La Marca dall`A alla Z

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La Marca dall`A alla Z
A come alpini, quelli che a maggio hanno invaso le strade di
Bassano per l’ottantunesima adunata nazionale. Un evento che ha
riunito oltre 400 mila penne nere e migliaia di turisti, curiosi, amici.
C’è chi è arrivato in auto, in treno, in corriera. E chi ha scelto
locomozioni storiche, stravaganti o naturali come piedi, biciclette,
trattori e gli immancabili muli. Infaticabili compagni di viaggio delle
penne nere sempre al centro dell’annosa polemica che li
differenzia tra muli doc e muli fasulli. Diecimila gli alpini trevigiani
che hanno sfilato tra gli applausi del pubblico l’11 maggio. A fianco
a loro anche penne nere argentine, canadesi, australiane e
statunitensi di tutte le età, segno di una passione che lega e non
muore. Ma nel novantesimo
anniversario della Grande
Guerra, e 60 anni dopo la prima
adunata di Bassano, l’invasione
degli alpini è stata anche, come
sempre, una grande ed
emozionante festa di popolo. In
onore al motto «donne, bufere e
vino non fanno tremare
l’alpino» per tre giorni vie,
piazze e vecchie fabbriche del
Grappa si sono trasformate in
accampamenti festanti, cucine e
tavolate a cielo aperto dove tutti
erano ben graditi.
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AFC
Qui accanto
gli alpini
di Treviso
alla sfilata
di Bassano
durante
l’adunata
nazionale
Arricchite anche voi, su tribunatreviso.it, l’alfabeto dei fatti e dei personaggi
La Marca dall’A alla Z
sperienza, straordinariamente innovativa, costituita dal
movimento dei «sindaci del
Piave», i fautori del federalismo municipale con il 20 per
cento dell’Irpef ai Comuni.
Ma non c’è stato solo il quadro politico a rendere avvincente questo 2008 trevigiano.
Pensate ai grandi interrogativi etici che stanno determinando sempre più la nostra vita individuale e collettiva. Come un piccolo laboratorio d’avanguardia, la Marca ha proposto tali interrogativi in mo-
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TREVISO. La Marca dalla
A alla Z, l’alfabeto del 2008, è
lo speciale che proponiamo oggi ai lettori, un po’ gioco e un
po’ documento, per riepilogare i fatti salienti e i personaggi più significativi dell’anno
che ci prepariamo a salutare.
La scelta, come sempre nei
giornali, riflette il nostro punto di vista: se non lo condividete, arricchiete voi stessi l’alfabeto, da domani, sul nostro sito internet tribunatreviso.it,
con le vostre proposte. È un
occasione per riflettere, per affinare la propria opinione,
per affrontare il 2009 con idee
un po’ più robuste. E gli spunti non mancano. Anzi. Questo
2008 al tramonto è stato un anno importante per la Marca,
nel bene e nel male.
Prendiamo la politica. Mai
come quest’anno la Marca ha
espresso idee e leadership politiche di così alto livello. Non
solo con la nomina di due ministri trevigiani di primo piano come Luca Zaia e Maurizio
Sacconi. Ma anche con quell’e-
do diretto e concreto: dal testamento biologico registrato nel
suo letto da Paolo Ravasin, alla procedura adottata dal Ca’Foncello con i neonati senza
speranza, lasciati morire tra
le braccia delle mamme con
una scelta umanissima e coraggiosa dello staff medico. In
entrambi i casi abbiamo assistito ad un’ampia, civile e diffusa discussione pubblica. Un
bel segnale per la nostra comunità.
Così come intenso, duro e interessante è il dibattito sulla
convivenza interetnica e interreligiosa: un capitolo irrisolto, ma che arricchise in ogni
caso la nostra comunità.
Abbiamo visto in faccia anche
il male assoluto, con il processo agli assassini di Gorgo, con
l’arresto del killer di Iole. Ma
in entrambi i casi abbiamo anche visto lo straordinario lavoro delle forze dell’ordine e la
puntualità della magistratura
nel chiarire e nel rendere giustizia. Anche questo è stato
un buon segnale.
AFC
Ecco le storie di un anno indimenticabile
Accanto,
l’esplosione
subito dopo
il terribile
schianto
del Tir
che ha saltato
il guard rail
Lo sport può cambiare la vita. E’ successo ad Alessandro Ballan,
29 anni, di San Giorgio di Castelfranco, che il 28 settembre ha vinto
il campionato del mondo di ciclismo su strada. E’ il primo trevigiano
a realizzare il sogno di ogni ciclista professionista. Ancora più
bello, è accaduto a Varese, sulle strade di casa, davanti al pubblico
che, quando è scattato imperiosamente a tre chilometri dalla fine,
lo ha riconosciuto e lo ha «spinto» fino al traguardo. I cinque minuti
più belli del ciclismo terminati in un’apoteosi. Per Alessandro
Ballan ci sono voluti quasi vent’anni in bicicletta per salire sul tetto
del mondo. Una carriera cominciata tra i giovanissimi del
Giorgione, proseguita con il Postumia ’73-Dino Liviero, Zalf
Désirée Fior, Unione Ciclisti Trevigiani e Cyber Team prima che la
famiglia Gastaldello, che costruisce le biciclette Wilier Triestina,
insistesse perché la Lampre gli facesse firmare il contratto. Dal
2004 Ballan non ha mai cambiato squadra anche se dall’estero lo
hanno tentato più di qualche volta con offerte allettanti. Forse un
segno di riconoscenza verso il gruppo della famiglia Galbusera che
gli ha consentito di volare sul gradino più alto del podio iridato.
