mario toscano - Casa editrice Le Lettere
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LUCIANO MONZALI MARIO TOSCANO E LA POLITICA ESTERA ITALIANA NELL’ERA ATOMICA Le Lettere 2. IL PROFESSORE AMBASCIATORE. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA NEL SECONDO DOPOGUERRA 2.1. Prunas, De Gasperi, Zoppi, Sforza e la rifondazione della politica estera italiana L’inizio della collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri nel 1946 costituì per Mario Toscano una grande rivincita personale. Toscano, l’ambizioso giovane piemontese a cui, all’inizio degli anni Trenta, per ragioni di ordine familiare, era stato impedito di accedere alla carriera diplomatica, sua grande passione personale, si ritrovò a collaborare strettamente con i vertici della diplomazia italiana quattordici anni dopo. A partire dal 1946 l’attività in seno al Ministero degli Affari Esteri assunse per Mario Toscano un’importanza e un’intensità progressivamente sempre più grandi. Il che non deve sorprendere, considerato che svolgere attività diplomatica internazionale era stata la sua grande aspirazione fin da ragazzo. Come ha rilevato il suo amico Giuseppe Vedovato, Toscano, «in fondo, senza mai venir meno al mondo accademico, predilesse Palazzo Chigi e poi la Farnesina»1. Questa affinità culturale, psicologica e ideologica di Toscano con il mondo della diplomazia italiana era percepita ed apprezzata dai diplomatici di carriera, che seppero usare e valorizzare le qualità dello storico piemontese. Roberto Gaja ha così spiegato l’atteggiamento di Toscano verso la diplomazia italiana e il suo ruolo in seno al Ministero degli Affari Esteri negli anni Cinquanta e Sessanta: Persone con l’esperienza diretta degli affari internazionali, che ebbe Mario Toscano, sono rarissime nella nostra carriera diplomatica, e tanto più fuori di essa. La Farnesina ha senza dubbio interesse a che esse siano numerose, ma non è cosa facile: e, fra l’altro, una preparazione del genere richiede costanza, dedizione, sacrificio. Uomini come Mario Toscano, proprio per l’apporto di esperienza vissuta che possono dare, sono utilissimi, come egli fu, a qualsia1 G. VedoVato, Presentazione, in M. toSCano, Corsivi, cit., p. 5. 48 LUCIANO MONZALI si ministro. I suoi rapporti personali furono certo diversi coi vari titolari di Palazzo Chigi e della Farnesina. Con alcuni furono di amicizia, con altri di collaborazione: ma gli valsero sempre una grande e convinta stima. Tutti i successivi titolari del nostro Ministero degli Esteri si resero conto, in brevissimo tempo, di quanto egli potesse offrire coi suoi consigli e col suo ingegno. Ciò che muoveva Mario Toscano era, con l’interesse del nostro paese e con uno straordinario personale disinteresse, una intelligente ed inesauribile curiosità per gli avvenimenti internazionali. Egli avrebbe potuto chiedere per sé incarichi ed onori; ma preferì un posto che, indipendentemente dalle sue apparenze esterne, gli offriva l’occasione di vivere da vicino un’esperienza di vita internazionale attiva. […] Credo che poche persone abbiano amato tanto, come lui, la carriera diplomatica – ed il Ministero degli Esteri – pur non appartenendovi. […] La sua opera, i suoi consigli, il suo potere – quando l’ebbe – miravano tutti al miglioramento della nostra diplomazia: che è, anzitutto, una scelta di uomini ed un continuo approfondimento di posizioni e di pensiero2. Va detto che l’ambiente politico e culturale del Ministero degli Affari Esteri nel secondo dopoguerra era particolarmente congeniale per una personalità come quella di Toscano. La gran parte dei diplomatici aveva un bagaglio di esperienze umane e politiche assai simile a quello dello storico piemontese. I diplomatici italiani in carriera negli anni Venti e Trenta, fascisti o no, avevano partecipato con intensità alla vita del regime mussoliniano; ma, allo stesso tempo, nessuno più dei diplomatici aveva vissuto in prima persona il degrado intellettuale, morale e politico dell’ultima fase del regime e della politica estera fascista, con l’Italia ridotta a Paese vassallo della Germania hitleriana e con un governo incapace di difendere con determinazione ed intelligenza gli interessi nazionali. Come Mario Toscano, molti diplomatici erano stati sostenitori del regime, ma, vivendo la catastrofe della guerra fascista, si erano anche convinti che il fascismo era stata un’esperienza storica e politica fallimentare, definitivamente conclusa e non più ripetibile, ed avevano accettato con convinzione l’evoluzione liberaldemocratica dell’Italia postbellica3. L’impegno e l’entusiasmo di Renato Prunas e del gruppo di diplomatici che collaborò con lui nella rifondazione della politica estera dell’Italia dopo l’8 settembre 19434 sono un’evidente r. Gaja, La questione dell’Alto Adige, in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 66-67. Una testimonianza significativa di questa evoluzione politica e culturale di molti diplomatici italiani si ha in alcune opere memorialistiche: e. ortona, Anni d’America. La ricostruzione 1944/1951, Bologna, 1984; id., Diplomazia di guerra. Diari 1937-1943, Bologna, 1993; M. luCiolli, Palazzo Chigi: anni roventi. Ricordi di vita diplomatica italiana dal 1933 al 1948, Milano, 1976; R. duCCi, La bella gioventù, Bologna, 1996. 4 Su Prunas utili: R. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare, cit.; id., Renato Prunas ed i rapporti italo-francesi dal 1943 al 1945, «Affari Esteri», 1985, n. 67, p. 376 e ss.; id., La svolta di Salerno: una notte a Minori, in e. Serra, a cura di, Professione diplomatico, Milano, 1988, 2 3 MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 49 testimonianza di come venti anni di dittatura avessero immunizzato la gran parte della carriera contro ogni nostalgia mussoliniana. Il Ministero degli Affari Esteri con il quale Toscano iniziò a collaborare visse proprio in quei mesi la fase finale della segreteria generale di Renato Prunas, il quale, dopo aver svolto in sostanza, se non formalmente, la funzione di ministro degli Esteri di Badoglio, era stato capace di conquistare la stima e la fiducia di De Gasperi5, preservando il proprio incarico fino all’autunno 1946. Di formazione politica nazionalista, Prunas era un diplomatico sardo di lungo corso ed era stato direttore generale degli affari transoceanici al Ministero degli Affari Esteri nel periodo bellico. Ciano, però, disprezzava Prunas, di cui era noto il dissenso verso l’orientamento filotedesco della politica internazionale italiana, e sostanzialmente lo emarginò all’interno del processo decisionale del Ministero degli Affari Esteri. Gli anni di presenza al Ministero diedero però al funzionario sardo una grande esperienza e sapienza nella gestione amministrativa, di cui diede dimostrazione dopo la fine del fascismo. Prunas pp. 88-95; M. luCiolli, Palazzo Chigi, cit., p. 208 e ss.; G. FraGnito, Ricordo dell’ambasciatore Renato Prunas, «Nuova Antologia», ottobre 1959, fasc. 1906, pp. 225-234; P. Quaroni, Il mondo di un ambasciatore, cit., pp. 315-321; P. PaStorelli, La ricostruzione della diplomazia, estratto; G. Borzoni, Renato Prunas diplomatico (1892-1951), Soveria Mannelli, 2004; r. Manzini, Come nacque il riconoscimento sovietico del governo Badoglio, «Nuova Antologia», 2005, fasc. 2235, pp. 317-350; M. Serra, Una Rapallo nel Regno del Sud? “La svolta tra Brindisi e Salerno”, ibidem, pp. 257-316. 5 Sulla personalità politica di De Gasperi e le direttive della sua azione internazionale fonte fondamentale sono i volumi de I Documenti Diplomatici Italiani, serie X, vol. 2-10, serie XI, vol. 1-3. Fra la letteratura storica ricordiamo: P. CraVeri, De Gasperi, Bologna, 2007; F. MalGeri, De Gasperi. Volume II. Dal fascismo alla democrazia (1943-1947), Soveria Mannelli, 2009; P. l. Ballini, De Gasperi. Volume III. Dalla costruzione della democrazia alla “nostra patria europea” (1948-1954), Soveria Mannelli, 2009; P. PaStorelli, La politica estera italiana del dopoguerra, Bologna, 1987; id., Il ritorno dell’Italia nell’Occidente. Racconto della politica estera italiana dal 15 settembre 1947 al 21 novembre 1949, Milano, 2009; a. VarSori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, Bari-Roma, 1998; id., a cura di, La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), Milano, 1993; id., La politica estera italiana negli anni della Guerra Fredda. Momenti e attori, Padova, 2005; id., La Cenerentola d’Europa? L’Italia e l’integrazione europea dal 1947 ad oggi, Soveria Mannelli, 2010; l. riCCardi, Il “problema Israele”. Diplomazia italiana e PCI di fronte allo Stato ebraico (1948-1973), Milano, 2006; e. di nolFo, La Guerra Fredda e l’Italia 1941-1989, Firenze, 2010; G. ForMiGoni, La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale (1943-1953), Bologna, 1996; e. di nolFo, r. h. rainero, B. ViGezzi, a cura di, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945-50), cit.; id., L’Italia e la politica di potenza in Europa (1950-1960), Milano, 1992; B. BaGnato, Storia di un’illusione europea. Il progetto di unione doganale italo-francese, London, 1995; l. nuti, L’esercito italiano nel secondo dopoguerra, 1945-1950, Roma, 1989; G. roSSi, L’Africa italiana verso l’indipendenza (1941-1949), Milano, 1980; j. e. Miller, The United States and Italy 1940-1950. The Politics and Diplomacy of Stabilization, Chapel HillLondon, 1986; d. Preda, La battaglia per la Ced e la Federazione europea, Milano, 1990; M. PizziGallo, a cura di, L’Italia e il Mediterraneo orientale 1946-1950, Milano, 2004. 