della scuola nuova

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della scuola nuova
■ Anno LIX • n. 3 (220) Luglio-Settembre 2011 - n. 4 (221) Ottobre-Dicembre 2011
L’ECO
€ 3.10
Organo della FNISM
Federazione Nazionale Insegnanti
fondata nel 1901 da
Gaetano Salvemini e Giuseppe Kirner
della scuola nuova
Periodico trimestrale con supplemento - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - Roma
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EDITORIALE
SOMMARIO
11 settembre 2001 - 11 settembre 2011
Bilancio di un anniversario
Anna Maria Casavola
3
Lo scarto con l’Europa Penalizzati i
diversamente abili
Raffaele Graziano
4
Il ruolo della scuola pubblica nella
costruzione dell’Italia unita
Gigliola Corduas
5
La didattica laboratoriale delle scienze
report su un’esperienza
Peppino Sapia
11
La scuola dell’obbligo in provincia di
Napoli una frontiera per progredire
Elio Notarbartolo
14
Silvio Pellico
Alessandro Casavola
16
Intervista a Pupa Garribba
Un testimone nelle scuole
21
Rilanciare la qualità della scuola
Qualche punto
Leonardo Pangallo
23
La memoria degli Alberi Monumentali
Paola Farina
24
Il piacere di leggere
Elisabetta Bolondi
26
Il vero mondo del corpo umano
Margherita Calò
29
Dossier statistico Immigrazioni 2011
Oltre la crisi insieme
Paola Farina
30
Sconcerto, disorientamento,
indignazione
Suscita sconcerto la prospettiva di
ulteriori tagli alla scuola, indicata
come uno dei sei ministeri-chiave
su cui concentrarsi per raggiungere il risparmio di 4,2 miliardi entro
il 31 dicembre 2012.
Lo sconcerto nasce da almeno due
ragioni.
La prima è che si sottolinea come
la spending review riguarderà solo
gli aspetti di carattere amministrativo: taglio del 15% delle spese sostenute dal Ministero dell’Istruzione per beni e servizi, una sforbiciata agli affitti, segreterie e
biblioteche condivise tra più istituti, razionalizzazione del personale
del Miur, riduzione delle sedi, concentrazione di tutte le attività
romane tra la sede di viale Trastevere e gli uffici di via Carcani,
riorganizzazione sia degli uffici
amministrativi -privilegiando le
funzioni di indirizzo e coordinamento- sia delle articolazioni provinciali, trasferimento di funzioni e
infine riequilibrio della rete scolastica regionale e della proporzione
tra docenti e classi di alunni.
Eppure, negli ultimi anni, la scuola
ha sempre pagato un prezzo salatissimo per il risanamento del
bilancio dello Stato. Dal 1990 al
2009 la spesa per l'istruzione è scesa al 17,7% dal 23,1% del totale,
cifra già ridotta se paragonata agli
investimenti di altri Paesi europei,
ma forse eccessiva se confrontata
con i risultati. Si può dire che la
scuola è il settore della pubblica
amministrazione che più di tutti gli
altri ha pagato il prezzo di questa
crisi, in particolare a partire della
legge finanziaria dell’estate 2008.
Si è tagliato su tutto, a partire dalla spesa per il personale scolastico,
già pesantemente penalizzato dal-
le misure assunte negli ultimi sei
anni, presidi e direttori dei servizi
di segreteria utilizzati su più scuole, carenza di attrezzature, tagli
sulle spese correnti, aumento del
numero di alunni per classe, riduzione dell’offerta formativa ecc.
Eppure, evidentemente, c’è ancora
tanto su cui intervenire. Torna
anche l’annosa questione delle
supplenze, poiché si prevede
un’ulteriore “svolta decisa”, anche
questa virtuosa per tutti - tranne
forse che per gli studenti che
saranno ridistribuiti in classi diverse in caso di assenze degli insegnanti, assenze da controllare ma
non da censurare. Viene da chiedersi quale sia il confine tra l’efficienza e lo spreco e come sia possibile considerare uno spreco ciò che
dovrebbe servire a garantire la
qualità della scuola in termini di
erogazione del servizio e di qualificazione dell’offerta formativa.
L’apparato burocratico ha funzioni
di supporto ad una struttura che
ha come obiettivo la formazione
culturale e umana delle nuove
generazioni: questo è lo scopo cui
deve essere improntato, secondo
criteri di correttezza amministrativa e con una logica di sobrietà e di
risparmio che non può essere scoperta come virtuosa solo nelle
situazioni critiche. O no? Stupisce
l’estensione degli sprechi accumulati fino ad oggi e anziché rassicurarci di fronte a tanta virtuosità e
sobrietà d’intenzioni, ci chiediamo
perché fino ad ora le cose siano
rimaste all’insegna di uno spreco
così evidente.
Un altro interrogativo nasce dal fatto che, nonostante questi tagli siano indicati come utili a migliorare
l’efficienza del servizio, non siano
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Luglio-Dicembre 2011
affiancati da una più ampia riflessione
su un progetto di scuola che ci aiuti ad
affrontare un problema dai contorni
molto più estesi.
E allora lo sconcerto e il disagio che
ricordavo all’inizio diventano disorientamento. E’ ormai evidente la
retorica restauratrice e efficientista
del governo precedente, fatta di tagli
feroci oggi ammessi anche dall’allora
ministro Gelmini che forse non li ha
decisi ma certo li ha accettati e applicati con una diligenza degna di
miglior causa.
Restano aperti tutti i problemi principali che però continuano ad essere
affrontati come aspetti parziali della
politica scolastica, senza essere inseriti in una visione d’insieme articolata.
La “revisione di spesa” dell’amministrazione pubblica sta mettendo in
secondo piano una seria riflessione
sul progetto di politica scolastica che
nei fatti stiamo perseguendo e che
EDITORIALE
rischia di essere una riproposta acritica di quello del precedente governo,
all’insegna della visione ragionieristica e rozza della cultura che “non dà
da mangiare” o al massimo di una
scuola che serve per entrare nel mondo del lavoro.
Ma è lecito muoversi solo sul terreno
economico rinunciando a una visione
politica generale in cui anche i ridimensionamenti possano acquisire un
significato?
Purtroppo anche questa è ormai una
costante: la politica non investe nell’istruzione, non riesce a proporre un
progetto di scuola radicato su un’idea
forte del ruolo della scuola nella
società. Sono le esigenze di bilancio a
dominare in un silenzio di proposte
inquietante e la politica di tagli virtuosi finisce per rivelarsi un disinvestimento sistematico sulla scuola su un
piano che non è solo economico ma è
fondamentalmente culturale, con
L’ECO della scuola nuova
l’assenza di un’idea forte del ruolo
che la scuola deve svolgere nella
società, che le darebbe un diritto di
priorità su altre esigenze e su altre
scelte.
E allora il disorientamento diventa
indignazione con la rabbia che non si
riesca ad avviare una riflessione
ambiziosa, a tutti i livelli, per pensare
alla scuola come al luogo in cui avviare il progetto di sviluppo di persone
autonome, in grado di realizzare se
stesse e le proprie scelte di vita in
maniera consapevole, radicate nella
cultura d’appartenenza e capaciti di
alimentare il dialogo e sostenere lo
sviluppo sociale. Di questo passo
riusciremo solo a trasmettere ai giovani i rimasugli confusi e insignificanti di questo nostro piccolo mondo
antico che sta andando letteralmente
in pezzi.
iI
MOZIONE
Abbiamo accolto con sollievo la
dichiarazione del Ministro Profumo che non c'è nessun provvedimento pronto per realizzare la
riduzione di un anno dei percorsi
di scuola secondaria superiore.
Soprattutto ci rassicura che il
Ministro consideri un intervento di
questo genere come una vera riforma strutturale, che richiederebbe
più di un decreto e soprattutto non
può prescindere da un confronto
sul modello di scuola che si intende
realizzare. Perché è questo l’anello
mancante del dibattito di politica
scolastica di questi anni, rimasto
arenato sul voto in condotta o sul
numero di alunni stranieri da inserire in classe.
È vero, il tema della riduzione del
percorso scolastico è sul tappeto da
tempo e la Fnism è sempre stata
favorevole a una conclusione del
percorso scolastico entro i 18 anni
d’età,evitando sovrapposizioni con
l’ingresso nella “maggiore età” sia
per le difficoltà che pone dal punto
di vista organizzativo sia perché, sul
piano simbolico,con l’uscita dalla
scuola secondaria dovrebbe avere
inizio una fase di vita diversa, dove
le scelte formative si completano
all’università o nell’istruzione superiore (ancora latitante nel nostro
sistema) o in percorsi di inserimento professionale e lavorativo.
Nel 1990, nel Convegno “I giovani e
la scuola”, sostenevamo in maniera
articolata queste posizioni tanto
più ci sembrano valide oggi poiché
la sfida è restituire alla scuola un
ruolo di formazione culturale, professionale, di orientamento e di
tenuta civica nell’educazione delle
giovani generazioni su cui i media
influiscono molto più della scuola e
persino della famiglia.
Sottolineiamo la necessità di un
confronto a 360 gradi non come
diversivo o perché pensiamo vada
conservata la situazione attuale,
frammentata da interventi sconnessi e parziali, né per la difesa corporativa di interessi costituiti, ma
perché riteniamo che oggi ci sia
bisogno di un riassetto complessivo
che restituisca ai segmenti scolastici un carattere sistemico con una
progettualità educativa e formativa rispettosa delle differenze ma
anche consapevole del ruolo della
scuola pubblica in un sistema
democratico.
Bisogna ricostruire il percorso a
partire dalla scuola dell’infanzia,
primo anello da cui non si può prescindere in una formazione che
deve sviluppare tutte le potenzialità individuali e realizzare un decondizionamento precoce a sostegno di tutti e in particolare di quei
“capaci e meritevoli” di cui non
possiamo ricordarci solo vagheggiando un’astratta meritocrazia.
La scuola primaria è stata all’avanguardia nell’introduzione di mo-
delli orari e schemi organizzativi
ma è stata in questi anni svilita dai
tagli selvaggi. E la scuola media,
che aveva rappresentato un punto
avanzato quando fu approvata la
legge istitutiva nel 1962, risulta
impoverita nella sua offerta formativa e ha bisogno di interventi riorganizzativi (perché non rivedendone anche la durata?) e va riprogettata rispetto agli altri segmenti.
In questo contesto anche l’innalzamento dell’obbligo scolastico potrà
trovare una collocazione più corretta e significativa di quanto
avvenga oggi con una secondaria
che non è stata riformata ma solo
restaurata nella sua impostazione
gentiliana e che non a caso continua a registrare livelli di abbandono e di dispersione che non possiamo permetterci e rappresentano
uno spreco di risorse inaccettabile
sul piano economico, sociale e
soprattutto umano.
Che ne è di quei 2 milioni di giovani che non studiano, non sono inseriti in percorsi di formazione e non
lavorano?
Sì dunque a un anno in meno di
scuola, ma in un sistema che sappia
dare spessore, senso e valore ai
percorsi scolastici di studentesse e
studenti che dovranno confrontarsi
alla pari in un contesto europeo
che per lo più già prevede l’uscita
dal sistema scolastico a 18 anni.
(Marzo 2012)
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Luglio-Dicembre 2011
PER NON DIMENTICARE
L’ECO della scuola nuova
11 settembre 2001- 11 settembre 2011
Bilancio di un anniversario
di Anna Maria Casavola*
10 anni fa, quasi profeticamente,
sulle pagine di questo stesso giornale, a commento dell’attentato
terroristico dell’11 settembre, a
NewYork, rivendicato dall’islamico Bin Laden, avevo scritto che
nell’incendio delle due torri
gemelle erano bruciati insieme i
traguardi civili raggiunti nel XX
secolo, quei principi, quelle convenzioni, quei trattati internazionali faticosamente scritti da tutto
il mondo sul riconoscimento e la
protezione dei diritti universali.
Da allora è cominciata infatti
quell’emergenza infinita, che
dura fino ad oggi e che ha permesso all’amministrazione Bush
di entrare in uno stato di guerra
prima in Afganistan poi in Irak e
poi anche all’interno dello stesso
paese, dove fu aperto il campo di
reclusione di Guantanamo per
combattere i terroristi o i presunti
tali, spogliati di ogni garanzia e in
una terrificante violazione dei
diritti umani. Le guerre scatenate
e invocate in nome della ideologia della difesa preventiva, stanno durando da 10 anni e hanno
dissanguato le casse dello Stato,
sono costate migliaia di morti
americani, senza contare le centinaia di migliaia di vittime tra le
popolazioni locali, e senza aver
creato quello che irrazionalmente avrebbero voluto creare cioè
l’esportazione della democrazia.
Anzi il soldato americano ha perduto quell’alone di buono, che lo
aveva accompagnato dalla seconda guerra mondiale in poi per
assumere, in certe situazioni il
volto di spietato aggressore. Il
Presidente Obama, che tante speranze aveva acceso da essere insignito, subito dopo la sua nomina,
del Nobel per la pace, prigioniero
delle politiche già avviate, non è
riuscito a smantellare neppure
Guantanamo ed ha dovuto trascinare ancora la guerra in
Afganistan procrastinando di due
anni il promesso ritiro delle truppe. L’uccisione di Bin Laden il 2
maggio 2011 in circostanze misteriose, non ha bloccato la spirale
terroristica sempre più minaccio-
sa, anzi la prima vittima di un
altro furibondo attentato è stato
proprio l’elicottero che trasportava, tra gli altri, 22 uomini che avevano partecipato al blitz , i famosi seals, le foche della Marina USA,
un corpo speciale nato nella
seconda guerra mondiale, di soldati coraggiosi, votati a missioni
impossibili. Inoltre le ripercussioni
di queste guerre sono state
pesantissime sul piano economico, dove hanno scatenato, complici anche i perversi meccanismi
degli istituti finanziari e delle
banche una crisi, dicono, più grave da quella del 29 che ha contagiato ormai anche l’Europa. Negli
Usa si è volatilizzata la prospettiva di un lavoro sicuro e cresce l’esercito dei disoccupati e anche lì
degli indignati. Insomma, che
dire? un impero che affonda nelle
guerre che provoca ritenendole
l’unica difesa nei confronti del
terrorismo. Al contrario questo
potrebbe essere battuto attraverso la risposta, rispetto ad essa
asimmetrica, del diritto e della
politica, cioè della scoperta e cattura dei responsabili nonché della
capacità dei governi di farsi carico
delle sue cause politiche economiche, culturali.
Come è possibile non riflettere,
non interrogarsi? Davvero la
guerra è ancora l’unica
soluzione ai problemi
del mondo ?Della crisi
oggi tutti parliamo ma
si è rimossa quella che è
stata la causa prima,
cioè la guerra. E’ significativo, ad esempio, che
il nostro ministero della
Difesa,
nonostante
l’Italia si trovi in stato di
ormai conclamata recessione, abbia confermato
l’impegno di spendere
quindici miliardi per
comperare 131 aerei da
guerra F-35 e sia rimasto
sordo alla campagna di
proteste che tale annuncio ha scatenato nel
paese. E’ possibile che
varcato ormai da tempo
il terzo millennio l’unica
pace di cui abbiamo
esperienza sia sempre e solo un
intervallo tra due guerre e che i
possibili conflitti continuino,
come ai tempi dello storico greco
Tucidide, ad essere decisi in base
a rapporti di forza, con gli eserciti, con le armi e con il prezzo altissimo pagato dalle popolazioni
civili? E’ da folli pensare il contrario? Storici ed etnologi spiegano
che le mentalità si cambiano in
tempi lunghissimi, dell’ordine di
millenni, va bene, cominciamo
ora. Esiste nella realtà quella che
viene contrabbandata dai governi
come guerra umanitaria, guerra
giusta ? Vorrei rispondere ripetendo le parole di uno storico statunitense Howard Zinn. “ La guerra non si può umanizzare si può
solo abolire. Questa profonda
verità va ribadita continuamente.
Che queste parole si imprimano
nelle nostre menti, che si diffondano ad altri fino a diventare un
mantra ripetuto in tutto il mondo, che il loro suono si faccia
assordante e infine sommerga il
rumore dei fucili,dei razzi, degli
aerei”.
* Vicepresidente Consiglio
Nazionale Fnism
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Luglio-Dicembre 2011
UNA QUESTIONE PER VOLTA
L’ECO della scuola nuova
Lo scarto con l'Europa
Penalizzati i diversamente abili
di Raffaele Graziano
Parliamo di globalizzazione, di
inserimento nella società, di liberalizzazione, sostegno ai giovani
e quant’altro ma continuano ad
esistere grossi inconvenienti a discapito di chi non si può difendere.
In tante realtà, specie al Sud, ci
troviamo sempre di più ad affrontare giornalmente il problema
umano e scolastico degli alunni
diversamente abili.
In qualità, anche di docente di
sostegno, manifesto il forte disagio nell’esplicazione di tale
impegno lavorativo, che essendo
anche una “missione” da parte
nostra, implica non pochi problemi con la realtà delle cose.
Sappiamo bene quanto possa
costare anche in termini di soldi la
permanenza degli allievi diversamente abili all’interno della
Scuola Primaria.
Il Ministero ancora non riesce ad
inquadrare questo problema e
quindi non dimensiona il giusto
ad un sostegno economico in grado di favorire sul serio l’inserimento di tali alunni all’interno
della Scuola.
Il Ministero si impegna tanto nelle Progettazioni anche con Fondi
Europei per l’innovazione alle
nuove tecniche ma nulla ci fa pervenire addirittura per il materiale
di consumo, che peraltro risulta
veramente indispensabile.
I soldi dei Fondi Strutturati
dell’Unione Europea FSE e FESR
vengono impiegati piuttosto
male perché poco finalizzati
all’aumento della produttività
delle attività degli alunni in questione.
Si dovrebbe guardare più decisamente ad un loro adeguato inserimento in un contesto “sociale”.
Con certe tipologie di malattie o
insufficienze non basta creare e/o
sviluppare una progettazione e/o
dare a loro fogli, matite, penne,
ecc….
Ogni alunno esige materiale
diversificato e adeguato alle loro
proprie esigenze che, spesso le
famiglie (indigenti) non riescono
a procurare e quindi dovrebbe
essere la Scuola, l’Ente, lo Stato a
focalizzare meglio un corretto e
adeguato metodo di integrazione.Siamo ancora in grado di
seguire l’esempio dell’Europa?
In questo settore dell’insegnamento stiamo marcando un forte
ritardo, forse una grave disattenzione. Quale futuro potremmo
mai dare a questi alunni, visto il
contesto in cui vivono e visto il
modo dissociato con cui lo Stato
interviene.
Non si riesce nemmeno a seguire
una corretta programmazione
didattica vista l’esiguità della
cedola libraria, gratuita si, ma
troppo povera per le esigenze
reali. Non si riesce a capire che
loro hanno bisogno di altri libri, di
altre attrezzature e non i soliti
libri di italiano, matematica, ecc.
E onestamente, con pochi euro
(circa 20) cosa mai noi docenti
potremmo comprare per far fronte a tale problematica?
Qualche euro arriva dallo Stato
ma solo per la formazione docenti (legge 440/97) ma parliamo
sempre per i docenti e non per gli
alunni, parliamo di formare
docenti per la preparazione a tali
tipologie di malattie ma nulla per
gli allievi che sono, poi e sempre,
la vera ragione dell’esistenza delle scuole.
A che serve preparare o organizzare corsi, formazioni, seminari e
quant’altro se poi, all’interno di
un’Istituzione, non c’è materiale
per mettere in atto le giuste e
conosciute operazioni di inserimento?
Ci rendiamo conto che le barriere
architettoniche nelle scuole sono
ancora troppe, almeno il 30%
degli istituti scolastici presenta
ancora gravi impedimenti alla
mobilità e all’accessibilità degli
studenti disabili, con una netta
differenza tra il nord e il sud del
Paese.