Alessandro Ballan è sposato con Daniela e ha due figlie: Stella e
Azzurra, forse un segno del destino quello della ultima nata l’11
agosto a un mese dalla gloria. Ma dal 28 settembre 2008 la vita di
«Ale» è cambiata. In due mesi ha girato l’Italia per ritirare una
raffica di premi. L’hanno voluto in Svizzera e in Belgio, dove ha un
fan club dopo la vittoria al Giro delle Fiandre, è anche un modello
di Laura Biagiotti e farà da testimonial per una marca di orologi.
Ma è solo l’inizio, perché il sogno di Ballan è vincere la
Parigi-Roubaix con la maglia iridata. (s.b.)
Nove agosto, tre del pomeriggio. Lungo la A4 Venezia-Trieste il
Tir guidato da Roman Baran, 48 anni polacco, sbanda, urta un
camper poi sterza bruscamente puntando il guard rail. Il camion
taglia la lamiera protettiva come burro e invade la carreggiata
opposta. I mezzi in corsa non fanno nemmeno in tempo a frenare. Il
Tir centra l’auto di una famiglia bolognese, muoiono padre, madre
e figlia, poi investe un altro autotreno guidato da un marocchino. E’
un groviglio che non lascia scampo. I mezzi si incendiano, ma il
dramma sembra non avere fine. Contro le fiamme piomba un’altra
auto: una Bmw targata Vicenza con a bordo due persone. In pochi
secondi, tutti ripresi dalle telecamere dell’autostrada, muoiono
sette persone. E’ la strage di Cessalto. I soccorritori intervengono
in uno scenario da guerra, ma non c’è nulla da fare. Si apre
l’inchiesta. La Procura affida tre
perizie: una sui resti del
camionista polacco, una sul
video girato dalle telecamere e
una sulla dinamica. Si punta il
dito anche contro il guardrail:
obsoleto. Il 23 ottobre l’A4 viene
parzialmente chiusa per
ricostruire la dinamica
dell’incidente. Mentre
l’autopsia scagiona il
camionista polacco, si accerta
che la strage è stata causata da
un guasto meccanico nel
mezzo.
GAVAGNIN
Accanto,
Bimbola
Thomas
accusata
di aver
praticato la
circoncisione
si Evidence
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Piccola oasi di multiculturalità, in viale Monfenera, «Hilal» è il
circolo fondato a maggio dal coordinatore delle comunità
marocchine di Treviso, Abdallah Khezraji, come simbolo di dialogo
fra gli stranieri e la città roccaforte della Lega.
Ma il 2008 è stato un anno «caldo» sul fronte islamico. La
comunità trevigiana, sfrattata a fine 2007 dall’oratorio di Paderno,
inizia un lungo «pellegrinaggio» nei comuni della provincia alla
ricerca di una moschea. La Lega però oppone alle ragioni della
preghiera lo spauracchio del terrorismo.
Passano i mesi e ad aprile, la comunità islamica si spacca.
Nasce «Seconda Generazione». Il gruppo ha il volto di una giovane
studentessa cresciuta a Treviso, Meryem Fourdaous, che non
lesina attacchi a Gentilini e ai «padri» della comunità, Khezraji e
l’imam Youssef Tadil, «colpevoli — dice — di non aver saputo
difendere la comunità dagli attacchi della Lega».
A maggio il gruppo lancia la sfida all’amministrazione, pregando
ogni venerdì nel parcheggio di via Cisole, a San Liberale. Il clima è
teso ed è l’arrivo del console marocchino a porre fine alla
preghiera. Con l’inizio del Ramadan, il gruppo affitta un negozio
dismesso a San Liberale come sede di associazione e scatenando
ancora una volta l’ira di Cà Sugana.
I toni si esasperano: il falco della Lega Pierantonio Fanton e
alcuni rappresentati del gruppo arrivano allo scontro fisico. Intanto
il gruppo di musulmani guidato dall’imam Youssef Tadil si ritrova a
Villorba per pregare all’aperto. Su Treviso si accendono le
telecamere delle tv nazionali e internazionali. Con il Ramadan
finisce il mese caldo dei musulmani che però continuano ha
chiedere una moschea.