50 LUCIANO MONZALI ebbe il merito di riorganizzare il Ministero degli Affari Esteri dopo il tracollo del settembre 1943 e di renderlo una struttura burocratica in possesso di compattezza, spirito di corpo e intraprendenza: Prunas – ha ricordato uno dei suoi collaboratori più giovani in quegli anni, Roberto Gaja –, allora cinquantaduenne, era un sardo biondo, dall’aspetto vagamente anglosassone, apparentemente freddo, con una voce bassa e quasi velata, che spesso era difficile cogliere. In certi momenti si sarebbe detto un romantico; in altri, sembrava passare di colpo ad un linguaggio, a dir poco, estremamente realistico. A Brindisi (prima capitale del Regno del Sud) trovò che il ministero degli Esteri era costituito da due stanze nella prefettura, divenuta sede del governo. Vi trovò, anche, poco più di una decina di colleghi più giovani, uniti tutti dal fatto di aver passato avventurosamente le linee per sottrarsi all’occupazione tedesca. […] Bisognava proprio ricominciare tutto da capo. Occorreva ridare all’Italia una sua voce nel momento in cui si decidevano, in tante differenti sedi, cento problemi che ne avrebbero determinato la sorte per almeno una generazione. Si trattava, come usava dire lo stesso Prunas, di «reinserire» l’Italia nella società tradizionale e di collocarla nelle prospettive del nuovo ordine cui il mondo si sarebbe ispirato. Compito difficile e con poche speranze. […] In questo mutevole scenario, la posizione di Prunas fu determinante per la parte italiana. Non soltanto in quel momento, ma anche nei successivi due anni, Prunas fu al centro della ricostruzione di una nostra politica estera. […] Egli, nell’indifferenza quasi generale di allora per la politica estera e nello scetticismo sui suoi risultati, costruì poco a poco le premesse da cui emersero le posizioni dell’Italia futura. […] Raramente risultati così notevoli furono ottenuti con così pochi mezzi6. Non si può non rimarcare l’importanza della segreteria generale di Prunas nella storia della diplomazia italiana. Essa costituì il momento di rifondazione e l’inizio di un lento rinnovamento spirituale e politico del corpo diplomatico, che, con fatica e qualche ritardo, cominciò a liberarsi dalle scorie dell’esperienza fascista. La lettura della documentazione diplomatica italiana mostra la capacità di Prunas di creare entusiasmo e dedizione fra i suoi collaboratori e colleghi, compattando un gruppo di funzionari nel raggiungimento di obiettivi comuni. Fra il 1943 e il 1946, Prunas raccolse intorno a sé e selezionò un gruppo di diplomatici, anziani e giovani (Vittorio Zoppi, Gastone Guidotti, Alberico Casardi, Vittorio Castellani Pastoris, Umberto Grazzi, Gian Luigi 6 r. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare, cit., pp. 58, 66. Sulle vicende della diplomazia italiana dopo l’8 settembre: G. BruSaSCa, a cura di, Il Ministero degli Affari Esteri al servizio del popolo italiano (1943-1949), cit.; M. ConCiatori, 1943: la diplomazia italiana dopo l’8 settembre. I diplomatici italiani di fronte alle conseguenze dell’annuncio dell’armistizio, «Storia delle relazioni internazionali», 1990, pp. 199-234; e. di nolFo, M. Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Bari-Roma, 2010. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 51 Milesi Ferretti, Luigi Vidau, Roberto Gaja, Raimondo Manzini) che avrebbero avuto, chi più chi meno, un ruolo importante nella politica estera italiana dei decenni successivi. Un momento interessante della storia della diplomazia di quegli anni fu, a partire dal 1944, l’immissione di politici antifascisti nel corpo diplomatico in posizioni di rilievo. La forte identificazione della diplomazia con il regime mussoliniano obbligò il governo di Roma a nominare alcune personalità politiche come ambasciatori e a inviarle nella maggior parte delle sedi all’estero più importanti: ricordiamo fra queste, Nicolò Carandini7, Alberto Tarchiani8, Egidio Reale, Ambrogio Donini9, Mario Augusto Martini, Tommaso Gallarati Scotti10, Manlio Brosio11, Sergio Fenoaltea12. Fu, in particolare, De Gasperi, ministro degli Esteri fra il 1944 e il 1946, a insistere per queste nomine, ripartite in quote fra i partiti governativi, che suscitavano forti opposizioni da parte dei funzionari di carriera13. L’obiettivo era chiaramente mostrare la discontinuità della politica estera italiana post-fascista rispetto a quella dell’epoca mussoliniana inviando nelle principali capitali uomini non compromessi con il regime di Mussolini. Se naturalmente le capacità professionali e tecniche di alcuni di questi nuovi diplomatici di nomina politica lasciarono talvolta a desiderare, nondimeno essi contribuirono a dare un’immagine diversa della diplomazia italiana e facilitarono un miglior collegamento fra la carriera e la nuova Italia politica postfascista che si stava affermando. Alla fine del 1946 l’arrivo di Pietro Nenni alla guida di Palazzo Chigi provocò la sostituzione di Prunas alla segreteria generale, in quanto l. riCCardi, a cura di, Nicolò Carandini il liberale e la nuova Italia 1945-1953, Firenze, 1993. 8 a. tarChiani, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano, 1955; id., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington 1954, Soveria Mannelli, 2006. 9 a. donini, Sessant’anni di militanza comunista, Milano, 1988. 10 t. Gallarati SCotti, Memorie riservate di un ambasciatore 1943-1951, Milano, 2009. 11 Sulla figura di Manlio Brosio: M. BroSio, Diari di Mosca 1947/1951, Bologna, 1986; id., Diari di Washington 1955-1961, Bologna, 2008; id., Diari di Parigi 1961-1964, Bologna, 2009; F. BaCChetti, Ritratto di Manlio Brosio, «Affari Esteri», 1980, n. 45, pp. 106-124; id., Attraverso mezzo secolo. Memorie di un testimone dalla politica italiana alla diplomazia internazionale, Bologna, 1988, in particolare p. 205 e ss.; M. de leonardiS, Manlio Brosio a Mosca e la scelta occidentale, in e. di nolFo, r. h. rainero, B. ViGezzi, a cura di, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945-50), cit., pp. 123-151; F. deMi, Dalla neutralità all’atlantismo. La parabola diplomatica di Manlio Brosio, «Nuova Storia Contemporanea», 2002, n. 2, p. 59 e ss.; e. Serra, Manlio Brosio, in id., Professione: Ambasciatore d’Italia, cit., p. 42 e ss. 12 S. Fenoaltea, Italia, Europa, America, Milano, 1980. Alcune informazioni sull’attività diplomatica di Sergio Fenoaltea in: F. Varriale, La politica estera italiana e la Cina durante la guerra civile fra Kuomintang e comunisti (1945-1949), «Mondo contemporaneo», 2009, n. 1, pp. 5-44. 13 a. CaGiati, I sentieri della vita. Ricordi di un diplomatico, Roma, 1990, p. 62. 7 52 LUCIANO MONZALI il politico socialista, diffidente verso i trascorsi fascisti e i sentimenti monarchici di molti diplomatici, aveva l’ambizione di procedere ad un profondo rinnovamento del Ministero degli Affari Esteri, e di dare un’impronta più spiccatamente antifascista all’azione internazionale dell’Italia, ad esempio guidando la lotta diplomatica contro la Spagna franchista14. Ma il rinnovamento nenniano fu, in realtà, una tempesta in un bicchier d’acqua. Nenni rimase a Palazzo Chigi pochi mesi, per essere sostituito da Carlo Sforza15, ex diplomatico di carriera e già ministro degli Esteri nel 1920-1921, che sarebbe restato ministro fino al luglio 1951. Il periodo di Sforza ministro degli Esteri coincise con anni importanti e appassionanti per la società italiana e anche per la diplomazia, che s’impegnò con determinazione e calore per aiutare la classe dirigente repubblicana nello sforzo di riabilitare il Paese sul piano internazionale e d’inserirlo nel blocco economico-politico occidentale guidato dagli Stati Uniti che si venne a costituire a partire dal 1946. Sforza, in grande sintonia con il presidente del Consiglio De Gasperi, guidò la diplomazia italiana da tecnico, più come ex diplomatico che come politico, guardando soprattutto alle competenze e alle capacità professionali dei singoli. Sforza si concentrò su alcune grandi questioni internazionali (integrazione europea, rapporti con gli Stati Uniti, relazioni con la Jugoslavia, questione delle ex colonie africane) lasciando al segretario generale l’amministrazione ordinaria e la gestione degli altri dossier. Il ministro toscano cercò di usare al meglio il personale diplomatico a sua disposizione, valorizzando personalità fino a quel momento sottovalutate o trascurate e lanciando alcuni giovani talenti, a. CanaVero, Nenni, i socialisti italiani e la politica estera, in e. di nolFo, r. h. raineB. ViGezzi, a cura di, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945-50), cit., pp. 223-251; P. nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Milano, 1981; d. ardia, Il rifiuto della potenza: il partito socialista italiano e la politica di potenza in Europa (1943-1950), in e. di nolFo, r. h. rainero, B. ViGezzi, a cura di, L’Italia e la politica di potenza in Europa (1945-50), cit., p. 253 e ss.; a. VarSori, Bevin e Nenni (ottobre 1946-gennaio 1947). Una fase dei rapporti anglo-italiani del secondo dopoguerra, «Il Politico», 1984, n. 2, p. 247 e ss.; o. Barié, Da Nenni a Sforza: Un tornante della politica estera italiana?, in a. MiGliazza, e. deCleVa, Diplomazia e storia delle relazioni internazionali. Studi in onore di Enrico Serra, Milano, 1991, p. 525 e ss. 15 Su Carlo Sforza: C. SForza, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, 1944; id., Jugoslavia. Storia e ricordi, Milano-Roma, 1948; l. zeno, Carlo Sforza. Ritratto di un grande diplomatico, Firenze, 1999; l. Monzali, Italiani di Dalmazia 1914-1924, Firenze, 2007, p. 191 e ss.; l. MiCheletta, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra 1919-1922, Roma, 1999, I, p. 191 e ss.; G. Giordano, Carlo Sforza. I. La diplomazia 1896-1921, Milano, 1987, id., Carlo Sforza. II. La politica 1922-1952, Milano, 1992; G. Guidotti, Un ricordo di Carlo Sforza, «Affari Esteri», 1972, n. 15, pp. 78-84; a. VarSori, Gli Alleati e l’emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Firenze, 1982; id., Carlo Sforza nella politica italiana, in G. Berti, e. CaPozzi, P. CraVeri, I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica vol. II, Soveria Mannelli, 2010, pp. 149-160. 