La Marca dall`A alla Z
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La Marca dall`A alla Z
A come alpini, quelli che a maggio hanno invaso le strade di Bassano per l’ottantunesima adunata nazionale. Un evento che ha riunito oltre 400 mila penne nere e migliaia di turisti, curiosi, amici. C’è chi è arrivato in auto, in treno, in corriera. E chi ha scelto locomozioni storiche, stravaganti o naturali come piedi, biciclette, trattori e gli immancabili muli. Infaticabili compagni di viaggio delle penne nere sempre al centro dell’annosa polemica che li differenzia tra muli doc e muli fasulli. Diecimila gli alpini trevigiani che hanno sfilato tra gli applausi del pubblico l’11 maggio. A fianco a loro anche penne nere argentine, canadesi, australiane e statunitensi di tutte le età, segno di una passione che lega e non muore. Ma nel novantesimo anniversario della Grande Guerra, e 60 anni dopo la prima adunata di Bassano, l’invasione degli alpini è stata anche, come sempre, una grande ed emozionante festa di popolo. In onore al motto «donne, bufere e vino non fanno tremare l’alpino» per tre giorni vie, piazze e vecchie fabbriche del Grappa si sono trasformate in accampamenti festanti, cucine e tavolate a cielo aperto dove tutti erano ben graditi. FOTOFILM AFC Qui accanto gli alpini di Treviso alla sfilata di Bassano durante l’adunata nazionale Arricchite anche voi, su tribunatreviso.it, l’alfabeto dei fatti e dei personaggi La Marca dall’A alla Z sperienza, straordinariamente innovativa, costituita dal movimento dei «sindaci del Piave», i fautori del federalismo municipale con il 20 per cento dell’Irpef ai Comuni. Ma non c’è stato solo il quadro politico a rendere avvincente questo 2008 trevigiano. Pensate ai grandi interrogativi etici che stanno determinando sempre più la nostra vita individuale e collettiva. Come un piccolo laboratorio d’avanguardia, la Marca ha proposto tali interrogativi in mo- FOTOFILM TREVISO. La Marca dalla A alla Z, l’alfabeto del 2008, è lo speciale che proponiamo oggi ai lettori, un po’ gioco e un po’ documento, per riepilogare i fatti salienti e i personaggi più significativi dell’anno che ci prepariamo a salutare. La scelta, come sempre nei giornali, riflette il nostro punto di vista: se non lo condividete, arricchiete voi stessi l’alfabeto, da domani, sul nostro sito internet tribunatreviso.it, con le vostre proposte. È un occasione per riflettere, per affinare la propria opinione, per affrontare il 2009 con idee un po’ più robuste. E gli spunti non mancano. Anzi. Questo 2008 al tramonto è stato un anno importante per la Marca, nel bene e nel male. Prendiamo la politica. Mai come quest’anno la Marca ha espresso idee e leadership politiche di così alto livello. Non solo con la nomina di due ministri trevigiani di primo piano come Luca Zaia e Maurizio Sacconi. Ma anche con quell’e- do diretto e concreto: dal testamento biologico registrato nel suo letto da Paolo Ravasin, alla procedura adottata dal Ca’Foncello con i neonati senza speranza, lasciati morire tra le braccia delle mamme con una scelta umanissima e coraggiosa dello staff medico. In entrambi i casi abbiamo assistito ad un’ampia, civile e diffusa discussione pubblica. Un bel segnale per la nostra comunità. Così come intenso, duro e interessante è il dibattito sulla convivenza interetnica e interreligiosa: un capitolo irrisolto, ma che arricchise in ogni caso la nostra comunità. Abbiamo visto in faccia anche il male assoluto, con il processo agli assassini di Gorgo, con l’arresto del killer di Iole. Ma in entrambi i casi abbiamo anche visto lo straordinario lavoro delle forze dell’ordine e la puntualità della magistratura nel chiarire e nel rendere giustizia. Anche questo è stato un buon segnale. AFC Ecco le storie di un anno indimenticabile Accanto, l’esplosione subito dopo il terribile schianto del Tir che ha saltato il guard rail Lo sport può cambiare la vita. E’ successo ad Alessandro Ballan, 29 anni, di San Giorgio di Castelfranco, che il 28 settembre ha vinto il campionato del mondo di ciclismo su strada. E’ il primo trevigiano a realizzare il sogno di ogni ciclista professionista. Ancora più bello, è accaduto a Varese, sulle strade di casa, davanti al pubblico che, quando è scattato imperiosamente a tre chilometri dalla fine, lo ha riconosciuto e lo ha «spinto» fino al traguardo. I cinque minuti più belli del ciclismo terminati in un’apoteosi. Per