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Il lavoro artigiano è il nuovo posto fisso: “Impara l’arte e
mettila da parte!”
Posted By Filippo Di Nardo On 27 marzo 2013 @ 15:02 In Lavori che danno Lavoro | No
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Intervista all’avvocato Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani di
Milano, una delle principali associazioni di artigiani in Italia. Accornero si rivolge ai giovani
e li invita ad appassionarsi alle professioni artigiane, facendo leva su alcune caratteristiche
di fondo di questi mestieri, quali: la creatività, la realizzazione della propria personalità,
l’autonomia, e la sicurezza del lavoro.
Come possiamo descrivere il mestiere dell’artigiano a un giovane che volesse
intraprendere questa strada lavorativa?
E’ un mestiere affascinante perché realizza oltre che professionalmente anche
umanamente la persona che, nei mestieri artigianali, è artefice del proprio destino, segue
l’intero processo produttivo e vede direttamente il frutto del proprio lavoro che avviene
trasformando la materia. Non è solo un anello anonimo di un grande ingranaggio, come
succede nella grande impresa, ma lavorare come artigiano significa seguire l’intera fase di
creazione del lavoro da protagonista.
Il rapporto e la dimensione umana sono valorizzati all’interno dell’impresa artigiana.
Senza dimenticare che l’artigiano, realizzando una lavorazione su misura, in cui la parte
creativa e l’unicità del prodotto sono caratteristiche fondamentali, svolge un lavoro che
non è mai ripetitivo e banale. Poi, quando si raggiunge una specializzazione e una buona
padronanza del proprio mestiere, si possono avere apprezzabili riconoscimenti economici.
Ci sono molti mestieri artigiani affascinati, come per esempio quelli legati alla dimensione
artistica, si pensi al liutaio, al restauratore, al sarto, anche di alta moda, al parrucchiere
per signora, ma anche professionalità meno artistiche ma comunque interessanti come
l’elettricista, l’idraulico, che potrebbero apparire mestieri banali ma che non lo sono
affatto. Per non dimenticare, poi, le nuove professionalità dell’artigianato legate
soprattutto all’avvento delle nuove tecnologie ICT, all’elettronica e Internet, come il web
developer, il graphic designer, le professionalità legate alle trasmissioni dei dati e molte
altre, che rientrano nel nuovo artigianato.
Dal punto di vista economico, i riscontri sono molto interessanti. In genere chi lavora
nell’artigianato ha un reddito superiore ad un impiegato medio che lavora in un’azienda
pubblica o privata. Inoltre, dopo una forte specializzazione ottenuta attraverso la
formazione, i corsi di aggiornamento e l’esperienza di alcuni anni acquisite sul campo, il
riscontro economico assume dimensioni significative. Fondamentale è la forte
specializzazione dell’artigiano.
Più della metà delle imprese artigiane non ha dipendenti, ciò vuol dire che il titolare lavora
da solo oppure lavora con soci, spesso familiari o amici. E’ un lavoro molto autonomo, e
questo è il bello. E anche quando ci sono dei dipendenti, si tratta sempre al massimo di 4
unità. La preponderanza del titolare è assolutamente prevalentemente e i dipendenti, in
realtà, sono dei collaboratori. Chi lavora in questo ambito è titolare di se stesso.
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E’ vero che ci sono molte professioni artigiane che rischiano l’estinzione? Qual è
la causa? Quanti e quali sono questi mestieri artigiani a rischio?
Il rischio effettivamente c’è, e paradossalmente proprio tra quelli più affascinati e artistici,
come il sarto, il cesellatore, le ricamatrici, solo per fare qualche esempio, sono a rischio
estinzione. E la causa di questo rischio non dipende dal fatto che questi mestieri non
hanno più mercato, anzi, è vero il contrario. La ragione della mancanza di appeal, invece,
è un’altra. Questi lavori hanno una fortissima componente manuale e di conseguenza
vengono percepiti come vecchi mestieri, poco attrattivi per le giovani generazioni. Sono
mestieri in cui ci si sporca le mani, insomma, e questo non piace molto ai giovanissimi,
ma anche alle loro famiglie, in questo caso alleate con i ragazzi. Le famiglie, infatti,
frenano o non incentivano i figli verso questo tipo di lavoro e sognano per i loro pargoli la
laurea e professioni, diciamo così, in cui non ci si sporcano le mani. E’ un problema,
quindi, prevalentemente culturale.