14 ro, MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 53 come, ad esempio, Mario Mondello, suo capo di gabinetto, e Raimondo Manzini. Molti dei suoi più stretti collaboratori al Ministero (Vittorio Zoppi, Gastone Guidotti, Vittorio Castellani Pastoris, Umberto Grazzi, Gian Luigi Milesi Ferretti, Luigi Vidau), erano diplomatici dell’epoca fascista e facevano parte del gruppo di funzionari che aveva coadiuvato Prunas dopo il 1943; Sforza mantenne ai vertici del Ministero questo gruppo di funzionari e lo valorizzò: fu, in ogni caso, merito di Sforza la definitiva ascesa professionale di Gastone Guidotti16, uno dei diplomatici italiani di maggiore talento nel secondo dopoguerra, nominato nel 1948 direttore generale degli affari politici, e la valorizzazione di Attilio Cattani, uomo di grande competenza sul piano delle relazioni economiche internazionali. Nel periodo Sforza emerse definitivamente come deus ex machina del Ministero degli Affari Esteri Vittorio Zoppi, direttore generale degli affari politici con Prunas e poi dal 1948 segretario generale, carica che avrebbe mantenuto fino al 1954. Nato a Novara nel 189817, figlio di un generale, ufficiale dell’esercito durante la prima guerra mondiale, entrato in diplomazia nel 1923, negli anni Trenta Zoppi era stato uno degli esperti di questioni africane in seno al Ministero degli Affari Esteri, stretto collaboratore di Giovanni Battista Guarnaschelli, capo dell’Ufficio che seguiva i problemi dell’Africa settentrionale e orientale e protagonista delle vicende diplomatiche che avevano portato alla conquista italiana dell’Etiopia. Funzionario serio e competente, grande lavoratore, appassionato difensore della presenza italiana in Africa, Zoppi riuscì a conquistare la stima di Prunas, De Gasperi e Sforza divenendo l’autentico motore del Ministero degli Affari Esteri fra il 1948 e il 1954 e svolgendo al suo interno un ruolo paragonabile a quello avuto da Salvatore Contarini nella prima metà degli anni Venti18. La lettura della documentazione diplomatica attesta l’abilità di Zoppi nel fare da elemento di connessione e sintesi fra leader politici, dirigenti del Ministero e principali ambasciatori all’estero. Con la segreteria generale di Zoppi si tornò all’antica prassi della diplomazia dell’epoca liberale (abbandonata progressivamente in periodo fascista) di consultare e fare partecipare i principali ambasciatori all’estero al processo decisionale della politica estera italiana: il segretario generale fu così in grado di valorizzare al massimo le doti d’intelligenza politica e di finezza analitica dei migliori diplomatici di quegli anni, in particolare 16 r. Gaja, Ricordo di Gastone Guidotti, «Affari Esteri», 1982, n. 54, pp. 139-140; C. Chelli, Un ricordo di Gastone Guidotti, «Affari Esteri», 1982, n. 55, pp. 356-360. 17 MiniStero deGli aFFari eSteri, Annuario diplomatico del Regno d’Italia 1926, Roma, 1926, p. 364. 18 Sulla figura di Zoppi, poco studiata, alcune annotazioni in P. PaStorelli, Il ritorno dell’Italia nell’Occidente, cit. 54 LUCIANO MONZALI di Pietro Quaroni, ambasciatore a Mosca fra il 1944 e il 1946 e a Parigi dal 1947 al 1958, pensatore e analista di politica internazionale lucido e realista, che svolse nella politica estera italiana di quegli anni un ruolo importante, simile per certi versi a quello ricoperto da Costantino Nigra nei primi decenni dell’Italia liberale19. Il periodo Sforza al Ministero degli Affari Esteri, comunque, è l’epoca in cui assistiamo anche al ritorno ai vertici della diplomazia di personalità di primo piano della politica estera fascista. Massimo Magistrati, amico e cognato di Galeazzo Ciano20, per molti anni attivo a fianco di Attolico nella Berlino nazionalsocialista degli anni Trenta ed entusiasta esecutore della politica mussoliniana di avvicinamento alla Germania di Hitler, fu riammesso in carriera e nominato responsabile del piano ERP (European Recovery Program) presso il Ministero nel 194921; negli anni successivi il piemontese Magistrati, grazie ai suoi stretti rapporti con Giuseppe Pella, diventò direttore generale degli affari politici. Leonardo Vitetti e Luca Pietromarchi, fra i massimi dirigenti del Ministero degli Affari Esteri dell’epoca Ciano, pure riemersero e conquistarono ruoli di protagonisti nella diplomazia italiana alla fine degli anni Quaranta. Vitetti, già giornalista de «L’Idea Nazionale», entrato in diplomazia nel 192322, per molti anni direttore degli affari generali del Ministero degli Affari Esteri, ma sposato con una statunitense e in buoni rapporti con gli ambienti politici americani, con Sforza divenne membro della delegazione italiana presso l’ONU, dove, dopo l’ingresso dell’Italia nell’Organizzazione nel 1955, sarebbe stato ambasciatore italiano23. Luca Pietromarchi, colui che aveva guidato l’azione diplomatica italiana nel corso della guerra civile spagnola e aveva dettato le direttive della politica balcanica dell’Italia fascista, a partire dal 1948 superò l’epurazione e ritornò nella carriera diplomatica e, dopo aver seguito vari negoziati economici per il Ministero, fu nominato ambasciatore italiano in Turchia e poi in Unione Sovietica24. Il riemergere di queste personali- Su Costantino Nigra e il suo ruolo nella diplomazia italiana: r. Mori, La questione romana 1861-1865, Firenze, 1963; id., Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma, 1967; l. Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze, 2004. 20 G. B. Guerri, Galeazzo Ciano, Milano, 1985, p. 114 e ss. 21 Sull’attività di Magistrati in seno al Ministero degli Affari Esteri alla fine degli anni Quaranta: DDI, XI, 3, d. 442. 22 MiniStero deGli aFFari eSteri, Annuario diplomatico del Regno d’Italia 1926, cit., p. 361. 23 e. Serra, Leonardo Vitetti, in id., Professione: Ambasciatore d’Italia, cit., pp. 185-196. 24 Così nel gennaio 1949 Ernesto Rossi descrisse in termini negativi il ritorno di Pietromarchi ai vertici del Ministero degli Affari Esteri: «Sforza non è nazionalista, ma si lascia mettere nel sacco dai suoi collaboratori che sono stati quasi tutti educati alla scuola di Ciano e di Mussolini. (Ti darò un esempio: il braccio destro di Campilli per l’ERP è quel Pietro19 MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 55 tà, esponenti di rilievo dell’Italia mussoliniana, si spiega certamente con la loro abilità nell’intrecciare rapporti di collaborazione con la nuova classe dirigente repubblicana. Ma questi diplomatici ex fascisti – capaci professionalmente, esperti, disincantati – erano anche in possesso di competenze e di una conoscenza della politica internazionale di cui il nuovo establishment postfascista italiano, in particolare la Democrazia Cristiana, spesso molto provinciale, aveva un disperato bisogno25. E ciò indubbiamente facilitò il loro reinserimento nell’Italia postfascista, per tanti aspetti figlia di quella fascista. Mario Toscano ebbe la capacità d’integrarsi con abilità negli ambienti diplomatici italiani, con i quali, peraltro, fin dagli anni Trenta aveva avuto rapporti, seppur sporadici, sfruttando anche i legami personali che possedeva con alcuni esponenti del mondo politico. Strettamente legato a Einaudi, divenuto presidente della Repubblica nel 1948, benvoluto e stimato da De Gasperi, da Sforza, dal sottosegretario Giuseppe Brusasca e da Zoppi, in pochi anni Toscano fu capace di conquistare influenza nel Ministero degli Affari Esteri, diventando, all’inizio degli anni Cinquanta, capo dell’Ufficio Studi e poi del Servizio Studi26. Progressivamente il Servizio Studi conquistò nel processo decisionale di Palazzo Chigi un rilievo e un’influenza inediti. Toscano intuì che il Servizio Studi poteva essere estremamente utile alla diplomazia italiana sia come strumento di promozione dell’immagine del Ministero e della politica estera italiana27, sia come centro di elaborazione intellettuale, marchi, della nobiltà più nera di Roma, grande amico di Ciano, che fu l’anima dell’impresa fascista in Spagna e che preparò il documento, pubblicato su tutti i giornali con il suo nome, subito prima dell’entrata in guerra dell’Italia, per dimostrare le malefatte dell’Inghilterra contro il nostro Paese. Dopo la liberazione Pietromarchi fu uno dei pochissimi funzionari mandati a casa senza pensione. È stato poi riammesso nel suo grado. Gli hanno dato non so quanti milioni di arretrati ed ora è uno dei pezzi più grossi del Ministero degli Affari Esteri. In pratica tutti i rapporti con gli stranieri per l’ERP li tiene lui, perché Campilli non sa una parola d’inglese e mastica male il francese… Questo non è un caso eccezionale; rappresenta la regola)»: Rossi a Salvemini, 11 gennaio 1949, in e. roSSi, G. SalVeMini, Dall’esilio alla Repubblica. Lettere 1944-1957, Torino, 2004, p. 418. 25 Sul problema del rapporto e del ruolo dei diplomatici ex fascisti nella politica estera italiana nel secondo dopoguerra si vedano anche le riflessioni di a. VarSori, Continuità e discontinuità nella diplomazia italiana, in u. de SierVo, S. Guerrieri, a. VarSori, La prima legislatura repubblicana. Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, Roma, 2004, I, pp. 155-171, ora riedito in a. VarSori, La politica estera italiana negli anni della Guerra Fredda, cit., p. 23 e ss. Utile pure B. BaGnato, Le cas du Ministère des Affaires étrangères italien après la Deuxième Guerre mondiale, in e. du réau, Europe des élites? Europe des peuples? La construction de l’espace européen 1945-1960, Paris, 1998. 26 Al riguardo la testimonianza di Riccardo Monaco all’autore e a Luca Micheletta, 11 gennaio 1995, Roma. Sui rapporti fra Monaco e Toscano alcuni accenni in r. MonaCo, Memorie di una vita: Memorie per l’Europa, Roma, 1996. 27 Si vedano le pubblicazioni dell’Ufficio Studi del Ministero degli Affari Esteri, nella 56 LUCIANO MONZALI nonché punto di contatto e d’incontro fra la classe politica e i diplomatici. Grazie a tale posizione in seno al Ministero degli Affari Esteri, che gli consentiva d’intrecciare forti rapporti personali con i massimi diplomatici e dirigenti politici, Toscano cominciò progressivamente a svolgere non solo un’attività di consulente storico ma anche compiti politico-diplomatici28. Nelle sue memorie I Capintesta29 Roberto Ducci ha descritto il ruolo che Toscano conquistò progressivamente in seno al Ministero degli Affari Esteri come quello di un suggeritore, di un’eminenza grigia, che «ricordava, sotto molti aspetti, il famoso Geheimrat (consigliere segreto) della Germania di Guglielmo II, von Holstein»: Quale è la molla interna che li spinge e che conduce le loro imprese al successo? Non il desiderio di fama, perché preferiscono restare nell’ombra; non i segni del potere, che non si ottengono se non volendolo; non gli onori mondani, che è più soddisfacente rifiutare. Credo che questi uomini abbiano fatto la giusta scelta esistenziale: hanno scartato le strade che non erano nati per percorrere, rinunziato all’esteriorità e alle sue pompe, perseguendo la meta di “essere dentro le cose”, e soddisfacendosi nella certezza di averle spinte nel senso voluto30. Il momento che consentì a Toscano di mettersi in mostra si ebbe in occasione della travagliata ratifica del trattato di pace italiano. Il trattato fu percepito da molti come una pace ingiusta, dura e punitiva per l’Italia. La discussione parlamentare del trattato scatenò polemiche ed attacchi al governo con inviti a rifiutare la firma e la ratifica. Lo stesso capo dello Stato, De Nicola, si mostrò reticente ad autorizzare la firma del trattato di pace. Toscano ebbe un ruolo significativo fra coloro che convinsero il politico napoletano ad assecondare la volontà del governo e ad accettare la firma del trattato di pace31. preparazione delle quali Toscano ebbe un ruolo importante: G. BruSaSCa, a cura di, Il Ministero degli Affari Esteri al servizio del popolo italiano (1943-1949), cit.; MiniStero deGli aFFari eSteri, uFFiCio Studi, Il contributo italiano nella guerra contro la Germania, Roma, 1946. 