Alessandro Ballan ci sono voluti quasi vent’anni in bicicletta per salire sul tetto del mondo. Una carriera cominciata tra i giovanissimi del Giorgione, proseguita con il Postumia ’73-Dino Liviero, Zalf Désirée Fior, Unione Ciclisti Trevigiani e Cyber Team prima che la famiglia Gastaldello, che costruisce le biciclette Wilier Triestina, insistesse perché la Lampre gli facesse firmare il contratto. Dal 2004 Ballan non ha mai cambiato squadra anche se dall’estero lo hanno tentato più di qualche volta con offerte allettanti. Forse un segno di riconoscenza verso il gruppo della famiglia Galbusera che gli ha consentito di volare sul gradino più alto del podio iridato. Alessandro Ballan è sposato con Daniela e ha due figlie: Stella e Azzurra, forse un segno del destino quello della ultima nata l’11 agosto a un mese dalla gloria. Ma dal 28 settembre 2008 la vita di «Ale» è cambiata. In due mesi ha girato l’Italia per ritirare una raffica di premi. L’hanno voluto in Svizzera e in Belgio, dove ha un fan club dopo la vittoria al Giro delle Fiandre, è anche un modello di Laura Biagiotti e farà da testimonial per una marca di orologi. Ma è solo l’inizio, perché il sogno di Ballan è vincere la Parigi-Roubaix con la maglia iridata. (s.b.) Nove agosto, tre del pomeriggio. Lungo la A4 Venezia-Trieste il Tir guidato da Roman Baran, 48 anni polacco, sbanda, urta un camper poi sterza bruscamente puntando il guard rail. Il camion taglia la lamiera protettiva come burro e invade la carreggiata opposta. I mezzi in corsa non fanno nemmeno in tempo a frenare. Il Tir centra l’auto di una famiglia bolognese, muoiono padre, madre e figlia, poi investe un altro autotreno guidato da un marocchino. E’ un groviglio che non lascia scampo. I mezzi si incendiano, ma il dramma sembra non avere fine. Contro le fiamme piomba un’altra auto: una Bmw targata Vicenza con a bordo due persone. In pochi secondi, tutti ripresi dalle telecamere dell’autostrada, muoiono sette persone. E’ la strage di Cessalto. I soccorritori intervengono in uno scenario da guerra, ma non c’è nulla da fare. Si apre l’inchiesta. La Procura affida tre perizie: una sui resti del camionista polacco, una sul video girato dalle telecamere e una sulla dinamica. Si punta il dito anche contro il guardrail: obsoleto. Il 23 ottobre l’A4 viene parzialmente chiusa per ricostruire la dinamica dell’incidente. Mentre l’autopsia scagiona il camionista polacco, si accerta che la strage è stata causata da un guasto meccanico nel mezzo. GAVAGNIN Accanto, Bimbola Thomas accusata di aver praticato la circoncisione si Evidence FOTOFILM Piccola oasi di multiculturalità, in viale Monfenera, «Hilal» è il circolo fondato a maggio dal coordinatore delle comunità marocchine di Treviso, Abdallah Khezraji, come simbolo di dialogo fra gli stranieri e la città roccaforte della Lega. Ma il 2008 è stato un anno «caldo» sul fronte islamico. La comunità trevigiana, sfrattata a fine 2007 dall’oratorio di Paderno, inizia un lungo «pellegrinaggio» nei comuni della provincia alla ricerca di una moschea. La Lega però oppone alle ragioni della preghiera lo spauracchio del terrorismo. Passano i mesi e ad aprile, la comunità islamica si spacca. Nasce «Seconda Generazione». Il gruppo ha il volto di una giovane studentessa cresciuta a Treviso, Meryem Fourdaous, che non lesina attacchi a Gentilini e ai «padri» della comunità, Khezraji e l’imam Youssef Tadil, «colpevoli — dice — di non aver saputo difendere la comunità dagli attacchi della Lega». A maggio il gruppo lancia la sfida all’amministrazione, pregando ogni venerdì nel parcheggio di via Cisole, a San Liberale. Il clima è teso ed è l’arrivo del console marocchino a porre fine alla preghiera. Con l’inizio del Ramadan, il gruppo affitta un negozio dismesso a San Liberale come sede di associazione e scatenando ancora una volta l’ira di Cà Sugana. I toni si esasperano: il falco della Lega Pierantonio Fanton e alcuni rappresentati del gruppo arrivano allo scontro fisico. Intanto il gruppo di musulmani guidato dall’imam Youssef Tadil si ritrova a Villorba per pregare all’aperto. Su Treviso si accendono le telecamere delle tv nazionali e internazionali. Con il Ramadan finisce il mese caldo dei musulmani che però continuano ha chiedere una moschea. FOTOFILM E’ iniziata a Venezia lo scorso novembre l’udienza preliminare contro Michele Fusaro, il falegname di Bassano che il 12 dicembre dello scorso