LE ARTI, LE TECNICHE E I MATERIALI DELL`EDILIZIA L`arte nell

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LE ARTI, LE TECNICHE E I MATERIALI DELL`EDILIZIA L`arte nell
LE ARTI, LE TECNICHE E I MATERIALI DELL'EDILIZIA
L'arte nell'edilizia ha un significato ben preciso: è il modo corretto di portare a termine una
lavorazione, secondo i dettami del buon costruire. Solo alcuni trattati descrivono il modo corretto di
realizzare manufatti edili: tra i più famosi il De Architectura di Vitruvio o il de re aedificatoria scritto
da Leon Battista Alberti nel pieno rinascimento italiano. Tuttavia, le tecniche del buon costruire (l'arte
del costruire) sono dettate principalmente dal buon senso di seguire le regole, semplici ma ferree,
tramandate dai mastri operai ai loro apprendisti. L'arte di innalzare un semplice muro richiede la
conoscenza dell'arte dell'impastare una buona malta, conoscendo i dosaggi di legante, acqua e
eventuale inerte, della tecnica di allettare i mattoni in modo tale che collaborino attivamente alla
portanza del muro, dell'arte e della tecnica di effettuare la rasatura del muro e, naturalmente, dell'arte
e della tecnica di passare la pittura sullo stesso.
Quando, in una descrizione di opere edili (come un capitolato), si richiede che una lavorazione
venga "realizzata a regola d'arte" si fa riferimento proprio al fatto che si prevede che l'opera verrà
fatta seguendo tutte le precauzioni, le regole e, quindi, le tecniche del buon costruire relative a quel
particolare manufatto, che può essere una trave in cemento armato, un tramezzo, o anche la semplice
ritinteggiatura di una vecchia parete. Ciascuna piccola opera edilizia, che, assieme a tante altre,
permette di costruire edifici interi, ha le sue piccole grandi regole.
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FONDAZIONE EDILIZIA
Esempio di fondazione superficiale e di fondazione su pali.
In edilizia e architettura le fondazioni sono quella parte della struttura dell'edificio che svolge
il compito di trasmettere i carichi dalle strutture in elevazione al terreno.
Le fondazioni hanno quindi la funzione di ricevere i carichi provenienti dalla sovrastruttura
(sia essa una costruzione, un'apparecchiatura o altro) e trasmetterli al suolo. Per tale fine è necessario
che queste siano realizzate in modo tale da essere rigide. Per avere rigidezza le fondazioni devono
essere necessariamente massicce. Per le fondazioni ordinarie, pertanto, non si usano calcestruzzi ad
alta resistenza (fatta eccezione per le zone ritenute sismicamente attive, nelle quali devono essere
utilizzati calcestruzzi ad alta resistenza) proprio in ragione delle masse sovrabbondanti che devono
essere impiegate per raggiungere la rigidezza richiesta.
Nell'ambito dell'ingegneria civile, lo studio delle fondazioni strutturali implica una
approfondita conoscenza della geotecnica, della scienza delle costruzioni e della tecnica delle
costruzioni. Il tipo di fondazione di volta in volta impiegata dipende dalla sollecitazione che agisce
su di essa e dal tipo di terreno a cui è connessa; la fondazione deve essere posata su un terreno di
portanza adeguata ai carichi della struttura.
In generale, per ognuna delle scelte progettuali effettuate per le fondazioni, occorrerà adottare
un differente approccio nell'impostazione del calcolo. Non di rado inoltre, la scelta delle fondazioni
influenza la concezione dell'intero organismo strutturale.
Possiamo suddividere le fondazioni in due famiglie:
• fondazioni superficiali (o dirette): plinto, trave di fondazione, piastra di fondazione, detta
anche platea.
• fondazioni profonde (o indirette): palo di fondazione, micropalo.
A cui aggiungere le opere di sostegno: muro controterra, diaframma, tirante.
Fondazioni superficiali o dirette
Le fondazioni dirette sono quelle più comuni, utilizzate nel caso di edifici costruiti su terreni
senza particolari problemi di resistenza.
Il tipo di fondazione diretta viene realizzata in base alla struttura dell'edificio.
Fondazioni superficiali
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1) fondazione continua; 2) fondazione a plinto
1 – Fondazione continua
Se l'edificio è costituito da una struttura continua, cioè da murature portanti, allora anche la
fondazione sarà continua, presentandosi come un allargamento della sezione trasversale del muro.
Negli edifici storici la fondazione continua era costituita da un muro vero e proprio, in mattoni o in
pietra, di sezione maggiore di quello portante. Nell'ambito dell'edilizia moderna, nella fondazione
continua si prevede un cordolo in cemento armato prima dell'allargamento della sezione. La sezione
allargata è solitamente costituita da un getto di calcestruzzo, di solito (ma non sempre) armato. Nella
parte inferiore della fondazione, a contatto con il terreno, viene posto uno strato di magrone
contenente 100/150 kg cemento/mc di cls, che è d'aiuto nella fase di cantiere per la posa in opera del
calcestruzzo armato perché questo permette di livellare il terreno di getto e inoltre serve a distribuire
ulteriormente i carichi del terreno e ad isolare le strutture dall'umidità di contatto qualora l'impasto
venga eseguito con basso rapporto acqua/cemento e debitamente protetto con primer bituminoso e/o
bitume. Le fondazioni continue sono le più usate.
A trave rovescia
Un altro sistema, utilizzato in presenza di strutture in elevazione a telaio, è quello delle travi
rovesce. In questo caso le sollecitazioni sono maggiori nei punti in corrispondenza dei pilastri. La
soluzione consiste nel ribaltare lo schema statico della travatura in elevazione, collegando fra loro i
pilastri della struttura con delle travi di fondazione dette rovesce. La fondazione che si ottiene è
particolarmente efficace per contrastare i cedimenti differenziati e nella progettazione antisismica.
A platea
Un altro sistema, utilizzato con strutture particolari o in presenza di terreni deboli, è la
fondazione a platea. Può essere considerato uno sviluppo della fondazione a travi rovesce, con in più
la presenza di un solettone inferiore a cui spesso si aggiungono nervature ortogonali secondarie
rispetto a quelle delle travi rovesce, per garantire un ulteriore irrigidimento della struttura.
2 – A plinto
Un altro tipo di fondazione adottate per strutture a telaio con carichi elevati è quella a plinti.
Viene cioè ingrossata la base del pilastro con un plinto di solito con la forma piramidale. Per
assicurare un maggiore legame fra i diversi plinti vengono spesso collegati con cordoli in calcestruzzo
armato; con l'ingresso della nuova normativa, per progetti in zona sismica, l'utilizzo dei cordoli è
obbligatorio.
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Fondazioni indirette o fondazioni profonde
Le fondazioni indirette vengono praticate quando gli strati superficiali del terreno non hanno
una portanza sufficiente per sopportare il carico della struttura o nel caso in cui i cedimenti previsti
con le fondazioni dirette siano eccessivi. Il tipo più comune, nell'edilizia storica, è il palo di legno di
particolari essenze dure e resinose, tipo quercia, rovere, ecc. eventualmente con la punta rinforzata in
metallo, detta puntazza, conficcato nel terreno attraverso battitura con speciali macchine dette
battipalo, finché non raggiunge strati di terreno solido oppure pensato per resistere mediante l'attrito
laterale che si crea con il terreno. Questa tecnologia, applicata ad esempio a Venezia, ha subìto
un'evoluzione e oggi esistono molte varietà di pali (di calcestruzzo o con parti metalliche) e diverse
tecniche di infissione: gettati in opera, prefabbricati, con o senza asportazione del terreno, e anche
con l'utilizzo di fanghi bentonitici o altri materiali speciali (polimerici) da utilizzare in condizioni
particolari, come in presenza di acqua o di terreno particolarmente coerente.
La capacità portante delle fondazioni profonde è data da due contributi distinti:
• capacità portante di punta
• capacità portante laterale
La prima dipende dalla sezione del palo e dallo strato in cui la punta arriva (e per tale motivo
si cerca di far arrivare la punta dei pali fino a strati il più resistente possibile); la seconda invece è
dovuta a fenomeni attritivi tra la superficie laterale del palo e il terreno circostante: dipende pertanto
dal tipo di palo e dal tipo di terreno. Molto spesso è proprio il termine attritivo quello predominante
nella capacità portante dei pali, anche perché l'area della punta dei pali è sempre modesta: esiste una
particolare categoria, i pali sospesi nei quali la punta non raggiunge strati resistenti e l'intera capacità
portante è data dall'attrito laterale.
Opere di fondazione
Nella realizzazione di fondazioni di edifici ordinari si segue quest'ordine di lavori:
• Analisi geotecniche per stabilire la qualità del terreno e il tipo di fondazioni più adatto;
• Scavo di sbancamento generale per raggiungere la quota delle fondazioni;
• Scavi a sezione obbligata, per la realizzazione delle fondazioni vere e proprie. Lo scavo a
sezione obbligata comporta una serie di opere provvisionali per evitare il crollo accidentale del
terreno, con rischi per l'operaio, e per evitare infiltrazioni e ristagno di acqua;
• Realizzazione vera e propria della fondazione.
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Fondazioni continue
La fondazione continua è un tipo di fondazione in cui l'elemento fondale poggia direttamente
sul terreno (fondazione diretta) ed è costituito da un cordolo continuo di calcestruzzo armato.
Si adotta quando il terreno fondabile si trova a profondità economica rispetto al piano di
campagna e la struttura portante del fabbricato è anch'essa continua: a muratura o a pilastri molto
ravvicinati. La larghezza della fondazione non dovrebbe mai essere inferiore ai 60-70 cm.
La fondazione continua in muratura, anche per il progredire delle tecniche costruttive,
attualmente non viene quasi più adottata ed è stata sostituita dalla fondazione in conglomerato
cementizio, ritenuta spesso più conveniente anche dal punto di vista economico.
Il solido finale è dunque costituito da una soletta in conglomerato cementizio, semplice o
armato, di spessore minimo non inferiore ai 15 cm. Nel caso di fondazione in calcestruzzo non armato,
il getto viene eseguito entro casseri oppure entro lo scavo a sezione obbligatoria. In genere questo
metodo è utilizzato su terreni sufficientemente resistenti. Le fondazioni a calcestruzzo armato invece,
sono meno massicce di quelle in calcestruzzo non armato, e sono formate da un cordolo continuo
munito di due mensole laterali armate, per resistere alle notevoli sollecitazioni di flessione e taglio
determinate dalle reazioni del terreno (fondazioni a zattera). Per questo l'altezza della mensola
all'incastro non è mai inferiore a 1/2 - 1/3 dell'aggetto.
Nel caso di costruzioni con struttura portante a pilastri, nelle quali i carichi risultano distribuiti
per punti, per dare alla fondazione la rigidezza necessaria ad assicurare una uniforme distribuzione di
carico alla base, si sostituisce alla soletta un trave in c.a. sagomata a T rovesciata opportunamente
calcolata (fondazione continua a trave rovescia).
Una variante di questo tipo di fondazione è la fondazione reticolare, ottenuta ordinando le travi
rovesce secondo un disegno a maglia ortogonale e spiccando i pilastri agli incroci. Potrebbe accadere
che uno dei pilastri sia più caricato degli altri. Per evitare nel sistema di diffusione dei carichi in punti
singolari, alla base del pilastro sovraccaricato si realizza un allargamento di circa 60° al fine di
riportare la pressione sul terreno a quella normale considerata.
Attacco a terra
L'attacco a terra formante la frontiera orizzontale inferiore di una costruzione costituisce un
problema rilevante per quanto riguarda l'isolamento e l'aerazione delle strutture e degli ambienti
inferiori alla quota del piano di campagna.
Un elevato tasso di umidità dovuto ad esempio alla presenza di falde freatiche, contatto con il
terreno, risalita d'acqua per capillarità, possono determinare problemi di tipo strutturale e di salubrità
nelle strutture verticali e orizzontali.
Occorre quindi un opportuno isolamento ed impermeabilizzazione delle strutture a contatto con
il terreno. Una possibile soluzione per quanto riguarda le strutture verticali, consiste nel creare una
intercapedine aerata, a muri ed elementi strutturali, questo sistema viene comunemente chiamato
scannafosso.
Questa intercapedine deve essere abbastanza larga da permettere il passaggio di una persona
per eventuali interventi di manutenzione (minimo 60 cm di larghezza).
Tutti i vani parzialmente o totalmente interrati devono essere protetti tramite applicazione di
uno strato termo-isolante (4–5 cm) e di uno strato impermeabilizzante (1 cm circa). Questa
impermeabilizzazione può essere applicata in guaine o cartoni catramati.
Mentre per la protezione delle aree orizzontali può essere prevista la presenza di un vespaio in
pietrame, o di un solaio su muretti.
I vespai sono le strutture più economiche per la protezione nell'attacco a terra dei solai. I conci
che costituiscono il vespaio devono essere selezionati in base alla loro forma e dimensione e vengono
successivamente posti in opera con la punta rivolta verso il basso, ogni due-tre metri devono essere
interposti dei canali di aerazione con sfogo diretto all'esterno del fabbricato. Sopra il pietrame viene
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disposto uno strato di pietrisco fine in modo da creare una superficie piana e regolare su cui gettare il
massetto di calcestruzzo.
Spesso all'interno di questo massetto viene inserita una rete elettrosaldata, per aumentare la
ripartizione dei carichi ed avrà uno spessore che può variare dai 4 ai 10 cm. Sul massetto verrà poi
collocato l'isolante termico (4–5 cm), una guaina impermeabilizzante (1 cm), un sottofondo in sabbia
e cemento (3 cm) ed il pavimento (dallo spessore variabile a secondo del tipo di materiale di
rivestimento scelto).
L'alternativa molto utilizzata nell'architettura tradizionale prevedeva la realizzazione di muretti
alti circa 1 metro (gattaiolati) su cui veniva poggiato il solaio. Questi muretti creavano
un'intercapedine aerata che fungeva da isolante termico ed impermeabilizzante.
Oggi si tende però a risolvere il problema della protezione delle strutture orizzontali, tramite la
collocazione un solaio strutturale (prefabbricato su travi), in modo da lasciare un'intercapedine d'aria
tra il solaio e il terreno.
Fondazione pneumatica
Le fondazioni pneumatiche sono un particolare tipo di fondazione idraulica impiegate nella
costruzione subacquea, ad esempio di piloni per grandi ponti o strutture di simile portata.
Prevedono una camera di lavoro aperta inferiormente, con le pareti e la copertura di cemento
armato e un sistema di tubazioni per l'immissione dell'aria compressa e un passaggio per gli operai e
i materiali. Al crescere della profondità la pressione all'interno del cassone viene aumentata per
mantenerla sempre superiore alla pressione idrostatica esterna ed evitare l'ingresso dell'acqua. Le
elevate pressioni hanno però ovvie ripercussioni sulla resa degli operai, che comunque vanno
accuratamente selezionati per un lavoro così fisicamente impegnativo, e per limiti propri della
fisiologia umana non si possono superare comunque i 40 metri di profondità. Se la differenza di
pressione tra camera di lavoro ed esterno è molto elevata si aggiunge una campana di decompressione
dove si sosta in ingresso e in uscita per abituarsi. Tale tipo di fondazioni sono impiegate solo per
costruzioni veramente speciali considerate le spese elevate, l'impiego di mezzi e le difficoltà che
comportano.
Fondazioni a pozzo
Le fondazioni discontinue indirette a pozzo, sono costituite da scavi a sezione obbligata
profondi, riempiti con materiale arido accuratamente costipato o conglomerato cementizio a basso
tenore di cemento.
Plinto
Fondazione superficiale: 1) a trave rovescia; 2) a plinto
Il plinto di fondazione è la struttura più semplice fra le fondazioni superficiali, tipicamente
costituito da un blocco in calcestruzzo armato a forma di parallelepipedo.
Utilizzi
L'uso delle fondazioni a plinti isolati è il più comune laddove il sedime sia in grado di
sopportare una tensione di lavoro non troppo ridotta (almeno 1,5 ÷ 2 daN/cm2) e non desti
preoccupazione in relazione a possibili cedimenti differenziali
Tipologia
Le fondazioni a plinto normale si possono suddividere nei seguenti tipi principali in funzione
del rapporto tra l'altezza h e lo sporto s:
• a piastra o flessibile: per
• rigido: per
• tozzo: per
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altre tipologie di plinti attualmente poco usati sono:
• a gradoni
• con sottopilastro
• su pozzo
Forma
Tipicamente il plinto è costituito da un blocco in calcestruzzo armato a forma di
parallelepipedo, a base solitamente quadrata o rettangolare, che viene realizzato al di sotto di ciascun
pilastro della struttura, e centrato rispetto a questo, allo scopo di trasmettere il carico derivante dalla
stessa al terreno di fondazione con valori ammissibili di tensioni sul sedime.
In generale è opportuno che i plinti vengano realizzati a base quadrata; nel caso in cui il carico
trasmesso dal pilastro sia notevolmente eccentrico o il pilastro notevolmente allungato si adotta la
sezione rettangolare.
Le dimensioni del plinto dipendono dai carichi provenienti dalla sovrastruttura, dalle
sollecitazioni agenti, dal funzionamento statico che si vuole ottenere (plinto rigido o flessibile) e dalla
capacità portante del terreno.
Situazioni contingenti possono tuttavia richiedere plinti di forma differente (ad esempio, il
plinto zoppo per pilastri posti sul confine della proprietà dove non è possibile centrare il plinto sotto
il pilastro).
Usualmente, i plinti ordinari hanno uno spessore che varia tra 40 cm e 80 cm, e dimensioni in
pianta da 1,00 m fino a 6,00 m per lato.
Lo spessore è legato fondamentalmente alle sollecitazioni di taglio o punzonamento, mentre le
dimensioni e la forma della base sono correlate alla capacità portante del terreno e ai carichi
provenienti dalla sovrastruttura.
Normalmente in corrispondenza dell'estradosso del plinto viene realizzata una risega di non più
di 5 cm che serve per l'appoggio in piano delle casseforme del pilastro.
Posa in opera
La quota di posa dei plinti deve essere tale da evitare gli strati superficiali di terreno più
comprimibili, raggiungendo gli strati di terreno più compatti e profondi prescelti come portanti.
Se gli strati superficiali del terreno risultano meccanicamente conformi, è sempre consigliabile
evitare fondazioni troppo superficiali per le quali risulta nullo l'effetto incastro.
Il plinto viene realizzato sopra un getto di calcestruzzo magro di sottofondazione, chiamato
magrone, generalmente privo di armatura metallica, tranne casi particolari, che determina la quota di
posa del plinto.
Il magrone si rende necessario innanzitutto perché il piano di appoggio sia compatto (quando
ad es. con lo scavo eseguito a macchina il fondo dello stesso risultasse ancora smosso dopo la
preparazione, poi per avere un piano livellato sul quale posare le armature metalliche e dal quale
battere le quote.
Comunque le armature non vengono direttamente posate sul calcestruzzo magro, ma sono
tenute distanziate da questo mediante distanziatori in calcestruzzo prefabbricato o in plastica, ciò
perché risultino avvolte bene dal calcestruzzo garantendo il giusto copriferro.
Il plinto viene realizzato all'interno di una cassaforma in legno o talvolta metallica, dove viene
disposta l'armatura del plinto stesso e i ferri di ripresa verticali per il pilastro spesso sagomati a
molletta.
Posata l'armatura viene effettuato il getto di calcestruzzo.
Nel caso di carichi rilevanti e pilastri ravvicinati, si potrebbero avere plinti molto vicini, in
questo caso si può optare per la trave di fondazione, o talvolta per la piastra di fondazione, detta anche
platea.
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Armatura dei plinti
L'armatura dei plinti di fondazione è costituita da ferri disposti sulla faccia inferiore e nelle due
direzioni, tali da realizzare in ciascuna direzione un'area metallica in grado di assorbire con tassi
ammissibili della tensione di lavoro, gli sforzi di trazione.
Per plinti rigidi o per plinti flessibili nei quali il rapporto tra il lato del pilastro e quello del plinto
è ≥ 0,3 è opportuno che l'armatura venga distribuita all'incirca uniformemente sulla lunghezza del
plinto.
In caso contrario è opportuno addensare l'armatura in corrispondenza del pilastro.
Oltre a dette armature vanno posizionati due staffoni perimetrali orizzontali usualmente dello
stesso diametro delle armature, dei quali uno a livello del piano delle armature, l'altro a un'altezza di
20 ÷ 25 cm rispetto a detto piano.
In terreni coerenti è opportuno ripiegare le armature di 25 ÷ 30 cm.
Zona sismica
In zone sismiche, per evitare spostamenti orizzontali relativi, i plinti devono essere collegati tra
loro da un reticolo di travi.
Ogni collegamento deve esser proporzionato in modo che sia in grado di sopportare una forza
assiale di trazione o di compressione pari a un decimo del maggiore dei carichi verticali agenti sui
plinti posti all'estremità della trave.
Questi collegamenti possono esser omessi solo nel caso di terreni di elevate caratteristiche
meccaniche (es. rocce) e in zone a bassa sismicità.
Plinti di confine
Il problema del plinto di confine sorge allorquando la struttura in elevazione prevede un pilastro
al confine della proprietà, tale quindi che non risulti possibile, rimanendo nel suolo di pertinenza,
realizzare un plinto centrato sotto il pilastro.
Tale situazione, ove possibile, andrebbe evitata, prevedendo nel progetto della struttura di
elevazione, un arretramento del pilastro di confine, raggiungendo il confine di proprietà con delle
travi a sbalzo da detto pilastro.
Nel caso in cui esista però tale problema, esso può essere risolto con vari tipi di strutture di
fondazioni.
Le più utilizzate sono:
• il plinto zoppo: è un plinto a base rettangolare eccentrico rispetto al pilastro
• la trave di fondazione: è una trave di fondazione che collega il pilastro di confine con quello
adiacente più interno
Plinto su pali
Si ricorre a tale tipo di fondazione o nel caso in cui il terreno ha una scarsissima capacità
portante o nel caso in cui detta capacità sia rinvenibile a notevole profondità.
Caratteristiche
Tale fondazione consiste nel realizzare al di sotto dei pilastri degli elementi, solitamente
prismatici, poggianti su sottostanti pali infissi nel terreno.
I plinti trasmettono quindi ai pali il carico riveniente dai pilastri.
Il carico è poi trasmesso dai pali al terreno o attraverso la resistenza d'attrito sulla superficie
laterale o direttamente alla punta del palo ovvero parte per attrito e parte alla punta.
Geometria del plinto
La forma planimetrica del plinto su pali dipende dal numero di pali sottostanti la cui
disposizione deve essere tale che il baricentro del sistema di pali al di sotto del plinti deve coincidere
con il baricentro del pilastro sovrastante:
• per plinto su due pali la pianta è rettangolare con i due pali poste alle estremità
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• per plinti su tre pali la pianta è triangolare (triangolo equilatero) con i pali ubicati in
corrispondenza dei vertici
• per plinti su quattro pali la pianta è quadrata con i pali ubicati ai vertici
• per plinti su cinque pali la forma e del plinto e la disposizione di quattro pali è analoga alla
precedente, il quinto palo è posto al centro del quadrato e perciò sotto il pilastro
Plinto prefabbricato
Le strutture intelaiate monopiano e pluripiano a componenti prefabbricati, possono essere
completate da componenti integrativi quali i plinti prefabbricati.
