Perché alcune opere storiografiche ci sono giunte e altre no? I Greci

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Perché alcune opere storiografiche ci sono giunte e altre no? I Greci
Perché
alcune
opere
storiografiche ci sono giunte e altre
no?
Storici come Tucidide, Senofonte,
Erodoto, Polibio sono giunti fino a noi perché
soddisfacevano le esigenze e il gusto del
pubblico, anche colto (critici, letterati),
mentre altri (Eforo, Teopompo) sono andati
del tutto perduti.
Questi storici ci sono giunti,
nonostante appartengano a un arco di tempo
molto vasto, perché rispondevano all’esigenza
fondamentale della storiografia antica: cioè
che lo storico più veritiero, preferibile in ogni
caso, è quello che narra avvenimenti
contemporanei alla propria vita; concetto
fondamentale è quello dell’ αυτοψία (ossia, il
vedere coi propri occhi); vale di più la
testimonianza dell’occhio che dell’orecchio
(Erodoto); meglio ancora è partecipare di
persona agli eventi, come fece Senofonte, che
partecipò alla battaglia di Cnido nel 394;
oppure, gli storici sunnominati (ad esempio,
Tucidide) narrano vicende ascoltate da
testimoni oculari; è sempre salva la
contemporaneità delle vicende.
I Greci scoprono che … il
passato può essere oggetto di ricerca
(ιστορίη)
Il concetto di storia come racconto di
fatti avvenuti è per i Greci un concetto
relativamente recente. Prima di Erodoto, non
esiste storia, ma mitografia e genealogie
(Esiodo), da cui noi cerchiamo di ricavare
informazioni storiche data l’importanza che il
mito ha nella grecità e data la mancanza di
altre notizie sulla storia arcaica; per esempio,
attraverso i “Ritorni” del ciclo epico, noi
possiamo con estrema cautela ricostruire certi
spostamenti di popolazioni; nei nomi di
leggendari fondatori di città siceliote e italiote
possiamo ancora riconoscere tradizioni locali
di migrazioni. Il mito per gli antichi, fin quasi
ad Erodoto e in parte anche in lui, è l’unico
modo di indagare sul passato.
Su Erodoto ha probabilmente avuto
influenza Ecateo di Mileto, il primo a
mettere in discussione il mito; egli, attraverso
l’incontro con i sacerdoti egiziani, si rende
conto, e dopo di lui Erodoto, che il passato
può essere oggetto di ricerca e che esso non è
solo mito, ma anche teatro di avvenimenti
reali. Il passato per i Greci era in realtà molto
poco antico perché essi credevano che le
generazioni divine si fossero esaurite molto di
recente. Pian piano anche presso i Greci
affiora l’idea che il passato, anche vicino a chi
narra, può essere oggetto di studio, mentre ad
esempio in Oriente, in Egitto, in ambiente
giudaico, il concetto che il passato sia un
antico forziere di verità da salvare è molto
radicato. Anche i Greci, specie per il contatto
con gli Egiziani, si accorgono di colpo che
possono mettere in salvo dei fatti, e il modo
migliore per farlo è di controllarli il più da
vicino possibile. Non è che gli storici non
sapessero come fare per indagare il passato:
esistono le fonti locali, che sappiamo per
certo che confluiscono in Erodoto; sia
Erodoto sia Tucidide sanno come reperire
materiale e informazioni; ma non è questo che
caratterizza la storia che essi narrano. Quando
Plutarco dice “Senza guerra del Peloponneso
non sarebbe esistito Tucidide”, vuol dire che
l’avvenimento che ha caratterizzato quel
periodo, l’unico degno di essere narrato, era la
guerra del Peloponneso, che ha trovato il suo
storiografo in Tucidide; la cosa più
importante
è
la
contemporaneità
dell’avvenimento, poi l’autopsia.
Che relazione c’è tra epica e
storiografia?
La storiografia deriva da due fenomeni
a lei precedenti: l’epica e la periegesi, ed è
figlia in un certo senso della geografia, che
insegna a descrivere e a selezionare i fatti. Per
quanto riguarda la dipendenza dall’epica,
Aristotele dichiara nella Poetica che la
differenza tra epica e storiografia è che l’epica
si occupa di un solo eroe o di un solo
avvenimento nella sua totalità, mentre la
storia si occupa di una serie di avvenimenti.
