Sistemi di numerazione nelle civiltà antiche

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Sistemi di numerazione nelle civiltà antiche
Sistemi di numerazione nelle civiltà
antiche
Marcella Salvador
8 novembre 2012
Capitolo 1
Sistemi di numerazione nelle
civiltà antiche
1.1
Prime testimonianze
Una delle scoperte più entusiasmanti circa i sistemi di numerazione nell'antichità venne fatta nel 1937 da Karl Absolom in Cecoslovacchia centrale, dove,
grazie a degli scavi, trovò un osso di lupo preistorico risalente a 30000 anni
prima. Nell'osso sono intagliate 55 tacche, a gruppi di cinque. Le prime
25 tacche sono separate dalle altre da una di lunghezza doppia. Anche se
non sappiamo come siano state prodotte, è ragionevole pensare che l'uomo
preistorico facesse una tacca per ogni oggetto che stava considerando. Se
questa congettura fosse corretta allora potremmo riconoscere una versione
rudimentale di due importanti concetti matematici. Uno è l'idea di una corrispondenza biunivoca tra l'insieme di tacche sull'osso e l'insieme di quello
che, qualunque cosa fosse, l'uomo preistorico stava contando. L'altro è l'idea
di base per un insieme di numerazione, in questo caso 5.
Inoltre, uno studio delle tribù occidentali dello stato di Torres del 1889,
descrive una tribù che non aveva un linguaggio scritto e il cui sistema di
numerazione era il seguente: 1, urapun, 2, okosa, 3, okosa-urapun, 4, okosaokosa, 5, okosa-okosa-urapun, 6, okosa-okosa-okosa. Ogni numero più grande
di 6 veniva chiamato con ras.
Potremmo essere indotti a riconoscere, in questo sistema di numerazione,
un sistema binario, ma sarebbe un errore perchè, se così fosse, avremmo
dovuto avere vocaboli diversi per indicare numeri più grandi di sei e non
la generica ras. E' importante, quindi, non voler leggere la storia in base
alle nostre aspettative, ma cercare di estraniarci dalle nostre conoscenze, per
poter condurre uno studio veritiero.
1
Figura 1.1: Osso di lupo preistorico
Ci concentriamo ora sullo studio della prima matematica scritta, ossia
quella degli Egiziani e del Babilonesi.
1.2
L'Egitto
Tra le civiltà del mondo antico, quella egiziana spicca in modo particolare
per la ranatezza dell'arte e la ricchezza di conoscenze tecnico-pratiche. Per
quanto riguarda l'aspetto scientico, però, gli Egiziani non svilupparono mai
teorie vere e proprie, nè dimostrazioni teoriche di qualche conoscenza: tutto
veniva fatto non per studio, ma per un puro interesse pratico. Gli Egiziani
erano costretti, per esempio, a risistemare i conni dei loro campi dopo che
l'alluvione primaverile del Nilo li aveva distrutti. Allo scopo, gli agrimensori
dell'epoca avevan bisogno di una qualche conoscenza pratica di alcune semplici nozioni di aritmetica e geometria. Rimangono molti dei loro calcoli, ma
di questi era descritto il procedimento aritmetico e le relazioni geometriche
di cui si faceva uso, senza fare alcuna menzione dei principi generali che ne
stanno alla base. In questo modo noi sappiamo come gli egiziani svolgevano
i calcoli ma possiamo solo congetturare il modo in cui i loro metodi si sono
sviluppati.
I più vecchi testi egiziani di matematica contengono per lo più problemi di
natura pratica, come può essere il calcolo della capacità di un granaio, il
numero di mattono necessari per la costruzione di un magazzino, o il grano
necessario alla preparazione di una certa quantità di pane o birra.
