Capitolo II LE ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

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Capitolo II LE ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
Capitolo II LE ATTIVITÀ DI INTERMEDIAZIONE
FINANZIARIA
Sommario
1. La nozione di intermediazione. – 2. L’attività di consulenza. – 3. La gestione del risparmio: gestione collettiva e gestione individuale. – 4. Negoziazione in proprio e negoziazione delegata. – 5. Ricezione e trasmissione di ordini. – 6. La delega di gestione: profili regolamentari. – 7. Gli aspetti operativi. – 8. La sollecitazione del pubblico risparmio
all’investimento e la sollecitazione per la raccolta delle deleghe. – 9. L’offerta fuori sede. –
10. I contratti di intermediazione mobiliare. – 11. L’intermediazione creditizia, mobiliare
ed assicurativa. – 12. La tutela del risparmio. – 13. Internet e intermediazione finanziaria
on line.
1. La nozione di intermediazione
Le nozioni individuate nel capitolo precedente si fondano sul concetto di sistema finanziario e di mercato finanziario 1 inteso come aggregazione di scambi;
lo scambio, come si è illustrato, avviene per il tramite di imprese specializzate
definite intermediari finanziari.
Bisogna, ora, esaminare le attività che tali soggetti possono svolgere per realizzare lo scambio di strumenti finanziari.
Varie sono le forme di scambio:
1
La nozione di mercato finanziario è stata ampiamente descritta in precedenza; la genesi di tale istituto
va rinvenuta nelle forme di finanziamento dell’impresa, che si collegano ai due schemi fondamentali del prestito e del conferimento di capitali alle società. Lo svolgimento di tali attività di finanziamento in un ambito
sempre più ampio e l’ampliarsi delle dimensioni delle imprese hanno determinato la formazione dei mercati,
luoghi in cui le imprese entrano a contatto con una vasta schiera di finanziatori. Il crescere delle dimensioni
delle imprese, infatti, ha reso necessario il ricorso a forme di finanziamento esterne alle imprese stesse, che,
pertanto, hanno dovuto far riferimento ai capitali dei terzi e, quindi, al pubblico risparmio. Per accedere al
pubblico risparmio, però, è necessario l’intervento di un intermediario (Banche o altri intermediari). Sulla
genesi dei mercati finanziari, v. F. Jr. FERRARA-F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano, 2006,
p. 783 ss.).
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│ La responsabilità civile e penale degli intermediari finanziari
a) scambio diretto ed autonomo: il rapporto tra datore e prenditore di risorse finanziarie è diretto e non prevede l’intervento di intermediari;
b) scambio diretto ed assistito: datore e prenditore non comunicano direttamente, ma sono assistiti da un intermediario che ne consente l’incontro. Lo scambio avviene esclusivamente i primi due, l’intermediario non assume una posizione di controparte nei confronti del datore o del prenditore;
c) scambio indiretto o intermediato: non c’è scambio diretto tra le parti che,
pertanto, non divengono parti dirette della negoziazione. Il trasferimento delle
risorse si realizza per il tramite di un circuito indiretto o intermediato, nel quale
intervengono uno o più intermediari. L’intermediario, dunque, diviene debitore
nei confronti del datore principale e creditore nei confronti del prenditore finale
di risorse.
La differenza tra l’ipotesi sub a) e quella sub b) è che, nel primo caso, l’intermediario agisce in nome e per conto del cliente stipulando contratti che producono i loro effetti giuridici direttamente in capo all’interessato; nel secondo caso,
l’intermediario agisce in proprio nome quale titolare dei contratti o strumenti
posti in essere per realizzare il trasferimento delle risorse.
È per tale motivo che tali attività hanno generato due differenti tipologie di
intermediazione: nel caso di scambio diretto ed assistito si parla di intermediazione mobiliare, nel secondo caso di intermediazione creditizia 2.
La presenza degli intermediari finanziari, dunque, è necessaria, dal momento
che proprio questi ultimi consentono ai singoli di accedere agli strumenti finanziari, che, in caso contrario, rimarrebbero collocati in un’aria preclusa. Ne consegue che il sistema finanziario ed il mercato non possono prescindere dagli intermediari e dalla loro attività.
Tale necessità si evince, però, anche da altre considerazioni.
Lo scambio, come detto, è finalizzato al trasferimento di risorse finanziarie
fra le parti interessate. Oggetto dello scambio sono le risorse finanziarie e la proprietà delle stesse per un determinato periodo di tempo.
Lo scambio si realizza tramite contratti che individuano diritti ed obblighi
delle parti contraenti in merito a determinate risorse finanziarie.
Due, dunque, sono le caratteristiche fondamentali dello scambio di risorse
finanziarie: la durata e la incertezza.
Quanto al primo aspetto, è ben evidente che il datore di risorse trasferisce un
2
Di tale distinzione si tratterà approfonditamente in seguito. In sintesi può affermarsi che l’intermediazione creditizia ha ad oggetto titoli di credito, mentre l’intermediazione mobiliare ha ad oggetto valori mobiliari. In tema di valori mobiliari, v. R. LENER, I valori mobiliari, in Trattato di diritto privato, diretto da U.
