delle quote di CO2 - Costante M. Invernizzi

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delle quote di CO2 - Costante M. Invernizzi
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Una proposta per migliorare il meccanismo dell’emission trading
Come “correggere”
l’assegnazione
delle
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quote di CO
di Paolo Chiesa e Paolo Iora | Politecnico di Milano, Università di Brescia
nuova energia 1-2011
Come noto, l’European Emission Trading Scheme (EU-ETS)
rientra tra i principali sistemi individuati dal Protocollo di
Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra. Basato sul
modello CAP and trade, prevede che venga imposto un limite
(CAP) alle emissioni annue di CO2, definito sulla base di un
determinato numero di quote assegnate agli impianti, che di-
vengono oggetto di negoziazione (trade)
in uno specifico mercato. Si tratta di
un meccanismo virtuoso che favorisce
l’uso di combustibili a basso contenuto
di carbonio (ad esempio, metano rispetto al carbone) e, nel caso di generazione
elettrica, premia gli impianti ad elevato
rendimento. È tuttavia un sistema relativamente recente (entrato in vigore
nel 2005) e anche per questo presenta
alcuni aspetti critici per i quali sono
auspicabili alcune correzioni che ne
migliorino l’efficacia. Questo articolo si
propone di individuare alcuni punti deboli del meccanismo attuale e proporre
alcune soluzioni che contribuirebbero,
per opinione di chi scrive, ad un suo
perfezionamento.
La critica principale che si può muovere è che al momento solo alcuni settori sono inclusi in questo provvedimento (l’elenco aggiornato è consultabile
nella Direttiva 2009/29CE del Parlamento Europeo, che modifica la precedente
Direttiva 2003/87/CE). Ne risultano, ad
esempio, gravati gli impianti di generazione elettrica ai quali, come già accennato, vengono assegnate per l’anno
di esercizio un determinato numero
di tonnellate di CO2 (che si possono
correlare direttamente al combustibile
bruciato). Per cui se le quote emesse
eccedono quelle assegnate, le mancanti – messe a disposizione da chi si è
mantenuto al di sotto del quantitativo
attribuitogli – possono essere acquistate
nell’apposito mercato. Evidentemente
l’esborso necessario per l’acquisto del
diritto ad emettere va ad aggiungersi ai
costi variabili di produzione dell’impianto medesimo, con conseguente aumento del costo medio del
kWh prodotto. In ultima analisi, questo porta ad un aumento
delle tariffe dell’energia elettrica, con la conseguenza di far ricadere indiscriminatamente gran parte dell’onere dell’emission
trading sulle spalle dei consumatori di energia elettrica.
Se questa circostanza trova una sua giustificazione nel fatto
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che il settore termoelettrico è tra
le principali sorgenti di emissioni
di CO2, non pare vi sia ragione per
escludere altri ambiti, altrettanto responsabili dell’emissione
di gas climalteranti. Tra questi si possono immediatamente
individuare l’autotrazione, le cui emissioni di CO2 sono legate
alla combustione degli idrocarburi usati come carburanti, e il
riscaldamento degli edifici che utilizza il calore liberato dalla
combustione – nel migliore dei casi – di metano in caldaie.
Tuttavia, il modo in cui superare questo limite dell’attuale
sistema e ottenere tecnicamente il coinvolgimento di questi
settori nel meccanismo dell’emission trading può risultare un
problema di non facile soluzione. Senza la pretesa di offrire
una risposta definitiva, nelle righe che seguono proviamo ad
immaginare come si potrebbe concepire un sistema orientato
in questa direzione.
Si può partire da una semplice considerazione: ogni soggetto è necessariamente responsabile di una certa quantità di
emissioni di CO2, che tuttavia può subire variazioni anche
significative in relazione ad abitudini e stili di vita adottati
sulla base di scelte individuali.
Calando nel concreto questa affermazione si può osservare,
ad esempio, che le emissioni di CO2 legate agli spostamenti
variano a parità di distanza percorsa in funzione del tipo
di mezzo di trasporto utilizzato, e precisamente decrescono
passando da una macchina di grossa cilindrata ad un veicolo
ibrido, a mezzi di trasporto pubblici o al limite alla bicicletta,
qualora il tragitto lo consenta. Allo stesso modo le emissioni
di CO2 legate al riscaldamento degli edifici cambiano sensibilmente in funzione della tipologia e dell’efficienza del generatore di calore e del grado di isolamento del fabbricato; lo stesso
dicasi della CO2 legata ai consumi elettrici, che a parità di servizio reso all’utente, dipendono dalla tipologia dei dispositivi
impiegati (come ad esempio elettrodomestici e lampadine a
basso consumo in alternativa a componenti tradizionali).