Il Papiro di Rhind è la nostra migliore fonte di informazioni per quanto ri2
guarda l'aritmetica egiziana. Esso prende il nome da A. Henry Rhind, inglese
che comprò il testo nel 1985 e lo vendette al British Museum dove è oggi esposto. Questo papiro, copiato da uno scriba di nome Ahmes (talvolta il papiro
viene indicato con questo nome), risale al 1650 a.C. sebbene, secondo lo scrittore stesso, fosse tratto da uno scritto più antico risalente al periodo tra il
2000 e il 1800 a.C. Il contenuto del Papiro di Rhind non è scitto in caratteri
geroglici, ma in una scrittura pià agile, meglio adatta all'impiego di penna
e inchiostro su fogli di papiro e nota come scrittura ieratica (ossia sacra, per
distinguerla da quella popolare). Il testo contiene circa 80 problemi e fornisce
soluzioni per molte situazioni pratiche, ma sorprendentemente esso contiene
alcuni problemi che non hanno nessuna importanza applicativa.
Altri documenti fonti di informazioni utili sono dati dal Papiro di Mosca risalente al 1890a.C. che contiene circa 25 problemi matematici, principalmente
desunti dalla vita pratica, il Papiro di Berlino del 1800 a.C. contenente 4
problemi di cui uno solo è completo, il papiro di Kahum del 1800 a.C. con
6 frammenti non ancora totalmente studiati probabilmente di economia, il
rotolo di pelle che contiene elenche di frazioni unitarie e due tavolette di legno del Cairo risalenti al 2000 a.C. che contengono calcoli sulla misura delle
capacità.
I geroglici egiziani erano molto semplici: venivano usati dei simboli per
i numeri 1, 10, 100 e così via no al milione. Si può riconoscere, quindi, un
sistema decimale, ma mancava un simbolo per lo 0, di cui non vi è traccia nei
papiri. La sua mancanza, infatti, non si sentiva perchè si usava un sistema
additivo: la rappresentazione numerica avveniva tramite la ripetizione di
simboli, senza che fosse importante la posizione. Ecco allora che i numeri da
2 a 9 venivano rappresentati attraverso la ripetizione del simbolo associato
all' 1; analogamente, i numeri da 20 a 90, si ottenevano ripetendo il simbolo
per le decine, mentre il numero 15, per esempio, si otteneva scrivendo una
volta il simbolo per le decine e cinque volte quello associato all'unità. In
questo modo, facendo uso di un semplice schema iterativo di simboli distinti
per ciascuna delle prime sei potenze di dieci, gli Egiziani riuscivano a incidere
nella pietra, nel legno e in altri materiali, numeri superiori al milione.
Il sistema di numerazione egiziano era quindi non posizionale, perchè ogni
glifo aveva un valore di per sè e la rappresentazione dei numeri avveniva secondo il principio additivo. I simboli comparivano generalmente in ordine
descrescente da sinistra verso destra, ma solo per una scelta stilistica. Le
posizioni relative dei simboli non fornivano alcuna informazione aggiuntiva e
per questo motivo non c'era l'esigenza di lasciare spazi vuoti.
La scrittura geroglica rispondeva a ni decorativi e commemorativi, aveva
un carattere solenne ed era essenzialmente riservata alle iscrizioni monumen3
Figura 1.2: Sistema di numerazione egizio
tali. Per i conti, i censimenti, gli inventari, i testamenti, i documenti economici, amministrativi, giuridici, letterari, religiosi, matematici o astronomici,
e così via, gli scribi impiegavano invece correntemente una scrittura corsiva
nota come scrittura ieratica. Si tratta di una forma di scrittura molto più
rapida e più adatta alla scrittura su papiro; i simboli risultano composti da
un solo o da pochi rapidi tratti, frutto di abbreviazioni, schematizzazioni ed
estreme semplicazioni dei segni geroglici, con i quali si mantiene spesso
solo una lontanissima somiglianza. Nella scrittura ieratica anche i segni per
rappresentare i numeri provengono da schematizzazioni più o meno spinte
dei singoli geroglici e dei diversi raggruppamenti di più simboli nel loro
complesso.
