Informatica per l`Archeologia

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Informatica per l`Archeologia
archeologia virtuale: comunicare in digitale
Comitato Scientifico: Simone Gianolio, Sofia Pescarin, Davide Borra,
Andrea D’Andrea, Fabio Remondino
Redazione: Simone Gianolio
Realizzazione grafica della sovracoperta: Alfredo Corrao
L’edizione cartacea del volume è pubblicata da:
© 2013 – Espera s.r.l.
Editoria e Servizi per Archeologi
Via Fulvio Palmieri, 4
00151 Roma
[email protected]
www.archeologica.com
1° edizione
ISBN 9788898244058
Il volume viene distribuito in versione elettronica secondo la licenza Creative Commons,
Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported. Il lettore è libero
di: riprodurre, distribuire, comunicare ed esporre in pubblico quest’opera, a condizione
che il suo contenuto non venga alterato o trasformato, che venga attribuita la paternità
dell’opera al curatore del volume e ai singoli autori dei contributi, e che l’opera non
venga utilizzata per fini commerciali.
ARCHEOLOGIA VIRTUALE
COMUNICARE IN DIGITALE
Atti del III Seminario
Università di Roma “La Sapienza” – Sala Levi
(Roma, 19-20 giugno 2012)
a cura di
SIMONE GIANOLIO
INDICE
Indice .......................................................................................................... 5
Introduzione................................................................................................ 6
M. LO BLUNDO: Archeologia e blogosfera ............................................... 10
A. ARRIGHETTI, E. CASALINI, C. NERUCCI, R. PANSINI: Documentazione
archeologica e comunicazione “diversificata”: proposte e riflessioni
dall’integrazione di software high-cost e open source ........................ 31
S. GIANOLIO: Digitale e 3D in Archeologia: problemi aperti e future
prospettive ........................................................................................... 45
A. FIORINI, V. ARCHETTI: Modelli interattivi 3D nei file PDF.
Applicazioni in campo archeologico ................................................... 72
E. FARESIN, G. SALEMI, A. CANCI: Multisensor data fusion per la
prototipazione di reperti archeologici .................................................. 85
I. BALDINI, F. FRASCA, A. GUIDAZZOLI: Le potenzialità del Game
Engine di Blender applicate per la navigazione real time di
ricostruzioni 3D archeologiche virtuali. Il caso del complesso
episcopale nelle Terme Occidentali di Kos ......................................... 99
F. CONVERTI: Il Patrimonio delle Conoscenze: Mappe Interattive
Digitali per Pompei ............................................................................ 111
M. ALAMPI, S.G. MALATESTA, F. SIMONETTI: HyperColumna. La
Colonna Traiana si racconta .............................................................. 123
INTRODUZIONE
Questo volume raccoglie gli Atti del 3° Seminario di Archeologia
Virtuale dal tema “Comunicare in digitale”, a conclusione di una trilogia
di eventi che ha visto in precedenza protagoniste la Topografia (2010) e
la Metodologia (2011). Con la Comunicazione si chiude anche il ciclo di
vita di una ricerca archeologica, che dallo studio del territorio e
dall’analisi dei reperti ha come naturale sbocco la loro
pubblicazione/divulgazione. In questi anni funestati dalla crisi economica
la Ricerca ha assunto un ruolo predominante nel dibattito pubblico, ma
intesa in senso scientifico e produttivo: la ricerca umanistica è quasi
sempre tenuta in panchina, come se il Patrimonio Culturale fosse in grado
di valorizzarsi da solo, in modalità self-service. È anche questo che ha
provocato e provoca progetti fini a se stessi, spesso meramente
economici, laddove si coniuga il patrimonio in termini di PIL e lo si vuole
primo produttore del Paese, ma poi non si lega al fattore economico un
processo di studio e di ricerca coniugato secondo lo stato dell’arte.
Spesso, quando ciò avviene, gli archeologi rimangono esclusi da questa
filiera, per colpa di un sistema che ha ridotto l’Archeologia a materia
accademica, per cui esiste dentro le aule universitarie e nelle
pubblicazioni scientifiche ma molto raramente oltre: l’Archeologo è quasi
ridotto ad un res nullius, d’altronde è ben noto come sia una figura
professionale aleatoria, formalmente non esistente. Questo nel Paese che
vanta, almeno a parole, uno dei patrimoni qualitativamente e
quantitativamente più significativi del pianeta.