Rescigno, Utet, Torino, 1985, vol. 16, p. 708 ss.; G. LA VILLA, Il diritto dei valori mobiliari, Egea, Milano,
1993, p. 23 ss.; F. CARBONETTI, Che cos’è un valore mobiliare?, in Giur. comm., 1989, I, p. 280 ss.; G. FERRARINI, I nuovi confini del valore mobiliare, in Giur. comm., 1989, I, p. 741 ss.; E. RIGHINI, I valori mobiliari,
Giuffrè, Milano, 1993.
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capitale nell’immediatezza (effettua una prestazione attuale), mentre il prenditore si impegna ad una restituzione futura del capitale ricevuto; la prestazione
futura include anche il pagamento della remunerazione pattuita in favore del datore di risorse. Si parla, a riguardo, di trasferimento intertemporale.
Quanto all’incertezza, essa deriva dal fatto che la prestazione del datore, in
quanto attuale, è certa, mentre quella del prenditore è aleatoria 3, poiché subordinata al suo comportamento ed alle sue condizioni economiche future, che potranno consentirgli o meno di adempiere alle obbligazioni assunte. La prestazione
differita presenta un carattere di incertezza intrinseco, che può, peraltro, essere
legato anche alle condizioni contrattuali e non solo al comportamento del prenditore (si pensi alle ipotesi di titoli obbligazionari indicizzati o di titoli azionari).
L’incertezza dipende, però, anche dal livello di informazione che il datore ha
fornito al prenditore in merito ai profili di rischio dell’investimento. Quest’ultima
deve presentarsi completa ed affidabile per consentire un investimento responsabile da parte del prenditore, di modo che sappia bilanciare, regolare e modulare il
proprio comportamento rispetto alle esigenze dell’investimento effettuato.
È per tali ragioni che l’attività di consulenza si presenta prodromica rispetto a
qualunque scambio e costituisce un banco di prova fondamentale per il datore
di risorse e per il prenditore.
2. L’attività di consulenza 4
La peculiarità dello scambio di risorse finanziarie impone una informazione
particolarmente completa prima dell’investimento.
3
Il contratto aleatorio (dal latino alea, rischio) è quell’atto negoziale in cui l’entità e/o l’esistenza della/e prestazione/i è collegata ad un elemento incerto, e nei quali, pertanto, il rischio contrattuale è più ampio ed assume rilevanza causale. Entrambe le parti assumono quindi un evento futuro, la cui verificazione
rimane incerta, come fattore chiave del contratto sottoscritto. A tale evento, i contraenti ricollegano gli effetti contrattuali. C.M. BIANCA, Diritto Civile: vol. 3 – Il Contratto, Giuffrè, Milano, 2000; F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, Esi, Napoli, 2003; D. MINUSSI, La Compravendita, EsseLibri, Napoli, 2004.
4
Per effetto del recepimento delle direttive 2004/39/CE e 2006/73/CE (le “direttive MIFID”), la consulenza
in materia di investimenti torna ad essere un servizio d’investimento principale soggetto ad autorizzazione che può
essere svolto unicamente da soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento. Le direttive MIFID introducono una disciplina positiva particolarmente pregnante per il servizio di consulenza in materia di investimenti,
intesa come la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente riguardo uno o più operazioni aventi ad
oggetto strumenti finanziari. L’intermediario deve richiedere ed ottenere dal cliente informazioni concernenti le
conoscenze ed esperienze del cliente stesso, la sua situazione finanziaria e i suoi obbiettivi di investimento, al fine di
individuare e valutare l’adeguatezza delle raccomandazioni da prestare. Il maggior rigore previsto per la consulenza
in materia di investimenti rispetto ad altri servizi di investimento (fatta eccezione per la gestione di portafogli) richiede una delimitazione attenta e precisa degli ambiti soggettivi e oggettivi di applicazione della relativa disciplina.
La MIFID non a caso definisce la consulenza in materia di investimenti come «la prestazione di raccomandazioni
personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione è personalizzata quando è presenta-
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│ La responsabilità civile e penale degli intermediari finanziari
Il datore deve informare il prenditore e quest’ultimo ha l’obbligo di informarsi
in merito ai rischi dell’operazione compiuta ed ai prevedibili esiti della stessa.
Ciò è fondamentale anche ai fini della frantumazione delle responsabilità, poiché il problema della ripartizione dei rischi si collega necessariamente al problema delle responsabilità in caso di fallimento dell’operazione.*
È opportuno che l’informazione sia sempre adeguata al singolo caso e sia tale
da garantire uno scambio consapevole, sia in tema di costi-rischi, sia in tema di
rischi-rendimenti 5.