anno rapì Iole Tassitani, figlia del notaio di Castelfranco, la sgozzò e la ridusse in 29 pezzi. La difesa ha chiesto il rito abbreviato (sconto di pena di un terzo) condizionato alla perizia psichiatrica a cui si erano opposti accusa e parti civili. Il giudice Giuliana Galasso ha ammesso la perizia e l’équipe di psichiatri, formata dagli specialisti scelti dalle diversi parti, è entrata in carcere a dicembre, per il primo colloquio di cinque colloqui. L’udienza, con la relazione dei consulenti, è stata aggiornata a marzo. Fusaro si trova rinchiuso nella cella 13, braccio di massima sicurezza, del penitenziario di Vicenza. La tribuna lo ha incontrato dietro le sbarre: sul tavolino aveva la Bibbia alla cui lettura si dedica assiduamente e un settimanale popolare. «Aspetto il perdono», ha detto Fusaro facendo riferimento alla famiglia Tassitani. Poi ha accusato la stampa di aver ostacolato il riavvicinamento tra lui e i parenti della vittima. Fusaro, che ha accolto i visitatori in cella scusandosi per il disordine (tutto era perfettamente a posto), si è commosso in un solo momento: parlando di sè stesso. Nessuna parola su Iole. (s.t.) Accanto, Iole Tassitani fotografata con il suo idolo Claudio Baglioni La prima volta in cui la Marca si confronta, drammaticamente, con le usanze e le tradizioni dei suoi immigrati è con Evidence Obosee Prince Aseh, il neonato nigeriano morto dissanguato nella sua culla dopo una circoncisione clandestina praticata in casa, a Visnadello. Il dramma viene alla luce all’alba del 6 giugno quando i genitori, sconvolti, fermano un’ambulanza chiedendono di essere portati al Pronto soccorso. In braccio hanno il piccolo Evidence, esanime, dissanguato dall’operazione subita alcuine ore prima. Ad effettuarla, sotto compenso di circa 150 euro, un’altra nigeriana: Bimbola Maria Thomas, 34 anni. Davanti avanti alle autorità la donna confessa di non essere nuova a quel genere di interventi all’interno della comunità africana. Nel suo appartamento, a seguito delle perquisizioni, gli agenti trovano diversi bisturi monouso. La nigeriana viene arrestata per omicidio preterintenzionale ma le accuse nei suoi confronti si aleggeriscono dopo l’autopsia effettuata sul corpo del piccolo. Il Pm Giuseppe Salvo riformula l’iputazione: le viene contestata la «morte del bambino in conseguenza di un altro delitto». Maria ammette: «Non opererò più». La proposta di debellare il fenomeno delle «circoncisioni casalinghe» aprendo le porte degli ospedali infiamma il dibattito politico. Antonio Guadagnini vicesindaco di Crespano fondatore e portavoce dei «sindaci del Piave» Un semestre o poco più, e «G&G», la poltrona per due di Ca’ Sugana, slogan vincente della precedente legislatura monocolore del Carroccio, sembra scoppiare. La coabitazione fra il sindaco Giampaolo Gobbo e il vice Giancarlo Gentilini si sta rivelando sempre più difficile. C’era una volta la divergenza «nevralgica» sull’utilità del park sotterraneo in piazza Vittoria (Genty fautore, il sindaco «frenatore»), in un ticket che teneva, con il ruolo prosindaco affidato a Gentilini: un autentico superassessore libero di muoversi a 360 gradi fra i referati, a cominciare dai Lavori Pubblici. Adesso è una gara continua fra «G&G» a smarcarsi reciprocamente, per rimarcare le distanze di opinioni, stili, concezioni dell’amministrazione della città. Un giorno è la ventilata chiusura del centro storico, o quantomeno l’ampliamento delle zone a traffico limitato; un altro il rapporto con gli islamici; il terzo la posizione sull’abolizione dell’Ici e le casse vuote degli enti locali; il quarto le superordinanze sul decoro alla Bitonci. E poi il rapporto con gli alleati, la valutazione sulle difficoltà di Fondazione Cassamarca e sulle scelte di De Poli... Succede anche nelle migliori coppie. Non è un caso che le scintille si riverberino in giunta, dove Gentilini ha perso i suoi fedelissimi, ed è sempre più isolato, in consiglio e in municipio. I bene informati di Ca’ Sugana raccontano che si contano sulle dita di una mano le occasioni in cui i due si fanno vedere assieme, dalle inaugurazioni ai convivi. Ma guai a «ufficializzarlo»; la Lega lo smentirà sempre fino alla morte, non può permettersi di perdere la sua prima icona. E certo pesa l’ingresso in giunta degli alleati del Pdl. Ma la «musica» a Ca’ Sugana è cambiata, in pochi mesi. E adesso tocca anche alla macchina comunale. Ne risentiremo