Unicità di Dio, ospitalità sacra e riconoscimento reciproco

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Unicità di Dio, ospitalità sacra e riconoscimento reciproco
Cornate d'Adda, 30 Marzo 2014
Tre fedi, un unico Dio
Conoscersi per Accogliersi
Unicità di Dio, ospitalità sacra e riconoscimento reciproco
Yahya Pallavicini
Desidero iniziare questa mia relazione con una citazione tratta dall'opera dell'imam Abu Hamid
Muhammad Al Ghazali sul Rinnovamento delle scienze religiose, Ihya ulum al-din. Il maestro
dedica un libro al tema dell'unicità di Dio e l'abbandono fiducioso nel quale è contenuto questo
insegnamento: «Colui al quale appare la vera realtà del mondo sa che il vento è fatto di aria, che
non si muove da sé ma a causa di un motore, e così pure questo motore, sino a giungere al Motore
Primo – Potente e Glorioso! - che non è mosso da nulla, né in Se Stesso Si muove. Il fedele che si
rivolge al vento per salvarsi è simile a quel tale che fu catturato perché gli fosse tagliata la testa; il
re firmò l'ordine per graziarlo e liberarlo, e costui prese a citare l'inchiostro, la carta e il calamo con
cui l'ordine era stato scritto, dicendo: “Se non fosse stato per il calamo non sarei scampato”,
credendo che la sua salvezza fosse dovuta al calamo, non a chi l'aveva mosso, e ciò è il colmo
dell'ignoranza. Ma chi sa che il calamo non ha potere in sé ma è asservito alla mano di chi scrive,
non gli baderà affatto, e ringrazierà soltanto lo scrivente. Anzi la gioia della salvezza e il
ringraziamento dovuto al re e allo scrivano potrebbero fargli dimenticare del tutto calamo,
inchiostro e calamaio. Anche il sole, la luna, le stelle, la pioggia, le nubi, la terra, tutti gli animali e i
corpi inanimati sono asserviti alla Sua Potenza (qudra), come il calamo lo è alla mano dello
scrivano. Questo paragone riguarda proprio te, che ritieni che l'ordine sia scritto dal re che lo firma.
In verità Iddio, sia Egli benedetto e esaltato, è Colui che scrive».
Questo insegnamento può esprimere alcuni aspetti utili a comprendere il fondamento dell'unicità
divina nell'Islam. Si tratta di un principio assoluto, il Principio di Dio, Unico Principio da cui tutto
dipende.
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L'unicità di Dio non è soltanto un principio numerico che dà origine a tutta la logica matematica ma
è un Principio che prescinde dalla scienza dei numeri pur essendo imprescindibile dalle
innumerevoli operazioni aritmetiche e algebriche che regolano questo Suo regno (mulk) della
quantità. Tutto l'universo si rivolge “verso l'Uno” ma è soprattutto parte integrante dell'unicità
divina al di fuori della quale non c'è nulla. Allo stesso modo, si è detto che solo Iddio scrive, scrive
su una Tavola e comunica la Verità ai lettori della Tavola i quali possono imparare la Sua logica e
tradurla in grammatica e scienza delle lettere e linguaggi e dialetti e metodi e mezzi di
comunicazione e trasmissione ma tutto dipende solo dalla Sua Scienza, dalla Sua Parola, dal Suo
Verbo, dal Suo ordine: Io scrivo, dunque voi leggete.
“Leggi! Per il tuo Signore che è il più Generoso, Colui che ha insegnato mediante il Calamo, ha
insegnato all'uomo ciò che non sapeva” (Corano: XCVI, 3-5).
“Dì: se il mare fosse inchiostro per le parole del mio Signore, finirebbe il mare prima che si
esauriscano le parole del mio Signore, anche se aggiungessimo altrettanto inchiostro – Dì: Io sono
un uomo come voi. Mi è stato rivelato che il vostro Dio è un Dio unico, dunque chi spera di
incontrare il suo Signore compia azioni pure, e non associ nessuno al culto del suo Signore”
(Corano: XVIII, 109-110).
Avere fede in Dio corrisponde al dono di credere in un Principio Assoluto, Meta-numerico, Metalinguistico, Metafisico che comprende tutta la scienza delle cifre e delle lettere e della creazione.
Nessun numero e lettera e segno dell'universo ignora la Sua Onnipotenza, il Suo mistero creativo.