ta come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una raccomandazione
non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione». Le attività che non rientrano
nella definizione di consulenza in materia di investimenti ai fini MIFID sono: 1) Raccomandazioni non personalizzate; 2) Raccomandazioni destinate al pubblico o diffuse attraverso canali di distribuzione (raccomandazioni generali); 3) Raccomandazioni generiche; 4) Raccomandazione di servizi prestati da altri soggetti; 5) Consulenza strumentale/incidentale; 6) Informazioni generiche relative ad uno strumento o servizio. Obblighi dell’intermediario
sono i seguenti: 1) obbligo di ottenere (e non meramente richiedere, come previsto nel regime previgente) le informazioni necessarie ad effettuare la valutazione di adeguatezza, ovvero, le informazioni riguardanti: a. le caratteristiche essenziali del clienti; b. gli “obiettivi d’investimento” del cliente; c. la situazione finanziaria del cliente; d. le
conoscenze e le esperienze del cliente nel settore di investimento rilevante per il tipo specifico di strumento finanziario; 2) obbligo di effettuare il giudizio di “adeguatezza” e non di semplice appropriatezza; 3) divieto di prestare
consulenza laddove il cliente non abbia fornito le informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza; 4) obbligo di consigliare esclusivamente investimenti che siano adeguati al profilo del cliente.
5
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in Econometrica, 22, 1954, pp. 265-290; L. BUZZACCHI-S. SCHENA, Efficienza ed equità della personalizzazione in un mercato con assicurazione obbligatoria, in Dir. econ. assicurazioni, 1997, p. 2; E.H. CHAMBERLIN, The
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*
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Sicuramente tale problematica investe principalmente il datore di risorse: è
lui che deve fornire l’informazione ed è in ciò che consiste la consulenza.
Peraltro, egli deve fornire informazioni ad un soggetto che nella generalità dei
casi è privo di qualunque notizia in merito e si trova in quella che la dottrina definisce «posizione di asimmetria informativa» 6. Le due parti dello scambio, dunque,
sono in posizioni totalmente asimmetriche, poiché l’una (il datore) ha le informazioni o comunque è tenuta a procurarsi tutte le informazioni possibili (secondo i
canoni di completezza ed affidabilità), mentre l’altra (il prenditore) è priva di
qualsiasi informazione e deve essere informata proprio per il tramite del datore.
L’informazione, però, non deve solo riguardare la fase precontrattuale 7. Essa
deve accompagnare tutto il corso della transazione affinché l’operazione acquiinformation, in American Economic Review, 71, 1981, pp. 393-410; P. SWEEZY, Demand under conditions of
Oligopoly, in The Journal of Politacal Economy, 1939; C. WILSON, The nature of equilibrium in markets with
adverse selection, in Bell Journal of Economics, 11, Spring, 1980, pp. 108-130.
6
In merito, v. ampiamente M. DE MARI-L. SPADA, Intermediari e promotori, Zanichelli, Bologna, 2005, p.
134; G. FORESTIERI-P. MOTTURA, Il sistema finanziario, Egea, Milano, 2005, p. 157.
7
La fase precontrattuale si presenta particolarmente importante nei contratti di intermediazione finanziaria, anche in virtù del fatto che tale fase si presenta piuttosto lunga ed articolata con una serie di obblighi a
carico del datore-intermediario. La necessità di un tempo più o meno lungo per la formazione del consenso e
l’esistenza di vincoli specifici a carico dell’intermediario comportano conseguenze importanti. Accanto al
generico dovere di buone fede e, quindi, alla applicazione in tale fase degli artt. 1175 e 1337 c.c., esistono
obblighi specifici in tema di informazione, correttezza, ponderazione, comunicazione, che sono peculiari di
tale tipologia contrattuale. Tale particolarità si riflette anche sull’istituto della culpa in contrahendo, che consegue a tutte le violazione di tali obblighi e presuppone che una parte si sia comportata scorrettamente durante la fase preparatoria per la conclusione dell’accordo. Ovviamente, come previsto dall’art. 1338 c.c., alla
violazione di tali doveri consegue l’obbligo di risarcimento del danno in capo al soggetto autore della violazione. Sulla responsabilità precontrattuale in generale, v. F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1963; M.L. LOI-F. TESSITORE, Buona fede e responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1975;
D. CARUSO, La culpa in contraendo, Giuffrè, Milano, 1993; G. MERUZZI, La trattativa “maliziosa”, Cedam,
Padova, 2002. Sulla comunicazione ed informazione, v. V. CUFFARO, Profili civilistici del diritto all’informazione, Jovene, Napoli, 1986; G. CORASANITI, Trasparenza, pluralismo, interventi pubblici nella disciplina delle
imprese editoriali, Cedam, Padova, 1988; G. GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, Jovene, Napoli,
1990. La correttezza e la buona fede, in ogni modo, rappresentano le regole fondamentali cui le parti contrattuali devono attenersi e rispondono ad uno stesso criterio che si inserisce nell’ambito del più ampio principio di collaborazione e cooperazione tra le parti. La buona fede rappresenta un obbligo etico di comportamento onesto quale espressione di un principio di solidarietà. La correttezza, invece, come precisato anche
nella Relazione al codice civile, è uno stile morale della persona, che indica spirito di lealtà, abito virile di fermezza, di chiarezza, di coerenza, fedeltà e rispetto di quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono
essere osservati nei rapporti tra consociati (v., sul punto, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Cedam,
Padova, 2006, p. 637). L’asimmetria informativa è una condizione in cui un’informazione rilevante non è
condivisa integralmente fra gli individui facenti parte del processo economico, dunque una parte degli agenti
interessati ha maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa
configurazione. Il concetto viene usato e studiato in economia, dove si suppone la presenza di asimmetrie
informative per spiegare i differenti comportamenti dei soggetti economici. La presenza di asimmetrie informative spiega per esempio perché i risparmiatori preferiscono ricorrere ai servizi di investimento offerti dalle banche benché siano costosi. Rispetto ai risparmiatori, le banche possiedono infatti informazioni migliori su un
maggior numero di possibili investimenti. La minore conoscenza da parte del risparmiatore lo induce quindi a
ricorrere a un operatore specializzato nella raccolta e nell’elaborazione delle informazioni circa i possibili modi
di investire il denaro. Il Potere informativo è, dunque, sinonimo di potere contrattuale ed economico.