Ciò in un certo senso è vero, ma ci sono
differenze molto accentuate, date soprattutto
dai due concetti di contemporaneità e di
autopsia; se si vogliono salvare dei fatti,
occorre salvarli nella loro completezza; anche
l’epica fa lo stesso, anzi appositamente
sceglie un solo eroe o avvenimento: la guerra
di Troia, ad esempio, pur essendo una piccola
conclusione di avvenimenti storici molto più
importanti, è narrata con dovizia di
particolari, nella sua totalità; come fa l’epica a
selezionare alcuni avvenimenti piuttosto che
altri? Essa considera degni di essere
raccontati i fatti più ricchi di παθήματα; come
farà più tardi la storia: Tucidide sceglie con
questo criterio la guerra del Peloponneso.
Però in alcune cose Erodoto e Tucidide
risultano in qualche modo “inferiori”
all’epica: proprio per esigenza di totalità e
completezza nell’Iliade vengono narrati con
uguale dignità non solo periodi di guerra, ma
anche di pace; questo con la storiografia si
perde completamente: l’unico avvenimento
ritenuto degno di essere narrato è la guerra,
mentre la pace è considerata mancanza di
avvenimenti degni di essere narrati. Ciò
significa che dall’epica alla storiografia si è
avuto un cambiamento di mentalità; quello
che opera nella storiografia non è il racconto
di una civiltà, ma il racconto di mutamenti; la
storia è solo storia dei mutamenti, e forse non
è un caso che prima di Erodoto, cioè prima
delle guerre persiane, non abbiamo opere
storiche.
Il criterio dell’autopsia
L’autopsia è uno dei criteri principali
per la scelta delle notizie, il più sicuro e il più
universalmente accettato, non solo da Erodoto
ma anche da Tucidide e dagli storici che lo
seguono (Senofonte, Eforo, Teopompo,
Polibio). Ciò significa che si dà importanza in
primis ai fatti in qualche modo verificabili,
per Erodoto addirittura i fatti visti e verificati
di persona. Erodoto tende a distinguere tra le
cose viste di persona e quelle sentite
raccontare, le quali, quando gli sembrano
piuttosto favolose, sono accompagnate da una
punta di dubbio: “le ho sentite raccontare”.
Tucidide invece non distingue tra le due cose,
anzi in certi punti del proemio polemizza, pur
senza nominarlo, con Erodoto; per i discorsi,
Tucidide afferma che ne riferirà solo alcuni,
mentre per altri dirà quello che veramente è
stato detto, cioè trasporta tutto su un piano di
obiettività.
Gli
antichi consideravano
assoluto questo concetto di obiettività, che
Tucidide addirittura teorizza. In realtà sono
storici assai poco obiettivi, ed ognuno di essi
ha un suo asse narrativo particolare:
Senofonte, per esempio, quando è al seguito
di Agesilao, riporta, per quanto riguarda la
Grecia, solo le notizie che arrivavano
direttamente ad Agesilao, credendo così di
assolvere all’obiettività. Altro particolare
fuorviante: noi non sappiamo a chi fossero
dirette queste opere, se dovessero venir lette
in pubblico oppure fossero dirette a un
pubblico di lettori, o a un pubblico locale o
no. Sia Erodoto sia Tucidide sia Senofonte si
qualificano con il nome e la città di origine; ci
si chiede che necessità avrebbe lo specificare
la città di provenienza, se le opere fossero
dirette ad un pubblico locale; si può pensare
quindi
che
queste
opere,
almeno
nell’intenzione degli autori, avessero larga
diffusione. Nel V e IV secolo sappiamo
comunque dell’esistenza di scrittori di storie
locali (Timeo di Tauromenio per la Sicilia) o
di attidografi (storie dell’Attica), o,
contrapposti a questi, scrittori di storia
universale, i quali però tutti tendono a
privilegiare la storia a loro contemporanea
(Eforo), perché è evidente per gli antichi che
l’unico periodo che essi possono consegnare
al futuro è quello constatabile di persona
(autopsia diretta o indiretta).