parlare. Si sono ritrovati in tanti, nell’oratorio San Giovanni Bosco di Ponte della Priula, lo scorso 16 maggio. E hanno deciso di dare battaglia. I «sindaci del Piave», come subito sono stati chiamati, hanno lanciato la proposta di lasciare il 20 per cento dell’Irpef versata nei territori comunali ai municipi. Un movimento che nel breve spazio di un’estate è diventata una valanga: 450 sindaci veneti su 581 hanno sottoscritto l’idea. Il primo di ottobre, a Roma, oltre quattrocento fasce tricolori hanno rappresentato la rabbia del Veneto. Sono stati ricevuti da Tremonti, Calderoli e Fitto. Intanto il disegno di legge del governo, cambiato tre volte, sta facendo il suo cammino in Parlamento. Ma i sindaci non si accontentano: e dal primo gennaio vogliono raccogliere le firme di un milione di veneti. A guidare il giovane vice sindaco di Crespano del Grappa, Antonio Guadagnini, diventato il volto di questa protesta. La proposta è semplice: prevede l’abolizione dell’attuale sistema di trasferimenti dello Stato, squilibrato a favore dei comuni del sud, in cambio del 20 per cento dell’Irpef. Per il Veneto un cambiamento epocale. Tra gli aderenti degli ultimi giorni anche i sindaci di Torino, di Monza, di Varese. Il movimento si allarga a tutto il Nord. BIANCHI Mercoledì 5 novembre. Dentro lo stadio Santiago Bernabeu di Madrid sono in ottantamila. Quando lui esce, a pochi spiccioli di partita ancora da giocare, si alzano tutti in piedi. Standing ovation, il massimo onore delle armi che pochissimi “nemici” del Real Madrid hanno saputo raccogliere. Lui, Alessandro Del Piero, saluta con un inchino. Ha appena segnato due gol — un sinistro a beffare l’ex compagno Cannavaro e una punizione delle sue — con i quali la Juve ha battuto i merengues sul loro campo dopo 46 anni. Il 2008 di Ale (alla veneta, non Alex, perché sulla carta d’identità è pur scritto nato a Conegliano) si condensa in questa immagine. Un anno straordinario, nel senso puro e non annacquato del termine: 28 gol segnati, 20 in campionato — più dei 19 di Amauri e dei 18 di Ibrahimovic — la classifica marcatori conquistata alla prima stagione in A «D.C.», Dopo Calciopoli. Lui l’anno prima è sceso in B con la sua Juve, lo scudetto sul polsino, visto che dal petto glielo hanno strappato. Questo 2008 è stato l’anno del ritorno in Champions’, la coppa con le orecchie che Ale ha già alzato nel 1996. Ci riprova, e ha ripreso con le sue magìe europee contro lo Zenit San Pietroburgo e il Real Madrid. Ha appena compiuto 34 anni, Ale, ma sorride e non risponde se gli chiedete quando ha intenzione di smettere. Lo avevano dato per finito mille volte, lo hanno ribattezzato Godot perché sembrava non arrivasse mai più, dopo il terribile infortunio del 1998. Ora è tornato, e non vuole più andarsene: nel 2010 ci sono i mondiali, va difesa la coppa conquistata a Berlino anche con un suo gol, in quei rigori spaccacuore con la Francia. Nei giorni scorsi, parlando di Cassano e del suo possibile ritorno in nazionale, il presidente della Figc, Abete, ha detto al genio & sregolatezza sampdoriano: impari da Del Piero. Perché Ale è da standing ovation non solo per i gol. (f.p.) Nel 2005 avevano firmato un accordo: sì al “congelamento” dello stipendio, pur di avere in cambio la garanzia di non perdere il posto di lavoro. Oggi che l’azienda ha messo sul piatto un piano di licenziamenti che ne farà fuori oltre trecento, i lavoratori della Osram di Treviso sono diventati il simbolo di questa crisi. Una crisi globale, che dai palazzi della finanza e dei colossi bancari mondiali arriva come una tempesta fino alle piccole imprese della Marca. Il costo del denaro aumenta, il meccanismo dei prestiti si inceppa, i consumi calano, la domanda precipita: in questa spirale vengono risucchiati migliaia di posti di lavoro. A novembre in provincia di Treviso si contavano 5.583 dipendenti in cassa integrazione: è come se un intero paese delle dimensioni di Altivole avesse perso (o rischiasse di perderlo presto) il lavoro. A soffrire sono i comparti che hanno fatto la storia del manifatturiero trevigiano, dal tessile al metalmeccanico passando per le calzature. Anche il legno-arredo inizia a battere qualche colpo a vuoto, per non parlare dell’edilizia in picchiata. Da Osram al gruppo Zoppas, dai tagli degli interinali in De’ Longhi a quelli alla 3B, dai colossi come Tecnica e Monti fino alle microimprese artigianali, in pochissimi si