L'errore degli idolatri che attribuiscono un “potere” ad un numero, ad una parola, ad una o più cose
è quello di dissociare la forma dell'oggetto dall'Onnipotenza del Dio Unico e di associarne la
“potenza” alla propria soddisfazione e immaginazione individuale proprio come l'ignorante che ha
fede nel calamo o nella calligrafia o nella teologia o nella dialettica o, peggio ancora, nel tablet o
nel digitale o nella comunicazione wireless, “senza fili”. Da un lato, si pretende misconoscere la
realtà ortodossa della comunicazione spirituale, simbolica e sottile mentre, dall'altro lato,
diventiamo schiavi dell'emozione del touchscreen, dove abbiamo la sensazione di potere governare
la “nostra” vita e il “nostro” mondo con il “nostro” dito indice che naviga su una rete, in un social
network, “virtuale e multimediale”, due termini che sembrano rappresentare proprio un politeismo.
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Testimoniare l'unicità divina all'umanità contemporanea equivale, come in altri tempi, a liberare i
popoli dalla schiavitù dell'idolatria e dalla crisi della dimenticanza di Dio. Occorre suscitare o
resuscitare il ricordo della grazia della Sua presenza spirituale ed educare alla scoperta o alla
riscoperta della natura e della funzione dell'uomo sulla terra, come insegnava il nostro maestro lo
shaykh Ahmad Ibn Idris al Hasani al Fasi: “siamo di passaggio in questo mondo”.
In questa condizione, il dialogo tra credenti e autorità religiose assume una nuova responsabilità,
una missione di salvaguardare il carattere e la ragione della sacralità della vita dell'uomo e della
donna nella nobile gestione della creazione di Dio. Una di queste azioni comuni e condivise può
essere rappresentata dalla tradizione dell'ospitalità sacra.
Chi è il soggetto che ospita e chi è l'oggetto dell'ospitalità? Essere ospitali può essere sinonimo di
fratellanza spirituale senza scadere in cerimonie o in sentimentalismi o in opportunismi?
“I Nostri inviati hanno portato ad Abramo il lieto annuncio. Gli dissero: «Pace». «Pace», rispose, e
non tardò a portare un vitello arrostito. - Ma quando vide che non lo toccavano si insospettì di loro e
ne ebbe paura. Dissero: «Non avere paura, siamo stati inviati al popolo di Lot». Sua moglie stava in
piedi lì vicino e rise, e allora Noi le demmo il lieto annuncio di Isacco, e di Giacobbe dopo Isacco. Disse: «Guai a me, avrò un figlio quando sono anziana e sterile e il mio signore è vecchio? Davvero
una cosa strana». - «Ti meraviglia l'ordine di Dio?» le chiesero. «La misericordia di Dio e le Sue
benedizioni siano su di voi, gente di questa casa, Egli è degno di lode, degno di gloria».” (Corano:
XI, 69-73).
Da questa annunciazione che gli angeli rivolgono alla prima moglie Sara del profeta Abramo che la
Rivelazione islamica tramanda, possiamo riscoprire con gli ebrei e i cristiani alcune radici comuni.
Innanzitutto c'è la radice della profezia e della famiglia del patriarca del monoteismo, Abramo, da
cui derivano le famiglie delle nostre rispettive comunità religiose. Poi c'è il riferimento alla
presenza e alle visite degli spiriti angelici che è parte integrante delle nostre dottrine e delle nostre
vite e ritualità. Troviamo il saluto tradizionale di Pace, lo stupore dei fedeli davanti al miracolo di
Dio, la discendenza e la ritrasmissione dei profeti, la benedizione della residenza e tutto questo è
parte integrante dell'ospitalità che il profeta Abramo offre ai suoi visitatori sconosciuti, ad alcuni
viaggiatori di cui ignora il luogo di partenza e di destinazione e la ragione del loro arrivo, a queste
creature di cui non conosce l'identità, egli offre ospitalità, Abramo tratta come ospiti tre figure
angeliche.
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Secondo l'interpretazione dei maestri musulmani, il profeta Abramo a cui viene attribuito il titolo di
khalilAllah, amico di Dio, riceve proprio in questa circostanza il conferimento di questa stazione di
amicizia intima che viene sintetizzato molto simbolicamente dallo scambio di “Pace” tra angeli e
profeti.
Questa Pace che non è “come la dà il mondo” ma è l'irruzione di una presenza del Pacificatore
persino sulla terra e tra i credenti che si dispongono a diventare ospiti e ospitanti della Pace dello
Spirito. Il simbolo del vitello offerto in sacrificio da Abramo ai suoi ospiti ha una profonda
corrispondenza con il sacrificio che ogni fedele può ritrovare e soprattutto onorare nella propria
tradizione religiosa e significa offrire ciò che c'è di più caro per ospitare l'Ospite o amare l'Amato.