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E’ iniziata a Venezia lo scorso novembre l’udienza preliminare
contro Michele Fusaro, il falegname di Bassano che il 12 dicembre
dello scorso anno rapì Iole Tassitani, figlia del notaio di
Castelfranco, la sgozzò e la ridusse in 29 pezzi. La difesa ha
chiesto il rito abbreviato (sconto di pena di un terzo) condizionato
alla perizia psichiatrica a cui si erano opposti accusa e parti civili. Il
giudice Giuliana Galasso ha ammesso la perizia e l’équipe di
psichiatri, formata dagli specialisti scelti dalle diversi parti, è
entrata in carcere a dicembre, per il primo colloquio di cinque
colloqui. L’udienza, con la relazione dei consulenti, è stata
aggiornata a marzo. Fusaro si trova rinchiuso nella cella 13,
braccio di massima sicurezza, del penitenziario di Vicenza. La
tribuna lo ha incontrato dietro le sbarre: sul tavolino aveva la
Bibbia alla cui lettura si dedica
assiduamente e un settimanale
popolare. «Aspetto il perdono»,
ha detto Fusaro facendo
riferimento alla famiglia
Tassitani. Poi ha accusato la
stampa di aver ostacolato il
riavvicinamento tra lui e i
parenti della vittima. Fusaro,
che ha accolto i visitatori in
cella scusandosi per il
disordine (tutto era
perfettamente a posto), si è
commosso in un solo momento:
parlando di sè stesso. Nessuna
parola su Iole. (s.t.)
Accanto,
Iole
Tassitani
fotografata
con il suo
idolo
Claudio
Baglioni
La prima volta in cui la Marca si confronta, drammaticamente,
con le usanze e le tradizioni dei suoi immigrati è con Evidence
Obosee Prince Aseh, il neonato nigeriano morto dissanguato nella
sua culla dopo una circoncisione clandestina praticata in casa, a
Visnadello. Il dramma viene alla luce all’alba del 6 giugno quando i
genitori, sconvolti, fermano un’ambulanza chiedendono di essere
portati al Pronto soccorso. In braccio hanno il piccolo Evidence,
esanime, dissanguato dall’operazione subita alcuine ore prima. Ad
effettuarla, sotto compenso di circa 150 euro, un’altra nigeriana:
Bimbola Maria Thomas, 34 anni. Davanti avanti alle autorità la
donna confessa di non essere nuova a quel genere di interventi
all’interno della comunità africana. Nel suo appartamento, a
seguito delle perquisizioni, gli agenti trovano diversi bisturi
monouso. La nigeriana viene
arrestata per omicidio
preterintenzionale ma le accuse
nei suoi confronti si
aleggeriscono dopo l’autopsia
effettuata sul corpo del piccolo.
Il Pm Giuseppe Salvo riformula
l’iputazione: le viene contestata
la «morte del bambino in
conseguenza di un altro
delitto». Maria ammette: «Non
opererò più». La proposta di
debellare il fenomeno delle
«circoncisioni casalinghe»
aprendo le porte degli ospedali
infiamma il dibattito politico.
Antonio
Guadagnini
vicesindaco di
Crespano
fondatore
e portavoce
dei «sindaci
del Piave»
Un semestre o poco più, e «G&G», la poltrona per due di Ca’
Sugana, slogan vincente della precedente legislatura monocolore
del Carroccio, sembra scoppiare. La coabitazione fra il sindaco
Giampaolo Gobbo e il vice Giancarlo Gentilini si sta rivelando
sempre più difficile. C’era una volta la divergenza «nevralgica»
sull’utilità del park sotterraneo in piazza Vittoria (Genty fautore, il
sindaco «frenatore»), in un ticket che teneva, con il ruolo
prosindaco affidato a Gentilini: un autentico superassessore libero
di muoversi a 360 gradi fra i referati, a cominciare dai Lavori
Pubblici. Adesso è una gara continua fra «G&G» a smarcarsi
reciprocamente, per rimarcare le distanze di opinioni, stili,
concezioni dell’amministrazione della città. Un giorno è la ventilata
chiusura del centro storico, o quantomeno l’ampliamento delle
zone a traffico limitato; un altro il rapporto con gli islamici; il terzo
la posizione sull’abolizione dell’Ici e le casse vuote degli enti locali;
il quarto le superordinanze sul decoro alla Bitonci. E poi il rapporto
con gli alleati, la valutazione sulle difficoltà di Fondazione
Cassamarca e sulle scelte di De Poli...
Succede anche nelle migliori coppie. Non è un caso che le
scintille si riverberino in giunta, dove Gentilini ha perso i suoi
fedelissimi, ed è sempre più isolato, in consiglio e in municipio. I
bene informati di Ca’ Sugana raccontano che si contano sulle dita
di una mano le occasioni in cui i due si fanno vedere assieme, dalle
inaugurazioni ai convivi.
Ma guai a «ufficializzarlo»; la Lega lo smentirà sempre fino alla
morte, non può permettersi di perdere la sua prima icona. E certo
pesa l’ingresso in giunta degli alleati del Pdl. Ma la «musica» a Ca’
Sugana è cambiata, in pochi mesi. E adesso tocca anche alla
macchina comunale. Ne risentiremo parlare.
