo abito candido, orlato
di rosso e giallo, scintilla al sole. Alla sua destra e alla sua sinistra si rannicchiano su
cuscini colorati le sue concubine: la bionda lombarda e la scura provenzale. Attorno al
trono stanno i potenti: i duchi, i segretari, i marescialli, i preti. In un angolo sta, vestito di
una lunga veste verde, il medico moresco che guarda sempre il Re. Un giovane negro
accanto a lui tiene nelle mani uno scrigno con i più diversi medicinali. Due tamburi
risuonano, due corni squillano; un silenzio mortale scende sulle migliaia di uomini che
stanno tutto intorno. Un uomo con una lunga veste nera rifinita d’oro, si avvicina al Re,
s’inchina profondamente e con le mani pallide riceve la grande pergamena da cui pende il
rosso sigillo regale. Due tamburi risuonano, due corni squillano tre volte. Tre volte e tre
volte ancora. L’uomo con la veste nera rifinita d’oro si sposta ossequiosamente a lato del
trono e legge ad alta voce lo scritto. Dalla folla in ascolto non giunge nemmeno un respiro.
L’aspetto dell’uomo vestito di nero è imponente, pronuncia attentamente ogni parola, ma
ciò di cui parla è sangue e morte; il sangue di 4.500 uomini fedeli a se stessi, la morte di
4.500 giusti che abbasserebbero il capo di fronte alla scure piuttosto che di fronte al potere
franco e alla religione straniera. Essi batterono l’esercito franco sul Süntel, impiccarono al
salice l’amministratore di Carlo, offrirono in sacrificio il prete vicino alle grandi pietre (2),
misero il Gallo Rosso (3) sulle case degli esattori, rasero al suolo i presidi e gettarono
Rolande nello stagno del villaggio. Essi sono uomini liberi che vogliono vivere come tali
su terra libera. Diventeranno uomini liberi su terra libera, nella terra in cui non c’è più né
signore né schiavo, né diritto né legge, né fedeltà né tradimento.
XIII
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
Le loro teste rotoleranno nella sabbia, il loro sangue scorrerà nelle fosse e attraverso le
gialle dune dell’arenile fluirà al fiume. 4.500 spose e vedove oggi piangono; oggi aquile e
corvi, lupi e volpi si rallegreranno per il lauto pasto. Renke, se sciogliessi il laccio che hai
sul petto e prendessi la pietra che hai nella borsa e con gli occhi sbarrati e la bocca
spalancata, fissando quella fronte pallida sotto la corona, con un lancio colpissi la testa del
Re dei Franchi macchiando di sangue il volto degli uomini importanti che lo circondano e
la sua veste purpurea, Renke, se tu facessi questo, non saresti vissuto invano. Dall’Ams
all’Elba, in tutti i boschi, su tutte le montagne, in ogni palude e brughiera, in ogni rovo e
cespuglio risuonerebbe un grido, sotto ogni tetto si affilerebbero le lunghe scuri, ad ogni
salice sarebbero fissate le forche, i carri verrebbero ripuliti dalla resina e rimessi a nuovo,
di ogni fuscello si farebbe una fiaccola e da ogni ramo di nocciolo nascerebbe una freccia.
I tamburi suonerebbero tutto il giorno e da mattina a sera si udirebbero i corni. Dal verso
della civetta al canto del gallo risplenderebbero su ogni montagna e collina i rossi fuochi.
Ogni valico sarebbe bloccato dalle pietre, dai tronchi e dai rami. Su tutti i sentieri si
troverebbero le trappole per i lupi con gli affilatissimi picchetti sul fondo. Ogni diga
sarebbe demolita, così che l’acqua divorerebbe ogni villaggio, ogni ponte, ogni foresta e
ogni uomo. E Weking, il condottiero scomparso, sarebbe là, le schiere dei guerrieri si
riunirebbero venendo dall’Ems e dal Lippe, dall’Aller e dal Weser; non un Franco
rimarrebbe vivo: tutti devono finire
sottoterra. Dai rami più alti delle querce
cadranno pietre che fracasseranno le teste
dei dominatori, l’aquila e il corvo
dovrebbero ridere così come il lupo e la
volpe.
Sciogli il laccio Renke, prendi la pietra e
fatti largo tra la folla. E’ tempo ormai.
L’uomo vestito di nero ha or ora finito di
parlare, il Re ha spezzato il ramo bianco
che teneva tra le mani. 4.500 teste sono in
pericolo.
4.500 uomini attendono in silenzio. 9.000
occhi blu fissano disperati. Ma sei bloccato
tra la folla Renke. Migliaia di soldati in
armi stanno di fronte a te, migliaia di
cavalieri si stanno disponendo a destra e a
sinistra, ovunque ci sono spie e traditori.
450 cavalieri vestiti di rosso aspettano
immobili davanti a 450 bianchi ceppi
XIV
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
appena al di sotto del trono. Gli occhi di Renke si allargano e le sue guance divengono
pallide, le labbra sono livide e le dita bianche e fredde. Tra un muro di soldati splendenti
nelle loro corazze e di cavalieri scintillanti, procedono lentamente una fila scura ed una
chiara. La scura è quella dei soldati, la chiara è fatta dalle schiene nude dei condannati. Gli
occhi di Renke si allargano ancora di più e il suo cuore è impietrito. Il respiro nella sua
gola si è fatto sottile e tagliente. I 450 ceppi bianchi sono lì davanti a lui e sopra ognuno di
loro spicca un bagliore argentato. Due tamburi rullano, due corni squillano, un potente
richiamo echeggia. 450 lampi d’argento scintillano sui ceppi.