Il criterio axiologico
C’è un altro criterio di scelta dei fatti:
quello geografico, che è assolutamente
inconscio, perché gli scrittori antichi si
rendono conto solo in parte di adottarlo,
dando per scontata una serie di notizie
geografiche e topografiche che pensano che il
loro pubblico conosca, e che invece per noi
costituiscono grosse lacune; questo vale
soprattutto per Tucidide, che tende a
trascurare importanti avvenimenti che
considera scontati, conosciuti. Altro criterio:
quello axiologico, cioè delle cose degne di
essere narrate1; lo storico racconta le opere
1
Tucidide, ad esempio, non parla dei tiranni, perché
non fecero cose degne di essere narrate, ma solo guerre
tra loro o contro i vicini, cioè guerre locali, nemmeno
grandi, che, come tali, sono degne di essere
narrate; le opere grandi sono quelle che sono
più ricche di sofferenze e di sconvolgimenti
(παθήματα); questo concetto viene in parte
criticato da Senofonte nelle Elleniche, che
dice che non gli sembra giusto narrare le
imprese delle grandi città soltanto, ma anche
delle piccole, qualora abbiano fatto cose
grandi (finisce quindi per riaffermarlo); tanto
che la parola μέγας diviene quasi un termine
tecnico nella storia greca e ricorre spessissimo
in Erodoto, Tucidide e gli storici che lo
seguono, compreso Senofonte; ogni storico in
questo modo tende a dire che quello che
racconta lui è la cosa più grande e degna di
essere narrata, e questo riafferma ancora il
criterio della storia contemporanea, che è
l’unica a poter essere trattata.
Di che cosa deve parlare
un’opera storica secondo i Greci?
Da Erodoto in poi l’argomento delle
storie greche è sempre esclusivamente
politico-militare; parallelamente ci sono opere
che non hanno questo carattere, ma non sono
considerate dai Greci opere di storia, mentre
per noi sono ugualmente importanti, come le
varie Costituzioni, di Aristotele e Senofonte,
le storie locali, le monografie (l’Agesilao di
Senofonte); altri argomenti, ad es. quello di
altri paesi che non siano Grecia o Roma, non
sono assolutamente presi in considerazione,
fino ad Eusebio di Cesarea; il primo
sostanziale ampliamento dell’argomento
storico è appunto quello dell’introduzione
della storia giudaica, quando il mondo
romano si fonde con questo. Gli scrittori di
antiquaria si preoccupano invece solo di
notizie sparse sull’antichità, e non di storia.
Spesso la narrazione storica è storia di
egemonie; Tucidide pone come soggetto della
sua opera sempre gli Ateniesi; Senofonte,
ateniese
ma
filospartano,
vede
gli
avvenimenti dal punto di vista spartano. Di
questo gli storici non si rendono conto, ma,
poiché hanno una forte esigenza di
minimamente paragonabili alla guerra del Peloponneso
(Archeologia, libro I cap. 17). Inoltre sostiene che la
guerra contro i Persiani fu sì importante, ma si
concluse rapidamente (libro I cap. 23).
concretezza, sostengono che “tutte queste
sono le cose che fecero i Greci”, anche se
hanno parlato solo di una città (ad es. lo
afferma Tucidide, dopo aver fatto nella
Pentecontaetia la storia in realtà di Atene;
Senofonte intitola Elleniche la sua opera
storica); ciò vale per tutti i continuatori di
Tucidide: Senofonte, Eforo e l’autore delle
Elleniche di Ossirinco. Cioè, pur ponendosi
da un punto di vista molto particolare, quello
della città egemone in quel momento, gli
storici sono consci di scrivere di storia greca e
questo dichiarano.
La selezione delle notizie
Gli antichi come i moderni tendono a
selezionare le loro notizie; i criteri principali
di selezione per Erodoto, Tucidide e Polibio
(V e II sec. a.C.) sono: 1) autopsia 2)
esperienza (Polibio), cioè εμπειρία. Gli storici
greci tendono a narrare fatti contemporanei o
vicini a loro, di scarsissima antichità; sia
Tucidide che Erodoto hanno scarsa fiducia nei
poeti, perciò Tucidide, ad esempio, non vede
come potrebbe indagare il passato. Questo si
ripete anche per gli scrittori di storia
universale: ad es. nell’opera di Eforo c’è una
sproporzione enorme tra la trattazione di
avvenimenti antichi e quella di avvenimenti
contemporanei; così anche Senofonte e
Teopompo; questo vale in buona parte anche
per gli storici romani (Livio si scusa di dover
fare una introduzione alla sua storia e
promette di arrivare presto a cose più
interessanti per il pubblico → altro criterio:
l’interesse del pubblico).