salvano. La luce in fondo il tunnel è difficile da vedere, anche perché fino a qualche mese fa chi perdeva il lavoro in fabbrica magari si “riciclava” nel commercio o nei servizi, mentre oggi anche lì è dura. Rispetto a questo quadro — già a tinte fosche — secondo il sindacato la cassa integrazione è destinata a raddoppiare entro i primi mesi dell’anno prossimo, per effetto di un’onda lunga di difficoltà che deve ancora raggiungere il proprio picco. Intanto migliaia di famiglie stringono i denti, tirano un sospiro di sollievo se la rata del mutuo scende un po’ e la benzina costa meno, sperano di non avere imprevisti. Per tutto il resto, invece che a Master Card, ci si affida alla social card. Naim Stafa condannato all’ergastolo. Vent’anni a George Alin Bogdaneanu. Queste le condanne emesse dal giudice Elena Rossi il 22 settembre scorso per l’omicidio dei conuiugi Guido e Lucia Pelliciardi avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 agosto dell’anno scorso a Gorgo al Monticano. L’albanese Arthur Lleshi, anche lui accusato dello stesso delitto, si era suicidato l’anno scorso, impiccandosi all’interno del carcere di Padova pochi giorni prima di Natale. Il giudice, nel motivare la sentenza che sarà comunque oggetto di ricorso in Appello, delinea il ruolo di tutti gli imputati. Stafa ha sempre mentito. Emerge, secondo il magistrato, la sua posizione dominante: «E’ lui che comandava, abituato a sfruttare la prostituzione di donne verso le quali usava anche particolare violenza, dedito anche ad altre attività illecite quali la cessione di sostanze stupefacenti e reati contro il patrimonio. Scaltro, dice subito che i telefoni permetteranno di accertare che lui non era presente sul luogo del fatto, dimostrando conoscenza in materia di tabulati telefonici». La condotta di Bogdaneanu, sostiene il magistrato, deve essere invece ricondotta nell’alveo del concorso nei reati contestati «in quanto egli ha fornito un apporto materiale determinante: prende parte ai ripetuti sopralluoghi, fornisce la propria auto, lascia ai complici la piena disponibilità dell’abitazione, si adopera a cancellare le tracce che conducessero ai correi. Inoltre proprio l’utilizzo del postamat conferma l’adesione preventiva al piano criminoso». Tutto ciò, spiega il giudice Rossi, dimostra l’attivismo di Bogdaneanu e la sua piena adesione al delitto. E sullo sfondo resta l’inquietante ombra di una quarta belva ancora in libertà. Il suo nome era stato fatto da Lleshi in un drammatico interrogatorio, poco prima di uccidersi. Quadri. Bellissimi, tantissimi e, finalmente, bene accolti dal pubblico. Dopo gli anni d’oro (dal punto di vista dei numeri e delle emozioni) delle mostre sugli impressionisti curate da Marco Goldin, Treviso disperava di poter ospitare, ancora a Ca’ dei Carraresi, una rassegna d’arte che richiamasse il grande pubblico. Invece, dopo le tiepide accoglienze (sempre in termini numerici, non stiamo valutando la qualità) alle rassegne su Cina, Ottocento e Novecento veneti, ecco arrivare la mostra sul Canaletto e sui vedutisti che operarono a Venezia. I numeri sono subito importanti, il flusso di turisti è nuovamente continuo e massiccio, specie durante i fine-settimana. Anchye bar, ristoranti, alberghi e negozi, dopo un avvio guardingo, sposano la «causa». Merito, anche, degli illustri visitatori come Vittorio Sgarbi e Lucio Dalla, che fanno nuovanente respirare a tutti l’aria dell’evento. Se a Ca’ dei Carraresi gli amanti dell’arte arrivano da tutta Italia, sempre tiepida resta l’accoglienza da parte del pubblico trevigiano, che, com’è avvenuto in passato, si assieperà magari negli ultimi giorni utili, giusto per non dover dire «me la sono persa». E l’organizzatore Brunello pensa già alla prossima. Sul Giorgione per il cinquecentenario. Castelfranco permettendo, ma è presto per le polemiche. FOTOFILM Qui accanto Lucio Dalla in visita alla mostra del Canaletto alla Ca’dei Carraresi di Treviso FOTOFILM Ammutoliscono tutti quando la dottoressa Nadia Battajon dell’Usl 9 racconta in un covegno a Padova quanto avvenuto qualche settimana prima nel reparto di Patologia neonatale dell’ospedale trevigiano. Nadia Battajon, dottoressa del Ca’ Foncello, aveva dichiarato di aver staccato la spina ad un neonato senza speranza. Del caso si era interessata anche la magistratura trevigiana. Dopo giorni di roventi polemiche in cui si arriva a parlare anche di eutanasia, interviene