Ora cento tamburi rullano e cento corni squillano e migliaia di respiri si alzano dalla folla
dei pagani in attesa. Nove volte ancora risuonano i tamburi e i corni insieme, avanti e
avanti, camminano due lunghe file di uomini tra la muraglia di soldati e cavalieri; nove
volte ancora si sente il respiro affannoso dei condannati, nove volte sbattono le scuri sui
ceppi ma questa volta non sono più pulite e lucenti bensì rosse e sudice.
Da dietro una collina arriva una grande nuvola
nera che eclissa il sole. Il vento diventa freddo.
Tutto intorno nella brughiera ululano i lupi. Il
trono purpureo è vuoto, soldati e cavalieri
scintillanti sono scomparsi. La sera cala scura e
tetra sulla terra; davanti alle tende brillano i
fuochi. Uccelli migratori e chiurli fischiettano e
cantano tristemente. Sulla sponda del fiume
siede il giocoliere; guarda l’acqua che scorre. E’
rossa, spessa e appesta l’aria in modo
spaventoso. I pesci vagano tra le teste cercando
acqua pulita. Muto e immobile se ne sta
accovacciato nello stesso posto per tutta la notte,
i suoi occhi non possono chiudersi. Sente il
verso del gufo e il latrato della volpe. I lupi
ululano e le martore guaiscono ed egli siede là,
pensa al futuro e alla vendetta. L’allodola canta,
i tordi svolazzano, Renke si alza, si scuote la
polvere di dosso e risale con le ginocchia
piegate il fiume rosso: oltre la brughiera, oltre il
bosco e la palude. Col grido della civetta
spaventa il gregge al pascolo; le pecore
guardano paurose lo straniero. E’ Renke quello? Renke dalla testa color del rame? Ma i
suoi capelli sono bianco argento. E’ Renke quello, il burlone? Ma la sua risata è
scomparsa. E’ quello Renke, il cantastorie? Ma la sua voce è spezzata.
XV
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
E’ Renke il vendicatore. Respirando profondamente vaga di fattoria in fattoria, di villaggio
in villaggio, di contrada in contrada portando la notizia dell’orribile massacro commesso
vicino al grande traghetto. Mangia veloce un boccone, beve un soma, si riposa per un’ora
su un materasso di paglia e riprende il cammino, avanti con le ginocchia piegate dal Weser
fino all’Ems, dalla brughiera fino alla montagna, dalla montagna fino alla palude, dalla
palude alla costa del mare del Nord.
Renke è ovunque e da nessuna parte, ciò che lo distingue è l’ardente appello alla vendetta e
il grido pieno d’odio. Là dove si scorge il suo capo bianco, gli occhi si sbarrano, le labbra
scoloriscono, i pugni si serrano e le dita diventano artigli. Là dove la sua grave voce
mormora si affilano le scuri, si appuntiscono le frecce, i lunghi coltelli luccicano.
Adesso corrono insieme a Renke migliaia di uomini da fattoria a fattoria, da villaggio a
villaggio, da contrada a contrada, giocolieri, buffoni, cantastorie, musici, prestigiatori,
pastori, cacciatori di lupi, pescatori di salmone, contadini e naviganti. Tutti gli uomini della
contrada attaccata, quelli che erano là vicino al grande Traghetto quando, per ordine del Re
Carlo, l’acqua del fiume divenne rossa.
Chi crede che ora la terra sia tranquilla, dimentica Weking e il canto che veniva intonato
sotto ogni tetto di paglia, il canto dei crudeli carnefici e del fiume rosso.
Hermann Löns
XVI
HERMANN LÖNS – IL FIUME ROSSO
NOTE
1) Nel dialetto dei contadini della LüneburgerHeide, il “grande Traghetto” (Die große
Fähre) è la città di Verden sul fiume Aller, dove avvenne il massacro (Cfr. Hermann Lons,
Der Wehrwolf, p.250, Diederich Verlag, Jena 123) (NdT).
2) Presumibilmente ciò significa che i Sassoni pagani immolarono in onore dei loro dei
missionari cristiani alle Extersteine, le “grandi pietre” presso Horn, luogo di culto
dell’Irminsul (cfr. “Origini” nr. 4) (NdT).
3) Si dichiararono cioè esenti da ogni tributo in quanto tributari del solo Wodan (Odino)
(NdT).
Prefazione e note a cura di Stefano Senesi
Illustrazioni di Werner Graul
Traduzione a cura di V. E.
Der Wehrwolf (1910) disponibile in italiano presso la Herrenhaus Ed.
Si ringraziano gentilmente: Harm Wulf per il suo aiuto indispensabile, Mirko Trabucchi per il lavori cartacei,
Alchemica e Thule Italia per il supporto nella causa.
Anno 2005
XVII