Gennaio 2007

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Gennaio 2007
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale
per la vita della Diocesi di Velletri-Segni
Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica
343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 96100596 - [email protected]
Velletri-Segni Chiesa Suburbicaria
Anno 4 - numero 1 (27)
Gennaio 2007
? Vincenzo Apicella
Il 31 dicembre 1968 si svolse a Sotto
il Monte, paese natale di Giovanni
XXIII autore dell’enciclica Pacem
in Terris, la prima Marcia della Pace
e, dal 1° gennaio successivo è celebrata in questa data la Giornata della Pace per volontà di Paolo VI, che
poco tempo prima aveva scritto la
Populorum Progressio, altro grande punto di riferimento per i costruttori di pace.
Dopo la grande stagione di Giovanni
Paolo II, Benedetto XVI prosegue
nello sforzo di richiamare tutti gli
uomini alle esigenze della pace, in
un mondo che non cessa di essere
insanguinato quotidianamente da un
numero impressionante di conflitti,
che non sono semplicemente “locali”, cioè limitati nello spazio e nel
tempo, ma minacciano di coinvolgere tutti attraverso le nuove forme
di terrorismo e l’ormai assodata globalizzazione.
Già nel suo primo Messaggio per
la Pace, del 1° gennaio dell’anno
che si chiude, il Papa aveva affermato il suo primario e forte impegno per la pace richiamando le ragioni che lo hanno indotto a scegliere
il suo nome da Pontefice: S.
Benedetto, patrono dell’Europa e il
suo immediato predecessore Benedetto,
campione della lotta contro “l’inutile
strage” del primo conflitto mondiale.
Si è scelto questa volta di celebrare la Giornata della Pace, proprio
a Norcia, la culla della vicenda benedettina, punto di partenza di una impresa che costituisce per il nostro continente la radice della sua cultura.
E alla radice va anche Benedetto XVI
con il Messaggio per la Giornata della Pace di questo 1° gennaio 2007,
dal titolo significativo: “La Persona
umana, cuore della pace”.
Sappiamo che la pace non è solo sospensione, più o meno temporanea, della guerra, ma
è benessere, equilibrio, pienezza di vita, secondo il significato profondo dello Shalom biblico, il primo saluto e il primo dono del Risorto
ai suoi discepoli, quel saluto con cui inizia ogni
nostro incontro liturgico.
Perché questo dono possa essere accolto e vissuto occorre che prima siano risanate le quattro terribili fratture che il peccato produce nella nostra esistenza: la frattura della propria coscienza, quella del rapporto con Dio, con le altre persone e con la stessa natura che ci circonda.
Nel suo messaggio Benedetto XVI percorre, con
la lucidità e la profondità che gli sono proprie,
tutto questo itinerario, parlando di una ecolo-
gia che non interessa soltanto l’ambiente, ma
deve diventare anche ecologia umana ed ecologia sociale.
Questo sarà possibile solo quando la persona
umana sarà accolta come valore assoluto e trascendente, in quanto porta in se stessa, come
dato costitutivo, la stessa immagine e somiglianza
del suo Creatore.
Ogni discriminazione, ogni limitazione di questo dato fondamentale non può che portare all’emarginazione, allo sfruttamento, alla strumentalizzazione e alla possibile eliminazione di intere categorie di esseri umani.
Ecco perché il riconoscimento della dignità intangibile di ogni uomo, senza distinzione di razza, di sesso, di cultura, di fede religiosa, di potere economico o sociale è veramente il punto di
partenza ed il cuore della pace.
Tutti sono disponibili a riconoscere i diritti fondamentali dell’uomo, enunciati anche in tanti
solenni documenti a tutti i livelli, ma il problema
è sempre quello di chiarire qual è il fondamento
e la sorgente di tali diritti, che implicano, d’altra parte, i corrispettivi doveri.
Solo da qui può derivare il rispetto per la vita,
per ogni vita, nascente, matura o morente, e per
la libertà di ogni persona
Se la pace è anzitutto dono del Risorto essa diventa anche impegno dell’uomo che lo riceve, ecco
perché l’ultima parte del messaggio è rivolto
soprattutto ai credenti, che devono saper condividere con i fratelli quanto hanno ricevuto,
se lo hanno veramente accolto nel suo più profondo significato.
2
Q UESTO
GIORNATA DELLA PACE
1
“La persona umana cuore
della Pace”
di S.E. Mons. Vincenzo Apicella
GIORNATA DELLA PACE
3
La Pace pensando ai bambini
di Stanislao Fioramonti
GRANDI TEMI
4
Il fatto sociale e il Vangelo
sono inscindibili tra loro
a cura di Stanislao Fioramonti
CONCILIO VATICANO II
5
Ancora sul sacerdozio
comune dei fedeli
di don Dario Vitali
CHIESA&DIOCESI
6-7
Millenario della nascita
di San Pier Damiani
San Pier Damiani:
un testimone di Cristo
che ci interroga ancora
di don Dario Vitali
Pier Damiani: appunti
per una biografia (I parte)
di Francesco Cipollini
CHIESA
8-9
Domenica: Ricchezza e Sfide
Discorso tenuto dall’Eminentissimo
Card. Francis Arinze, alla Giornata di
Studio per la Commemorazione della
Sacrosantum Concilium (I parte)
CARITAS
10
Una Chiesa che ama:
l’enciclica di Benedetto XVI
‘Deus Caritas Est’
di don Cesare Chialastri
PASTORALE
11
Accogliete la Parola di Dio
che opera in voi che credete
Lettera pastorale di S.E. Mons.
Vincenzo Apicella alla Diocesi
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2007
MESE PARLIAMO DI ...
VOCAZIONI
12-13
S. Maria Assunta,
la Concattredale di Segni
La storia, la vita della parrocchia
nella comunità cittadina
a cura della Redazione
FAMIGLIA&DIACONATO
14
Elkana e Anna: il dramma
della sterilità
del Dorina e Nicolino Tartaglione
FAMIGLIA
15
PacsFamiglia, perché?
di Pier Giorgio Liverani
VOCAZIONI
16
L’accompagnamento
vocazionale nel ministero
presbiterale
di Mons. Leonardo D’Ascenzo
MUSICA&LITURGIA
17
Il dramma liturgico
di Mara Della Vecchia
Ecclesia in cammino
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per
gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni
DIOCESI
18
Uno ‘strano’convegno diocesano
di Stanislao Fioramonti
CULTURA
20
Una riflessione sul sofferto
rapporto tra etica e scienza
di Sara Gilotta
CULTURA
21
La mela tra storia e mito
di Emanuela Ciarla
ARTE
22
Il Battesimo
di don Marco Nemesi
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Direttore Responsabile
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Vicedirettore
Fabio Ciarla
Collaboratori
Stanislao Fioramonti
Tonino Parmeggiani
Proprietà
Diocesi di Velletri-Segni
Registrazione del Tribunale di Velletri n.
9/2004 del 23.04.2004
Stampa: Tipolitografia Edizioni Anselmi s.r.l.
- Marigliano (NA)
Redazione
C.so della Repubblica 343
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A questo numero hanno collaborato
inoltre: S.E. Mons. Vincenzo Apicella,don
Dario Vitali, Francesco Cipollini, S. E.za
Card. Francis Arinze, don Cesare Chialastri,
Dorina e Nicolino Tartagione, diac. Pietro
Latini, Pier Giorgio Liverani, Mons. Leonardo
D’Ascenzo, Antonio Galati, Mara Della Vecchia,
Sara Gilotta, Emanuela Ciarla, don Marco
Nemesi.
Consultabile online in formato pdf sul sito:
www.diocesi.velletri-segni.it
DISTRIBUZIONE GRATUITA
Gennaio
2007
E' il tema della prossima Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2007),
scelto da Benedetto XVI "pensando ai bambini, specie a quelli il cui futuro è compromesso
dallo sfruttamento e dalla cattiveria di adulti senza scrupoli". Per il papa, rispettando la persona umana si promuove la pace
e si pongono le premesse di un futuro sereno per le nuove generazioni.
La pace, intesa come capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà, è però
un dono e un compito. E' un dono di Dio,
che con la creazione e la redenzione ha
voluto un mondo armonioso e un uomo
libero, nella cui
coscienza si rispecdi Stanislao Fioramonti chia la sapienza divina; ed è un compito perché ci impegna a rispondere
coerentemente con il piano divino.
Accogliendo e rispettando le norme del
diritto naturale che Dio Creatore ha
posto nel cuore dell'uomo, sarà possibile il dialogo tra credenti di varie fedi e tra
credenti e non credenti, dialogo che è il
presupposto fondamentale di un'autentica pace.
Rispettare la dignità umana è un
dovere, e siccome la pace si fonda sul rispetto dei diritti di tutti, non si può disporre a
piacimento della persona. La Chiesa, paladina dei diritti fondamentali di ogni persona, rivendica in particolare il rispetto della vita e della libertà religiosa: senza questi valori si facilita una mentalità e una cultura contrarie alla pace.