Ne consegue che esistono ampi margini entro i quali il singolo può agire a favore della riduzione dell’effetto serra, ed è
pertanto auspicabile un meccanismo in grado di premiare le
scelte virtuose operate in questa direzione. In concreto, questo
si potrebbe realizzare attribuendo direttamente le quote di emissione
a ciascun individuo. Nel qual caso si avrebbe che, nel limite
del valore assegnato, l’utente pagherebbe il solo prezzo della
commodity responsabile dell’emissione di CO2 (nel caso: energia
elettrica, combustibile per il riscaldamento e combustibile per
il trasporto); al di sopra del limite, il prezzo della commodity
sarebbe maggiorato in ragione dell’esternalità dovuta alla CO2
emessa. Questo sistema potrebbe inoltre prevedere la possibilità dello scambio di quote, creando di fatto un mercato delle
emissioni simile a quello esistente, ma proiettato sull’utente
finale.
Il vantaggio rispetto alla situazione attuale sarebbe duplice:
si estenderebbe la responsabilità alle emissioni di CO2 anche
a settori finora esentati (trasporti e riscaldamento degli edifici, per citare i più rilevanti); si indurrebbero comportamenti
virtuosi nell’utente finale, che vedrebbe premiate in maniera diretta le azioni volte alla limitazione delle emissioni. È
evidente che per uscire dal limbo delle buone intenzioni e
giudicare la possibile messa in pratica di un sistema di questo
tipo, è necessario operare alcune valutazioni quantitative. In
particolare, è necessario stabilire la quota limite di riferimento
da assegnare pro capite (cioè il valore che – se superato – determina l’applicazione del meccanismo sanzionatorio di sopra
descritto). Consapevoli che questa operazione richieda ben
più attente valutazioni, consideriamo in via preliminare queste
condizioni di riferimento:
3consumo annuo pro capite di energia elettrica pari a 1.140
kWh, valutati come rapporto tra i consumi totali domestici
nell’anno 2008, pari a 68,4 TWh (Terna), e la popolazione
italiana residente (60 milioni);
3spostamenti in automobile assunti indicativamente pari a
circa 12.000 km/anno per persona, valutati come rapporto
tra il totale della domanda di mobilità su autoveicoli registrata nel 2008 (720 miliardi di passeggeri-km, Commissione
europea) su una popolazione di 60 milioni;
3fabbisogno specifico annuo di energia termica della propria
abitazione pari a 80 kWh/m2. Tale valore è riferito, a puro
titolo esemplificativo, ad un edificio di classe C in zona
climatica E, come definito dalla Deliberazione Giunta Regionale 26 giugno 2007 n. 8/5018 della Regione Lombardia;
3fabbisogno pro capite di acqua sanitaria di 44 litri al giorno, determinato sulla base della normativa UNI TS 11300-2
(2008) considerando un appartamento di 120 m2 abitato da
quattro persone.
È immediato determinare le emissioni di CO2 associate a questi valori di riferimento. Per quanto riguarda i consumi di energia
elettrica, considerando 435 g di CO2 emessi per ogni kWh elettrico (valore calcolato come rapporto tra le emissioni totali del
settore termoelettrico italiano nel 2008, 138,8 milioni di tonnellate,
e i consumi sulla rete nazionale, 319 TWh – Terna), si ottengono
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dei numeri citati discende direttamente dall’ipotesi di aver
valutato il costo dell’esternalità per la CO2 (20 euro a tonnellata) sulla base dei valori del mercato EU-ETS attualmente in
vigore. D’altra parte, una più elevata valorizzazione della tonnellata di CO2 che tenga conto ad esempio dei costi che la collettività sostiene per incentivare l’elettricità da fonti rinnovabili
e i biocarburanti, potrebbe essere presa in considerazione per
generare maggiori prospettive di remunerazione.
Un ulteriore aspetto, non certo secondario, riguarda i possibili ostacoli pratici legati alla messa in funzione del sistema.
Tra le possibili modalità attuative, illustriamo brevemente le
due che a nostro giudizio meriterebbero attenzione.
La prima consiste nell’applicare un’imposta al prezzo delle
commodity energetiche indipendentemente dai consumi (una
sorta di carbon tax), e contestualmente elargire una somma di
denaro pro capite – o più verosimilmente una detrazione fiscale di pari importo – che risarcisca di questo balzello aggiuntivo il soggetto che si trovi a consumare esattamente l’equivalente delle quote assegnate. In questo modo, senza bisogno
di effettuare verifiche a consuntivo, si andrebbe a configurare
per il soggetto in questione un potenziale ricavo o costo aggiuntivo, in relazione a quanto le sue emissioni si allontanino
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0,50 tonnellate di CO2/anno. Gli spostamenti in automobile, ipotizzando emissioni medie di 150gCO2/km, (valore tipico
di vetture di media cilindrata) e un indice
di occupazione di 1,68 passeggeri per veicolo (fonte EEA), sono responsabili per
1,07 tonnellate di CO2 per persona l’anno.
