Clicca QUI - Le Brumaie Editore

Transcript

Clicca QUI - Le Brumaie Editore
4
L’Arcobaleno Perduto
Testi
Maria Grazia Ardito & Federico Perotto
Disegni
alter Madau
Walter
Giovanni W
Pennelli
Federica D’Angella
4
Collana i
5
Briciolotti
Le Brumaie Editore
Oltre l’armadio
4
V
5
iviana voleva un mondo di bene alla sua mamma. Soprattutto di sera, quando
disegnavano insieme infiniti arcobaleni in cieli brillanti, fra nuvole bianche o su città
grigie, su alberi e pozzanghere, su persone con il naso all’insù; semplici, doppi o tripli ma
sempre arcobaleni... Era la passione di Viviana! Venne però una sera in cui nemmeno
disegnare arcobaleni era di consolazione per lei.
La mamma era partita per un viaggio di lavoro di alcuni giorni e la lampada da notte a
forma di fungo, attorno alla quale danzavano sette fatine di sette colori diversi e sulla
quale riluceva un arcobaleno si era guastata. Viviana andò a nanna. I suoi sogni furono
popolati da personaggi tristi... Si svegliò nel cuore della notte disturbata da un parlottio,
ma non capì subito che le voci erano voci reali: provenivano dalla lampada ed erano le
vocine di sette fatine colorate, che subito, appena aprì gli occhi, s’accorsero di lei!
«Non restare lì a bocca aperta.» disse Violetto. «Dobbiamo risolvere un problema: ci
stiamo scolorendo!»
«Cosa è successo alla mia lampada?» chiese Viviana.
«La Strega del Crepuscolo ha lanciato un incantesimo contro i colori. Noi non possiamo
fare niente: perdendo i colori non abbiamo più poteri» rispose Arancio.
«Allora vi servono altri colori!» disse Viviana.
«Non semplici colori, ma la loro essenza!» precisò Violetto. «Purtroppo ottenerli è
un’impresa al di là delle nostre forze, adesso che ci stiamo indebolendo!»
«Posso provare io a ritrovarli?» propose Viviana.
Violetto rispose: «Sì, ma ti serviranno sette oggetti magici per i sette colori dell’iride,
celati in sette posti diversi con sette prove da superare. Nell’armadio della tua stanza
c’è un corridoio con sette porte: è l’ingresso per il nostro mondo.»
Viviana aprì il suo guardaroba e trovò, al posto dei vestiti, un corridoio bianco con
sette porte colorate. Aprì la porta rossa e si trovò in un bosco di ciliegi fioriti, in cima ad
una collina, da cui si intravedeva un castello dorato con alte torri. Doveva cercare la
Principessa Amande e il suo cuore rosso rubino. Dal sentiero oltre i ciliegi giunse un
corteo che procedeva lentamente. Cavalieri e Dame avanzavano su cavalli superbi,
sfoggiando abiti di mille tessuti con fili d’oro e argento: ma erano tutti molto tristi.
Una dama bellissima si fermò di fronte a lei.
«Chi sei?» chiese.
6
7
«Sono Viviana, cerco Amande.»
«L’hai trovata, sono io! Posso esserti utile?»
«Ho bisogno del tuo cuore di rubino, per salvare l’arcobaleno e... Il mondo intero!»
La principessa sollevò i capelli scoprendo un cerchietto d’oro sul quale brillava un
rubino a forma di cuore.
«Avrai il mio gioiello, ma ad una condizione: dovrai riuscire a farmi ridere.»
Questo perché anni addietro Amande, innamorata del principe Corrado, rifiutò la
proposta di matrimonio di Brandaus, oscuro conte dedito alla magia nera. Al suo rifiuto
il conte l’aggredì e Corrado la difese ferendo a morte Brandaus, che per vendetta riuscì,
prima di perire, a lanciare un incantesimo: Corrado fu trasformato in statua e Amande
venne condannata ad una eterna tristezza...
Solo una risata della principessa avrebbe potuto spezzare l’incantesimo, ma... Amande
non sapeva più ridere. Furono chiamati a corte saltimbanchi e buffoni.