anche il vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzocato che difende apertamente la dottoressa dalle accuse che le vengono mosse. «Ogni vita umana è sacra e chiede di essere sostenuta con assoluto rispetto e con i mezzi possibili, in ogni momento. Questo sostegno non deve però offendere la dignità della persona con accanimenti terapeutici inutili», ha detto il vescovo Mazzocato difendendo così la scelta fatta dai medici trevigiani. La vicenda si è poi conclusa con il giudizio della Procura che si era fatta consegnare le cartelle cliniche del neonato. «Non c’è stata alcuna contaminazione — hanno scritto i magistrati che si sono occupati del caso — con valutazioni di natura medica, religiosa o morale». Battajon non ha mai avuto dubbi sul suo operato: «Sono sempre stata serena. So di aver sempre fatto il mio dovere». FOTOFILM La dottoressa Nadia Battajon al centro del caso dei neonati senza speranza Accanto la dottoressa Nadia Battajon neonatologa dell’ospedale Ca’Foncello di Treviso Sembra un film. Match Point di Woody Allen, con il caso che scombina e decide tutto. E’ invece un fatto vero: lui che propone alla moglie una passeggiata romantica in riva al canale dentro cui si specchia la luna, che le dice «ho una sorpresa per te», che la fa girare e dopo averle dato un bacio sulla nuca la spinge giù, nelle acque gelide dalle quali nessuno si è mai salvato. Lei, che non sa nuotare, riesce a restare a galla grazie al piumino e, aggrappandosi, a un ramo secco si mette in salvo. E’ successo il 7 novembre a Colfosco. Lui Eddy Mariotto, 30 anni, impresario edile con amante (conosciuta tramite un annuncio erotico), è finito in carcere, dove ancora si trova, con l’accusa di tentato omicidio. «Non so perché l’ho fatto», ha dichiarato l’uomo. E lei ha ribattutto: «Ho vissuto per 10 anni con un mostro». Ora ha chiesto la separazione. Lui aveva preparato il piano accuratamente: aveva sparso la voce che la moglie era depressa, che aveva tentato il suicidio. Poi aveva portato la bici vicino al canale, pronta all’occorrenza. Il 7 novembre è scattato il piano: i coniugi sono usciti in auto per la passeggiata romantica, lui l’ha spinta ed è poi rientrato in bici, mentre la moglie gli gridava aiuto. Era convinto di aver messo in scena il «suicidio» perfetto. Il caso ha deciso diversamente. (s.t.) AFC Sono le 9.38 del 4 gennaio quando il pilota del volo XY-2081 che stava percorrendo la tratta Maiquetia-Los Roques, in Venezuela, lancia il may-day: l’aereo scompare. A bordo c’erano 8 italiani, tra loro una famiglia di Ponzano: Paolo Durante, 41 anni, la moglie Bruna Guernieri, 42, e le figlie Emma e Sofia, di 8 e 6 anni. Secondo la protezione civile venezuelana il Let-410 si è inabissato nei Caraibi nel tentativo di ammarare dopo un problema tecnico. Ma è giallo: non ci sono tracce del velivolo, che pare scomparso nel nulla. A due settimane dall’inizio del mistero di Los Roques appare il cadavere del copilota, ritrovato seminudo su una spiaggia a 300 chilometri di distanza: secondo un esperto anatomopatologo non sarebbe morto nello schianto. Dall’Italia i familiari non credono all’incidente, e cominciano a battere all’ipotesi del dirottamento da parte dei narcotrafficanti e del sequestro. Denunciano l’immobilismo della Farnesina e la volontà dei venezuelani di non cercare nulla — sullo stesso tratto, negli ultimi 10 anni, sono spariti 30 aerei — e scoprono con investigazioni private che a bordo dell’aereo c’erano 18 persone, non 14, e che il velivono non aveva le autorizzazioni per volare. Finchè a fine aprile i venezuelani annunciano di aver trovato il punto esatto in cui si trova l’aereo: dopo tre mesi di trattative per fotografare il mezzo si scoprirà, a fine dell’estate, che in realtà era stata individuata una roccia. Ora le richerche sono arrivate al termine, senza trovare nulla. I familiari hanno creato diversi siti internet per chiedere certezze, attendono il risarcimento dalla compagnia assicurativa dopo i certificati di morte presunta ma non mollano: «I nostri cari non sono in fondo al mare». Accanto le minacce via Sms alla commessa di Treviso presa di mira col volantino super-sexy FOTOFILM Virna, bellissima, luminosa, con quegli occhi che ridono sempre, regalando gioia a chi ha la fortuna di averla di fronte. Virna Lisi arriva a Treviso in una serata d’inverno. Una serata fredda, con la nebbia che mette a rischio lo scalo