Sempre più spesso infatti, per la realizzazione delle fondazione isolate di edifici prefabbricati,
si utilizzano i plinti prefabbricati a bicchiere.
Tipologie
Si possono distinguere tre serie di plinti a bicchiere:
• con piastra a base rettangolare: il plinto è disposto con l'asse maggiore coincidente con l'asse
dei momenti flettenti preminenti
• a pianta quadrata per applicazioni in zona sismica
• con solo bicchiere prefabbricato e piastra di base eseguita in opera: generalmente vengono
impiegati nei casi di sollecitazioni di notevole entità o nel caso di scarsa portanza del terreno
(anche nel caso di fondazione realizzata mediante palificazione) e comunque in tutti quei casi
che comportino notevoli dimensioni della piastra di base. Nel caso di impiego in zona sismica
le travi del reticolo di collegamento si possono prevedere ancorate alla piastra di base.
Verifiche
Le verifiche statiche normalmente eseguiti per i plinti gettati in opera dovranno essere estese,
in questo caso, anche nelle fasi transitorie di montaggio dell'edificio.
Posa in opera
Realizzato in opera il magrone, su questo va posato il plinto prefabbricato.
Per rendere celere e precisa la posa in opera del pilastro prefabbricato all'interno del plinto, dal
centro della sezione di base del montante sporge uno spinotto metallico destinato a entrare in una
boccola di centraggio, pure questa metallica, ammarata sul fondo del bicchiere del plinto
prefabbricato.
Una volta inserito il pilastro nell'alloggiamento si deve controllare che lo spinotto di base sia
penetrato mel foro della boccola e quindi si procede al controllo della verticalità mediante filo a
piombo e inserimento di cunei nel vano compreso tra la superficie interna del bicchiere e quella
esterna del pilastro distanti non meno 2,5 cm.
Si procede infine al getto di inghisamento dopo aver verificato la verticalità strumentalmente.
Palo di fondazione
L'installazione di fondazioni profonde per la costruzione di un ponte in California
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L'installazione di fondazioni profonde per la costruzione di un ponte in California
Il palo di fondazione è un tipo di fondazione profonda o fondazione indiretta che presenta la
peculiarità, rispetto alla fondazione diretta, di trasmettere una parte non trascurabile del carico
verticale per attrito lungo la superficie laterale della fondazione oltre che, a seconda del rapporto tra
diametro del palo e altezza dello stesso, con la pressione agente sul piano di appoggio alla base del
palo. Questa tipologia di fondazione ha il vantaggio di ridurre i cedimenti a lungo termine potendo
sfruttare la resistenza (sia per attrito che in appoggio) di strati di terreno profondi e adeguatamente
portanti (superando in profondità eventuali terreni soffici e inadatti, falde o cavità).
Campo di applicazione
Schema di fondazione su pali di punta che raggiungono il substrato A di idonea capacità portante
Si ricorre alle fondazioni su pali tutte le volte che risulta impossibile adottare le ordinarie
fondazioni superficiali:
• per difetto di capacità portante del terreno affiorante;
• quando è tecnologicamente impossibile effettuare fondazioni superficiali (strutture offshore,
terreni incoerenti soggetti ad elevati gradienti di filtrazione, ecc.);
• per incompatibilità dei cedimenti assoluti o differenziali di fondazioni superficiali con il tipo
di struttura da fondare;
• quando è necessario isolare le fondazioni dal terreno superficiale, poiché soggetto ad erosione
o ad altri fenomeni che ne modificano periodicamente o saltuariamente le caratteristiche fisiche.
Cenni storici
L'impiego dei pali in legno, come struttura portante e di fondazione risale ai tempi della
preistoria.
Fu Hennebique nel 1897 a sostituire, per la prima volta, ai pali in legno quelli in calcestruzzo
armato, nella realizzazione delle fondazioni delle officine della compagnia Babcock-Wilcox.
In Belgio furono impiegati nel 1902 per le fondazioni di un ponte a Laeken e nel 1903 pali tipo
Hennebique per la fondazione di una scuola a Bruxelles.
In Nordamerica furono introdotti nel 1904 da Reynolds.
La produzione su vasta scala del cemento Portland ha segnato una nuova tecnica nella
fabbricazione dei pali e numerosi costruttori hanno studiato il sistema e proposto nuovi tipi, in modo
da rendere questa struttura portante più idonea a sopportare carichi sempre più elevati, più sicura e
più economica rispetto ad altri sistemi di fondazione.
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I pali metallici realizzati con profilati ad H furono impiegati per la prima volta nel 1908 e si
diffusero notevolmente dopo che furono applicati con successo per le fondazioni dei ponti stradali
nel Nebraska nel 1930.
Classificazione
Schema di infissione di un palo
I pali di fondazione, in base alla metodologia di posa in opera, si distinguono in:
• pali trivellati o con asportazione di terreno: pali ottenuti per perforazione del terreno ed
estrazione di un volume di terreno circa uguale a quello del palo
• pali infissi o senza asportazione di terreno: pali ottenuti per infissione, senza preventiva
perforazione e asportazione del terreno, mediante battitura, applicazione di pressione statica o
per vibrazione alla punta
La capacità portante
La capacità portante di un palo di fondazione corrisponde teoricamente al carico verticale
massimo che il palo può sopportare prima della rottura.
Comunemente la capacità portante di un palo di fondazione è data dalla somma di due aliquote:
• la capacità portante attribuita alla punta del palo (portata di punta o di base);
• la capacità portante attribuita alla superficie laterale del palo (portata per attrito laterale).
Quando una delle due resistenze è minima rispetto all'altra quest'ultima può essere trascurata,
si hanno allora:
• pali sospesi: la punta non attinge un terreno la cui resistenza è pari o superiore a quella
desiderata e l'equilibrio è assicurato dall'attrito laterale che si sviluppa tra la superficie laterale
del palo e il terreno circostante;
• pali di punta o pali appoggiati: la punta attinge un terreno la cui resistenza è pari o superiore
a quella desiderata e, pertanto, l'equilibrio è assicurato dalla reazione del terreno alla sua punta
del palo.
La capacità portante varia in funzione della caratteristiche dei terreni (terreni coesivi o terreni
non coesivi) e in letteratura tecnica esistono diverse formule (di norma statiche per pali trivellati e
dinamiche per pali infissi) per il calcolo delle due tipologie di capacità portante.
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Tipologie di pali
Pali in legno
Fanno parte del gruppo dei pali infissi.
Tuttora si utilizzano pali in legno i quali sono ricavati da tronchi d'albero, con diametro alla
punta da 10 a 20 cm.
Il legname più adatto è il larice rosso, il pino, la quercia, l'olmo, il castagno e l'ontano.
Più il legname è ricco di resina più questo è resistente e di maggiore durata.
Pertanto il legname nordico è il migliore (pino russo, svedese, e norvegese).
Le fibre devono essere dritte e il fusto, scortecciato, privo di nodi e impurità.
All'estremità appuntita si applica una puntazza in ghisa o acciaio, mentre alla testa, che durante
l'infissione nel terreno riceve i colpi del maglio, una ghiera di acciaio. Durante l'infissione possono
subire dei danni.
I pali soggetti ad alternanza di secco e umido (variazione del livello della falda freatica)
deperiscono rapidamente, mentre se costantemente immersi in acqua si conservano molto più a lungo.
Le altre cause di deterioramento sia in opera a secco che immersi nella acque dolci o marine
sono:
• l'attacco di funghi (carie) e insetti xilofagi (come le termiti)
• l'attacco di molluschi e crostacei marini.
I primi attaccano il legno al di sopra del livello dell'acqua gli ultimi nella parte immersa. Gli
xilofagi marini sono più dannosi degli altri.
La protezione del legname contro questi attacchi viene effettuata con trattamenti di sostanze
antisettiche quali l'olio pesante di catrame o creosoto, il cloruro di zinco e il solfato di rame
Pali metallici
Fanno parte del gruppo dei pali infissi.
In Nordamerica i pali metallici sono stati largamente impiegati per la realizzazione delle
fondazioni dei grattacieli.
I pali metallici sono realizzati con profilati ad H o tubolari con o senza punta.
Sono poco usati in altre applicazioni perché risultano molto costosi e facilmente deteriorabili
per corrosione.
Per ovviare alle conseguenze dei fenomeni di corrosione è consigliabile usare acciaio al rame
oppure impiegare sezioni maggiori delle minime necessarie.
Si può ricorrere anche ad un ricoprimento di malta cementizia nel tratto immerso nell'acqua di
spessore non inferiore a 7 cm.
I pali vengono messi in opera per infissione per mezzo di battipalo, quelli tubolari dopo
l'infissione vengono riempiti di calcestruzzo.
I pali metallici durante la battitura non subiscono danni come i pali in legno.
Pali in calcestruzzo
Armatura di un palo
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La maggior parte delle fondazioni su pali è oggi costruita con pali in calcestruzzo.
I pali in calcestruzzo si dividono in due categorie nettamente distinte:
 pali costruiti fuori opera: sono costruiti in cantiere, e dopo la stagionatura, vengono
infissi per battitura nel terreno, come i pali in legno, oppure mediante getto di acqua
in pressione;
 pali gettati in opera: si distinguono dal modo d'infissione della camicia metallica che
funziona da cassaforma, in:
 pali infissi per battitura:
 pali gettati in opera in opportune casseforme recuperabili, infisse per battitura;
 pali gettati in opera in opportune casseforme, infisse per battitura ma a perdere;
 pali trivellati: pali gettati in opera in casseforme recuperabili, infisse per trivellazione
Il tubo forma può essere costituito da un unico elemento o da più elementi giuntati tra loro,
normalmente per saldatura, mano mano che si procede nell'infissione della cassaforma.
Nel caso in cui la cassaforma metallica, una volta infissa viene abbandonata nel terreno per
difendere il calcestruzzo fresco da eventuali erosioni e dilavamenti (palo tubato), il tubo impiegato è
formato da un leggero lamierino a superficie ondulata.
Pali costruiti fuori opera
La categoria comprende tutti i pali prefabbricati e infissi nel terreno sia per battitura che con
getti di acqua compressa.
Sono stati i primi ad essere impiegati dopo i pali in legno.
La sezione dei pali è piena e in genere quadrata, esegonale e talvolta ottagonale.
La sezione circolare cava è adottata per i pali centrifugati.
Questa categoria di pali è in genere rastremata.
Il palo deve essere dotato di una idonea armatura capace di resistere agli sforzi creati dal
sollevamento e dal trasporto, dalla battitura e dal carico statico che deve sopportare.
Tipologie
Tra i pali storicamente più noti costruiti fuori opera si ricordano in ordine di tempo:
• palo Hennebique: di sezione quadrata a facce parallele. L'armatura è costituita da 4 ferri
longitudinali e da staffe quadrate disposte a distanza variabile (5 – 8 cm in testa e in punta e 15
- 20 cm nel corpo del palo). La sezione massima è 40x40 cm;
• palo Considère: in genere di sezione ottagonale. Rispetto al precedente l'armatura trasversale
è costituita da staffatura a spirale. Alla punta i pali sono provvisti di una puntazza in acciaio
analoga a quella dei pali in legno;
• palo Bignel: è stato studiato in modo da poter essere infisso senza battitura con l'aiuto
dell'acqua in pressione. Presenta un foro centrale lungo l'asse longitudinale attraverso il quale
si applica un getto d'acqua o di aria compressa. L'acqua esce anche lateralmente da appositi fori
e, dislocando particelle di terreno, facilita la discesa del palo per peso proprio. Tale sistema può
essere adottato in terreni sabbiosi o sabbioso-argillosi che possono essere fluidificati dall'acqua
in pressione;
• palo Zublin: è di sezione pentagonale con armatura longitudinale costituita da 5 ferri e staffe
disposte a stella. Se infisso con acqua compressa presenta come il precedente un foro
longitudinale;
• palo SCAC: sono pali centrifugati pertanto hanno la sezione cava. L'armatura dell'anello è
costituita da ferri longitudinali e da una fitta spirale doppia di filo di acciaio (frettage).
Pali gettati in opera
Pali infissi per battitura (in cassaforma recuperabile)
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Appartengono a questa categoria tutti i pali in calcestruzzo semplice o armato, ottenuti
gettando e costipando fortemente del calcestruzzo fresco in una cassaforma metallica (tuboforma)
infissa nel terreno con i colpi di maglio, senza asportazione di materiale poiché il tuboforma, a
seconda della tipologia del palo, è chiuso alla base da una puntazza metallica (recuperabile o a
perdere) o da un tappo in calcestruzzo.
La cassaforma, viene progressivamente estratta e recuperata.
Il palo può essere armato con una gabbia metallica composta di ferri longitudinali collegati
con una spirale capace di resistere al carico statico che deve sopportare.
La gabbia viene inserita nel tuboforma prima del getto.
Tipologie
Tra i pali storicamente più noti costruiti in opera si ricordano i seguenti i quali si differenziano
in base alla modalità di infissione del tuboforma e del costipamento del calcestruzzo:
• palo Simplex: il sistema originario consiste nell'affondare nel terreno un tubo munito di
puntazza recuperabile, del tipo alligator (in seguito è stata sostituita con una puntazza in
calcestruzzo che viene abbandonata nel terreno), sino al rifiuto desiderato. Successivamente si
procede al getto del calcestruzzo fresco, all'estrazione progressiva del tuboforma e al
costipamento del conglomerato con un apposito maglio. Per irrobustire il palo si può creare alla
sua base un ingrossamento o bulbo per aumentare la sezione utile di appoggio del terreno
(simplex pressato). Una variante del palo simplex è il duplex, che si ottiene inserendo un palo
dentro l'altro, cioè battendo concentricamente il tubo con una nuova puntazza nel calcestruzzo
fresco, in questo modo si costringe il conglomerato ad allargarsi costipando lateralmente il
terreno;
• palo Franki: differisce dal palo Simplex sostanzialmente per il sistema d'infissione del tubo.
Dopo avere poggiato il tubo (il diametro varia da 35 a 52 cm) sul terreno si getta sul fondo una
determinata quantità di calcestruzzo di consistenza asciutta che viene colpito con apposito
maglio fino a formare, sul fondo del tubo, un tappo aderente all'involucro. Tale tappo sotto
l'azione del maglio, penetra nel terreno e trascina con sé, per la sua forte aderenza, il tuboforma
fino alla profondità desiderata, impedendo sia all'acqua sotterranea che alla terra di penetrare
all'interno. Successivamente si procede alla formazione del bulbo di base fissando il tuboforma
in modo che questo non possa più affondare e continuando a battere il tappo in modo da vincere
la sua aderenza contro l'involucro e costringendolo ad espandersi e a penetrare nel terreno posto
alla base. In questa fase si continua ad aggiungere calcestruzzo in modo da avere nel tubo
quantità di conglomerato sufficiente ad impedire l'entrara dell'acqua e della terra. Realizzata la
base si procede alla formazione del fusto del palo aggiungendo calcestruzzo, sempre di
consistenza asciutta, che viene battuto con il maglio mentre contemporanemanete si provvede
a sollevare tratto per tratto la camicia metallica. Il calcestruzzo compresso dal maglio invade il
terreno circostante espandendosi in forma di anelli irregolari o sporgenti. Pertanto il fusto
assume un diametro superiore a quello della camicia metallica provocando così nel terreno una
seconda energica compressione.
• palo Express: è molto simile al palo Franki ma se ne differenzia pe il tipo di battipalo
impiegato. Il maglio infatti non batte in testa al tubo camicia ma in testa ad una grossa trave
metallica a doppio T posta all'interna del tubo che trasmette il colpo alla puntazza di
calcestruzzo a la costringe ad affondare nel terreno trascinandosi il tubo di rivestimento.
All'estremità del tubo è sistemato un pistone anulare. Successivamente si getta il calcestruzzo
e la trave a doppio T viene sollevata trascinando verso l'alto anche il pistone anulare. Il
calcestruzzo gettato passa quindi nello spazio al di sotto del pistone. La trave viene fatta
discendere nuovamente, chiudendo la finestra anulare del pistone e tutto il sistema preme verso
il basso il calcestruzzo ubicato nella camera inferiore. Contemporaneamente si ritira il
tuboforma e il calcestruzzo compresso nella camera si espande nel terreno circostante. Con
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questa tecnologia si possono realizzare pali della profondità massima di 14 m e del diametro di
60 cm circa.
Pali trivellati
Fasi di esecuzione di un palo trivellato
La categoria comprende tutti i tipi di pali in calcestruzzo semplice o armato, gettati in opera
per i quali il tuboforma (senza puntazza) scende nel terreno per mezzo di speciali trivelle o sonde a
percussione.
Sostanzialmente i pali trivellati differiscono dai precedenti perché in fase di infissione avviene
l'asportazione di materiale.
La cucchiaia cadendo dall'alto per peso proprio urta con forza il terreno e vi penetra facilitata
dal tagliente posto all'estremità. Il materiale attraversata la valvola si deposita nel corpo della sonda
da cui viene successivamente estratto.
Il tubo camicia, sia per il peso proprio che per il movimento di rotazione impresso scende nel
terreno.
Il palo può essere armato con una gabbia metallica composta di ferri longitudinali collegati
con una spirale capace di resistere al carico statico che deve sopportare.
La gabbia viene inserita nel tuboforma prima del getto.
Tipologie
I pali trivellati si differenziano essenzialmente nel modo di costipamento del calcestruzzo che
può essere a battitura meccanica diretta o ad aria compressa.
Tra questi si ricordano:
• palo Strauss: è il prototipo dei pali trivellati. Il calcestruzzo è costipato con un maglio man
mano che viene introdotto nel tuboforma. Contemporaneamente si procede all'estrazione del
tubo camicia.
• palo SACOP: deriva al palo Strauss. Il diametro del tubo forma varia da 30 a 60 cm secondo
la natura del terreno e il carico di esercizio sul palo. L'infissione dei tubi di rivestimento viene
effettuata con una sonda speciale eccentrica che nella sua caduta, oltre a scavare il terreno per
la discesa del tubo, crea sgrottamenti che saranno successivamente riempiti dal calcestruzzo. Il
palo assume così delle forme asimmetriche con espansioni che aumentano l'attrito laterale.
Raggiunta la profondità voluta, si crea il bulbo di base e successivamente il fusto gettando
idonee quantità di calcestruzzo nel tubo camicia che viene compresso con un maglio e
recuperando in maniera graduale la cassaforma.
Pali di grande diametro
Con il progredire della tecnica costruttiva si è reso possibile l'esecuzione di pali con diametro
sino a 2 m e profondità oltre i 40 m, con portate utili di esercizio dell'ordine di alcune centinaia di
tonnellate:
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• palo Benoto: L'attrezzatura Benoto è composta da una:
- intubatrice: macchina che imprime al tubo di rivestimento un movimento rotatorio
alternativo per facilitare l'introduzione nel terreno. È azionata da un motore diesel o elettrico
ed è montata su uno chassis a ruote gommate. Il movimento rotatorio alternato è impresso al
tubo per mezzo di un martinetto idraulico azionato da una pompa;
- perforatrice: costituita da una capra metallica smontabile munita di un argano azionato da
un motore diesel. Alla capra è articolato un braccio oscillante che serve per la manovra della
benna;
- benna cilindrica (hammergrab): dotata nella parte inferiore di conchiglie comandate da una
fune singola. Le ganasce delle conchiglie, possono essere bloccate in posizione di apertura per
la frantumazione del terreno prima dell'estrazione.
Comportamento dei pali di gruppo
Le fondazioni su pali usualmente consistono in gruppi di pali vicini tra loro, denominati
palificate, e in genere la capacità portante del gruppo non è pari alla somma delle capacità portanti
dei pali individuali poiché il terreno che circonda il palo è disturbato anche dall'infissione dei pali
adiacenti (interferiscono i bulbi di pressione dei singoli pali).
È importante pertanto conoscere la distanza alla quale porre i pali per evitare che un gruppo
di pali molto ravvicinati si possa rompere in blocco unico lungo il perimetro del gruppo stesso.
Esiste una spaziatura critica (esperienza di Whitaker su terreni argillosi) che segna la
variazione del metodo di rottura;
• per spaziature superiori a tale valore critico la rottura si verifica per i singoli pali;
• per valori inferiori a valore critico il gruppo si rompe unitariamente.
La distanza tra i pali è funzione del loro diametro e della loro lunghezza; si adotta di regola un
valore superiore a 3 volte il diametro del palo, altrimenti la palificata si comporta come un unico
blocco.
Strutture intermedie
Tra struttura portante di elevazione e pali c’è un elemento di fondazione intermedio: ad esempio
i plinti.
Al di sotto di questi ci sono diversi modi per disporre i pali, che dipendono dalla necessità di
scarico dei carichi.
Tuttavia al di sotto di una struttura di fondazione intermedia si progettano al minimo due pali.
La disposizione di questi avviene in un preciso modo: il baricentro del sistema di pali al di sotto
della fondazione intermedia deve coincidere con il baricentro del pilastro che scarica su quel sistema
di pali.
Attrito negativo
L'attrito negativo si manifesta quando un palo attraversa strati di terreno fortemente
comprimibili (limi, argille non ancora consolidate, ecc), abbassamento di falda e forti sovraccarichi.
Se questi strati subiscono una compressione dopo la costruzione del palo, a causa dell'attrito paloterreno, il terreno trasmette al palo una spinta verso il basso (attrito negativo) che va a ridurre l'azione
portante per attrito laterale dello strato interessato.
Tale situazione può arrivare ad annullare la portanza per attrito laterale di quello strato e se c'è
l'inversione delle forze di attrito determina anche una maggiorazione del carico che il palo deve
sopportare, in pratica l'attrito laterale invece che sostenere il palo tende a caricarlo.
Pertanto, in fase di progettazione, è necessario conoscere la natura dei terreni attraversati e tenere in
considerazione eventuali effetti legati all'attrito negativo.
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ARMATURA IN EDILIZIA
Una gabbia d'armatura di una trave
Armatura metallica - Plinto di fondazione di un ponte ferroviario
L'armatura, in edilizia, è l'insieme degli elementi in acciaio – opportunamente sagomati e
posizionati – che, conglobati al calcestruzzo, ne complementano la resistenza strutturale, con
particolare riferimento all'assorbimento degli sforzi di trazione e taglio.
L'unione dei due materiali (calcestruzzo ed acciaio) origina il calcestruzzo armato: gli
elementi strutturali così realizzati sfruttano appieno le caratteristiche prestazionali di ciascuna
componente (l'ottima resistenza a compressione del calcestruzzo, e l'efficace resistenza a trazione
dell'acciaio).
Caratteristiche e utilizzo
Le barre in acciaio utilizzate per il confezionamento dell'armatura sono normalmente in
acciaio al carbonio, hanno una sezione circolare (dalla quale deriva il nome comune di tondino) e
devono avere una superficie esterna caratterizzata da particolari nervature dette zigrinatura che hanno
la funzione di migliorare l'aderenza della barra stessa all'interno della struttura in calcestruzzo. Le
barre così realizzate vengono dette ad aderenza migliorata o nervate e sono comunemente conosciute
con il nome di tondino zigrinato.