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sisca i caratteri della correttezza e della ponderatezza e non può in alcun modo
arrestarsi alla fase iniziale costituendo una costante presente anche nelle fasi
successive. Il datore deve comunicare al prenditore tutti i poteri fornitigli dal
contratto, tutte le clausole contrattuali e soprattutto tutte le eventualità che si
potrebbero verificare nel corso della durata contrattuale (proprio perché si tratta di contratti di durata).
Il prenditore o scambista, dunque, procede allo scambio, in genere, solo quando abbia una informazione completa ed affidabile e solo se le previsioni individuate dal consulente-datore convergano con le sue aspettative.
Va detto, infatti, che il pubblico propende per due finalità peculiari: propensione al rischio e propensione alla liquidità. Ecco perché vi deve essere corrispondenza anche tra le preferenze del prenditore e le possibilità connesse allo scambio.
Ovviamente, in tutto ciò, incide profondamente anche il livello di razionalità
di base del prenditore-scambista, rappresentato dalla sua intelligenza, dal suo
livello culturale, dalla sua formazione, dalla sua informazione e dalle sue conoscenze di base, la frequenza di investimento, ecc.
La dottrina, dunque, discorre al riguardo di un modello di razionalità limitata
del prenditore-investitore, che non ragiona secondo i modelli del mercato finanziario, ma secondo modelli propri che gli consentono in maniera maggiore o
minore di cogliere gli aspetti più significativi delle informazioni fornitegli dal
datore-intermediario.
L’efficienza delle scelte e, dunque, del funzionamento del mercato dipende
anche da ciò che contribuisce ad ampliare i c.d. margini di imperfezione del mercato finanziario.
A ciò si affianca la informazione limitata, che, come detto, comporta scelte
ancor più irrazionali se non ben ponderate.
Altro elemento su cui deve vertere l’informazione sono i costi della transazione. Il datore, infatti, deve valutare alcuni costi fissi, come i costi di ricerca delle informazioni, i costi di ricerca delle opportunità di scambio, i costi di selezione delle
opportunità valutate, i costi di valutazione delle controparti potenziali, i costi di
esecuzione dello scambio, i costi di valutazione dei rischi derivanti dallo scambio
e dai possibili cambiamenti del mercato, i costi di gestione dello scambio nel periodo compreso tra la stipulazione del contratto e la sua scadenza.
Sono tutti costi di cui si dovrà tenere conto per valutare la convenienza dell’operazione.
È pur vero che oggi alcuni aspetti di imperfezione ed incompletezza del mercato sono stati ridotti per mezzo di alcuni accorgimenti ideati all’interno del
mercato stesso 8.
8
L’azzardo morale è una forma di opportunismo post-contrattuale che si verifica durante il rapporto assicurativo. Il consumatore, avendo stipulato un contratto che lo tutela e lo risarcisce in caso di accadimento
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In primo luogo, si è cercato di porre un argine a tali inconvenienti attraverso
l’organizzazione del mercato e, quindi, attraverso i c.d. mercati regolamentati 9.
Tali mercati sono caratterizzati da normative imposte e da procedure predeterminate che consentono di aumentare gli standards di informazione dei clienti e
di ridurre il fenomeno dell’asimmetria informativa 10.
In secondo luogo, la previsione di norme comportamentali per i datori-intermediari stabilisce degli standards deontologici cui tutti gli operatori devono attenersi
riducendo il pericolo di comportamenti opportunistici da parte di questi ultimi.
Ne consegue che l’assistenza che l’intermediario fornisce è in primo luogo
una assistenza di accesso al mercato, che si realizza per il tramite della consulenza e dell’informazione. Solo se l’informazione è adeguata, completa ed affidabile, l’accesso al mercato sarà consapevole così come lo sarà anche l’investimento.
Si consideri, però, che vi è una sensibile differenza dell’obbligo informativo
nei casi di intermediazione mobiliare ed in quelli di intermediazione creditizia.
Nel primo caso, l’intermediario agisce in nome e per conto del prenditore,
producendo direttamente effetti giuridici nella sua sfera giuridica, per cui è tenuto ad un maggiore obbligo informativo. Nel secondo caso, invece, egli agisce
solo per conto del prenditore, ma non in suo nome; ecco perché l’onere informativo nei confronti del cliente è minore e soprattutto più generico.