Riguardo al diritto alla vita, il papa
denuncia lo scempio che della vita si fa
nella nostra società, a causa di conflitti
armati, terrorismo, violenza, fame,
aborto, sperimentazione sugli embrioni, eutanasia; questi ultimi due in particolare sono la negazione dell'accoglienza
dell'altro, quindi la negazione della pace.
Riguardo alla libertà religiosa, se questa manca, manca la pace, come
dimostrano i cristiani impediti, perseguitati
e anche uccisi, oppure i regimi che impongono un'unica religione, o i regimi indifferenti che dileggiano il credo religioso
altrui.
La pace è minacciata poi dalle tante ingiuste disuguaglianze ancora presenti nel mondo: disuguaglianze nell'accesso
ai beni essenziali (cibo, acqua, casa, salute); disuguaglianze tra uomo e donna
nell'esercizio dei diritti umani fondamentali;
scarsa considerazione per la condizione femminile (donne sfruttate o mortificate nella loro dignità o rigidamente sottomesse all'uomo).
Oltre a questa ecologia della natura,
Grandi
l'uomo costruttore di pace deve rispettare la propria ecologia umana, la struttura naturale e morale ricevuta da Dio; e deve
considerare i rapporti tra queste due ecologie, perché il mancato rispetto dell'ambiente danneggia la convivenza umana,
e viceversa. La pace con il creato è legata alla pace tra gli uomini, ed entrambe
presuppongono la pace con Dio; lo
esemplifica il "Cantico di frate Sole" di S.
Francesco, e lo dimostra il problema dei
rifornimenti energetici: la corsa alle risorse disponibili iniziata da nuove nazioni industrializzate contrasta con la grande arretratezza in cui ancora vivono molte regioni del mondo, prive di sviluppo anche per
gli alti prezzi dell'energia; tale squilibrio
sottintende interrogativi che non predispongono
certo alla pace tra le nazioni. Da qui l'urgenza di rapporti tra gli uomini rispettosi
della natura e della dignità e dei bisogni
delle persone, perché la distruzione dell'ambiente, il suo uso improprio e l'accaparramento violento delle sue risorse sono
segno di sviluppo disumano: non può essere integrale lo sviluppo limitato solo all'aspetto tecnico-economico, che trascuri la
dimensione morale-religiosa.
Il papa propone una ecologia umana
favorevole alla crescita dell'albero della
pace, che parta da una visione dell'uomo
priva di pregiudizi e di interessi, di concezioni antropologiche portatrici di contrapposizione e di violenza, di concezio-
ni di Dio che portano alla insofferenza o
alla violenza: una guerra in nome di Dio
è sempre inaccettabile.
Oggi però la pace è avversata, oltre
che dalle ideologie, dall'indifferenza verso quanto costituisce la vera natura dell'uomo: una visione 'debole' della persona che solo in apparenza favorisce la pace,
perché in realtà facilita le imposizioni autoritarie. La pace vera e stabile invece presuppone il rispetto dei diritti dell'uomo, diritti deboli se fondati su una visione debole, relativistica della persona.
Citando il Mahatma Gandhi, il papa
aggiunge che solo uomini consapevoli dei
propri doveri possono difendere i diritti umani, oggi gravemente attaccati. Tra gli organismi internazionali, il compito di tutelarli e di promuoverli, sulla base della
Dichiarazione universale del 1948, spetta soprattutto all'ONU; non perdere di vista
il fondamento naturale dei diritti dell'uomo eviterà agli organismi internazionali di
interpretarli solo in chiave positivistica, cosa
che li priverebbe dell'autorevolezza necessaria al loro compito.
La consapevolezza di diritti connessi alla natura umana ha portato ad elaborare un diritto umanitario internazionale
che impegna gli Stati anche in caso di guerra; la sua applicazione però è spesso incoerente, come dimostra il recente conflitto
libanese e in genere la 'nuova' violenza impiegata dal terrorismo. Il diritto umanitario internazionale invece deve applicarsi in tutte le situazioni di guerra, comprese quelle senza regole del terrorismo.
La guerra è sempre un fallimento e una
grave perdita di umanità, ma quando vi
si arriva, si salvaguardino almeno i principi essenziali di umanità e i valori fondanti la civile convivenza.
Altro motivo di preoccupazione è il
ricorso di alcuni stati agli armamenti nucleari, con il timore di una catastrofe atomica, come in passato negli anni della 'guerra fredda'. Alla condanna per tale
scelta, già espressa dal Concilio con la
"Gaudium et Spes", occorre unire la trattativa insistente sia per la non proliferazione delle armi nucleari, sia per la
riduzione e lo smantellamento di quelle esistenti.
Il messaggio papale si conclude con
l'appello a ogni cristiano, perché si consideri e si comporti come operatore di
pace e difensore della dignità e dei diritti dell'uomo, per contribuire a un vero
umanesimo integrale secondo le direttive della "Populorum progressio" e della "Sollicitudo rei socialis". L'invocazione
a Maria Regina della Pace chiude il documento.
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2007
Grandi
Sollecitazioni
per il nuovo
anno
“Vi incoraggio ad approfondire sempre di più la vostra vita di fede tenendo ben
presenti gli orientamenti emersi dal recente
incontro della Chiesa italiana a Verona”.
E’ necessaria una “coraggiosa azione
evangelizzatrice”, capace di “suscitare il
rinnovamento dell’impegno dei cattolici
nella società; tale rinnovamento deve avvenire anche nel Lazio”.
“Compito primario della evangelizzazione è indicare in Cristo Gesù il salvatore
di ogni uomo. Non stancatevi di affidarvi a
Lui, di annunciarlo con la vostra vita in
famiglia e in ogni ambiente. E’ questo che
gli uomini anche oggi attendono dalla
Chiesa e dai cristiani”.
Ci sembra importante, all’inizio del
nuovo anno, sottolineare le parole che il
papa ha rivolto ai fedeli del Lazio nella
basilica di S. Pietro mercoledì 6 dicembre
2006; i pellegrini delle diocesi di Roma e
della regione si erano ritrovati all’udienza
generale, accompagnati dal card. Ruini e
dai 20 vescovi laziali, in occasione della
visita “ad limina”, cioè al vicario di Pietro,
che essi stavano compiendo proprio in quei
giorni.
Le “dritte” che papa Benedetto ha
suggerito a tutti noi in quel breve saluto
sono tre:
Approfondire la propria vita di fede
secondo gli orientamenti di Verona;
Evangelizzare per rinnovare l’impegno dei cattolici nella società;
Annunciare con la nostra vita Cristo
salvatore, perché questo vogliono gli uomini.
Dunque nel breve saluto del papa ai
cristiani del Lazio è chiaramente indicato
cosa dobbiamo fare e come dobbiamo farlo.
E già il nostro Convegno diocesano di
novembre si è fatto interprete di quelle sollecitazioni, scegliendo come traccia per il
nuovo anno pastorale l’approfondimento
della conoscenza della Parola, mediante la
rilettura del documento conciliare “Dei
Verbum”: che è, appunto, evangelizzarsi
per evangelizzare.
Sembra evidente che, in questo campo, avremo tutti moltissimo da fare.
Abbiamo però la possibilità di farlo utilizzando al meglio la nostra sensibilità e la
nostra fantasia. Diamoci dunque da fare,
senza paure, e buon lavoro a tutti!
La Redazione
(…) "Con il tema 'Dio' è connesso il tema sociale: la nostra responsabilità reciproca, la
nostra responsabilità per la supremazia della giustizia e dell'amore nel mondo. (…)
L'amore del prossimo, che in primo luogo è
sollecitudine per la giustizia, è la pietra di paragone per la fede e per l'amore di Dio. (…)
Il fatto sociale e il Vangelo sono inscindibili
tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto
conoscenze, abilità, capacità tecniche e
strumenti, là portiamo troppo poco. Allora sopravvengono ben presto i meccanismi della violenza, e la capacità di distruggere e di uccidere diventa la capacità prevalente per raggiungere il potere - un potere che una volta
o l'altra dovrebbe portare il diritto, ma che non
ne sarà mai capace. In questo modo ci si allontana sempre di più dalla riconciliazione, dall'impegno comune per la giustizia e l'amore.
(…).
Le popolazioni dell'Africa e
dell'Asia ammirano le nostre
prestazioni tecniche e la
nostra scienza, ma al
contempo si
spaventano
di fronte a
un tipo di ragione che
esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da imporre anche alle loro culture. La vera
minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di
Dio e nel cinismo che considera il dileggio del
sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità
a supremo criterio morale per i futuri successi
della ricerca. (…)
La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno
comprende il timore di Dio - il rispetto di ciò
che per altri è cosa sacra. (…) Questo senso di rispetto può
essere rigenerato
Sintesi a cura di
nel mondo occidentale soltanto se Stanislao Fioramonti
cresce di nuovo la
fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per
noi e in noi.