Sino a qualche decennio fa la normativa prevedeva l'utilizzo anche di barre lisce e lo
scorrimento interno al calcestruzzo era scongiurato con la realizzazione, alle estremità delle barre
stesse, di piegature ad uncino che costituivano veri e propri ancoraggi interni.
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L'armatura tipica di un elemento strutturale (come travi e pilastri) è caratterizzata da due serie
di barre d'armatura:
• barre longitudinali (dette correnti): disposte parallelamente all'asse dell'elemento, sia in zona
tesa che in quella compressa con il compito principale di collaborare con il calcestruzzo
nell'assorbire sforzi di flessione o pressoflessione. In zona tesa, vista la scarsa resistenza a
trazione del calcestruzzo il ferro ha il compito di assorbire integralmente lo sforzo di trazione,
mentre i ferri compressi hanno il compito principale di conferire maggiore duttilità alla
membratura. Nella travi i ferri in zona compressa vengono utilizzati anche come reggi staffe.
• barre trasversali (dette staffe): di diametro inferiore rispetto alle correnti, disposte
trasversalmente rispetto all'asse della membratura, assumono una triplice funzione: consentono
il mantenimento in posizione delle barre longitudinali prima e durante il getto del calcestruzzo,
si fanno carico degli sforzi di taglio ai quali l'elemento è soggetto e riducono la lunghezza di
libera inflessione delle barre longitudinali compresse, evitando la loro instabilità per carichi di
punta.
Sensibilità alla corrosione
Le armature a seconda della loro sensibilità alla corrosione, si distinguono in due gruppi:
• armature sensibili: appartengono a questo gruppo gli acciai da precompressione;
• armature poco sensibili: appartengono a questo gruppo gli acciai ordinari e gli acciai zincati e
quelli inossidabili.
Nel caso di utilizzo nella stessa struttura di acciai di diversa sensibilità alla corrosione (al
carbonio, zincato, inossidabile), si deve evitare che le armature di diversa natura possano entrare in
contatto diretto tra di loro al fine di prevenire l'innesco di eventuali fenomeni di corrosione.
Pertanto in questo caso sono vietate le saldature o legature metalliche tra tondini di acciaio
appartenenti a gruppi diversi.
In merito alle armature in acciaio inossidabile si fa presente che il loro elevato costo ne limita
l'utilizzo solo per la realizzazione di opere in condizioni ambientali d'elevata aggressività, soprattutto
legata alla presenza d'acqua di mare o di sali disgelanti, oppure nei casi in cui, per l'importanza della
struttura, sia richiesta una vita di servizio molto lunga (ad esempio maggiore di 100 anni).
In questi casi infatti la protezione offerta dal copriferro può non essere sufficiente a prevenire
la corrosione, e pertanto per garantire la durata richiesta per l'opera senza costose e complesse
manutenzioni straordinarie.
In questo caso potrebbe risultare economicamente più conveniente l'utilizzo integrale o parziale
dell'acciaio inossidabile.
L'acciaio zincato risulta invece più economico però presenta problemi di corrosione dovuti al
fatto che lo zinco è attaccato in ambienti molto alcalini.
Pertanto se l'armatura viene protetta, particolarmente nel primo periodo dopo il getto del
calcestruzzo, la zincatura garantisce buoni risultati anche per lunghi periodi sia in presenza di
carbonatazione che di cloruri.
Sagomatura
L'acciaio per calcestruzzo armato è prodotto in stabilimento sotto forma di barre o rotoli, reti o
tralicci, per l'utilizzo diretto in cantiere o come elementi base per le successive trasformazioni.
Le operazioni di sagomatura dell'armatura possono avvenire all'interno del cantiere edile,
mediante l'utilizzo di macchine piegaferro, anche se la tendenza moderna alla specializzazione ha
favorito lo sviluppo dei centri di trasformazione specializzati i quali provvedono, prima della fornitura
in cantiere dei ferri, a saldarli, presagomarli, o preassemblarli formando elementi composti
direttamente utilizzalibili in opera quali ad esempio:
• elementi presagomati - staffe, ferri piegati, ecc.;
• elementi preassemblati - gabbie di armatura, tralicci, ecc.
I centri di trasformazione specializzati, sono attrezzati con specifici macchinari, in cui si
effettuano le operazioni di taglio, piegatura (presagomatura) e assemblaggio delle diverse componenti
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(sagome). I centri di trasformazione sono obbligati dal D.M. 14/01/2008 ad essere certificati ISO
9001 e a effettuare deposito della dichiarazione della loro attività e certificazione presso il C.S.LL.PP.
/ S.T.C. oltre che nominare un direttore del centro che è responsabile dei prelievi nel centro stesso. I
prelievi devono essere sottoposti a prove sia meccaniche che di indice di aderenza, in dipendenza del
tipo di materiale, presso i laboratori ufficiali o autorizzati dal C.S.LL.PP. / S.T.C. I Direttori dei
Lavori devono ottenere copia dell'attestato rilasciato dal S.T.C. e possono verificare che il materiale
consegnato in cantiere sia comprensivo del riferimento al DDT nella copia dell'attestato stesso. Il
direttore dei lavori può chiedere copia delle prove effettuate, dal centro stesso, secondo le frequenze
stabilite dal decreto ministeriale 14 gennaio 2008 presso il laboratorio ufficiale o autorizzato. La
presenza delle prove effettuate dal Centro di Trasformazione non esime il direttore dei lavori da
effettuare le prove di cantiere. I prelievi di cantiere possono essere effettuati presso il centro di
trasformazione nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale 14 gennaio 2008.
La materia prima utilizzata è rappresentata da acciaio in barre e in rotolo.
Le barre subiscono, a seconda delle sagome predisposte nei disegni esecutivi strutturali, un
taglio a misura e una successiva piegatura a freddo.
Il materiale in rotolo necessita prima della sagomatura un'operazione di raddrizzatura che può
avvenire con un sistema a rulli contrapposti o con un meccanismo a rotore.
I principali produttori di macchine per la presagomatura a livello mondiale sono italiani.
Assemblaggio
Una volta preparate le diverse componenti, sagomate in cantiere o in stabilimento (staffe,
cavallotti, barre dritte, forcelle, ecc.), queste devono essere assemblate in modo tale che la gabbia
d'armatura risultante sia conforme, con la giusta tolleranza, al progetto strutturale con riferimento
specifico alla posizione del sagomato e al rispetto del copriferro e dell'interferro.
La serie di operazioni di assemblaggio dei tondini di ferro viene indicato con legatura dei ferri
di armatura.
La legatura delle barre deve garantire il mantimento della posizione del ferro durante tutte le
fasi di getto e costipamento del calcestruzzo.
L'assemblaggio può avvenire in stabilimento attraverso unione con punti di saldatura (per
piccole gabbie o tralicci) ma il più delle volte avviene direttamente in cantiere.
I punti di saldatura sono consigliati solo per l'assemblaggio in stabilimento poiché tale unione
garantisce una idonea resistenza anche alla movimentazione della gabbia di armatura.
Di prassi in cantiere si procede alla legatura con il fil di ferro.
Questo è costituito da filo nero di acciaio del diametro pari a 1 – 2 mm e si pone in opera
mediante l'utilizzo di tenaglie o attrezzatura analoga.
La normativa vigente non riporta alcuna indicazione a proposito delle modalità di legatura.
Comunque esistono delle regole generali in merito:
• elementi bidimensionali (piastre, lastre, piastre di fondazione):
 tutti gli incroci delle barre in corrispondenza del perimetro della gabbia di armatura devono
essere fissati (per rendere stabile la gabbia);
 se il diametro della barra è d ≤ 12 mm, gli incroci interni lungo ogni barra (sia longitudinale
che trasversale) devono essere legati in modo alternato (uno si e uno no) e pertanto tra due
barre contigue le connessione devono risultare sfalsate;
 se il diametro della barra è d > 12 mm gli incroci interni legati lungo la generica barra (sia
longitudinale che trasversale) devono distare s ≤ 50 d e tra due barre contigue le
connessione devono essere sfalsate;
• elementi monodimensionali (travi pilastri):
 tutti gli incroci tra l’armatura principale e le staffe in corrispondenza delle piegature di
queste ultime devono essere legati (per rendere stabile la gabbia);
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 gli incroci tra le barre longitudinali, che non intercettano le staffe in corrispondenza della
piegatura, e le staffe stesse devono essere connessi ad una distanza s < 50 d dove d è il
diametro della barra longitudinale.
In ogni caso se la legatura va ad interessare lo spessore del copriferro, per evitare problemi alla
durabilità del calcestruzzo a seguito della corrosione del materiale di legatura, si deve rimuovere la
parte in eccesso.
Classificazione
Evoluzione normativa
A sinistra barra liscia, a destra barra ad aderenza migliorata.
In merito all'acciaio da cemento armato normale, o acciaio per armatura lenta, fino a quando è
rimasto in vigore il decreto ministeriale 9 gennaio 1996, la normativa prevedeva i seguenti tipi di
acciaio che venivano classificati con riferimento al processo di produzione:
 acciai in barre tonde lisce - acciai trafilati a freddo
o Fe B 22 k (acciaio dolce): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a 335
N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 215 N/mm2 e da un
allungamento di rottura (A5) non inferiore al 24%;
o Fe B 32 k (acciaio dolce): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a 490
N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 315 N/mm2 e da un
allungamento di rottura (A5) non inferiore al 23%;
 acciai in barre ad aderenza migliorata (acciaio nervato) - acciai laminati a caldo
o Fe B 38 k (acciaio duro): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a 450
N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 375 N/mm2 e da un
allungamento di rottura (A5) non inferiore al 14%;
o Fe B 44 k (acciaio duro): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a 540
N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 430 N/mm2 e da un
allungamento di rottura (A5) non inferiore al 12%;
Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale 14 settembre 2005, la normativa ha introdotto
l'utilizzo delle sole seguenti tipologie di acciaio nervato classificato in base alla loro resistenza e alla
loro duttilità:
 B 450 C (acciaio laminato a caldo): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a
540 N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 450 N/mm2 e da un allungamento
totale a carico massimo (Agt) non inferiore al 7%;
 B 450 A (acciaio trafilato a freddo): caratterizzato da una tensione di rottura non inferiore a
540 N/mm2; da una tensione di snervamento non inferiore a 450 N/mm2 e da un allungamento
totale a carico massimo (Agt) non inferiore al 3% (minore duttilità rispetto al precedente).
Al fine di garantire un comportamento duttile delle strutture in calcestruzzo armato durante gli
eventi sismici, il decreto ministeriale introduce dei limiti a 2 parametri che misura della duttilità
dell'acciaio:
 il rapporto di incrudimento , ottenuto da rapporto tra la tensione massima e quella di
snervamento dell'acciaio, deve risultare ( ft/fy )medio ≥ 1,13. IL rapporto di incrudimento è uno
dei parametri fondamentali per definire la duttilità. Il valore di 1,13 è conseguente ad un
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insieme di prove sperimentali effettuate su manufatti in c.a. che hanno permesso di
determinare una soglia limite, per cui solo al disopra di quel valore si hanno strutture in
cemento armato duttili.
 rapporto tra il valore effettivo di snervamento e quello teorico (fy/fynom )≤ 1,3 . È noto che
negli acciai tanto più lo snervamento è basso tanto più la duttilità è elevata. Pertanto tale
verifica consente di controllare che l'acciaio effettivamente utilizzato in cantiere non presenti
una tensione di snervamento molto superiore da quella di progetto; utilizzando armature
aventi caratteristiche rispondenti a quelle progettate, si garantisce infatti che il collasso della
struttura avvenga nelle sezioni ipotizzate.
Il decreto ministeriale 14 settembre 2005 prevedeva inoltre i seguenti prodotti siderurgici da
cemento armato ordinario (tondini in acciaio non legato, zincato e inox):
 barre;
 rotoli;
 reti e tralicci elettrosaldati.
Differenza tra l'allungamento A5 e Allungamento Agt
Fino al DM del 9 gennaio 1996 la normativa valutava l'allungamento dell'acciaio con riferimento
allungamento percentuale specifico a rottura A5.
Tale valore rappresenta l'allungamento permanente residuo dopo la rottura del provino di acciaio.
Fino al raggiungimento del carico massimo (ft) la deformazione è provino è uniforme lungo tutto
il provino.
Raggiunto il carico massimo la deformazione aumenta notevolmente in una zona limitata dando
luogo ad un restringimento della sezione evidente anche a occhio nudo, detta zona di strizione.
L'allungamento A5 pertanto tiene conto della strizione che avviene dopo il carico massimo ed è
riferito ad una lunghezza convenzionale di riferimento L0, che per i provini di sezione circolare, di
diametro d, è pari a 5d.
Sul provino, prima della prova di trazione vengono segnate 2 tacche a distanza 5d;
successivamente si porta a rottura il tondino di ferro, si riaccostando i lembi della provetta e si misura
la nuova lunghezza Lu tra le tacche riferimento:
 A5 =100*(Lu -L0)/L0 .
con il DM 14 settembre 2005, in sostituzione di A5, viene introdotto l'allungamento percentuale
totale a carico massimo definito Agt.
Tale valore rappresentala massima deformazione del provino prima che si manifestino i fenomeni
di strizione e di rottura dell'acciaio.
Sul provino vengono segnate due tacche a distanza LO = 100 mm.
Durante la prova di trazione, raggiunto il carico massimo (ft) si determina la nuova distanza Lu
tra le tacche dopo lo scarico del provino:
 Agt = 100*(Lu-LO)/LO +ft/E
dove:
 (Lu-LO)/LO =Ag rappresenta l'allungamento permanete residuo del provino a carico massimo
 ft/E è invece l'allungamento elastico.
Pertanto A5 > Agt
21
Attuale classificazione
Posa in opera dell'armatura metallica
La attuale normativa decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (NTC 2008) e la sua recente
modifica in materia di utilizzo degli acciai B 450 A (decreto ministeriale 15 novembre 2011) hanno
riconfermato solo in parte quanto introdotto dal decreto ministeriale 14 settembre 2005.
La nuova normativa tecnica, al contrario dei precedenti D.M fino a quello del 1996, classifica gli
acciai da utilizzare nelle opere in calcestruzzo armato ordinario secondo la classe di resistenza e la
classe di duttilità, essendo d'altra parte questi requisiti finali ad influenzare il comportamento della
struttura in cui il tondino è inserito e non certo il processo di produzione. Le NTC 2008 prevedono le
seguenti classi:
 una sola classe di resistenza - 450 N/mm2;
 due classi di duttilità indicate con le lettere A (acciaio trafilato a freddo) e C (acciaio laminato
a caldo) le quali corrispondono esattamente a quelle definite nella UNI EN 1992 -11(Eurocodice 2), la quale individua anche un'ulteriore classe di duttilità indicata con la lettera
B che non viene però prevista nel decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (NTC 2008). L'acciaio
B 450 C è più duttile del B 450 A.
Nello specifico l'EC2 definisce tre classi di acciaio, tipo A (normale duttilità), tipo B (alta duttilità)
ed il tipo C (più alta duttilità).
Le NTC 2008 prevedono inoltre i seguenti prodotti siderurgici da cemento armato ordinario che
devono rispettare le caratteristiche dimensionali: di seguito riportate:
 barre:
 in acciaio tipo B 450 C (6 mm ≤ Ø ≤ 40 mm) se prodotte e fornite come tali;
 in acciaio tipo B 450 A (5 mm ≤ Ø ≤ 10 mm) e tipo B 450 C (6 mm ≤ Ø ≤ 16 mm) se
ottenute dal raddrizzamento di filo prodotto in rotolo;
 rotoli: in acciaio tipo B 450 C (6 mm ≤ Ø ≤ 16 mm) e tipo B 450 A (5 mm ≤ Ø ≤ 10 mm);
 reti e tralicci elettrosaldati: in acciaio tipo B 450 C (6 mm ≤ Ø ≤ 16 mm) e tipo B 450 A (5 mm
≤ Ø ≤ 10 mm). Per le reti il lato della maglia deve essere ≤ 330 mm. Per i tralicci i ferri indicati
sono da utilizzare come barre longitudinali mentre per le staffe deve essere Ø ≥ 5 mm in
acciaio tipo B 450 A o C. Tali prodotti vengono fornite in pacchi.
L'acciaio B450C è più duttile del B450A e presenta un allungamento a rottura maggiore.
Le NTC 2008 prescrivono, nell'esecuzione di strutture in calcestruzzo armato, l'utilizzo del B 450
C e del B 450 A. L'acciaio tipo B 450 A, con diametri compressi tra 5 e 10 mm, è ammesso per le reti
e i tralicci nonché per le staffe (staffe, ecc.) per strutture in CD "B", negli altri casi se ne consente
l'uso per l'armatura trasversale unicamente se è rispettata almeno una delle seguenti condizioni:
elementi in cui è impedita la plasticizzazione mediante il rispetto del criterio di gerarchia delle
resistenze, elementi secondari di cui al par. 7.2.3, strutture poco dissipative con fattore di struttura
q<=1.5 così come specificato nel decreto ministeriale 15 novembre 2011 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana nº 270 del 19 novembre 2011.
Contrassegni
Per normativa è previsto che sulla barra d'armatura sia riconoscibile la ferriera e il paese di origine.
A tale scopo è stato introdotto un raggruppamento di nervature speciali (di norma più spesse delle
altre) da cui dedurre, come un codice a barre, il paese di fabbricazione e la ferriera d'origine.
22
Normalmente il marchio con cui si identifica il materiale è indicata sulle documentazioni che
accompagnano le varie forniture, ed è costituito dalla nervatura e dalla marchiatura e cioè una serie
di numeri tipo: 0,4,6, che indicano il numero di nervature trasversali normali comprese tra quelle
speciali (nervature rinforzate). La marchiatura ha inizio con due nervature rinforzate consecutive tra
le quali pertanto non vi sono nervature normali(0). Le nervature normali comprese tra il punto d'inizio
e la successiva nervatura speciale indica il paese di origine.
Secondo le UNI EN 10080 i paesi di origine sono individuati dal seguente numero di nervature
trasversali normali comprese tra l'inizio della marcatura e la nervatura speciale successiva:
Paese
Numero di nervature
Austria, Germania
1
Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera
2
Francia
3
Italia
4
Irlanda, Islanda, Regno Unito
5
Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia
6
Portogallo, Spagna
7
Grecia
8
Le ulteriore nervature normali fino all'ultima nervatura speciale leggibile indica il codice
della ferriera (stabilimento di produzione). Le ferriere devono depositare il marchio di
identificazione (nervatura e marchiatura) presso il Ministero dei lavori pubblici - Servizio Tecnico
Centrale (STC).
I tondini possono avere 2,3 o 4 superfici con nervature a rilievo:
 2 facce nervate: acciaio B450 C (laminato[2] a caldo) in barre prodotte tal quali;
 3 facce nervate: acciaio B450 A (trafilato[3] a freddo) in barre raddrizzate da filo in rotoli
prodotto mediante deformazione a freddo a partire da vergella liscia;
 4 facce nervate: acciaio B450 C (laminato a caldo) in barre raddrizzate da filo in rotoli.
Se il tondino presenta una superficie con impronte (dentellatura) normalmente presenta 3 facce
dentellate ed è riferito ad acciai B450 A.
Conformità alla normativa
 Fornitura effettuata da un produttore (ferriera): tutte le forniture devono essere
accompagnate dell'Attestato di Qualificazione (ADQ) rilasciato dal Consiglio Superiore dei
LL.PP. - Servizio Tecnico Centrale nel quale deve essere riportato:
 il numero dell'ADQ che deve essere riportato sul documento di trasporto (DDT) che
deve accompagnare la fornitura (p.to 11.3.1.5. del decreto ministeriale 14 gennaio
2008);
 tipo di acciaio (es. B 450 C) e caratteristiche dimensionali (es barre di diametro 6-40)
 il marchio di laminazione identificativo dello stabilimento;
 indirizzo dello stabilimento;
 riferimento alla norma decreto ministeriale 14 gennaio 2008;
 data di emissione (validità 5 anni).
 Fornitura effettuata da un commerciante: la fornitura deve essere accompagnata da copia
dei documenti rilasciati dal produttore/i e completati con il riferimento al DDT del
commerciante stesso
 Fornitura effettuata da un centro di trasformazione (CDT): la fornitura deve essere
accompagnata dal DDT riportante gli estremi dell'Attestato di avvenuta dichiarazione di
attività (ADA), rilasciato dal STC del Consiglio Superiore dei LL.PP e dall'attestazione
inerente all'esecuzione di tutte le prove di controllo previste e fatte eseguire dal direttore
23
tecnico del centro di trasformazione (p.to 11.3.1.7 del decreto ministeriale 14 gennaio 2008).
Su richiesta del direttore dei lavori deve essere fornita anche la copia dei certificati relativi
alle prove eseguite nei giorni in cui il materiale è stato lavorato. Sull'ADA deve essere
riportato:
 numero dell'ADA da riportare sul DDT;
 nome dell'azienda di trasformazione;
 logo o il marchio del centro di trasformazione;
 indirizzo dello stabilimento;
 riferimento alla norma del decreto ministeriale 14.01.2008;
 data di emissione (validità 1 anno).
Il direttore dei lavori prima della messa in opera è tenuto a verificare quanto sopra indicato;
in particolare dovrà provvedere a verificare la rispondenza tra la marcatura riportata sull'acciaio con
quella riportata sui certificati consegnati.
La mancata marcatura, la non corrispondenza a quanto depositato o la sua il leggibilità, anche
parziale, rendono il prodotto non impiegabile e pertanto le forniture dovranno essere rifiutate.
Controllo di accettazione
Il direttore dei lavori è obbligato ad eseguire i controlli di accettazione sull'acciaio consegnato
in cantiere, in conformità con le indicazioni contenute nel decreto ministeriale 14 gennaio 2008 al
punto 11.3.2.10.4.
Il campionamento ed il controllo di accettazione dovrà essere effettuato entro 30 giorni dalla
data di consegna del materiale.
All'interno di ciascuna fornitura consegnata e per ogni diametro delle barre in essa contenuta,
si dovrà procedere al campionamento di tre spezzoni di acciaio di lunghezza complessiva pari a
100/120 cm ciascuno, sempre che il marchio e la documentazione di accompagnamento dimostrino
la provenienza del materiale da uno stesso stabilimento.
In caso contrario i controlli devono essere estesi agli altri diametri delle forniture presenti in
cantiere. Non saranno accettati fasci di acciaio contenenti barre di differente marcatura.
Il prelievo dei campioni in cantiere e la consegna al laboratorio ufficiale incaricato dei
controlli verranno effettuati dal direttore dei lavori o da un tecnico da lui delegato; la consegna delle
barre di acciaio campionate, identificate mediante sigle o etichettature indelebili, dovrà essere
accompagnata da una richiesta di prove sottoscritta dal direttore dei lavori.