L’utilizzo dell’informatica e della
tecnologia per la “didattica speciale” in Italia non è disponibile
per tutti: seppure le postazioni
informatiche dedicate siano
aumentate sensibilmente nelle
regioni più all’avanguardia (si
arriva all’80% delle scuole), in
quelle più retrograde si arriva
appena al 48%. La disponibilità di
postazioni informatiche nelle
classi anziché in laboratori separati è di estrema importanza ai fini
dell’integrazione scolastica.
Altri dati da analizzare sarebbero
quelli riguardanti l’effettivo utilizzo delle postazioni, quanto presenti. Anche questo dato è piuttosto deludente.
Il pc che per un bambino è uno
strumento importante, per certe
categorie è inaccettabile.
Ci vogliono tastiere particolari,
mouse particolari, video touch
screen particolari, e queste sono
solo piccole cose in confronto alle
enormità dei problemi che si possono riscontrare in alcune realtà.
Il Ministro è rimasto beatamente
seduto a Roma sulla propria poltrona senza mai scendere nelle
realtà dei veri e seri problemi scolastici. Le leggi che hanno fatto si
possono poi mettere in pratica?
Vengano a vedere, i nostri parlamentari che approvano le leggi,
quello che succede nella vita quotidiana. Mi sento sempre più
affranto quando leggo e vedo lo
sperpero di soldi pubblici per fini
personali confrontadolo alle mancanze di fondi alla Scuola
Pubblica così eclatante. Tutto
questo non ci ferma dal fare il
nostro dovere. Il docente, nonostante quanto si dica in Italia è
orgoglioso di essere docente e,
con dedizione e amore, continua
ad affrontare i problemi giornalieri della vita scolastica.
Che è anche una missione: lo dico
a coloro che non dovessero sentire
questo dettaglio del loro lavoro.
5
Luglio-Dicembre 2011
IL SAGGIO
L’ECO della scuola nuova
Il ruolo della scuola pubblica
nella costruzione dell’Italia unita
Intervento di Gigliola Corduas al convegno “Fare gli
italiani. Scuola, istituzioni, società nell’Italia unita”
organizzato a Torino il 28 novembre 2011 dalla
Sezione di Torino Fnism “Frida Malan”
Interrogarsi sul ruolo della scuola in questi primi 150
anni di storia italiana significa chiedersi come la
scuola ha accompagnato/ promosso/ favorito la crescita sociale ed economica e le trasformazioni che
l’hanno caratterizzata, quanto e in che margini ha
svolto un ruolo di protagonista oppure se ha subito/inseguito processi d’innovazione.
Il mio intervento propone un’analisi che parte dai
problemi aperti con i quali ci stiamo confrontando
che mostra come, rispetto alla scuola, questi 150 non
sono pesati molto da un punto di vista strutturale e
l’impronta che ha oggi la scuola italiana ci riconduce
a un impianto e a un profilo rimasti sostanzialmente
inalterati.
Nella gestione politica delle riforme c’è
stata una forte difficoltà ad introdurre
elementi di innovazione, a dare seguito
a istanze di cambiamento che provenivano sia dal contesto sociale sia dal
mondo economico.
Sia la gestione politica che quella
amministrativa hanno infatti mostrato
una forte resistenza al cambiamento.
A questa situazione hanno contribuito
anche:
- la gestione clientelare del personale
della scuola che da sempre è stata
valvola di sfogo della disoccupazione
intellettuale;
- la scarsa fiducia delle classi dirigenti
nello sviluppo del capitale umano;
- la resistenza all’innovazione anche da parte degli
insegnanti e del personale dirigente.
I quattro punti che mi auguro di riuscire ad analizzare per sommi capi non sono gli unici e mi scuso di una
trattazione che si limita a riferimenti e rinvii. Avrei
potuto limitarmi ad un singolo aspetto ma non ho
voluto rinunciare alla suggestione di una visione da
una pluralità di punti d’osservazione, anche se questo ha resto più complicato il mio lavoro e sicuramente renderà meno agevole seguirlo.
1. STRUTTURA DEL SISTEMA
La proclamazione del Regno d’Italia ha posto l’esigenza di creare lo Stato unitario integrando sul piano politico e amministrativo una congerie di stati e
staterelli, uno Stato cui corrispondesse, sul piano
sociale, una nuova identità nazionale di cittadini italiani, pure questa tutta da costruire Si doveva fare i
conti con le condizioni di arretratezza culturale e
sociale da cui si partiva, con dislivelli nelle diverse
situazioni territoriali, con un analfabetismo che toccava il 78 % della popolazione.
E poiché ogni stato preunitario aveva avuto proprie
tradizioni in materia scolastica, il modello cui puntò
il regno sabaudo fu quello centralizzato, verticistico,
unificato e unificante con la scuola collocata all’interno della pubblica amministrazione. (Un sistema
basato su decisioni prese al vertice sostenute da verifiche di correttezza delle adempienze, con controlli
formali che ne garantissero l’applicazione).
É quanto troviamo nella legge Casati del 1859 regio
decreto legislativo n. 372513 del novembre 1859 del
Regno di Sardegna, successivamente esteso, con l'unificazione, a tutta l'Italia, che afferma la volontà dello
Stato di intervenire in materia scolastica a fianco e in
sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione, sancisce il ruolo
normativo generale dello Stato e la gestione diretta
delle scuole statali, attribuisce ai Comuni la gestione
e l’istituzione della scuola elementare obbligatoria e
gratuita, anche se riconosce la libertà dei privati di
aprire e gestire proprie scuole. In ogni caso la legge
riserva solo alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze.
Si delinea così un sistema incentrato
sul Ministero della P.I. affiancato dal
CNPI, composto da 21 membri di nomina regia, con le sue diramazioni: i
Rettori delle Università, i Provveditori
agli studi in ogni capoluogo di provincia, un Consiglio scolastico provinciale
in ogni Provincia presieduto dal
Provveditore, gli ispettori scolastici.
Questi organi territoriali costituivano
la longa manus che garantiva il potere centrale e l’applicazione delle norme e delle indicazioni che venivano
dal vertice, in una struttura piramidale
vertice-discendente.
Questa impostazione ha mostrato tutti i suoi limiti in
seguito a:
- crescita della domanda d’istruzione
- crescita dell’offerta e estensione della scolarizzazione
- esigenze di maggiore partecipazione sociale ai
processi educativi
- contestazione giovanile partita con il ’68 ha posto
la rivendicazione di un’impostazione più democratica dell’organizzazione scolastica e di un rafforzamento del legame scuola-società
Ci sono stati tentativi di modifica dell’impianto strutturale.
Il primo serio tentativo è stata la L.477/1973 con
delega al governo per l’istituzione di organi collegiali di governo della scuola, la revisione dello stato
giuridico del personale, la sperimentazione attivata
con i DPR 416, 417, 418, 419/1974 che introdussero
una serie di aspetti innovativi come la gestione collegiale delle scuole con il coinvolgimento dei genitori
e, nelle scuole secondarie, anche degli studenti.
Presenze nei Consigli di classe. Il Collegio dei Docenti
assume un ruolo più forte e un carattere tecnico professionale.
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Luglio-Dicembre 2011
IL SAGGIO
La vera novità è la presenza del Consiglio d’Istituto e
degli organismi territoriali dei Distretti scolastici.
Assumono un ruolo nuovo anche i Consigli Scolastici
Provinciali e il CNPI, organo propositivo e di consulenza del Ministro. Nuovo impulso riceve la sperimentazione, rimasta come unico intervento innovativo nel contesto della riforma –o meglio della mancata riforma- della scuola secondaria superiore.
In realtà questo intervento si rivela un’operazione di
innesto di qualcosa di innovativo su un tessuto che
rimaneva invariato, senza una ridistribuzione di
poteri che desse sostanza al principio della partecipazione, e in definitiva ha suscitato più attese e speranze di quante ne abbia soddisfatte.
Non si discosta molto la partita tuttora aperta dell’autonomia scolastica, che doveva rispondere all’esigenza di avvicinare le decisioni ai luoghi in cui il servizio viene erogato. Il senso dell’autonomia è contenuto nel Regolamento DPR 275/99 vigente ma senza
strumenti e le risorse per funzionare, a partire da
organico funzionale.
Questo tentativo di decentramento si è intrecciato
con le modifiche al Titolo V della Costituzione
(L.3/2001) con la distinzione delle “norme generali
sull’istruzione” competenza esclusiva dello Stato e la
“legislazione concorrente” delle Regioni che ha
aperto spazi di “elasticità” interpretativa decisamente preoccupanti.
Vorrei sottolineare come l’autonomia sia stata introdotta con l’art. 21 della L.59 del 97, una legge di
decentramento istituzionale alla cui base c’è l’esigenza di un rinnovamento della PA non della scuola.
Assistiamo a un doppio binario:
- Per un verso c’è un fermento innovativo di base,
che implica una visione della scuola più centrata
sulle specificità che la connotano
- Per altro verso manca la gestione di queste spinte
sul piano delle politiche educative e registriamo i forti condizionamenti esercitati da problemi di consenso politico che hanno portato a un’impotenza decisionale soprattutto nella scuola secondaria superiore, definita “la scuola della non decisione politica”
ma è riscontrabile anche nella riforma della scuola
elementare introdotta con la L.148/90 e i ripensamenti cui ha dato luogo.
Il senatore Valitutti sottolineava l’esistenza di due
politiche scolastiche: una di facciata che riguarda i
grandi affreschi riformatori su cui si sono accese
interminabili logomachie e non si decide nulla, una
reale fatta sul piano legislativo di provvedimenti
tampone spesso scoordinati.
Questo dualismo è confermato dalla sproporzione
tra le pochissime leggi di indirizzo e di riforma e la
moltitudine delle leggine.
Le norme generali di funzionamento del sistema scolastico sono state dettate, più che dal legislativo,
attraverso le norme di applicazione, l’emanazione di
direttive, l’interpretazione delle norme applicative
oltre che con interventi che riguardano la scuola in
quanto Pubblica Amministrazione e che incidono sul
profilo della scuola. Ne è conferma il recente Decreto
Brunetta relativo alla riforma della Pubblica
Amministrazione (trae infatti origine dalla L.n.15/09
con cui il Parlamento delega il Governo a ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e
trasparenza della P.A.). Il Decr. 150/09 introduce nuo-
L’ECO della scuola nuova
ve norme su performance, merito e premialità del
personale, la revisione delle norme sulla dirigenza
pubblica, sanzioni disciplinari dei dipendenti: entra
nel profilo professionale di insegnanti e presidi/dirigenti scolastici.
Ma prima di lasciare questo aspetto vorrei sottolineare un’altra ricaduta di- questo centralismo nella
difficoltà di governare un sistema che, in maniera
sempre più forte, ha dovuto confrontarsi con la sfida
delle differenze.
150 anni fa, la scelta di governare dal centro con l’obiettivo di formare gli italiani (che non esistevano)
significava puntare ad uniformare, creare un profilo
ancora inesistente. Nella scuola questa assenza si è
tradotta nel ricorso a strumenti basati sull’uniformità:
- delle classi definite sulla leva d’età
- dei tempi del calendario scolastico e delle scansioni orarie
- nella conformazione architettonica delle scuole e
nella distribuzione degli spazi (aule)
- nei modi della didattica con la prescrizione del
numero di prove scritte e di interrogazioni,
- negli strumenti del fare scuola che hanno una
sacralità intoccabile, a partire dai libri di testo.
Questa impostazione rende più difficile confrontarsi
con le differenze, un tema con cui la scuola dello
Stato italiano ha dovuto fare i conti fin dalle sue origini e lo troviamo ad esempio con la logica apparente del “siamo tutti uguali” nel libro “Cuore” di De
Amicis che, in una scuola elementare di Torino,
affrontava il problema dedicando il “racconto del
mese” ogni volta a studenti di regioni diverse.
E’ un fronte ancora aperto, che ha dovuto confrontarsi con una gamma di differenze che è cresciuta
con la trasformazione del nostro Paese da terra di
emigranti a tappa finale o intermedia di popoli
migranti delle parti più lontane del mondo e con la
presenza nelle nostre aule di alunni di etnie, culture,
lingue, religioni diverse, in molti casi non meno “italiani” dei loro compagni.
Oggi una scuola ancora tutta immersa in un assunto
tendenzialmente egualitario anche se poco efficace
rispetto all’inclusione, deve confrontarsi con questa
sfida che è una delle più difficili e c’è una forte inadeguatezza nelle risposte venute in questi anni dal
Ministero, con l’abbandono di sperimentazioni e iniziative cui avevamo collaborato come FNISM.
Desidero sottolineare la rigidità dell’impostazione e
la difficoltà nel dare risposte dal vertice mentre c’è
una vivacità di base, là dove riesce a sopravvivere, ed
è nella pratica che troviamo esperienze molto interessanti in condizioni spesso misere.
Dati dell’inchiesta del 1865 "Sulle condizioni della
pubblica istruzione in Italia":
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IL SAGGIO
Luglio-Dicembre 2011
2.CRESCITA DELL’ALFABETIZZAZIONE
In questi 150 anni si è verificata una grande crescita
culturale della popolazione: visto che si era partiti da
condizioni di arretratezza culturale e sociale con un
analfabetismo che raggiungeva il 78 % della popolazione e, nel sud, arrivava anche al 90%.
Solo il 37% dei ragazzi si iscriveva ad una scuola, percentuale non omogenea per tutte le regioni, e ciò
conferma la gravità della situazione dell’Italia
Meridionale.
Le scuole ripartite sul territorio dello Stato erano
31.804: all’incirca una su 8 Km quadrati una su 667
abitanti. Il quadro va completato con i dati che
riguardano le scuole serali e domenicali.
Nel 1865 le scuole serali erano 3821 ed erano esclusivamente maschili; le scuole domenicali erano 735,
frequentate esclusivamente da donne.
Da: Canestri – Ricuperati, La Scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Loescher Editore, 1981
RAPPORTO TRA NUMERO DELLE SCUOLE E DI ABITANTI:
Piemonte
Lombardia
Liguria
Toscana – Marche
Emilia
Umbria – Sardegna
Abruzzo, Calabria,
Molise
Puglia
Basilicata – Sicilia
una
una
una
una
una
una
scuola
scuola
scuola
scuola
scuola
scuola
per
per
per
per
per
per
384
436
476
667
715
833
abitanti;
abitanti;
abitanti;
abitanti;
abitanti;
abitanti;
una scuola per 1000 abitanti;
una scuola per 1110 abitanti;
una scuola per 1660 abitanti.
Altro problema che attraversa la storia della nostra
scuola e non è ancora risolto è quello dell’obbligo
scolastico che fu affrontato partendo da due capisaldi alla base dell’impegno per estendere l’alfabetizzazione: l’obbligatorietà e la gratuità.
La legge Casati del 1859 prevedeva 5 anni di obbligo
senza però precisare le multe per gli evasori. La legge Coppino del 1877 riduce gli anni di obbligatorietà a 3 e stabilisce multe per gli evasori, multe accrescenti se ripetute: l’obbligo di istruzione diventa
obbligo scolastico.
D’altra parte però solo nel 1886 una legge vietò il
lavoro ai bambini di età inferiore ai 9 anni Di fronte
all’inutilità delle sanzioni che colpivano le fasce più
povere, si arriverà a una norma di regolamento che
esonera le famiglie più povere dall’obbligo scolastico.
Una misura di sostegno, nel 1888 fu la costituzione di
Patronati scolastici , “Patronato fra le persone più
ragguardevoli del Paese”, che avevano l’obiettivo di
dare aiuto ai bambini più poveri (abiti, libri, materia-
L’ECO della scuola nuova
li vari). Si fa leva sull’aspetto umanitario e caritativo
e ci si affida alle azione di privati. Il ministro Credaro
istituirà a Pavia la prima “Cassa per la refezione scolastica degli alunni poveri delle scuole elementari”
Veniamo all’Italia Repubblicana.
Nell’Assemblea Costituente troviamo un bel dibattito sul tema del diritto all’istruzione, del sostegno ai
capaci e meritevoli e diventa centrale in un modello
di scuola pubblica, democratica che deve tenere
insieme le responsabilità dello Stato e la libertà dell’iniziativa privata, che detta norme sull’obbligo e le
misure di sostegno per il diritto allo studio.
La Costituzione prevede “almeno” 8 anni di obbligo
ma ancora nel 1962, quando si ebbe l’approvazione
della riforma che istituì la scuola media unica, i quattordicenni che completavano la scuola dell’obbligo
erano solo il 35,60 %.
Si può dire che quell’obiettivo è stato raggiunto
negli anni 90, ma non per questo il problema è oggi
risolto, dobbiamo infatti confrontarci con aspetti
importanti come:
- le forme di analfabetismo di ritorno, che derivano
dalla perdita delle conoscenze non utilizzate, -con
le nuove forme di analfabetismo funzionale e la
difficoltà di padroneggiare i nuovi strumenti della
comunicazione,che ci portano al tema dell’educazione degli adulti, quella long life learning cui ci
richiama l’Europa.
Soprattutto c’è l’esigenza, come in tutti gli altri paesi europei, di innalzare l’età dell’obbligo:
• c’è stata la L. 9/1999 Berlinguer con cui si innalzava
l’obbligo scolastico al 15° anno d’età “ e l’obbligo
formativo al 18° anno
• la legge è stata abrogata dalla Moratti che al posto
dell’obbligo ha inserito il diritto-dovere degli studenti
• oggi abbiamo una soluzione gattopardesca che ne
fa un innalzamento solo formale, poiché manca un
segmento specifico in cui realizzare il prolungamento che dia senso al rimanere a scuola e finalizzi il
prolungamento ad obiettivi formativi determinati.
Inoltre resta inalterata la rigida canalizzazione dopo
la scuola media unica tra sistema dell’istruzione e
quello della formazione professionale; c’è anche la
possibilità di un canale di serie C, la cosiddetta alternanza scuola-lavoro in cui il ruolo formativo della
scuola scompare e resta l’azienda.
Soprattutto restano aperte questioni importanti:
- il rapporto tra crescita quantitativa/qualitativa che
chiama in causa il modello di scuola
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Luglio-Dicembre 2011
IL SAGGIO
- il tema dell’equità nella distribuzione delle opportunità educative
- la necessità di valutare l’efficacia dei sistemi scolastici, chiedersi quanto costano e a cosa servono,
tanto più che la scuola ha perso qualsiasi funzione
di mobilità sociale.
Resta aperto anche il tema della valutazione di sistema essenziale per poter valutare studenti e personale docente e dirigente.
Se non ci si confronta con questi aspetti i richiami
alla valorizzazione del merito e alla meritocrazia
acquistano tonalità inquietanti.
Va infatti notato come la scuola sia attraversata da
retoriche sociali,da mode e linguaggi che spesso non
le appartengono, riflessi da altri contesti.
All’onda lunga di tipo egualitario che aveva attraversato gli anni ’60 ne è seguita negli anni ’70 una
di tipo efficientistico scuola servizio, insegnanti operatori sociali. Negli anni 80 troviamo al centro della
scena la Qualità Totale, le certificazioni di qualità, le
NORME ISO, scuola azienda, studenti utenti e presidi
manager, l’illusione che tutto possa essere gestito in
termini di costi-benefici.
Recentemente ha avuto un grande successo il tema
della meritocrazia: valorizzazione del merito
Costituzione.
Scoperte o innovazioni epocali si rivelano alla prova
dei fatti niente altro che un restauro del buon tempo andato.
3. EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA
Il terzo punto di questo intervento riguarda lo sviluppo dell’educazione alla cittadinanza, altro filo
rosso della storia della nostra scuola.
150 anni fa formare gli italiani non era una sfida solo
sul piano dell’alfabetizzazione, c’era l’esigenza di
creare un profilo di “cittadino italiano”. “Purtroppo
s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli italiani” si rammaricava Massimo d’Azeglio nelle sue Memorie e al
motto "Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani" fu ispirata la politica successiva alla spedizione dei Mille.
Il sogno risorgimentale prevedeva infatti che, accanto all’unità politica, crescesse la consapevolezza di
L’ECO della scuola nuova
appartenere a una patria che fosse “una d’arme, di
lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”,
come disse Alessandro Manzoni.
Otre ad insegnare a leggere, scrivere e far di conto,
a scuola si insegnarono le regole della convivenza
civile, l’igiene, la cura del corpo e il buon comportamento.