Questa fede non la imponiamo a nessuno. Un
simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto
nella libertà. Facciamo però appello alla libertà degli uomini di aprirsi a Dio, di cercarlo, di
prestargli ascolto. (…)
Non veniamo meno al rispetto di altre religioni
e culture, al profondo rispetto per la loro fede,
se confessiamo ad alta voce e senza mezzi
termini quel Dio che alla violenza oppone la
sua sofferenza; che di fronte al male e al suo
potere innalza, come limite e superamento,
la sua misericordia…".
Chie - 5
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La riscoperta del sacerdozio comune costituisce
uno dei guadagni più significativi del concilio Vaticano
II. I testi del Nuovo Testamento richiamati al n.
10 della Lumen Gentium ci hanno descritto non
di una funzione ministeriale, ma una condizione
di vita, che consiste in ultima analisi nell’offrire
se stessi e tutta la propria vita in unione all’offerta
di sé che Cristo ha compiuto una volta per tutte
nel mistero pasquale.
Ma come avviene, come si esercita il sacerdozio comune di tutti i fedeli? Dalla correlazione necessaria tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale già si poteva evincere che l’offerta di sé compiuta dai fedeli avviene e si manifesta in modo pieno nella celebrazione eucaristica. Come a dire che la partecipazione al sacerdozio
di Cristo, che il concilio indica in tre dimensioni
– profetica, sacerdotale e regale – si manifesta e
si compie nella dimensione sacerdotale, in particolare nella celebrazione eucaristica. È qui che il
popolo di Dio – bisogna sempre ricordare che il
sacerdozio comune è azione di un popolo, di un
corpo di cui siamo membra – offre al Padre la vittima perfetta, Cristo, e in unione con Lui offre non
soltanto le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze dei presenti, ma di
tutta la Chiesa e dell’intera
di don Dario Vitali
creazione.
Si capisce allora
Parroco e Teologo
perché il n. 11 descriva anzitutto la «comunità sacerdotale», e faccia derivare la sua «indole sacra e organicamente strutturata… sia dai sacramenti che dalle virtù». Chi conosce il modo di concepire la Chiesa prima del concilio, quando in evidenza venivano posti gli elementi istituzionali, radicalizzando la distanza tra clero e fedeli, potrà capire la forza della novità proposta dal concilio. Purtroppo,
i commentatori si fermano poco su questo capovolgimento di prospettiva, peraltro limitandosi a
sviluppare l’aspetto sacramentale – anche perché
il testo è costruito sulla sequenza dei sette sacramenti – senza sottolineare quello delle virtù. Eppure,
in ogni passaggio i sue aspetti sono sempre coimplicati. Si legga, ad esempio, la parte di testo
che si riferisce ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana: «I fedeli, incorporati nella Chiesa con il
battesimo, sono deputati al culto della religione
cristiana dal carattere e, essendo rigenerati per
essere figli di Dio, sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la
Chiesa. Con il sacramento della confermazione
vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa,
sono arricchiti di una speciale forza dello Spirito
santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con
l’opera la fede come veri testimoni di Cristo.
Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vit-
tima divina e se stessi con essa; così tutti, sia con
l’oblazione che con la santa comunione, compiono
la propria parte nell’azione liturgica, non però
indistintamente, ma chi in un modo e chi in un
altro. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella santa assemblea, mostrano concretamente l’unità del
popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è felicemente espressa e mirabilmente prodotta».
La dimensione sacramentale è subito identificabile; meno quella relativa alle virtù. Anche perché il testo non spiega di cosa si tratti. Ma già in
LG 8, la costituzione aveva introdotto una descrizione impegnativa della Chiesa in analogia al mistero del Verbo incarnato con una formula ardita: la
Chiesa è comunità di fede, speranza e carità. Sono,
queste, le virtù teologali. La tradizione teologica
– soprattutto quella che fa capo a san Tommaso
d’Aquino, ravvisava in esse il principio della vita
cristiana, in quanto innalzano l’uomo alla capacità – superiore alle forze umane – di credere, sperare e amare Dio e tutte le cose in Dio.
Per capire come la comunità sacerdotale venga edificata mediante le virtù, basta pensare agli
effetti del battesimo: il sacramento della rigenerazione, nel momento in cui innesta il credente nella vita in Cristo, lo concorpora – espressione felice della teologia medioevale – nella Chiesa, come
una delle membra del corpo di Cristo, di cui Cristo
è la testa. Come a dire che per il cristiano non esiste un prima della relazione personale con Cristo,
e un poi della vita ecclesiale: i due momenti sono
dati sempre insieme, come aspetti necessari dell’unico evento della salvezza in Cristo.
Ma dire corpo di Cristo è dire Chiesa nel senso più profondo del termine, come unità dei credenti che scaturisce non da una decisione propria,
ma dall’azione dello Spirito che unifica e edifica
i credenti nell’unità con Cristo e tra di loro: unità che non è di ordine sociologico – la somma di
quanti appartengono alla Chiesa – ma sacramentale, dal momento che i battezzati sono «realmente»
le membra di questo corpo. Ancora una volta si
può richiamare qui san Tommaso, quando spiegava la vita della Chiesa in forza della gratia capitis. Con questa espressione egli indicava il
Cristo-capo, il Signore glorificato alla destra del
Padre che con la sua potenza – manifestata dall’effusione dello Spirito santo – unisce a sé e compagina come membra del suo corpo i battezzati.
È lo Spirito, infatti, che vivifica il corpo, nel quale la diversità dei doni, delle vocazioni, dei carismi e ministeri non è annullata ma composta in
unità. La lettera agli Efesini afferma che è Cristo,
mediante il sono del suo Spirito, che «ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri
come evangelisti, altri come pastori e maestri, per
rendere idonei i fratelli a compiere il ministero,
al fine di edificare il corpo di Cristo, affinché arri-
viamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto,
nella misura che conviene alla piena maturità di
Cristo» (Ef 4,11-13).
Una prospettiva del genere sottrae la vita cristiana a una concezione individualistica, che rende la fede un fatto privato e la svuota della sua
capacità testimoniale. D’altronde, la fede, la speranza e la carità sono prima di tutti dono di Dio
alla Chiesa e quindi doni della Chiesa. Ognuno
che venga alla fede è battezzato, copme dice la
liturgia, nella fede della Chiesa, che preesiste e
rende possibile la fede del singolo. Così la carità, che è la regola suprema della Chiesa, al punto che molti Padri usavato il termine agape/charitas come sinonimo di Chiesa.
Il che significa che ciascun credente possiede la fede, la speranza e la carità in quanto innestato nella Chiesa dal battesimo, e matura in queste virtù a condizione della vita nella Chiesa, che
costituisce il contesto, l’ambiente per la sussistenza
e la crescita della vita in Cristo.
La forza di questa concezione emerge nella descrizione dei due sacramenti della guarigione.
Descrivendo la penitenza, il concilio afferma: «Quanti
si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono per le
offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la
Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita con il
peccato e che coopera alla loro conversione con
la carità, con l’esempio e la preghiera». E in merito all’unzione degli infermi, dopo aver precisato
che la Chiesa sostiene i malati, li esorta «a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo,
per contribuire così al bene del popolo di Dio».
Dei ministri ordinati si dice – con una formula
densa – che «sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa con la parola e con la grazia di Dio».
Degli sposi, invece, si dice che hanno, «nel loro
stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono in
seno al Popolo di Dio», in quanto da loro procede la famiglia, “chiesa domestica”, dentro la quale sono i primi annunciatori della fede con la parola e con l’esempio, chiamati a far crescere la vocazione di ognuno. La conclusione è eloquente: «Muniti
tanti e così mirabili mezzi di salvezza, tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore,
ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste». In questo
modo, nella santità di ogni battezzato risplende
la santità della Chiesa, la quale – correlativamente
– si adorna della santità dei suoi figli e compare
davanti al suo sposo «tutta bella, senza macchia
né ruga o alcunché di simile, ma tutta santa e immacolata» (Ef 5,27). Si capisce, allora, perché Bruno
di Segni, nel libri II delle Sentenze, parlasse della fede, della speranza, della carità e di tutte le virtù come degli ornamenti – meglio sarebbe dire i
gioielli – della Chiesa.
6 Chiesa&D
Gennaio
2007
San Pier Damiani: un testimone
di Cristo che ci interroga ancora
Il 9-10 novembre del 2000, l’Istituto di Scienze
Religiose di Velletri organizzò presso il Teatro
Aurora un convegno di studi su san Pier Damiani.
L’intenzione che sosteneva quelle giornate di
studio era di potersi specchiare nella testimonianza
di uno dei nostri padri – che sia stato o meno
cardinale vescovo di Velletri o soltanto incaricato del papa a riformare il clero della nostra
diocesi, poco cambia nell’alto profilo del
grande santo – per ricevere ispirazione e insegnamento all’inizio del nuovo Millennio dell’erta
cristiana.
Le relazioni sulla vita e sul pensiero di questo monaco, divenuto uno dei protagonisti della Riforma della Chiesa che andrà sotto il nome
di «Riforma gregoriana», hanno avuto più risonanza fuori dalla diocesi che in casa nostra,
a dimostrazione che «nemo propheta in
patria»: il volume, pubblicato in una collana di
Storia e cultura religiosa mediovale sotto il titolo Pier Damiani († 1072). Figura, aspetti dottrinali e memoria nella diocesi di Velletri, Venafro
2003, è stato segnalato dagli organizzatori del
convegno di studi che si terrà nel settembre
2007 a Faenza, in occasione del millenario della nascita del santo (1006-2006).