28 Tracce della sua attività in quegli anni, ad esempio, in: DDI, XI, 1, d. 446; ASMAE, AP 1950-1957, Ufficio II-Trieste, b. 640, M. lanza, M. toSCano, Storia della questione triestina, ottobre 1953; G. C. re, Fine di una politica. Momenti drammatici della democrazia italiana, Bologna, 1971, p. 180 e ss. L’unica testimonianza diretta di Toscano sugli inizi della sua attività al Ministero degli Affari Esteri è l’articolo M. toSCano, Ricordo della ratifica del Trattato di pace, «Nuova Antologia», 1967, fasc. 2001, p. 3 e ss. Si veda anche l. einaudi, Diario 1945-1947, Bari-Roma, 1993, pp. 673-676. 29 r. duCCi, I Capintesta, cit. 30 Ivi, p. 275. 31 M. toSCano, È esistita, per la ratifica del trattato di pace, un’apposita norma costituzionale?, in aa.VV., Studi per il Ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente. I. La Costituente e la democrazia italiana, Firenze, 1969, pp. 825-837; M. toSCano, Ricordo della ratifica del Trattato di pace, cit. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 57 Già nel 1947 Toscano aveva conquistato un suo ruolo in seno al Ministero degli Affari Esteri, apprezzato da De Gasperi e dal suo uomo di fiducia a Palazzo Chigi Vittorio Zoppi. Una testimonianza di questa partecipazione di Toscano all’azione diplomatica dei governi De Gasperi l’abbiamo in una lettera che lo storico piemontese scrisse a Einaudi a nome di Zoppi il 21 giugno 1947, chiedendo l’aiuto dell’economista per delineare una politica italiana verso il Piano Marshall: Caro Professore, il Ministro Zoppi, Direttore degli Affari Politici, mi ha incaricato di trasmetterle alcune sue idee intorno al piano Marshall sull’Europa, che, invece di esporle a voce, per farle perdere il minor tempo possibile, le riassumo per iscritto. Ecco di che si tratta: L’iniziativa americana desta qualche preoccupazione. La Gran Bretagna, per varie ragioni che la obbligano a non scordarsi anche della sua appartenenza al sistema imperiale della Commonwealth, ha finito sostanzialmente per lasciare un ruolo direttivo alla Francia. Noi ci siamo finora limitati a chiedere una posizione di uguaglianza nelle discussioni fin dall’inizio, ma, in realtà, non abbiamo idee precise. Ove fossimo ammessi e le nostre richieste fossero accolte, cosa diremmo? A parte le probabilità o meno che la nostra domanda venga accettata, importa soprattutto manifestare qualche idea geniale e costruttiva, la quale contenga un contributo originale italiano alla soluzione dei problemi europei sollevati dall’iniziativa di Marshall. Anche se queste idee dovessero venire assorbite non come italiane, ciò non avrebbe importanza per la fase iniziale. Ci sarebbe poi tempo, in seguito, per rivendicarne la paternità. Ma appare urgente ed utile fare qualche cosa. Le idee al Ministero non sono chiare. Il Ministro Zoppi ricorda i suoi studi sull’argomento fatti in Svizzera, pertanto confida ch’essi potrebbero darle lo spunto per qualche idea costruttiva, geniale, italiana. Insomma, quel colpo d’ala che, meglio di ogni altra considerazione, ci desse diritto di interloquire sulla sostanza del vitale problema. Il conte Zoppi, nel pregarla di rivolgere la sua attenzione su tale argomento, auspicherebbe soprattutto un suo scambio di idee in proposito col conte Sforza. Naturalmente sarà lieto di parlarne anche con lei quando non le sarà di troppo disturbo il farlo, ma la prega vivamente di tenere presente la cosa col Ministro degli Esteri32. Mario Toscano fu un convinto sostenitore delle direttive della politica estera degasperiana, in particolare dell’adesione al blocco occidentale. Come ha ricordato Giovanni Spadolini, «Toscano era un “atlantico” sincero e convinto in quegli anni in cui l’atlantismo suscitava incomprensioni e resistenze profonde nel mondo intellettuale»33. Altra traccia della partecipazione di Toscano all’azione diplomatica italiana nel periodo dei governi De Gasperi riguarda la questione 32 33 FE, Carte einaudi, serie II, busta Toscano, Toscano a Einaudi, 21 giugno 1947. G. SPadolini, Sulla politica italiana, in M. toSCano, Corsivi, cit., p. 9. 58 LUCIANO MONZALI tunisina. Nel novembre 1951 il leader nazionalista indipendentista tunisino, Habib Bourghiba, si recò in Italia ed ebbe alcuni contatti con il governo di Roma. La diplomazia italiana, desiderosa di non irritare il governo francese, decise di avere rapporti non ufficiali con il leader nazionalista ed incaricò proprio Toscano di incontrare Bourghiba34. L’incontro si svolse nella residenza privata di Toscano a Roma il 9 novembre35. In parte come sviluppo della sua attività a Palazzo Chigi, Toscano fu incaricato dal Ministero di partecipare attivamente all’azione italiana in seno all’UNESCO e, come abbiamo visto, agli inizi degli anni Cinquanta fu nominato membro e segretario generale della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO36. Per vari anni Toscano fu uno dei principali animatori della sezione italiana dell’UNESCO37, gestendone la struttura amministrativa a Roma (con sede a Villa Lubin) e partecipando attivamente alle iniziative e all’attività dell’Organizzazione internazionale, ad esempio come membro della delegazione italiana alle conferenze generali dell’UNESCO38. Questa Organizzazione internazionale, avente sede a Parigi, ebbe in quegli anni una notevole importanza per la politica estera italiana. L’Italia, ancora esclusa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (dove sarebbe entrata solo alla fine del 1955) e percepita da molti Stati con diffidenza in quanto Potenza ex fascista, vedeva nella partecipazione attiva all’UNESCO un modo per 34 Al riguardo: B. BaGnato, Bourghiba in Italia nel 1951: decolonizzazione e alleanze italiane, «Storia delle relazioni internazionali», 1988, n. 1, pp. 395-416. Si veda anche id., Vincoli europei echi mediterranei. L’Italia e la crisi francese in Marocco e in Tunisia, Firenze, 1991, pp. 156-157. 35 Toscano disse a Bourghiba che per l’Italia, alleata della Francia, era difficile avere contatti diretti con il nazionalismo tunisino, ma che comunque Roma aveva comprensione ed interesse per il movimento del Neo-Destour. L’Italia era favorevole ad una progressiva indipendenza della Tunisia purché essa si realizzasse «gradualmente, senza spargimento di sangue, senza manifestazioni di xenofobia ed avendo di mira, oltre che l’indipendenza, anche la vera stabilità sociale e politica del paese, il che sarebbe stato nell’interesse di tutti quanti ed in particolare anche delle Potenze mediterranee»: Resoconto del colloquio Bourghiba-Toscano, 13 novembre 1951, citato in B. BaGnato, Bourghiba in Italia nel 1951: decolonizzazione e alleanze italiane, cit., p. 404. 36 Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo, Roma (d’ora in poi IS), Archivio privato di Vittorino Veronese (d’ora innanzi Carte VeroneSe), b. 21, Toscano a Veronese, 30 aprile 1953, 12 febbraio 1954, 26 settembre 1956. 37 Sull’azione italiana all’UNESCO: l. MediCi, Aspetti e momenti della partecipazione italiana all’UNESCO, cit.; id., Dalla propaganda alla cooperazione. La diplomazia culturale italiana nel secondo dopoguerra (1944-1950), cit. 38 Ad esempio, Toscano partecipò alla quinta Conferenza generale dell’UNESCO che si svolse a Firenze nel maggio e giugno 1950. Lo storico partecipò pure all’VIII Assemblea dell’UNESCO che si tenne a Montevideo nel novembre e dicembre 1954: l. MediCi, Dalla propaganda alla cooperazione, cit.; «Informazioni Culturali», n. 1, 1955, a. VIII. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 59 facilitare il suo reinserimento nella Comunità internazionale e riconquistare prestigio mondiale. Inoltre molti esponenti politici italiani ritenevano che la cultura fosse uno strumento fondamentale su cui la nuova Italia postfascista dovesse puntare per rafforzare la propria azione e influenza internazionale. Pur integrata nel blocco occidentale, l’Italia repubblicana desiderava intrecciare rapporti di amicizia anche con i Paesi comunisti: la partecipazione all’UNESCO dava la possibilità di avere relazioni anche con quegli Stati da cui si era lontani politicamente e con i quali vi erano poche occasioni di contatto e confronto39. Mario Toscano, in particolare, credeva molto nell’importanza dei valori ideali e culturali nelle relazioni internazionali. A suo avviso, la cultura doveva essere uno degli strumenti primari della politica estera italiana, in particolare nei rapporti con gli Stati che avevano sistemi politici e sociali diversi e antagonisti con quello italiano. Lo storico piemontese mise l’accento sull’importanza per l’Italia di contribuire attivamente all’intensificazione delle relazioni culturali internazionali, partecipando alla preparazione dei progetti di convenzione sul diritto alla cultura e sui diritti umani40: chiaramente egli percepiva la cultura come strumento che l’Italia doveva usare per preservare o conquistare influenza in determinate regioni dell’Europa e del mondo. Lavorando nella sezione italiana per l’UNESCO Toscano divenne amico di Bartolomeo Migone, all’inizio degli anni Cinquanta direttore delle relazioni culturali al Ministero degli Affari Esteri, di Gian Franco Pompei41 e di Vittorino Veronese, politico cattolico veneto molto impegnato nell’UNESCO, di cui fu membro del Consiglio esecutivo (1952) e successivamente direttore generale (1958-1961)42. Altro campo dove le competenze di Toscano, non solo storico della diplomazia italiana, ma anche fine mente politica e giuridica, si rivelarono preziose fu la politica balcanica, in particolare le relazioni con la Jugoslavia. Il contenzioso confinario con Belgrado era un problema Al riguardo le riflessioni di G. Martino, Per la libertà e la pace, Firenze, 1957, pp. 20-21. IS, Carte VeroneSe, b. 21, Verbale della sottocommissione per le scienze sociali e giuridiche, Villa Massimo, Roma, 6 marzo 1952; ibidem, Riunione del Comitato di esperti per lo studio del diritto alla cultura, 18 settembre 1953; ibidem, Toscano a Veronese, 7 settembre 1953; ivi, b. 26, Toscano a Direzione generale relazioni culturali del Ministero degli Affari Esteri, a Veronese e a Pompei, 8 febbraio 1958. 