aeroportuale (e lei arriva in auto, da Roma, per ritirare il premio «Fuoriclasse») restituisce alla città, quarantatrè anni dopo, la visione di una delle donne più belle del Dopoguerra. Virna Lisi è anche una «trevigiana adottata», perchè diventata, senza volerlo, simbolo di tutte le belle donne per cui la città è nota: la Signorina Milena di «Signore & Signori» è indimenticabile e indimenticata. E’ lei, nel film di Germi, la cassiera che fa perdere la testa al maritatissimo ragionier Bisigato, alias Gastone Moschin, che stanco di nascondere la sua storia con quel «gioiello di donna», sfida al suo braccio, attraversando Piazza dei Signori, tutte le «convenienze» dell’epoca. E, quando i bempensanti insorgono e lo scandalo lo travolge, sale sui merli del Palazzo per inscenare un goffo tentativo di suicidio. Così quando, su un palchetto un po’ disadorno piazzato in mezzo alla piazza, sale la bellissima Virna, emozionata e felice della calorosa accoglienza, la gente si spella le mani e scatta una montagna di foto. Dopo il saluto, Virna corre al cinema, dove viene riproiettato (restaurato) il film che la portò, giovanissima e luccicante di bellezza, a Treviso. Soltanto qualche mese prima - lui da semplice turista - per Piazza dei Signori era passato «il ragionier Bisigato». Gastone Moschin, in totale anonimato, era venuto a respirare l’aria e a guardare i luoghi in cui era stato girato quel fortunatissimo e pluripremiato film. AFC Quand’era piccolo giocava a fare il D’Artagnan. Da grande lo è diventato davvero e ha regalato all’Italia la prima medaglia d’oro di Pechino. Matteo Tagliariol, trevigiano di 25 anni, esordiente ai Giochi, è salito con la sua spada, dopo quasi mezzo secolo di vuoto, sul gradino più alto del podio. In finale l’azzurro si è ritrovato contro il francese Fabrice Jeannet, uno dei suoi idoli: un assalto a senso unico, a parte il solito inizio di studio. Una giornata che Matteo non dimenticherà mai e che Treviso avrà sempre nella memoria: alla sua città e al suo primo maestro, Ettore Geslao, è andata la dedica più toccante. Matteo ha cercato la medaglia d’oro anche nella gara a squadre: invece sarà bronzo e con due medaglie al collo si è presentato al sindaco di Treviso. L’abbraccio della città è stato caldo come non mai: «Voglio continuare a vincere, la tivù non mi interessa». Dice. Ma ben presto cambia idea e partecipa al reality «La talpa». «La Federazione non mi ha ancora dato una lira, non si vive di sola gloria, servono i soldi». L’affondo più recente è ancora nei confronti della Federazione e del suo presidente, una querelle sollevata da Aldo Montano e continuata da Matteo riguardo ai loro due maestri ormai lontani dall’Italia: «Va avanti chi non cambia le cose, non chi guarda al futuro». Accanto Matteo Tagliariol medaglia d’oro nella spada alle Olimpiadi di Pechino «La calda settimana dell’inquieta casalingua, commessa in un noto negozio di abbigliamento in centro a Treviso». E’ questo il boccacesco incipit del volantino apparso il primo luglio sotto le serrande di centinaia di negozi del centro. Il «corvo» racconta la storia bollente di una sexy commessa, ed esalta il chiacchiericcio della città con il suo «Corna a Treviso», le avventure tra la bella quarantenne (il volantino ne riportava nome e cognome) e il suo insaziabile amante. Il racconto delle performances erotiche dell’avvenente signora tratteggia una (presunta) settimana a luci rosse da campioni dell’eros, tra pause pranzo fuori porta e cenette al lume di candela sfociate nella passione. Il caso finisce immediatamente in Procura, e dalla cronaca rosa si passa al giallo: una coppia di Marghera — l’ex amante della sexy commessa e sua moglie, entrambi di 54 anni — risulta indagata non solo per diffamazione ma anche per molestie, ingiurie (anche con sms, come nella foto qui a fianco), tentata violenza privata, minacce e lesioni ai danni della quarantenne commessa, che ha chiesto anche un cospicuo risarcimento danni. Dal genere boccaccesco alle aule di giustizia, alla faccia di «Signore & Signori»: i coniugi di Marghera andranno a processo. FOTOFILM FOTOFILM A Treviso nasce una piccola, grande battaglia per i diritti civili. Dal letto di una casa di riposo di Monastier, Paolo Ravasin, 48 anni, da 10 malato di Sla, firma il suo testamento biologico, che poi decide di rendere pubblico con un video-testamento. Paolo dice di non voler essere sottoposto all’idratazione