Di quel volume, vorrei ripresentare alcuni passaggi della relazione da me tenuta in quell’occasione sugli aspetti dottrinali delle opere
di san Pier Damiani, nella speranza che sia
di stimolo ad accostare l’opera di un autore,
le cui opere sono raccolte in due volumi della Patrologia Latina (voll. 144-145), ora tradotti
in parte anche in italiano per i tipi della Città
Nuova.
«Non è agevole raccogliere in sintesi la
teologia di San Pier Damiani (1007-1072). Sia
perché i riferimenti e le implicazioni dottrinali
dei suoi scritti sono vastissime e in contesti i
più disparati; sia perché tali implicazioni hanno diversi punti di vista, almeno quante sono
le ragioni per cui egli scrive. Non si tratta, naturalmente, di indicazioni e di prospettive contraddittorie – il pensiero di Pier
Damiani risponde a un’unità interna di grande spessore –, ma composite e difficilmente
riducibili a sistema. Tentare una sintesi rischierebbe di costringere i tanti passaggi dottrinali, sparsi nelle opere, in uno schema estraneo
alle intenzioni e alle prospettive di un autore
che scrive soprattutto testi di occasione,
legati alla sua esperienza di uomo di Chiesa,
impegnato nel rinnovamento della vita monastica prima, e poi della Chiesa, a fianco di grandi uomini che hanno perseguito e attuato la cosiddetta ‘riforma gregoriana’.
D’altra parte, bisogna chiedersi se il titolo di teologo competa a questo santo eremita, senza per questo disconoscere la forza del
suo pensiero e delle sue intuizioni. […]
Piuttosto, la sua originalità si avverte quando
coniuga la dottrina con la vita, applicando la
teologia alla prassi ecclesiale: qui rivela la sua
capacità di sintesi, con una proposta teologica che diventa la ritraduzione riflessa di una
esperienza di vita tutta plasmata dall’ideale monastico. Tutto questo in linea con l’intenzione di
servire la verità scrivendo per l’utilità di chi legge: ma tale utilità coincide con la santità della vita cristiana, sempre e continuamente riproposta da Pier Damiani. Se di teologo si può
parlare, questo va fatto in linea con quella ‘teologia monastica’ che, partendo dalla lettura della ‘sacra pagina’, deduce le implicazioni e le
applicazioni teologiche secondo il metodo della lectio divina…
Lo schema interpretativo che guida tutta
la sua riflessione e che raccorda in unità organica le diverse opere è quello della storia come
historia salutis. Creazione, preparazione veterotestamentaria, incarnazione del Verbo, tempo della Chiesa sono le tappe successive dell’unica storia, guidata da Dio. Dio continua a
operare nella storia, a guidarla secondo un progetto, che stabilisce in unità le varie epoche,
dalla creazione del mondo al compimento finale. Il cristiano (cioè, il monaco) è chiamato a
sviluppare questa comprensione della storia,
nella quale ciò che è già avvenuto, si ripete
(se è Dio che opera) o va ripetuto (se è l’uomo che deve entrare in una comprensione delle cose secondo la volontà di Dio): e la porta
d’ingresso a tale comprensione, che rende possibile il reiterarsi della historia salutis, è la lettura spirituale della Bibbia.
Al centro di questa storia sta, naturalmente,
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il quale porta a compimento questa storia nella parousia, ma che
appare già in filigrana nelle figure dell’Antico
Testamento. Come per i Padri della Chiesa,
anche per Pier Damiani è cosa ovvia l’unità
dei due Testamenti, dove tutto porta a Cristo
e tutto parla di Cristo. Novità del suo pensiero è forse l’affermazione che Dio continua a
far risplendere il misteri di Cristo nella vita dei
santi , quasi fossero un prolungamento dell’umanità
di Cristo, o comunque, la manifestazione di una
ulteriore tappa della historia salutis.
All’interno di questo quadro possente, assume un rilievo tutto particolare la Chiesa. Per
certi aspetti, si potrebbe dire che in Pier Damiani
tutto è ecclesiologia. Quando scrive le lettere
a papi, vescovi, monaci, preti, laici, il suo pensiero è sempre rivolto alla purezza della vita
cristiana, collocata nel seno di una Chiesa che
deve risplendere come la Chiesa delle origini. La santità dei cristiani, in tutte le vocazioni, è espressione della santità della Chiesa, e
viceversa.
Per capire questa prospettiva, bastano i
suggerimenti di J. Leclerc: “La santa Chiesa
è per Pier Damiani l’opera di Dio: essa trascende
la debolezza degli uomini in mezzo ai quali si
compie. ‘E’ un giardino di delizie, un paradiso spirituale, irrigato dall’onda dei carismi celesti’. I preti sono dei canali e niente altro: anche
se cattivi, lasciano scorrere l’acqua; la fonte rima- di don Dario Vitali
ne sempre pura. Per le
mani del vescovo, fos- Parroco e teologo
se anche simoniaco, è
Gesù che conferisce l’ordinazione; la parola
di Dio resta sempre vera anche se è predicata
da una bocca indegna: la grazia la fa fruttificare in coloro che la ricevono. In essa si continua la storia sacra cominciata con l’Antico
Testamento; in essa si perpetuano i miracoli
che resero testimonianza al patto tra il Signore
e il suo popolo eletto, per l’eternità. Il paradiso sarà il compimento di questa grande opera di salvezza che ha avuto inizio sulla terra.
‘La Chiesa attuale è il vestibolo della Chiesa
celeste’; essa è di ordine escatologico. La gerarchia visibile della Chiesa ha come scopo di garantire agli uomini la vera comunicazione di tutto questo mistero. Poiché si tratta di un mistero di unità, la struttura della Chiesa deve manifestarlo”.
Su questo sfondo si capiscono le tante
definizioni della Chiesa, che Pier Damiani riprende dalla Scrittura e dalla tradizione patristica:
Sponsa Christi, sacrarium Spiritus Sancti, dei
cui doni è tutta piena, Christi vestis, corpus Christi
; scaturita dal costato di Cristo come Eva dal
costato di Adamo.
Per la bellezza di questa sposa Pier Damiani
ha giocato la sua vita e si è lasciato sottrarre
alla vita monastica. Accoglierela sua testimonianza di vita e conoscerne le motivazioni attraverso il pensiero può sospingere a intuire e prospettare nuove vie per il rinnovamento della
vita cristiana, tanto a livello ecclesiale che personale.
Chiesa&D 7
Gennaio
2007
Nel canto XXI del Paradiso, Dante
Alighieri immagina di incontrare,
nel cielo di Saturno, uno spirito con
il quale si ferma a parlare della predestinazione e dell’imperscrutabilità dei disegni divini. Questi, poi,
si rivela essere Pier Damiani; del quale, in circa 20 versi (106-126), il sommo poeta traccia un rapido ma pregno ritratto biografico, sottolineandone particolarmente la volontà di riforma e il suo amore per la
povertà. La citazione dantesca sta
a dimostrare la fama di Pier
Damiani nel panorama italiano.
Pietro inizia la sua esistenza terrena a Ravenna, nel 1007. Rimasto orfano del padre in tenera età, viene mandato a studiare a Faenza e a Parma
dal fratello maggiore Damiano,
arciprete di Ravenna.
La tradizione1 vuole che, in riconoscenza per quanto ricevuto dal fratello, abbia cambiato il suo nome in
Petrus Damiani, Pietro di Damiano,
nome con il quale è ormai universalmente noto.
I suoi studi gli fornirono una istruzione letteraria e canodi Francesco Cipollini nistica eccezionale per
l’epoca. Ma il conseguente esercizio delDocente di religione
e storico della Chiesa l’avvocatura non lo
rendeva soddisfatto.Nel
1034/1035 entra fra gli eremiti dell’ordine camaldolese nel monastero di Fonte Avellana, sul monte Carnia,
dove i monaci vivevano in capanne
isolate, dedicandosi alla preghiera
e alla contemplazione, non disgiunte anche da attività pratiche seguendo l’ideale di san Romualdo: ciò finalmente riempiva il cuore di Pier Damiani
che poteva così trovare la sua realizzazione nella vita eremitica.
Di fronte alla scelta tra “la più comoda vita claustrale”2 e “lo stretto sentiero della perfezione ascetica”3, egli
sceglie quest’ultima come forma di
rinuncia al mondo, come mezzo più
adatto a combattere le tentazioni terrene.
NOTE
1 Un’ottimo status quaestionis è riportato nella voce Pier Damiani di G.
MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, LIII, Venezia
1851, 6-9.