In questo senso anche la scuola fa molto poco. Non realizza programmi o promuove
incontri nelle botteghe artigiane in cui vengano illustrati questi mestieri e le grandi
opportunità che essi offrono per i giovani in termini occupazionali. E poi le scuole di
formazione professionale artigiane sono molto distanti dal mondo del lavoro e soprattutto
non coprono tutti mestieri artigiani, come alcuni di quelli prima citati, quali le scuole
professionali per chi vuole fare il sarto o le vetrate artistiche. Se il problema è
principalmente culturale, quindi, allora c’è bisogno di una risposa e di un rilancio sulle
professioni artigianali di tipo culturale, capace di far capire ai giovani che questi sono
mestieri di serie A.
La crisi economica e occupazionale di questi anni, paradossalmente, sta facendo riscoprire
i mestieri artigiani. Si è capito che il titolo di studio da solo non è sufficiente a garantire
una occupazione e di conseguenza registriamo un’inversione di tendenza dell’interesse con
una riscoperta dell’artigianato. Questo fenomeno di rinnovata attenzione, non riguarda
solo il mondo esterno all’artigianato, ma anche gli stessi titolari delle botteghe, che in
precedenza spingevano i propri figli verso il percorso universitario e le professioni
intellettuali. Oggi, i figli degli artigiani si laureano e poi tornano a lavorare nell’azienda di
famiglia. Segnalo in questo senso il libro di Stefano Miceli, Futuro Artigiano [1], in cui
spiega come il futuro dell’Italia nell’economia globalizzata passa dall’impresa artigiana.
Tuttavia, molto c’è ancora da fare. Il vecchio adagio che si utilizzava per minacciare i
giovani che non volevano studiare, ossia “studia, altrimenti ti mando a bottega”, che
associava al lavoro manuale addirittura una sorta di punizione “infernale”, va ribaltato.
Lavorare con le mani significa lavorare, e molto, anche con il cervello.
In linea generale possiamo dire che nell’artigianato c’è lavoro. Ci sono statistiche che
dicono che in tutta Italia ci sono tra i 70 e gli 80 mila posti di lavoro artigiani non
occupati. Devo dire, per onestà intellettuale, che questi sono dati riferiti al periodo
precedente la crisi, e quindi prima del 2009. Probabilmente oggi i numeri sono ridotti.
Anche in un periodo di crisi, comunque abbiamo registrato che quelli che hanno una forte
specializzazione non hanno difficoltà, anche in caso di perdita del lavoro, a ricollocarsi, in
tempi rapidi. Anche come numero d’imprese artigiane, non ci sono state conseguenze
pesanti a causa di questa lunga crisi, che in altri settori produttivi ha portato a molte
chiusure. Da noi la quantità d’imprese è sostanzialmente stabile. Piuttosto, si può dire che
è diminuito il giro d’affari, in alcuni casi anche in modo consistente, ma questo non ha
portato alla chiusura di un numero significativo di imprese artigiane. Né aumentano, né
diminuiscono, questo grazie anche al fenomeno legato alle imprese artigianali costituite da
stranieri, che in questi anni hanno raggiunto circa il 12 per cento sul totale delle botteghe
artigiane in Lombardia. Un ulteriore conferma che il lavoro nell’artigianato c’è.
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Ci sono dei programmi specifici e delle agevolazioni economiche o per la
formazione, per favorire il lavoro artigiano presso le giovani generazioni?
La via principale e prevalente per chi vuole imparare un mestiere artigiano rimane il
contratto di apprendistato, all’interno di un’azienda artigiana. Noi abbiamo sempre spinto
per l’apprendistato diretto presso le aziende artigiane proponendo il principio della
“bottega scuola”, in cui finita la scuola media il ragazzo possa completare il percorso
scolastico e lavorativo in azienda, magari da accompagnare con una formazione teorica
presso le scuole pubbliche. Così come funziona molto bene in Germania.