e all’alimentazione artificiale nel caso non fosse più in grado di intendere e di volere. La sua testimonianza fa il giro dei network locali e del web: Ravasin diventa il simbolo, insieme a Piergiorgio Welby e a Eluana Englaro, del riconoscimento dei diritti del malato a morire «dignitosamente». Raccoglie la commozione dei trevigiani, l’imbarazzo della politica e le critiche degli ambienti ecclesiastici. E’ un editoriale pubblicato a luglio su «La vita del Popolo», a firma del teologo Giuseppe Mazzocato, a scatenare le polemiche più dure. Mazzocato infatti definisce la scelta di Ravasin «un suicidio». La settimana successiva, il vescovo monsignor Andrea Bruno Mazzocato, fa visita a Ravasin: un incontro incontroa suo modo «storico». La curia parla di «un’iniziativa di solidarietà umana». Ravasin lo definisce «un colloquio fra due cattolici». L’ultima volta che Paolo fa sentire la sua voce risale allo scorso 13 novembre, il giorno in cui la Cassazione di fatto dice «sì» all’interruzione delle cure per Eluana Englaro. «Sono contento per il padre di Eluana — dice commosso Paolo — Spero che questa sentenza possa cambiare qualcosa». Un mese dopo il ministro trevigiano Maurizio Sacconi emana un atto di indirizzo, invitando le strutture sanitarie pubbliche e convenzionate a non praticare l’interruzione delle cure artificiali. Accanto Luca Zaia nominato ministro alla cerimonia del giuramento al Quirinale La notizia della tragedia arriva la mattina del 14 settembre dagli Urali: il volo dell’Aeroflot da Mosca a Perm si era schiantato nella notte. A bordo c’era Tomaso Martinazzo, artigiano 51enne di Crocetta, imbarcatosi il giorno prima da Venezia per andare a collaudare un essicatoio a Perm per conto della Incoplan di Mareno. Nessun superstite e difficile recupero dei corpi: questo comunica l’Unità di crisi della Farnesina ai carabinieri e al vicesindaco di Crocetta, Lucia Poloniato, cugina di Tomaso Martinazzo. Quella mattina Stefania Bacchetto, la moglie, ed Erika e Ester, le figlie, sono a Villa Pontello per partecipare alla festa del volontariato. Come Stefania Bacchetto vede il vicesindaco e i carabinieri intuisce che qualcosa di grave è avvenuto. Portano lei e le figlie di 14 e 7 anni a casa e la informano di cosa è accaduto la notte sugli Urali. Tomaso Martinazzo per il suo lavoro girava per il mondo: Asia, Africa, Americhe. Era uno dei pochi tecnici specializzati in colluadi di essicatoio e quindi era sempre con la valigia in mano. Doveva tornare dopo dieci giorni, invece il destino lo attendeva a poca distanza dall’aeroporto di Perm, sugli Urali. Appena saputo della tragedia, i parenti si chiudono nel dolore, circondati dall’affetto del paese, mentre l’amministrazione comunale si attiva per fornire tutta l’assistenza necessaria e per fare le pratiche per il rimpatrio della salma. In Russia viene inviato il Dna prelevato al padre per facilitare l’operazione di riconoscimento. Passano i giorni, le settimane, ma dalla Russia nessuna notizia. E l’angoscia aumenta. Finalmente, dopo oltre un mese, viene comunicato che c’è stato il ritrovamento. Da Perm arriva la bara e il 20 ottobre, nella chiesa di Nogarè, viene celebrato il funerale. (e.f.) Altri andavano a 100 all’ora a trovare la fidanzata. Lui corre il doppio. A 193 all’ora, sulla A/27., Nessuno sapeva — lui sì, in cuor suo? — che stava sfrecciando in realtà verso palazzo Chigi e Roma (un tempo) ladrona. Imprevedibile Zaia: nel momento meno brillante della sua sovraepsosta carriera politica, la Lega piazza la propria bandiera sul ministero dell’Agricoltura. E auspice Bobo Maroni, nonché i veti incrociati tra Fi e An, a 40 anni Zaia siede nel consiglio dei Ministri. La conferma di Treviso scuola politica di prim’ordine: Sacconi, sempre più big in Forza Italia, assume i dicasteri chiave di Welfare e Lavoro. Zaia — detto anche er pomata, per il gel — impone ben presto il suo stile. Giri nelle stalle e nei campi, giacca cravatta e stivali affogati nel terreno; campagne a favore dei nostri prodotti (l’ultima la crociata contro l’ananas sulle tavole di Natale) e l’onnipresenza sui media, fino all’ospita nello studio del Tg1; il mai rescisso cordone ombelicale con la Marca crea l’ufficio aperto il lunedì al «suo» Cerletti a Conegliano. Fino al trionfo politico sulle quote latte, a Bruxelles. E il suo antico sogno di governare il Veneto? Si tira fuori, giura che Bossi ha designato Tosi. Sarà vero?