2 A. DUÉ, San Pier Damiani, in I santi nella storia, II, Cinisello Balsamo
2006, 111
3 Ibidem.
4 Accesso a cariche e compiti
Pier Damiani:
appunti
per una biografia
La situazione della
Chiesa, in particolare
del clero, in quegli
anni non era delle più
rosee: la simonia4 e il
nicolaismo5 dilaniavano il corpo ecclesiale. Il monachesimo
cenobitico, tuttavia,
viveva una stagione splendida: erano gli anni del fulgore dell’abbazia
benedettina di Cluny.
Amante della povertà (anche Dante
nel già citato canto XXI del Paradiso
gli mette in bocca una invettiva contro la ricchezza e il lusso del clero!),
il solitario di Fonte Avellana la considera mezzo di santificazione,
accanto alle pratiche di ascetismo.
Gli eremiti devono essere poveri, ma
possono utilizzare i beni materiali
per l’arricchimento della casa del
Signore e per aiutare i poveri.
Pier Damiani, divenuto priore della comunità nel 1043, si adopera perché sia preservata l’integrità degli
spazi del monastero di Camaldoli al
fine di consentire un migliore isolamento, così essenziale per la fuga
mundi. Somme considerevoli vengono
spese per i libri: Pier Damiani ritiene necessario che i suoi eremiti si accostino al “nutrimento” che viene dalla parola dei grandi autori.
L’esperienza di Pier Damiani è
tutta tesa fra due opposte realtà: da
una parte il disprezzo dei beni temporali, dall’altra la salvaguardia e
la cura degli stessi come mezzi per
la crescita spirituale. Ascesi e contemplazione si coniugano con organizzazione, proselitismo e, soprattutto, predicazione infiammata di
denuncia dei mali che affliggono la
chiesa.
Il suo anelito di riforma non è fondato soltanto sulla teoria e limitato alle mura del suo eremo: egli viaggia per tutta l’Italia, visita i monasteri, incontra i vescovi, i sacerdoti e i monaci. Lo notano anche i papi
che lo inviano spesso come loro lega-
ecclesiastici dietro pagamento di somme in denaro o beni.
5 Mancato rispetto dell’obbligo del
celibato da parte di ecclesiastici.
6 Il Moroni vuole teatro dello scontro la città di Civitella o Civitade.
Si veda G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, XXXVIII,
Venezia 1846, 30.
7 Collecto igitur modico quidem, sed
fortium militum suae gentis exercitu, super Northmannos praeliaturus
to in diverse delicate missioni.
Il 18 giugno 1053 il papa Leone IX,
a capo di un esercito italo-imperiale,
si scontra6 con i Normanni che lo
sconfiggono. Il papa viene fatto prigioniero. Bruno di Segni7 e Pier
Damiani8 si chiedono perplessi se
il posto del papa è a capo di un esercito!
Nel 1057 Stefano IX, che era stato
abate di Montecassino e aveva avuto modo di conoscerlo a fondo, lo nomina cardinale e, nonostante le sue reticenze, lo costringe ad accettare il governo della diocesi di Ostia. Il rimpianto
per aver lasciato la vita eremitica lo
accompagnerà per tutta la sua esistenza.
Alla morte di Stefano IX (29 marzo 1058) Pier Damiani si rifiuta di
consacrare papa il vescovo di
Velletri, Giovanni Mincio, che,
attraverso sotterfugi e promesse, era
riuscito a farsi eleggere dalla nobiltà romana al soglio pontificio con
il nome di Benedetto X e che verrà
condannato nel sinodo di Sutri9 (gennaio 1059).
Niccolò II viene eletto al posto dello scomunicato Benedetto X. Sarà
questi ad inviare Pier Damiani e
Anselmo di Lucca a Milano per risolvere il problema della Pataria di
Arialdo, movimento che propugnava una riforma morale e disciplinare e l’instaurazione di una Chiesa
più fedele al modello evangelico. Il
loro intervento sarà risolutivo nell’ottenere dal vescovo di Milano, Guido,
un atteggiamento più conforme ai
dettami evangelici.
vadit; zelum quidem Dei habens, sed
non fortasse secundum scientiam.
Utinam non ipse per se illuc ivisset.
Si veda BRUNO DI SEGNI, S. Leonis
papae vita auctore s. Brunone, (PL
165, 1116B).
8 Plane quis non videat quam sit inhonesta confusio, ut quod agendum
Ecclesia denegat, impudenter ipsa
committat et cum aliis praedicet patientiam, infoederabilem ipsa contra innocentes accendatur in iram? […]
(fine prima parte)
Si ergo pro fide, qua universalis vivit
Ecclesia, nusquam ferrea corripi arma
conceditur, quomodo pro terrenis ac
transitoriis Ecclesiae facultatibus loricatae acies in gladios debacchantur?. Si veda PIER DAMIANI, Epistula
IX. Ad Oldericum episcopum firmanum,
(PL 144, 315B-316A).
9 A. FLICHE, La riforma Gregoriana
e la riconquista cristiana, in A. FLICHEV. MARTIN, Storia della Chiesa, VIII,
Torino 19722, 25.
8 Chiesa
Gennaio
2007
Nel culto cristiano la Domenica, il Giorno
del Signore, occupa un posto centrale e fondamentale. Il modo in cui il Giorno del Signore
è compreso, accolto e vissuto, è un buon indicatore dello stato di salute di una comunità cristiana. E non mancano nel mondo d’oggi sfide all’osservanza del Giorno del Signore.
Come possiamo mettere insieme in poche
parole un’articolazione della profondità e
della bellezza del Giorno del Signore? Delle
sue dimensioni, come Giorno di Cristo, Giorno
della Chiesa e Giorno dell’Uomo? In particolare, la celebrazione eucaristica domenicale è vista come una ricchezza? Esistono
sfide e sviluppi importanti nel mondo odierno che minacciano questo gioiello che è il
Giorno del Signore ed è importante elencarne alcuni. A1 tempo stesso, non vanno
però passate sotto silenzio le buone notizie
relative alla puntuale osservanza della
Domenica in non pochi luoghi. Concluderemo
con proposte e suggerimenti su cosa si potrà
fare per promuovere una migliore osservanza
del Giorno del Signore.
1. La Domenica, Giorno del Signore
Tutto il tempo, tutta la storia, appartengono a Dio. Ogni istante della nostra esistenza
appartiene al Creatore e dovrebbe essere speso nell’adorazione e nella lode di Lui.
Tuttavia, è pure un dato di fatto che Dio ha
distinto un giorno in cui l’umanità rivolgesse
a Lui una particolare attenzione. «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gn
2, 3). Il terzo comandamento del Decalogo
è molto chiaro: «Ricordati del giorno di Sabato
per santificarlo: sei giorni faticherai e farai
ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il
Sabato in onore del Signore, tuo Dio; tu non
farai alcun lavoro in quel giorno...» (Es 20,
8-10).
Il Giorno del Signore è, quindi, non soltanto
un giorno di riposo per l’uomo, un giorno
di interruzione del suo lavoro quotidiano,
ma è anzitutto e al di sopra di tutto un giorno in cui l’uomo presta una speciale attenzione a Dio Creatore, un giorno in cui egli
fa memoria e celebra le meraviglie operate da Dio. «Cogliendo questo comandamento
(di santificare il Giorno del Signore) nell’orizzonte delle strutture fondamentali
dell’etica, - dice il Papa Giovanni Paolo II
- Israele e poi la Chiesa mostrano di non
considerarlo una semplice disposizione di
disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione qualificante e irrinunciabile del
rapporto con Dio annunciato e proposto dalla rivelazione biblica» (Dies Domini, n. 13).
Il Giorno del Signore è, dunque, un giorno speciale in cui l’uomo manifesta la propria riconoscenza per Dio, suo Creatore, esprime la propria adorazione, la propria lode e
il proprio ringraziamento, celebra e ammira le meraviglie operate e compiute da Dio.
2. La Domenica, giorno di Cristo Signore
La Domenica è per la Chiesa il giorno di
Cristo Signore, il primo giorno dopo il sabato, il giorno nel quale Gesù nostro Salvatore
è risorto dalla morte (cf. Mc 16, 2.9; Lc 24,
1; Gv 20, 1). Nello stesso giorno egli è apparso a due dei suoi discepoli lungo la strada
per Emmaus (cf. Lc 24, 1335) e agli undici Apostoli riuniti insieme nel cenacolo (cf.
Lc 24, 36; Gv 20, 19). Otto giorni dopo egli
apparve nuovamente agli Apostoli, con Tommaso
presente (cf. Gv 20,26), quasi a suggerirne un ritmo. Ed era di Domenica quando,
a Pentecoste, inviò lo Spirito Santo sugli Apostoli
riuniti con la Beata Vergine Maria e con alcuni discepoli (cf. Lc 24, 49; At 1,4-5).
La resurrezione di Cristo è l’evento fondamentale
su cui si poggia la fede cristiana (c£ 1 Cor
15, 14). Come il Papa Benedetto XVI ha
detto al IV Convegno Nazionale della Chiesa
Italiana a Verona, il 19 Ottobre 2006, «La
risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta
di un grande mistero, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l’anticipazione e il pegno
della nostra speranza» (cf. L’Osservatore
Romano, 20 ottobre 2006, p. 6). La Pasqua
è, dunque, il giorno più grande nella celebrazione dei misteri di Cristo nella Chiesa.