Non dimentichiamo che si viveva in zone dove accanto all’ignoranza c’erano condizioni di degradazione
fisica, scarsa igiene, malattie, problemi di crescita
oltre che di mortalità infantile.
La scuola divenne il luogo in cui si insegnò ad aver
cura del proprio corpo, imparare a osservare norme
igieniche, modificare pratiche di vita quotidiana.
Alla scuola, otre che insegnare a leggere, scrivere e
far di conto, si chiedeva di verificare anche la crescita della statura, la dentizione: cattedre con ricostituenti, campagne di vaccinazione ecc..
In realtà lo sviluppo più forte di questa dimensione
civica lo troviamo con il fascismo, che usò la scuola
per fascisticizzare il Paese. Si deve a Giuseppe Bottai,
ministro dell’Educazione Nazionale, ex capo
dell’”Opera Nazionale Balilla “La “Carta della scuola” che aveva l’obiettivo di assoggettare il mondo
della scuola al disegno di stabilizzazione del regime
fascista.
“Nell’ordine fascista, età scolastica ed età politica
coincidono. Scuola, Gioventù Italiana del Littorio
(GIL) e Gruppo Universitario Fascista GUP) formano
insieme uno strumento unitario di educazione fascista” (Dichiarazione della Carta della scuola).
E’ innegabilmente una forma di educazione ad un
modello civico e politico.
Troviamo il tema dell’educazione alla cittadinanza
come un tema forte nel dibattito in sede di
Assemblea Costituente: sarebbe utile e interessante
ripercorrerlo nel momento in cui il tema della cittadinanza acquista una dimensione nuova e più ampia
(come per i diritti dei figli di immigrati nati in Italia)
Per quanto si riferisce alla Costituzione, lasciando da
parte le scelte di grande respiro sulla scuola che connotarono la scuola nella Costituzione mi limito al
tema dell’educazione alla cittadinanza, uno dei
grandi temi in cui troviamo contributi importanti dei
padri fondatori della Fnism e voglio solo ricordare
l’intervento di Norberto Bobbio “Libertà nella scuola
e libertà della scuola” al convegno organizzato dalla
Fnism nel 1985 su “Stato e scuola oggi”.
Nel perimetro di questa tematica , che è anche collegata al dibattito degli anni ’50 tra i sostenitori di un
modello di scuola “neutra” “asettica” che si limita ad
istruire e quanti le affidavano compiti di educazione
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Luglio-Dicembre 2011
IL SAGGIO
valoriale si inserisce un’altra questione aperta dei
nostri giorni: quello che definirei l’affaire dell’educazione civica, materia sospesa tra disciplinarietà e trasversalità che attraversa tutta la storia della scuola
italiana.
Fu Aldo Moro che, come Ministro PI, nel secondo
governo Fanfani introdusse nel 1958 l'insegnamento
dell'educazione civica nelle scuole medie e superiori
con due ore al mese obbligatorie, affidate al professore di storia, senza valutazione: tutto ciò ne ha fatto la Cenerentola delle materie, affidata alla buona
volontà degli insegnanti.
La ritroviamo negli anni ’80 e ’90, nella forma di
“educazioni” (alla salute, alla sessualità, allo sviluppo, alla legalità) in risposta ad altrettante emergenze sociali con il Progetto Giovani 1993 sostenute dal
Sottosegretario Corradini, centrate sul recupero della dimensione dello“star bene” a scuola.
La materia è stata ripresa dalla legge delega 53/2003
della Moratti (e dal Decreto legislativo n. 59 del 2004
sul primo ciclo), che parla di "Educazione alla convivenza civile" con sei ambiti: educazione alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e
all'affettività.
Infine è stata rilanciata come materia tutta nuova
dalla legge Gelmini in clima di lotta al bullismo e alla
presunta perdita di valori civili "Cittadinanza e
Costituzione", partita con l’a.s.2008-09 Nel primo e
nel secondo ciclo prevede un’ora settimanale, non
aggiunte ma ricavate dall'attuale orario a carico delle aree storico-geografica nella scuola media e storico-sociale nel secondo ciclo.
Nella storia della nostra associazione c’è sempre stato un impegno per la costituzione di un profilo di cittadinanza ma se la scuola deve educare alla cittadinanza è necessario che la collettività nazionale si
rifaccia a un’idea condivisa di cittadino, rinvenibile
nella pratica corrente
- è necessario che la scuola stessa, in quanto comunità di convivenza civile, si organizzi in funzione di
tale obiettivo
- c’è bisogno di una pratica dei diritti di cittadinanza che bambini e ragazzi sperimentano in una
scuola che è un microcosmo istituzionale in cui praticare comportamenti corretti
- in un “clima” etico che deve caratterizzare l’istituzione e su cui si costruisce il senso dell’appartenenza.
Tutto questo non è avvenuto e non si è andati oltre
l’inserimento dell’insegnamento curricolare di educazione civica ma non è sufficiente limitarsi a conoscenze in materia.
È difficile resistere alla tentazione di collegare questo tema a un altro filone che attraversa e connota
pesantemente la scuola italiana: il rapporto con l’insegnamento della religione e la presenza tradizionale, forte del clero nell’istruzione dei giovani.
In altri Paesi di tradizione protestante: elemento religioso ha avuto un ruolo primario nella lotta all’analfabetismo e ha costituito una spinta all’alfabetizzazione, necessaria per leggere la Bibbia. In Italia è
sempre prevalso il timore che l’istruzione portasse
alla scristianizzazione e quindi all’impegno degli
ordini religiosi in campo educativo, ma anche all’avversione all’estensione della scolarità ripetutamente
L’ECO della scuola nuova
espressa ad es. dalla rivista dei Gesuiti “Civiltà cattolica”.
Nel 1868, quando fu presentata la relazione di A.
Manzoni sull’unità della lingua e sull’estensione della scolarità, la rivista insiste sull’ineluttabile distinzione tra “i branchi di zotici contadinelli” e “i giovanetti di civil condizione” e conclude “ogni studio che
si mettesse a far apprendere quell’idioma e quella
pronuncia alle classi infime del popolo, sarebbe per
la massima parte e quasi totalità un lavar la testa
all’asino” (De Mauro, La cultura degli italiani
”Laterza”).
Questa scelta incrociò l’impegno sull’educazione ai
valori e se per un verso nel periodo post-unitario si
riponevano le speranze in un’ educazione laica, mirata ad una presa di coscienza delle implicazioni di cittadinanza implicite nello stato unitario, per altro verso non è mai venuta meno la volontà di affidare l’educazione morale del popolo alla religione.
Un equilibrio che variava a seconda dei governi che
si sono succeduti. I primi programmi approvati dal
Ministro Mamiani nel 1860 , includono la religione
fra le materie fondamentali con lo scopo formativo
di un’educazione morale, religiosa e civile. Nel 1867
la revisione dei programmi riflette una profonda crisi fra Stato e chiesa e si attenua lo spazio dedicato
alla religione a favore dell’educazione civica.
Con la Sinistra storica al potere, nel 1877, abbiamo la
legge Coppino e i nuovi programmi che sostituiscono
di fatto all’insegnamento della Religione quello dei
“diritti e doveri dell’uomo e del cittadino “.
La riforma Gentile conferma il ruolo della religione
nell’educazione dei ceti popolari riservando la formazione critica e quindi filosofica propria degli studi
liceali alle élites. (Concordato lateranense del 1929,
tra la Repubblica italiana e la Santa Sede).
Oggi abbiamo ancora l’anomalia dell’IRC, materia
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Luglio-Dicembre 2011
IL SAGGIO
facoltativa che ha aperto alla questione della materia alternativa alla materia facoltativa che non è mai
decollata perché non poteva esserci concorrenza.
Sono tutte questioni che riaffiorano anche nella pratica quotidiana della vita delle scuole, dall’esposizione dei simboli religiosi nelle aule alla la messa pasquale, dai riti del presepe che diventa poco significativo in classi multiculturali e multi religiose alla posizione degli insegnanti di religione tra controlli e
imprimatur ma anche con i privilegi di un canale speciale per l’inserimento in organico di materie diverse
dalla religione. È anche la questione dei finanziamenti alle scuole private mentre si taglia sanguinosamente la scuola statale.
Anche se l’IRC non è più “fondamento e coronamento” dell’istruzione, non si è affermata una scuola lai-
ca finalizzata allo sviluppo di quel profilo di cittadinanza che fa riferimento alla Costituzione. Anche
questa è una costante del nostro sistema scolastico
con cui ci si trova a fare i conti fin dal suo sorgere.
4. GLI INSEGNANTI
Realizzare un sistema scolastico nazionale ha comportato la necessità di formare una nuova classe
docente laica, con insegnanti reclutati e formati dallo stato a garanzia di un’uniformità che accomunasse le scuole dalle Alpi alla Sicilia.
La legge Casati conteneva norme precise per l’abilitazione all’insegnamento, per cui si doveva essere
muniti di una patente di idoneità conseguita in una
scuola normale abilitante all’insegnamento, al termine un periodo di tirocinio,e inoltre di un attestato di
moralità.
Fu ridefinita la scuola normale che era biennale per
insegnare nel corso elementare inferiore e triennale
per la preparazione dei maestri.
Tuttavia erano ancora pochi coloro che erano stati
formati per fare i maestri e Terenzio Mamiani
Ministro della Pubblica Istruzione (nell'ultimo governo del Regno di Sardegna presieduto da Cavour e nel
primo governo del nuovo Regno) procedette a nomine d’ufficio conferendo patenti abilitanti anche a
non diplomati. Salirono in cattedra patrioti del
Risorgimento in attesa di sistemazione, ex preti che
avevano abbracciato la causa del liberalismo, seminaristi, e in molti casi per l’istruzione elementare si
fece ricorso a maestri improvvisati che al più avevano
una certa familiarità con l’alfabeto.
Ne risultò una classe docente piuttosto raffazzonata
cui peraltro corrispondevano condizioni assai misere:
nel 1895 il ministro Baccelli riconobbe la “bassa mercede” dei maestri ma li incoraggiò a sentirsi “investiti di un compito altissimo” e perciò a tenere, se non
L’ECO della scuola nuova
piena la tasca, alto lo spirito.
In rapidissima sintesi, nei centocinquant'anni di vita
del nostro Stato unitario, troviamo
1. la legge Casati 1859;
2. lo "Stato giuridico degli insegnanti delle scuole
medie, regie e pareggiate" (Regio Decreto 8 aprile 1906): fine di impedire abusi e illegalità ministeriali
3. la legge Gentile (Regio Decreto n.1054 del 6051923);
4. il DPR n.3 del 1957 "Statuto degli impiegati civili
dello stato";
5. la Legge delega n. 477 del 1973 e il relativo DPR n.
417 del 1974, poi inserito nel Testo unico n. 297
del 1994 con cui si riformula lo stato giuridico
Successivamente, in questi ultimi vent'anni, ci
sono state ci sono state leggi che hanno avuto
ricadute sulla condizione degli insegnanti. In particolare ricordiamo:
• la Legge quadro del Pubblico Impiego (n.93/1983),
a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6°
e 7° livello impiegatizio, la funzione docente ha
perso ogni specificità all’interno di un comparto
che impostava in termini omogenei la contrattazione di tutto il personale della scuola, dall'ausiliario al capo d'istituto, tagliando ogni legame con la
docenza universitaria;
• la legge delega n.421/1992 sul Pubblico Impiego
che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto
di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che veniva contrattualizzato;
• la legge 59/97 (autonomia scolastica) che attribuisce la dirigenza ai capi d'istituto, separando la loro
contrattazione dal restante personale della scuola.
Si è verificata un rafforzamento del processo di
impiegatizzazione dei docenti, favorito anche dal
loro numero decisamente elevato.
Sembra che abbia avuto risposta una domanda molto diffusa negli anni settanta “gi insegnanti sono
impiegati o professionisti?” ma purtroppo non è la
risposta su cui anche la Fnism si è tanto impegnata.
È in questa prospettiva che si colloca il “decreto
Brunetta” e temi come quello della valutazione vengono trattati con una logica premiale mentre la carriera assume un taglio individualistico che non ha
nulla a che fare con la collegialità dell’azione educativa.
Si accentua di fatto la dimensione impiegatizia e
questo rende difficile anche lo sviluppo di una riflessione seria incentrata sulla scuola e sulle professionalità di scuola e la necessità di riformulare il senso il
valore delle strutture educative.
Nel patrimonio ideale cui si rifà la Fnism, nel progetto di scuola che sappia valorizzare le attitudini individuali, sviluppare lo spirito critico e si costituisca
come microcosmo istituzionale ci siano elementi per
cercare delle risposte nuove.
Diversamente la ridurremo sempre più a luogo in cui
trasmettere frammenti sconnessi del nostro mondo
mentre i percorsi di formazione e informazione dei
giovani si realizzano sempre più un altrove estraneo
alla scuola.
iI
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Luglio-Dicembre 2011
DIDATTICA
L’ECO della scuola nuova
La didattica laboratoriale delle scienze
Report su un’esperienza
Peppino Sapia *
Numerosi studi hanno evidenziato come gli alunni della scuola primaria costruiscano i propri concetti scientifici relativi al mondo
fisico prevalentemente sulla base
della loro esperienza diretta [1-3].
Tali osservazioni hanno portato la
ricerca didattica ad interrogarsi
[4] sul ruolo che il carente raccordo tra esperienza quotidiana e
apprendimenti scientifici ha nella
genesi delle difficoltà di apprendimento specifiche, determinando in tal modo lo spostamento
dell'attenzione dai curricula ai
problemi cognitivi e di
apprendimento in una prospettiva costruttivista [5].
Poiché la conoscenza viene
attivamente costruita dal
singolo come personale
interpretazione del mondo
attraverso l'esperienza, il
contesto finisce con l’assumere un ruolo determinante nel processo di apprendimento. I significati sono
prodotti dall'interazione del
soggetto con il contesto
oggettuale nonché dallo
scambio con gli altri soggetti, in tal modo il personale
coinvolgimento con l'oggetto di studio è determinante per
l'apprendimento [6]. D’altra parte, già Piaget aveva evidenziato
che le conoscenze non possono
essere semplicemente trasmesse o
convogliate ad un'altra persona,
sottolineando il ruolo attivo del
discente e la funzione importante
dell'errore nella ricostruzione dei
processi cognitivi [7] e nel determinare il passaggio dalla conoscenza di senso comune al pensiero formale [8]. Questo passaggio,
con i connessi processi di costruzione e attribuzione di significati,
trova oggi un’ulteriore sorgente
di difficoltà nel fatto che l'apprendimento non viene più
mediato dall'esperienza diretta,
ma si avvale di una complessa e
spesso caotica mediazione simbolica [9]. Indicativa in tal senso
risulta la grande rivalutazione del
pensiero concreto rinvenibile nella rielaborazione teorica di
Papert, che pone l’accento sugli
aspetti non astratti del pensiero,
che la cultura dominante tende a
trascurare a favore di una presunta superiorità gerarchica del pensiero formale e astratto [10].
Alla luce di quanto descritto (e
considerato che il personale coinvolgimento degli insegnanti nell’esercizio professionale costituisce una condizione necessaria per
la ricaduta dell’azione formativa
in quella didattica) due elementi
assumono un ruolo determinante:
i) l’adozione di modelli di formazione degli insegnanti, sia iniziale
che di sviluppo professionale, che
integrino in modo contestualizzato aspetti disciplinari e metodologico–didattici; ii) la produzione di
materiali di riferimento capaci di
attivare il superamento dei nodi
concettuali in campo scientifico
[11]. Su entrambi i versanti possono risultare strategiche le nuove
tecnologie informatiche, offrendo nuovi obiettivi per l’apprendimento nell’attività in classe [12].
D’altronde, molteplici indagini sul
campo hanno messo in luce come
sia molto viva presso i docenti delle scuole di ogni ordine l’esigenza
di formazione sulla didattica
laboratoriale delle scienze [13],
nella consapevolezza dell’imprescindibilità dell’adozione nella
pratica didattica di un modello di
insegnamento che promuova nei
discenti il processo di connessione
dei principi e delle leggi astratte
al mondo reale, necessario per
avviare il passaggio dal senso
comune al pensiero formale [14].
È in questo contesto di riferimento che nel seguito descrivo un
esempio di percorso formativo
sulla didattica laboratoriale delle
discipline scientifiche destinato a
docenti della scuola primaria. Il
percorso proposto esprime la sintesi di due corsi di laboratorio
didattico che ho tenuto nell’a.a.
2010/2011 per i Corsi di Laurea in
Scienze della Formazione
Primaria delle Università della Basilicata (“Progettare
esperienze didattiche della
fisica”) e della Calabria
(“Modelli didattici per le
scienze sperimentali”). Il
contenuto e le impostazioni
di tali corsi sono stati ispirati, oltre che dal contesto di
ricerca didattica prima succintamente delineato, dalla
mia personale esperienza
maturata sia come formatore di insegnanti in varie istituzioni scolastiche delle due
Regioni meridionali, che da
quella diretta di docente
esperto esterno in corsi P.O.N. di
laboratorio matematico/scientifico in numerose classi della scuola
primaria e secondaria di primo
grado. Il percorso formativo,
basato sulla metodologia didattica PEC (Previsione – Esperimento –
Confronto) [15, 16] ed ispirato al
paradigma del PCK (Pedagogical
Content Knowledge) [17, 18], si
pone gli obiettivi di:
1) promuovere nei docenti corsisti
la competenza: “Saper progettare
un percorso didattico laboratoriale secondo la metodologia PEC,
implementando attività sperimentali realizzabili con materiali di
basso costo e facile reperibilità”;
2) consolidare le conoscenze
disciplinari relative ad alcune
tematiche individuate come
nodali dalla ricerca didattica
12
Luglio-Dicembre 2011
internazionale (fenomeni magnetici, fenomeni termici, rappresentazioni grafiche del moto);
3) Contestualizzare la competenza di cui al punto 1) attraverso la
produzione di materiali didattici
PEC relativi ai nodi concettuali di
cui al punto 2), impiegando direttamente gli stessi in una simulazione esperienziale dell’attività in
classe.
È appena il caso di ricordare che il
ciclo di apprendimento PEC, affermatosi anni fa in ambiente anglosassone e direttamente improntato ai canoni del Metodo
Scientifico, si articola in tre fasi
che si susseguono ciclicamente,
come qui di seguito specificato.
Previsione. In questa fase viene
richiesto agli studenti di formulare previsioni su quanto accadrà in
un esperimento inizialmente solo
descritto, basandosi sulla conoscenza pregressa e sulle proprie
idee intuitive.
Le previsioni possono essere individuali o di piccolo gruppo: in
questo ultimo caso, ispirato al
cooperative learning, i componenti del gruppo discutono le
ragioni delle loro previsioni individuali raggiungendo un accordo
su quella di gruppo. Questa prima
fase ha come obiettivo di stimolare negli studenti la formulazione
di idee intuitive e ragionamenti,
promuovendo l’articolazione di
conoscenze acquisite in precedenza, e rendendo in tal modo possibile l’emersione di eventuali conflitti tra conoscenza di senso
comune e conoscenza disciplina-
DIDATTICA
re. Le previsioni vengono sistematicamente annotate su apposite
schede-guida per essere poi utilizzate nelle fasi successive.
Esperimento. In questa seconda
fase al discente è richiesto di svolgere l’esperimento, analizzandone i risultati secondo le linee di
schede-guida appositamente predisposte. Il termine “esperimento” è da intendersi in senso lato,
potendo anche riferirsi, ad esempio, ad un’attività di modellizzazione del fenomeno proposto in
ambiente software. Anche in questo caso è opportuno che l’attività
di annotazione e di analisi dei
risultati dell’esperimento si svolga
in piccoli gruppi all’interno dei
quali venga negoziata la sintesi
delle osservazioni.
Confronto. In questa fase i discenti pongono a confronto gli esiti
delle precedenti due, soffermandosi sugli aspetti salienti dell’esperimento o
del modello
interpretativo impiegato
e su eventuali
carenze delle
spiegazioni.