L’archeologo, per colpe anche sue, ha pensato in passato che la
comunicazione e la divulgazione non fossero materia propria, e
nell’ambito della ricerca stenta ancora a compiere quel definitivo
processo che trasformi l’Informatica per l’Archeologia in “Informatica e
Archeologia”, che significa in primis che l’archeologo assume su di sé
l’onere della produzione scientifica del dato: un malinteso senso di
multidisciplinarietà porta ancora adesso l’archeologo a pensare che non
deve sporcarsi le mani con la tecnologia oltre un documento testuale o un
database relazionale, al limite un rilievo con la stazione totale, ritenendo
che tecniche avanzate siano appannaggio dell’expertise informatico di
turno. Vi sono poi situazioni nelle quali l’archeologo, in un opposto
malinteso senso di ricerca a basso costo, internalizza tutti i ruoli anche
laddove non ha ben chiare le tecniche ed i metodi propri delle singole
discipline. Se la produzione del dato scientifico non è metodologicamente
ineccepibile, la divulgazione e la valorizzazione, fasi inevitabilmente
seguenti, non potranno che soffrirne. L’Archeologia oggi non può che
trasformarsi essa stessa in una disciplina “multidisciplinare”, dove
all’archeologo non sono più richieste soltanto capacità di studio, di analisi
dei reperti, di scavo e di rilievo, ma anche raffinate capacità di
rilevamento indiretto, di anastilosi virtuale e ricostruzione
tridimensionale, di trend informatici e social. Non s’intende con questo
che l’archeologo debba avere le capacità di un ingegnere, per quanto
risulti sbagliato pensare che non possa in prima persona spendersi per una
ricostruzione 3D o un rilievo tecnico, ma per lo meno che abbia contezza
nel processo di pianificazione di una ricerca: sempre più oggi si fanno
pressanti i temi dell’open data, dell’open format e dell’open access,
finalmente approdati nell’Agenda Digitale del Paese ma ancora duri a
penetrare in un mondo fortemente gerarchico e accademico come quello
archeologico. Sono temi che mettono sul piatto la trasparenza del
processo di ricerca e che, come corollario, mostrano pubblicamente le
capacità dell’archeologo di saper fare ricerca: una relazione finale di
scavo richiede complesse capacità cognitive, ma che succederebbe se tutti
potessero giudicare il risultato finale a partire dai dati grezzi? Un volano
per la meritocrazia, un grimaldello per scardinare uno statu quo che nei
convegni e nei libri la maggior parte degli archeologi sottolinea con la
matita blu, senza poi riuscire effettivamente a cambiare rotta.
Si registra in questo momento storico una crescita dell’interesse
verso la cultura e le proposte culturali, ma soprattutto verso proposte
culturali di qualità: non più l’asettica visita al Colosseo o agli Uffizi, ma il
desiderio di sapere perché il Colosseo e cosa rappresentano quelle opere
conservate negli Uffizi. Il pubblico moderno queste informazioni non le
cerca più soltanto nei libri, ma ha imparato a pianificare la sua visita in tre
step: informazioni preliminari reperibili in rete, informazioni scientifiche
reperibili in loco, approfondimento post visita e condivisione sociale
dell’esperienza vissuta. Questo chiama in causa chi è deputato a gestire il
Bene affinché predisponga opportunamente le informazioni attrattive, chi
è deputato a gestirlo in loco affinché predisponga opportunamente le
informazioni scientifiche. Il mix di queste due è ciò che porta un
visitatore ad approfondire i contenuti e a fare condivisione sociale, che
non è poi altro se non una campagna gratuita in modalità virale per il
Bene in questione. Può l’archeologo, in questo processo che si pretende
essere asset fondamentale per l’economia del Paese, restare escluso o
autoescludersi per rimanere confinato nell’Accademia? Al tempo stesso,
per aprirsi ed entrare in questo fantastico mondo, deve essere cosciente di
quali siano i medium comunicativi di questa èra: non si può partecipare ad
un Gran Premio di Formula 1 entrando in pista con una Fiat 500. Neanche
però si può pensare che il tablet o lo smartphone riproducano a video
l’esperienza cartacea: la comunicazione sui dispositivi mobile va
radicalmente ripensata rispetto a quella cartacea protagonista degli ultimi
decenni, riprogettata pensando al web 2.0 e futuro 3.0, “targhettizzata” in
base alla classe di utenza che si vuole raggiungere.
Durante il seminario i relatori si sono interrogati su come i nuovi
sistemi digitali possano cambiare radicalmente il modo di fare
Archeologia, a cominciare dalla fase della ricerca: senza pretesa di aver
esaurito l’argomento, gli interrogativi posti nelle sessioni di quest’anno
che completano il percorso intrapreso nelle passate edizioni esigono una
presa di coscienza diffusa da parte del mondo dell’Archeologia, a tutti i
suoi livelli. Sono la dimostrazione che l’archeologo può e dunque deve
assumere su di sé l’onere e l’onore di ampliare i mezzi e di conseguenza
gli orizzonti a sua disposizione, di farlo in altre parole in prima persona,
attuando processi di fertilizzazione incrociata nell’ottica di poter superare
quegli ostacoli che la sua formazione inevitabilmente pone, facendosi
davvero primo attore di quello che è, sulla carta, un campo da scoprire
ancora sconfinato e nella parte già conosciuta da ripensare radicalmente.
L’archeologo deve riuscire ad imporre la sua esistenza “pubblica” oltre
Indiana Jones, non essere confinato nell’immaginario collettivo dello
sterratore cercatore d’antichità (e di “misteri”) di ottocentesca memoria,
ma come vero expertise della sua materia. Sarebbe altrimenti deprimente
pensare che la sua esistenza sia dettata soltanto dalla presenza di idonei
corsi di studio nelle Università e da obblighi di legge posti in essere nella
pianificazione urbanistica: un corollario della società, spesso dannoso
perché ostacola e intralcia il lavoro nell’edilizia, di fatto superfluo perché
demanda a terzi il compito di trasferire la sua conoscenza al pubblico.
Cambiare si può, si deve: si può decidere di prendere il treno che sta
passando, già rincorrendolo, oppure attendere di esservi caricati sopra a
forza, o mestamente abbandonarsi ad essere travolti. In ogni caso, il
futuro non sarà uguale al presente: quanto siamo pronti per prenderne
parte?