La riuscita dell’investimento, poi, dipende dalle capacità dell’intermediario,
che, come vedremo, deve anche essere in grado di trasformare il rischio e la scadell’evento negativo, è portato a non usare più strumenti e accortezze cautelari che lo prevengano dall’evento. Il fatto di essere assicurato induce l’individuo a ridurre l’attività di prevenzione o parallelamente a
sovrautilizzare la disponibilità di risorse a lui dovute più di quanto non necessiti. Le precauzioni infatti non
sono osservabili e verificabili, pertanto è impossibile farne oggetto di un accordo effettivamente vincolante:
infatti il contratto potrebbe imporre il mantenimento di un certo comportamento, ma la compagnia di assicurazione non è in grado di verificarne il rispetto. Il moral hazard si presenta anche nella vita di tutti i giorni:
se il guidatore è responsabile per tutti i danni, è probabile che guiderà una macchina noleggiata più prudentemente che nel caso fosse coperta da assicurazione.
9
Sulla nozione di mercati regolamentati, v. M. DE MARI-L. SPADA, op. cit., p. 35; G. FORESTIERI-P. MOTTURA, op. cit., p. 28. V., ampiamente, anche A. TRABUCCHI, op. cit., p. 1086 ss., che definisce i mercati regolamentati come «organizzazioni all’interno delle quali si concentrano le negoziazioni aventi ad oggetto certi
tipi di strumenti finanziari secondo precise regole di svolgimento ed esecuzione». Esistono, oggi, più mercati regolamentati, che operano sotto il controllo della Consob. Tale ente ha anche predisposto un elenco di
mercati, tra i quali il più noto è certamente la Borsa, distinta in più comparti: MTA, mercato telematico azionario, MOT, mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato, ecc. si segnala, poi, il c.d. Nuovo
Mercato, che concerne le operazioni legate ad internet. Vi sono, infine, una lunga serie di mercati stranieri,
ammessi al mutuo riconoscimento.
10
L’economia dell’informazione si occupa delle relazioni contrattuali che hanno luogo in condizioni di
conflitto caratterizzate da informazione asimmetrica. Studia le relazioni conflittuali che prendono forma nel
contratto, e in particolar modo quelle che avvengono in condizioni di informazione asimmetrica. In tale situazione una parte ha un vantaggio informativo (cioè sa qualcosa in più) nei confronti dell’altra parte e lo
sfrutta a suo favore. Nonostante la crescita della massa di informazioni resa oggi disponibile dalle tecnologie
(per fare un esempio internet), le situazioni di asimmetria informativa sono la norma. Il vantaggio informativo condiziona la definizione delle caratteristiche del contratto ottimale tra il principale (colui che propone il
contratto) e l’agente (colui che può accettare o rifiutare).
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denza, adeguandoli alle esigenze dell’investitore ed alle caratteristiche o, meglio, agli andamenti del mercato. Anche la valutazione di questi elementi incide
sulla qualificazione dei costi 11.
In ogni modo, può affermarsi che la consulenza è un’attività di assistenza nella decisione finanziaria: l’intermediario interviene in modo decisivo sia nella
formazione della decisione finanziaria del cliente sia nella definizione delle specificità esecutive della medesima.
In questi casi, la decisione finanziaria è assunta dal cliente, sulla base, però,
delle informazioni, conoscenze e valutazioni fornite dall’intermediario.
L’intermediario, dunque, deve fornire informazioni utili o necessarie per il
processo decisionale, offrire consulenza finanziaria al medesimo fine e ricercare
le controparti idonee per lo scambio finanziario progettato.
La consulenza, ovviamente, si concretizza anche attraverso la prospettazione
di più scelte possibili: maggiore sarà il numero delle scelte prospettato maggiore
sarà l’autonomia del cliente rispetto all’intermediario.
Si ritiene, comunque, che l’attività di assistenza-consulenza non possa viaggiare isolata, ma che debba sempre accompagnare le fasi dell’intermediazione. Il
consulente è inevitabilmente un tecnico il cui compito è prospettare le alternative, indicare i vantaggi, i costi e i rischi delle alternative della gestione del denaro.
Il consulente, dunque, deve comprendere le esigenze del cliente e scegliere
l’insieme di prodotti che insieme hanno la maggior probabilità di raggiungere gli
obiettivi emersi nella discussione sui bisogni ed aspettative del cliente stesso.
11
V. G. FORESTIERI-P. MOTTURA, op. cit., p. 25. Il primo fondamentale teorema dell’economia del benessere afferma che ogni economia competitiva è Pareto efficiente. Questo non è altro che la versione moderna
del concetto di “mano invisibile” che ha, tra i suoi presupposti, la trasparenza delle informazioni sulle variabili economiche fondamentali. In verità, secondo il modello base elaborato da Adamo Smith, vengono ritenute come essenziali presupposti per il corretto funzionamento del meccanismo concorrenziale quasi unicamente le informazioni relative ai prezzi di mercato. È infatti in base al prezzo dell’output, assunto come
dato e non modificabile dal singolo imprenditore, e dai costi degli input, anch’essi non influenzabili dal singolo, che la selezione del mercato determina l’efficienza in termini di uguaglianza tra prezzo marginale e costo marginale. L’equilibrio tra domanda e offerta così raggiunto è caratterizzato, in assenza di barriere all’entrata e all’uscita dal mercato, dalla intrinseca capacità di raggiungere sempre una loro uguaglianza anche da
una situazione originaria di squilibrio tra domanda e offerta. Questa forza endogena del meccanismo concorrenziale è stata smentita nelle economie con informazioni imperfette. L’equilibrio di un mercato competitivo può essere caratterizzato da una domanda superiore all’offerta, o da un’offerta superiore alla domanda.