L’obiettivo è
di promuovere nei discenti
la consapevolezza di somiglianze e differenze tra
aspettative e
constatazioni
sperimentali,
elaborando
L’ECO della scuola nuova
adeguate spiegazioni delle difformità osservate.
È importante sottolineare l’opportunità che il setting didattico
impiegato per il ciclo PEC preveda
lo svolgimento delle varie fasi in
piccoli gruppi, per far sì che lo
sforzo di negoziazione e condivisione di significati al loro interno
promuova nei discenti lo sviluppo
del pensiero argomentativo.
Tenendo conto delle fasi della
metodologia PEC descritte, appare evidente la centralità dell’obiettivo numero 3) sopra enunciato, cioè la produzione da parte
degli insegnanti in formazione di
materiali didattici (schede-guida)
specifici delle diverse tematiche e
del loro impiego nell’ambito della
attività svolta. In tal modo il percorso formativo del docente risulterà “esperienziale” (l’insegnante
esegue personalmente la stessa
attività che verrà proposta allo
studente) e “situato” (cioè basato
sull’apprendimento
dell’insegnante attraverso la riflessione
sulla sua pratica del lavoro in classe) [17].
Concludo con alcune indicazioni,
a titolo di esempio, di possibili
contenuti disciplinari delle attività formative sui quali contestualizzare lo sviluppo della competenza enunciata al precedente
punto 1):
a) Fenomeni magnetici.
Esplorazione del comportamento
magnetico dei diversi materiali
rinvenibili nella vita quotidiana,
facendo uso di magneti ottenuti
dai noti kit di costruzioni di tipo
“Geomag”, reperibili in qualunque negozio di giocattoli.
Esplorazione semi-quantitativa
delle proprietà dello spazio circostante un magnete “Geomag”
13
Luglio-Dicembre 2011
mediante una piccola bussola-giocattolo. Visualizzazione delle proprietà dello spazio circostante un
magnete “Geomag” mediante
l’impiego della comune “lana
d’acciaio” da cucina.
b) Fenomeni termici. Esperimenti
sulla “sensazione termica”, volti a
mettere in evidenza il carattere
non oggettivo dei termini “caldo”
e “freddo”. Esplorazione semiquantitativa di esempi di approccio all’equilibrio termico, mediante l’impiego dei sensori noti come
“termocrono” collegati ad un
comune personal computer.
c) Proprietà di tensione superficiale dell’acqua. Esperimenti volti
ad evidenziare come un piccolo
volume di acqua si comporti come
se fosse avvolto in una “pellicola”
costituita dall’acqua stessa e come
questa sia influenzata dalla presenza di sostanze cosiddette
“tensioattive” (sapone e simili).
Esperimenti con acqua saponata
volti ad evidenziare il comportamento elastico delle “pellicole di
acqua”.
Fornisco, infine, la bibliografia
essenziale sugli argomenti trattati, la cui consultazione è guidata
dalle citazioni rinvenibili nel
testo.
NOTE:
[1] Michelini M. (2004) Intervento in
occasione al Convegno “Educazione
Scientifica e Ricerca Didattica” –
Matera 7 ottobre 2004. Atti pubblicati dall’IRRE Basilicata “Le Giornate
della Scienza”.
[2] Stathopoulou C. and Vosniadou
S. (2007) “Exploring the Relationship
between Physics Related Epistemological Beliefs and Physics Understanding”, Journal of Educational
Psychology.
[3] Brewer W. F., Chinn C. A. and
Samarapungavan
A.
(2000)
“Explanation in scientists and children”, In Keil F. C. and Wilson R. A.
Cambridge, The MIT Press.
[4] Pfundt H., Duit R. (1993)
“Bibliography: students' alternative
DIDATTICA
frameworks and science education”,
2nd ed., Educational Resources
Information Center, University of Kiel.
[5] Jonassen
D.
H.
(1991)
“Objectivism versus constructivism:
do we need a new philosophical paradigm?”, Educational Technology
Research and Development.
[6] Ausbel D. P. (1968) Educational
psychology: a cognitive view, New
York, Holt, Rinehart and Winston.
[7] Bednar A. K., Cunningam D.,
Duffy T. M., Perry J. D. (1991) “Theory
into practice. How do we link?”, in
Instructional technology. Past, present and future, Angelin J.C. (Ed.),
Englewood, Colorado, Libraries
Unlimited.
[8] Michelini M. (2007) “Educazione
scientifica ed approcci di ricerca in
didattica della fisica. Seminario di studi Cultura Scientifica e Ricerca
Didattica. Reggio Emilia: Unità di
Ricerca in Didattica della Fisica.
[9] Santi M. (1995) Ragionare con il
discorso. Il pensiero argomentativo
nelle discussioni in classe, La Nuova
Italia, Firenze.
[10] Papert S. (1993) The children's
machine. Rethinking school in the
age of the computer, New York, Basic
Books - Harper Collins.
[11] McGilley
K.
(Ed.)
(1995)
Classroom lessons: Integrating cognitive theory and classroom practice,
Cambridge, MA: MIT Press.
[12] Michelini
M.,
Santi
L.,
Sperandeo-Mineo R. M. (2002)
Proposte didattiche su forze e movi-
L’ECO della scuola nuova
mento: le tecnologie informatiche nel
superamento di nodi concettuali in
fisica, Udine, Forum Editrice.
[13] Bonanno A., Bozzo G., Camarca
M., Michelini M., Sapia P. (2012)
“FREE IDEAS: Results from an innovative project for teacher development
in Calabria (Italy)”, Proceedings of
the GIREP-EPEC 2011 Conference,
Jyväskylä, Finland.
[14] McDermott L. C. (1990) “A perspective on teacher preparation in
physics and other sciences: The need
for special science courses for theachers” Am. J. Phys., 58(8).
[15] Michelini M., Stefanel A. (2010)
“Prospective primary school teachers
and physics Pedagogical Content
Knowledge”, Proceedings of the.
[16] Pardhan H., Wheeler A. E. (1998)
“Enhancing Science Teachers' Learning through Pedagogical Content
Knowledge”, Science Education International.
[17] Michelini M., Sartori C. (1998)
“Esperienze di laboratorio didattico
in una struttura di raccordo scuolauniversità”, Università e Scuola.
*Sezione FNISM di Cosenza.
Gruppo di Ricerca in Didattica
e Storia della Fisica,
Università della Calabria.
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14
TESTIMONIANZE
Luglio-Dicembre 2011
L’ECO della scuola nuova
La scuola dell’obbligo in provincia di Napoli
una frontiera per progredire
Intervista di Elio Notarbartolo alla
dott.ssa Giovanna Mugione
D.S. dell’Istituto Comprensivo “Europa Unita”.
Dopo il Parco Verde di Caivano, siamo andati a visitare le Salicelle di Afragola.
A Caivano “i deportati” da Napoli (quelli che avevano perso la casa con il terremoto dell’80 e che in 30 anni
non si sono integrati nel nuovo territorio, dove hanno portato violenza e illegalità); ad Afragola, un quartiere degradato di persone poste ai margini della società da povertà e ignoranza.
Due situazioni diverse ma due problemi uguali della scuola pubblica: quello di integrare ragazzi e genitori nella società della legalità, della solidarietà, quanto meno della socializzazione, per farli uscire dalla marginalizzazione ed aprire alle nuove generazioni un futuro di speranza.
Un lavoro difficile, il più delle volte incompreso dalla società cosiddetta “civile”, sottovalutato dal qualunquismo borghese e comunque sottopagato dallo Stato, che costituisce, invece, una barriera al degrado e una
testa di ariete per conquistare territori, spazi e risorse umane a un Paese che fa dell’indifferenza verso il lavoro scolastico un suo punto fermo ottuso e agnostico.
Alle Salicelle è ubicato l’Istituto Comprensivo “Europa Unita”.
Le Salicelle è uno dei quartieri più poveri di Afragola, un grosso centro a 10 km da Napoli.
Abbiamo parlato con qualche genitore e qualche insegnante e poi abbiamo incontrato la preside dott.ssa
Giovanna Mugione che dirige la scuola da 4 anni.
D. “Quali difficoltà state incontrando in questa particolare condizione socio-ambientale?”
R. “Come tutte le scuole di fron-
tiera, la situazione è complessa ma
abbiamo l’orgoglio di aver stabilito un rapporto più che familiare
con il territorio, puntando a sottolineare che la scuola è una solida
risorsa dell’intero quartiere. Le
Salicelle non è il quartiere migliore di Afragola ma i miei ragazzi
stanno dando prova di essere bravi, capaci e coscienti di sé.
C’è qualche pregiudizio discriminatorio, basato sul censo, più che
altro, che tende a confondere la
scuola con il quartiere, ma i miei
professori e, insieme a loro io, siamo orgogliosi di essere parte viva
della scuola pubblica italiana. Ci
stiamo dedicando a rendere “bella” ed accogliente la nostra sede,
al pari e più di tante altre scuole.
Il nostro impegno sta registrando
un buon apprezzamento ad
Afragola, tanto che le iscrizioni
sono aumentate e si stanno iscrivendo anche alunni provenienti
da altre zone di Afragola.”
D. “Avete preso iniziative per
coinvolgere i genitori?”
R “Mi date l’occasione per elogiare tutti quei docenti di questa
scuola che dimostrano il loro
amore per il lavoro che svolgono:
valorizzano l’Istituto e creano
unione e rapporto con la popolazione.
Questa è una delle ragioni che mi
ha convinto a rimanere in questa
scuola. Anche Pino Aprile, nel suo
ultimo libro “Giù al Sud”, ha voluto menzionare la scuola delle
Salicelle e l’impegno di tutto il
personale, da quello non docente,
ai docenti e, mi sia concesso, alla
preside qui presente”
R.
“Che iniziative parascolastiche ed extrascolastiche avete proposto ad allievi e famiglie?”
R Beh, un po’ di sport, rugby, danza, yoga, scacchi…e poi ceramica
e teatro sono sempre attivi.
Insomma tutti hanno la possibilità
di esprimersi al meglio.
Molte attività sono affidate al
volontariato.
Con la Croce Rossa Italiana abbiamo potuto realizzare il progetto
“Dona un sorriso” con spettacoli
teatrali e musicali.
È arrivato anche Babbo Natale…
Siamo riusciti ad allestire un palco, di recente, e i ragazzi hanno
potuto esibirsi in piccole drammatizzazioni con grande piacere
anche dei familiari dei ragazzi.”
D. E il rapporto con il resto del
Paese?
R. Beh, abbiamo voluto far familiarizzare i nostri allievi con quelli
della scuola media Mozzillo, che è
quella che, per censo e per tradi-
zione, è considerata tra le migliori scuole di Afragola.
I nostri allievi si sono saputi sentire all’altezza degli altri.
Qualcuno confonde censo ed efficienza, scarsezza di mezzi materiali con scarsezza di mezzi spirituali: non è così!”
D. In che occasione avete proposto questa iniziativa di socializzazione?
R.
E’ stato il “bel concerto di
Natale”in cui non solo gli alunni,
15
Luglio-Dicembre 2011
ma anche i genitori delle due
scuole hanno socializzato.
E’ stata un’ulteriore ragione di
orgoglio: pensare questa iniziativa, collaborare a realizzarla e
gioire del suo successo.
E’ proprio una grande soddisfazione cogliere nei genitori, invitati per esempio ai PON, la meraviglia di avere uno psicologo a disposizione con cui discutere i loro
problemi di genitori.
Mi ha detto una di loro: -E’ stata
l’esperienza più bella della mia
vita-.”
D.
Quali altre iniziative avete
preso per promuovere il rapporto
scuola-famiglia?
R. Posso citare la visita scolastica
alle Fosse Ardiatine.
Al ritorno da Roma ho visto famiglie al completo, sedersi a tavola
per discutere di quello che avevano visto e provato.
Voglio ricordare anche il progetto “Una chance per Afragola”,
che ci ha permesso di recuperare
alla scuola tanti bambini che l’avevano abbandonata.
E poi, “Scuole aperte” e “Scuolaambiente” per aprire l’Istituto ai
grandi. Anche il progetto di
approfondimento della didattica,
Albert Nobbs
Regia: Rodrigo García
Cast: Glenn Close,
Mia Wasikowska, Aaron Johnson
GB 2011
Tratto dall'omonimo racconto dello
scrittore irlandese George Moore, il
film è incentrato sulla figura di un
maggiordomo, Albert Nobbs, timido e
introverso, con un attaccamento che
non ammette distrazioni sul lavoro e
una cura maniacale per i particolari.
In realtà Albert è una donna, figlia illegittima che non ha mai conosciuto i
suoi genitori e che, nell'Irlanda del XIX
secolo, per sopravvivere ha assunto
un’identità maschile che le permette di
lavorare. Albert ha un solo assillo:
risparmiare ogni penny, che ripone
accuratamente sotto una mattonella
della sua camera, per accumulare la
cifra con cui potrà avviare un’attività
commerciale con una tabaccheria.
La tranquillità della vita di Albert viene
sconvolta quando arriva in albergo un
robusto imbianchino per tinteggiare le
pareti, viene alloggiato nella stessa
stanza di Nobbs e scopre che Nobbs è
una donna. Ma anche l’imbianchino è
una donna che, rimasta vedova, ha
assunto l'identità del marito per ricostruire una vita che il marito violento e
TESTIMONIANZE
L’ECO della scuola nuova
sulla base della visione scolastica
di don Milani ha creato interesse
tra docenti e genitori”
alunni, qui ad Afragola, con la
scrittrice Cinzia Toni con il suo
libro “La mela”
D. E’ sempre forte l’influenza di
don Milani?
R. La scuola nasce per i ragazzi e
deve interessarsi principalmente
dei ragazzi, come diceva don
Milani… perciò oltre a tante cose,
teniamo aperti i laboratori di
ceramica e pittura.
Se solo il Governo volesse tener
conto di tante iniziative che, su un
territorio come il nostro, sono
vere e proprie necessità. Ci vuole
determinazione e forza d’animo
per portare innanzi il nostro lavoro. Metodi tradizionali e metodi
innovativi… la scuola la fa il
docente ed è importante che lo
Stato punti tantissimo sulla formazione e sull’aggiornamento
dei docenti. È vero, abbiamo alunni difficili e insofferenti del lavoro
d’aula ma abbiamo insegnanti di
prim’ordine.
Tanto che tanti allievi partecipano
addirittura ai concorsi letterari, ai
giochi matematici della Bocconi e
realizzano anche buoni punteggi.
Stiamo promovendo anche l’amore per la lettura e abbiamo avuto
il piacere di far incontrare gli
D.
prepotente aveva avvilito e nella sua
nuova identità maschile si è anche
costruita una nuova famiglia, naturalmente con una compagna.
Tra Nobbs e l’imbianchino nasce un’amicizia che fa intravedere ad Albert
qualche prospettiva per uscire dalla
solitudine. E sarà proprio l’amore a far
saltare tutti gli schemi.
Anche Hobbs scopre di desiderare
intensamente una famiglia e si innamora di una giovane cameriera
dell’Hotel, ma le cose si complicano
quando questa cade nell’infatuazione
per un classico “poco di buono” e ne
resta incinta. La vicenda si avvia a una
conclusione dove amore e morte si
incaricano di comporre una nuova realtà in cui i personaggi si collocano in un
loro equilibrio seppure provvisorio,
come in tutte le vicende della vita.
La vicenda si svolge in una Dublino del
diciannovesimo secolo intrisa di miseria, di povertà e di pregiudizi e le cose
peggiorano ulteriormente quando si
diffonde un'epidemia di febbre tifoidea.
La crisi investe anche i ricchi clienti del
Morrison's Hotel, dove lavora Albert,
che possono contare su un ambiente
curato, carezzevole, che si piega compiacente alle loro esigenze. E al
Morrison torneranno tutti, dopo una
fuga per il timore di contagio, non
appena le cose tornano alla normalità.
Una recitazione contenuta e accurata
rende credibile questo personaggio
che l’attrice Glenn Close, con l’apparente immobilità delle espressioni, rende capace di comunicare stati d’animo
sottili e mutevoli, con una pluralità di
sentimenti che si contrastano in un
rimescolamento di identità dove un
tocco di gentilezza femminile non viene mai lasciata da parte.
Colpiscono in particolare alcune scene,
come il senso di liberazione che traspare da una corsa sulla spiaggia finalmente in abiti femminili, il desiderio di
famiglia che anima un interno modesto guardato da Albert da fuori dalla
finestra con il rammarico di non aver
mai avuto nulla di simile, il tenace rifiuto della violenza e della sopraffazione
come modello di relazioni, il bisogno di
amicizia per non sentirsi troppo soli
anche nella trappola di una finzione, il
vuoto che si determina una volta che lo
specchio dell’identità, anche se falsa, si
è infranto.
Nel film troviamo un modo di affrontare i temi dell’identità di genere e delle
sue componenti sociali in maniera delicata, leggera e anche divertente per gli
equivoci e le incomprensioni che ne
derivano.
Mi voglio complimentare con
il suo corpo docente per tutto
quello che ho sentito qui e per
quello che ho sentito fuori di
qui”.
R.
Sono orgogliosa e felice di
dirigere questa scuola e mi fa piacere sentire da un esterno che ci
sono tanti genitori che parlano
bene
degli
insegnanti
e
dell’Istituto che dirigo.
Abbiamo bisogno dei loro complimenti: ci danno forza.
Certo ogni giorno riscontriamo
tante nostre insufficienze. Sono
nei che si verificano contro ogni
nostra volontà.
Ingigantirli però non è fare un
buon servizio né alla scuola né ad
Afragola, né all’intero Paese.
Lavoriamo con solerzia e semplicità e, se la gente ci dona un sorriso, beh, questa è una grande
ricompensa, una grande soddisfazione per me e per tutti gli insegnanti.”
iI
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Luglio-Dicembre 2011
STORIA E MEMORIA
L’ECO della scuola nuova
Silvio Pellico
1789 - 1854
Di Alessandro Casavola
ALL’ALBA DEL RISORGIMENTO,
MA È UN’ALTRA STORIA...
La storia che racconterò, dopo
quelle che ho già raccontato in
questa rivista, dell’Italia che stava
nascendo, è diversa... Silvio Pellico
non è un politico né un combattente ma solo un uomo di cultura,
che si preoccupa perché l’Italia
acquisti coscienza di sé, entrando
nel concerto dei paesi europei, e
cessi di essere solo una espressione geografica... E per fare questo
darà vita con altri ad un giornale,
in Milano, “Il Conciliatore” per un
anno dal 1818 al 1819. Azzurro il
colore delle pagine, forse un
augurio? Ma “Conciliatore” perché? Perché nonostante la diversità delle firme e dei contenuti aveva una linea che trovava un pò
tutti d’accordo, oggi si direbbe
una linea redazionale...
Finanziatori furono il conte Porro
di Lampertengo e Federico
Confalonieri. Tra i collaboratori il
Berchet (†1851) il Gioia (†1829), il
Romagnosi (†1835), Ludovico di
Breme (†1820) e tanti altri. La
Stael doveva essere la maggiore
corrispondente dall’estero, ma
scomparsa, sarà tradotta e citata
come l’ispiratrice romantica della
redazione.
Dove la parole “romantico” assumerà il significato di liberale,
come “classicista” quello di passatista, più ancora... di reazionario.
PIÙ INFORMAZIONI, PIÙ VOGLIA
DI LIBERTÀ...
L’Italia doveva prendere coscienza
di sé, si è detto più sopra e questo
poteva realizzarsi spingendo gli
italiani alla lettura... Non era una
tesi risibile ma da prendersi sul
serio... come riuscirvi? Occorreva
“agitare le opinioni, far discutere
ora dicendo verità, ora paradossi”
questa era una convinzione del
Pellico, che lo portava ad affrontare spesso gli argomenti da più
punti di vista, perché coinvolgessero sempre i lettori...
Il giornale, scritto bene, piacque a
tanti, anche alle donne (era questa una novità assoluta!) un even-
to colossale a Milano, città da
sempre più sveglia, discreto in
Piemonte, promettente a Brescia,
a Venezia passò quasi inosservato,
oh! la distrazione carnevalesca
quasi quotidiana dei veneziani!