La domanda di prove al laboratorio ufficiale dovrà essere sottoscritta dal direttore dei lavori e
dovrà inoltre contenere precise indicazioni sulla tipologia di opera da realizzare (pilastro, trave, muro
di sostegno, fondazioni, strutture in elevazione, ecc.).
Il controllo del materiale riguarda l'individuazione, per ogni campione, dei valori di resistenza
e di allungamento, i quali devono essere compatibili con quelli riportati dalle norme (tab. 11.3.VI
NTC).
Qualora all'interno della fornitura siano contenute anche reti elettrosaldate, il controllo di
accettazione dovrà essere esteso anche a questi elementi.
In particolare, a partire da tre differenti reti elettrosaldate verranno prelevati 3 campioni di
dimensioni 100*100 cm.
Il controllo di accettazione riguarderà la prova di trazione su uno spezzone di filo
comprendente almeno un nodo saldato, per la determinazione della tensione di rottura, della tensione
di snervamento e dell'allungamento; inoltre, dovrà essere effettuata la prova di resistenza al distacco
offerta dalla saldatura del nodo.
Quando il prodotto utilizzato proviene da un Centro di Trasformazione, la spedizione del
materiale deve essere accompagnata dall'attestazione inerente all'esecuzione delle prove interne, fatte
eseguire dal direttore tecnico del centro di trasformazione.
L'attestazione deve riportare anche il giorno in cui la fornitura di acciaio è stata lavorata.
24
Se il direttore dei lavori lo richiede il centro di trasformazione deve fornire anche una copia
dei certificati relativi alle prove effettuate nel giorni in cui la lavorazione è stata eseguita (§11.3.1.7
NTC).
Il direttore dei lavori può comunque effettuare i controlli di accettazione previsti dalle NTC
direttamente presso il Centro di Trasformazione.
In questo caso il prelievo dei campioni è un onere del direttore tecnico del Centro di
Trasformazione che li deve effettuare nel rispetto degli ordini del DL.
Resta nella discrezionalità del direttore dei lavori effettuare tutti gli eventuali ulteriori controlli
ritenuti opportuni (es. indice di aderenza, saldabilità).
Diagramma sforzi – deformazioni
Nel tratto iniziale che va da zero fino alla tensione di proporzionalità σp il diagramma σ - ε dei
comuni acciai al carbonio è rettilineo ed è comune a tutte le tipologie di tondino, poiché hanno lo
stesso modulo di Young, pari a E = 210 000 N/mm2 (30 000 000 psi, circa). Pertanto fino a σp vale la
legge:
 σ = E ε (fase elastica lineare).
Per valori compresi tra la tensione di proporzionalità e la tensione di snervamento fy, oltre la quale
finisce il comportamento elastico del materiale, si ha un comportamento elastico non lineare per cui
vale una legge del tipo:
 σ = E(ε) ε
Oltre la tensione di snervamento inizia la fase plastica del materiale. La fase plastica dipende dal
tipo di acciaio, infatti per acciai dolci, che sono i più duttili, la fase di snervamento è più estesa, man
mano che ci si sposta verso quelli più duri tale fase si riduce. Dopo la tensione di snervamento i
diagrammi σ - ε non sono più uguali per ogni tipologia di acciaio, in pratica passando dagli acciai
dolci a quelli duri si riduce la fase di snervamento e si innalza la f y. Per gli acciai armonici utilizzati
nella precompressione, la fase duttile è praticamente assente e pertanto non è sempre possibile
individuare la fy. In questo caso si fa riferimento alla fy,(0,2) che è la tensione a cui corrisponde, allo
scarico, una deformazione residua pari allo 0,2%.
Diagramma di calcolo tensione-deformazione
D
Diagramma elastico perfettamente plastico indefinito
Il legame di calcolo tensione - deformazione dell'acciaio è ricavato da diagrammi che
rappresentano una idealizzazione delle leggi costitutive sperimentali dell'acciaio.
Il decreto ministeriale del 14 gennaio 2008 consente l'utilizzo dei seguenti diagrammi:
 bilineare finito con incrudimento: l'inclinazione del tratto plastico tiene conto dell'incremento
di resistenza dovuto all'incrudimento del materiale dopo lo snervamento. La pendenza di tale
tratto è espressa dal k (rapporto di sovraresistenza) che rappresenta il rapporto caratteristico
tra la tensione di picco o rottura ft e la tensione di snervamento fy
 elastico perfettamente plastico indefinito
Normativa
 UNI EN 10080:2005 – Acciaio d'armatura per calcestruzzo - Acciaio d'armatura saldabile Generalità
 Decreto ministeriale del 14 gennaio 2008 - Nuove norme tecniche per le costruzioni.
25
Riferimenti normativi in Italia
Leggi:
 Legge 5 novembre 1971 - n°1086 "Norme per la disciplina delle opere di conglomerato
cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica".
Decreti ministeriali:
 D.M. 20 novembre 1987 - "Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo
degli edifici in muratura e per il loro consolidamento".
 D.M. 14 febbraio 1992 "Norme tecniche per l’esecuzione delle opere in cemento armato
normale e precompresso e per le strutture metalliche" (sostituito dal D.M.9/1/1996 che, al
comma 2 dall’art.1, riconosce ancora applicabili le norme tecniche del presente decreto per
la parte concernente le norme di calcolo e le verifiche col metodo delle tensioni ammissibili
e le relative regole di progettazione e di esecuzione).
 D.M. 9 gennaio 1996 - Ordinanza (Carichi e sovraccarichi)
 D.M. 9 gennaio 1996 - "Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle
strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche" - Parte I
e Parte II
 D.M. 16 gennaio 1996 - "Norme tecniche relative ai Criteri generali per la verifica di
sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi".
 D.M. 14 settembre 2005 - "Norme tecniche per le costruzioni" (coesistente con i decreti
precedenti fino al 31/12/2007, data in cui non potranno più essere applicati il D.M.
09/01/1996 e il D.M. 16/01/1996).
 D.M. 14 gennaio 2008 - "Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni".
Circolari:
 CNR 10024-1986
 Circolare 15 ottobre 1995
 Circolare 10 aprile 1997
 Circolare 2 febbraio 2009 n°617/C.S.LL.PP.
CASSAFORMA
Cassaforma in legno
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Il termine cassaforma, o cassero (in inglese formwork) in edilizia, è normalmente associato
alla realizzazione delle opere in calcestruzzo armato, e individua l'involucro, dentro cui viene
effettuato il getto di calcestruzzo allo stato fluido e dove esso rimane fino alla fine del processo di
presa e dopo che, iniziata la fase di indurimento, il getto abbia conseguito una resistenza meccanica
(circa 5-10 MPa) tale da garantire l'assorbimento delle sollecitazioni a cui la struttura è sottoposta
subito dopo il disarmo o scasseratura.
A questo punto la cassaforma perde la sua funzione e può essere rimossa perché la struttura è
ormai in grado di autoportarsi.
Le casseforme possono essere realizzate con diversi materiali le più utilizzate sono quelle
realizzate con elementi in legno oppure con pannelli metallici ma con maggiore frequenza si
utilizzano anche elementi a base di polistirolo espanso o elementi in materiali fibrocompressi o
compensati.
Per facilitare la scasseratura, le superfici interne delle casseforme vengono trattate con prodotti
disarmanti conformi alla norma UNI 8866.
La casseratura può essere realizzata anche "a perdere", ovvero può rimanere inglobata
nell'opera anche dopo l'indurimento del calcestruzzo.
I casseri vengono utilizzati anche per la realizzazioni di altre opere quali vespai, intercapedini
e pavimenti aerati, per il consolidamento dei terreni, ecc.
Storia della cassaforma
Cassaforma a telaio 80kN
Il concetto di cassaforma risale all'inizio della storia edilizia della nostra civiltà. Una
cassaforma è una struttura dentro cui gettare del materiale allo stato liquido o semi-liquido in attesa
che esso solidifichi spontaneamente o grazie all'apporto di calore esterno (il sole o un forno).
Uno degli esempi più antichi di cassaforma è la scatola di legno dove i costruttori dei popoli
della Mesopotamia gettavano dell'argilla fresca, per metterla poi ad essiccare al calore del sole. Una
volta solidificata, l'argilla manteneva la forma datale dalla cassaforma e diventava, genericamente,
un mattone da costruzione.
In questo caso la cassaforma veniva utilizzata più volte per produrre diversi mattoni simili.
Nell'antico Egitto si usavano casseforme in legno per gettarvi dentro un composto simile al
calcestruzzo (la sua composizione precisa è tuttora ignota) che, solidificando, diventava un materiale
simile al granito con cui sono state costruite molte delle più importanti piramidi, tra cui quelle della
piana di Giza.
Anche tra i Romani era ben conosciuto il concetto di cassaforma. Essi usavano costruire due
murature parallele tra le quali gettavano del calcestruzzo: in tal modo, quando il materiale gettato
solidificava, i muri diventavano solidali con il calcestruzzo, fornendogli, allo stesso tempo, la
cassaforma per il getto. Questo è il muro a sacco romano.
Estremi del concetto di cassaforma
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Cantiere Resident Tower in Romania
La cassaforma è anche la struttura che tiene unito un materiale che, altrimenti, non potrebbe
mantenere la sua forma, perché incoerente. È il caso delle pareti di fango o di terra, che sono tenute
insieme da un intreccio di legni e paglia, oppure che sono contenute in sacchi che poi vengono
sovrapposti. Questi sono esempi al limite della definizione di cassaforma, in quanto non vi viene
gettato un materiale che poi subisce una trasformazione.
Quando si costruisce un arco o una volta, si usa costruire una struttura (in genere lignea) che
serve per poggiarvi i conci dell'arco per tenerli fermi prima che l'arco sia completato. Questo tipo di
cassaforma è la centina. Anche questo è un concetto estremo di cassaforma, per quanto sia una
struttura che dà la sua forma ad un altro manufatto (è comunque errato parlare di cassaforma
riferendosi ad una centina).
Cassaforma a perdere
Casseforme a perdere, in plastica rigenerata, per vespai aerati.
Quando si getta un materiale in una cassaforma che poi non viene rimossa, rimanendo solidale
con esso, si parla di cassaforma a perdere.
Il muro romano a sacco, citato in precedenza, è gettato in una cassaforma a perdere, perché i
muri laterali, che fungono da cassaforma, rimangono solidali con il calcestruzzo gettato tra essi.
Lo stesso concetto attualmente viene utilizzato in alcuni casi per la realizzazione di
membrature, quali pareti, piastre gettate in opera dove come casseri a perdere vengono utilizzate lastre
prefabbricate tipo predalles.
Oggi esistono esempi di casseri a perdere quali i tubi per la realizzazione di pilastri, realizzati
con materiali di natura diversa (cartone trattato, polistirolo, ecc.). In questo caso ogni cassaforma
viene usata per un solo getto, mentre i casseri tradizionali in legno o metallo vengono utilizzati più
volte.
In edilizia esistono molti esempi di strutture realizzate con casseforme a perdere, tra cui diversi
tipi di pali di fondazione (controtubi in acciaio) e di muri di sostegno con blocchi cassero.
Il cassero a perdere viene utilizzato anche per la realizzazione di vespai, intercapedini e pavimenti
aerati (elementi in materiale plastico) nonché, sotto forma di pannelli realizzati con materiali
termoisolanti (lana di legno trattata, polistirolo, ecc.), per conferire alla struttura (parete, pilastro,
ecc.) un'idonea inerzia termica al fine di prevenire l'insorgenza di ponti termici.
28
Casseforme per cemento armato
Il disegno lasciato dalle tavole sul cemento
La parola cassaforma forse richiama più di tutti il concetto di cemento armato.
La cassaforma è, infatti, una delle fasi più importanti della realizzazione della struttura, in
quanto è con essa che si costituiscono la forma e le dimensioni definitive del manufatto.
Il materiale principe per la realizzazione delle casseforme per cemento armato è sempre stato
il legno, un materiale semplice da lavorare e da sagomare, leggero da manovrare in cantiere e
traspirante (particolare molto importante per il calcestruzzo in fase di maturazione).
Il legno ha lo svantaggio di non poter essere utilizzato per più di due o quattro volte per fare
da cassaforma al cemento: esso si impregna e ben presto diventa rigido, pesante e non più traspirante,
oltre a necessitare l'abbattimento di alberi; senza considerare il fatto che il legno impregnato non può
essere utilizzato nemmeno per bruciare (non prende fuoco) e non è più biodegradabile (lo è solo la
fibra, non il cemento in essa impregnato).
Da qualche tempo viene utilizzato per la costruzione il polistirolo con la tecnica chiamata
Insulated concrete form (ICF).
Cassaforma a platea per solaio gettato in opera
Il legno lascia la sua "impronta" sul calcestruzzo, che prende i disegni, in negativo, della fibra
e dei nodi delle tavole di legno utilizzate. Questo aspetto può essere enfatizzato per conferire al
cemento armato un bell'aspetto superficiale, al fine di lasciarlo a vista (cemento faccia a vista). Il
cemento, se ben fatto, è un materiale molto durevole e non necessita di elementi protettivi ulteriori
per resistere per decenni agli agenti atmosferici.
Oggi esistono casseforme metalliche telescopiche e di sezione variabile che possono essere
utilizzate un numero virtualmente infinito di volte e offrono al manufatto completo una superficie
liscia e omogenea.
Le casseforme non vengono quasi più utilizzate per realizzare i solai in laterocemento, in
quanto questi sono sempre più spesso costituiti da travetti o lastre prefabbricate autoportanti che,
insieme alle pignatte, fungono anche da cassaforma a perdere per il successivo getto di
completamento. Ciò permette di risparmiare moltissima superficie di cassaforma.
Le casseforme per cemento armato precompresso sono tutte metalliche. Il processo produttivo
in serie di questo tipo di membratura rende antieconomico l'utilizzo di casseforme non riciclabili.
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A partire da metà Novecento si sono cominciati a sviluppare dei sistemi di casseforme evolute
per cercare di industrializzare il cantiere ed aumentarne l'efficienza produttiva. Alcuni esempi di
queste casseforme sono: le casseforme scorrevoli, anche dette slip form; le casseforme rampanti e
quelle semi-rampanti.
La maestranza che possiede le competenze per realizzare le casseforme in legno è il
carpentiere, termine oggi allargato anche a chi realizza casseforme in acciaio o casseforme in
generale. Ad ogni modo, ovunque c'è una struttura in cemento armato, c'è stata una cassaforma che
le ha dato forma e dimensioni.
Funzione
La funzione del cassero è duplice:
• geometrica: viene realizzato in modo tale che il calcestruzzo gettato possa assumere la forma
richiesta dal progetto.
• meccanica: non si deve deformare, deve pertanto essere in grado di sopportare la pressione
del getto sulle sue pareti[1] e l'azione delle vibrazioni di costipamento. Inoltre la cassaforma
deve garantire la tenuta stagna poiché la mancanza di tenuta perfetta determinerebbe una
fuoriuscita della frazione più fine dell'impasto con conseguente formazione di una struttura
spugnosa e di nidi di ghiaia.
Montaggio e preparazione
Nel caso di utilizzo di casseforme in legno, ci si deve assicurare che le stesse siano eseguite
con tavole a bordi paralleli e ben accostate, in modo che non abbiano a presentarsi, dopo il disarmo,
sbavature o disuguaglianze sulle facce in vista del getto.
In generale le parti componenti i casseri debbono essere a perfetto contatto e sigillate con
idoneo materiale per evitare la fuoriuscita di boiacca cementizia.
Prima del getto, per avere un prodotto finale ottimale, le casseforme devono essere pulite per
eliminare ogni traccia di materiale che possa compromettere l’estetica del manufatto quali polvere,
terriccio ecc.
La superficie interna dei casseri deve essere trattata con prodotti disarmanti conformi alla
norma UNI 8866.
I disarmanti per essere efficaci, però, devono essere stessi entro le 24 ore precedenti al getto.
Nel caso di utilizzo di casseforme impermeabili, per ridurre il numero delle bolle d'aria sulla
superficie del getto, si deve fare uso di disarmante con agente tensioattivo e la vibrazione dovrà
avvenire in contemporanea con il getto.
Nel caso di casseformi permeabili, come il legno, è necessario che prima del getto queste
vengano opportunamente bagnate per evitare che l'acqua d'impasto venga sottratta dal cassero
producendo una maggiore porosità superficiale a causa della minore idratazione del cemento in
superficie per carenza di acqua, determinando un abbattimento del grado di durabilità del materiale e
aumentando la vulnerabilità delle armature.
Accessori
Tipo di distanziatori
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I distanziatori sono accessori per casseforme necessari all’assemblaggio e al bloccaggio dei vari
pannelli costituenti il cassero di una parete in calcestruzzo armato. Sono elementi prestampati in
metallo o in PVC che rimangono quasi completamente inglobati nel calcestruzzo indurito (elementi
a perdere). I distanziatori per casseforme si distinguono da quelli per copriferro che vengono montati
sempre all'interno dei casseri ma in corrispondenza dei ferri d'armatura più esterni al fine di garantire
il ricoprimento di calcestruzzo previsto dal progetto esecutivo.
I puntelli vengono utilizzati per la realizzazione di pareti in calcestruzzo. Grazie ai sistemi di
puntellazione di sostegno, la pressione esercitata dal calcestruzzo fresco sul paramento dei casseri
viene scaricata a terra.
Cassaforma a telaio con sistema di puntellazione
Scasseratura
Momento della scasseratura
Come accennato in precedenza, la rimozione dei casseri o disarmo (in inglese: stripping) deve
essere effettuata previo accertamento che la resistenza del calcestruzzo gettato in opera abbia
raggiunto la resistenza minima di progetto per sopportare le azioni a cui dovrà essere immediatamente
assoggettata la struttura. A tale scopo devono essere presi in considerazione gli effetti della
temperatura ambiente durante il periodo di maturazione del calcestruzzo gettato in opera qualora si
abbiano condizioni ambientali di riferimento che si discostano dalla temperatura media del
calcestruzzo di 20 °C. Gli effetti di temperature ridotte o elevate devono essere calcolati considerando
adeguatamente lo sviluppo della resistenza del calcestruzzo in funzione del tempo di maturazione e
della temperatura stessa nel seguente modo: per il calcolo della resistenza media del calcestruzzo
31
fcm(t) ad una età t e per una maturazione che avvenga ad una temperatura prefissata T si può utilizzare
la seguente formula:

fcm(t) = βce(t) fcm
con:


fcm =fck + 8
βce(t)= e{s[1-(28/(t/t1)1/2]}
dove:






fcm(t)= resistenza a compressione media del calcestruzzo ad un'età di t giorni;
fcm = resistenza a compressione media del calcestruzzo a 28 giorni;
βce(t)= coefficiente che dipende dall'età t del calcestruzzo;
t = età del calcestruzzo (in giorni) modificata in funzione della temperatura;
t1 = 1 giorno;
s = coefficiente che dipende dal tipo di cemento;
l'effetto di temperature ambientali ridotte od elevate nel periodo di maturazione del calcestruzzo può
essere presa in conto modificando opportunamente i giorni di maturazione t in accordo con la formula
seguente:

tT = ∑Δtie[13,65 - 4000/(273+T(Δti)/To)]
dove:




tT = età del calcestruzzo modificata dalla temperatura T che sostituisce t nell'equazione
precedente:
Δti = il numero di giorni in cui la temperatura T prevale:
T(Δti) = temperatura (in °C) durante il periodo di tempo Δti:
To = 1 °C:
Durante la scasseratura, le fiancate dei casseri possono essere staccate per prime, i fondi dei
casseri delle travi di grande luce, ecc. solo in un tempo successivo. In assenza di specifici
accertamenti, ci si deve attenere a quanto stabilito all’interno delle Norme Tecniche per le
Costruzioni (D.M. 14/01/2008).
Trattamenti post scasseratura
Dopo la scasseratura, le eventuali irregolarità o sbavature, qualora ritenute tollerabili, devono
essere asportate mediante scarifica meccanica o manuale e i punti difettosi devono essere ripresi
accuratamente con malta cementizia a ritiro compensato immediatamente dopo il disarmo, previa
bagnatura a rifiuto delle superfici interessate. Eventuali elementi metallici, quali chiodi o reggette che
dovessero sporgere dai getti, al fine di evitare che arrugginendo possano danneggiare il calcestruzzo
superficiale, devono essere tagliati almeno 5mm sotto la superficie finita e gli incavi risultanti
verranno accuratamente sigillati con malta fine di cemento.
Getti faccia a vista
Per i calcestruzzi faccia a vista i casseri devono essere puliti e privi di elementi che possano in
ogni modo pregiudicare l’aspetto della superficie del conglomerato cementizio indurito. Per
l'ottenimento di superfici a faccia vista con motivi o disegni in rilievo vengono utilizzate apposite
matrici in gomma Reckli. Per questo tipo di getti, i disarmanti non devono creare macchie sulla
32
superficie in vista del conglomerato cementizio. I disarmanti inoltre, qualora si realizzino
conglomerati cementizi colorati o con cemento bianco, devono anche non alterare il colore.
PROFILO D'ANCORAGGIO
Il profilo d'ancoraggio è l'elemento principale dei sistemi di ancoraggio. Il profilo è fatto a C
e sul suo dorso sono fissati i chiodi ancoranti. Il profilo d'ancoraggio viene impiegato per eseguire
fissaggi sulle strutture in cemento armato e in calcestruzzo; l'impiego facilita l'installazione e il
montaggio in cantiere consentendo pratiche regolazioni. Con questa tecnica non sono più necessari i
tasselli. Per eseguire l'ancoraggio, il profilo deve essere impiegato nella realizzazione del manufatto
in calcestruzzo, poi si combina con apposite viti.
Sistema d'ancoraggio
Etimologia
Il termine profilo d'ancoraggio deriva da due vocaboli:
• profilo dal verbo profilare cioè dal termine latino pro che significa "prima" e dal termine latino
filum che significa tratto.
• ancoraggio dal termine greco agkira, che a sua volta deriva da agkon, che significa curvatura.
Traduzione nelle varie lingue
• inglese "cast-in channel"
• francese "rail d'ancrage"
• tedesco "anker shienen"
Storia
Il Profilo d'ancoraggio è la base di una tecnica edile nata nel 1940 in Germania. Nel 1972
nacque la prima produzione italiana a cura di Giuseppe Locatelli che ne coniò il termine italiano. Il
profilo d'ancoraggio consente l'applicazione di carichi a trazione, a taglio ed a scorrimento oltre ai
carichi combinati. La scelta del profilo d'ancoraggio dipende dal valore del carico da applicare a
partire da 300 kg fino a 3.500 kg a trazione su un punto. Il profilo d'ancoraggio è progettato seguendo
le norme tecniche per le costruzioni e gli Eurocodici.
Dal 2012 GL Locatelli è la prima società Italiana che ha certificato la gamma dei profili GP
con la procedura Internazionale Europea con ETA12/0392, ETA12/0393, ETA12/433, e mette a
disposizione il software per il calcolo facilitato.