1.3
I babilonesi
La civiltà mesopotamiche si svilupparono nella valle del Nilo, tra due umi,
il Tigri e l'Eufrate, attorno al 4000 a.C. prima con la civiltà sumera e poi
con la civiltà babilonese all'inizio del secondo millennio a.C. Tra il 3000 e
il 2000 a.C. la parte sud della Mesopotamia fu, quindi, dominio dei sumeri
che furono tra i primi a possedere la scrittura, realizzata imprimendo i loro
simboli con un arnese a forma di cuneo, su una tavoletta di morbida argilla
che veniva poi cotta. Questi simboli venivano anche usati per rappresentare
i numeri. I testi più antichi risalgono al 3000 a.C. al tempo del popolo degli
Accadi. Probabilmente essi dominarono i sumeri, da cui assorbirono la loro
elevata cultura, compreso anche il loro sistema di numerazione.
Verso il 1800 a.C. Hammurabi, re di Babele, estese il suo dominio sull'impero
4
Figura 1.3: Sistema di numerazione babilonese
sumero e accadico e fondò la prima dinastia babilonese.
I più antichi testi babilonesi risalgono al periodo tra il 1900 − 1600 a.C.
1.3.1
Simbologia numerica babilonese
Centinaia di tavolette di creta trovate a Uruk e risalenti circa a 5000 anni fa
testimoniano la forma più antica di scrittura usata in Mesopotamia. Dei 2000
segni sumerici al tempo degli Accadi, con i Babilonesi il numero si era ridotto
di due terzi. Vecchi disegni primitivi lasciarono il posto a combinazioni di
segni verticali cuneiformi, poi sostituiti da una scrittura orizzontale.
Per quanto riguarda la numerazione, il sistema decimale, utilizzato dalla
maggior parte delle popolazioni, venne sostituito in Mesopotamia dal nuovo
sistema sessagesimale. La rappresentazione dei numeri era ancora di tipo
cuneiforme e si usavano soltanto due simboli, uno per l'1 ed uno per il 10.
Era un sistema di tipo misto:
• additivo no al 59;
• posizionale dal 60 in poi;
Quindi, per esempio, il numero 43 veniva rappresentato ripetendo quattro
volte il simbolo associato al 10 e tre volte il simbolo associato all'unità. Per
rappresentare il numero 68, invece, i Babilonesi si servivano della notazione
moltiplicativa: 68 = 1 × 601 + 8 × 600 . Scrivevano, quindi, un 1 ed un 8 e,
leggendo da sinistra verso destra, i Babilonesi associavano ogni simbolo ad
una diversa potenza di 60, in ordine decrescente.
Questo sistema poteva, però, creare delle ambiguità: volendo rappresentare,
5
per esempio, i numeri 2 e 61, ci si accorge che le due scritture sono praticamente identiche. Per evitare queste problematiche, i Babilonesi lasciavano
un visibile spazio tra i due numeri, in modo tale che fosse chiara la diversa
posizione.
Riettiamo ora su questo altro esempio: se un Babilonese voleva scrivere
il numero 3607, usando la notazione moltiplicativa avrebbe scritto 1 × 602 +
0×601 +7×600 . Perciò, avrebbe dovuto lasciare uno spazio bianco di separazione delle diverse potenze di 60, un altro spazio bianco per indicare l'assenza
di unità di primo ordine nelle potenze di 60, avrebbe cioè dovuto scrivere così:
1
7
Da questo esempio si capisce chiaramente l'ambiguità che poteva emergere
nel valutare il valore da attribuire a quegli spazi vuoti. Si comprende quindi
l'esigenza che i Babilonesi avvertirono di introdurre anche un simbolo per
lo zero. Si tenga a mente, però, che questo simbolo era solo funzionale ad
indicare uno spazio vuoto, non era considerato come quantità nulla, come numero. Questa tesi è avvalorata anche dal fatto che lo zero non compare nella
tabella dei numeri in gura. Mancava anche la virgola decimale per cui una
stringa poteva rappresentare numeri più piccoli di 1. Si suppone, però, che
i Babilonesi capissero dal contesto quale numero si intendeva rappresentare.