Si sono ritrovati in tanti, nell’oratorio San Giovanni Bosco di
Ponte della Priula, lo scorso 16 maggio. E hanno deciso di dare
battaglia. I «sindaci del Piave», come subito sono stati chiamati,
hanno lanciato la proposta di lasciare il 20 per cento dell’Irpef
versata nei territori comunali ai municipi.
Un movimento che nel breve spazio di un’estate è diventata una
valanga: 450 sindaci veneti su 581 hanno sottoscritto l’idea. Il primo
di ottobre, a Roma, oltre quattrocento fasce tricolori hanno
rappresentato la rabbia del Veneto. Sono stati ricevuti da Tremonti,
Calderoli e Fitto. Intanto il disegno di legge del governo, cambiato
tre volte, sta facendo il suo cammino in Parlamento.
Ma i sindaci non si accontentano: e dal primo gennaio vogliono
raccogliere le firme di un milione di veneti. A guidare il giovane
vice sindaco di Crespano del
Grappa, Antonio Guadagnini,
diventato il volto di questa
protesta. La proposta è
semplice: prevede l’abolizione
dell’attuale sistema di
trasferimenti dello Stato,
squilibrato a favore dei comuni
del sud, in cambio del 20 per
cento dell’Irpef. Per il Veneto un
cambiamento epocale. Tra gli
aderenti degli ultimi giorni
anche i sindaci di Torino, di
Monza, di Varese. Il movimento
si allarga a tutto il Nord.
BIANCHI
Mercoledì 5 novembre. Dentro lo stadio Santiago Bernabeu di
Madrid sono in ottantamila. Quando lui esce, a pochi spiccioli di
partita ancora da giocare, si alzano tutti in piedi. Standing ovation,
il massimo onore delle armi che pochissimi “nemici” del Real
Madrid hanno saputo raccogliere. Lui, Alessandro Del Piero, saluta
con un inchino. Ha appena segnato due gol — un sinistro a beffare
l’ex compagno Cannavaro e una punizione delle sue — con i quali
la Juve ha battuto i merengues sul loro campo dopo 46 anni. Il 2008
di Ale (alla veneta, non Alex, perché sulla carta d’identità è pur
scritto nato a Conegliano) si condensa in questa immagine. Un
anno straordinario, nel senso puro e non annacquato del termine:
28 gol segnati, 20 in campionato — più dei 19 di Amauri e dei 18 di
Ibrahimovic — la classifica marcatori conquistata alla prima
stagione in A «D.C.», Dopo Calciopoli. Lui l’anno prima è sceso in B
con la sua Juve, lo scudetto sul polsino, visto che dal petto glielo
hanno strappato. Questo 2008 è stato l’anno del ritorno in
Champions’, la coppa con le orecchie che Ale ha già alzato nel
1996. Ci riprova, e ha ripreso con le sue magìe europee contro lo
Zenit San Pietroburgo e il Real Madrid. Ha appena compiuto 34
anni, Ale, ma sorride e non risponde se gli chiedete quando ha
intenzione di smettere. Lo avevano dato per finito mille volte, lo
hanno ribattezzato Godot perché sembrava non arrivasse mai più,
dopo il terribile infortunio del 1998. Ora è tornato, e non vuole più
andarsene: nel 2010 ci sono i mondiali, va difesa la coppa
conquistata a Berlino anche con un suo gol, in quei rigori
spaccacuore con la Francia. Nei giorni scorsi, parlando di Cassano
e del suo possibile ritorno in nazionale, il presidente della Figc,
Abete, ha detto al genio & sregolatezza sampdoriano: impari da Del
Piero. Perché Ale è da standing ovation non solo per i gol. (f.p.)
Nel 2005 avevano firmato un accordo: sì al “congelamento” dello
stipendio, pur di avere in cambio la garanzia di non perdere il posto
di lavoro. Oggi che l’azienda ha messo sul piatto un piano di
licenziamenti che ne farà fuori oltre trecento, i lavoratori della
Osram di Treviso sono diventati il simbolo di questa crisi. Una crisi
globale, che dai palazzi della finanza e dei colossi bancari mondiali
arriva come una tempesta fino alle piccole imprese della Marca. Il
costo del denaro aumenta, il meccanismo dei prestiti si inceppa, i
consumi calano, la domanda precipita: in questa spirale vengono
risucchiati migliaia di posti di lavoro. A novembre in provincia di
Treviso si contavano 5.583 dipendenti in cassa integrazione: è
come se un intero paese delle dimensioni di Altivole avesse perso
(o rischiasse di perderlo presto) il lavoro. A soffrire sono i comparti
che hanno fatto la storia del manifatturiero trevigiano, dal tessile al
metalmeccanico passando per le calzature. Anche il legno-arredo
inizia a battere qualche colpo a vuoto, per non parlare dell’edilizia
in picchiata. Da Osram al gruppo Zoppas, dai tagli degli interinali in
De’ Longhi a quelli alla 3B, dai colossi come Tecnica e Monti fino
alle microimprese artigianali, in pochissimi si salvano. La luce in
fondo il tunnel è difficile da vedere, anche perché fino a qualche
mese fa chi perdeva il lavoro in fabbrica magari si “riciclava” nel
commercio o nei servizi, mentre oggi anche lì è dura. Rispetto a
questo quadro — già a tinte fosche — secondo il sindacato la cassa
integrazione è destinata a raddoppiare entro i primi mesi dell’anno
prossimo, per effetto di un’onda lunga di difficoltà che deve ancora
raggiungere il proprio picco. Intanto migliaia di famiglie stringono i
denti, tirano un sospiro di sollievo se la rata del mutuo scende un
po’ e la benzina costa meno, sperano di non avere imprevisti. Per
tutto il resto, invece che a Master Card, ci si affida alla social card.