Sicché agli analisti del giornale
sembrò che il “nazionalizzamento” si allontanasse nel tempo, ma
non si disperava che un giorno ciò
avvenisse...
LA CENSURA
La Censura austriaca, però, era
ricorsa ai ripari. Faceva il suo
mestiere. Che posso dire: se si parlava dell’Alfieri non gradiva che si
sottolineasse troppo il conflitto
che quell’autore vedeva tra sudditi e governanti, trattati da tiranni.
Se si parlava di attualità non gradiva che si dicesse che gli italiani
emigrassero negli Stati Uniti
d’America per trovare non solo
fortuna, ma una società più liberale. Gli articoli erano qua e là
censurati, sicché Pellico cominciò
a pubblicarli egualmente, evidenziandone gli spazi vuoti, cosa che
suscitò nei lettori uno sdegno
corale... La censura contrattaccò
pensando che le Società segrete,
anch’esse desiderose di novità,
suggerissero ai giornali gesti eversivi... La Censura non capiva che
sarebbe stato opportuno sapere
di che cosa fossero scontenti gli
italiani. Era quanto in apparenza
sembrava pensare il governatore
del Lombardo-Veneto il conte di
Strassoldo, ma sappiamo che finiva con l’essere il pavido portavoce
dell’amministrazione austriaca...
Sentiamo cosa ebbe a dire, con un
filo di coraggio, nel luglio del
1820 al principe di Metternich: “i
nostri possedimenti in Italia sono
garantiti, in questo momento,
solo dalla forza fisica in quanto la
forza morale ci manca assolutamente...”. In altre parole gli italiani non collaboravano perché non
volevano essere trattati come
popoli di periferia, alla stregua
dei tedeschi, dei bavari, dei galiziani... (così in Spini: documenti
dell’Italia moderna). Per tutta
risposta nell’agosto del 1820
l’Austria varava un provvedimen-
to abnorme: la pena di morte per
tutti coloro che si fossero iscritti
ad una di queste società segrete...
Pellico, per le continue intimidazioni, decideva con tutta la redazione di non dare più seguito al
giornale. Nel gennaio del 1820 si
era però accostato, per sua disgrazia, ad una di queste società, non
sappiamo con quale ruolo... Fatto
sta che il 13 ottobre, sulla base di
una lettera trovata addosso al
Maroncelli suo amico, veniva arrestato... Dirà nelle sue memorie
“Le mie Prigioni” che pubblicherà
nel 1832: “mi fu fatto un lungo
interrogatorio per tutto quel
giorno e per altri ancora. Ma di
ciò non dirò nulla, simile ad un
amante maltrattato dalla sua bella e dignitosamente risoluto a
tenerle broncio...”.
PELLICO CONDANNATO A MORTE
Per la legge vigente fu condannato a morte, però la sentenza fu
subito commutata in 15 anni di
carcere duro, da scontarsi in
Moravia nello Spielberg, un diroccato castello non lontano da
Br¨unn, capitale della regione, che
doveva rivelarsi un luogo di orrore... Ma subito dopo la condanna,
che secondo l’umiliante rituale, fu
anche letta in presenza di cittadini, richiamati dall’evento, fu
ristretto nella prigione della polizia milanese di Santa Margherita
e poi in quella dei Piombi a
Venezia. Il trattamento era ancora sopportabile. Cominciò ad avere il sospetto che così non sarebbe
17
Luglio-Dicembre 2011
più stato quando lui e gli altri,
destinati allo Spielberg, furono
fatti salire su carrozze con un polso legato con una catena alla caviglia opposta...
L’ORRORE DELLO SPIELBERG
La commutazione della pena sembra sul principio dovuta alla generosità dell’imperatore, in quel
tempo Francesco I (1768-1835). In
questa interpretazione può cadere il lettore... Ma l’attenzione
dell’Imperatore alla vita dei reclusi si traduce in minuziose crudeltà... Sarà, infatti, lui a decidere se
la malattia e quale malattia
potesse esonerare l’allaccio della
catena, una volta finiti in cella,
alle due caviglie... Se dormire sul
tavolaccio o sul pagliericcio. Se
avere, di notte, la tenebra assoluta o il chiarore di una torcia,
appesa però all’esterno della porta, accanto allo spioncino... Se
avere un libro in prestito... Se abitare nella cella per anni da soli o
avere un compagno... Alla fine
sembrò opportuno che i prigionieri di Stato, i più tormentati,
avessero un compagno per reciproca assistenza... E Silvio avrà
così il Maroncelli, che seppe stargli vicino con discrezione, perché
riusciva a capire quando dialogare, quando tacere, pregare. Un
brutto giorno cominciò a trascinare una gamba, una tumefascenza
al ginocchio rivelò nascondere un
tumore. Si chiede all’Imperatore ,
cioè a Vienna, cosa fare come era
consuetudine per tutto ciò che
riguardasse la vita dei detenuti...
L’indicazione arriverà in ritardo,
ma l’esito dell’intervento non sarà
pregiudicato. Ma ha dell’incredibile l’amputazione della gamba
condotta da un barbiere-cerusico,
che normalmente operava nella
prigione...
UN INTERVENTO CHIRURGICO
NELLA CELLA DEL CARCERE
Con un coltello costui distaccò le
carni dall’osso, poi con una lama
più grossa resesò alla meno peggio il femore... inondando di sangue il pavimento della cella... Per
legare le arterie gli sarebbe stato
necessario un aiuto: ma il giovane
medico lì presente, dell’Università
di Vienna, era stato comandato
solo a sorvegliare e non anche ad
intervenire... E questo per volontà
STORIA E MEMORIA
dell’Imperatore!
Il Pellico nel raccontare l’avvenimento non comunica al lettore la
sorpresa che pensiamo dovette
avere, nel constatare l’assurdo
protocollo. Si limita solo a notare
che non si era provveduto, prima
di iniziare l’intervento, ad avere
sottomano tela incerata, ghiaccio,
bende che arriveranno solo dopo
due ore... Il femore non si riuscì a
pareggiarlo all’arto operato, perché fuoriusciva... Ma con l’aiuto di
Dio, il poverino si riprendeva
dopo circa due mesi. Le stampelle,
ma quali stampelle!... lo accompagneranno per tutta la vita. Poi
ebbe altre vicissitudini, lo diciamo
per inciso, scarcerato emigrerà in
America. Si sposerà ma morirà per
pazzia New-Yok nel 1846.
La riconoscenza per il chirurgobarbiere il Maroncelli la manifestò con il dono di una rosa... che
avvizziva sul davanzale della finestrella della cella. Questo episodio
un pò tutti lo ricordano, perché
presente nelle antologie scolastiche della nostra adolescenza!...
La riconoscenza del Pellico per la
dolce convivenza con l’amico, il
lettore la coglie nell’assistenza
che lui gli fece durante l’intervento: lui bassetto di statura, denutrito tirò fuori una forza che non gli
si sarebbe mai riconosciuta... cingendolo alle spalle con le sue
braccia perché non si muovesse
per gli spasimi... Lo si è certamente capito: l’intervento non si
avvalse di soluzioni anestetiche,
né di una ingestione di alcool
come allora pure si faceva...
IN CARCERE UNA FEDE PIÙ FORTE
Pellico, in quel momento, dovette
pregare intensamente per l’amico
sfortunato, perché nel carcere
dell’orrore aveva finalmente
ritrovato la fede o meglio aveva
cominciato a sentirla con immediatezza. Prima l’aveva puntellata
con argomentazioni filosofeg-
L’ECO della scuola nuova
gianti. Trascrivo da una lettera
inviata al fratello Luigi, con cui si
apriva più che con l’altro,
Francesco, negli anni precedenti
alle sue disavventure, nel febbraio del 1817: “So bene che questa carta su cui scrivo, e questa
penna e questa mano e questo
mio corpo saranno tra breve in
polvere e questa polvere scomparirà in atomi infinitesimi o nulli e
desumo che illusorio sia del pari
tutta questa macchina dell’universo... mentre di due sole cose
nondimeno ho certezza: di esistere e di essere soggetto ad una legge universale, infinitamente superiore alla mia volontà: Kant mi
convince perché è il più semplice
dei metafisici o egli ha indovinato
il segreto della Natura... Ad ogni
modo, dacché non impazzisco più
nelle distinzioni di materia e spirito, di tempo e di eternità Iddio mi
è meno incomprensibile, e sento
che d’ora innanzi non vivrò più
senza di lui...”.
Ma nella stessa lettera ci sono
anche annotazioni di una mentalità religiosamente laica, o ancora
molto laica: “tutte le religioni
positive sono raggi debolissimi di
quella luce che solo il filosofo può
lusingarsi di scoprire...”.
In una lettera precedente, del
1816, si era preoccupato, lui che
pur proveniva da una famiglia
dove il livello di religiosità diventava febbrile per la personalità
semplice ma forte della madre, si
era addirittura preoccupato della
scelta dello stato sacerdotale del
fratello minore, Francesco con
queste argomentazioni: “oggi le
passioni, i libri il progresso irrepressibile della ragione sociale lo
rendono quasi sempre impossibile...”. Cioè a dire che la cultura, il
costume potevano avere spinte
distraenti o contrarie o sospettava
nella scelta del fratello una qualche mistica esaltazione? Fraterna
in ogni caso la sua preoccupazione: quanti sacerdoti aveva conosciuto che avevano finito col condurre una vita “criminale”... è
questo il termine che usa...
Ma sentiamo cos’altro aggiunge:
“Comunque succeda, io lo compiango, tanto più che l’attuale follia annuncia una tinta melanconica che gli resterà per sempre...”.
Ma Silvio si rendeva conto che la
melanconia, forse per ragioni
diverse albergava già in lui? In
una lettera ne intravvede una
18
Luglio-Dicembre 2011
radice nelle farneticazioni morali
o moralistiche di lui fanciullo,
“per tempo, confessa, presi a
meditare (o a fantasticare?) sui
delitti (forse voleva dire su repugnanti peccati?) e sulle virtù,
quando a 18 anni i giovani entrano veramente nella vita morale,
io venni preso da melanconia al
punto da desiderare la morte...”.
Certo in qualche modo si era adoperato per ridurre gli esiti di quella crisi adolescenziale o pre-adolescenziale... Ma come? “come chi
sapendo di essere condannato (a
vivere una vita non facile, aggiungiamo noi...) aspirerà più che può
il profumo di una rosa”.
Ma certamente aveva dovuto contenere nel suo cuore la veemenza
delle passioni, soprattutto di
quelle amorose...
UNA FEDE FORTE È COSA BUONA
-MA RIVOLTA SOLO ALLA ESPIAZIONE?
L’esperienza della prigione fa
nascere in Silvio Pellico, che si è
mosso dentro una famiglia molto
devota, anche formalmente devota..., la volontà di tutto sopportare per essere da Dio perdonato
per momenti di vita o per argomentazioni non sempre allineati
alla dottrina cristiana... E questo
può disturbare un pò il lettore.
Non dice forse il Salmo 102: “Egli
non continua a contestare e non
conserva per sempre il suo sdegno?”.
In carcere si avvicinò frequentemente al sacramento della confessione, come forse non aveva fatto
in precedenza. L’accesso dei preti
STORIA E MEMORIA
in cella non era negato, e questo
serviva all’Imperatore per recuparare un immaginario più umano,
starei per dire più “cattolico”... In
confessione, si accusò di reagire
alle misure carcerarie che gli sembravano dirette solo ad irritare o
a demolire la psicologia dei prigionieri... E si sentì rispondere da
un sapiente sacerdote che ci sono
situazioni a cui si deve assolutamente reagire ed altre che si
devono accettare...
CON LA FEDE OCCHI NUOVI
L’angelicazione lo aiuterà a scorgere qualcosa di buono nel comportamento degli altri, che a volte è nascosto per via delle circostanze o del ruolo che si svolge...
Un giorno dopo aver sudato per
la febbre, chiede al vecchio carceriere Schiller di portagli una
maglia personale, che dovrebbe
trovarsi in un baule che si è portato dietro, entrando in carcere.
Pensa, quasi, di stare in pensione?
Da Schiller gli arriva una rispostaccia urlata “di personale non c’è
più nulla, ci si deve servire solo
degli indumenti della casa... una
maglia ogni tanto e basta”. Ma a
quel poveretto febbricitante,
inondato di sudore lui porta una
maglia sua lunghissima, perché il
vecchio è gigantesco.
NEL CARCERE VECCHIE E NUOVE
PATOLOGIE
Frequenti nel carcere furono le
crisi respiratorie, aggravamento
di una vecchia patologia, che
faranno temere ai medici l’insorgere dela tisi. Ma così non sarà.
Alla crisi, finché è in cella senza
l’ora d’aria, non si sa come provvedere se non invitandolo a bere
acqua con essenze, ma inutilmente perché erano così intense e
continue per cui non riusciva a
bere...
A riprova di quanto detto più
sopra circa la recidività dei suoi
mali respiratori è utile questo brano di lettera al fratello Luigi il 31
maggio 1820: “al diavolo la
malinconia e le scellerate convulsioni che mi hanno fatto molta
paura in casa...”. Contrarrà invece
in prigione lo scorbuto, che è una
malattia provocata dalla assenza
nel vitto della vitamina C. Se la
vitamina C è contenuta nella verdura e nella frutta, queste erano
L’ECO della scuola nuova
quasi del tutto assenti nel vitto
quotidiano. Lo scorbuto in età
adulta si manifesta con perdita di
peso e Pellico quando uscirà di
prigione nel 1830, dopo 10 anni,
apparirà come uno scheletro
ambulante... La perdita di peso si
accompagna, poi, all’apatia: di
grande merito fu allora lo sforzo
che fece, unitamente ad altri
reclusi, di parlarsi alle finestre
anche sottovoce, di scrivere qualcosa su carta o incidendo sul tavolaccio, di recitare versi estemporanei: questo fu l’esercizio che
Pellico e Maroncelli presero a praticare...
Altri malesseri legati alla avitaminosi: la febbre intermittente, il
colorito azzurrognolo del viso... il
deliquio: con sospensione delle
attività muscolari, oscuramento
della vista e poi crollo per terra.
Le cause, corrispondenti alla
situazione carceraria, potevano
essere il prolungato digiuno, vermi nell’intestino, permanenza in
luoghi con aria viziata...
SILVIO PELLICO HA GESTITO LIBERAMENTE LA SUA VITA?
Pellico ad oltre 30 non aveva una
vita personale, protraendo, di
necessità nel tempo la condizione
filiale, a volte con affanno...
Avrebbe voluto seguire il Foscolo
che se n’era andato in volontario
esilio in Inghilterra ma non lo aveva potuto “per i doveri di figlio
che mi fanno schiavo” E lui non
può maledire la sua schiavitù,
dopo essere costato “amarissime
pene ai suoi genitori”. C’è qui un
accenno alla paralisi infantile alle
gambe, superata soprattutto grazie all’assistenza continua ed
amorosa della madre. E quando
ad avere bisogno sono i genitori,
divenuti “canuti” senza essere
vecchi, per un dissesto economico
(traevano sostentamento da un
modesto esercizio commerciale)
non li aveva trascurati, li aveva
aiutati finanziariamente con i
suoi modesti compensi di insegnante e di istitutore, anche perché i due fratelli minori e le due
sorelle nulla fanno o sanno fare
per loro...
COLTO, NON FORTUNATO CON LE
DONNE, FISICAMENTE ERA COSÌ...
Ma fisicamente com’era Silvio
Pellico? Aveva una faccia a mò di
19
Luglio-Dicembre 2011
castagna, cioè larga alle tempie
affinantesi al mento, una altezza
che lo aveva fatto inidoneo come
soldato (è lui che lo dice) le gambe gracili (il perché lo abbiamo
accennato) poco facondia... In
compenso intelligente, portato a
scrivere in uno stile coinvolgente.
In ascolto sempre, con quegli
occhi spalancati, che sembravano
spiritati, nei confronti dell’interlocutore... Con gli amici gentile,
capace però di qualche impuntatura di fierezza o di orgoglio, se si
vuole... Con le ragazze non fortunato. Si può pensare che a metterlo fuori giuoco siano soprattutto le doti fisiche, ma c’è dell’altro,
e lui ha la coraggiosa franchezza
di dirlo: non è costante nelle affezioni, tiene in definitiva molto alla sua libertà...
“HO GODUTO I PIACERI PIÙ
PURI”
Questo non vuol dire che mai
si fosse concesso un incontro
femminile, o meglio non fosse stato all’altezza di fare
compagnia ad una giovane
donna... Sentiamo quanto
scrive in una lettera nell’agosto 1819: “non già che io sia
sempre stato un infelice. Ho
goduto i piaceri più puri, ho
vegetato con allegria, ho visitato le spiagge ridenti di questo lago, salite tutte le più
poetiche rupi, servito di sostegno ad una compagna di 20
anni, bella, d’animo sublime,
d’un cuore tutta schiettezza e
soavi sentimenti, ho remato
al suo fianco... noi due soli in
barca, obliando la tirannia
degli usi cittadineschi e la malignità e la maldicenza e tutto...
fuorché il pudore, virtù o pregiudizio che sia, santissimo comunque”.
Qui Silvio Pellico sembra psicologicamente capace di affrontare
un incontro femminile, come può
capitare occasionalmente nella
vita, ma senza prospettive sponsali...
MA ALTRE EMOZIONI LO ATTENDONO...
Scrivendo al suo caro amico
Ludovico di Breme, gli chiede
quale sia il contenuto di una
novella che ha scritto, dove protagoniste sono delle contadinelle,
STORIA E MEMORIA
invitandolo a non metterci troppa
lascivia, quella ariostesca per
intenderci... “v’è anche un lascivo
che mi piace, ma...”.
Tutto questo mi spinge a ricordare le emozioni di sfumata sensualità che svela nelle Memorie...
come le voci giocose e gridate di
ragazze, che pure lui non riesce a
vedere... Perché esse sono al di là
del muro della prigione, muro che
lo separa dal mondo!
In carcere è emozionato dalla
voce di una detenuta comune, al
di là, addirittura, della parete della cella. Questo gli capiterà nei
Piombi di Venezia. Si chiama
Maddalena, l’ha distinta dalle
altre, è forse migliore delle altre...
Un giorno sta per sillabare il suo
nome, per poi parlarle e conoscerla meglio, ma non ci riesce... Dice:
Ma... Ma... e termina la frase con:
matto! termine che rivolge a se
stesso: io sono un matto...
Con la Zanze, sempre nei Piombi a
Venezia, le emozioni sono più forti perché una ragazza che si chiama così, una 15enne figlia del carceriere, quasi lo frequenta nella
cella... portandogli il caffé al mattino, conversando, chiedendogli
consiglio su personali problemucci sentimentali, aiutandolo infine
ad uscire da una solitudine che lei,
lo vede chiaramente, lo sta alterando... Con la Zanze, acutamente osserva il commentatore del
testo da cui ho attinto per questo
articolo, Maio Stefanoni (le mie
L’ECO della scuola nuova
Prigioni - le lettere milanesi 18151821 - ed. Club del Libro, Novara)
Silvio Pellico scivola in uno stato
d’animo che lo surriscalda un pò...
La Zanze che un giorno lo aveva
sfiorato civettuosamente col ventaglio per cacciare le zanzare, che
poi gli stringe fortemente le
mani, mentre libera dal suo cuore
le angosce di una 15enne, la
Zanze, dicevo, lo abbraccia stringendosi alle sue guance... Il
Pellico è ormai sul piano inclinato
e affannoso della sua maschilità
irrisolta. All’inizio si era leggermente irritato perché la Zanze gli
diceva che standogli vicino lo sentiva come un padre. E lui le aveva
risposto: “ma se ho solo 32
anni...” Trascrivo: “Ma il sentimento ch’ella mi destò non
fu quello che si chiama amore, confesso che alquanto gli
si avvicinava”. Anche la
Zanze, che ha solo 15 anni,
sembra scivolare... Perché un
giorno sta per abbracciarlo,
lui riesce a non baciarla e la
esorta, non la rimprovera, le
parla balbettando: “vi prego
Zanze, non mi abbracciate
mai, ciò non va bene... Mi
affissò gli occhi in volto, li
abbassò, arrossì. E certo fu
per la prima volta che lesse
nell’anima mia la possibilità
di qualche debolezza a suo
riguardo...”.