Osservazione interessante è che il sistema sessagesimale usato dai Babilonesi
persiste tuttora nella misurazione degli angoli e del tempo. Il perchè sia stato
introdotto è spiegato da Boyer nel libro `Storia della matematica':
Il sistema decimale, comune alla maggior parte delle civiltà,
sia antiche che moderne, era stato sostituito in Mesopotamia da
una notazione che aveva a fondamento la base sessanta. Molto è
stato scritto sui motivi che avrebbero dato origine a questo cambiamento; è stata avanzata l'ipotesi che possano avervi contribuito
considerazioni di carattere astronomico o che il sistema sessagesimale sia risultato dalla combinazione di due sistemi più antichi, uno decimale, l'altro in base sei. Appare però più verosimile
l'ipotesi che la base sessanta sia stata consapevolmente adottata
e riconosciuta come fondamentale ai ni della misurazione: una
grandezza di sessanta unità può venire infatti facilmente divisa in
metà, terzi, quarti, quinti, sesti, decimi dodicesimi, quindicesimi,
ventesimi e trentesimi, orendo così dieci suddivisioni possibili.
6
1.4
1.4.1
Le civiltà precolombiane
I Maya
Prolo storico
La civiltà maya orì a partire approssimativamente dal 1800 a.C., nella zona
del centro America che si estende attualmente dal sud del Messico (penisola
dello Yucatan) no all'Honduras e El Salvador. Purtroppo le testimonianze
relative ai primi sviluppi di questa civiltà sono scarse: probabilmente esistettero monumenti e iscrizioni, ma nulla ha resistito al tempo, forse a causa
dell'utilizzo di materiali deperibili come legno e stucco. Esaminando i primi
documenti lapidari, si può supporre che i Maya abbiamo trascorso, tra il V
secolo a.C. e il 292 d.C., anno di datazione della stele di Tikal, un periodo di
formazione in cui si sono distinti dai popoli vicini, sviluppando una cultura
propria. Seguì l'epoca classica, conclusasi attorno al 925, durante la quale
i Maya raggiunsero il loro massimo sviluppo nell'arte, nell'architettura, nel
commercio, nella matematica e nell'astronomia. Fra il IX e il X secolo però, una rapida decadenza portò alla ne di questo brillante periodo, le città
e i centri rituali furono progressivamente abbandonati e la popolazione si
disperse. Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare questo fenomeno:
epidemie, terremoti, impoverimento del suolo, rivolte. Di certo tra le cause deve essere attribuita grande importanza all'inltrazione di popolazioni
messicane. Per questo, il periodo che seguì l'epoca classica è denito periodo
messicano.
Nel loro sviluppo, fondamentale fu l'evoluzione della scrittura, di tipo
ideograco e fonetico nello stesso tempo, che ancora oggi non è stata decifrata del tutto. Nel campo della matematica, elaborarono una numerazione
scritta posizionale che permise loro di maneggiare numeri superiori al centinaio di milioni e introdussero il concetto di zero. Animati probabilmente
da preoccupazioni di ordine mistico e divinatorio, progredirono negli studi
astronomici, perfezionando un calendario estremamente preciso.