Nel 2012 l’Istituto Tedesco per la Tecnica delle costruzioni DIBt (membro EOTA) ha
rilasciato il benestare ETA-09/0339 (European Technical Approval) per i profili HALFEN HTA-CE
. Questa nuova approvazione è valida senza limiti nei 30 stati d’Europa. Il dimensionamento dei
profili, considerati in questa approvazione ETA, viene eseguito secondo le nuove Norme Europee
CEN/TS 1992-4 “Progettazione degli ancoraggi per l‘utilizzo nel calcestruzzo”.
33
Tensione ammissibile
La tensione ammissibile (o tensione di sicurezza) è, secondo il metodo alle tensioni
ammissibili utilizzato in ingegneria civile ed in ingegneria meccanica per il progetto di costruzioni,
la massima tensione a cui un materiale può essere sottoposto con sicurezza nelle condizioni operative.
Essa si ottiene dalla tensione di rottura (nei materiali fragili) oppure da quella di snervamento
(per i materiali duttili) dividendo per un opportuno coefficiente di sicurezza.
Metodo di Wuckowski
Comportamento di una sezione in c.a. pressoinflessa
Al contrario di quello che succede nel caso di materiali ugualmente reagenti a trazione e
compressione (vedi acciaio), il comportamento di una sezione in calcestruzzo armato sollecitata a
pressoflessione è diverso a seconda che il centro di sollecitazione C sia interno o esterno al nocciolo
centrale d'inerzia dell'intera sezione.
Nel primo caso l'asse neutro, antipolare del centro di sollecitazione rispetto all'ellisse centrale
d'inerzia, è esterno alla sezione geometrica che risulta pertanto tutta sollecitata a compressione e
quindi interamente reagente.
Essendo nota a priori la sezione reagente, per il suo lo studio si può procedere semplicemente
applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, come si usa per l'acciaio.
Nel secondo caso l'asse neutro taglia la sezione geometrica la quale risulta di conseguenza
parzializzata.
Bisogna quindi distinguere a sua volta questo caso in piccoli o grandi eccentricità, valutando
che la tensione massima a compressione sia minore o uguale ad un quinto di quella a trazione. Se così
non è, si ha il caso delle grandi eccentricità, per il quale si utilizza appunto il Metodo di Wuckowski.
In questo caso la sezione reagente non è nota a priori perché non si conosce a priori la posizione
dell'asse neutro il quale è l'antipolare del centro C (unico dato noto a priori) rispetto all'ellisse centrale
d'inerzia della sezione reagente che come abbiamo visto non coincide con quella geometrica.
In questo caso, non conoscendo a priori la sezione reagente non conosco il relativo baricentro
(che non coincide con quello della sezione intera) e pertanto non è possibile applicare il principio di
sovrapposizione egli effetti come per il caso precedente.
Il problema pertanto non si presenta di agevole soluzione analitica ma esistono diversi metodi
(analitici e grafici) tra cui quello semplificato di Wuckowski. Dopo aver attuato il suddetto metodo,
si procede con le verifiche del calcestruzzo compresso e delle armature tese, ottenendo il valore
dell'altezza del calcestruzzo reagente mediante una complessa equazione cubica, e il valore della
tensione nell'armatura tesa mediante una semplice proporzione derivante dall'ipotesi di perfetta
aderenza tra calcestruzzo e acciaio.
Procedimento
Consideriamo un pilastro a sezione rettangolare di dimensioni geometriche note: BxH,
soggetto a pressoflessione retta con asse di sollecitazione parallelo a H, e vogliamo determinare l'area
delle armature tese e compresse.
Dal calcolo della struttura si ottengono i valori delle azioni sollecitanti il pilastro, e cioè:
• lo sforzo normale N
• il momento flettente M
Note le sollecitazioni è nota anche l'eccentricità di N rispetto al baricentro della sezione
geometrica:
• e=
34
L'eccentricità e è riferita al centro geometrico della sezione rettangolare perché nel modello
di calcolo attraverso cui si ottengono le sollecitazioni, poiché il materiale in questa fase si considera
ugualmente reagente a trazione e compressione, ogni membratura monodimensionale è rappresentata
con il suo asse geometrico.
Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, il metodo prevede di trasportare lo
sforzo N dal centro di sollecitazione C (distante e dal baricentro geometrico) al baricentro delle
armature tese.
In questo caso avremo un momento di trasporto:
• M1 = N(e + - s)
dove s è il copriferro[3] che è un valore fissato dal progettista
In questa nuova configurazione lo sforzo di compressione N sollecita solamente l'armatura
tesa (perché in zona tesa il calcestruzzo non reagisce) mentre il momento flettente M1 va a sollecitare
la sezione in calcestruzzo armato.
Pertanto, grazie al principio di sovrapposizone degli effetti si è così trasformato un problema
di pressoflessione in due più semplici problemi: uno di flessione semplice e l'altro di sforzo normale
di compressione
Utilizzando le tabelle per il calcolo delle sezione rettangolari inflesse riportate in diversi
prontuari[4] e fissata la percentuale μ[5] si calcola
•
r'= (H-s)/√(M1/B)
Dalle tabelle, in corrispondenza del valore di μ e di r' e delle seguenti tensioni di lavoro:
•
tensione di trazione dell'acciaio: σf=σf,amm
•
tensione di compressione del calcestruzzo: σc=σc,amm
determino il valore di t tale che:
•
Af* = t √(M1 B)
dove Af* rappresenta l'area del ferro teso nel caso di flessione semplice.
Poiché lo sforzo N trasportato comprime il ferro teso e ne diminuisce lo sforzo di trazione
dovuto a M1, al valore Af* dobbiamo sottrarre il valore:
•
Af" = N/σf,amm
Alla fine si possono determinare, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, i
valori delle armature nel caso di pressoflessione:
•
armatura tesa : Af = Af* - Af"
•
armatura compressa: Af' = μ Af.
Il metodo può essere applicato anche in altri casi ad esempio quando le incognite sono H e
aree delle armature.
In questo caso si procede per tentativi come sopra riportato fissando un valore di partenza Ho.
35
I MATERIALI DELL’EDILIZIA
CALCESTRUZZO ARMATO
Posa in opera dell'armatura metallica
Il calcestruzzo armato o conglomerato cementizio armato (comunemente chiamato cemento
armato) è un materiale usato per la costruzione di opere civili, costituito da calcestruzzo (una miscela
di cemento, acqua, sabbia e aggregati, cioè elementi lapidei, come la ghiaia) e barre di acciaio
(armatura) annegate al suo interno ed opportunamente sagomate ed interconnesse fra di loro.
Cenni storici
I primi impieghi
Getto del calcestruzzo
Il calcestruzzo, con pozzolana e calce comune come leganti, fu adoperato già dagli antichi
romani col nome di betunium.
Vi sono anche rari esempi di ritrovamenti di barre di bronzo annegate nella massa del
calcestruzzo, disposte in maniera intuitiva, che non permettono però di considerarlo calcestruzzo
armato vero e proprio. Inoltre la differente dilatazione termica dei due materiali produceva problemi
di scheggiatura.
L'invenzione del calcestruzzo armato è generalmente attribuita alla scoperta fortuita di un
giardiniere parigino di nome Joseph Monier: nel tentativo di produrre vasi da fiori, avrebbe notato
che la gabbia di metallo usata per trattenere e modellare il cemento dimostrava la proprietà di non
staccarsi facilmente dal calcestruzzo stesso. Il 16 luglio 1867 Monier si faceva rilasciare il suo primo
brevetto per la realizzazione di vasi da fiori.
Negli anni successivi seguirono brevetti per tubi, serbatoi, solette piane e curve, scale ecc. In
tali brevetti si riscontrano già tutti i concetti principali per l'armatura del cemento.
Anche in Italia ci furono dei pionieri di questa nuova tecnica. L'Ing. Angelo Lanzoni è ricordato a
Pavia con una lapide nella omonima via su cui si trova scritto: "Angelo Lanzoni qui ideava il cemento
armato e con priorità di brevetto del marzo 1883 fece del trovato una invenzione italiana".
Prima di essere utilizzato nell'edilizia, il calcestruzzo armato fu impiegato nell'industria
navale. L'avvocato francese J. L. Lambot costruì una piccola imbarcazione con una struttura metallica
ricoperta di calcestruzzo, che fece sensazione all'Esposizione universale di Parigi del 1855. Nel 1890
l'italiano C. Gabellini iniziò la costruzione di scafi navali in calcestruzzo.
36
Il calcestruzzo nell'edilizia
Anche se già nel 1830 in una pubblicazione intitolata The Encyclopaedia of Cottage, Farm
and Village Architecture si suggeriva che una grata di acciaio poteva essere inglobata nel calcestruzzo
per formare un tetto, il primo ad avere introdotto il calcestruzzo armato nell'edilizia è considerato
William Wilkinson di Newcastle. Nel 1854 egli registrò un brevetto per il "miglioramento nella
costruzione di dimore a prova di fuoco, di magazzini, di altre costruzioni e delle parti delle stesse".
Wilkinson eresse un piccolo cottage di due piani per la servitù, rinforzando pavimento e tetto di
cemento con l'uso di barre di acciaio e di cavi metallici; in seguito sviluppò varie strutture del genere.
L'architetto franco-svizzero Le Corbusier (1887-1965) fu tra i primi a comprendere le
potenzialità innovative del calcestruzzo armato nell'ambito dell'architettura contemporanea ed a
sfruttarlo ampiamente nelle sue opere, dopo averne visto le potenzialità intuite dal suo maestro
Auguste Perret, tra le cui opere in calcestruzzo armato spicca la casa in Rue Franklin a Parigi del
1903. In Italia il calcestruzzo armato iniziò a diffondersi a cavallo fra il XIX e il XX secolo ma una
legislazione specifica per regolarne l'utilizzo fu emanata solo a partire dal novembre 1939 (R.D.L.
n.2229 del 16.11.1939).
Caratteristiche
È un materiale utilizzato sia per la realizzazione della struttura degli edifici (ovverosia
dell'ossatura portante) che di manufatti come ad esempio i muri di sostegno dei terrapieni.
Come l'acciaio, anche il calcestruzzo armato può essere realizzato in stabilimento per produrre
elementi prefabbricati; in genere travi e pilastri, ma è in uso anche la produzione di pannelli ed
elementi con anche funzioni decorative. La produzione in stabilimento permette di avere un miglior
controllo sulla qualità del calcestruzzo, ma, essendo più costosa, viene utilizzata con regolarità
quando le condizioni climatiche del cantiere sono proibitive (non a caso la prefabbricazione si è
sviluppata moltissimo in Russia), o quando gli elementi da produrre richiedono dei controlli rigorosi,
come può essere il caso di alcune tecnologie con le quali viene realizzato il calcestruzzo armato
precompresso.
In cantiere, la tecnologia del calcestruzzo gettato in opera ha il vantaggio di creare meno
problemi nei nodi tra gli elementi, cioè in quei punti in cui si uniscono travi e pilastri.
Proprietà del calcestruzzo
Generalità
Vecchia barra d'acciaio a filo liscio sagomata a 45° per travi in calcestruzzo armato.
Il calcestruzzo armato sfrutta l'unione di un materiale da costruzione tradizionale e
relativamente poco costoso come il calcestruzzo, dotato di una notevole resistenza alla compressione
ma con il difetto di una scarsa resistenza alla trazione, con l'acciaio, dotato di un'ottima resistenza a
trazione. Quest'ultimo è utilizzato in barre (che possono essere lisce, ma la legge le impone ad
aderenza migliorata, con opportuni risalti) e viene annegato nel calcestruzzo nelle zone ove è
necessario far fronte agli sforzi di trazione; l'armatura interna dà al materiale complessivo il nome di
calcestruzzo armato, classificabile come un materiale composito.
37
Le barre hanno diametro variabile commercialmente da 5 mm a 32 mm e possono essere
impiegate sia come "armatura corrente" o longitudinale, sia come "staffe", ovvero come barre che
racchiudono altre barre (in genere di maggior diametro) a formare una sorta di "gabbie"
opportunamente dimensionate secondo le necessità d'impiego. In generale, vengono prodotte barre
fino ad una lunghezza massima di 14 m a causa di problemi di trasporto. Per eseguire l'armatura sono
disponibili anche reti elettro saldate (con filo nei diametri da 5, 6, 8, 10 e 12 mm) a maglia quadrata,
con passi da 10 e 20 cm e le stesse vengono, in questo caso, impiegate soprattutto per armare solette
inserite sotto pavimento o muri in elevazione.
La sinergia tra due materiali così eterogenei è spiegata tenendo presenti due punti fondamentali:
Tra l'acciaio ed il calcestruzzo si manifesta un'aderenza che trasmette le tensioni dal
calcestruzzo all'acciaio in esso annegato. Quest'ultimo, convenientemente disposto nella massa,
collabora sopportando essenzialmente gli sforzi di trazione, mentre il calcestruzzo sopporta quelli di
compressione.
I coefficienti di dilatazione termica dei due materiali sono sostanzialmente uguali.
Per aumentare l'aderenza tra i due materiali da qualche decennio al posto delle barre lisce di acciaio
vengono utilizzate barre ad aderenza migliorata, cioè barre sulle quali sono presenti dei risalti.
Un tempo, a causa dell'elevato costo del materiale e grazie alla disponibilità di manodopera a basso
costo, si cercava di utilizzare meno barre possibili facendo svolgere a quelle utilizzate diverse
funzioni strutturali. Di solito si sagomavano le barre longitudinali a 45° per fornire alla trave in
calcestruzzo armato anche resistenza al taglio oltre che a flessione. Oggi invece la situazione è
opposta, pertanto si cerca di snellire maggiormente le operazioni in cantiere utilizzando direttamente
staffe e armature longitudinali.
Durabilità
Degrado del calcestruzzo armato: copriferro espulso per rigonfiamento dell'armatura, dovuto a
Inizialmente e per molti anni si pensò che il calcestruzzo armato potesse avere una vita eterna; purtroppo ciò è
evidentemente falso, perché entrambi i materiali che lo costituiscono sono soggetti a problemi che ne compromettono la
resistenza nel tempo.
Il calcestruzzo, se non adeguatamente protetto, può essere attaccato da sali presenti nell'acqua
di mare e nell'aria in prossimità delle coste, da acidi dei fumi industriali, dal fenomeno della
carbonatazione. Esso risente inoltre delle variazioni di temperatura, ed in particolare è vulnerabile al
gelo.
L'acciaio, se non ben protetto da uno strato di calcestruzzo (copriferro), è soggetto ad
ossidazione, cioè tende ad arrugginirsi. L'ossidazione oltre a compromettere del tutto la resistenza a
flessione dell'acciaio (che tende quindi a rompersi molto più facilmente) fa aumentare il volume
dell'acciaio che può così rompere il calcestruzzo che lo ricopre e lo porta di conseguenza a sbriciolarsi.
L'ossidazione può essere provocata da vari fattori, per esempio da infiltrazione di acqua o
vapore acqueo attraverso le fessurazioni del calcestruzzo che si producono naturalmente quando
l'elemento strutturale è sollecitato a flessione: il calcestruzzo, non reagendo a trazione, nella parte
tesa della sezione tende a fessurarsi, aprendo così la strada, quando tali fessure sono di entità rilevante,
agli agenti ossidanti. L'entità e la pericolosità delle fessurazioni sono calcolabili attraverso semplici
38
modelli matematici descritti nella scienza delle costruzioni e nelle norme UNI. È virtualmente
impossibile realizzare un calcestruzzo armato che non si fessura, perché il modulo di elasticità (o
modulo di Young) dei due materiali (acciaio e calcestruzzo) differisce troppo per consentire una
omogeneità di dilatazione sotto sforzo. Tuttavia, rimanendo entro i limiti normativi per la
fessurazione, l'ossidazione dell'acciaio può essere considerata trascurabile, allungando di molto la
durabilità del manufatto.
Negli ultimi tempi alcune ditte hanno cominciato a proporre l'acciaio inossidabile per
l'armatura del calcestruzzo. Tale materiale è sensibilmente più costoso dell'acciaio "nero" (semplice
lega di ferro e carbonio), perché più complesso da produrre, meno resistente e più fragile. Ha però un
vantaggio indiscusso: il fatto di non subire la ruggine e il conseguente aumento di volume. I costi
proibitivi ne consentono l'utilizzo, per ora, solo in strutture in cui la manutenzione è particolarmente
gravosa o l'aggressività degli agenti atmosferici particolarmente elevata, quali, per esempio: ponti,
dighe, strutture portuali, infrastrutture viarie sospese e simili. In questi casi, il risparmio dovuto alle
opere di manutenzione può giustificare una maggiore spesa per la realizzazione del manufatto.
Rimane il fatto, però, che la struttura è più pesante perché necessita di una maggiore quantità di
acciaio in quanto l'acciaio inossidabile è meno resistente di quello al solo carbonio e ne serve dunque
una maggiore quantità nella stessa sezione di calcestruzzo armato per garantire le medesime
prestazioni del manufatto e ottemperare alle relative prescrizioni legislative.
Caratteristiche meccaniche del calcestruzzo
Occorre innanzitutto specificare le ipotesi poste per il calcolo delle resistenze:
1. Planarità delle sezioni degli elementi sotto l'effetto delle sollecitazioni applicate (ipotesi
che si rifà al modello di De Saint Venant).
2. Perfetta aderenza tra calcestruzzo e acciaio, ipotizzando quindi anche uno deformazione
uguale per i due materiali.
3. Trascurabilità della resistenza a trazione del calcestruzzo (da cui conseguirà la
parzializzazione della sezione).
4. Modelli rappresentativi dei legami costitutivi
Resistenze di calcolo
Si distinguono due campi applicativi, quello elastico, sotto carichi modesti, e quello non
lineare riscontrabile agli stati limite di rottura. Nel calcolo elastico delle sezioni si ipotizza che i
legami elastici siano rappresentati dalla Legge di Hooke:
e
Il termine , relativo al calcestruzzo e quindi valido limitatamente al campo delle compressione, e
a parità di contrazione si ha
Quindi in fase elastica l'acciaio è "m" volte più sollecitato del calcestruzzo, con "m" detto
coefficiente di omogeneizzazione.
Nel calcolo non lineare delle sezioni si definiscono modelli analitici che rappresentano i reali
σ - ε legami σ - ε dei materiali.
Calcestruzzo
Tipologia
Modello σ - ε
Relazione
Resistenza di
calcolo a
compressione
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Resistenza di
calcolo
indefinita
Si adotta il diagramma parabola-rettangolo
Resistenza di
calcolo ridotta
Tensione
ammissibile in
esercizio
Acciaio
Tipologia
Relazione
Modello
Si adotta il diagramma bilineare (elastico
perfettamente plastico)
Resistenza di calcolo
dell'armatura lenta
Tensione ammissibile per
armatura lenta
Il calcolo del calcestruzzo armato
Arte
In ambito artistico questo materiale è stato prediletto da Giuseppe Uncini per i suoi
assemblaggi e installazioni. La sua prima opera è stata Primocementoarmato (1958) e l'ultima
Epistylium (2007, inaugurata postuma il 30 ottobre 2009) per il MART di Rovereto.
CEMENTO A VISTA
Il cemento a vista, detto anche calcestruzzo a vista o faccia a vista, indica una modalità di
utilizzo architettonico del calcestruzzo che consiste nel non ricoprire le superfici a vista con intonaco
o rivestirle con altri materiali (pietra, mattoni, piastrelle), ma lasciarle piuttosto visibili, evidenziando
le forme e le caratteristiche strutturali della costruzione edilizia.
40
Il Municipio di Boston: un esempio di "brutale" uso del béton brut "cemento grezzo".
L'architettura moderna in special modo con la corrente architettonica del Brutalismo (dal
termine francese beton brut "cemento grezzo") ha fatto sempre più riferimento all'espressività del
calcestruzzo a vista. A partire dai volumi plastici ma brutali di Le Corbusier, nell'"Unité d'Habitation
di Marseille" (Marsiglia, 1950) e nella realizzazione del Capitol della città Indiana di Chandigarh,
dopo le quali è seguito un vero e proprio stile architettonico legato all'uso del calcestruzzo a vista.
Anche in Italia possiamo trovare esempi di questa tendenza di evoluzione del Razionalismo italiano
che conducono ad opere di sicuro impatto visivo ed architettonico. Possiamo ricordare la dirompente
plasticità del cemento a vista della Chiesa dell'Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci (1964),
l’Istituto Marchiondi a Milano di V. Viganò (1957), il gioco volumetrico delle abitazioni del quartiere
Sorgane a Firenze, di Leonardo Ricci ed altri (1966), gli edifici per unità abitative del quartiere
Matteotti di Terni di Giancarlo De Carlo (1971-74).
Con questa tecnica il cemento costruisce lo spazio architettonico divenendo parte essenziale
del disegno architettonico. Si possono ottenere notevoli effetti prospettici, che esaltano la struttura
con manifestazioni quasi scultoree, tese a rompere la ripetizione monotona delle superfici cementizie
in rapporto anche al colore grigio per il cemento tipico.
Tecniche di realizzazione
Semplice disarmo
Per realizzare finiture superficiali del calcestruzzo con particolari requisiti estetici non vi sono
norme particolari, che regolino il tipo e la composizione del calcestruzzo; è necessario, comunque,
un lavoro coordinato tra i diversi addetti ai lavori, committenti, progettisti, mano d’opera specializzata
e produttori del cemento. Tra le finiture a faccia vista più conosciute vi sono il liscio "fondo cassero",
il calcestruzzo lavato con ghiaietto a vista, la texture ottenuta con matrice in gomma Reckli.
Il colore e la finitura delle superfici del calcestruzzo a vista, infatti, è in rapporto non solo al
tipo di cemento utilizzato (cemento Portland, cemento bianco, cemento calcareo, cemento
d'altoforno), ma anche dalla granulometria presente e dal colore dei suoi corpuscoli. La scelta
granulometrica è da porre in relazione con le prestazioni e gli effetti che si vogliono ottenere dal
manufatto a vista (ad esempio superficie liscia o granulosa). Particolare attenzione è richiesta nella
composizione al rapporto acqua-cemento, la cui variazione nei diversi impasti può causare altrettante
differenze di colore del cemento a vista.
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Il disegno lasciato dalle tavole sul cemento
Per la finitura della faccia vista del manufatto è importante la scelta del tipo di legno da
utilizzare per le casseforme e il posizionamento delle tavole, tramite il quale è possibile ottenere
disegni più diversi, esaltando la plasticità del materiale.
Particolare attenzione deve essere posta nel disarmo delle casseforme, che potrebbe causare
screpolature sulla superficie a vista della struttura: esistono per tali ragioni dei prodotti chimici
disincrostanti, che agevolano lo smontaggio, mentre altri materiali, composti da resine sintetiche,
servono a uniformare maggiormente la superficie, nascondendo i difetti visivi dovuti ad errori di
armatura vista e fungono inoltre da protettivi contro l’umidità, le muffe e gli sgretolamenti successivi
dovuti alle intemperie.