Allo stesso modo, il modello concorrenziale classico si fonda innanzitutto sull’ipotesi di un sistema di prezzi
lineare (un determinato prezzo per ogni singola unità acquistata), mentre noi sappiamo che i mercati con
informazioni imperfette possono essere strutturati con prezzi non lineari, ad esempio con un prezzo, in certa
misura, inversamente proporzionale alla quantità acquistata. Anche l’altra classica assunzione standard della
tendenza all’azzeramento dei profitti può non essere valida in un mercato concorrenziale con informazioni
imperfette, per esempio nel caso di selezione avversa, come avremo modo di approfondire nel proseguo. Lo
studio delle assunzioni del modello classico dimostra che non si può prendere come data l’ipotesi di informazioni statiche, accessibili e libere, presupposto del modello di concorrenza perfetta. Numerosi sono i
mercati, in particolare in presenza di informazioni asimmetriche, dove il naturale meccanismo allocativo non
raggiunge l’efficienza paretiana.
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Tra le categorie di consulenti si segnalano i promotori finanziari, i promotori assicurativi e i dipendenti bancari, la cui maggiore o minore capacità dipende spesso anche dal grado di indipendenza rispetto all’intermediario da essi rivestito.
Capacità fondamentale del consulente è quella di illustrare il costo dei prodotti; al riguardo, la trasparenza è assolutamente necessaria al fine di garantire
un buon investimento.
3.
La gestione del risparmio: gestione collettiva e gestione individuale
Gli intermediari, come evidenziato, devono soddisfare in primo luogo gli interessi degli investitori conciliandoli con le esigenze del mercato. Essi offrono
prodotti e servizi per soddisfare i bisogni finanziari dei diversi attori della realtà
economica.
Diversi sono gli strumenti che essi possono offrire:
a) strumenti destinati a soddisfare bisogni di trasferimento del potere d’acquisto nello spazio: ordini di pagamento, ordini di incasso, servizi diversi (gestione
monetaria, cassa automatica, ATM). Si tratta, in generale, dei servizi propriamente definiti bancari e che hanno sempre ad oggetto il denaro;
b) strumenti destinati a soddisfare bisogni di investimento, stimolati dal desiderio di accumulare ricchezza finanziaria e trasferire risorse finanziarie a tempi
futuri: passività nominali prodotte da intermediari finanziari (depositi in c/c, depositi a risparmio, certificati di deposito ed obbligazioni), passività di mercato
prodotte da intermediari finanziari (quote di fondi comuni di investimento mobiliare, azioni di società a capitale variabile: OICVM e SICAV), negoziazione di
valori mobiliari su ordine del cliente (l’intermediario può agire come broker o
come dealer), gestione patrimoniale individuale, polizze assicurative;
c) strumenti per soddisfare bisogni di finanziamento: prestiti di moneta e titoli, prestiti di firma (garanzie), crediti speciali (leasing, factoring, ecc.), prestiti
al consumo, assunzioni di partecipazioni, servizi di investment banking;
d) strumenti per la gestione più efficiente dei rischi che caratterizzano la
gestione finanziaria e assicurativa del cliente, categoria particolarmente ampia
nella quale rientrano tutte le ipotesi di contratti a termine, opzioni, futures,
swap, ecc.
L’attività di gestione individuale di portafogli di investimento per conto terzi
è riservata alle banche, alle imprese di investimento, alle SGR ed agli agenti di
cambio.
│ La responsabilità civile e penale degli intermediari finanziari
52
La direttiva 93/22/CEE precisa che «perché vi sia gestione individuale vi
deve essere gestione su base discrezionale ed individualizzata di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dagli investitori».
Il diritto interno, invece, si affida ad una nozione sintetica, stabilendo che tale attività consiste nella «gestione su base individuale di portafogli 12 di investimento per conto terzi».
La normativa comunitaria, dunque, prevede un campo di applicazione più ristretto di tale servizio, mentre più ampia è la disciplina interna. Il limite di restrizione è dato dal mandato conferito dal cliente-investitore, nozione che non
compare nella normativa interna. Rimane, dunque, il problema che in caso di
contrasto deve trovare applicazione la normativa comunitaria e non quella nazionale chiaramente più ampia.
Altro elemento di distinzione è dato dall’oggetto della gestione, che è più
ampio nella disciplina comunitaria che in quella interna. Secondo le norme nazionali, infatti, la gestione individuale deve avere ad oggetto strumenti finanziari, mentre secondo la normativa CEE la gestione può anche non riguardare
strumenti finanziari (ed avere ad oggetto, per es., valute, metalli, immobili).