Calendari e astronomia
I Maya utilizzavano contemporaneamente due calendari. Il primo, chiamato
Tzolkin, era una calendario rituale, ideato appositamente per predisporre
alcune cerimonie religiose. Era composto di 260 giorni divisi in 20 cicli di 13
giorni e basato su una serie di 20 giorni fondamentali, ognuno dedicato ad una
particolare divinità. Ciclicamente, variavano il numero del giorno, da 1 a 13,
e il giorno della serie fondamentale, ripristinando le corrispondenze dopo 260
giorni. Questo tipo di calendario aveva chiaramente un'utilità limitata per
7
persone come gli agricoltori, che avevano bisogno per il loro sostentamento di
conoscere l'alternarsi delle stagioni. Esisteva pertanto anche un calendario
solare, chiamato Haab, formato da 365 giorni (kin ) raggruppati in 18 periodi
mensili di 20 giorni, più un ulteriore mese composto di 5 giorni, considerato
nefasto. Combinando insieme i due calendari, si ottiene un ciclo di 52 anni
civili (corrispondenti a 73 anni sacri), il cosiddetto calendario ciclico, nel cui
andamento una data, costituita dalla combinazione dei due computi paralleli
dei giorni, si presenta una volta ogni 52 anni.
Un ulteriore progresso, fu un sistema, denominato long count, la cui unità
base era il giorno e che utilizzava, per ragioni pratiche, utilizzava l'anno di
365 giorni. Tale sistema permetteva di identicare univocamente una data
qualsiasi, attraverso l'introduzione di periodi di tempo più lunghi: oltre al
mese (uinal ) e all'anno (kun ), periodi di 20 anni (katun ), di 400 anni (baktun )
e di 8000 anni (pictun ).
Riconobbero, inoltre, che tra il loro anno di 365 giorni e l'anno solare c'era
una certa dierenza: in base ai loro calcoli, la durata eettiva di un anno
solare doveva essere, espressa in termini odierni, di 365, 242 giorni (la stima
attualmente accettata è di 365, 242198 giorni). Tale risultato è sbalorditivo
ed è interessante notare che questo valore è più preciso di quello del calendario
giuliano e persino di quello gregoriano.
Per valutare pienamente l'importanza di questi risultati, bisogna considerare le condizioni in cui furono ottenuti: la situazione topograca e climatica
del territorio, caratterizzata da una tta giungla, non favoriva l'osservazione
dei corpi celesti. Inoltre, i mezzi tecnici a disposizione erano estremamente
limitati: l'unico strumento ottico di cui ci si serviva nell'osservazione della
volta celeste era un tubo di giadeite, appoggiato su due asticelle di legno
incrociate. Malgrado ciò, i Maya riuscirono a denire con grande precisione anche il periodo di rivoluzione della Luna e di alcuni pianeti e furono in
grado di prevedere le eclissi del sole. Era chiaramente necessario disporre di
notevoli strumenti matematici.
Matematica
L'importanza della misurazione del tempo promosse l'utilizzo della matematica e lo sviluppo di un buon sistema per la rappresentazione dei numeri per
eettuare calcoli complessi.
I Maya utilizzavano un sistema posizionale a base venti (detto vigesimale ), a ragione dell'usanza, comune ai popoli mesoamericani, di contare non
solo sulle dita delle mani, ma anche su quelle dei piedi. Un primo modo per
scrivere i numeri da 1 a 19 consisteva in una rappresentazione cefalomorca,
in cui ciascuno di essi era associato alla testa di una divinità. Tale rappresen8
tazione fu però di uso limitato. I Maya utilizzavano più spesso (si presume a
partire dal 400 a.C.) un sistema graco molto semplice che si riduceva all'impiego di due simboli: un punto e una linea, che indicavano rispettivamente
l'1 e il 5. Il sistema era basato sul principio additivo, per cui ad esempio il 7
veniva scritto con una linea e due punti.
Figura 1.4: Sistema di numerazione maya
Si trattava di una numerazione di tipo posizionale: le cifre venivano ordinate verticalmente, con la cifra che rappresentava un valore più alto posta
sul livello graco superiore. La rappresentazione di 65 risultava quindi:
Il sistema possedeva inoltre un segno per lo zero, che indicava l'assenza
delle unità di un certo ordine. Il simbolo utilizzato era una conchiglia, che
assumeva aspetti diversi a seconda della posizione che occupava. Una delle
possibili cause dell'introduzione dello zero nasce da un'esigenza che possiamo denire religiosa, nonché dalla cura estetica che animava gli scultori e
modellatori. Le stele maya avevano un carattere rituale e solenne, pertanto
nella registrazione delle date l'ordine e l'armonia erano necessari: dovevano comparire tutte le unità di tempo, dal kin al baktun, nel giusto ordine;
pertanto, se un'unità veniva a mancare, diveniva indispensabile riempire il
vuoto corrispondente.