L’AMORE SPONSALE SOLO
PER UN ATTIMO...
Questo episodio che crea con
delicatezza ed acutezza di
espressioni uno stato d’animo
amoroso, ci spinge a raccontare che qualche tempo prima
nell’estate del 1820, Pellico avrebbe voluto sposare una ragazza di
nome Gegia, non proprio bella,
ma adorna dell’attrattiva dell’età,
e dell’interesse per il teatro, per
cui aveva trovato particine in
“pieces” teatrali leggere scritte
dal Pellico o dai suoi amici... Con
Gegia avrebbe preso la decisione
irrevocabile di rinunziare a tutta
la sua libertà... Trascrivo da una
sua lettera “Ora ho giurato d’amarti, e sono tuo per tutta la
vita”. Con Gegia sembra intravvedere una prospettiva sponsale,
che poteva aiutarlo a costruirsi, a
cessare di usare certo linguaggio
che forse a quei tempi era di
effetto, ma che in fondo tradiva
20
Luglio-Dicembre 2011
STORIA E MEMORIA
una personalità non cresciuta.
Trascrivo la risposta che dà ad una
sua amica fiorentina, una giornalista: “Tu mi domandi se io sono
innamorato. No... sono idolatra
dell’amore, ma non so più chi
amare sulla terra, fuorché 2 o 3
creazioni della mia fantasia, forse... Gegia che resisteva alla sua
corte, dopo aver letto la lettera,
di cui abbiamo riportato un frammento gli aveva fatto capire che
lo avrebbe sposato. Ma a quell’estate 1820 seguiva un drammatico
ottobre, con l’arresto del povero
Pellico.
Lasciata la prigione nel 1830, sembra che nessuna donna lo abbia
aspettato, semplicemente amica o
appena più che amica... D’altra
parte lui non era più dentro quello di un tempo... Certo che le
vicende umane sembrano a volte
un romanzo...
quei pochi suoi cittadini che tentarono di conservare vive per 13
mesi le scintille del patriottismo e
della verità...”.
Si sentiva ora estraneo ad una platea della Storia, dove i contrasti
politici portassero al sangue, tutto questo non sarebbe piaciuto a
Dio... Ma Manzoni, pur essendo
un poeta cristiano non aveva forse scritto questi versi nell’ode
Marzo 1821?...
LASCIANDO LO SPIELBERG È
ORMAI UN ALTRO
Ritornando in Italia è felice?
Si può pensare non lo sia?
L’angelicazione, ci verrebbe da
osservare, gli aveva impedito di
esplodere contro tante situazioni
crudeli o assurde... Vorrei ricordare l’ultima, quando lui ed altri
graziati furono portati a spasso in
carrozza per Vienna, forse perché
rivedessero le cose belle del mondo... ad un certo momento un
commissario, gridando, ordina
loro di ritirarsi indietro dal finestrino perché stava passando il
corteo imperiale... e l’Imperatore
non doveva posare i suoi occhi...
sui loro visi cadaverici! Come se
l’Imperatore non avesse gestito la
vita di quei poveri reclusi, come
un burattinaio...
Silvio Pellico tira fuori, finalmente, quello che ha dentro, quando
entrando nella provincia di Udine
dice di non vedere più teste tedesche...
Rientrato in Piemonte, che gli
sembra in bellezza superare
l’Italia intera... non tornerà più ad
essere un uomo pubblico, non
scriverà più in un giornale. Chissà
se ricordò mai quell’augurio che si
fece, nel novembre del 1819,
quando per protesta contro la
demenziale censura austriaca,
d’accordo con i suoi collaboratori
aveva chiuso per sempre il
“Conciliatore”: “l’Italia non sarà
forse immemore, un giorno di
Pensiamo cosa suggerisce ora il
Pellico: i contrasti dovevano essere risolti discutendo, i governi esistenti non dovevano essere
abbattuti... i cittadini che non
avessero voluto compromettersi
servendo un governo non condiviso sarebbero dovuti esulare...
Certamente intimidiva la presenza in Italia dell’Austria al punto
che Gioberti ritenendo impraticabile una guerra di tutti gli Stati
italiani contro l’Austria penserà
nel 1841 ad una confederazione
italiana, mai poi realizzata...
Mentre Massimo d’Azeglio nell’opuscolo “Degli ultimi casi di
Romagna” nel 1845 proporrà una
cospirazione alla luce del sole,
sempre più pressante, con sull’orizzonte però, lo spauracchio di
un Piemonte in armi. Ma come
sappiamo, diverse saranno le vie
della Storia...
Questa caduta di
passione politica
porterà il Pellico a
non scrivere più
tragedie, ma cantate
medievali,
perché più facilmente in queste
avrebbe potuto
esternare un sentimento religioso.
Morti i genitori,
fattosi gesuita il
fratello Francesco,
diventa badessa la
sorella più grande
l’han giurato; altri forti a quel
giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol
e ancora...
quel che è Padre di tutte le genti,
non disse al Germano giammai:
và, raccogli ove arato non hai,
spiega l’ugne, l’Italia ti dò!
L’ECO della scuola nuova
Giuseppina, morta giovanissima
in convento, anche l’ultima sorella Maria Angiola, già prima che
lui lasciasse lo Spielberg Pellico
trovò asilo e impiego come segretario bibliotecario, ma anche per
umili uffici, presso la vecchia marchesa Giuliette Colbert di Barolo...
La devozione, le tante preghiere
recitate durante il giorno riempivano la vita di entrambi... Ma la
malinconia, ogni tanto, tornava a
farsi sentire. Ma come? ora che
fede e ragione procedevano d’accordo?
LA MALINCONIA SEMPRE NELLA
SUA VITA...
Scrivendo al Confalonieri, che
aveva patito anche lui lo
Spielberg, uscendone nel 1836,
dopo essersi definito ormai un
uomo dal fiato corto, cioè ormai
senza più vigore vitale, gli confidava che nell’ultima parte della
sua vita sentiva di essere chiamato solo a patire e ad amare in
silenzio...
Amare in silenzio, cosa voleva
dire? amare chi è lontano, chi non
puoi raggiungere, chi non conosci?...
Nella chiusa di una lettera indirizzata, nella prima fase della sua
vita, a Quirina Mocenni Magiotti
lui dell’amore aveva tracciato una
traiettoria certamente più umana
e più logica: “È per me un bisogno l’essere amato da chi amo e
stimo con tutte le facoltà dell’anima mia...”.
Dobbiamo, allora, pensare ai vuoti dell’anima sua quando cominciò ad incanutire? Questi sono
segreti che non riusciremo a conoscere e che non vorremmo mai
conoscere...
21
TESTIMONIANZE
Luglio-Dicembre 2011
L’ECO della scuola nuova
Intervista a Pupa Garribba
Una testimone nelle scuole
La memoria è tesoro e custode di
tutte le cose (Cicerone)
Pupa Garribba, pseudonimo di
Carla Dello Strologo, è una testimone della Shoà: la sua esperienza è stata raccontata in Gioventù
offesa edita dalla “Giuntina” e in
“Le non persone” di Roberto Olla
edita dalla “Eri Edizioni Radio
Italiana”, e in numerose altre
pubblicazioni.
È promotrice e curatrice di incontri incentrati su storia e memoria
nella omonima Casa della
Memoria e della Storia di Roma.
L’8 luglio del 2008 ha raccolto la
testimonianza inedita di Enrica
Sermoneta Moscati che è diventato, grazie al finanziamento della
Provincia di Roma, un film-intervista dal titolo “Una storia romana”, presentato da Aned, Irsifar e
Provincia di Roma. Nel febbraio
2010 è stato presentato al Jewish
Community Center a Manhattan,
a cura del Centro “Primo Levi” di
New York che ha predisposto la
versione inglese.
Da più di vent’anni è invitata nelle scuole di ogni ordine e grado, a
livello personale o per conto del
“Progetto Memoria-CDED” o dell’
“Associazione Apriti Sesamo
Onlus”, per condividere con studenti e docenti la sua esperienza
di bambina ebrea colpita dalle
discriminazioni razziali e dalla
Shoà.
da dieci anni a questa parte sono
molto aumentate le iniziative
legate ai temi della Shoà; bisogna
però aggiungere che in buona
parte sono collegate al Giorno
della memoria, e che spesso sono
organizzate in modo abbastanza
stereotipato. Tenuto conto che
entro nelle scuole come testimone abituata ad intrecciare la grande Storia con la mia piccola storia
personale, temo che nella maggioranza dei casi si miri più a fare
ascoltare un racconto piuttosto
che mettere le basi di un approfondimento successivo. Mi colpisce molto il fatto che sono pochissimi gli studenti che prendono
appunti, e che spesso i giovani
che fanno le rare domande che
ricevo nel corso dell’anno scolastico si distraggono durante la mia
risposta, anche se telegrafica. In
genere fanno eccezione gli alunni
delle scuole primarie, che trovo
ancora disposti ad esporsi di fronte a docenti e compagni con
domande
e commenti; spesso i più piccoli
sono determinati a ritornare sull’argomento attraverso le lettere
che mi inviano, quasi volessero
mantenere vivo un canale di
comunicazione. Mi domando
però che ne sarà delle generazioni successive a questa dopo l’assurdo smantellamento della storia
anche nella scuola primaria, che
era sempre stata il fiore all’occhiello del nostro ordinamento
scolastico
D.
Ti sembra che la scuola riesca
a sviluppare un’educazione alla
cittadinanza basata sulla consapevolezza dei passaggi che hanno
determinato la nostra convivenza
civile?
R.
D. Dal tuo osservatorio, ti sembra che ci sia un interesse sempre
vivo su queste tematiche?
R.
Frequento solo scuole che
mettono in calendario incontri di
questo tipo, quindi la mia risposta
è positiva. In senso più generale,
Non vorrei generalizzare, ma
temo piuttosto poco, per colpa
della scuola e della società contemporanea.
Credo che fondamentalmente ci
siano crescenti difficoltà di comunicazione tra gli adulti e i giovani
di oggi, anche con coloro che a
prima vista sembrano animati dalle migliori disposizioni alla conoscenza e al dialogo.
Gli studenti che incontro si presentano sempre di più come controparte silenziosa, anche se mi
affanno a precisare subito che
desidero essere interrotta e guidata dalle loro curiosità nel corso
del mio racconto; anche se spiego
subito quanto sia importante per
me ottenere delle risposte alle
semplici domande che pongo, in
modo da poter valutare il loro
grado di comprensione e correggere il tiro nel corso dell’incontro.
Per lo più vedo volti attenti e
occhi che guardano nella mia
direzione, e registro al massimo
delle esclamazioni soffocate nei
momenti più emozionanti.
Quando va bene ascolto domande legate ai sentimenti – “come si
è sentita”,” cosa ha provato”,
riesce a perdonare”, e poche o
nessuna domanda legata ai fatti
che ho esposto, come se coloro
che ho di fronte fossero incapaci
di sedimentare concetti appena
più complessi, che sembrano solo
sfiorarli. Ormai mi stupisco quando qualche studente fa un collegamento di carattere storico, al
punto da aver avuto un moto di
viva ammirazione per un ragazzino molisano di quarta ginnasio
che, di recente, ha preso un paio
di volte la parola con domande
mirate nel corso dell’assemblea
plenaria del suo istituto. “Sa”, mi
ha detto alla fine dell’incontro, “a
me piace molto la storia, e se
avessi avuto il tempo le avrei
posto molte altre domande”.
Avevo trovato finalmente qualcuno animato da senso civico che la
storia la conosceva, che sapeva
quando era caduto il fascismo e
che cosa era successo l’8 settembre, che conosceva la differenza
di termini quali campo di internamento, campo di concentramento
e campo di sterminio, che prestava attenzione alla quotidianità
che collegava al passato. Il problema principale è che la grande
maggioranza dei giovani di oggi
non conosce e non prova interesse per la storia, materia quasi
scomparsa dai programmi scolastici; per di più, quel poco che
arriva loro si volatilizza quasi
subito per la scarsa capacità di
22
Luglio-Dicembre 2011
TESTIMONIANZE
R. In questo caso come e quanto
memorizzazione (non vorrei infierire, ma a me sembra che gli studenti del terzo millennio conoscano anche molto poco la geografia, ed abbiano un’idea piuttosto
vaga dell’ortografia). Noto anche
una scarsa dimestichezza con le
parole che sono al di fuori del
vocabolario giovanile sempre più
ridotto, dato che nell’uso quotidiano ai ragazzi servono solo
poche frasi smozzicate per spedirsi i messaggini.
Quando alcuni provano a formulare frasi un po’ più articolate, e
sono da lodare e da incoraggiare,
non si può non notare l’utilizzo
improprio di aggettivi e sostantivi
dei quali evidentemente conoscono solo approssimativamente il
significato.
Proprio per l’esiguità del loro
vocabolario, in genere i nostri studenti provano difficoltà sempre
maggiori nel prendere in mano
libri e giornali e ignorano in massima parte quello che succede
intorno a loro, perché non riescono a seguire neppure i notiziari.
D’altra parte, da anni libri e giornali entrano sempre di meno nelle famiglie italiane, e non solo per
ragioni economiche; evidentemente, nel corso di tutti questi
anni l’obbligo della lettura di libri
nelle scuole non è riuscita a sviluppare un reale interesse per la
pagina stampata, con le conseguenze che sono davanti ai nostri
occhi. Forse il trend cambierebbe
se le persone autorevoli e famose
che fanno tendenza prendessero
l’abitudine di infilare qualche
citazione di un libro nelle loro
esternazioni; allo stato attuale,
per la maggioranza dei nostri
concittadini la lettura sembra solo
appannaggio di qualche originale
o di qualche perditempo.
D. L’insegnamento della storia
può essere, secondo te, un elemento di sviluppo del senso di
appartenenza?
la presenza di ragazzi e ragazze
appartenenti ad altre etnie, culture, lingue e magari a tutti gli
effetti cittadini italiani,influisce su
un nuovo profilo di cittadinanza
in cui la memoria storica svolga
un ruolo di collante?
A mio avviso l’insegnamento della
storia, che deve essere potenziato, può essere un importante elemento di sviluppo del senso di
appartenenza sia per i nostri giovani che per le ragazze e i ragazzi
di altre etnie, culture, lingue che
sono cittadini italiani a tutti gli
effetti o sono in attesa di diventarlo.
Lo si è potuto notare chiaramente
nel corso del 2011 durante le celebrazioni del 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, che si sono rivelate un prezioso collante di una
società sempre più parcellizzata
in esasperati localismi.
Penso che contemporaneamente
potrebbe essere utile stimolare
anche la conoscenza della storia
dei compagni di scuola che vengono da lontano, per evitare nei
loro riguardi delle pericolose
valutazioni basate su stereotipi e
pregiudizi. Noto soprattutto nelle
scuole di periferia una crescente
aggressività nei confronti di coloro che vengono percepiti come
diversi, con conseguenze che
potrebbero diventare devastanti.
D. Ti sembra che aver introdotto
il Giorno della memoria abbia
contribuito a sviluppare la rifles-
L’ECO della scuola nuova
sione o rischia di ridursi in una
delle numerose ritualità della
scuola?
R. Di sicuro l’introduzione del
Giorno della memoria ha sollecitato tutte le scuole italiane ad
occuparsi non solo delle leggi razziali e della Shoà, ma anche di un
periodo storico che generalmente
non veniva affrontato per mancanza di tempo. Il rischio che
il 27 gennaio stia diventando
poco più che una ritualità è molto
forte, anche se vedo interessanti
cambiamenti di rotta grazie ad un
numero sempre maggiore di insegnanti veramente motivati. Sono
ormai molte le scuole che lavorano sull’argomento nel corso di
tutto l’anno scolastico, anche per
permettere agli studenti di elaborare dei progetti articolati sotto le
forme più diverse, spettacoli teatrali, videoclip, fumetti, film. A
proposito di film, un sogno che
coltivo da tempo è quello di raccogliere e proiettare, in una specie di festival, tutti i “corti”, i film,
i documentari prodotti dalle scuole, molti dei quali sono veramente
interessanti. Sono sicura che un’iniziativa del genere svilupperebbe una nuova creatività nell’affrontare un argomento che potrà
rimanere maggiormente fissato
nella mente, se prenderà forma
attraverso un lavoro collettivo che
parte dal basso.
23
Luglio-Dicembre 2011
IL PUNTO
L’ECO della scuola nuova
Rilanciare la qualità della scuola
Qualche spunto
di Leonardo Pangallo *
Per affrontare seriamente gli
annosi problemi della scuola servono delle soluzioni impopolari,
ma realizzabili e verificabili.
Nella scuola non mancano i finanziamenti. Anzi, per certi aspetti,
ce ne sono anche troppi. Il problema è che i fondi sono mal gestiti e
sperperati in tante attività utili
non alla qualità dell’istruzione ma
a determinate strutture e ai privati. Mia madre direbbe che si fa il
risparmio della cenere ed il consumo della cera. Nella scuola non
bisogna tagliare, ma investire,
partendo dalla ricerca della qualità dell’istruzione.
Tutte le altre cose, compresi i soldi, devono derivare da questo
obiettivo.
Sinteticamente, indico alcune
riflessioni su questi punti, non per
avere l’arroganza della soluzione,
ma per dare il mio modesto contributo.
Oggi queste indicazioni possono
sembrare costose, ma nel tempo si
verificherà un notevole risparmio
soprattutto a vantaggio della
qualità.
Bisogna eliminare la mentalità
che la scuola è un posto come un
altro per trovare un lavoro, ma
soprattutto eliminare “radicalmente” la speranza che nella
scuola prima o dopo ci si può
sistemare. Quante migliaia di giovani si accontentano di qualche
supplenza o lavorano gratuitamente nelle scuole private, sostenendo a proprie spese anche il
pagamento delle imposte previdenziali, con la speranza che prima o poi arriverà la sistemazione?
-Una forma di precariato è stata
creata dall’eliminazione di alcune
materie d’insegnamento.
Ad esempio, mi sembra assurda
l’eliminazione dell’insegnamento
della Storia dell’Arte nei Licei. Di
tutti questi soggetti che non
saprei come definire: precari o ex
precari con incarichi annuali, che
ne facciamo?
-Già da quest’anno, non emanare
alcuna ordinanza di reclutamento
e reclutare il personale solo attraverso le graduatorie esistenti.
o In diverse province esistono
migliaia di cattedre e posti disponibili.
Immissione nei ruoli fino all’esaurimento dei posti.
-Assumere i precari, anche coloro
che non ritrovano la disciplina
d’insegnamento, rimasti delle prime due fasce, assegnandoli in una
sede, solo per la gestione amministrativa
-Utilizzarli per supplenze brevi,
non solo in quella sede ma per
l’intera provincia ( vecchia DOA
riveduta e corretta).
-Organizzare per loro un corso
breve di formazione per figure
professionali.
-Utilizzarli nei vari progetti (PON,
Por ecc.ecc.) prima di ricorrere ad
agenzie esterne. In alcuni progetti la scuola deve ricorrere obbligatoriamente a personale esterno
anche se è privo di qualsiasi competenza ed esperienza didattica.
-Sostituire i docenti di ruolo impegnati nei progetti.
- Dopo un’indagine sul potenziale
fabbisogno, ad esempio per un
triennio, bandire concorsi solo per
i posti realmente esistenti,
aumentati da una certa percentuale per coprire gli imprevisti e le
imponderabilità.
Eliminare ogni forma di durata
della graduatoria. Mi spiego
meglio: Una volta assunto il personale necessario, la graduatoria
deve cessare la sua validità e non
essere utilizzata per nessun motivo.
I soggetti inclusi fra nella graduatoria del concorso, esauriti i posti
nella propria regione, hanno l’obbligo di assumere servizio in altre
regione pena il depennamento da
ogni altra graduatoria, e riservando a loro la precedenza nei trasferimenti.