In Erodoto il vedere ha preminenza sul
sentire; il concetto del “vedere con gli occhi”,
già molto presente in Omero specie nel
racconto di prodigi, cui l’espressione vuol
dare una certa credibilità e verosimiglianza, in
epoca postomerica passa ai filosofi ionici:
Talete, essendogli stato domandato quale
fosse la differenza tra verità e menzogna,
rispose che era pari alla distanza tra l’occhio e
l’orecchio; naturalmente, questo aneddoto
riferito da scrittori tardi potrebbe non essere
vero per Talete, ma testimonia dell’idea
diffusa che il vedere dia la misura della verità;
l’ascoltare è soggetto alla menzogna.
Un altro passo è compiuto dalle scuole
mediche (la pratica medica si afferma nel V
sec., ma è diffusa anche prima), che
affermano che bisogna controllare di persona
e che ci si deve basare su tre elementi: 1)
autopsia (osservazione personale); 2) ιστορία
(ricerca); 3) γνώμη (opinione del medico) →
primo superamento del dato esclusivamente
sensibile: infatti, essendo alcune malattie
simili, il vedere non basta più, ma ci vuole il
discernimento del medico.
Erodoto, come si è detto, crede
ciecamente all’autopsia, mentre in Tucidide
c’è un criterio razionale diverso (fra i due c’è
anche la sofistica): egli, pur assertore
convinto dell’autopsia, si serve anche di altre
testimonianze. Il superamento del dato
sensibile si afferma definitivamente nel IV
sec.: Platone svaluta completamente il mondo
dei sensi; quello che conta è il νοũς, che mette
d’accordo i dati sensibili; Senofonte, Eforo,
Teopompo, l’Anonimo di Ossirinco trattano
però sempre fatti contemporanei, perché lo
storico deve in qualche modo controllare ciò
che scrive; le fonti a disposizione sono le
mitografie di Ecateo, le iscrizioni, che però
non sono molto antiche, le fonti locali, le fonti
orali (che sono le più usate in assoluto da
Erodoto); di più gli storici antichi non hanno,
per cui anche quelli del IV secolo non hanno
modo di indagare l’antichità e preferiscono
continuare a scrivere storia contemporanea;
inoltre, se è vero che il dato sensibile è
svalutato, è pur vero che il metodo di
Tucidide ha fatto scuola: si sente la necessità
non tanto di approfondire ciò che Tucidide
aveva scritto, ma di continuarlo: ed ecco le
Elleniche di Senofonte, le Elleniche
dell’Anonimo di Ossirinco, che riporta notizie
che Senofonte non riporta, dando anzi spesso
notizie contrastanti, perché guarda i fatti da
un’angolazione diversa: l’Anonimo vive i
contrasti interni di Atene, è molto informato
sulle fazioni politiche ateniesi; lo stesso
Teopompo, che continua le Elleniche dei due,
tratta di avvenimenti contemporanei; si
rimane dell’idea che il passato non sia
investigabile e manchino notizie concrete da
riferirgli.
Ulteriore svalutazione del dato
sensibile nelle scuole platonica e aristotelica,
in cui si dà la massima importanza alla parola
del maestro, quindi all’ascolto più che alla
vista. Ciò porta a una rivoluzione completa
del concetto di autopsia di Erodoto. In Polibio
l’autopsia non basta più, ma occorre aver
partecipato ai fatti (εμπειρία), arricchimento
dell’idea erodotea; Polibio dice che non si può
scrivere storia del passato perché è “cosa
sentita dire ricavata da cosa sentita dire”; lo
storico deve essere συνεργός, partecipante,
oltre che αυτόπτης, e critica aspramente
Timeo di Tauromenio, che non è né l’uno né
tanto meno l’altro.
Polibio è l’ultimo storico greco
importante.