Per l’emissione dovuta al riscaldamento
ipotizziamo che il citato appartamento di
120 m2 abitato da quattro persone sia dotato di un generatore di calore alimentato
a metano avente un rendimento medio
stagionale dell’80 per cento: ne risulta
una produzione pro capite di 0,59 tonnellate di CO2 l’anno. Infine 0,14 tonnellate/anno di CO2 pro capite si possono
attribuire ai consumi di acqua calda sanitaria, ipotizzando che venga prelevata
dall’acquedotto a 10 °C e riscaldata a 40
°C tramite la stessa caldaia utilizzata per
il riscaldamento. In totale dunque, l’individuo mediamente virtuoso qui considerato, è responsabile dell’emissione di 2,30
tonnellate di CO2 l’anno.
Ora, se ipotizziamo una quotazione
della CO2 pari a 20 euro a tonnellata,
il budget corrispondente al quantitativo
assegnato è circa 46 euro. Ne deriva che
un emettitore nullo di CO2, qualora
passasse in essere questo meccanismo,
potrebbe recuperare questa somma annualmente, cedendo le
proprie quote in una opportuna piattaforma di scambio. Detto
incidentalmente, un emettitore virtualmente nullo di CO2 è
un individuo senza dubbio abbastanza singolare, ma non del
tutto improbabile. Sarebbe tale chi abitasse un edificio ben isolato termicamente e asservito da fonti rinnovabili, e riluttante
all’uso dell’automobile.
Un altro aspetto non secondario è l’entità della penalità a
cui andrebbe soggetto chi supera la soglia assegnata. Per brevità
risparmiamo al lettore i passaggi e ci limitiamo a riportare i
risultati (sempre nell’ipotesi di valutare l’esternalità della CO2
pari a 20 euro/tonnellata): il consumatore verrebbe a pagare 0,87
centesimi di euro in più per il kWh elettrico (più 5,1 per cento
rispetto ad un valore di riferimento di 17 centesimi di euro/
kWh), 4,7 centesimi di euro in più al litro di carburante (3,4 per
cento rispetto ad un valore di riferimento di 1,4 euro/litro), 3,9
centesimi di euro in più al m3 di gas (5,2 per cento in più rispetto ad un valore di riferimento di 75 centesimi di euro/m3).
Vista l’entità di queste cifre, bisogna riconoscere che un potenziale guadagno di 46 euro l’anno, cifra modica anzichenò,
non sia verosimilmente sufficiente a scatenare una corsa alle
quote emissione di CO2. È bene però sottolineare che l’entità
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l’assegnazione
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da quelle assegnategli. Si tratta certamente di un meccanismo
di facile implementazione, tuttavia l’effetto congiunto di una
relativamente modesta imposta e lo sgravio fiscale compensativo fruibile una volta l’anno, potrebbe risultare un richiamo
troppo debole verso comportamenti più attenti alle problematiche ambientali, mancando pertanto il principale obiettivo
dell’iniziativa.
La seconda soluzione, un poco più ardita ma sicuramente
di maggiore efficacia, consiste nell’introdurre una CO2-card nominativa sulla quale vengono annualmente caricate le quote di
anidride carbonica assegnate. Queste andrebbero a consumarsi
progressivamente in seguito all’utilizzo delle commodity (in prima istanza: energia elettrica, combustibile per il riscaldamento,
carburante per l’automobile). Il soggetto che dovesse esaurire
le quote sarebbe così tenuto ad effettuare una ricarica – proprio
come si usa fare con i telefoni cellulari – per poter continuare
ad usufruire dei servizi energetici citati. Diversamente, le quote assegnate e non consumate potrebbero a fine anno essere
convertite nelle somme di denaro corrispondenti, in questo
caso a vantaggio del soggetto virtuoso. Si può intuire che questo meccanismo avrebbe il pregio di produrre una maggiore
sensibilizzazione al problema delle emissioni climalteranti: la
necessità di effettuare la ricarica una volta superate le quote
concesse, oltre a rappresentare un deterrente di natura economica, dovrebbe richiamare l’attenzione verso una maggiore
responsabilità riguardo i propri comportamenti in materia di
consumi energetici.
L’ultima considerazione riguarda la destinazione dei proventi
derivanti dall’introduzione di questo meccanismo. Al riguardo
pare naturale indicare come soluzione l’acquisto annuale delle
quote di emissione di CO2 dovute al mancato raggiungimento
da parte dell’Italia degli obiettivi previsti dal Protocollo di
Kyoto (e che al momento gravano prevalentemente sul settore
di generazione termoelettrica), oppure il finanziamento di iniziative aventi come oggetto la riduzione di gas serra, tra cui è
immediato individuare il sostegno verso le energie rinnovabili
e le più varie iniziative a favore del risparmio energetico.