Non è più accettabile che con un
compito scritto e un colloquio
diventare docenti. Bisogna trovare nuove forme per valutare le
competenze e soprattutto la
capacità di stare in classe.
-La verifica nelle scuole è soltanto
una farsa dove spesso i soggetti
preposti sono amministratori e
amministrati. L’Italia è piena di
agenzie e privati (molti ex capoc-
cioni ministeriali) o vicini ai palazzi dell’istruzione che fanno progetti per i quali la scuola ha solo il
compito di mettere i timbri, firmare, incassare e pagare i “progettisti” e la loro équipe. Oggi
l’insegnamento per progetto ha
fallito il suo nobile obiettivo ed è
diventato soltanto uno strumento
per arricchire i progettisti, le
agenzie di viaggio, gli alberghi
all’estero e……assegnare qualche
“misero” euro ad alcuni dirigenti
e molti di meno ai docenti. Ad
esempio, che logica ha la delibera
di un progetto sulla Bio-chimica o
qualcosa del genere in un istituto
comprensivo dove l’apprendimento della lettura, della scrittura, e
dell’acquisizione di un linguaggio
corretto costituirebbero già un
successo?
Si ai progetti, purché siano integrati e di supporto alle attività
curriculari.
-Sono sicuro che l’innalzamento
dell’età pensionabile nella scuola
non è un problema, anzi è ben
visto. Sono altrettanto convinto
che se il Ministro darà la possibilità di ritornare in servizio a chi è
andato in pensione negli ultimi
due anni ci sarà almeno il 60/70 %
di docenti che ritornerebbero di
corsa ad insegnare perché molti di
loro sono stati messi “d’ufficio” in
pensione contro la loro volontà,
ed altri sono “scappati” per il terrorismo psicologico creato dal
ministero e da certa stampa. Su
questo punto, io permetterei a
tutti di andare in pensione con gli
anni maturati senza alcun aumento di stipendio e di cumulo pensionabile a chi vuole restare in servizio anche dopo i 65 anni.
*Sezione Fnism di
Reggio Calabria
24
Luglio-Dicembre 2011
LA DISCUSSIONE
L’ECO della scuola nuova
La Memoria degli Alberi Monumentali
di Paola Farina
Si è concluso il progetto “La
Memoria
degli
Alberi
Monumentali”. E’stato un progetto didattico di educazione
ambientale, che ha formato gli
insegnanti e gli operatori di
due Parchi regionali del Lazio.
Nato per le scuole, come
modello di didattica laboratoriale delle scienze integrate è
stato anche modello di curricolo verticale.
L’idea di partenza è stata l’utilizzazione della diffusione
capillare delle scuole nel territorio, dato importante per censimenti e monitoraggi con l’obiettivo di mettere in comunicazione le scuole con il territorio in cui sono inserite, con i
suoi soggetti, le sue istituzioni
e di sfruttare le innumerevoli
potenzialità che può offrire
una procedura di questo genere all’azione educativa.
Il primo passo è stato la scelta
di temi di comune interesse per
i soggetti coinvolti. I Parchi
sono custodi di storia e memoria e attraverso la conoscenza
degli alberi monumentali si
può attivare un circuito culturale per comprendere il territo-
rio e le sue trasformazioni
attraverso i secoli e sviluppare
atteggiamenti di salvaguardia
e tutela di questi monumenti
naturali. Le finalità sono da
una parte fare emergere il
potenziale educativo delle
discipline in una filosofia del
fare che contribuisca allo sviluppo della riflessione critica,
dall’altra stimolare la formazione di reti tra scuole e tra scuole
e territorio e comunità locali.
Le due associazioni coinvolte,
la FNISM e Storia della Città,
hanno contribuito all’ideazione e all’esecuzione del progetto, mettendo in campo le proprie specifiche competenze metodologiche e botaniche l’una, di lettura storica del paesaggio l’altra- coniugando il
censimento degli alberi alla
ricerca storica sul paesaggio, in
cui i monumenti vegetali contribuiscono alla storia della
memoria dei luoghi. Il paesaggio, come indicato dalla
Convenzione Europea 20 ottobre 2000, ratificata con D.P.R.
2004, ha un’accezione più vasta
e innovativa che in passato.
Esso viene considerato patrimonio culturale che contribuisce a
sviluppare negli abitanti il senso di appartenenza ai luoghi, a
radicare il senso di identità in
un contesto paesaggistico.
Il progetto realizzato costituisce un esempio di attività progettuale in cui le discipline
scientifiche si integrano tra
loro e con altre nella realizzazione di perfomance, che vedono la scuola aperta al territorio
e a i suoi problemi. Il lavoro
svolto dagli insegnanti con le
classi, supportato dal personale
dei Parchi Regionali, ha dato
risultati inaspettati. La scuola
ha costituito il volano tra le istituzioni territoriali e la popolazione locale, in un lavoro in cui
la partecipazione nella ricerca
delle memorie grafiche, iconografiche e orali ha determinato
il risvegliarsi di un senso di
appartenenza alla comunità
locale che con la propria storia
e tradizione si inserisce perfettamente nella più grande
comunità nazionale.
E’inoltre un progetto che ben si
presta alla esemplificazione di
un curricolo verticale: favorisce
la costruzione di reti di scuole,
consentendo lo sviluppo negli
alunni, dai più piccoli ai più
grandi, di abilità conoscenze e
competenze in un continuum,
di cui il nostro sistema di istruzione ha tanto bisogno. Si favorisce inoltre la collaborazione
tra gli insegnanti delle diverse
scuole di un territorio, tra questi e tutti coloro che a vario
titolo si occupano in altri ambiti di educazione ambientale, in
un’osmosi continua tra chi sta
dentro e chi sta fuori dalle
scuole, si facilita la partecipazione delle famiglie. Tutti questi sono tutti che, una volta
messi in moto, si autoalimentano. Una comunità informata ed
attiva costituisce con le sue
energie un grande e valido aiuto nell’indirizzare le scelte dei
decisori politici.
Nei corsi svolti fino ad oggi,
sono stati censiti molti alberi,
anche se non tutti rispondono
a criteri di monumentalità. In
questa pubblicazione sono stati presentati soltanto i più belli:
l’obiettivo è di diffondere questa metodologia di lavoro
anche in altre aree del nostro
Paese, affinché la scuola e l’extra- scuola insieme contribuiscano alla costruzione di una
migliore qualità della vita.
iI
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Luglio-Dicembre 2011
LA DISCUSSIONE
L’ECO della scuola nuova
26
RECENSIONI
Luglio-Dicembre 2011
L’ECO della scuola nuova
Il Piacere di leggere
A cura di Elisabetta Bolondi
Tu non sei come le altre madri
Angelika Schrobdsdorff,
Ed. E/O
Il 30 giugno 1893 è la data di nascita di Else Kirschner, nata a Berlino
da famiglia ebrea e morta in
Germania nel giugno del 1949. In
questo arco di tempo si svolge la
vita romanzesca di una donna
eccezionale raccontata dalla sua
figlia terzogenita, la scrittrice
Angelika Schrobsdorff, che nel
ricostruire una vicenda autobiografica disegna un affresco del pubblico e del privato della storia della
Germania nei suoi anni più difficili
e controversi davvero avvincente
mettendo in risalto avvenimenti e
sentimenti, sensazioni e stati d’animo che difficilmente avevamo visto
raccontati con tanta schiettezza e
trasparenza.
Else ci viene descritta sin dalla
nascita nel quartiere Charlottenburg di Berlino alla fine
dell’800, in una famiglia ebrea
conformista e devota. La ragazzina si mostra presto insofferente
della chiusura mentale dei suoi
familiari, rifiuta l’ebraismo come
gabbia ed è attratta dalla libertà
del grande mondo cristiano al di
fuori. Una volta cresciuta, rifiuta il
matrimonio combinato dalla
famiglia con un noioso benestante ebreo e sceglie un rapporto trasgressivo con un artista fascinoso
e squattrinato, Fritz, che sposa
segretamente abbandonando la
famiglia. Anche la sua famiglia
l’abbandona a sua volta ad un
destino di miseria, malgrado la
nascita di Peter, il primo amatissimo figlio. Dopo la guerra, durante la repubblica di Weimar, ormai
Else è diventata adulta, bella,
sicura di sé e soprattutto anticonformista e intollerante delle convenzioni; si dà ad una vita libera,
sessualmente aperta a molte
esperienze e comincia un’esistenza dove gli uomini si susseguono
senza mai escludere i precedenti.
Alla fine avrà tre figli, da tre
uomini diversi: dopo Peter, ecco
Bettina, figlia di Hans e per ultima
Angelika, avuta dal nuovo marito,
il ricchissimo industriale ariano
Erich Schrobsdorff che le resterà
vicino negli anni più bui della
segregazione razziale, della guerra, della deportazione.
L’arrivo in Germania di Hitler e del
nazismo sembra incredibilmente
non lambire il mondo dorato in
cui vive Else, circondata da artisti,
uomini di cultura, un’aristocrazia
del pensiero e dei sentimenti che
disprezza i nazisti sicura che la
parte migliore della società tedesca reagirà e comunque saprà far
fuori quel manipolo violento ed
arrogante. Un errore storico di
portata drammatica, che ci viene
raccontato nel libro con grande
realismo. Nessuno di questi ricchi
e sensibili cittadini tedeschi,
amanti dei libri e della musica, dei
paesaggi incantati e delle riunioni
di famiglia, sembra rendersi conto
del baratro, nessuno crede che gli
ebrei saranno sterminati, nessuno
pensa di mettersi in salvo fino a
quando le porte della prigione
nazista scatteranno inesorabilmente. Else sarà costretta ad emigrare tramite un falso matrimonio
con un bulgaro a Sofia, confidando nell’aiuto e nel denaro di Erich
e portandosi dietro le due figlie:
per Angelika e Bettina comincia
una vita sempre più dura e difficile, che culminerà con la guerra,
l’invasione nazista e poi sovietica,
la fine di ogni illusione di salvezza.
Gli ultimi anni convulsi vedono il
rientro nella Germania sconfitta e
distrutta di Else, mentre Bettina
resterà in Bulgaria, relegata in
una vita miserabile con marito e
figlio; si avrà notizia della morte
del primogenito Peter, morto a
ventotto anni in combattimento a
fianco dell’esercito francese;
Angelika, sposata giovanissima ad
un militare americano, sembrerà
cavarsela meglio degli altri familiari e potrà aiutare i genitori,
ridotti alla fame, ammalati,
distrutti nel morale.
Else si racconta attraverso le sue
intense, ultime lettere, nelle quali
l’ex bella, elegante, libera e felice
donna di un tempo traccia un
bilancio tragico della propria esistenza, del suo ebraismo rifiutato,
dell’orrore per la morte della
madre abbandonata e poi deportata e uccisa a Theresienstadt, del
suo egoismo e della cecità con cui
ha affrontato i più grandi drammi
della storia del 900, pagandone
tuttavia prezzi altissimi. Una storia dura e amara, affrontata dalla
figlia scrittrice con grande onestà,
senza tralasciare vizi, egoismi,
miopie, arroganze, superficialità
che nel quotidiano di milioni di
tedeschi hanno consentito il mattatoio della Seconda guerra mondiale. Angelika sposerà molto
anni dopo Claude Lanzmann,
l’autore del film Shoah, una pietra miliare nella ricostruzione di
quella orribile macchia del 900
europeo: forse anche a risarcimento degli errori di valutazione
della sua famiglia.
Tu non sei come le altre madri ,
campione di incassi in Germania e
pubblicato in Italia da edizioni E/O
nel 2011, è assolutamente originale e ci rivela il mistero di un popolo intero che ha lasciato che avvenisse un’apocalisse dopo cui la
Germania non è più stata la stessa.
I libri ci danno un diletto che
va in profondità, discorrono
con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante.
Fernando Pessoa
27
Luglio-Dicembre 2011
Per legge superiore,
Giorgio Fontana,
Ed. Sellerio 2011
Confesso: non conoscevo Giorgio
Fontana, milanese, classe 1981,
ma questo libro me lo ha mostrato come un giovane scrittore molto maturo, capace di descrivere il
suo protagonista, il magistrato
ultrasessantenne Roberto Doni,
con una rara e profonda conoscenza della psicologia di un misurato e coscienzioso servitore dello
Stato, posto di fronte ad un terribile dilemma, quasi alla conclusione della sua specchiata carriera.
Doni è sostituto procuratore al
Palazzo di Giustizia di Milano; è
sposato con Claudia, sua coetanea, donna in carriera ma musicista per passione mentre la figlia
Elisa, ricercatrice di Fisica, è fuggita negli Stati Uniti, dove ha vinto
una borsa di studio in una sperduta università dell’Indiana. La solida coppia borghese, moderatamente progressista, ascolta buona
musica, mangia cibi raffinati,
incontra pochi selezionati amici,
abita una casa bella e confortevole al centro di Milano. Doni spera
in una promozione che gli conceda una fine carriera di onori e che
lo allontani dalla grande città che
ad entrambi i coniugi sembra
essere diventata non troppo piacevole.
Questa tranquilla routine viene
interrotta da un’email e poi dalla
irruzione nel suo ufficio e nella
sua vita della giovane giornalista
freelance Elena Vincenzi, che si è
fatta paladina di un giovane tunisino, accusato di tentato omicidio
ai danni di una ragazza che è
rimasta paralizzata durante una
sparatoria. Elena è convinta che
Khaled, rinchiuso in carcere, sia
innocente anche se non ne ha le
RECENSIONI
prove. La donna costringe il giudice recalcitrante a prendere in considerazione l’ipotesi che egli sia
davvero vittima di un gioco più
grande di lui e dunque a intervenire su di un processo il cui esito è
già scontato. Elena è una giovane
idealista e risveglia lentamente
nel magistrato i sentimenti di vera
giustizia che ne avevano condizionato l’inizio in magistratura. La
morte del giovane collega
Colnaghi, ucciso dalle Brigate
Rosse, la morte di Borsellino, per il
quale aveva scritto un articolo in
difesa del suo eroismo, il colloquio con il suo vecchio professore,
maestro di diritto, il pensiero della figlia lontana e forse persa per
la propria mancanza di vero
coraggio civile, spingono il magistrato verso un finale che il
romanzo non ci dice, ma che possiamo immaginare.
Raramente un tema etico di rilevante importanza politica e civile
è stato trattato così diffusamente
in un pur breve romanzo. La sofferenza di Doni, il suo lento e progressivo distacco dalle sicurezze
della vita che si era costruito, l’incontro con una città diversa, sconosciuta, miserabile, pericolosa,
ma altrettanto pulsante e viva,
l’incontro con la carica di entusiasmo di Elena, il suo affrontare l’esistenza pagandone prezzi davvero cari, la solidarietà verso un
mondo di immigrati sconosciuti,
costituiscono per il protagonista
di questo insolito racconto una
sfida morale alla quale non può
restare indifferente. La Milano
raccontata da Fontana è una città
sconosciuta: il Palazzo di Giustizia
con i chiodi che ne tengono fermi
i marmi è la metafora di una giustizia che si tiene in piedi su principi non sempre eticamente corretti; il contrasto tra i quartieri
altoborghesi e la periferia più
degradata offrono uno spaccato
delle contraddizioni della società
odierna che raramente la narrativa contemporanea è in grado di
descrivere. In momenti di crisi
quali quelli che stiamo vivendo,
compito della letteratura è interrogarsi su cosa sia giusto e cosa
no: questo libro lo fa, con efficacia e forza morale.
L’ECO della scuola nuova
La ladra della primavera
di Marina Fiorato,
editrice Nord, 2011
Gli storici inglesi sono appassionati da sempre alla storia del nostro
paese, ma passare dalla storia alla
narrativa in modo così efficace e
leggero allo stesso tempo è un
traguardo che la giovane scrittrice
italo-inglese Marina Fiorato ha
raggiunto direi in modo brillante.
Questo lungo ed avventuroso
romanzo storico infatti riesce a
ricostruire gli anni più importanti
della storia del Rinascimento italiano, gli anni in cui Lorenzo il
Magnifico provò ad essere l’ago
della bilancia nelle turbolente
vicende della penisola, mescolando ai fatti veri un romanzesca storia amorosa che ha per protagonista
la
cortigiana-prostituta
Luciana Vetra, giunta da neonata
a Firenze da Venezia, in una grande giara di vetro...
La storia d’amore che resta al centro della complicata vicenda storica lega la bella Luciana al novizio
francescano Guido della Torre,
erede della famiglia signorile pisana. I due si troveranno al centro di
una serie di paurosi ed avventurosi accadimenti che attraversano
città, regnanti, personaggi noti a
tutti i cultori della storia italiana.
Mentre la bella e volgare Luciana
esce dai letti dei più ricchi mercanti fiorentini, viene scelta per posare per un grande quadro che il pittore Sandro Botticelli sta dipingendo nel suo studio: si tratta della Primavera, e la giovane bionda
ed opulenta presterà il suo viso a
Flora; dopo ore di posa però tra la
ragazza e il pittore scoppierà un
inatteso scontro verbale che spinge Luciana a rubare una pergamena su cui è impressa la bozza del
quadro per cui ha posato. Questa
piccola vendetta sarà l’inizio della
lunga e tormentata storia che
28
Luglio-Dicembre 2011
vedrà la prostituta divenire presto
qualcosa di molto diverso, in un
giro dell’Italia di allora insieme al
novizio Guido, prima rigido religioso, poi anche lui in piena metamorfosi. Il quadro di Botticelli è in
realtà un enigma su cui si esercita
la fantasia e la cultura dei due giovani, e dietro le figure mitologiche si nascondono personaggi
misteriosi che stanno preparando
una gigantesca impresa militare e
politica destinata a cambiare i
destini dell’intera penisola italiana. Ci troveremo durante l’avvincente narrazione di fronte a
Ferrante d’Aragona re di Napoli,
al Doge di Venezia Mocenigo, al
conte Sigismondo d’Asburgo,
cugino dell’imperatore Massimiliano, a Ludovico il Moro di
Milano, a Sisto IV pontefice romano. Non mancano gli incontri con i
grandi geni del tempo (Poliziano,
Leonardo da Vinci, Cristoforo
Colombo) e le citazioni di grandi
personaggi del passato come
Boccaccio o Dante.
Inseguiamo i nostri protagonisti
nel Campo dei Miracoli a Pisa, a
Napoli durante un grandioso terremoto, a Castel Sant’Angelo
mentre si fugge attraverso il
Passetto di Borgo, nella Cappella
Sistina nuova di zecca, a Venezia
nella basilica di San Marco e nelle
stanze gelide di Palazzo Ducale, a
Bolzano in un castello medioevale
interamente affrescato, a Milano
in Duomo e in Sant’Ambrogio. La
Lanterna di Genova è l’ultima tappa di questo viaggio attraverso gli
episodi più significativi della storia rinascimentale, vista con gli
occhi smaliziati di una giovane
sboccata prostituta e di un pio
novizio pronto a rinunciare alla
sua fede, deluso dalle malefatte
del clero e del papa.
"La ladra della Primavera" di
Marina Fiorato (Nord, 2011) è un
romanzo particolarmente riuscito,
capace di mettere insieme storia
dell’arte e dell’architettura, storia
sociale e politica, storia economica e religiosa con garbo e leggerezza. Un ripasso efficace, divertente, mai banale, sempre attinente alla realtà ben documentata di quei tempi solo apparentemente lieti... ”Chi vuol essere lieto sia” era uno slogan di Lorenzo
che non sembra avesse molto sen-
RECENSIONI
so in quella società violenta ed
egoista, dove i potenti organizzavano fra loro partite politiche tese
al loro solo soddisfacimento... e in
quest’ottica il libro appare di
grande e sconcertante attualità.