E la Domenica è il giorno, lo spazio, il cuore della vita della Chiesa nel quale si commemora settimanalmente la Pasqua del Signore.
Per i cristiani, pertanto, la Domenica è la
festa primordiale e fondamentale la cui originalità è data dalla celebrazione del mistero della salvezza, attuato dalla passione, morte e risurrezione del Signore.
Il Concilio Vaticano II riunisce insieme tutti questi aspetti nella Sacrosanctum
Concilium, al n. 106, considerato il grande manifesto della Domenica cristiana: «Secondo
la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della Risurrezione di
Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale
ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del Signore” o “domenica”. In questo giorno, infatti, i fedeli devono riunirsi per ascoltare la parola di Dio e
partecipare all’Eucaristia, e così far memoria della Passione, della Risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie
a Dio che li “ha rigenerati per una speranza viva mediante la Risurrezione di Gesù
Cristo dai morti” (1 Pt 1,3). Per questo la
domenica è la festa primordiale che deve
essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia
e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun’altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è
il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico».
Non sorprende, dunque, che fin dai primordi
della Chiesa i seguaci di Cristo hanno dato
grande importanza all’osservanza del
Giorno del Signore. I fedeli di Troade si riunivano «per spezzare il pane» il primo giorno della settimana (cf. At 20, 7-12). Il libro
dell’Apocalisse chiama questo primo giorno della settimana “il Giorno del Signore”
(Ap 1, 10). San Giustino scrive che i cristiani si riunivano insieme “nel giorno detto del sole” (Apologia I, 67: PG 6, col. 430).
Per i cristiani Cristo è il sole che sorge venuto a visitarci. Egli è la luce del mondo (cf.
Gv 1, 4.59; 9, 5), egli è il «sole che sorge
per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1, 78-79),
egli è la «luce per illuminare le genti» (Lc
2, 32), per cui «il giorno commemorativo
della sua risurrezione è il riflesso perenne,
nella scansione settimanale del tempo, di
questa epifania della sua gloria» (Dies Domini,
n. 27). Significativo è il fatto che i paesi anglofoni e quelli del nord Europa utilizzano per
designare questo giorno l’antica denominazione
di giorno del sole (Sunday-Sonntag).
Esistevano, dunque, molte buone ragioni per
la Chiesa delle origini per spostare il prin-
Chie - 9
Gennaio
2007
cipale giorno liturgico della settimana dal
Sabato alla Domenica, Giorno del Signore.
Come il Papa Benedetto XVI ha detto nel
suo discorso al clero di Aosta il 25 Luglio
2005: «Si è creata la domenica perché il Signore è risorto ed è entrato
nella comunità degli apostoli per essere con loro. E così hanno anche capito che non è più il Sabato il giorno
liturgico, ma la Domenica nella quale sempre di nuovo il Signore vuole essere corporalmente con noi e nutrirci del suo Corpo, perché diventiamo
noi stessi il suo corpo nel mondo»
(cf. L’Osservatore Romano, 27
luglio 2005, p. 4).
3. La Domenica è anche il giorno
della Chiesa
Sin dall’origine la Domenica è
caratterizzata dal raduno della comunità dei fedeli. Il pagano Plinio non
trovava altra definizione per descrivere i cristiani se non quella di definirli come coloro
La lettera
che sono soliti
riunirsi insieme con gli auguri
prima dell’alba del Cardinale
Arinze
per cantare a Cristo
e prendere cibo
insieme (Epistola, 10, 97).
Dal momento che i cristiani celebrano
i misteri di Cristo in modo speciale nel Giorno del Signore, la
Domenica assume anche il titolo di
Giorno della Chiesa. I fedeli di Cristo
si recano insieme come comunità visibile per celebrare il memoriale della nostra redenzione. Quando il Vescovo
diocesano nella sua chiesa cattedrale
concelebra la Messa domenicale con
il suo clero, con l’assistenza dei diaconi e
degli altri ministri; e con la partecipazione
del popolo, «si ha una speciale manifestazione della Chiesa» (cf. Sacrosanctum Concilium,
n. 41). I sacerdoti che celebrano l’Eucaristia
nelle chiese parrocchiali e nelle missioni agiscono, così, al posto del loro Vescovo e in
comunione con lui. Nella Preghiera
Eucaristica di ogni Messa sono menzionati per nome il Papa e il Vescovo diocesano
per manifestare questa comunione ecclesiale.
È vero che le singole persone possono pregare nelle loro case. Anzi, ciò è necessario.
Ma non è sufficiente, «non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente e
ricordino interiormente, nel segreto del cuore, la morte e la risurrezione di Cristo. Quanti,
infatti, hanno ricevuto la grazia del battesimo, non sono stati salvati solo a titolo individuale, ma come membra del Corpo
mistico, entrati a far parte del popolo di Dio»
(Dies Domini, n. 31). I cristiani devono assolutamente riunirsi, almeno nel Giorno del
Signore, per adorare Dio come Ekklesìa, come
comunità riunita dal Signore risorto, per rendergli lode, ringraziarlo, chiedergli perdono dei peccati, rivolgergli suppliche per i
bisogni spirituali e materiali ed essere nutriti alla duplice mensa della Parola di Dio e
del Corpo e Sangue del Signore. Per questa ragione, come dice il Papa Giovanni Paolo
II, «di domenica, giorno dell’assemblea, le
Messe dei piccoli gruppi non sono da incoraggiare» (Dies Domini, n. 36).
Ogni cristiano ha il dovere di testimoniare
al mondo con la propria vita cosa è la Chiesa,
e ciò avviene fondamentalmente di Domenica:
convocato dal Signore a radunarsi con i fratelli per nutrirsi del Pane di vita, il cristiano testimonia che “è corpo di Cristo”, membro del suo mistico corpo che è la Chiesa.
4. La celebrazione eucaristica, ricchezza
e cuore della Domenica
Per la comunità cristiana, la celebrazione
della Santa Eucaristia è il cuore del
Giorno del Signore. Ciò rappresenta una ricchezza che è particolarmente apprezzata. Il Concilio
Vaticano II la definisce: «fonte e
culmine dell’intera vita cristiana»
(Lumen Gentium, n. 11). L’unica
cosa che la Chiesa ha di equivalente alla Messa è un’altra Messa!
La Chiesa non possiede altra ricchezza: «nella santissima Eucaristia
è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo,
nostra pasqua e pane vivo»
(Presbyterorum Ordinis, n. 5).
È di cruciale importanza che tutti i membri della Chiesa apprezzino sempre più il tesoro che Cristo
ha riposto nelle mani della sua Sposa,
la Chiesa, offrendo se stesso in questo straordinario sacrificio e sacramento.
«Dalla liturgia - dice il Concilio
Vaticano II - e particolarmente
dall’Eucaristia, deriva in noi,
come da sorgente, la grazia, e si
ottiene con la massima efficacia
quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione
di Dio, alla quale tendono, come
a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (Sacrosanctum Concilium,
n. 10).
Quanto più il popolo è convinto
di questa ricchezza tanto più
esso avvertirà il bisogno della Messa
domenicale, prima ancora di avvertire la
partecipazione come un precetto del diritto della Chiesa.
(prosegue sul prossimo numero)
10 Caritas
Gennaio
2007
Una Chiesa che ama: l’enciclica
di Benedetto XVI “Deus Caritas est”
Attraverso questo articolo non si
vuole fare la presentazione dettagliata della prima enciclica di
Benedetto XVI “Deus Caritas est”,
firmata il 25 dicembre 2005 e pubblicata il 25 gennaio 2006, ma individuare alcune ‘provocazioni’per il cammino delle nostre Chiese
e dentro di esse della Caritas diocesana e parrocchiale.
Il tema dell’amore è centrale in questa prima
lettera di Papa Ratzinger, per tanti anni custode
rigoroso e fedele dell’ortodossia della fede.
“Siccome Dio ci ha amati per primo l’amore adesso non è solo un ‘comandamento’, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene
incontro. In questo mondo in cui al nome di Dio
viene a volte collegata la vendetta o perfino il
dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto”(DCE,1).
Un’enciclica definita dal Card. Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace, nella conferenza di presentazione, “programmatica nel senso più alto e impegnativo che
si deve attribuire” a quel termine e che invita “tutti i cristiani e le Chiese ad andare al centro della fede cristiana; all’inizio dell’essere cristiano
non c’è una decisione etica, ma l’incontro con
una persona che dà alla vita una decisione positiva”. Il Papa si rende conto che la parola ‘amore’ è abusata, sciupata e quasi si ha paura ad utilizzarla. Occorre però riprenderla, purificarla, riportarla al suo splendore originario perché possa illuminare la via dei cristiani. Si tratta di un testo
breve, diviso in due parti (la prima ha come titolo: L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza; la seconda: Caritas, l’esercizio dell’amore da parte della chiesa quale ‘comunità d’amore’) e distribuito in 42 paragrafi, che
ci offre una visione dell’amore per il prossimo
e del compito ecclesiale di operare per la carità
che trova le sue radici nell’essenza di Dio stesso che è Amore. Il Pontefice desidera invitare a
vivere l’amore e in questo modo fa “entrare la
luce di Dio nel mondo” (DCE,39) perché attraverso l’amore Dio, con la sua luce, si rende presente tra gli uomini. La carità è essenziale alla
missione della Chiesa.