Naim Stafa condannato all’ergastolo. Vent’anni a George Alin
Bogdaneanu. Queste le condanne emesse dal giudice Elena Rossi
il 22 settembre scorso per l’omicidio dei conuiugi Guido e Lucia
Pelliciardi avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 agosto dell’anno
scorso a Gorgo al Monticano. L’albanese Arthur Lleshi, anche lui
accusato dello stesso delitto, si era suicidato l’anno scorso,
impiccandosi all’interno del carcere di Padova pochi giorni prima di
Natale. Il giudice, nel motivare la sentenza che sarà comunque
oggetto di ricorso in Appello, delinea il ruolo di tutti gli imputati.
Stafa ha sempre mentito. Emerge, secondo il magistrato, la sua
posizione dominante: «E’ lui che comandava, abituato a sfruttare la
prostituzione di donne verso le quali usava anche particolare
violenza, dedito anche ad altre attività illecite quali la cessione di
sostanze stupefacenti e reati contro il patrimonio. Scaltro, dice
subito che i telefoni permetteranno di accertare che lui non era
presente sul luogo del fatto, dimostrando conoscenza in materia di
tabulati telefonici». La condotta di Bogdaneanu, sostiene il
magistrato, deve essere invece ricondotta nell’alveo del concorso
nei reati contestati «in quanto egli ha fornito un apporto materiale
determinante: prende parte ai ripetuti sopralluoghi, fornisce la
propria auto, lascia ai complici la piena disponibilità
dell’abitazione, si adopera a cancellare le tracce che conducessero
ai correi. Inoltre proprio l’utilizzo del postamat conferma l’adesione
preventiva al piano criminoso». Tutto ciò, spiega il giudice Rossi,
dimostra l’attivismo di Bogdaneanu e la sua piena adesione al
delitto. E sullo sfondo resta l’inquietante ombra di una quarta belva
ancora in libertà. Il suo nome era stato fatto da Lleshi in un
drammatico interrogatorio, poco prima di uccidersi.
Quadri. Bellissimi, tantissimi e, finalmente, bene accolti dal
pubblico. Dopo gli anni d’oro (dal punto di vista dei numeri e delle
emozioni) delle mostre sugli impressionisti curate da Marco Goldin,
Treviso disperava di poter ospitare, ancora a Ca’ dei Carraresi, una
rassegna d’arte che richiamasse il grande pubblico. Invece, dopo le
tiepide accoglienze (sempre in termini numerici, non stiamo
valutando la qualità) alle rassegne su Cina, Ottocento e Novecento
veneti, ecco arrivare la mostra sul Canaletto e sui vedutisti che
operarono a Venezia. I numeri sono subito importanti, il flusso di
turisti è nuovamente continuo e massiccio, specie durante i
fine-settimana. Anchye bar, ristoranti, alberghi e negozi, dopo un
avvio guardingo, sposano la «causa». Merito, anche, degli illustri
visitatori come Vittorio Sgarbi e Lucio Dalla, che fanno nuovanente
respirare a tutti l’aria
dell’evento. Se a Ca’ dei
Carraresi gli amanti dell’arte
arrivano da tutta Italia, sempre
tiepida resta l’accoglienza da
parte del pubblico trevigiano,
che, com’è avvenuto in passato,
si assieperà magari negli ultimi
giorni utili, giusto per non dover
dire «me la sono persa». E
l’organizzatore Brunello pensa
già alla prossima. Sul Giorgione
per il cinquecentenario.
Castelfranco permettendo, ma è
presto per le polemiche.
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Qui accanto
Lucio Dalla
in visita
alla mostra
del Canaletto
alla Ca’dei
Carraresi
di Treviso
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Ammutoliscono tutti quando la dottoressa Nadia Battajon dell’Usl
9 racconta in un covegno a Padova quanto avvenuto qualche
settimana prima nel reparto di Patologia neonatale dell’ospedale
trevigiano. Nadia Battajon, dottoressa del Ca’ Foncello, aveva
dichiarato di aver staccato la spina ad un neonato senza speranza.