Peculiare è l’ipotesi della c.d. gestione surrettizia 13, caso in cui la gestione
individuale di portafogli di investimento su base singola viene svolta da soggetti
non autorizzati, nello specifico, i promotori finanziari 14.
12
Il termine “portafoglio”, che trascorre nel lessico legislativo dal vocabolario degli economisti, trova
corrispondenze nella direttiva comunitaria 93/22/CEE, relativa ai servizi di investimento in valori mobiliari
(c.d. ISD) nel testo italiano, inglese (portfolio of investiment) e francese (portefeuille). Il legislatore italiano,
già dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (c.d. Decreto Eurosim), ha preferito adeguarsi alla scelta terminologica
della direttiva, accogliendo la nozione di portafoglio, meno “compromettente” da un punto di vista dogmatico di quella di patrimonio presente nella legge 2 gennaio 1991, n. 1 (c.d. Legge sulle SIM), giacché non
allude ad una categoria civilistica, ma semplicemente alla “composizione strutturale di un investimento”. M.
MIOLA, Commento all’art. 24, in Testo unico della Finanza, Commentario, diretto da G.F. Campobasso,
Giappichelli, Torino, 2002, p. 213, in G.U.C.E. 11 giugno 1993, L 141. Disponibile sul sito www.europa.eu.
int. Cfr., sul punto, M. COSSU, La “gestione di portafogli di investimento” tra diritto dei contratti e diritto dei
mercati finanziari, Giuffrè, Milano, 2002, p. 197 ss., in cui definito il “portafogli” come insieme di valori fungibili, quali sono il denaro e gli strumenti finanziari, rispetto ai quali coesistono un vincolo di indisponibilità
del valore del coacervo e una libertà di alienazione delle specie ivi presenti.
13
Il problema della gestione di portafogli si pose inizialmente con le società fiduciarie, che avevano proprio
la funzione di amministrare patrimoni, la gestione poteva essere in monte oppure personalizzata; nel primo caso, il cliente si disinteressava delle operazioni, dal momento che le scelte venivano effettuate a livello centrale
senza che il partecipante potesse influirvi. Nel secondo caso, invece, il cliente partecipava alle scelte e si interessava alle operazioni che la società compiva (c.d. gestione dinamica o personalizzata). Nel caso della gestione
surrettizia, il portafogli viene gestito da soggetti non autorizzati, i promotori finanziari, che possono operare sia
in monte che in via personalizzata (v., al riguardo, F. Jr. FERRARA-F. CORSI, op. cit., p. 231 ss.).
14
Le modalità di svolgimento dell’attività di gestione individuale hanno creato da sempre rilevanti problemi nella elaborazione della disciplina del mercato finanziario, come testimoniato dal sofferto iter normativo da cui è stata contrassegnata. Solo il testo unico finanziario ha posto definitivamente in luce la vera natura del fenomeno gestorio, consistente nell’investimento a carattere finanziario e nel corrispondente interesse del cliente alla redditività dell’investimento. Nell’impostazione del d.lgs. 58/1998, il legislatore ha pre-
Capitolo II │ Le attività di intermediazione finanziaria
53
La Consob ritiene che vi sia gestione surrettizia o impropria quando il promotore opera per conto di una parte rilevante della clientela e pone in essere un
elevato numero di operazioni di conversione tra comparti del medesimo fondo
caratterizzate da evidenti analogie oppure quando compie un ingente numero di
operazioni tutte dello stesso tipo e nello stesso contesto temporale, ciò anche
quando le operazioni siano disposte dai clienti mediante la firma su appositi
moduli (c.d. gestione con preventivo assenso) 15.
Secondo la Consob, alla base di tali operazioni tutte dello stesso tipo e contemporanee, vi sarebbe una sorta di delega che i clienti hanno conferito al promotore
per lo svolgimento delle stesse operazioni di vendita o acquisto: in questo consisterebbe, dunque, la gestione delegata, da parte dei clienti, del proprio patrimonio,
visto che le decisioni vengono concretamente assunte poi dai promotori.
Secondo altra dottrina, invece, in tali casi non si tratterebbe di un’attività di
gestione surrettizia o impropria, poiché la gestione richiede la discrezionalità
del gestore ed il rilascio di un apposito mandato. Si tratterebbe, dunque, più che
altro di un’attività di consulenza che il promotore può legittimamente svolgere.
Indipendentemente da tali ipotesi peculiari, la gestione individuale deve essere esercitata continuativamente, professionalmente e nei confronti del pubblico da parte di soggetti non autorizzati allo svolgimento di tale servizio (i promotori).
Una particolarità della gestione su cui tutti concordano è il fatto che essa sia
caratterizzata anche da un potere-dovere dispositivo del gestore.
Essa, dunque, può anche essere scomposta come attività di consulenza e contestualmente di negoziazione per conto terzi o di ricezione e trasmissione ordini.
La disciplina italiana sulla gestione collettiva del risparmio, come detto, è alquanto complessa e articolata e si è sviluppata negli anni per andare incontro alvisto, accanto alle regole generali di comportamento dettate per tutti i servizi di investimento nell’art. 21
t.u.f., regole specifiche ed ulteriori per l’attività di gestione di portafogli di investimento.