Citiamo inne l'utilizzo, forse marginale, di un sistema di numerazione a
base mista, cioè una base vigesimale a cui viene premoltiplicato il numero 18,
a partire dalla terza potenza di 20: risulta così 200 , 201 , 18 · 202 , 18 · 203 , . . . .
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La sua introduzione risponde, probabilmente, alla necessità di rendere tra
loro compatibili i diversi calendari in uso; dalle testimonianze che abbiamo,
questa forma di scrittura serviva solamente alla ristretta élite dei sacerdoti,
a cui spettava la responsabilità di eseguire i calcoli astronomici e comporre
calendari.
Per quanto riguarda le operazioni, per l'addizione e la sottrazione, i
Maya usavano un abaco in cui le cifre erano rappresentate per unità o cinqueine su una tabella. Cinque punti venivano sostituiti con una linea e nella
sottrazione, all'occorrenza una linea veniva sostituita con 5 punti.
La moltiplicazione, invece, veniva risolta in modo graco, secondo lo schema che segue in gura:
Figura 1.5: Moltiplicazione dei Maya
1.4.2
Gli Aztechi
Gli Aztechi giunsero in America centrale nel XIII secolo, rimanendo per lungo tempo poveri e senza terra. La loro ascesa iniziò nei primi decenni del
XV secolo e comportò un susseguirsi di guerre con saccheggi e massacri. Il
primo obiettivo era quello di fornire ai sacerdoti dei prigionieri per i sacrici,
il cui numero raggiungeva una media di 20000 vittime all'anno. Oltre all'aristocrazia militare, vi era un'estesa categoria di artigiani e commercianti.
Quando arrivarono gli spagnoli nel 1519, gli Aztechi dominavano senza rivali
la maggior parte del Messico, ma il loro impero venne distrutto dagli invasori
europei.
La scrittura di questo popolo era gurativa e, all'epoca della conquista
spagnola, era composta da un compromesso tra il sistema ideograco e la
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notazione fonetica. Ci è nota grazie ad alcuni manoscritti, denominati codices, riguardanti sia soggetti religiosi, rituali e di divinazione, sia eventi mitici
o storici. Altri costituiscono i registri dei tributi che i funzionali imperiali
riscuotevano nelle città assoggettate.
Da questi stessi documenti, si è potuto studiare il sistema di numerazione
degli Aztechi: si tratta di un sistema vigesimale, basato sul principio additivo,
in maniera simile a quello maya. L'unità era rappresentata con un punto o
con un cerchio, la ventina da un'ascia, il numero 400 da una piuma e il
numero 8000 da una borsa.
Figura 1.6: Sistema di numerazione azteco
Gli Aztechi utilizzarono il calendario maya, senza notevoli variazioni.
L'anno civile, regolato su quello solare, era diviso in 18 mesi da 20 giorni, ai
quali si aggiungevano 5 giorni, per raggiungere il numero 365. Il problema
delle 6 ore rimanenti veniva risolto intercalando 12 giorni e mezzo ad ogni
ciclo di 52 anni.
1.4.3
Gli Inca
La civiltà Inca si sviluppò nell'altopiano andino tra il 1200 e il 1500 d.C.,
giungendo a costruire un vasto impero, ben organizzato, che occupava principalmente il territorio che oggi corrisponde agli stati del Perù, del Cile e
dell'Equador. All'epoca della conquista spagnola, era al suo apogeo: dopo
aver distrutto ogni traccia delle popolazioni precedenti, gli Inca si erano imposti con violenza, convinti di essere un popolo eletto, destinato a dominare
sugli altri. La loro autorità si basava sulla forza, ma fu anche grazie all'abilità nel governare che si assicurarono una stabilità dicilmente incrinabile.