41 Sull’attività di Pompei in relazione all’UNESCO: P. SCoPPola, Introduzione, in G. F. PoMPei, Un ambasciatore in Vaticano. Diario 1969-1977, Bologna, 1994, pp. 13-14; M. l. Paronetto Valier, L’Italia e l’UNESCO, cit., p. 256; e. Serra, Gian Franco Pompei, in e. Serra, Professione Ambasciatore d’Italia (volume secondo), Milano, 2001, p. 110 e ss. 42 Riguardo a Vittorino Veronese: l. MediCi, Neoatlantismo e cooperazione culturale internazionale: l’azione di Vittorino Veronese all’UNESCO, in a. GioVaGnoli, l. toSi, a cura di, Amintore Fanfani e la politica estera italiana, Venezia, 2010, pp. 352-365. 39 40 60 LUCIANO MONZALI cruciale della politica estera italiana di quegli anni43 e la rottura fra Tito e Stalin, con il conseguente avvicinamento della Jugoslavia al blocco occidentale, lo aveva reso di ancora più difficile soluzione. Il miglioramento delle relazioni italo-jugoslave avvenuto fra il 1948 e il 195044 si era infranto di fronte all’incapacità di risolvere la questione dei confini sul piano bilaterale. Nel corso del 1952 e 1953 la diplomazia jugoslava aveva intensificato i suoi rapporti con Stati Uniti e Gran Bretagna, sfruttando l’innegabile importanza che il governo di Belgrado aveva per gli occidentali in un’ottica anti-sovietica, e mettendo in difficoltà l’Italia. Il patto di amicizia fra Jugoslavia, Grecia e Turchia, concluso ad Ankara nel febbraio 195345 con il sostegno statunitense e senza il coinvolgimento dell’Italia, fu un chiaro campanello d’allarme. Il potenziamento internazionale del regime di Tito mostrò alla classe dirigente italiana i rischi che il procrastinarsi di una soluzione della questione di Trieste comportava. Le due zone del Territorio Libero di Trieste erano fuori dai confini italiani, la Zona B occupata dagli jugoslavi, la Zona A in mano agli anglo-americani. L’arroccarsi del governo di Roma sulla richiesta di un’applicazione della dichiarazione tripartita franco-angloamericana del 1948 e del completo passaggio di tutto il Territorio Libero di Trieste all’Italia stava diventando irrealistico in un contesto internazionale dove la Jugoslavia si rafforzava sempre più46. 43 Sui rapporti italo-jugoslavi dopo la seconda guerra mondiale: l. Monzali, La questione jugoslava nella politica estera italiana dalla prima guerra mondiale ai trattati di Osimo (1914-1975), in F. Botta, i. Garzia, a cura di, Europa adriatica. Storia, relazioni, economia, Bari-Roma, 2004, p. 36 e ss.; id., Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, PadovaVenezia, 2008, p. 407 e ss.; d. de CaStro, Il problema di Trieste. Genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952, Bologna, 1952, p. 64 e ss.; id., La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, 1981; j. B. duroSelle, Le conflit de Trieste 1943-1954, Bruxelles, 1966; j. PirjeVeC, Mosca, Roma e Belgrado (1948-1956), in M. Galeazzi, a cura di, Roma-Belgrado. Gli anni della guerra fredda, Ravenna, 1995, p. 85 e ss.; G. ValdeVit, La questione di Trieste 1941-1954. Politica internazionale e contesto locale, Milano, 1986; a. G. de’ roBertiS, Le grandi potenze e il confine giuliano 1941-1947, Bari, 1983; M. de leonardiS, La “diplomazia atlantica” e la soluzione del problema di Trieste (1952-1954), Napoli, 1992; r. PuPo, Fra Italia e Iugoslavia. Saggi sulla questione di Trieste (1945-1954), Udine, 1989; id., Guerra e dopoguerra al confine orientale d’Italia (1938-1956), Udine, 1999; M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale 1866-2006, Bologna, 2007; M. BuCarelli, La “questione jugoslava” nella politica estera dell’Italia repubblicana (1945-1999), Roma, 2008; r. WörSdörFer, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bologna, 2009; M. zuCCari, Il dito sulla piaga. Togliatti e il PCI nella rottura fra Stalin e Tito 1944-1957, Milano, 2008. 44 Al riguardo molto materiale documentario in DDI, XI, volumi 1, 2, 3. 45 Sulla genesi del patto greco-turco-jugoslavo di Ankara: Foreign Relations of the United States, (d’ora innanzi FRUS), Washington, 1861-, 1952-1954, VIII, dd. 306, 313, 324, 325, 326. 46 A tale proposito le riflessioni di M. de leonardiS, L’atlantismo dell’Italia tra guerra fredda, interessi nazionali e politica interna, in P. l. Ballini, S. Guerrieri, a. VarSori, Le MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 61 Dopo le elezioni parlamentari del 1953 e la formazione di un esecutivo guidato da Giuseppe Pella47, i vertici della diplomazia italiana, in particolare Vittorio Zoppi, cominciarono a premere sul governo di Roma per un mutamento di politica verso la questione di Trieste: Certe situazioni, se non si risolvono – dichiarò Zoppi in una riunione ministeriale alla fine dell’agosto 1953 –, marciscono. Qui Trieste rischia di far la fine di Tangeri. Rischia d’imbastardirsi. Le campagne resistono, le città no. Le campagne dell’Alto Adige sono rimaste tedesche ma Bolzano s’è italianizzata in sette anni. Ci vuol poco a balcanizzare Trieste. Gli alleati devono capirci48. Per evitare la progressiva jugoslavizzazione di Trieste o il rafforzarsi di un suo spirito separatista, bisognava puntare ad ottenere rapidamente il controllo della Zona A e obbligare Gran Bretagna e Stati Uniti a prendere sul serio le richieste italiane49. A tal fine occorreva drammatizzare la situazione. Da qui la decisione dei governi Pella e Scelba di porre al centro della propria politica estera la questione di Trieste50, di aggravare le relazioni con la Jugoslavia a partire dall’agosto 1953 e di obbligare gli anglo-americani ad impegnarsi per chiudere il contenzioso confinario italo-jugoslavo in un modo accettabile per Roma: ciò significava l’occupazione italiana della Zona A del Territorio libero di Trieste, che sarebbe stata di fatto la soluzione finale della controversia confinaria fra Italia e Jugoslavia; ma poiché l’opinione pubblica italiana non avrebbe accettato in quel momento la rinuncia alla dichiarazione tripartita del 1948, era opportuno rimandare ad un prossimo futuro istituzioni repubblicane dal centrismo al centro-sinistra (1953-1968), Roma, 2006, pp. 252271, in particolare pp. 254-255. 47 Sulla personalità politica di Pella: G. Fanello MarCuCCi, Giuseppe Pella un liberista cristiano, Soveria Mannelli, 2007. 48 P. e. taViani, I giorni di Trieste. Diario 1953-1954, Bologna, 1998, p. 22. Si veda anche id., Politica a memoria d’uomo, Bologna, 2002, p. 227 e ss. Paolo Emilio Taviani, all’epoca ministro della Difesa, concordava con l’analisi di Zoppi e così i più importanti esponenti della diplomazia italiana: «I nostri diplomatici – annotava Taviani il 14 settembre 1953 – sono concordi nel ritenere che, al punto in cui siamo, conviene all’Italia acquisire la città di Trieste e la zona A. Il tempo lavorerebbe contro di noi. Acquisire Trieste, ovviamente senza rinunciare a nulla in modo definitivo. La soluzione definitiva per l’Istria oggi è impossibile. Non si tratta di rinunciarvi, ma di rinviare a tempi migliori la soluzione definitiva dei confini. E intanto riacquisire la città di Trieste alla sua patria italiana, evitando il rischio della sua balcanizzazione. Concordano Zoppi e Quaroni, Magistrati e Grazzi. Anche Venturini, che per orientamento e mentalità non è certo un rinunciatario»: id., I giorni di Trieste. Diario 1953-1954, cit., p. 35. 49 j. B. duroSelle, Le conflit de Trieste, cit., p. 352 e ss. 50 Al riguardo le dichiarazioni di Pella e Zoppi all’ambasciatrice statunitense a Roma, Luce: FRUS, 1952-1954, VIII, Luce al Dipartimento di Stato, 4 settembre 1953, d. 95; ibidem, Luce al Dipartimento di Stato, 9 settembre 1953, d. 109. 62 LUCIANO MONZALI la formalizzazione giuridica della spartizione del Territorio libero fra Italia e Jugoslavia, limitandosi per il momento a creare una situazione di fatto51. Non è il nostro obiettivo ricostruire le varie fasi della chiusura della questione di Trieste – già studiata in modo approfondito da vari studiosi, fra i quali ricordiamo in particolare Alfredo Canavero52 e Massimo de Leonardis53 – che ebbe il suo esito finale, dopo negoziati segreti condotti a Londra54, il 5 ottobre 1954 quando fu siglato nella capitale britannica un memorandum che proclamava l’impossibilità di attuare gli articoli del trattato di pace italiano riguardanti il Territorio libero di Trieste e sanciva quindi il ritiro anglo-americano da Trieste, il passaggio del controllo della Zona A all’Italia e il riconoscimento del diritto jugoslavo di mantenere il possesso della Zona B, con Belgrado che otteneva anche piccole rettifiche territoriali a proprio favore55. Fra il 1953 e il 1954 Mario Toscano partecipò intensamente all’elaborazione della politica italiana verso la Jugoslavia e i Paesi balcanici. Ad esempio, in un appunto del marzo 1953 Toscano analizzò le prospettive della politica estera italiana di fronte al patto di Ankara. Un’eventuale adesione dell’Italia al patto balcanico avrebbe permesso al governo di Roma di partecipare alla formulazione della politica occidentale nei Balcani, prendendone eventualmente la direzione. Ma un’adesione al trattato di Ankara avrebbe anche inevitabilmente costretto l’Italia ad accettare le frontiere esistenti e ad abbandonare ogni revisionismo, assumendo poi obblighi militari aggiuntivi in una zona pericolosa del mondo56. Sempre nel marzo 1953 Mario Toscano denunciò i pericoli che 51 In tal senso le comunicazioni che Pella fece fare al comandante supremo delle forze alleate in Europa, Gruenther, nel settembre 1953: FRUS, 1952-1954, VIII, Gruenther a Eisenhower, 5 settembre 1953, d. 98. 52 a. CanaVero, La politica estera di Scelba, in P. l. Ballini, a cura di, Mario Scelba. Contributi per una biografia, Roma-Soveria Mannelli, 2006, pp. 324-359. 