Del caso si era interessata anche la magistratura trevigiana. Dopo
giorni di roventi polemiche in cui si arriva a parlare anche di
eutanasia, interviene anche il vescovo di Treviso Andrea Bruno
Mazzocato che difende apertamente la dottoressa dalle accuse che
le vengono mosse. «Ogni vita umana è sacra e chiede di essere
sostenuta con assoluto rispetto e con i mezzi possibili, in ogni
momento. Questo sostegno non deve però offendere la dignità della
persona con accanimenti terapeutici inutili», ha detto il vescovo
Mazzocato difendendo così la
scelta fatta dai medici
trevigiani. La vicenda si è poi
conclusa con il giudizio della
Procura che si era fatta
consegnare le cartelle cliniche
del neonato. «Non c’è stata
alcuna contaminazione —
hanno scritto i magistrati che si
sono occupati del caso — con
valutazioni di natura medica,
religiosa o morale». Battajon
non ha mai avuto dubbi sul suo
operato: «Sono sempre stata
serena. So di aver sempre fatto
il mio dovere».
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La dottoressa
Nadia
Battajon
al centro
del caso
dei neonati
senza
speranza
Accanto
la dottoressa
Nadia
Battajon
neonatologa
dell’ospedale
Ca’Foncello
di Treviso
Sembra un film. Match Point di Woody Allen, con il caso che
scombina e decide tutto. E’ invece un fatto vero: lui che propone
alla moglie una passeggiata romantica in riva al canale dentro cui
si specchia la luna, che le dice «ho una sorpresa per te», che la fa
girare e dopo averle dato un bacio sulla nuca la spinge giù, nelle
acque gelide dalle quali nessuno si è mai salvato. Lei, che non sa
nuotare, riesce a restare a galla grazie al piumino e,
aggrappandosi, a un ramo secco si mette in salvo. E’ successo il 7
novembre a Colfosco. Lui Eddy Mariotto, 30 anni, impresario edile
con amante (conosciuta tramite un annuncio erotico), è finito in
carcere, dove ancora si trova, con l’accusa di tentato omicidio.
«Non so perché l’ho fatto», ha dichiarato l’uomo. E lei ha ribattutto:
«Ho vissuto per 10 anni con un mostro». Ora ha chiesto la
separazione. Lui aveva
preparato il piano
accuratamente: aveva sparso la
voce che la moglie era
depressa, che aveva tentato il
suicidio. Poi aveva portato la
bici vicino al canale, pronta
all’occorrenza. Il 7 novembre è
scattato il piano: i coniugi sono
usciti in auto per la passeggiata
romantica, lui l’ha spinta ed è
poi rientrato in bici, mentre la
moglie gli gridava aiuto. Era
convinto di aver messo in scena
il «suicidio» perfetto. Il caso ha
deciso diversamente. (s.t.)
AFC
Sono le 9.38 del 4 gennaio quando il pilota del volo XY-2081 che
stava percorrendo la tratta Maiquetia-Los Roques, in Venezuela,
lancia il may-day: l’aereo scompare.
A bordo c’erano 8 italiani, tra loro una famiglia di Ponzano: Paolo
Durante, 41 anni, la moglie Bruna Guernieri, 42, e le figlie Emma e
Sofia, di 8 e 6 anni. Secondo la protezione civile venezuelana il
Let-410 si è inabissato nei Caraibi nel tentativo di ammarare dopo
un problema tecnico.
Ma è giallo: non ci sono tracce del velivolo, che pare scomparso
nel nulla. A due settimane dall’inizio del mistero di Los Roques
appare il cadavere del copilota, ritrovato seminudo su una spiaggia
a 300 chilometri di distanza: secondo un esperto anatomopatologo
non sarebbe morto nello schianto.
Dall’Italia i familiari non credono all’incidente, e cominciano a
battere all’ipotesi del dirottamento da parte dei narcotrafficanti e
del sequestro. Denunciano l’immobilismo della Farnesina e la
volontà dei venezuelani di non cercare nulla — sullo stesso tratto,
negli ultimi 10 anni, sono spariti 30 aerei — e scoprono con
investigazioni private che a bordo dell’aereo c’erano 18 persone,
non 14, e che il velivono non aveva le autorizzazioni per volare.
Finchè a fine aprile i venezuelani annunciano di aver trovato il
punto esatto in cui si trova l’aereo: dopo tre mesi di trattative per
fotografare il mezzo si scoprirà, a fine dell’estate, che in realtà era
stata individuata una roccia.
Ora le richerche sono arrivate al termine, senza trovare nulla. I
familiari hanno creato diversi siti internet per chiedere certezze,
attendono il risarcimento dalla compagnia assicurativa dopo i
certificati di morte presunta ma non mollano: «I nostri cari non sono
in fondo al mare».
Accanto
le minacce
via Sms
alla commessa
di Treviso
presa di mira
col volantino
super-sexy
FOTOFILM
Virna, bellissima, luminosa, con quegli occhi che ridono sempre,
regalando gioia a chi ha la fortuna di averla di fronte. Virna Lisi
arriva a Treviso in una serata d’inverno. Una serata fredda, con la
nebbia che mette a rischio lo scalo aeroportuale (e lei arriva in
auto, da Roma, per ritirare il premio «Fuoriclasse») restituisce alla
città, quarantatrè anni dopo, la visione di una delle donne più belle
del Dopoguerra.