Un’alternanza tra scuola e bottega, in cui il giovane a scuola studia la matematica, la
geometria, l’inglese e cosi via, e in azienda impara il mestiere. Nell’artigianato si può
arrivare fino a 5 anni di durata del contratto di apprendistato. La bottega scuola è la fase
(di 3 o 4 anni) che precederebbe il periodo dell’apprendistato. Una sorta di tirocinio
formativo prima dell’ingresso vero e proprio in azienda.
Oggi, questo schema, purtroppo, non è ancora realizzabile.
Noi siamo convinti che se il ragazzo o la ragazza vengono formati dall’aziende avranno
ottime probabilità di essere confermati nella stessa, in quanto interesse diretto
dell’artigiano a tenere persone formate e preparate. E comunque, con una formazione
molto pratica, si hanno maggiori possibilità di collocazione nel mercato del lavoro.
Dal punto di vista degli incentivi, c’è quello di Italia Lavoro che riconosce 5 mila euro di
contributo a fondo perduto per gli artigiani che assumono un’apprendista e lo tengono in
azienda per almeno la metà della durata del contratto di apprendistato. C’è da dire,
tuttavia, che questo strumento per funzionare al meglio andrebbe alleggerito da
un’eccessiva pesantezza burocratica.
In un momento di crisi economica e occupazionale, la prospettiva di un lavoro
nell’artigianato può essere considerata un approdo sicuro?
Sì, lo confermo! Premesso che la domanda di nuovi soggetti da assumere è
oggettivamente diminuita, ma non azzerata. Questa crisi dimostra che i dipendenti che
hanno una specializzazione, anche se l’azienda dove lavorano chiude, dopo poco tempo
ritrovano un lavoro. La sicurezza del lavoro, in questo caso, è data dalla padronanza del
mestiere artigiano. Nel momento in cui si ha in mano questo mestiere, anche se l’azienda
chiude, dopo pochi mesi il soggetto specializzato ritrova una nuova occupazione, come
quella precedente. Il “posto sicuro”, in questo senso, è la conoscenza del mestiere.
“Impara l’arte è mettila da parte” è ancora attualissimo per il settore artigianale, ma
soprattutto per il mondo del lavoro in generale, direi. La storia di questa crisi lo dimostra:
un’azienda può andare in crisi, ma il mestiere no. Abbiano dati che confermano questa
tendenza. La specializzazione, però, è fondamentale per ricollocarsi.
C’è un artigianato non manuale? In altre parole, il lavoro artigianale sta
cambiando sotto l’influsso delle nuove tecnologie? Se sì, come?
Certamente sì, l’elettronica e le nuove tecnologie sono entrate prepotentemente nelle
professioni artigianali tradizionali e spiccatamente manuali. Poi, però, ci sono anche nuovi
mestieri che rientrano in un concetto di lavoro artigiano più ampio e che rappresentano le
nuove frontiere delle professioni artigiane. Come le tante professioni del digitale, si pensi
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allo sviluppatore di siti web, al graphic designer, al programmatore informatico e alla
tante professioni dell’ICT.
Questi lavori sono in parte delle evoluzioni di precedenti professionalità, si pensi al grafico
pubblicitario che oggi lavora molto con nuovi software mentre prima il suo lavoro era più
“manuale” e tangibile, come per esempio la realizzazione di un catalogo pubblicitario. E
comunque, in queste nuove professioni l’elemento della creatività, dell’autonomia e anche
di una nuova manualità mediata attraverso lo strumento del computer e dei software,
sono caratteristiche tipiche di un artigianato 2.0. Sono cambiate le metodologie ma
“l’anima” del lavoro artigianale anche in molte nuove professionalità che realizzano
prodotti “intangibili, è rimasta sempre la stessa.
Per saperne di più:
sito dell’Unione artigiani di Milano – www.unioneartigiani.it
[2]
sito dell’Unione artigiani nazionale – www.unioneartigianiitaliani.it
[3]
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