53 M. de leonardiS, La “diplomazia atlantica”, cit. 54 Interessante documentazione sui negoziati che portarono al memorandum di Londra in FRUS, 1952-1954, VIII, in particolare dd. 168, 174, 181, 197, 185, 197, 206, 282. Per una ricostruzione dei negoziati su Trieste nel 1954: j. C. CaMPBell, a cura di, Successful Negotiation: Trieste 1954. An Appraisal by the Five Participants, Princeton, 1976; M. de leonardiS, La “diplomazia atlantica”, cit., p. 393 e ss.; d. de CaStro, La questione di Trieste, cit., II, p. 769 e ss.; r. PuPo, Fra Italia e Jugoslavia, cit., p. 151 e ss.; Documents Diplomatiques Français (d’ora innanzi DDF), Paris, 1987-, 1954, d. 248, Note de la sous-direction d’Europe méridionale, Rôle de la France dans les négociations relatives à Trieste, 5 ottobre 1954. 55 Il testo del memorandum del 5 ottobre 1954 e dei suoi allegati in M. udina, Gli accordi di Osimo. Lineamenti introduttivi e testi annotati, Trieste, 1979, p. 132 e ss. 56 [M. toSCano], Appunto (Considerazioni sulle modalità di inserzione della Jugoslavia nel sistema difensivo atlantico), 17 marzo 1953, riprodotto in M. de leonardiS, La “diplomazia atlantica”, cit., p. 218. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 63 cominciavano ad alleggiare sull’indipendenza albanese e invitò l’Italia a tornare ad una politica di difesa dell’integrità territoriale dell’Albania contro le mire espansionistiche di jugoslavi e greci57. A parere di Toscano, con la vittoria dei repubblicani, teorici della politica della «liberazione» dei popoli oppressi dal comunismo, alle elezioni presidenziali statunitensi e con l’accrescimento del peso internazionale della Jugoslavia, la questione albanese era «improvvisamente entrata in una nuova fase dinamica»: le voci incontrollate di moti antigovernativi in Albania fatte circolare da Belgrado, le campagne di stampa americane, il disinteresse dei firmatari del patto di Ankara (che tutelava l’integrità territoriale delle parti contraenti) a fare aderire l’Albania a tale trattato, erano tutti elementi che facevano temere possibili mire espansionistiche greche o jugoslave contro Tirana. Secondo Toscano, era opportuno che l’Italia richiamasse l’attenzione dei principali governi occidentali sul fatto che qualsiasi menomazione dell’integrità territoriale dell’Albania: a) Comprometterebbe gravemente l’intera politica occidentale di attrazione degli Stati satelliti. Ove il passaggio dei Paesi comunisti nel mondo libero dovesse essere pagato con rinuncie territoriali in favore di altre Potenze balcaniche, Romania, Cecoslovacchia, Ungheria e Bulgaria sarebbero fortemente scoraggiate dal compiere un passo che presenta già per esse dei gravissimi rischi. Né, d’altra parte va taciuto che un simile comportamento di acquiescenza da parte di quelle stesse Potenze, le quali si sono astenute dall’applicare integralmente nei confronti di Belgrado la dichiarazione tripartita sul Territorio Libero di Trieste che pure era precedente alla rottura Tito-Cominform, riuscirebbe incomprensibile e discriminatorio. b) Potrebbe determinare ulteriori difficoltà nelle relazioni italo-jugoslave e come tale sarebbe in forte contraddizione con la linea di condotta finora caldeggiata da Washington, Londra e Parigi. Le attuali frontiere dell’Albania sono scaturite da un faticoso compromesso raggiunto da Roma con Vienna alla vigilia della prima guerra mondiale quando l’Austria-Ungheria rappresentava la nostra maggiore avversaria ed hanno felicemente superato la prova di ben due grandi crisi belliche. Una loro modificazione in favore della Jugoslavia farebbe di quest’ultima un’erede ancora più pericolosa dello stesso impero asburgico e non contribuirebbe certo a quella distensione tra Roma e Belgrado che i nostri alleati considerano di tanto interesse per la loro politica verso i satelliti dell’URSS ed in ultima analisi ridurrebbe notevolmente anche il valore della carte di Tito per l’Occidente. Né appare trascurabile la recente esperienza che ha visto fallire l’intesa italo-jugoslava del 1937 il giorno in cui l’equilibrio in Albania è stato rotto in favore di una sola delle due Potenze58. 57 ASMAE, AP 1950-1957, b. 654, M. toSCano, Considerazioni sulla questione albanese, 15 marzo 1953 (ringrazio Settimio Stallone per avermi gentilmente fornito copia di questo documento da lui rinvenuto negli archivi del Ministero degli Affari Esteri di Roma). 58 Ibidem. 64 LUCIANO MONZALI Mario Toscano fu fra coloro che spinsero con più decisione per una rapida chiusura della questione di Trieste, nella convinzione che il trascorrere del tempo lavorava contro l’Italia59. Secondo Toscano, la presa di possesso della Zona A, occupata dagli anglo-americani, in tempi rapidi avrebbe costituito un indubbio successo, impedendo un futuro peggioramento di una situazione territoriale e politica che con il passare degli anni avrebbe potuto avvantaggiare la Jugoslavia60. Toscano, quindi, condivise l’impostazione di Zoppi, Pella e Scelba sulla questione di Trieste ed i loro tentativi di drammatizzare le relazioni italo-jugoslave per obbligare le Potenze occidentali ad intervenire per garantire il passaggio della Zona A all’Italia. Toscano collaborò strettamente con Pella, Piccioni, Zoppi, Del Balzo, Casardi, Magistrati e Guidotti nell’elaborazione della strategia diplomatica italiana, spendendosi, poi, in prima persona per raccogliere consensi ad una linea politica apparentemente rinunciataria, che sconfessava le passate direttive degasperiane, ma che avrebbe garantito all’Italia il possesso concreto di Trieste. Qui entrò in gioco il legame personale con il presidente della Repubblica Einaudi, che Toscano convinse della giustezza della linea perseguita da Scelba e dalla diplomazia italiana: In quel periodo di tempo – ricordò Mario Toscano al giornalista Giulio Re – essendo io molto legato al presidente della Repubblica, gli misi in testa che bisognava ad ogni costo, dopo le esperienze fatte, andare a Trieste: era diventato un fatto inderogabile. E qui debbo dire che Einaudi proprio in quei giorni avocò a sé tutte le responsabilità del negoziato in corso. Senza questa iniziativa, è mio convincimento che non si sarebbe arrivati all’accordo, perché così facendo Einaudi alleggerì il presidente del Consiglio di ogni responsabilità61. Le memorialistica esistente62 e il carteggio fra Nicola Picella, segretario generale della Presidenza della Repubblica, ed Einaudi63 confermano l’attivismo del Capo dello Stato a favore della chiusura della questione di Trieste. Furono mesi difficili e gravosi per la diplomazia e per il governo italiano, che si dovevano confrontare con le resistenze di vasti settori della propria opinione pubblica alla rinuncia a rivendicare l’intero Territorio Libero di Trieste. Vi era, poi, in gioco la sorte di varie decine di migliaia di italiani istriani, che erano rimasti nella Zona B occupata dalla Jugoslavia sperando in una futura costituzione dello G. C. re, Fine di una politica, cit., pp. 180-184. Ivi, pp. 192-193. 61 Ivi, pp. 287-288. Sul rapporto Toscano-Einaudi anche: d. de CaStro, Memorie di un novantenne. Trieste e l’Istria, Trieste, 1999, p. 199. 62 P. e. taViani, I giorni di Trieste. Diario 1953-1954, cit. 63 FE, Carte einaudi, serie II, busta Nicola Picella, Picella a Einaudi, 30 agosto e 10 e 14 settembre 1954. 59 60 MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 65 Stato libero di Trieste o nell’annessione all’Italia. Il clima di quei mesi è ben descritto negli scritti memorialistici di alcuni dei protagonisti, Brosio64, Tarchiani65 e Taviani66. Il ministro degli Esteri Attilio Piccioni, già combattente nella prima guerra mondiale, preferì dimettersi dalla sua carica piuttosto che accettare il memorandum d’intesa sul Territorio Libero di Trieste67. Nell’estate del 1954, quando erano in corso i negoziati decisivi che avrebbero portato al memorandum di Londra, Toscano scrisse con calore a favore della chiusura del problema di Trieste sulla base della spartizione del Territorio Libero (Zona A e Zona B) fra Italia e Jugoslavia. Secondo Toscano, anche la sola presa di possesso di Trieste e della Zona A avrebbe costituito un indubbio successo. Il chiedere anche la restituzione della Zona B all’Italia, a parere di Toscano, era cattivo patriottismo e rischiava d’impedire il rapido ritorno dell’Italia a Trieste. Bisognava non dimenticare: a) Che, con l’andare del tempo, a meno di una gravissima e violenta crisi che potrebbe essere temerario augurarsi, la situazione non tende a migliorare a nostro favore. Solo in seguito a circostanze eccezionali e transitorie oggi potremmo ottenere ancora sostanzialmente quanto eravamo riusciti a strappare l’8 ottobre scorso. Domani avremmo sicuramente meno, come nel 1953 si poteva avere meno che nel 1950. b) Che l’estromissione di Tito dalla Zona B non potrebbe avere luogo che con la forza, mentre nessuno – noi compresi – è disposto a farvi ricorso; c) Che, pena la paralisi completa della nostra politica estera, non è possibile continuare a subordinare tutta la nostra azione nel campo internazionale ad una sola questione. È pertanto urgente riacquistare una maggiore elasticità di movimenti e ricominciare a fare un programma organico di politica estera il che sarà possibile solo dopo la liquidazione del problema di Trieste68. 64 M. BroSio, Diario di Manlio Brosio. La ricongiunzione di Trieste all’Italia, «Nuova Antologia», 1985, fasc. 2155, pp. 5-44. 65 a. tarChiani, Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington 1954, cit. 66 P. e. taViani, I giorni di Trieste. Diario 1953-1954, cit. 67 Il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Nicola Picella, così descrisse la posizione di Piccioni su Trieste: «Una certa qual preoccupazione desta l’atteggiamento di Piccioni, il quale, nel parlare stamani con Zoppi, ha ribadito che non avrebbe mai aderito alla soluzione del problema territoriale sulla base delle ultime richieste jugoslave. Piccioni, evidentemente, si considera vincolato alle dichiarazioni da lui rese innanzi alla commissione per gli affari esteri della Camera, dichiarazioni che sostanzialmente riproducevano quelle fatte nel giugno scorso da Saragat, il quale ebbe allora a dire che il governo non avrebbe accettato alcuna soluzione provvisoria che dovesse rappresentare un peggioramento rispetto a quella dell’8 dicembre 1953»: FE, Carte einaudi, serie II, busta Nicola Picella, Picella a Einaudi, 30 agosto 1954. 68 [M. toSCano], Settimane decisive, «Rivista di studi politici internazionali», 1954, n. 2, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 55-58, citazione p. 56. 