Tuttavia gli Inca non conoscevano la ruota, la trazione animale e nemmeno
la scrittura, almeno nella forma in cui noi la intendiamo, e ciò rende ancor
più incredibili l'alto livello culturale e la prosperità raggiunti.
È possibile spiegare il fenomeno con l'ingegnosità degli Inca nel tenere
precisi archivi, mediante un sistema di cordicelle a nodi. Tale strumento era
il quipu. Anche i primi concetti matematici di cui abbiamo testimonianza,
propri a questa civiltà, sono legati al quipu. Fu creato come strumento
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mnemonico e risultò molto vantaggioso in quanto facile da maneggiare e
comodo da trasportare.
Un quipu era costituito da un groviglio di cordicelle: vi era una corda più
spessa che veniva chiamata corda principale, alla quale era legato, come fosse
una frangia, un certo numero di altre cordicelle più sottili, riunite in gruppi
e di colori diversi. Un quipu vuoto (privo di informazioni) poteva avere solo
tre corde o arrivare no a 2000 corde. Il colore veniva usato principalmente
per distinguere diverse informazioni: ogni quipu aveva un sistema di colori
codicato per mettere in relazione reciproca alcune corde e allo stesso tempo
per distinguerle una dall'altra; da alcuni studi eettuati sembra che anche i
colori avessero qualche signicato numerico, ma non ne abbiamo la certezza.
Sappiamo invece che la rappresentazione numerica su di un quipu veniva
ottenuta tramite nodi. Non c'è dubbio che tale rappresentazione descrivesse un sistema di numerazione decimale; eccone una testimonianza di un
conquistadores spagnolo:
In base alla loro posizione, i nodi assumevano il valore di unità, decine, centinaia, migliaia e, eccezionalmente, centinaia di
migliaia, e sono tutti ben allineati sulle loro diverse corde come
cifre che un contabile dispone, colonna per colonna, nel suo libro
mastro.
Un numero poteva essere letto contando i numeri dei nodi nel gruppo più vicino alla corda principale, che rappresentava la cifra di valore più elevato; si
procedeva poi verso il successivo gruppo di nodi indicante la cifra posizionale
successiva, cioè la potenza di 10 di ordine immediatamente inferiore. Quindi
in un quipu le potenze di 10 erano individuate dalla posizione lungo il lo e
questa posizione risultava allineata con i li consecutivi. Le cifre nelle posizioni per le potenze di 10 venivano rappresentate da gruppi di nodi semplici,
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le cifre meno signicative invece da un nodo lungo, cioè un nodo con più giri;
lo zero era indicato con un lo spazio vuoto nella posizione appropriata. Nelle
immagini seguenti vediamo alcuni semplici esempi di quipu.
Il quipu non poteva essere usato come strumento di calcolo, ma serviva
soltanto per registrare i risultati delle somme e di altre semplici operazioni
aritmetiche che venivano eettuate altrove.
Numerosi erano gli scopi del quipu: poteva servire come supporto alle rappresentazioni di fatti liturgici, storici o statistici, oppure come mezzo di trasmissione di messaggi. Essenzialmente però fu utilizzato come strumento
di contabilità, per aari militari, tributi, conteggio di bestiame, inventari o
censimenti. Il suo uso è perdurato nel tempo, tanti che alcuni pastori degli
altopiani peruviani li hanno sfruttati no al secolo scorso.
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Bibliograa
[1] Boyer C. B., Storia della matematica, Oscar studio Mondadori, 1982.
[2] Bartocci C., Odifreddi P., La matematica. I luoghi e i tempi, Giulio
Einaudi, 1997.
[3] Klein M., Mathematica Thought from ancient to modern times, Oxford
University Press, 1972.
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