L'ospitalità (al-diyafa) nella tradizione islamica ha assunto un dovere per chi la offre e un diritto per
chi la riceve ed è parte degli aspetti nobili del carattere di un credente che segue l'esempio dei
profeti, dei santi e dei maestri. Alcuni di questi maestri, come il commentatore del Sacro Corano, alQushayri, o lo shaykh al-akbar Muhyiddin Ibn 'Arabi, fanno risalire proprio ad Abramo il modello
di ospitalità per eccellenza, conseguenza dell'amicizia che Dio gli ha concesso in forma privilegiata.
L'amico di Dio Abramo ha saputo insegnare ad ebrei, cristiani e musulmani come si offre l'ospitalità
agli angeli, alla famiglia dei profeti, alle comunità religiose e alle creature tutte dando,
ritrasmettendo e custodendo il segreto dell'Ospitalità di Dio per lui e per tutti noi. Questo segreto si
svela nell'estrema abnegazione del fedele e nella generosa abbondanza del Creatore quando
distribuisce i Suoi favori (al-Razzaq) in modo incommensurabile tra le genti che Lo accolgono.
Riconoscere questa grazia spirituale e materiale tramite l'ospitalità sacra permette di riconoscere gli
angeli tra gli ospiti e, di conseguenza, scoprire l'Unicità di Dio tramite l'universalità della creazione,
senza confondere il calamo o lo scrivano con la Misericordia del Signore.
Lo stesso Abramo non seppe riconoscere immediatamente la natura spirituale dei suoi ospiti se non
al momento in cui sembrava che essi non accettassero la sua ospitalità quando si astenevano dal
toccare il cibo offerto ed “ebbe paura”. Allo stesso modo, sua moglie Sara, non sembra poter
riconoscere la propria maternità futura mentre vede se stessa secondo la sua percezione delle forze
naturali. Si tratta anche per noi, come per Abramo e Sarah, di saper vedere noi stessi e i nostri
fratelli per quello che siamo veramente, secondo la natura divina, e non solo secondo le sembianze
dei costumi o del tempo.
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Vedere Abramo e Sarah come essi hanno saputo vedere l'amicizia di Dio e gli angeli che
benedicono la casa e la famiglia equivale anche per noi musulmani a ritrovare l'ospitalità
tradizionale nella fratellanza spirituale con altri maestri e altri credenti nel Dio Unico.
Si tratta di rispettare le provvidenziali differenze ma riconoscere il Principio Unico che ci unisce
evitando di idolatrare la nostra religione come fosse l'unico calamaio per tutti.
Un maestro musulmano che ha ispirato uno dei più antichi ordini contemplativi islamici, lo shaykh
Abd al-Qadir al Jilani, ha scritto: “Quale via sarebbe perfetta senza compagni? E come trovare la
giusta direzione per tutti se non ci viene donata? E un retto cammino diverso da quello che noi
seguiamo? E l'attenzione all'istante senza slancio spirituale? Fidati, la sincerità è del più alto rango
per chi desidera giungere fino in fondo. Ricorda dunque le mie parole”.
“Quale via sarebbe perfetta senza compagni?” chiede il maestro e invita i suoi interlocutori ad
estinguere l'individualismo, l'isolamento, la solitudine, a scoprire il beneficio della compagnia
spirituale, della fratellanza, dell'ospitalità tradizionale come mezzi per avanzare nella via della
perfezione. Sono tutti sinonimi di coesione e dialogo all'interno e all'esterno della propria comunità
d'appartenenza, ma affinché diventino veramente utili, il maestro ci insegna a qualificare queste
azioni e questi strumenti con la sincerità, qualità spirituale che permette ad ogni credente di
ritrovare la sua coesione interiore e il conforto prezioso del dialogo tra i compagni, solo così si
realizza una armonia sociale e una affinità intima con il Verbo di Dio.
Quest'ultima condizione è quella che alcuni maestri musulmani anticipano descrivendo il ritorno di
Gesù figlio di Maria alla fine dei tempi, un ritorno che coincide con la venuta del Messia atteso dai
nostri fratelli ebrei. La preparazione congiunta a questo momento costituisce una motivazione
fondamentale per un dialogo e una coesione che sappia arginare le forze della disgregazione o della
dissoluzione, gli errori del relativismo e del sincretismo.
Il dialogo interreligioso non è uno scambio convenzionale di buoni propositi o un programma di
lavoro ma rappresenta la preziosa verifica fraterna del colloquio interiore ed esteriore del credente
con il proprio Signore. Esteriormente si può esprimere con la solidarietà, l'ospitalità o la
collaborazione, interiormente con la carità, la preghiera e il ricordo di Dio.
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