Virna Lisi è anche una «trevigiana adottata», perchè diventata,
senza volerlo, simbolo di tutte le belle donne per cui la città è nota:
la Signorina Milena di «Signore & Signori» è indimenticabile e
indimenticata. E’ lei, nel film di Germi, la cassiera che fa perdere la
testa al maritatissimo ragionier Bisigato, alias Gastone Moschin,
che stanco di nascondere la sua storia con quel «gioiello di donna»,
sfida al suo braccio, attraversando Piazza dei Signori, tutte le
«convenienze» dell’epoca. E, quando i bempensanti insorgono e lo
scandalo lo travolge, sale sui merli del Palazzo per inscenare un
goffo tentativo di suicidio.
Così quando, su un palchetto un po’ disadorno piazzato in mezzo
alla piazza, sale la bellissima Virna, emozionata e felice della
calorosa accoglienza, la gente si spella le mani e scatta una
montagna di foto. Dopo il saluto, Virna corre al cinema, dove viene
riproiettato (restaurato) il film che la portò, giovanissima e
luccicante di bellezza, a Treviso.
Soltanto qualche mese prima - lui da semplice turista - per
Piazza dei Signori era passato «il ragionier Bisigato». Gastone
Moschin, in totale anonimato, era venuto a respirare l’aria e a
guardare i luoghi in cui era stato girato quel fortunatissimo e
pluripremiato film.
AFC
Quand’era piccolo giocava a fare il D’Artagnan. Da grande lo è
diventato davvero e ha regalato all’Italia la prima medaglia d’oro di
Pechino. Matteo Tagliariol, trevigiano di 25 anni, esordiente ai
Giochi, è salito con la sua spada, dopo quasi mezzo secolo di
vuoto, sul gradino più alto del podio. In finale l’azzurro si è ritrovato
contro il francese Fabrice Jeannet, uno dei suoi idoli: un assalto a
senso unico, a parte il solito inizio di studio. Una giornata che
Matteo non dimenticherà mai e che Treviso avrà sempre nella
memoria: alla sua città e al suo primo maestro, Ettore Geslao, è
andata la dedica più toccante. Matteo ha cercato la medaglia d’oro
anche nella gara a squadre: invece sarà bronzo e con due
medaglie al collo si è presentato al sindaco di Treviso. L’abbraccio
della città è stato caldo come non mai: «Voglio continuare a
vincere, la tivù non mi
interessa». Dice. Ma ben presto
cambia idea e partecipa al
reality «La talpa». «La
Federazione non mi ha ancora
dato una lira, non si vive di sola
gloria, servono i soldi».
L’affondo più recente è ancora
nei confronti della Federazione
e del suo presidente, una
querelle sollevata da Aldo
Montano e continuata da Matteo
riguardo ai loro due maestri
ormai lontani dall’Italia: «Va
avanti chi non cambia le cose,
non chi guarda al futuro».
Accanto
Matteo
Tagliariol
medaglia
d’oro
nella spada
alle Olimpiadi
di Pechino
«La calda settimana dell’inquieta casalingua, commessa in un
noto negozio di abbigliamento in centro a Treviso». E’ questo il
boccacesco incipit del volantino apparso il primo luglio sotto le
serrande di centinaia di negozi del centro.
Il «corvo» racconta la storia bollente di una sexy commessa, ed
esalta il chiacchiericcio della città con il suo «Corna a Treviso», le
avventure tra la bella quarantenne (il volantino ne riportava nome e
cognome) e il suo insaziabile amante.
Il racconto delle performances erotiche dell’avvenente signora
tratteggia una (presunta) settimana a luci rosse da campioni
dell’eros, tra pause pranzo fuori porta e cenette al lume di candela
sfociate nella passione. Il caso finisce immediatamente in
Procura, e dalla cronaca rosa si passa al giallo: una coppia di
Marghera — l’ex amante della
sexy commessa e sua moglie,
entrambi di 54 anni — risulta
indagata non solo per
diffamazione ma anche per
molestie, ingiurie (anche con
sms, come nella foto qui a
fianco), tentata violenza privata,
minacce e lesioni ai danni della
quarantenne commessa, che ha
chiesto anche un cospicuo
risarcimento danni.
Dal genere boccaccesco alle
aule di giustizia, alla faccia di
«Signore & Signori»: i coniugi di
Marghera andranno a processo.
FOTOFILM
FOTOFILM
A Treviso nasce una piccola, grande battaglia per i diritti civili.
Dal letto di una casa di riposo di Monastier, Paolo Ravasin, 48 anni,
da 10 malato di Sla, firma il suo testamento biologico, che poi
decide di rendere pubblico con un video-testamento.
Paolo dice di non voler essere sottoposto all’idratazione e
all’alimentazione artificiale nel caso non fosse più in grado di
intendere e di volere. La sua testimonianza fa il giro dei network
locali e del web: Ravasin diventa il simbolo, insieme a Piergiorgio
Welby e a Eluana Englaro, del riconoscimento dei diritti del malato
a morire «dignitosamente».