Non c’era verso: Amande non rideva più. L’intero reame piombò nella tristezza assoluta.
Giunti al castello, presero posto davanti alla statua del povero Corrado e Amande
disse: «Fatti coraggio e inizia!»
Viviana intonò una canzoncina buffa: la storia di un gatto che voleva abbaiare!
La canzone finì ma...
Non il più piccolo sorriso solcò le labbra di Amande!
Viviana allora provò con una ridicola poesia che la sua mamma recitava facendola
ridere a crepapelle; ma la principessa non fece una piega. La bambina provò allora con
buffi indovinelli del tipo: «Come si chiamano le giovani tartarughe? Tarta... perchè non
hanno ancora le rughe!»
Amande le fece cenno di continuare.
«Perché i pompieri hanno le bretelle blu? Per tenere su i pantaloni!»
«Perché le giraffe hanno il collo lungo? Per non sentire la puzza dei piedi!» Niente da fare.
Amande restava muta e triste.
Viviana, non sapendo più che fare per causarle una reazione, fra le lacrime si scagliò
contro la principessa scuotendola... E così, quasi senza accorgersene, iniziò a farle il solletico!
La principessa rise a crepapelle e la statua di Corrado si sciolse! Amande e Corrado si
strinsero in un abbraccio e Viviana ottenne finalmente il rubino a forma di cuore.
Era quasi sera: il tramonto era il limite massimo per tornare dalle sue missioni.
In groppa al cavallo più veloce del regno Viviana giunse a casa e consegnò il gioiello alle
fatine: Rosso piangeva dalla felicità...
8
9
Arance pericolose!
10
A
l risveglio Viviana si sentiva fresca e riposata come se, la notte prima, nulla fosse
accaduto; ma sapeva che era tutto vero: non aveva sognato le fatine, la principessa
Amande e il suo rubino a forma di cuore! Passò la giornata e, giunta l’ora della nanna, nel
silenzio della sera udì il bisbiglio delle fatine.
Questa volta fu Arancio a farsi avanti: «Quello di oggi sarà un viaggio meno facile,
dovrai vedertela con un orco e portarmi una delle sue arance fatate.» La coraggiosa
bambina si diresse al suo guardaroba e dal magico corridoio aprì la porta arancione. Le
si dischiuse davanti un panoramaa incredibilmente bello.
Sul fianco di un pendio roccioso erano scavate terrazze bordate da grandi lastre di
pietra; ogni terrazza era un giardino rigoglioso di ogni tipo di fiore e albero da frutta.
Quella enorme scalinata più che un giardino pareva una cascata di colori. Un sentiero lo
attraversava con una dolce pendenza.
Viviana affrettò il passo lungo quel sentiero. Conquistata da tanta bellezza, salendo
sulla collina, annusava e accarezzava tutto ciò che incontrava: rose dal profumo intenso,
11
fragole grosse e sugose, gigli di un bianco accecante, zucche così grandi da sembrare
piccole carrozze fatate.
Su uno dei terrazzamenti più in alto ecco l’albero di arancio, carico di frutti grandi e
lucidi. Viviana allungò una mano e afferrò l’arancia più vicina, staccandola dal ramo con
facilità. In quell’istante un urlo spaventoso giunse dall’albero, le cui radici si alzarono a
imprigionarla. Viviana svenne.
Quando riprese i sensi era distesa su una superficie dura e fredda. Restò ferma, con
gli occhi chiusi, ad ascoltare i rumori intorno. Erano i suoni di una cucina in grande
attività; in mezzo al tintinnare di pentole e posate si sentiva qualcuno fischiettare e
camminare pesantemente.
Viviana trovò il coraggio di sbirciare con gli occhi socchiusi. Era prigioniera in una
gabbia appesa a poche spanne da terra, in una stanza ampia e poco illuminata. Un
grande camino si apriva sulla parete di fronte e attorno al suo vivace fuoco si dava da
fare una figura scura e deforme. L’orco!
Non era enorme, le mani non avevano lunghi artigli; una gobba gli incurvava la schiena,
ma braccia e gambe sembravano normali. Nemmeno la voce era un ringhio feroce: era
del tutto umana, addirittura calda e gradevole. «Vedo che ti sei svegliata» disse l’orco
«piccola ladra impudente!»