Una donna allo specchio
di Eric-Emmanuel Schmitt
Editrice E/O
Una costruzione sapiente e
un architettura armonica legano
le tre storie diacroniche che lo
scrittore francese Eric-Emmanuel
Schmitt ci racconta in questo bel
romanzo che ha per protagoniste
tre giovani donne dal nome ricorrente: Anne, una insolita mistica
vissuta a Bruges nel XVI secolo, tra
beghine e roghi di streghe; Hanna,
una viennese stravagante che si
innamora della psicoanalisi nella
mitteleuropa del primo 900; infine
Anny, bellissima ed infelice star
hollywoodiana dei nostri tempi,
vittima dell implacabile star
system,
salvata
all ultimo
momento proprio dall incontro
con la vita di Anne, raccontata in
un libro dalla psicoanalista Hanna.
Difficile riassumere le storie che si
alternano nel libro, anche per non
sottrarre al lettore il piacere di scoprire l intreccio che le lega indissolubilmente l una all altra:
anche se Schmitt infatti procede in
senso cronologico, tuttavia il finale
ci stupisce come forse, ci aveva stupito il finale del romanzo Le
ore
di Michael Cunningham,
uscito alcuni anni fa e divenuto
anche un celebre film, a cui per
certi versi questo libro può essere
paragonato.
La peculiarità del lavoro dell’autore sta soprattutto nella meticolosa
ricostruzione ambientale con cui i
diversi ambienti descritti sono ricostruiti: la Bruges rinascimentale e
le sue campagne nebbiose, una
L’ECO della scuola nuova
popolazione ignorante e superstiziosa, una chiesa arrogante, violenze familiari e sociali perpetrate
in un clima di crescente guerra religiosa che ha insanguinato il nord
Europa dopo la Riforma protestante e di cui le donne sono state le
vittime innocenti, con processi per
stregoneria e roghi in cui anche
l ingenua e visionaria Anne resta
impigliata, senza che nessuno
riesca a salvarla. Un personaggio
insolito e delicato, una bella ragazza orfana, semplice e complessa ad
un tempo, determinata e sicura,
capace di affrontare un lupo feroce ed un inquisitore maligno, ignorante ma sapiente e ingenua poetessa. Un personaggio letterario
creato da una mano sicura, come è
sicura la penna che descrive
Hanna, prima moglie frivola e frigida di un aristocratico viennese,
nella capitale asburgica all epoca
del suo massimo splendore economico e culturale. In fuga da una
prigione dorata, dopo grandi sofferenze vissute con coraggio,
Hanna diventa seguace di Freud e
analista a sua volta. Infine, forse la
figura femminile meno convincente, almeno all inizio della sua storia, è la Anny attrice di successo
nella corrotta Hollywood dello stritolante mondo del successo ad
ogni costo e a qualunque prezzo.
Anny si salverà grazie all amore
per un uomo estraneo a quel mondo, ma soprattutto per la riscoperta di valori genuini che le giungono per caso da molto lontano e
che le salveranno una vita a
rischio...
Qui il cerchio si chiude e le storie si
ricompongono in una sintesi al
femminile di grande profondità e
sensibilità. Lo specchio del titolo ci
fa riflettere su come la condizione
femminile sia riconducibile all’esperienza dolorosa delle donne in
ogni tempo, in questo mondo occidentale che ha cambiato i suoi
connotati politici e sociali, la sua
economia, la cultura, la religiosità,
ma non la condizione delle donne
che continua a risentire di una spazio troppo ristretto e pieno di ostacoli, mentre solo a donne davvero
eccezionali e coraggiose, sembra
dire l autore, è consentito un
vero e pieno riscatto.
29
Gennaio/Giugno 2012
IN GIRO PER MOSTRE
IL VERO MONDO DEL CORPO
UMANO
Di Margherita Calò*
OFFICINE FORNETO - Roma 14 settembre 2011
ALBERGO dei POVERI - Napoli 12
aprile 2012
Al Cuore della Vita
Sentire parlare di “cadaveri plastificati” fa un certo effetto!
Vederli è cosa molto diversa.
La mia preparazione scolastica di
allieva di liceo artistico, mi ha consentito di conoscere e disegnare il
corpo umano in osteologia e miologia.
L’arte è intrisa di anatomia umana
nei vari secoli ed a vari livelli. Oggi,
con la Body Art, a partire da Nitsch,
che a Napoli viviamo intensamente
nel Museo a lui dedicato, ci siamo
un po’ tutti abituati a vedere l’arte
del corpo, espressa nelle sue varie
interpretazioni.
Il dottor Gunther von Hagens’ è
stato un pioniere di una tecnica
moderna per la conservazione del
corpo umano, la plastificazione,
che consente di fruire del nostro
corpo nelle sue parti più nascoste e
fino ad ora, quasi sconosciute.
Sono entrata nelle Officine
Forneto, a Roma ed oggi a Napoli,
nell’Albergo dei Poveri, con lo spirito del critico d’arte e ne sono uscita ipnotizzata. Già dall’allestimento dell’ingresso ho avuto l’impressione di calarmi nei sotterranei della Cappella del Principe Raimondo
de Sangro di Sansevero, più conosciuta come la Cappella del Cristo
Velato.
Non tutti sanno che nei sotterranei
sono conservate le due Macchine
Umane, che risalgono al 1700, attri-
buite al misterioso nobile, studioso
illuminista. Una delle prime opere
di von Hagens’ è il sistema vascolare, che riporta all’opera del
Principe. Viene da chiedersi se
l’Illuminista avesse anch’egli trovato l’arcano della conservazione
alternativa, tre secoli prima.
Dal sistema vascolare, il percorso
della mostra è un continuo crescendo di emozioni e curiosità. L’occhio
del fruitore non và sul cadavere,
ma sulle varie parti dove presente e
passato, scienza e arte si fondono.
Presente: la tecnica ardita, sapiente
e paziente adottata da von
Hagens’.
Passato: gli insegnamenti di Leonardo e Michelangelo, che sfidando le leggi, scuoiavano cadaveri,
rischiando la galera, con i loro geni
creativi. Essi disegnavano muscoli,
nervi ed ossa, studiandone le posizioni. Il dottor Gunter ci fa entrare
nel nostro corpo e ci fa scoprire con
Arte ed ironia tutti i suoi misteri:
possiamo entrare nella macchina
più complessa che ci sia in natura.
Ogni parte del nostro corpo viene
sezionata nel percorso e ci viene
restituita sana, malata e deteriorata.
Grazie dottor von Hagens’!
Ci fai artisticamente riflettere sui
nostri errati comportamenti umani
e ci riporti, ogni tanto, nel percorso, a capire come non offendere e
vilipendere questa meravigliosa
macchina, che ci viene fornita nel
miracolo della vita!
È proprio il rispetto del corpo sano,
il messaggio più efficace che ci viene dalla mostra, oltre ad una enorme ed inesauribile lezione di scienze, espressa con arte e dinamismo.
Infine da docente consiglio a tutti
gli
studenti
delle
Facoltà
Universitarie Scientifiche Umane e
delle Accademie di Belle Arti di non
perdere un’occasione così utile per
arricchire conoscenze e saperi. Ai
miei studenti di Liceo ho già programmato una visita scientificoartistica che farà da sfondo anche
ad un potenziale orientamento
scolastico successivo.
*Presidente sez. Fnism di Napoli,
Storico e Critico d’Arte
iI
L’ECO della scuola nuova
SCIALLA!
Regia di Francesco Bruni.
Con
Fabrizio
Bentivoglio,
Barbora
Bobulova,
Filippo
Scicchitano, Giuseppe Guarino,
Prince Manujibeya.
Italia, 2011.
Protagonista del film è un ex
professore che sopravvive affidandosi al suo talento di scrittore per scrivere biografie su commissione, si tratti di calciatori,
personaggi della televisione della pornostar slovacca diventata
produttrice di film hard. Dà ripetizioni a domicilio e tra i suoi
studenti distratti e poco motivati c’è anche un quindicenne che
si rivelerà per essere il figlio da
lui avuto in una breve relazione
e di cui non ha mai saputo nulla.
Quando la madre del ragazzo,
che ha deciso di accettare un
lavoro di sei mesi come cooperante in Africa, svela questa
insospettata verità e gli chiede
di ospitare a casa sua il ragazzo
e di prendersi cura di lui senza
però rivelargli che è suo padre,
inizia un percorso di avvicinamento tra i due.
Un percorso tutt’altro che facile
per la distanza generazionale
tra i due, i reciproci atteggiamenti rinunciatari del padre e
disimpegnati del figlio, ognuno
a suo modo poco propenso a
crescere e ad assumere i propri
impegni.
L’incontro cambia tutti e due ma
rimane lontano dalla commozione che l’improvvisa relazione tra
un padre che non ha conosciuto
suo figlio ma ormai in età da
apprezzare questa imprevista
paternità e un figlio che scopre
di avere un padre che non lo
rifiuta avrebbe potuto suggerire.
Un’osservazione in margine al
film riguarda il rapporto con la
scuola, una scuola che nel film
viene presentata come inutilmente arroccata a comportamenti, valori, contenuti del passato ed estranea ai giovani cui si
rivolge. Pure nelle figure stereotipate di queste insegnanti sempre sull’orlo della crisi di nervi
c’è una speranza che le cose possano anche andare diversamente e ci ricorda quanto sia importante che famiglia e scuola trovino dei punti di convergenza con
al centro i ragazzi che non sono
solo i nostri figli, perché anche
per gli adulti è difficile continuare a crescere.
30
Luglio-Dicembre 2011
STATISTICHE E DINTORNI
L’ECO della scuola nuova
DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2011
Oltre la crisi insieme
di Paola Farina
Anche quest’anno, il 27 ottobre è
stato presentato contemporaneamente in 20 città italiane il
Dossier Statistico Immigrazione
2011, che viene pubblicato
annualmente dal 1991 dalla
Caritas italiana, dalla fondazione
Migrantes e dalla Caritas diocesana di Roma. Per questo difficile
anno è stato scelto il motto “Oltre
la crisi, insieme”.
Al teatro Orione di Roma sono
intervenuti Franco Pittau, coordinatore del Dossier, che ha illustrato i punti salienti del 21° rapporto, mons. Giuseppe Merisi, presidente della Caritas italiana, Flavio
Zandonato, sindaco di Padova vice presidente dell’ANCI e Amara
Lakhous, scrittore italo- algerino
per riflettere sul problema da prospettive diverse: quella della
comunità ecclesiale , quella degli
Enti locali e quella degli immigrati.
Il dossier contiene 50 capitoli
dedicati ai contesti nazionali,
internazionali, alle regioni e alla
capitale ed esamina gli aspetti
socio- economici, giuridici e culturali legati al fenomeno migratorio.
Dal 1861 ad oggi le presenze
regolari di cittadini stranieri in
Italia sono aumentate di più di
cinquanta
volte.
Nell’anno
dell’Unità d’Italia gli stranieri erano 88.639 (0,4% dei residenti).
Oggi vivono regolarmente nel
nostro Paese quasi 5 milioni di
stranieri- di cui 3 milioni arrivati
nell’ultimo decennio (7,5% su
60.650.000 di residenti). Viene
inoltre accreditata la presenza di
circa mezzo milione di persone in
posizione irregolare.
Nel 2010 sono scaduti quasi
700.000 permessi di lavoro, senza
essere poi rinnovati, con la conseguenza di un rimpatrio indesiderato o il ricorso al lavoro nero.
Ma le ingenti spese dei Cie, delle
carceri e dei rimpatri coatti , che
da soli costano anche 10.000 euro
l’uno (sono stati 16.086 nel 2010),
dovrebbero indurre a incentivare
i flussi regolari, anche in considerazione dell’impossibilità di avere
frontiere ermeticamente chiuse
(entrano in Italia circa 200.000
persone al giorno).
Gli indicatori di inserimento positivo attestano un insediamento
via via più stabile, anche se non
sempre supportato dalla legislazione in materia di offerta di pari
opportunità per l’inserimento e di
garanzia di stabilità del soggiorno.
Cresce il numero delle famiglie,
dei matrimoni misti (1 su 10), delle acquisizioni di cittadinanza
(66.000), dei minori (quasi 1 milione) ai quali si devono aggiungere
5.806 minori non accompagnati,
più i comunitari. Le persone di
seconda generazione sono circa
650.000, nate in Italia, ma senza
cittadinanza.
Gli iscritti a scuola nell’anno scolastico 2010-2011 sono stati
709.826, il 7,9% degli studenti,
con un incremento rispetto all’anno precedente del 5,4% (v.
tab.1).. Di questi più del 42% è
nato in Italia. L’incremento si è
avuto in tutti i gradi di scuola,
anche se con delle differenze: dal
3,8% della scuola primaria, al
5,1% della secondaria di 1° grado,
al 6,5% della scuola dell’infanzia,
fino ad arrivare al 7,3% della
secondaria di 2° grado (v. tab.2).
Gli studenti più numerosi sono di
nazionalità rumena ed albanese,
seguiti dai marocchini. Sono però
rappresentate ben 188 cittadinanze in totale, portatrici di specifiche esigenze educative e formative, che descrivono l’attuale connotazione della scuola italiana.
Queste diverse nazionalità si
declinano in modo differente nei
diversi gradi di scuola, in particolare nella secondaria di 2° grado.
Si continua a registrare il preoccupante orientamento degli studenti stranieri verso gli istituti tecnici
e professionali.
Gli studenti universitari stranieri
rappresentano invece il 3,6% del
totale, con la prevalenza di albanesi, cinesi, romeni, greci, camerunesi e marocchini. La loro condizione non è diffusa, né facile, in
quanto hanno necessità di lavorare e rinnovare il permesso di soggiorno, hanno effettuato in 7 casi
su 10 percorsi di formazione tecnica o professionale e i costi universitari aumentano la selezione.
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Luglio-Dicembre 2011
Gli stranieri mostrano un interesse diffuso all’apprendimento dell’italiano, ma negli esami per il
rilascio del permesso di soggiorno
per i lungo-residenti, la percentuale dei bocciati è risultata molto
differenziata nelle diverse città
sede d’esame (3,5% a Roma, 34%
a Padova), con risultati di gran
lunga peggiori laddove i test erano svolti per iscritto.
Il necessario apprendimento dell’italiano rischia di essere una
minaccia alla stabilità del soggiorno, se non vengono assicurate le
risorse necessarie. Attualmente la
metà del fabbisogno di studio
degli adulti è soddisfatto dal
volontariato.
Nel Rapporto sono presenti anche
indicatori di disagio. A livello abitativo sono coinvolti il 34% degli
immigrati, 540 sono stati i casi di
discriminazione
segnalati
all’UNAR.
Ma in un Paese in crisi come
l’Italia gli immigrati possono essere considerati una risorsa?
Sono più giovani-32 anni contro i
44 degli italiani, incidono sull’andamento demografico con circa
1/6 delle nascite, lontani dal pensionamento, versano annualmente 7,5 miliardi di contributi, assicurano flessibilità territoriale e
l’inserimento in tutti i settori lavorativi, creano con la piccola
imprenditoria lavoro autonomo e
sono il sostegno reale delle famiglie, degli anziani e dei malati.
Stanno pagando duramente la
crisi del nostro Paese in termini di
disoccupazione e rendono più di
quanto costino alle casse dello
Stato.
Per il Comitato di Presidenza
Caritas- Migrantes “il ventennale
lavoro di raccolta, elaborazione e
rigorosa interpretazione delle statistiche mostra che la via della
convivenza civile è quella da
seguire. Una sfida che esige maggiore coinvolgimento e politiche
di ampio respiro”.
Il presidente di Caritas Italiana,
rivolgendosi agli operatori sociali
e pastorali, ha affermato “siete
voi la base indispensabile perché
si avvii un nuovo corso, che congiunga il nostro passato di emigrazione con il presente che stiamo vivendo come paese di immigrazione. …Impariamo a vivere
con gli immigrati e chiediamo agli
immigrati di collaborare”. Uno
sforzo che vede necessariamente
STATISTICHE E DINTORNI
coinvolti le istituzioni centrali e
gli enti locali.
In Italia nel 2050 avrà superato i
50- 60 anni di età 1/3 della popolazione.
I minori figli di immigrati sono circa 1 milione e aumentano annualmente di 100.000 unità. Le seconde generazioni hanno superato le
600.000 unità. L’immigrazione
L’ECO della scuola nuova
costituisce il rimedio al progressivo invecchiamento della popolazione e al basso tasso di natalità,
ma è necessario unire senza confondere, distinguere senza separare, passando dalla multi cultura
ad una reale intercultura.
iI
QUASI AMICI
REGIA: Olivier Nakache, Eric Toledano
ATTORI: François Cluzet,
Omar Sy, Anne Le Ny, Audrey Fleurot,
Francia 2011
Ispirato ad una storia vera, il film racconta l'incontro tra due mondi apparentemente molto lontani. Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso
paraplegico, il ricco Philippe assume come badante Driss, ragazzo nero
appena uscito di prigione. E colui che inizialmente si presentava come il
meno adatto per questo incarico, presentatosi solo per documentare un’inutile disponibilità a lavorare che gli permetterà di continuare a ricevere gli
assegni di sussistenza, viene imprevedibilmente assunto ed entra in un ruolo per lui inedito rivelando capacità e doti d’umanità altrettanto inedite.
Insieme ai due protagonisti si incontrano e finiscono per dialogare i loro
mondi così lontani, dalle loro preferenze musicali, alimentari,…
Sull’incontro di questi due universi per tanti aspetti opposti, nasce un’amicizia inattesa, che si alimenta di situazioni comiche.
Il film si rivela divertente e commovente allo stesso tempo. Senza pietismi e
senza mai cadere nel patetico, nonostante tratti di un uomo immobilizzato
senza speranza, la cui sopravvivenza è completamente affidata alle cure di
chi lo circonda, presenta un’insolita coppia cinematografica, costruita su
due personaggi che pur essendo agli antipodi dal punto di vista fisico, psicologico, generazionale e sociale, si scambiano reciprocamente qualche cosa
che li cambia profondamente.
Senza ombra di ipocrisia ci si trova a ridere con e di un disabile su cui il destino ha infierito ferocemente e della cui tragedia non viene addolcito alcun
aspetto. Ma si ride anche con e su un giovane immigrato ai margini della
periferia, tra miseria e delinquenza, per il quale le prospettive di inserimento sono quasi nulle. Gli aspetti più crudi di questi mondi sono attraversati
con una delicatezza che non ha nulla di politically correct ma ha tutto della
sincera simpatia umana che a volte capita d’incontrare in un mondo dove
una brutale e difficile sincerità può essere preferibile all’ipocrisia e alla falsa commozione.
32
L’ECO della scuola nuova
Luglio-Dicembre 2011
L’ECO
Organo della FNISM
Federazione Nazionale Insegnanti
fondata nel 1901 da
Gaetano Salvemini e Giuseppe Kirner
della scuola nuova
DIRETTORE
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DIRETTORE RESPONSABILE
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COMITATO DIRETTIVO
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Elio Notarbartolo, Fausto Dominici.
REDAZIONE
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Di Ruscio, Paola Farina.
DIREZIONE E REDAZIONE
“L’ECO della scuola nuova”
via Rocca di Papa, 113 - 00179 Roma
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Casavola, Alessandro Casavola, Gigliola Corduas,
Paola Farina, Raffaele Graziano, Elio
Notarbartolo, Leonardo Pangallo, Peppino Sapia
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21/12/81
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Insegnanti, fondata nel 1901 da Gaetano
Salvemini e Giuseppe Kirner, è la prima
associazione professionale di insegnanti
costituita in Italia. Ha una struttura federale che si articola in sezioni territoriali e
associa insegnanti delle scuole pubbliche di
ogni ordine e grado, personale direttivo e
ispettivo della P.I., docenti dell’Università.
Offre ai propri associati l’opportunità di
partecipare a progetti di ricerca e di innovazione scolastica, seminari e corsi di
aggiornamento, gruppi di lavoro su argomenti didattici e dibattiti, proposte di politica scolastica e associativa. La FNISM, che si
richiama alla laicità come metodo di confronto e di vaglio critico delle conoscenze,
vuole il potenziamento della scuola pubblica, scuola di tutti, la valorizzazione della
professionalità docente, il riconoscimento
di uno status di soggetti del processo formativo alla componente studentesca, l’attribuzione ai capi di istituto di una funzione di coordinamento dell’attività didattica
e di gestione delle risorse scolastiche.
È affiliata alla Fédération Européenne de
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