Lavorazione del cemento
Altre tecniche riguardano la lavorazione della superficie del cemento dopo il disarmo:
 l'innaffiamento sotto forte pressione del cemento appena dopo lo smontaggio delle
casseforme, che porta in evidenza la parte granulometrica del materiale che viene a costituire
una specie di disegno composto di pietruzze.
 il martellinamento del cemento dopo l'indurimento, con una lavorazione con pestello a punta
di ferro, che realizza la scabrosità della superficie con un'operazione definita anche
bocciardatura.
MATERIALE COMPOSITO
Tessuto di filamenti in fibra di carbonio
In scienza dei materiali, un materiale composito è un materiale costituito da più materiali
semplici differenti. Ogni materiale corrisponde ad una differente fase, per cui un materiale composito
è caratterizzato da una struttura non omogenea; i materiali che compongono un materiale composito
sono separati da un'interfaccia netta di spessore nullo e ciascuno di essi è dotato di proprietà fisicochimiche differenti a livello macroscopico e strutturale.
Cenni storici
I più primitivi materiali compositi artificiali furono i mattoni, costituiti da paglia e fango
combinati insieme; il libro Biblico dell'Esodo parla degli Israeliti oppressi dal Faraone che erano
costretti a preparare mattoni senza paglia. L'antico processo della lavorazione del mattone può ancora
essere visto sui dipinti tombali egiziani nel Metropolitan Museum of Art.
42
Più tardi furono messi a punto altri materiali compositi, tra cui il compensato, il calcestruzzo,
e l'insieme di calcestruzzo e tondini di ferro (chiamato cemento armato).
Struttura dei materiali compositi
Struttura di un materiale composito rinforzato con fibre.
I singoli materiali che formano i compositi sono chiamati costituenti, e a seconda della loro
funzione prendono il nome di matrice e rinforzo (o carica).
L'insieme di queste due parti costituisce un prodotto in grado di garantire proprietà
meccaniche elevatissime (a questo scopo fondamentale è la cura dell'adesione interfacciale tra fibre
e matrice) e massa volumica decisamente bassa: per questo motivo i compositi sono largamente usati
nelle applicazioni dove la leggerezza è cruciale, aeronautica in primis.
Matrice
La matrice è costituita da una fase continua omogenea, che ha il compito di:
• racchiudere il rinforzo, garantendo la coesione del materiale composito (e degli eventuali
strati di cui esso è composto, nel caso di composito laminato);
• garantire che le particelle o le fibre di rinforzo presentino la giusta dispersione all'interno del
composito e non si abbia segregazione.
A seconda della natura della matrice, i materiali compositi si suddividono in varie categorie, tra
cui:
• PMC (Polymer-Matrix Composite): compositi a matrice polimerica, ad esempio
termoplastici (come il Nylon e l'ABS) o termoindurenti (come le resine epossidiche);
• MMC (Metallic-Matrix Composite): compositi a matrice metallica, generalmente alluminio,
o titanio e loro leghe, più raramente magnesio o altri;
• CMC (Ceramic-Matrix Composite): compositi a matrice ceramica, generalmente carburo di
silicio o allumina;
• compositi carbonio-carbonio: sia la matrice che il rinforzo sono costituiti da carbonio;
• compositi ibridi: contengono due o più tipologie di fibre.
Nella maggioranza dei casi le matrici sono polimeriche perché garantiscono bassa densità (e
quindi leggerezza del materiale finale): hanno però il difetto di calare drasticamente le performance
al salire della temperatura.
Nei materiali compositi a matrice polimerica si possono utilizzare come matrice ad esempio
le resine epossidiche (le stesse usate in alcuni adesivi e poliesteri) oppure le Resine fenoliche,
eventualmente additivate con altri polimeri (p.es. PVB) che contribuiscono a migliorare le
caratteristiche meccaniche (p.es flessibilità) del materiale composito pur mantenendo l'adesione al
rinforzo.
Rinforzo
43
Una fibra di carbonio (più scura e sottile) a confronto con un capello umano (più chiaro e spesso).
Il rinforzo è rappresentato da una fase dispersa, che viene appunto dispersa in varie modalità
all'interno della matrice e ha il compito di assicurare rigidezza e resistenza meccanica, assumendo su
di sé la maggior parte del carico esterno.
A seconda del tipo di rinforzo, i materiali compositi si suddividono in:
• compositi particellari;
• compositi rinforzati con fibre;
• compositi strutturati (ad esempio pannelli a sandwich, materiali compositi laminati e pannello
composito in alluminio).
Compositi con fase dispersa particellare
Nei compositi particellari il rinforzo è costituito da "particelle", le quali (a differenza delle fibre)
possono assumersi equiassiche, ovvero il rapporto tra diametro e lunghezza di ogni particella è circa
unitario (mentre le fibre sono più sviluppate in lunghezza).
Le proprietà chimico-fisiche dei materiali compositi particellari dipendono dalla geometria del
sistema particellare, ovvero:


dimensioni e forma delle particelle
concentrazione, distribuzione e orientamento delle particelle all'interno della fase
dispersa.
Tipologie di materiali compositi rinforzati con fibre:
a) con fibre continue
b) con fibre discontinue allineate
c) con fibre discontinue orientate in maniera casuale.
Compositi con fase dispersa fibrosa
I compositi rinforzati con fibre possono essere a loro volta classificati in:
 compositi a fibre continue (o lunghe);
44


compositi a fibre discontinue (o corte) allineate tra loro;
compositi a fibre discontinue (o corte) disposte in maniera casuale.
I materiali compositi con fase dispersa fibrosa presentano una spiccata anisotropia. Questa
anisotropia non si riscontra (o per lo meno è molto minore) nei compositi particellari, nella misura in
cui dette particelle sono equiassiche. L'anisotropia, se controllata, può costituire un vantaggio: il
materiale viene rinforzato in quelle direzioni dove si sa verrà caricato e dunque le prestazioni vengono
ottimizzate (come nel caso dei compositi a fibre continue). Se, invece, è dovuta a fenomeni più
difficilmente controllabili (ad esempio flusso plastico del materiale in uno stampo, come nel caso dei
compositi a fibre corte) diviene problematica perché l'orientazione delle direzioni di massimo rinforzo
difficilmente coincide con quella desiderata.
Nel caso di compositi rinforzati con fibre, il rinforzo può essere ad esempio costituito da:
 fibra di vetro
 fibra di carbonio (costituite da carbonio grafitico e carbonio amorfo)
 fibre ceramiche (ad esempio carburo di silicio o allumina)
 Fibra Aramidica (come il Kevlar)
 fibra di basalto.
Produzione dei materiali compositi
Pultrusione
Avvolgimento su rocchetto
È una tecnica per la produzione di componenti cavi a simmetria cilindrica (come tubi, pali,
serbatoi). Consiste nell'avvolgimento di fibre impregnate di resina a bassa viscosità su di un rocchetto
con un mandrino rotante. È un procedimento rapido e economico, e garantisce buone proprietà
strutturali al composito. Il processo è però limitato ad oggetti di forma convessa senza concavità.
Il filament winding si utilizza generalmente per produrre materiali compositi così costituiti:
 fase dispersa: in fibre di carbonio, di vetro o aramidiche;
 matrice: in resine epossidiche, poliestere, vinilestere o fenoliche.
Formatura per infusione di resina (RTM)
Il RTM (resin transfer moulding) è un processo in cui viene usato uno stampo in due componenti
che sagoma le due facce del pannello. La parte inferiore è rigida, la parte superiore può essere
anch'essa rigida o flessibile. Gli stampi flessibili possono essere realizzati in materiale composito,
siliconi o in film di polimeri estrusi, come il nylon. I due lati combaciano per formare una cavità di
stampo. La particolarità di questo processo è che i materiali di rinforzo vengono posizionati nella
cavità e lo stampo viene chiuso prima dell'introduzione del materiale che costituirà la matrice. Il RTM
ha numerose varietà che differiscono nel modo in cui la resina viene introdotta. Il processo può
avvenire sia ad alta temperature sia a temperatura ambiente.
Laminazione
Le fibre (generalmente in forma di "stuoia", filo tagliato o tessuto), vengono posizionate su uno
stampo, sul quale viene successivamente versata la resina (in genere di poliestere o vinilestere).
L'indurimento ("curing") della matrice polimerica viene effettuata a temperatura ambiente, facendo
passare contemporaneamente il materiale composito attraverso dei rulli, in modo da facilitare
l'impregnazione delle fibre. È in genere un procedimento adatto alla lavorazione di parti di grandi
dimensioni. Esiste anche lo "Spray Lay Up" (laminazione a spray), che consiste nello spruzzare la
resina su uno strato di fibre. Tale lavorazione ha il vantaggio di essere facilmente automatizzabile,
ma è possibile ottenere solamente materiali compositi con fibre discontinue orientate in maniera
casuale (quindi non si possono ottenere compositi con fibre continue o compositi con fibre
discontinue allineate).
Laminazione in autoclave
Questa lavorazione viene solitamente usata per trattare le fibre di carbonio o il kevlar. Vengono
prima tagliati degli strati di fibre della lunghezza desiderata; successivamente questi vengono impilati
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e incollati. Questi blocchi sono poi successivamente inseriti in un'autoclave, dove vengono sottoposti
a dei programmi di temperatura e pressione, al termine dei quali si ottiene il laminato indurito. In
questa lavorazione è molto comune l'uso dei prepreg (fibre preimpregnate di resina), che garantiscono
omogeneità strutturale al composito.
Una variante produttiva per la laminazione consiste nell'usare un film solventless di PVB da
interporre tra gli strati dei prepreg: controllando opportunamente i parametri di temperatura,
pressione e tempo, si può regolare il grado di penetrazione del PVB all'interno dei prepreg in funzione
delle proprietà meccaniche richieste al composito finito. I vantaggi dell'uso di tali film sono legati
principalmente all'assenza di solventi, alla facilità di applicazione e alle buone proprietà di adesione
del PVB a diversi tipi di fibre usate nei compositi (p.es Fibra di carbonio, Fibra Aramidica, Fibra di
vetro).
FERROCEMENTO
Barca con scafo in ferrocemento
Il ferrocemento (o anche ferro-cemento) è un materiale composito, usato nell'edilizia e nella
scultura, composto da malta cementizia di alta qualità che ricopre un'armatura costituita da poche
barre e numerosi strati di maglia d'acciaio.
Ha una vasta gamma di applicazioni che comprendono l'edilizia e la riparazione di manufatti
esistenti nonché in campo navale per la realizzazione di scafi.
Cenni storici
Il ferrocemento fu ideato e brevettato, attorno agli anni quaranta, da Pier Luigi Nervi; durante il
periodo fascista, infatti, in Italia l’impiego del calcestruzzo armato fu proibito perché "non italico":
sia l’acciaio che il legno per le casseforme venivano importati dall'estero.
Il brevetto di Nervi si basò sul ferciment, prodotto inventato dal francese Joseph-Louis Lambot
a metà dell’ottocento e utilizzato prettamente per la costruzione di barche. Con tale materiale Nervi
realizzò diverse imbarcazioni quali il motoveliero Irene e peschereccio Santa Rita.
Caratteristiche
La differenza tra ferrocemento e il calcestruzzo armato è principalmente l'armatura: nel primo
questa è costituita prevalentemente da una serie di strati di reti metalliche piccolo diametro (0,5 - 1,5
mm) tenute insieme da un numero limitato di barre di diametro più grande con la funzione irrigidente,
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il tutto viene poi annegato in una malta cementizia plastica molto ricca di cemento (fino a 800 chili
ogni metro cubo di sabbia).
Con tale combinazione si riescono a realizzare delle lastre molto sottili (pochi centimetri) che
risultano molto elastiche, flessibili, resistenti alla fessurazione, duttili, leggere e straordinariamente
sagomabili in forme qualsiasi.
CALCESTRUZZO ARMATO PRECOMPRESSO
Schema di funzionamento di una trave in cemento armato precompresso.
La precompressione è una tecnica industriale consistente nel produrre artificialmente una
tensione nella struttura dei materiali da costruzione, e in special modo nel calcestruzzo armato, allo
scopo di migliorarne le caratteristiche di resistenza.
Nel calcestruzzo armato precompresso (nel linguaggio comune chiamato anche cemento armato
precompresso, abbreviato con l'acronimo c.a.p.), la precompressione viene utilizzata per sopperire
alla scarsa resistenza a trazione del conglomerato cementizio.
Finalità
Nella teoria classica del calcestruzzo armato, nelle sezioni inflesse il conglomerato è considerato
non reagente agli sforzi di trazione: la resistenza a trazione del conglomerato è all'incirca un decimo
della resistenza a compressione, e le zone di cemento ancora non fessurate sono situate nelle
immediate vicinanze dell'asse neutro, rendendo così estremamente piccolo il contributo a momento
flettente dato dagli sforzi di trazione nel calcestruzzo. Pertanto in una struttura inflessa o
pressoinflessa (in fase fessurata), è considerata come sezione resistente quella parzializzata cioè
quella costituita dal solo calcestruzzo compresso e dalle armature tese e compresse.
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In questo modo si fa affidamento solo ad una parte della sezione effettiva. Al fine di permettere
l'utilizzo totale della sezione effettiva, si è previsto di applicare alla membratura in calcestruzzo
armato uno stato di presollecitazione, creando artificialmente degli sforzi di compressione o di
pressoflessione, capaci di provocare nella struttura uno stato di tensione permanente. Tale stato di
tensione, che si va a sovrapporre a quello dovuto ai carichi di esercizio, deve essere tale da garantire
un regime tensionale finale compatibile con le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo.
Se ad esempio si considera una trave inflessa semplicemente appoggiata, le sollecitazioni di
flessione che si generano per effetto dei carichi esterni provocano un diagramma di tensioni normali
a farfalla (flessione semplice), e pertanto le fibre inferiori risultano tese. Poiché generalmente gli
sforzi di trazione sono superiori alla relativa resistenza del conglomerato, in zona tesa insorgono
fenomeni fessurativi.
Se invece si sottopone la trave ad un preventivo sforzo di compressione o pressoflessione, il
diagramma finale delle tensioni normali presenterà, in corrispondenza del lembo inferiore, sforzi di
trazione compatibili con il conglomerato o addirittura delle tensioni di compressione (sezione
completamente compressa). In ambo i casi la sezione reagente di calcestruzzo coincide con la sezione
trasversale effettiva della trave.
Cenni storici
Nel 1933, nell'articolo Idees et voies nouvelles il costruttore Eugene Freyssinet per la prima volta
lasciò traccia scritta della parola precontrainte, neologismo che definirà per tutti gli anni successivi
la tecnica della precompressione. I primi tentativi di realizzare opere in calcestruzzo armato
precompresso risalgono al 1888 ad opera di Doering. I risultati furono però deludenti a causa della
scarsa resistenza dei materiali adottati. Nel 1907 fu Koenen a riproporre la soluzione per ridurre le
sollecitazioni nel calcestruzzo e migliorarne la durabilità. Usando però acciai con una resistenza
molto bassa e un tasso di lavoro intorno ai 100 MPa la precompressione veniva precocemente
annullata dai fenomeni di ritiro e scorrimento viscoso del calcestruzzo.
I primi risultati soddisfacenti furono ottenuti applicando la presollecitazione nella produzione di
tubi in calcestruzzo ad opera della ditta italiana Vianini, nel 1925. L'intento comune era solamente
quello di applicare una precompressione per evitare o ridurre la fessurazione del calcestruzzo,
ignorando altri aspetti statici benefici del procedimento. I concetti base della moderna
precompressione furono ideati da Freyssinet che nel 1928 ne depositò il brevetto. Lo stesso ideatore
dal 1936 utilizzò la tecnica della precompressione pressoché per tutte le opere.
La più autorevole delle realizzazioni è probabilmente il ponte di Luzancy sulla Marna, non
lontano da Parigi, costituito da un'unica campata di luce pari a 55 m e una carreggiata di 6 m di
larghezza (più due merciapiedi di un metro). Nel maggio del 1949 viene creata l'Associazione
Scientifica della Precompressione. Nel giugno del 1949, per la prima volta, si riunirono a Parigi
cinquanta ingegneri da tutto il mondo per studiare e discutere, sotto l'egida dell'Associazione
Scientifica della Precompressione, questioni teoriche riguardanti l'applicazione di tale tecnica.
Nell'ottobre del 1950, quattro ingegneri, l'italiano Rinaldi, l'olandese Bruggeling, l'inglese
Gooding e lo spagnolo Conde, richiesero ufficialmente la formazione di una specifica federazione
internazionale, che venne costituita due anni dopo. Da allora la precompressione ebbe la definitiva
affermazione e la debita divulgazione negli ambienti interessati.
Modalità costruttive
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I processi industriali per realizzare la precompressione sono sostanzialmente di due tipi, tra l'altro
contemplati nella normativa vigente:
• a cavi (o fili) aderenti (sistemi a cavi pre-tesi)
• a cavi (o fili) scorrevoli alle estremità (sistemi a cavi post-tesi)
Sistemi pre-tesi o a cavi aderenti
Nel sistema di precompressione a cavi aderenti, una volta disposta la cassaforma e l'eventuale
armatura lenta, prima che venga eseguito il getto di calcestruzzo, i cavi di precompressione vengono
tesi fra due supporti fissi ed esterni. Successivamente viene effettuato il getto di calcestruzzo che
avvolge i cavi pretesi. Avvenuta la maturazione del conglomerato in particolari condizioni di
temperatura ed umidità, il cavo viene svincolato dagli ancoraggi fissi.
Il conseguente accorciamento elastico del cavo viene contrastato dal calcestruzzo, oramai
indurito, al quale viene trasferito, per aderenza, lo sforzo di compressione. In corrispondenza della
testata della trave, le estremità delle armature tagliate, devono essere protette contro il pericolo della
corrosione mediante un ricoprimento di adeguati materiali protettivi o con un getto di calcestruzzo in
opera.
Il sistema a cavi aderenti trova generalmente applicazione nel campo della prefabbricazione di
piccoli elementi strutturali quali travi per impalcati di luce modeste, travetti per solai in
laterocemento, ecc. La realizzazione di elementi pretesi in cantiere risulta invece più difficile e
costosa.
Sistemi post-tesi o a cavi scorrevoli
Testata di trave post tesa
Nel sistema di precompressione a cavi post-tesi, prima del getto del calcestruzzo nelle casseforme
si predispongono l'armatura lenta e gli alloggiamenti (guaine) che dovranno accogliere i cavi di
precompressione, i quali portano alle estremità degli speciali ancoraggi. Il getto viene costipato per
mezzo di vibratori ad ago o a lamina oppure mediante vibratori esterni facendo attenzione a non
deteriorare le guaine dei cavi. Avvenuta la maturazione del calcestruzzo si infilano i cavi nelle guaine
e si effettua la tesatura, mediante martinetti idraulici, prendendo contrasto in corrispondenza delle
testate della trave.
In questo modo lo stato di precompressione si stabilisce all'atto stesso dell'operazione di messa
in tensione dei cavi. Infine si provvede a riempire i fori di alloggiamento dei cavi mediante iniezione
con malta sotto pressione. L'iniezione dei cavi scorrevoli ha uno scopo principale:
• proteggere l'acciaio di precompressione dalla corrosione indotta dagli agenti atmosferici.
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La solidarietà tra cavi e calcestruzzo non modifica lo stato di coazione poiché gli sforzi mutui
sono localizzati in corrispondenza delle testate delle travi. Il profilo (la forma) della guaina deve
essere studiato in modo tale da consentire il corretto trasferimento delle forze di precompressione
dalle armature al calcestruzzo. Questo sistema di precompressione viene utilizzato principalmente
per la realizzazione di travi di grande luce quali ad esempio gli impalcati da ponte.
Caratteristiche delle guaine
Le guaine devono avere forma regolare, preferibilmente circolare e devono avere una sezione
idonea per garantire l'infilaggio dei cavi e la successiva iniezione; l'area libera del condotto deve
risultare comunque non inferiore a 4 cm². Durante la posa delle guaine si devono prevedere un numero
adeguato di punti di fissaggio per evitare un andamento serpeggiante delle stesse. Inoltre bisogna
evitare che la guaina abbia brusche deviazioni o cambiamenti di sezione. Per evitare sacche d'aria
durante l'iniezione, si devono disporre nei punti più alti del cavo dei dispositivi di sfiato.
Caratteristiche della malta di iniezione
La malta da utilizzare per l'iniezione dei cavi scorrevoli deve essere sufficientemente fluida,
perché si possa correttamente iniettare nei canali, e stabile con minimo ritiro e adeguata resistenza e
non deve contenere agenti aggressivi, quali cloruri, solfati, nitrati, ecc. Deve essere composta da
cemento, acqua ed eventuali additivi.
Operazioni di iniezione
Fino al momento dell'iniezione dei cavi occorre proteggere l'armatura dall'ossidazione. Prima
dell'iniezione bisogna:
• impastare la malta, e mantenerla in movimento per evitare la formazione di grumi;
• pulire i cavi.
Successivamente si procede all'iniezione che deve avvenire con continuità senza interruzioni ed
entro 15 giorni a partire dalla messa in tensione dei cavi. Di norma l'iniezione si deve effettuare dal
più basso ancoraggio o dal più basso foro del condotto. La malta che esce dagli sfiati deve essere
analoga a quella alla bocca di immissione e non contenere bolle d'aria; una volta chiusi gli sfiati si
mantiene una pressione di 5 atm fin tanto che la pressione permane senza pompare per almeno 1 min.
Una volta terminata l'iniezione, bisogna avere cura di evitare perdite di malta dal cavo. Per condotti
di grande diamentro può essere necessario ripetere l'iniezione dopo circa 2 ore. Non è ammessa
l'iniezione con aria compressa.
Zone di ancoraggio
Piastra di ancoraggio ubicata in corrispondenza della testata di una trave da ponte post tesa.
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Gli apparecchi di ancoraggio, ubicati in corrispondenza della testata della trave, devono essere
protetti contro il pericolo della corrosione mediante un ricoprimento con adeguati materiali protettivi
o con un getto di calcestruzzo in opera. In corrispondenza delle testate delle travi, dietro gli apparecchi
di ancoraggio si deve disporre una armatura di frettage atta ad assorbire le tensioni di trazione
trasversali alle barre di precompressione o bursting stresses (la cui risultante viene chiamata forza di
fenditura o splitting force) derivanti dalla diffusione a bottiglia delle forza concentrate di
precompressione, ivi comprese le eventuali reazioni vincolari. Poiché la zona di ancoraggio è una D
region questa può essere studiata mediante un modello tirante - puntone o altre rappresentazioni
appropriate.
Acciai per precompressione
Gli acciai da precompressione o acciai armonici sono contraddistinti da un comportamento
nettamente diverso rispetto a quello degli acciai da cemento armato ordinario (acciai per armatura
lenta). Infatti gli acciai armonici sono caratterizzati da una elevata resistenza meccanica (elevato
valore del carico di snervamento) e da una deformazione plastica relativamente bassa all'atto della
rottura. Comunque, tali acciai devono avere adeguata duttilità all'allungamento. Come si vedrà in
seguito, non essendo necessario garantire proprietà di saldabilità, si utilizzano tenori di carbonio più
elevati rispetto agli acciaio per cemento armato ordinario.