12
Viviana afferrò le sbarre di ferro della gabbia. «Mi vuoi mangiare?» chiese. «È questo
che ti aspetti? Forse dovrei mangiarti davvero, così più nessuno di voi mocciosi verrà
nel mio giardino a rubare fiori e frutta e non mi getterà più addosso fango e sporcizia
quando tento di fermarli!» sbottò l’orco.
Il suo carceriere era senz’altro un essere umano, cieco da un occhio e con pochi capelli
in testa, tutti grigio topo; l’occhio sano splendeva di un azzurro intenso, mentre la sua
pelle bruciata dal sole era percorsa da molte rughe. Nell’insieme non faceva paura: anzi,
sembrava gentile e ispirava tenerezza.
«Tu non sei l’orco! Chi sei?» chiese la bambina. «Certo che sono l’orco! Io sono Swallorc!
L’orco! Non vedi come sono brutto e deforme? Sono così perché da bambino i pirati mi
hanno rapito e venduto come schiavo, costretto a lavorare nelle miniere in cunicoli lunghi,
stretti e bui.»
L’orco continuò: «Sopravvissi al crollo della miniera, scavando con le unghie per fuggire,
vagando per i monti finché mi trovò Gaius, un eremita che non si curava del mio aspetto.
Mi insegnò un po’ di magia, vissi con lui per alcuni anni e quando morì tornai nella mia
terra. Laggiù tutti mi temevano e nessuno ricordava il mio nome. Fu così che diventai
“l’ORCO” e mi isolai quassù. Non chiedo altro che vivere in pace nel mio giardino, con i
13 fiori e i frutti che vi coltivo; ma spesso vengo derubato del mio lavoro.»
14
15
Viviana non aveva più paura. «Orco! Il tuo nome è un diminutivo di Swallorc, vero?»
L’orco annuì, con un cenno del capo.
«Hai ragione ad arrabbiarti» disse Viviana. «Anch’io ci resto male se mi chiamano Vivì.»
Senza dire nulla, Swallorc si alzò ad aprire la gabbia, poi tornò al calderone. Viviana non
si mosse.
«Vai! Sei libera!» disse l’orco.
«Non posso, senza la tua arancia» rispose la bambina, spiegandogli a che cosa le
serviva.
«Va bene, allora ti darò la mia arancia» disse Swallorc «Le lascerò la magia che la
protegge dai ladri così nessuno ruberà più i colori, o almeno non ruberà più l’arancione!»
Viviana lo abbracciò forte: «Sarai brutto fuori, ma dentro sei bello! Un orco bellissimo
e chi non se ne accorge non sa che cosa si perde!»
La gioia di Arancio nel ricevere il prezioso frutto fu molto grande, in particolare quando
seppe della magia che avrebbe continuato a proteggere il suo colore.
Viviana era molto stanca e corse subito a dormire, lasciando le fatine a festeggiare
per conto loro intorno alla lampada a forma di fungo.
Un tesoro di drago
16
U
n altro giorno volò via e giunse una sera fredda e piovosa. La notte arrivò e Viviana
entrò di nuovo nell’armadio. Questa volta doveva recuperare l’oro di un folletto per
Giallo. Questo folletto era un essere astuto e affezionato al suo oro: solo catturandolo
era possibile costringerlo a cedere il suo prezioso metallo.
Viviana decise di portare con sé un retino per le farfalle, non sapendo cosa servisse
per catturare un folletto! La bambina si fermò davanti alla porta gialla, allungò la mano
e fece per aprire... Ma la porta non si aprì! Viviana spinse, tirò, le diede un calcio, provò
con una spallata, ma la porta rimase chiusa. La bambina si voltò per tornare dalle fatine,
ma la sua porta verso casa era scomparsa.
«Aiuto!» gridò Viviana «C’è nessuno che mi sente e che mi può aiutare?» Ma l’eco della
sua voce svaniva nel corridoio.
Improvvisamente si aprì una porta da cui uscì una nebbiolina sottile e invitante: era
quella verde.
17