66 LUCIANO MONZALI All’indomani del memorandum di Londra del 5 ottobre 1954, che consentì all’Italia di subentrare agli anglo-americani nell’amministrazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste, Toscano salutò positivamente l’evento. Certo, l’Italia era stata costretta a rinunce molto dolorose, «ma il governo italiano non poteva fare meglio ed ottenere di più»69. Essere contro il memorandum di Londra, a parere di Toscano, significava schierarsi «sostanzialmente contro il ritorno di Trieste all’Italia». Era poi positiva l’intesa perché poteva essere considerata il punto di partenza di una nuova politica dell’Italia verso la Jugoslavia e gli altri Paesi balcanici70. 2.2. Le relazioni internazionali nell’epoca atomica: l’equilibrio delle impotenze, la crisi degli imperi coloniali europei e la distensione Mario Toscano visse in prima persona gli sconvolgimenti che travolsero l’ordine politico internazionale negli anni Trenta e Quaranta. Nato in un’Europa che ancora si considerava il centro del mondo, dominatrice di gran parte del pianeta, nel giro di pochi anni egli assistette al tracollo del potere degli Stati europei, lanciatisi in una feroce guerra fratricida nutrita dalle ideologie nazionaliste estremiste e dai comunismi. Lo sconvolgimento degli equilibri di potere internazionali portò al ridimensionamento dell’influenza dei grandi Stati europei e all’ascesa di due nuove Potenze egemoni, una extraeuropea, gli Stati Uniti, l’altra euro-asiatica, l’Unione Sovietica. Altro evento sconvolgente prodotto dal conflitto mondiale fu il grande progresso della tecnologia militare con lo sviluppo di nuove terrificanti armi, le bombe atomiche. La crisi dell’alleanza fra le Potenze vincitrici della seconda guerra mondiale e il sorgere di una rivalità politica ed economica fra gli Stati Uniti e l’Unio- 69 [M. toSCano], Una soluzione impazientemente attesa, «Rivista di studi politici internazionali», 1954, n. 3, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 59-60, citazione p. 59. 70 Ibidem. Negli anni successivi Toscano ribadì che la sottoscrizione del memorandum dell’ottobre 1954 era stato un successo della politica estera dell’Italia: «L’accordo era difficile e complesso, e naturalmente solo la storia potrà giudicarlo in tutta la sua portata. Tenuto conto che il nostro Paese aveva subìto con il Trattato di pace condizioni onerose, se non ingiuste e ingiustificate sotto molti aspetti, una soluzione soddisfacente non si sarebbe potuta avere perché, ormai, in Europa le frontiere si potevano modificare soltanto con la forza, cioè con la guerra, e nessuno voleva la guerra. Quindi, entro questo quadro, bisogna riconoscere che l’andata a Trieste rappresentava qualche cosa di fondamentale: era la realizzazione di uno di quegli obiettivi per cui avevamo fatto la prima guerra mondiale e che la seconda aveva calpestato. Ci avevano privati di Zara, Pola, Fiume, nomi carissimi alle nostre memorie di italiani; ma Trieste era assolutamente irrinunciabile»: G. C. re, Fine di una politica, cit., pp. 287-288. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 67 ne Sovietica in Europa e in Asia orientale a partire dal 194771 gettò vasti settori delle opinioni pubbliche europee nel panico. L’imbarbarimento dei conflitti militari e politici, tragicamente manifestatosi nel corso della guerra, fece temere che le classi dirigenti delle due nuove Potenze mondiali fossero pronte ad usare in modo spietato e crudele gli armamenti di tipo nucleare (che, a partire dal 1949, anche l’Unione Sovietica aveva a propria disposizione) pur di affermare il proprio predominio72. All’inizio degli anni Cinquanta Mario Toscano cominciò a riflettere sui problemi fondamentali del sistema politico internazionale e pubblicò a tale riguardo una serie di articoli in Italia e all’estero73. Con questi 71 Circa le origini della cosiddetta Guerra Fredda fra gli Stati Uniti, le Potenze europee occidentali e l’Unione Sovietica e la divisione del continente europeo in due blocchi contrapposti: G. F. Kennan, Memoirs 1925-1950, Boston, 1967, p. 271 e ss.; j. l. GaddiS, The United States and the Origins of the Cold War, New York, 1972; id., The Long Peace. Inquiries into the History of the Cold War, Oxford-New York, 1987; id., La guerra fredda: rivelazioni e riflessioni, Soveria Mannelli, 2002; e. di nolFo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, 1994; C. Pinzani, Da Roosevelt a Gorbaciov. Storia delle relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel dopoguerra, Firenze, 1990; F. Bettanin, Stalin e l’Europa. La formazione dell’impero esterno sovietico (1941-1953), Roma 2006; d. YerGin, Shattered Peace. The Origins of the Cold War and the National Security State, New York, 1977; j. W. YounG, France, the Cold War and the Western Alliance, 1944-1949. French Foreign Policy and Post-War Europe, Leicester-London, 1990; P. Mélandri, Les Etats-Unis face a l’unification de l’Europe 1945-1954, Paris, 1980; V. M. zuBoK, C. PleShaKoV, Inside the Kremlin’s Cold War. From Stalin to Khruschev, Cambridge, 1996; V. M. zuBoK, A Failed Empire. The Soviet Union in the Cold War from Stalin to Gorbacev, Chapel Hill, 2007; V. MaStnY, Il dittatore insicuro. Stalin e la guerra fredda, Milano, 1996; G. h. Soutou, La guerre de Cinquante Ans. Les relations Est-Ouest 1943-1990, Paris, 2001; h. P. SChWarz, Adenauer. Der Aufstieg 1876-1952, Stuttgart, 1986; a. duCe, Storia della politica internazionale (1917-1957). Dalla rivoluzione d’ottobre ai Trattati di Roma, Roma, 2009; M. del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006, Bari-Roma, 2008, p. 277 e ss.; F. roMero, Storia della guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Torino, 2009. 72 Sul tema delle armi nucleari nella politica internazionale negli anni Quaranta e Cinquanta: M. traChtenBerG, History and Strategy, Princeton, 1991, p. 100 e ss.; j. l. GaddiS, La guerra fredda: rivelazioni e riflessioni, cit., p. 171 e ss.; M. G. BundY, Danger and Survival. Choices about the Bomb in the First Fifty Years, New York, 1988; a. WenGer, Living with Peril. Eisenhower, Kennedy, and Nuclear Weapons, Lanham-Boulder, 1997. Rimane poi utile la raccolta di saggi curata da F. B aCChetti, La strategia nucleare, Milano, 1964. 73 Toscano pubblicò un primo articolo, anonimo, sulla «Rivista di Studi Politici Internazionali», numero del gennaio e marzo 1951, che approfondì con scritti negli anni successivi: [M. toSCano], L’equilibrio delle impotenze, «Rivista di studi politici internazionali», 1951, n. 1, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 273-276; id., Ancora su l’«equilibrio delle impotenze», «Rivista di studi politici internazionali», 1951, n. 2, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 276-279; id., Situazioni nuove e schemi antichi, «Rivista di studi politici internazionali», 1952, n. 3, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 279-283; id., Considerazioni su alcune peculiarità dell’attuale situazione politica internazionale, cit.; id., Storia delle religioni e relazioni Est-Ovest, «Rivista di studi politici internazionali», 1955, n. 2, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., pp. 283-286; id., La pace, le intese ed i conflitti internazionali nell’era atomica, «Nuova Antologia», dicembre 1957, f. 1884, p. 451 e ss. Lo storico piemontese fu 68 LUCIANO MONZALI scritti egli delineò una sua visione del sistema politico internazionale, fondata sulla teoria de «l’equilibrio delle impotenze». A parere di Toscano, la seconda guerra mondiale aveva provocato la distruzione del preesistente sistema internazionale fondato sull’egemonia europea e la costituzione di uno nuovo, incentrato sul predominio di due sole grandi Potenze mondiali, Stati Uniti e Unione Sovietica. Esistevano ormai due Comunità internazionali. La prima Comunità, erede della precedente dominata dagli Stati europei, era quella occidentale e democratico-liberale. La seconda, di recente formazione, era la Comunità comunista, «la quale, fra l’altro, postula sostanzialmente il primato di uno dei suoi membri, tende alla riunione dei vari soggetti in un’unica federazione di Stati attraverso un procedimento costituzionale interno e colloca su piani diversi gli accordi stipulati con le cosidette potenze capitalistiche e quelli conclusi fra le potenze marxiste, anche se “per ragioni contingenti” viene sottolineata la stabilità di tutte le convenzioni internazionali»74. Il potere di distruzione e le risorse militari ed economiche in mano alle due nuove Potenze egemoni, quella sovietica e quella statunitense, erano enormi. Era, tuttavia, improbabile, a parere di Toscano, che potesse scoppiare una guerra mondiale fra Washington e Mosca, perché nessuna delle due Potenze era convinta di essere in grado di distruggere e vincere l’avversario facilmente e totalmente, e senza tale convincimento non era concepibile una volontà diretta allo scatenamento del conflitto75. Il fatto che le protagoniste della scena politica internazionale fossero ridotte a due, secondo Toscano, diminuiva la possibilità di «errori di prospettiva» e conferiva automaticamente un carattere mondiale ai contrasti fra Unione Sovietica e Stati Uniti. Da questa situazione internazionale emergeva che l’equilibrio mondiale aveva «un accentuato carattere di impotenza», che consentiva il mantenimento della pace. L’«impotenza» delle due grandi Potenze mondiali, cioè l’incapacità di Unione Sovietica e di Stati Uniti di realizzare l’annientamento totale del contendente e rivale, produceva un assetto internazionale stabile e pasempre molto attento alla divulgazione delle sue idee all’estero. Alcuni di questi articoli sulla teoria dell’equilibrio delle impotenze furono pubblicati anche in francese su «Le Monde»: M. toSCano, L’équilibre des impuissances, «Le Monde», 5 luglio 1951; id., Situations nouvelles et plans périmés, «Le Monde», 3 settembre 1952; id., Histoire des Religions et Relations entre l’Est et l’Ouest, «Le Monde», 19 novembre 1955. Toscano divulgò la sua teoria anche con scritti in inglese: M. toSCano, Reflections on the Current International Situation, «International Affairs», 1959, n. 1, estratto; id., The Balance of Impotence, «The Hopkins Bologna Center Review», Autunno 1958-Inverno 1959, vol. 3, nn. 1-2, estratto. 