Produzione
L'elevata resistenza è dovuta principalmente alla composizione chimica e precisamente ai
seguenti quattro provvedimenti:
• aumento della percentuale di carbonio nella lega: si passa dallo 0,2% circa degli acciai per
cemento armato ordinario (acciai dolci) allo 0,6% di un acciaio armonico (acciai duri);
• aggiunta di elementi alliganti: manganese (0,6-1,7%), silicio (0,2-1,6%, vanadio (0,3%),
cromo (0,3%);
• incrudimento mediante lavorazione a freddo (processo di trafilatura);
• trattamento termico di tempra o di patentamento
Caratteristiche meccaniche
Le caratteristiche meccaniche degli acciai per armature di precompressione possono variare a
seconda della tecnologia produttiva, della composizione chimica dell'acciaio, delle dimensioni e della
geometria. Di norma le tensioni di rottura sona da 1,9 a 3,3 volte maggiori a quelle fornite da un
FeB44k. Indicativamente, con barre di diametro 12 ÷ 40 mm si può ottenere una resistenza a trazione
nominale di 900 ÷ 1400 MPa; con fili trafilati a freddo di diametro 3 ÷ 12 mm si ottengono valori di
1500 ÷ 1800 MPa; con trefoli a 7 cavi di diametro 7 ÷ 18 mm si può arrivare a 1700 ÷ 2000 MPa.
Nel sistema di precompressione a cavi aderenti, per migliorare l'aderenza tra acciaio e calcestruzzo,
si usano trecce di fili di piccolo diametro, mentre nel sistema di precompressione a cavi scorrevoli
sono molto diffusi i cavi costituiti da fili di 5 ÷ 7 mm e le barre da 26 mm.
Curva tensioni – deformazioni
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Prova trazione: curva tensione-deformazione.
1: Vero limite elastico
2: Limite di proporzionalità
3: Limite elastico
4: Punto di snervamento
Il diagramma σ - ε (tensione - deformazione) di un acciaio armonico è sostanzialmente una
bilatera. Presenta un secondo tratto incrudente, assenza di snervamento e limitate deformazioni
plastiche. Gli allungamenti percentuali sono, infatti, molto più bassi di quelli tipici di un acciaio dolce.
La tensione di snervamento si determina dal diagramma; essa deve essere compresa tra il 75% e il
95% della corrispondente tensione di rottura. Se lo snervamento non è chiaramente individuabile,
esso è sostituito da f(0,2) che rappresenta il valore della tensione a cui corrisponde una deformazione
plastica residua dello 0,2% che deve risultare compresa tra l'80% e il 95% della corrispondente
tensione di rottura.
Classificazione
Secondo l'Eurocodice 2, gli acciai armonici vengono classificati in base al valore caratteristico
della tensione di snervamento allo 0,1%, che si indica con fp(0,1)k
La fp(0,1)k rappresenta il valore della tensione a cui corrisponde una deformazione plastica
residua dello 0,1%.
Gli acciai armonici vengono classificati anche in base alla tensione di rottura a trazione (fpk) in
base alle dimensioni e caratteristiche superficiali e in base al comportamento a rilassamento.
In base a quest'ultima grandezza l'Eurocodice 2 definisce tre classi di rilassamento:
• Classe 1: per fili e trefoli; alto rilassamento;
• Classe 2: per fili e trefoli; basso rilassamento;
• Classe 3: per barre.
Tipologia delle armature
L'armatura per precompressione può essere fornita sotto forma di:
• filo: prodotto trafilato a sezione piena con diametro variabile tra 5 e 8 mm che viene fornito
in rotoli lisci o anche muniti di tacche che servono a migliorare l'aderenza con il calcestruzzo e a
favorire l'ancoraggio. Per le strutture ad armatura pretesa non possono essere utilizzati i fili lisci;
• barra: prodotto laminato a sezione piena che viene fornita in rotoli o in elementi rettilinei di
25 m di lunghezza. Sono in genere fornite di risalti per favorire l'aderenza;
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• treccia: fornita in rotoli costituite da gruppi di 2 o 3 fili avvolti ad elica intorno al loro comune
asse longitudinale; diametro, passo e senso di avvolgimento dell'elica sono uguali per tutti i fili della
treccia;
• trefolo: fornito in rotoli, realizzato da gruppi di fili avvolti ad elica in uno o più strati intorno
ad un filo rettilineo disposto secondo l'asse longitudinale dell'insieme e completamento ricoperto
dagli strati. Il passo e il senso di avvolgimento dell'elica sono uguali per tutti i fili di uno stesso strato.
Utilizzi
L'utilizzo principe delle travi in c.a.p. è per i viadotti stradali e ferroviari e per gli acquedotti.
Tutti i viadotti dell'A24 - strada dei parchi, per esempio, sono realizzati in c.a.p. Vi sono esempi di
coperture in elementi prefabbricati che uniscono la funzione di trave a quella di copertura, soprattutto
per locali che hanno bisogno di grandi luci prive di pilastri (hangar aeroportuali, capannoni di
acciaierie o industrie pesanti in genere, capannoni di industrie navali, palestre e piscine olimpiche
ecc.). In generale, maggiore è la luce da coprire e più il c.a.p. diventa economicamente conveniente
rispetto al calcestruzzo armato tradizionale (che comunque ha dei seri limiti nelle luci superiori ai 910 metri). Un utilizzo ormai generale è anche per la costruzione di traversine ferroviarie.
Vantaggi e svantaggi
Vantaggi
Il calcestruzzo armato precompresso si realizza raramente in opera e quasi esclusivamente in
officina. Questo permette di controllare in modo attento la composizione del calcestruzzo, la sua
omogeneità e la sua qualità, in modo da ottenere manufatti veramente perfetti, per gli standard
qualitativi attualmente richiesti dall'edilizia; permette altresì di ovviare ai problemi relativi alle analisi
chimiche di legge sul getto e sull'acciaio, e vi è un unico responsabile (la ditta produttrice) di eventuali
difetti o mancanze della trave stessa. Le strutture in calcestruzzo armato precompresso hanno degli
intervalli di manutenzione molto distanziati (grazie sempre ai maggiori e migliori controlli che
possono essere realizzati in officina), il che riduce i costi di manutenzione dei complessi edilizi.
Una trave in calcestruzzo armato precompresso è più leggera di una trave in cemento armato o
in acciaio (non trave reticolare) che deve reggere lo stesso peso. Rispetto alle travi reticolari in acciaio,
ha una migliore resistenza al fuoco, agli urti, agli eventi straordinari (attentati in particolare) e agli
agenti atmosferici, ed ha una minore flessibilità (che questo sia un vantaggio o uno svantaggio
dipende dal progetto).
Svantaggi
La trave in calcestruzzo armato precompresso ha bisogno di essere trasportata in opera: questo
può creare dei seri problemi di logistica del cantiere, perché le travi possono essere lunghe anche 30
m e larghe 4–5 m e pesare diverse decine di tonnellate. Significa che un singolo camion può
trasportare una o al massimo due travi per volta: questo aumenta notevolmente i costi di cantiere,
anche perché spesso le travi devono fare tragitti di centinaia di chilometri.
La progettazione della trave deve essere molto accurata, perché, date le sollecitazioni in gioco,
piccoli errori di calcolo si possono trasformare in gravi danni per l'utenza delle strutture. La società
autostrada dei parchi, per esempio, in un tratto in Abruzzo ha le travi di un viadotto tutte ingobbite
verso l'alto: questo perché si commise un errore in fase di progettazione e non si considerò la
dilatazione termica del materiale. Rispetto ad una trave reticolare in acciaio è più pesante.
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ACCIAIO (SISTEMI DI DESIGNAZIONE)
Profili cavi strutturali di acciaio
Gli acciai vengono classificati, secondo la normativa europea (EN), in due sistemi equivalenti di
designazione:
• quello alfanumerico : es. S235JR;
• quello numerico: es 1.0037.
Il primo dei due sistemi è descritto dalla UNI EN 10027-1 mentre il secondo dalla UNI EN
10027-2.
Designazione alfanumerica
la designazione alfanumerica degli acciai è quella più utilizzata comunemente.
La UNI EN 10027-1 classifica gli acciai secondo 2 gruppi:
• gruppo 1: designazione in base all'impiego ed alle caratteristiche meccaniche o fisiche;
• gruppo 2: designazione in base alla composizione chimica.
Gruppo 1
La sigla alfanumerica è strutturata nel seguente modo:
• simbolo indicante l'impiego (gruppo acciaio);
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• simbolo indicante il valore della caratteristica principale in funzione dell'impiego (es.
caratteristiche meccaniche);
• ulteriori simboli (es. resilienza).
1° Simbolo
Come primo simbolo si hanno le seguenti lettere:
• B - acciai per calcestruzzo armato ordinario;
• C - acciai non legati al carbonio;
• D - acciai prodotti piani per formatura a freddo;
• E - acciai per costruzioni meccaniche;
• G - acciai da getti di acciaio;
• H - acciai ad alta resistenza per imbutitura a freddo e prodotti piani laminati a freddo;
• HS - acciai rapidi;
• L - acciai per tubi di condutture;
• M - acciai magnetici;
• P - acciai per impieghi sotto pressione;
• R - acciai per rotaie;
• S - acciai per impieghi strutturali (carpenterie metalliche);
• T - acciai per banda nera, stagnata e cromata (imballaggi);
• X - acciai legati (es. acciai inox)
• Y - acciai per calcestruzzo armato precompresso;
2° Simbolo
Tale simbolo indica la caratteristica fisica o meccanica dell'acciaio da cui dipende principalmente
il suo utilizzo.
Tale valore corrisponde ad una caratteristica meccanica per i seguenti acciai:
• S, P, L,E,H: la tensione minima di snervamento espressa in N/mm2.
• Y e R: la tensione minima di rottura espressa in N/mm2;
• B: la tensione caratteristica[1] di snervamento espresso in N/mm2;
mentre una caratteristica fisica per i seguenti acciai:
• D:
o C - laminati a freddo;
o D - laminati a caldo destinati direttamente alla formatura a freddo;
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o X - stato di laminazione non specificato;
• T:
• per prodotti a semplice riduzione: lettera H seguita dal valore della durezza Rockwell HR 30
Tm;
• per prodotti a doppia riduzione: la tensione minima di snervamento espressa in N/mm2;
• M:
• valore della proprietà magnetica
Ulteriori simboli
I simboli finali indicano ulteriori proprietà dell'acciaio, obbligatorie o facoltative come ad
esempio:
• per l'acciaio magnetico M:
o A - lamiere a grani non orientati;
o D - lamiere semifinite (senza ricottura finale) di acciaio non legato;
o E - lamiere semifinite (senza ricottura finale) di acciaio legato;
o N - lamiere a grani orientati normali;
o S - lamiere a grani orientati a bassa perdita;
o P - lamiere a grani orientati ad elevata permeabilità;
• per l'acciaio S:
o JR - resilienza minima a 20 °C pari a 27 J;
o J0 - resilienza minima a 0 °C pari a 27 J;
o J2 - resilienza minima a -20 °C pari a 27 J;
o J3 - resilienza minima a -30 °C pari a 27 J;
o J4 - resilienza minima a -40 °C pari a 27 J;
o KR - resilienza minima a 20 °C pari a 40 J;
o K0 - resilienza minima a 0 °C pari a 40 J;
o K2 - resilienza minima a -20 °C pari a 40 J;
o K3 - resilienza minima a -30 °C pari a 40 J;
o K4 - resilienza minima a -40 °C pari a 40 J;
al valore della resilienza possono seguire una o più delle seguenti lettere:
• M - laminazione termomeccanica;
• N - laminazione di normalizzazione;
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• G1 - effervescente
• G2 - acciaio calmato
• G3 - stato di fornitura opzionale;
• G4 - stato di fornitura a descrizione del produttore;
• C - formatura speciale a freddo;
• D - zincatura;
• E - smaltatura;
• H - profilo cavo;
• L - bassa temperatura;
• O - offshore;
• S - costruzioni navali;
• T - tubi;
• W - resistente alla corrosione atmosferica
• Q - bonificato;
• KU - utilizzo per utensili
Gruppo 2
La designazione varia a seconda del tipo di acciaio e dalla percentuale degli elementi di lega:
• acciai non legati con tenore di manganese < 1%:
o C seguita da un numero pari a 100 volte il tenore percentuale di carbonio medio prescritto (%
di C *100) - es. C35 - acciaio dolce con 0,35% di carbonio - C10 percentuale ci carbonio 0,10 %
(acciaio da carbocementazione);
• acciai non legati con tenore di manganese ≥ 1% e gli acciai legati con tenore di ciascun
elemento di lega < 5% (acciai bassolegati):
o numero pari a 100 volte il tenore percentuale di carbonio medio prescritto (% di C
*100)seguito dai simboli chimici degli elementi di lega presenti in ordine decrescente di
concentrazione seguiti ulteriormente dai rispettivi valori (separati da trattino) delle loro
concentrazioni in percentuale moltiplicate per i seguenti fattori:
4 per il cromo, cobalto, manganese, silicio, tungsteno, nichel;
10 per alluminio, berillio, rame, molibdeno, titanio, piombo, vanadio, tantalio, zirconio,
niobio;
100 per azoto, fosforo, zolfo e cesio;
1000 per il boro.
57
Pertanto un acciaio 13CrMo4-5 è un acciaio bassolegato costituito da 0,13 C, 1%Cr (4/4) e 0,5%
Mo (5/10).
• acciai legati con tenore di almeno uno degli elementi di lega ≥ 5% ( acciai altolegati = acciaio
inox):
o X seguito da un numero pari a 100 volte il tenore percentuale di carbonio medio prescritto (%
di C * 100) seguito dai simboli chimici degli elementi di lega presenti in ordine decrescente di
concentrazione seguiti ulteriormente dai valori (separati da punto o senza separazione) delle loro
concentrazioni - es X4CrNiMo17-12-2 acciaio inox con la seguente composizione chimica: 0,04% di
carbonio, 17% di cromo, 12% di nichel e 2% di molibdeno.
• acciai rapidi:
o sono indicati con il simbolo HS seguito da %W-%Mo- %V-%Co- es HS 18-0-1
Designazione numerica
La designazione numerica, che si rifà al sistema delle norme DIN, identifica l'acciaio con un
numero caratteristico di 5 cifre.
La prima cifra identifica il materiale di base. Nel caso di acciaio è = 1
Il secondo numero, separato dal primo da un punto, indica la designazione del gruppo dell'acciaio
e il numero d'ordine sequenziale per tipo di acciaio secondo la tabella riportata dalla UNI EN 100272. Alcuni esempi di comparazione fra le due tipologie di designazione sono:
• S235JR = 1.0037
• X5CrNi18-10= 1.4301
ACCIAIO INOSSIDABILE O INOX
Il Gateway Arch di Eero Saarinen a St. Louis, realizzato interamente in acciaio inox.
Caratteristiche generali
Composizione: lega costituita principalmente da ferro, carbonio e cromo
Aspetto: grigio lucente
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Stato di aggregazione (in c.s.): solido
Cristallinità: in genere policristallino
Proprietà chimico-fisiche: Resistività elettrica (O•m) 0,714 × 10-6 [1]
Gli acciai inox (o acciai inossidabili) sono leghe di ferro caratterizzate, oltre alle proprietà
meccaniche tipiche degli acciai al carbonio, da una notevole resistenza alla corrosione, specie in aria
umida o in acqua dolce.
Tale capacità di resistere alla corrosione è dovuta alla presenza di elementi di lega,
principalmente cromo, in grado di passivarsi, cioè di ricoprirsi di uno strato di ossidi sottile e aderente,
praticamente invisibile, di spessore pari a pochi strati atomici (dell'ordine dei 3-5 × 10−7 mm), che
protegge il metallo, o la lega, sottostante dall'azione degli agenti chimici esterni.
Gli acciai inossidabili sono caratterizzati da un tenore di carbonio generalmente inferiore al 1,2%.
Il contenuto minimo di cromo "libero", ossia non combinato con il carbonio, si aggira tra l'11-12%
per poter avere formazione dello strato di ossido "passivante" continuo, protettivo nei confronti dalla
corrosione. Il cromo nella lega, infatti, combinandosi con il carbonio, può formare carburi di cromo,
che limitano la disponibilità di tali elemento di lega a formare ossidi e, quindi, di passivarsi.
La definizione di inox deriva dal francese inoxydable.
Storia
La scoperta dell'acciaio inossidabile si deve all'inglese Harry Brearly di Sheffield.
Nel 1913, sperimentando acciai per canne di armi da fuoco, scoprì che un suo provino di acciaio
con il 13-14% di cromo e con un tenore di carbonio relativamente alto (0,25%) non arrugginiva
quando era esposto all'atmosfera.
Successivamente questa proprietà venne spiegata con la passivazione del cromo, che forma sulla
superficie una pellicola di ossido estremamente sottile, continua e stabile.
I successivi progressi della metallurgia fra gli anni quaranta e sessanta del XX secolo hanno
ampliato il loro sviluppo e le loro applicazioni.
Tuttora vengono perfezionati e adattati alle richieste dei vari settori industriali, come il
petrolifero/petrolchimico, minerario, energetico, nucleare e alimentare.
Passivazione
Molto propria è la dizione anglosassone stainless (letteralmente "senza macchia") derivata dalla
capacità di questi materiali di ossidarsi (o, come si suol dire, passivarsi) ma non arrugginirsi negli
ambienti atmosferici e naturali.
Il fenomeno della passivazione avviene per reazione del metallo con l'ambiente ossidante (aria,
acqua, soluzioni varie, ecc).
La natura dello strato passivante, formato essenzialmente da ossidi/idrossidi di cromo, è
autocicatrizzante e garantisce la protezione del metallo, anche se localmente si verificano abrasioni o
asportazioni della pellicola, qualora la composizione chimica dell'acciaio e la severità del danno siano
opportunamente inter-relazionate.
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In particolare, il film passivo può essere più o meno resistente in funzione della concentrazione
di cromo nella lega e in relazione all'eventuale presenza di altri elementi leganti quali il nichel, il
molibdeno, il titanio.
Tipi di acciaio inossidabile
Pezzi speciali per condutture in acciaio inossidabile.
Gli acciai inox si dividono tradizionalmente, secondo la loro microstruttura, in tre grandi
famiglie:
• martensitici
• ferritici
• austenitici
Oltre a queste tre categorie esistono anche altre due famiglie meno note, il cui impiego è in forte
ascesa, per impieghi specifici:
• gli austeno-ferritici o duplex
• gli indurenti per precipitazione
Martensitico
Gli inossidabili martensitici sono leghe al cromo (dall'11 al 18% circa) con carbonio
relativamente elevato, contenenti piccole quantità di altri elementi. Tipici elementi in essi presenti
sono manganese, silicio, cromo e molibdeno; può essere aggiunto zolfo per migliorarne la lavorabilità
con macchine per asportazione di truciolo, con parziale discapito comunque delle caratteristiche
meccaniche.
L'acciaio inox martensitico ha caratteristiche meccaniche molto elevate ed è ben lavorabile alle
macchine, è l'unico acciaio inox che può essere sottoposto a tempra, trattamento termico atto ad
aumentarne le proprietà meccaniche (carico di rottura, carico di snervamento, durezza).
È conosciuto soprattutto con la nomenclatura americana: per esempio l'acciaio al solo cromo è
l'AISI serie 400 (da ricordare AISI 410 e 420, con 0,20% < C < 0,40% e Cr = 13% circa; AISI 440
con C = 1% circa e Cr = 17%); nella nomenclatura UNI ha sigle come X20Cr13, X30Cr13, X40Cr14.
È magnetico. È anche conosciuto come acciaio "serie 00".
L'acciaio inossidabile martensitico è autotemprante, ma per semplice raffreddamento dalla
temperatura di laminazione alla temperatura ambiente si sviluppa una struttura cristallina deformata,
con forti tensioni residue e conseguente infragilimento.
60
Per ovviare a tali condizioni sfavorevoli, la procedura produttiva prevede generalmente le
seguenti fasi:
• ricottura di lavorabilità: essa è svolta col metodo isotermico solo quando si voglia la durezza
minima; altrimenti si raffredda a velocità costante, scegliendola in base alla durezza che si vuole
ottenere (vedi curve CCT);
• tempra a temperatura di circa 1000 °C e per un tempo sufficiente a sciogliere i carburi di
cromo, utile per aumentare la resistenza all'usura;
• rinvenimento a temperature diverse a seconda che si voglia privilegiare la durezza, la
resistenza alla corrosione o la tenacità.
Gli acciai inossidabili martensitici sono utilizzati soprattutto per la loro elevata resistenza allo
scorrimento viscoso, sebbene la loro formalità e saldabilità sia estremamente difficoltosa e la loro
resistenza alla corrosione sia minore rispetto a quella delle altre famiglie.
La resistenza alla corrosione non è eccezionale perché il cromo è in un tenore generalmente più
basso di quello delle altre categorie di acciai inossidabili; inoltre perché la struttura martensitica ha
un'alta densità di difetti reticolari, che agiscono da catalizzatori delle reazioni di corrosione.
L'AISI 440 è utilizzato per l'utensileria inossidabile (coltello, forbice, bisturi, lametta, iniettore
per motore a combustione interna).
Ferritico
Come i precedenti, gli acciai ferritici sono acciai inossidabili al solo cromo (variabile dall'11 al
30% circa).
Questi acciai hanno buona resistenza meccanica e alla corrosione. Hanno grano cristallino a
reticolo cubico a corpo centrato come gli acciai al carbonio, ma le caratteristiche meccaniche non
possono essere incrementate per mezzo di trattamenti termici.
Il tenore di carbonio è minore rispetto agli acciai inossidabili martensitici. Un tipo
particolarmente resistente al calore contiene il 26% di cromo. Altri elementi presenti sono il
molibdeno, l'alluminio per aumentare la resistenza all'ossidazione a caldo, lo zolfo per facilitare la
lavorabilità.
Il limite di snervamento è molto basso e, non potendosi fare trattamenti termici di tempra per
l'assenza di punti critici, sono applicati la ricristallizzazione o l'incrudimento. Si osserva una
particolare attenzione a limitare il riscaldamento al di sotto degli 850 °C per evitare l'ingrossare del
grano cristallino, e a non sostare tra i 400 e i 570 °C nel raffreddamento, per non incorrere nella
fragilità al rinvenimento.
Gli acciai inossidabili ferritici hanno una moderata resistenza alla corrosione, che aumenta con
la percentuale di cromo e con la introduzione in lega del molibdeno; sono magnetizzabili; non sono
suscettibili di tempra e devono necessariamente essere sottoposti alla ricottura; la saldabilità è scarsa,
in quanto il materiale che viene surriscaldato subisce l'ingrossamento del grano cristallino.
Gli impieghi più comuni sono vasellame o posateria di bassa qualità, acquai, lavelli e finiture per
l'edilizia. In lamiere sottili si usano per rivestimenti, piastre per ponti navali, sfioratori, trasportatori
a catena, estrattori di fumi e depolverizzatori.