In quale direzione l’enciclica ‘spinge’ le Chiese
a lavorare perché diventino comunità d’amore?
Che cosa deve fare dentro di esse la Caritas?
Sottolineo alcuni contenuti traducendoli in scelte da realizzare:
1. Il Papa, lo si è detto, insiste nella prima parte della lettera, sulla necessità di una purificazione del linguaggio e fa un’ampia erudita analisi del termine amore, come ‘eros’ e come ‘aga-
“Tutta la Chiesa
è responsabile
della carità, per cui essa
non può essere delegata
ad un ufficio pastorale
(la Caritas)”
pe’, recuperando il valore dell’eros nel piano originario di Dio Creatore. Ed afferma che l’eros è
inseparabile dall’agape, e da esso deve lasciarsi permeare, fino a diventare un amore ‘ablativo’, gratuito. Anche nelle nostre parrocchie è necessario richiamare e documentare che la carità è
amore, perché spesso nella prassi ecclesiale essa
è decaduta a livello di assistenza e di un fare da
‘Croce rossa’(senza nulla togliere ai meriti di quest’ultima).
2. Un altro punto di riflessione è la chiarezza con
la quale Benedetto XVI dice che il compito specifico della Chiesa nella storia umana è il ‘servizio della carità’. Esso appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo; dunque le comunità ecclesiali non possono trascurarlo come non
si possono trascurare i Sacramenti e la Parola.
E’ un affermazione di estrema importanza, detta dal Papa che per tanti anni è stato il custode
della fede. E’ un punto molto stimolante su cui
riflettere. Tutta la chiesa è responsabile della carità, per cui essa non può essere delegata ad un
ufficio pastorale (la Caritas). L’enciclica dice cose
per la Chiesa, non si rivolge alla Caritas! Il compito di quest’ultima è quello di promuovere nell’ambito della carità (che è compito di tutta la
pastorale diocesana e parrocchiale) la scelta preferenziale dei poveri. I responsabili in prima linea
sono i Vescovi: il Papa al n. 32 dell’enciclica richiama il compito del vescovo come presidente della comunità di carità e qui parla dell’amministrazione
dei beni della chiesa.
3. Altro punto di riflessione è il rapporto tra giustizia e carità: un binomio a cui il Papa dedica
tre paragrafi della sua lettera (nn° 26-29).
Già Paolo VI (1972) nel suo primo discorso alla
nascente Caritas aveva posto il problema: “La
società moderna è più sensibile alle applicazioni
della giustizia che all’esercizio della carità. Non
per questo, tuttavia, l’azione caritativa della chiesa ha perduto la sua funzione nel mondo con“La Caritas deve
temporaneo. La carità è sempre necessaria, come
stimolo e come completamento della giustizia
essere riconoscente
stessa”.
E Benedetto XVI: “L’amore-caritas sarà sema Papa Benedetto
pre necessario, anche nella società più giusta.
Non c’è nessun ordinamento statale giusto che
per l’esplicito riferimento possa rendere superfluo il servizio dell’amore….
L’affermazione secondo la quale le strutture giue incoraggiamento
ste renderebbero superflue le opere di carità di
fatto nasconde una concezione materialistica
al volontariato”
dell’uomo; il pregiudizio secondo cui l’uomo
vivrebbe di ‘solo pane’(Mt 4,4), convinzione che
umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che più
specificamente umano” (DCE,28).
L’enciclica mette in risalto poi molto chiaramente
la relazione tra il necessario impegno per la giustizia e l’esercizio della carità e dentro di essa
il diverso compito dello stato e della chiesa. Dice
il Papa: “Il giusto ordine della società e dello
stato è compito della politica. Uno stato che non
fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad
una grande banda di ladri - cita S. Agostino”
(DCE,28).
Il servizio della carità è il compito della chiesa: “L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è innanzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è un compito per l’intera comunità ecclesiale a tutti i livelli. Tutta l’attività della chiesa è espressione di un amore che cerca il
bene integrale dell’uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la parola e i sacramenti…
e cerca la sua promozione nei vari ambiti della
vita e dell’attività umana. In questo punto politica e fede si toccano”. (DCE, 28).
Da tutto questo si ribadisce la linea di Paolo VI:
la giustizia è compito centrale della politica, nel
cui ambito devono agire i laici cattolici sotto la
propria responsabilità; ma non è compito della
chiesa, la quale non può mettersi al posto dello
stato, anche se la sua dottrina sociale deve contribuire alla formazione delle coscienze e alla percezione delle vere esigenze della giustizia. di don Cesare Chialastri
Compito della Chiesa è la formazio- Resp. Caritas diocesana
ne delle coscienze
nella politica. Essa dunque non può restare ai margini della giustizia. Ovviamente la Chiesa, in tutti i suoi rapporti interni ed esterni, deve ben applicare la giustizia. Paolo VI diceva che la giustizia è il primo gradino della carità e don L. Dilani
diceva che la giustizia senza la carità è monca,
ma la carità senza giustizia è falsa. Questa lunga riflessione fa rivedere la nostra agenda pastorale e le priorità che diamo alle nostre attività:
a livello locale non c’è una adeguata presa di
coscienza di questa funzione ecclesiale, mentre
a livello nazionale alcune volte si ha l’impressione di qualche entrata a gamba tesa.
4. Infine la Caritas deve essere riconoscente a Papa
Benedetto per l’esplicito riferimento e incoraggiamento ad una attività che, con alti e bassi, ha
sempre avuto a cuore e ha sempre coltivato: il
volontariato. “Un fenomeno importante del nostro
tempo è il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico di una
molteplicità di servizi. Vorrei qui indirizzare una
particolare parola di apprezzamento e di ringraziamento
a tutti coloro che partecipano in vario modo a
questa attività. Tale impegno diffuso costituisce
per i giovani una scuola di vita che educa alla
solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi”. (DCE,30).
Il papa conclude così: “…l’amore è possibile, e
noi siamo in grado di praticarlo perché creati
ad immagine di Dio. Ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica”. (DCE,39).
Pastor 11
Gennaio
2007
Mercoledì 20 dicembre u.s. al termine del cammino diocesano di formazione
cristiana per l’avvento, il vescovo diocesano Mons. Vincenzo Apicella, all’interno
di una liturgia molto partecipata, nella cattedrale di S. Clemente ha reso nota la Lettera
Pastorale che traccia l’orientamento per
l’anno appena iniziato. La lettera data alle
stampe, al termine dell’anno ha raggiunto tutte le comunità della Diocesi.
Nell’intento del Pastore della Diocesi,
c’è la volontà di ribadire l’esigenza di porre al centro di ogni attività pastorale la Parola
di Dio.
Nella Premessa ricorda l’invito di Dio
al suo popolo: “Ascolta, Israele!...”(Dt.6,4)
è il primo, fondamentale comandamento
che il Signore dona al suo Popolo perché
possa vivere e possedere la terra in cui
scorre latte e miele. Gesù lo conferma
(Mc.12,29) e lo fa diventare la beatitudine
propria del suo discepolo: “beati coloro
che ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (Lc.11,28), definendola la sola cosa
di cui c’è bisogno, “la parte migliore, che
non sarà tolta” (Lc.10,42).
Continua quindi legando questo
invito alla nostra vita diocesana:
“E’ parso quindi necessario iniziare
il cammino comune, in questo primo anno
del mio servizio episcopale in questa diocesi, mettendoci in ascolto della Parola di
Dio e interrogandoci sui modi e sulla qualità del nostro ascolto, ricordando ancora la parola dell’unico Maestro: “fate attenzione a come ascoltate…” (Lc.8,18).
A questo tema abbiamo dedicato il
nostro convegno e
i gruppi di studio hanno lavorato sull’argomento; anche dalle loro conclusioni
ho cercato di prospettare brevemente alcune esigenze
e proposte da condividere.”
Passa poi a
descrivere la realtà
della Parola: che
cosa s’intende per
Parola di Dio, come
la Parola si colloca
nella vita della Chiesa,
luogo di accoglienza, comprensione
e di risposta a Dio;
come accostarsi alla
Sacra Scrittura. Indica
inoltre i livelli di
lettura della Parola:
personale, spirituale, liturgico e storico profetico.
Nella conclusione Mons. Vincenzo
Apicella, sottolinea
la foernza della
Parola per una comunità Diocesana quale la nostra: “ricordando la piccola
parabola riportata
solo nel più breve
degli Evangeli,
quello di Marco:
“Diceva: il
regno di Dio è
come un uomo
che getta il
seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce;come,
egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima
lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce,
perché è venuta la mietitura” (Mc.4,2629).