15
La gestione con preventivo assenso è da collocarsi nell’ambito del fenomeno gestorio. Tuttavia, un
differente orientamento dottrinario ritiene che essa è sicuramente esclusa dal suddetto ambito per essere
avvicinata alla consulenza finanziaria, ovvero, più precisamente «una consulenza prolungata nel tempo, nella quale, ad ogni consiglio di un’operazione da parte dell’intermediario, deve seguire l’autorizzazione del
cliente alla sua esecuzione, cui provvede di regola lo stesso intermediario» (L. ENRIQUES-F. VELLA, Le gestioni mobiliari:profili giuridici, in Tendenze e prospettive del risparmio gestito, Il Mulino, Bologna, 1998). M.
DE MARI, in M. DE MARI-L. SPADA, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari, in Foro it.,
2002, I, c. 568 ss.; G. MINERVINI, Gestione do portafogli di investimento con preventivo assenso, in Giur. comm.,
2001, II, p. 62 (nota a TAR Toscana, sez. I, 11 luglio 2000, n. 6225); R. LENER, Strumenti finanziari e servizi
di investimento. Profili generali, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 343.Tali comportamenti del promotore
sono contrari a numerose norme dettate dal Codice deontologico di autodisciplina dei promotori finanziari
approvato dall’Anasf e reso obbligatorio per effetto dell’art. 95, comma 1, del Regolamento intermediari. Per
tutte si riporta il teso di una norma del Codice, in questo caso sicuramente violata: «Il promotore finanziario persegue l’interesse del cliente e si astiene da comportamenti in contrasto con tale obiettivo. Non sono
giustificati comportamenti contrari all’interesse della clientela da parte del promotore finanziario, anche se
suggeriti o sollecitati dall’intermediario per cui opera».
3.
54
│ La responsabilità civile e penale degli intermediari finanziari
le nuove esigenze di un mercato in cui la domanda di prodotti finanziari diversi
dai titoli di Stato prima e dai titoli azionari poi era sempre crescente.
La prima esperienza in tema di sottoscrizione di fondi comuni 16 in Italia risale al 1968, anno in cui alcuni finanzieri, in assenza di regole specifiche, decisero
di immettere sul mercato i primi fondi di investimento, chiamati fondi Atipici.
Tali fondi erano organizzati e gestiti seguendo i principi mutuati dall’esperienza
del mondo finanziario anglosassone.
Dopo tale timido avvio, in attesa di una regolamentazione ufficiale dell’intera
materia, alcune società promossero alcuni fondi con sede legale in Lussemburgo, che furono denominati Fondi Lussemburghesi Storici e rappresentarono gli
antesignani del fondi comuni di diritto italiano.
Con la legge 23 marzo 1983, n. 77, sono stati introdotti i primi Organismi di
investimento collettivo di diritto italiano, in particolare i Fondi comuni d’investimento mobiliare di tipo aperto; tale normativa ha, inoltre, determinato l’ingresso di un nuovo soggetto giuridico, rappresentato dalla società di gestione.
La legge n. 77/1983 mirava a garantire una maggiore tutela del risparmiatore, individuando precise regole sulla natura giuridica dei fondi, la loro costituzione, i requisiti della società di gestione, le norme generali di gestione (divieti
di investimento in certe attività, divieti di concentrazione degli investimenti in
strumenti finanziari, separazione fra il patrimonio collettivo dei risparmiatori e
quello dei promotori dell’iniziativa, obbligo del calcolo del valore delle quote
con cadenze ravvicinate), l’informativa e il controllo sulle operazioni della Banca d’Italia e della Consob.
A tale intervento legislativo hanno fatto seguito una serie di modifiche finalizzate a completare l’offerta di prodotti del risparmio gestito: il d.lgs. n. 84/1992,
infatti, ha disciplinato le Società di investimento a capitale variabile, le SICAV;
la legge n. 344/1993 ha istituito i Fondi comuni d’investimento mobiliare di tipo chiuso; infine, la legge n. 86/1994 ha regolamentato i Fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso.
Come detto in precedenza, il d.lgs. n. 58/1998 ha poi completato l’intervento legislativo (detto anche decreto Draghi).
Tra le varie novità introdotte in questo ambito, ricordiamo proprio l’introduzione delle Società di gestione del risparmio, che hanno sostituito le Società di gestione dei fondi comuni di investimento, con l’intento di renderle le sole gestrici
del risparmio, in grado di svolgere sia la gestione collettiva sia quella individuale.
16
Il fondo è detto comune proprio perché rappresenta una forma di proprietà collettiva. L’investitore che
opera in tale ambito è, in genere, colui che non ha una considerevole disponibilità di capitali ed ha poca capacità
di seguire l’economia. L’investitore meno esperto, dunque ricorre ai fondi comuni, mentre quello più abile utilizza le gestioni personalizzate realizzate tramite banche, SIM, società fiduciarie che operino per suo conto in
borsa o fuori (v., F. Jr. FERRARA-F. CORSI, op. cit., p. 811). I fondi comuni, infatti, sono studiati per i risparmiatori; essi rispecchiano la mentalità degli investitori e non la mentalità imprenditoriale della società.