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Austenitico
% Cr % Ni AISI
UNI EN 10088-1
18 10
304, 316
X5CrNi1810, X5CrNiMo1712-2
18 10
321, 347, 348 X8CrNiTi1810,X8CrNiNb1811
18 13
317
X8CrNiMb1712
23
12
309
25
20
310
X8CrNi2520
Gli acciai inossidabili austenitici sono gli acciai inossidabili più comuni, hanno un tenore di
carbonio inferiore allo 0,1%, cromo compreso tra il 18% e il 25% e nichel dall'8% al 20%. Il nichel
è in grado di estendere il campo austenitico, ossia stabilizza la struttura cristallina tipica delle alte
temperature fino a condizioni prossime a quelle normali. La struttura austenitica, in realtà, si conserva
in condizioni metastabili a temperatura ambiente, e tale struttura si mantiene per tempi indefiniti, in
quanto lo sviluppo completo della forma stabile, perlite, è estremamente lento (vedi curve di Bain).
Come desumibile dall'esame delle curve di Bain, la trasformazione austeno/perlitica richiede che il
materiale sia tenuto in forno per tempi lunghissimi. industrialmente insostenibili. D'altra parte, le
velocità di raffreddamento e le temperature da raggiungere necessarie nella tempra per ottenere
martensite sono tali che la struttura cristallina compatibile con processi economicamente interessanti
è unicamente quella austenitica.
Gli acciai inossidabili austenitici hanno struttura cubica a facce centrate, contenente Ni e Cr in
percentuale tale da conservare la struttura austenitica anche a temperatura ambiente. Sono classificati
in base alla percentuale di Ni e di Cr (vedi tabella); nella classificazione ASTM costituiscono la serie
3XX.
La composizione base dell'acciaio inox austenitico è il 18% di Cr e l'8% di Ni, codificata in 18/8
(AISI 304). Una percentuale del 2-3% di molibdeno permette la formazione di carburi di molibdeno
migliori rispetto a quelli di cromo e assicura una miglior resistenza alla corrosione dei cloruri (come
l'acqua di mare e di sali disgelanti) (acciaio 18/8/3) (AISI 316). Il contenuto di carbonio è basso
(0,08% max di C), ma esistono anche acciai inox austenitici dolci (0,03% di C max). L'acciaio inox
austenitico può essere stabilizzato con titanio o niobio per evitare una forma di corrosione nell'area
delle saldature (vedi più avanti le debolezze di questo tipo di acciaio). Considerando la notevole
percentuale di componenti pregiati (Ni, Cr, Ti, Nb, Ta), gli acciai inox austenitici sono fra i più costosi
tra gli acciai di uso comune.
Le proprietà fondamentali sono:
• ottima resistenza alla corrosione;
• facilità di ripulitura e ottimo coefficiente igienico;
• facilmente lavorabile, forgiabile e saldabile;
• incrudibile se lavorato a freddo e non tramite trattamento termico;
• in condizione di totale ricottura non si magnetizza.
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La loro struttura austenitica (con cristallo CFC) li rende immuni dalla transizione duttile-fragile
(che si manifesta invece con la struttura ferritica, cristallo ccc), quindi conservano la loro tenacità
fino a temperature criogeniche (He liquido). La dimensione dei grani, sensibilmente più elevata di
quella degli acciai ferritici da costruzione, li rende resistenti allo scorrimento viscoso; di conseguenza
fra gli acciai per costruzione di recipienti a pressione, sono quelli che possono essere utilizzati alle
temperature più elevate (600 °C).
La struttura austenitica è paramagnetica e, quindi, questi acciai possono essere facilmente
riconosciuti disponendo di magneti permanenti calibrati.
Gli impieghi di questi acciai sono molto vasti: pentole e servizi domestici, serramenti[4] e finiture
architettoniche, mattatoi, fabbriche di birra, lattine per bibite e prodotti alimentari; serbatoi per gas
liquefatti, scambiatori di calore, apparecchi di controllo dell'inquinamento e di estrazione di fumi,
autoclavi industriali. La loro resistenza a gran parte degli aggressivi chimici li rende inoltre molto
apprezzati nell'industria chimica. Lo stesso tipo di acciaio fu utilizzato nel 1929 per la costruzione
della guglia del Chrysler Building di New York: la struttura fu costruita in officina in 4 tronconi
separati e poi assemblati sulla cima della costruzione nel giro di 90 minuti. La lucentezza della guglia,
a 80 anni dalla sua costruzione, testimonia l'altissimo grado di resistenza e di inossidabilità del
materiale impiegato (Nirosta).
Gli acciai inox austenitici soffrono però di alcune limitazioni:
• a bassa temperatura la resistenza alla corrosione diminuisce drasticamente: gli acidi intaccano
il film di ossido protettivo e ciò provoca corrosione generica in questi acciai;
• nelle fessure e nelle zone protette la quantità di ossigeno può non essere sufficiente alla
conservazione della pellicola di ossido, con conseguente corrosione interstiziale;
• nelle soluzioni acquose, gli ioni degli alogenuri, specie l'anione (Cl-), diffondono nelle
discontinuità del film passivante degli acciai inox austenitici e provocano la cosiddetta corrosione per
vaiolatura, conosciuta dai corrosionisti come pitting corrosion. Un altro effetto dei cloruri è la SCC
(Stress Corrosion Cracking - rottura da tensocorrosione).
L'unico trattamento termico applicabile per questa classe di acciai è la solubilizzazione del C a
1050 °C, che favorisce la diffusione del carbonio in maniera omogenea nei grano cristallino, seguita
da raffreddamento rapido per evitare la permanenza nell'area fra 800 e 400 °C, dove può avvenire la
precipitazione dei carburi di cromo. La precipitazione di questi carburi, generalmente sono Cr23C6,
si concentra ai bordi dei grani cristallini, implicando un impoverimento locale di cromo libero che
può scendere sotto il 12%, perdendo dunque le proprietà inossidabili. La conseguenza è la possibile
insorgenza di corrosione intergranulare.
Duplex
Gli acciai austeno-ferritici, detti anche duplex, presentano una struttura mista di austenite e di
ferrite. Si tratta di un acciaio al cromo ibrido: il tenore di cromo va dal 18 al 26% e quello di nichel
dal 4,5 al 6,5%, quantità insufficienti per determinare una struttura microcristallina totalmente
austenitica (che quindi rimane in parte ferritica). Quasi tutte le sue varianti contengono fra il 2,5 e il
3% di molibdeno. Esistono inoltre forme di Duplex, chiamati "poveri" che non contengono molibdeno
e hanno tenori di nickel minori del 4,5%.
Le proprietà fondamentali sono:
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• struttura microcristallina peculiare nota come duplex, austenitica e ferritica, che conferisce
più resistenza alle rotture per tensocorrosione;
• maggior grado di passivazione per il più alto tenore di cromo (e la presenza del molibdeno) e
quindi miglior resistenza alla corrosione puntiforme (pitting) rispetto agli acciai 18-8;
• saldabilità e forgiabilità buone;
• alta resistenza a trazione e allo snervamento.
Gli impieghi più comuni sono: scambiatori di calore, macchine per movimentazione dei
materiali, serbatoi e vasche per liquidi ad alta concentrazione di cloro, refrigeratori ad acqua marina,
dissalatori, impianti per salamoia alimentare e acque sotterranee e ricche di sostanze aggressive.
Acciaio inox indurente per precipitazione
Questi acciai presentano la possibilità di innalzare notevolmente le proprie caratteristiche
meccaniche per trattamenti termici particolari di invecchiamento, che consentono di far precipitare
fasi intermetalliche dure nella matrice al fine di aumentare le proprietà meccaniche della lega. Inoltre
questi acciai possiedono resistenza alla corrosione paragonabile a quella degli acciai austenitici
classici, a parità di cromo e molibdeno.
Acciaio inox per alte temperature
Questi acciai inox sono stati messi a punto per operare a elevata temperatura in condizioni
ossidanti. La percentuale di cromo è del 24% e il nichel va dal 14 al 22%.
Le proprietà fondamentali sono resistenza all'ossidazione (sfaldatura) ad alta temperatura e buona
resistenza meccanica alle alte temperature.
Gli impieghi più comuni avvengono in parti di forni, tubi irradianti e rivestimenti di muffole, per
temperature di esercizio fra 950 e 1100 °C.
Superferritico
È stato ideato per ridurre la suscettibilità alla corrosione alveolare e alle rotture per
tensocorrosione degli inox austenitici. Questi acciai dolci al cromo hanno due composizioni possibili:
cromo 18% e molibdeno 2%, oppure cromo 26% e molibdeno 1%.
Le proprietà fondamentali sono le stesse degli acciai inox ferritici, con in più la resistenza alla
corrosione alveolare e alla rottura da tensocorrosione (SCC); saldabilità scarsa o discreta.
A causa della bassa saldabilità gli impieghi sono limitati a particolari saldati di meno di 5 mm di
spessore. Sono utilizzati per pannelli e radiatori solari, tubi di scambiatori di calore e di condensatori,
serbatoi per acqua calda e tubazioni di circolazione di salamoie nelle industrie alimentari.
Acciai da ultra alto vuoto e criogenia
Il metallo più utilizzato in UV e in UHV è un acciaio inox che col ferro, ha cromo, nichel, con
tracce di silicio, carbonio, manganese, molibdeno, niobio e titanio, è utilizzato come costituente
strutturale dell'ambiente da vuoto, ha il vantaggio di essere reperibile e relativamente economico, ha
proprietà di resistenza meccanica abbastanza elevate, non si tempra, si salda con facilità, ha un basso
degasaggio, è abbastanza inerte chimicamente.
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Nomenclatura AISI
In commercio esistono vari tipi di acciai inox, conosciuti principalmente sotto la notazione di
acciaio AISI (American Iron and Steel Institute, Istituto di unificazione statunitense per ferro e
acciaio).
La notazione AISI ha assunto erroneamente il significato di sinonimo per "acciaio inox", poiché
tale istituto codifica anche tipi differenti di acciaio.
La notazione AISI individua l'acciaio inox attraverso una sigla a tre cifre con possibile aggiunta
di una lettera.
La prima di queste cifre indica la classe dell'acciaio:
• serie 2XX - acciaio austenitico al cromo-nichel-manganese
• serie 3XX - acciaio austenitico al cromo-nichel e cromo-nichel-molibdeno
• serie 4XX - acciai ferritici o martensitici al cromo
• serie 5XX - acciaio martensitico al cromo medio
• serie 6XX - acciaio indurente per precipitazione al cromo
Tra le lettere ad esempio:
• la lettera "L" indica la bassa percentuale di carbonio (Low Carbon) presente. Questa
caratteristica fa sì che l'acciaio leghi meno gas, in quanto il carbonio tende, in qualsiasi condizione, a
legarsi con l'idrogeno, precipitando idrocarburi; la presenza di idrogeno è spesso penalizzante per
l'acciaio, ad alte temperature e soprattutto in condizione di ionizzazione (radiazioni ionizzanti).
L'atomo di idrogeno ionizzato (H+) è molto piccolo e ad alta temperatura si sposta con maggiore
facilità nel reticolo dell'acciaio, rischia di accumularsi e provocare pericolose discontinuità. Il basso
tenore di carbonio consente anche una buona saldabilità anche per spessori > 6 mm.
• l'annotazione "N" sta a indicare la presenza di azoto disciolto nella lega. Grazie alle sue
proprietà di gas inerte (il legame azoto-azoto è triplo, gli atomi sono molto vicini tra loro e perciò si
separano difficilmente), l'azoto funge da schermo sull'acciaio limitandone la contaminazione esterna.
• L'annotazione Ti sta a indicare la presenza di titanio il quale assicura una completa resistenza
alla corrosione nelle saldature di elementi di grosso spessore.
Sigle commerciali
I vari acciai inox differiscono in base alla percentuale in peso degli elementi costituenti la lega.
Tra gli acciai più comunemente utilizzati distinguiamo:
• 304 - Cr (18%) Ni (10%) C (0,05%);
• 304 L - (Low Carbon): Cr (18%) Ni (10%) C (< 0.03%);
• 316 - Cr (16%) Ni (11.3/13 %) Mo (2/3 %)
• 316 L - (Low Carbon): Cr (16,5/18,5%) Ni (10,5/13,5%) Mo (2/2,25%) C (< 0.03%);
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• 316 LN - (Low Carbon Nitrogen) (presenza di azoto disciolto nel reticolo cristallino del
materiale);
• 316 LN ESR (electro-slag remelting);
• 430: Cr (16/18 %) C (0,08%).
Questi materiali possono essere anche stabilizzati al titanio o al niobio come:
• 316 Ti
• 316 Nb
• 430 Ti.
La posizione del ferro all'interno della lega influenza diverse caratteristiche del materiale, di
elevata importanza per il suo utilizzo.
La principale è la amagneticità:
• nella disposizione a corpo centrato il materiale evidenzia proprietà ferritiche e perciò
magnetiche;
• in quella a facce centrate l'acciaio è austenitico e perciò amagnetico.
Come già accennato in precedenza, gli AISI 304 e 316 appartengono alla famiglia degli acciai a
struttura austenitica mentre l'AISI 420 è a struttura martensitica.
La differenza tra l'acciaio 304 e 316, a parte il costo maggiore e la presenza nel 316 di Mo, è data
dalla più elevata austenicità del secondo grazie alla più alta percentuale di nichel.
Sebbene questi acciai conservino la struttura austenitica, in alcuni casi restano nella massa "isole"
che hanno una struttura ferritica, derivata dalla ferrite δ.
Nell'UV si necessita di una tipologia d'acciaio austenitico, poiché possiede una struttura molto
legata e di conseguenza meno attaccabile chimicamente.
La presenza di metalli refrattari, come il molibdeno, aiuta a legare elettro-chimicamente gli atomi
di ferro, conferendone maggiore inerzia e un grado di durezza superiore (circa 180 gradi Vickers).
L'acciaio austenitico permette di utilizzare la lega anche nell'UHV, poiché l'amagneticità
strutturale le dona un'inerzia quasi totale alle interazioni "deboli" garantendo un vuoto più pulito.
La presenza di cromo, nonostante le sue caratteristiche ferriticizzanti, conferisce all'acciaio
stabilità ed elasticità, garantendone così duttilità e malleabilità.
Resta comunque il fatto che, in questa tecnologia, l'acciaio più utilizzato sia quello austenitico.
La sua temperatura di fusione è di 1435 °C, tuttavia dobbiamo considerare che, durante la
saldatura, nell'intervallo di temperatura tra i 600 e gli 800 °C, si trasforma, o meglio decade, da
austenitico a ferritico (come indicato nel diagramma di sensibilizzazione di Schaeffler).
Il suo decadimento è più rapido e permanente per gli acciai 304 rispetto ai 316.
Periodo di sensibilizzazione:
• 304: 10 minuti;
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• 304 L: 30 minuti;
• 316 L: un'ora.
Più esteso è questo periodo (la estensione è proporzionale alla presenza di nickel), più il materiale
è affidabile.
Per ridurre ulteriormente il degasaggio della lega 316 si effettua il processo di electro slag
remelting, in cui la stessa viene rifusa in un forno a radiofrequenze, in modo da eliminare le
microscorie di ossidi e di carburi, che, oltre a "sporcare" il vuoto, la rendono più ferritica. Il 316 L N
ESR, poiché molto costoso, viene utilizzato limitatamente e prevalentemente negli acceleratori di
particelle.
L'acciaio è costituente delle camere da vuoto, delle flange e di eventuali altri elementi come
bulloni e dadi; in ogni modo, una camera da vuoto in acciaio richiede ulteriori trattamenti finalizzati
a diminuire il costante degasaggio di idrogeno dalle sue pareti. Uno dei principali è il vacuum firing,
con il quale l'acciaio viene in primo luogo scaldato a 1400 °C e poi rapidamente raffreddato, per
attraversare celermente la zona di sensibilizzazione senza decadere in ferritico. Così, oltre alla
diminuzione della percentuale di azoto sulle superfici, si ottiene un aumento della sua austeniticità.
Acciai inox per acqua potabile
Secondo il Decreto del Ministero della Sanità del 21 marzo 1973 i tipi di acciai inossidabili che
possono essere impiegati per il contatto con acque potabili, e più in generale con gli alimenti, sono i
seguenti:
Sigla UNI EN 10088-1 Sigla AISI
X12CrNi17-07
301
X10CrNi18-09
302
X10CrNiS18-09
303
X5CrNi18-10
304
X2CrNi18-11
304 L
X8CrNi18-12
305
X5CrNiMo17-12-2
316
X2CrNiMo17-12-2
316 L
X6CrNiMoTi17-12-2 316 Ti
X6CrNiTi18-10
321
X6CrNiNb18-10
347
X12Cr13
410
X12CrS13
416
X20Cr13
420
X30Cr13
420
X40Cr14
420
X6Cr17
430
X10CrS17
430 F
X16CrNi16
431
67
Armature inossidabili
Le barre di acciaio inox utilizzate per strutture in calcestruzzo armato in genere sono realizzate
con acciai inossidabili di microstruttura austenitica o duplex austeno-ferritica.
I primi contengono 17-18% di Cr e 8-10% di Ni, mentre i secondi contengono 22-26% di Cr e 48% di Ni.
Le armature in acciaio inox, al contrario delle armature comuni in acciaio al carbonio, rientrano
nel gruppo delle armature poco sensibili alla corrosione.
Infatti gli acciai inossidabili possono resistere alla corrosione in presenza di calcestruzzo con un
contenuto di cloruri molto elevato, anche quando questo è carbonatato.
Invece nel calcestruzzo non carbonatato e non inquinato da cloruri, le barre di acciaio inossidabile
si comportano come le normali barre di acciaio al carbonio, pertanto non apportano alcun vantaggio
nei confronti della resistenza alla corrosione della struttura.
Le barre d'acciaio inossidabile però devono garantire le stesse prestazioni meccaniche (resistenza
allo snervamento e la duttilità) richieste alle normali barre d'armatura.
A tal fine le armature di acciaio inossidabile austenitico vengono sottoposte a trattamenti di
rafforzamento mentre per gli acciai inossidabili duplex, tali trattamenti non sono indispensabili.
L'utilizzo dell'armatura inossidabile è limitato dall’elevato costo, il quale può avere un rilevante
impatto sul costo necessario alla realizzazione dell'intera struttura.
Infatti le barre in acciaio inox, in funzione della composizione chimica, costano da sei a dieci
volte in più rispetto alle armature comuni in acciaio al carbonio.
L'utilizzo di barre in acciaio inossidabile pertanto viene limitato per la realizzazione di opere in
condizioni ambientali d'elevata aggressività, soprattutto legata alla presenza d'acqua di mare o di sali
disgelanti (azione dei cloruri), oppure nei casi in cui, per l'importanza della struttura, sia richiesta una
vita di servizio molto lunga.
In questi casi infatti la protezione offerta dal copriferro può risultare insufficiente a prevenire la
corrosione, e pertanto l'acciaio inox può garantire la durata richiesta per l'opera senza dover ricorrere
successivamente a costose e complesse manutenzioni straordinarie che, in alcuni casi, risultano più
onerose del costo iniziale dovuto alla scelta dell'armatura inossidabile.
Il costo di costruzione si può ridurre limitandone l’utilizzo alle parti più vulnerabili della struttura
o alle zone in cui lo spessore di copriferro deve essere ridotto, come negli elementi snelli o nei
rivestimenti di facciata.
In questo caso è necessario che l'armatura al carbonio e quella inox non entrino mai in contatto
per evitare fenomeni di corrosione elettrochimica.
Gli acciai inossidabili austenitici hanno un coefficiente di dilatazione termica di circa 1,8 × 10−5
°C−1, maggiore sia di quello del calcestruzzo (circa 10-5 °C-1) sia di quello delle comuni armature
(1,2 × 10-5 °C−1).
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Il maggiore coefficiente di dilatazione termica potrebbe creare situazioni sfavorevoli nel caso di
incendi, tuttavia l'acciaio inossidabile austenitico ha una conducibilità termica notevolmente inferiore
rispetto all'acciaio al carbonio.
Contaminazione ferrosa
La resistenza alla corrosione dell’acciaio inox può essere messa in pericolo dalla contaminazione
ferrosa derivante da particelle provenienti da operazioni di taglio, rettifica e saldatura dell’acciaio al
carbonio.
La presenza di contaminazioni sulle superfici del metallo, oltre a creare un difetto estetico può
dar luogo a inneschi di corrosione localizzata (pitting), anche solo a contatto con aria, pregiudicando
la giusta condizione di passività nel tempo.
Infatti, le particelle di ferro che si depositano sulla superficie dell'acciaio inox, ad esempio a
causa di spruzzi di saldatura di componenti di acciaio al carbonio, si ossidano molto velocemente
formando la ruggine, anche solo in presenza dell'umidità atmosferica, causando un'antiestetica
macchiatura della superficie, che in alcuni casi, ostacolando il fenomeno di naturale passivazione
dell'acciaio inox, può evolvere in fenomeni di pitting.
Per questa ragione la lavorazione dell’acciaio al carbonio e quella dell’acciaio inossidabile
devono avvenire in due zone distinte e separate.
Inoltre, gli attrezzi manuali (es. spazzole) e i macchinari utilizzati (es. presse), non devono
contenere acciaio al carbonio e devono essere puliti in maniera approfondita quando si passa
dall’acciaio al carbonio all’acciaio inossidabile.
Le lavorazioni di taglio, saldatura o sabbiatura non deve essere fatta con elementi contenenti
acciaio al carbonio (es. dischi abrasivi, elettrodi, graniglia).
Per lo stesso motivo, nello stoccaggio e nella movimentazione dell’acciaio inossidabile, deve
essere evitato qualsiasi contatto con attrezzi di acciaio al carbonio, ad esempio forche di elevatori,
catene, scaffalature, ecc.
Per verificare la avvenuta contaminazione esistono appositi test.
Una volta contaminato l'acciaio inox, può esserne effettuata la decontaminazione mediante
trattamento con specifiche paste passivanti a base di acido fosforico o nitrico.
Per rimuovere qualunque traccia di soluzione acida e contaminanti disciolti si dovrà risciacquare
l'acciaio con acqua deionizzata e asciugare la parte pulita.
In questo caso è necessario trattare l’intera superficie inox, per evitare l’effetto "a chiazze".
Gli stessi prodotti possono essere utilizzati nel caso di ossidazione dovuta a un'elevata
esposizione ad agenti corrosivi quali la salsedine.
La contaminazione ferrosa è quella più ricorrente sugli acciai inox, ma si possono comunque
verificare fenomeni di contaminazione da altri metalli non ferrosi, come alluminio, rame, piombo,
ecc.
Le modalità per eliminare le tracce contaminanti sono le stesse consigliate per le tracce ferrose.
Giunzioni
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I manufatti in acciaio inox vengono frequentemente giuntati mediante saldatura e bullonatura.
Un errore comune è quello di utilizzare elettrodi contenenti acciaio al carbonio e bulloni, sempre
in acciaio al carbonio ma zincati.
Oltre al problema della contaminazione ferrosa, il mettere a contatto l'acciaio inox con un
materiale meno nobile determina l'innesco di celle galvaniche, nel momento in cui un elettrolita entra
in gioco, con conseguente corrosione del materiale meno nobile.
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