Raccoglie la commozione dei trevigiani, l’imbarazzo della
politica e le critiche degli ambienti ecclesiastici.
E’ un editoriale pubblicato a luglio su «La vita del Popolo», a
firma del teologo Giuseppe Mazzocato, a scatenare le polemiche
più dure. Mazzocato infatti definisce la scelta di Ravasin «un
suicidio».
La settimana successiva, il vescovo monsignor Andrea Bruno
Mazzocato, fa visita a Ravasin: un incontro incontroa suo modo
«storico».
La curia parla di «un’iniziativa di solidarietà umana». Ravasin lo
definisce «un colloquio fra due cattolici». L’ultima volta che Paolo fa
sentire la sua voce risale allo scorso 13 novembre, il giorno in cui
la Cassazione di fatto dice «sì» all’interruzione delle cure per
Eluana Englaro. «Sono contento per il padre di Eluana — dice
commosso Paolo — Spero che questa sentenza possa cambiare
qualcosa».
Un mese dopo il ministro trevigiano Maurizio Sacconi emana un
atto di indirizzo, invitando le strutture sanitarie pubbliche e
convenzionate a non praticare l’interruzione delle cure artificiali.
Accanto
Luca Zaia
nominato
ministro
alla cerimonia
del giuramento
al Quirinale
La notizia della tragedia arriva la mattina del 14 settembre dagli
Urali: il volo dell’Aeroflot da Mosca a Perm si era schiantato nella
notte. A bordo c’era Tomaso Martinazzo, artigiano 51enne di
Crocetta, imbarcatosi il giorno prima da Venezia per andare a
collaudare un essicatoio a Perm per conto della Incoplan di
Mareno. Nessun superstite e difficile recupero dei corpi: questo
comunica l’Unità di crisi della Farnesina ai carabinieri e al
vicesindaco di Crocetta, Lucia Poloniato, cugina di Tomaso
Martinazzo.
Quella mattina Stefania Bacchetto, la moglie, ed Erika e Ester, le
figlie, sono a Villa Pontello per partecipare alla festa del
volontariato. Come Stefania Bacchetto vede il vicesindaco e i
carabinieri intuisce che qualcosa di grave è avvenuto. Portano lei e
le figlie di 14 e 7 anni a casa e la informano di cosa è accaduto la
notte sugli Urali. Tomaso Martinazzo per il suo lavoro girava per il
mondo: Asia, Africa, Americhe. Era uno dei pochi tecnici
specializzati in colluadi di essicatoio e quindi era sempre con la
valigia in mano. Doveva tornare dopo dieci giorni, invece il destino
lo attendeva a poca distanza dall’aeroporto di Perm, sugli Urali.
Appena saputo della tragedia, i parenti si chiudono nel dolore,
circondati dall’affetto del paese, mentre l’amministrazione
comunale si attiva per fornire tutta l’assistenza necessaria e per
fare le pratiche per il rimpatrio della salma.
In Russia viene inviato il Dna prelevato al padre per facilitare
l’operazione di riconoscimento. Passano i giorni, le settimane, ma
dalla Russia nessuna notizia. E l’angoscia aumenta. Finalmente,
dopo oltre un mese, viene comunicato che c’è stato il ritrovamento.
Da Perm arriva la bara e il 20 ottobre, nella chiesa di Nogarè, viene
celebrato il funerale. (e.f.)
Altri andavano a 100 all’ora a trovare la fidanzata. Lui corre il
doppio. A 193 all’ora, sulla A/27., Nessuno sapeva — lui sì, in cuor
suo? — che stava sfrecciando in realtà verso palazzo Chigi e Roma
(un tempo) ladrona. Imprevedibile Zaia: nel momento meno
brillante della sua sovraepsosta carriera politica, la Lega piazza la
propria bandiera sul ministero dell’Agricoltura. E auspice Bobo
Maroni, nonché i veti incrociati tra Fi e An, a 40 anni Zaia siede nel
consiglio dei Ministri. La conferma di Treviso scuola politica di
prim’ordine: Sacconi, sempre più big in Forza Italia, assume i
dicasteri chiave di Welfare e Lavoro. Zaia — detto anche er
pomata, per il gel — impone ben presto il suo stile.
Giri nelle stalle e nei campi, giacca cravatta e stivali affogati nel
terreno; campagne a favore dei
nostri prodotti (l’ultima la
crociata contro l’ananas sulle
tavole di Natale) e
l’onnipresenza sui media, fino
all’ospita nello studio del Tg1; il
mai rescisso cordone
ombelicale con la Marca crea
l’ufficio aperto il lunedì al «suo»
Cerletti a Conegliano. Fino al
trionfo politico sulle quote latte,
a Bruxelles. E il suo antico
sogno di governare il Veneto?
Si tira fuori, giura che Bossi ha
designato Tosi. Sarà vero?