74 [M. toSCano], Situazioni nuove e schemi antichi, cit., riedito in id., Corsivi, cit., p. 280. 75 [M. toSCano], L’equilibrio delle impotenze, riedito in M. toSCano, Corsivi, pp. 274275. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA 69 cifico, che tendeva ad autoriprodursi: era il cosiddetto «equilibrio delle impotenze», che garantiva la pace e consentiva un qualche ottimismo per il futuro. Tale equilibrio poteva spezzarsi solo con la scoperta di nuovi armi capaci di distruggere totalmente l’avversario o con il sorgere «di una o più Potenze atte a divenire protagoniste della scena internazionale, disposte ad associarsi ad una delle due attuali»76. Secondo Toscano, la teoria dell’equilibrio delle impotenze aveva come scopi primari il superamento di schemi interpretativi vecchi e datati e il saper cogliere in maniera realistica l’evoluzione dei rapporti di forza in seno al sistema politico internazionale. A suo avviso, la stabilità degli equilibri fra i due blocchi spingeva occidentali e orientali a cercare di prevalere sull’avversario ricorrendo ad «azioni non belliche», alla cosiddetta «guerra fredda». L’azione delle «quinte colonne», la propaganda, la guerra radiofonica erano il prodotto inevitabile dell’equilibrio delle impotenze77. Risultava improbabile, sulla base della teoria dell’equilibrio delle impotenze, l’esplosione di una guerra totale di tipo militare fra Unione Sovietica e Stati Uniti, ed era prevedibile che la competizione fra i due blocchi si svolgesse sul piano psicologico-propagandistico e su quello economico. Erano, piuttosto, possibili altri due tipi di conflitti armati, le guerre locali e le guerre civili. Le guerre locali corrispondevano a scontri fra piccoli Stati in aree remote e ininfluenti del mondo oppure al caso, prefigurato da Henry Kissinger78 (autore letto con attenzione da Toscano), di una possibile guerra atomica limitata79. Più probabili appaIvi, p. 276. «Assistiamo al tentativo di evasione dalla condizione di impotenza registrata nel rapporto delle forze materiali, per conseguire un indebolimento psicologico di dette forze materiali, tale da ripercuotersi sul potenziale bellico. È cioè, in linea concettuale, perfettamente pensabile che, se si riuscisse ad associare la popolazione sovietica alla causa occidentale, molta della impossibilità materiale di invadere l’Urss cadrebbe. Come cadrebbe molta dell’efficacia degli armamenti atlantici, se Mosca riuscisse ad associare alla causa comunista il nerbo maggiore o più attivo delle popolazioni occidentali. Il che, mentre induce a meglio valutare l’importanza dell’azione psicologica, introduce nei fattori degli sviluppi futuri della situazione internazionale un nuovo elemento di particolare peso. La fiducia in codesti mezzi non bellici potrebbe cioè, ad un certo momento, costituire un elemento determinante per l’adozione di decisioni belliche»: [M. toSCano], Ancora su l’«equilibrio delle impotenze», «Rivista di studi politici internazionali», 1951, n. 2, riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., p. 278. 78 h. KiSSinGer, Nuclear Weapons and Foreign Policy, New York, 1957. Sugli studi di politica internazionale e di strategia nucleare di Kissinger negli anni Cinquanta e Sessanta: S. r. GrauBard, Kissinger: ritratto di una mente, Milano, 1974; j. Suri, Henry Kissinger and the American Century, Cambridge, 2007; W. iSaaCSon, Kissinger. A Biography, New York, 2005 (seconda edizione); M. del Pero, Henry Kissinger e l’ascesa dei neoconservatori: alle origini della politica estera americana, Bari-Roma, 2006. 79 Toscano, comunque, si mostrò scettico circa la possibilità di un conflitto atomico limitato: «In effetti, qualora una delle due parti volesse spingere il combattimento fino alla vittoria completa, l’altra si vedrebbe costretta ad accrescere la portata della replica atomica 76 77 70 LUCIANO MONZALI rivano soprattutto due tipi di guerre civili. Il primo tipo di guerra civile era fra «governi regolari di una parte dell’intera regione i quali si combattono per la riunificazione magari con appoggi esterni», e qui Toscano faceva riferimento all’esperienza dei conflitti in Corea, in Vietnam e in Cina. Il secondo tipo era un’insurrezione alimentata da sostegni esterni, come quella scoppiata in Algeria contro la dominazione francese80. Altro aspetto interessante delle relazioni fra Est comunista ed Ovest capitalista, a parere di Toscano, era la constatazione della similitudine della guerra fredda a un conflitto fra religioni. Il liberalismo democratico statunitense e il comunismo sovietico postulavano, come due fedi religiose, ideologie universaliste aventi l’ambizione di espandersi sul piano mondiale. Ciò provocava inevitabilmente dei conflitti globali simili alle guerre di religione81. Nei conflitti religiosi al momento della guerra subentrava, dopo un certo periodo di tempo, una nuova fase, quella della «coesistenza». In questa nuova fase, pur senza mutamenti dei dogmi originari, «gli appartenenti all’una o all’altra fede considerano possibile convivere senza combattersi con la violenza»82. A parere dello storico piemontese, l’epoca della coesistenza era possibile quando le due fedi prendevano atto dell’impossibilità reciproca di assorbimento e provavano un sentimento di relativa sicurezza e forza. Negli anni Cinquanta la radicale rivalità ideologica e politica fra la Comunità occidentale o atlantica e quella orientale o marxista aveva reso difficile la conclusione di accordi politici formali. Bisognava, però, constatare che sovietici e occidentali non si erano astenuti dal concludere «tacite intese di fatto» in alcune regioni del mondo come la Corea, l’Iran, l’Europa cosicché, gradualmente, si finirebbe per sfociare nella guerra totale, mentre, l’intervento diretto e simultaneo di entrambi gli eserciti regolari dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti porrebbe dei problemi psicologici di opinione pubblica tanto gravi da rendere estremamente difficile l’accettazione di un verdetto di parità senza avere prima fatto ricorso a quei mezzi offensivi che automaticamente postulano la guerra ad oltranza»: M. toSCano, La pace, le intese ed i conflitti internazionali nell’era atomica, cit., p. 471. 80 Ivi, pp. 471-472. 81 «Dal principio dell’universalità discendono tuttavia necessariamente le guerre di religione, guerre che vedono, da una parte, le nuove fedi lottare per affermarsi sulle antiche e per assorbirle e le antiche fedi combattere per difendersi e per annientare le nuove. Durante detta fase iniziale qualsiasi compromesso appare impossibile ed i vari tentativi effettuati, sia ai tempi delle Crociate, sia nell’età della Riforma, erano fatalmente destinati all’insuccesso in quanto, come oggi si può meglio intendere, appaiono chiaramente antistorici. È di quel periodo pure il ricorrente fenomeno del frazionamento della Comunità Internazionale, frazionamento cui sembra corrispondere l’attuale divisione fra la Comunità Occidentale e quella Orientale, Comunità caratterizzate da principi diversi (uguaglianza ed indipendenza dei singoli soggetti da una parte, primato e dipendenza dall’altra)»: [M. toSCano], Storia delle religioni e relazioni Est-Ovest, cit., riedito in M. toSCano, Corsivi, cit., p. 284. 82 Ivi, p. 285. INDICE GENERALE Introduzione .............................................................................................. p. v Elenco dei fondi archivistici, delle raccolte documentarie e delle abbreviazioni ................................................................................. » x 1. MARIO TOSCANO STORICO E POLITICO DAL FASCISMO ALL’ITALIA REPUBBLICANA 1.1. Un giovane borghese di provincia “appassionatissimo di storia diplomatica” ...................................................................... 1.2. Le leggi razziali, l’esilio in Svizzera e l’amicizia con Luigi Einaudi .............................................................................. 1.3. Mario Toscano e la vita politica e culturale italiana dopo la seconda guerra mondiale ........................................................ 1.4. Mario Toscano scrittore di politica estera. Le ragioni e i modi di un impegno.................................................................. 2. IL PROFESSORE AMBASCIATORE. MARIO TOSCANO E LA DIPLOMAZIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA NEL SECONDO DOPOGUERRA 2.1. Prunas, De Gasperi, Zoppi, Sforza e la rifondazione della politica estera italiana......................................................... 2.2. Le relazioni internazionali nell’epoca atomica: l’equilibrio delle impotenze, la crisi degli imperi coloniali europei e la distensione ............................................................................ 2.3. Gaetano Martino e l’ascesa di Mario Toscano al Ministero degli Affari Esteri ................................................... 2.4. La questione tedesca ................................................................... 2.5. Mario Toscano, il neoatlantismo e i Mau Mau........................... » 1 » 6 » 15 » 31 » 47 » 66 » 79 » 92 » 102 3. MARIO TOSCANO E L’AZIONE INTERNAZIONALE DELL’ITALIA NELL’EPOCA DELLA DISTENSIONE 3.1. La politica estera statunitense e il blocco occidentale da Eisenhower a Kennedy .......................................................... » 121 3.2. Berlino e il problema della riunificazione tedesca ..................... » 128 234 INDICE GENERALE 3.3. L’Italia e la questione dell’Alto Adige ........................................ 3.4. De Gaulle, l’Europa e la crisi dell’Alleanza atlantica negli anni Sessanta ...................................................................... 3.5. Mario Toscano e l’azione internazionale italiana da Piccioni a Saragat ................................................................... 3.6. Mario Toscano e la politica estera di Fanfani ............................ 3.7. L’ascesa della Cina comunista e la rivoluzione culturale ........... 3.8. L’uomo di Moro alla Farnesina. Mario Toscano e i negoziati sull’Alto Adige (1965-1968) ................................... 3.9. Il 1968: la fine di un’epoca e l’epilogo di una vita ..................... p. 141 » 162 » 171 » 186 » 196 » 204 » 216 Indice dei nomi.......................................................................................... » 223