Così avviene anche per la Parola
di Dio seminata nei nostri cuori, per
cui non importa chi semina, chi irriga o chi miete, l’essenziale è che la
Parola ha in se stessa la capacità di
crescere e di portare frutto, perché
è la presenza del Dio vivente, che opera sempre per la nostra salvezza e perché noi diventiamo a nostra volta viventi a lode della sua gloria (Ef.1,12).
L’immagine della copertina
è il “Salvator Mundi”
di autore ignoto della fine
dell’XI sec. e inizio del XII
sec..
Tempera su tavola, 153x66 cm
E’ una delle repliche laziali più
antiche del Cristo in trono
derivata dall’antica acheropita
del Sancta Sanctorum a Roma
e molto diffusa dopo l’XI sec..
La tavola è stata restaurata nel
1912 da Bacci Venuti
ed è conservata nel Museo
Diocesano di Velletri
La Madre di Dio, Madonna delle Grazie
e Vergine assunta in cielo, modello di chi
accoglie e custodisce la Parola e crede al
suo adempimento, interceda per noi ed accompagni il nostro cammino.
12 P a r r o c c h i e & C
Iniziamo con il nuovo anno una serie di
interviste che hanno lo scopo di far conoscere le parrocchie, con le loro storie e
problemi, e i parroci della diocesi; è un
tentativo di rendere comuni a tutti realtà che non sempre è possibile avvicinare, specie da parte di chi non è direttamente impegnato nelle attività diocesane. Sarebbe bello che esse dessero lo spunto per un dialogo-dibattito su quanto si
scopre, proprio dalle pagine della nostra
rivista.
La prima parrocchia a entrare in gioco è
quella della Concattedrale di Segni,
dedicata a S. Maria Assunta e retta da don
Franco Fagiolo.
Nato a Segni 57 anni fa, don Franco ha
studiato a Segni al seminario Minore, poi
il ginnasio a Velletri e infine Liceo Filosofia
e Teologia ad Anagni. Sacerdote da 33
anni, è stato vicerettore ed economo nel
Seminario di Segni. Responsabile della
Commissione diocesana Musica per la Liturgia,
è stato il primo parroco della nuova parrocchia di S. Bruno a Colleferro. Alle nostre
domande risponde di partecipare regolarmente
agli incontri diocesani del clero e di avere un buon rapporto con gli altri sacerdoti, specialmente quelli che operano nelle parrocchie di Segni e paesi limitrofi.
Siccome da soli due mesi ha iniziato il
servizio pastorale presso la parrocchia Santa
Maria Assunta di Segni per le risposte alle
altre domande lascia la parola a una sua
collaboratrice.
Ilaria Spigone, 25 anni, studentessa in
Giurisprudenza, appartiene alla parrocchia S. Maria Assunta di Segni da quando è nata; è impegnata in modo particolare nel gruppo giovani, nella catechesi
ai bambini e nel gruppo dei canti, ma quando serve dà una mano anche in altri settori. Oltre a frequentare la catechesi per
i giovani, è attiva nel gruppo caritas. Tra
le sue attitudini particolari, la disponibilità e l’impegno alla collaborazione.
Vuoi descrivere il territorio e la gente della tua parrocchia?
La parrocchia è situata nel centro storico di Segni, ma da qualche anno di essa
fa parte anche la zona del Pantano. Tra
le due realtà non c’è grande collegamento.Il
centro storico conta
molte persone anziane, anche se ultimamente si va ripopolando di molte
famiglie extracomunitarie. I giovani
frequentano, per passeggiare ed incontrarsi,
la zona nuova del paese.
Ti piace la tua chiesa? Perché?
La mia chiesa mi piace, mi lusinga che sia
una Cattedrale piena di storia e teologia, di opere d’arte
di notevole valore,
anche se a volte le bellezze artistiche impe-
Gennaio
2007
a cura della Redazione
discono che ci si possa intrattenere senza paura di fare danni.
Cosa vorresti trovare entrando in una chiesa?
Entrando in chiesa mi piacerebbe trovare un clima di accoglienza in cui nessuno si senta ospite, osservatore occasionale, ma tutti siano attori protagonisti e
possano partecipare attivamente alle
numerose attività.
Quale aspetto della religione sopporti di
meno?
Non mi piace l’atteggiamento di alcuni
sacerdoti quando parlano del Signore come
di qualcuno pronto a punirci se non ci comportiamo secondo gli insegnamenti evangelici, di coloro che parlano della Chiesa
come capace di mettere in pratica una giustizia fredda e inflessibile.
I preti ti sembrano persone degne di rispetto?
Sì, anche se come tutti gli uomini possono avere pregi e difetti, essere più o meno
simpatici, ma poiché rappresentano e proseguono su questa terra la missione salvifica di Cristo penso che comunque debbano sempre essere considerate persone
degne di rispetto.
Perché frequenti la tua parrocchia?
Perché penso che tutti nelle proprie comunità sono protagonisti, ciascuno può e deve
essere collaboratore attivo, partecipare alla
costruzione della casa comune, ciascuno
in proporzione ai propri impegni e alle
proprie esigenze, in modo originale e personale.
Che ne pensi della posizione dei cattolici su divorzio, pacs, eutanasia, aborto,
manipolazione genetica e altro? Quale
rimprovero principale fai alla Chiesa e
al suo insegnamento?
Viviamo in una cultura che tende agli eccessi, da un lato banalizza la sessualità, dall’altro la relativizza non vedendo in essa
una comunione intima d’amore tra i due
sposi. Creandoci a sua immagine e
somiglianza Dio ci ha chiamato ad amare non in qualsiasi modo, ma come Lui
ci ha amati, gratuitamente. Sono d’accordo
con la posizione che la Chiesa assume su
questi temi di estrema attualità; proprio
perché gratuito, l’amore tra un uomo e
una donna dovrà essere anche fedele, non
limitato a tempo e condizioni, e fecondo, perché ha in sé una capacità creativa che rende i coniugi collaboratori e non
padroni delle nuove vite che si preparano ad accogliere. Di qui l’assurdità di tut-
ti quei gesti, aborto, contraccettivi, manipolazioni genetiche che sopprimono
spesso la vita a cui si è dato inizio. Senza
per questo escludere dai rapporti sociali
ed ecclesiali coloro che non per loro colpa hanno subito il divorzio o siano affetti da malattie quali omosessualità. Solo
l’uomo e la donna, imitando Cristo potranno diventare nel matrimonio “una sola carne”, imitando così l’amore divino.
Quanto alla seconda parte della domanda, forse proprio in questi argomenti vorrei che la Chiesa generalizzasse meno i
propri principi e guardasse ad ogni
situazione per evitare quanto sottolineato sopra.
Cosa ti piace di più e cosa di meno di papa
Ratzinger?
Dietro un atteggiamento apparentemente intransigente, il Pontefice nasconde una
dolcezza che lo rende autentico testimone e successore di Cristo, forse però utilizza un linguaggio non sempre di facile e immediata comprensione.
L’opera di solidarietà della Chiesa
(caritas, assistenza ecc.) ti sembra meritoria? Sei una di quelli che pensano che
la Chiesa dovrebbe pensare solo all’aspetto religioso della vita, oppure che fa
bene a farsi sentire anche nelle questioni politiche e sociali?
Mi sembra meritoria, anche se la società di oggi spesso è dominata da sperequazioni intollerabili. Su ogni
credente dovrebbe pesare di
più la responsabilità che
anche un piccolo
gesto potrebbe
aiutare chi
si trova in
condizioni
disagiate.
Penso inoltre
che il cristiano
sia chiamato a
vivere anche
“la città degli
uomini” con
le sue culture,
tradizioni, con
le sue leggi e
il suo ordinamento. Di
fronte a particolari problemi o
situazioni,
che investono più
immediata-
P a r r o c c h i e & C 13
Gennaio
2007
mente la comune coscienza cristiana, una forma
di unità politica dei cattolici e una forma di intervento nella vita politica
non solo siano un bene,
ma un dovere.
Che cosa vorresti suggerire
al tuo parroco?
Di riuscire ad aprire la parrocchia all’intero paese,
creando un luogo in cui
sia prima di tutto piacevole l’incontro.
Esistono momenti di
confronto con altri laici impegnati nella città
per iniziative comuni?
Non sempre è possibile
riuscire ad organizzare
incontri inter-parrocchiali, anche se nel corso dell’anno non mancano
i momenti per incontri di
catechesi in cui possiamo scambiarci pareri e opinioni.
Come partecipano i tuoi parrocchiani alla vita
ecclesiale?
Alcuni parrocchiani partecipano attivamente alla
vita della parrocchia, cioè partecipano alla liturgia domenicale (distribuzione letture, sistemazione altare, fiori, processione offertoriale, canti), alle attività di catechismo, caritas parrocchiale,
ma per la maggior parte delle persone il contatto con la Chiesa si riduce ad “assistere”
alla messa domenicale.
problema?
Non tutti gli stranieri presenti nel territorio della
parrocchia sono cristiani cattolici, alcune famiglie sono musulmane ed
altre ortodosse. Già da
tempo attraverso l’opera della Caritas la parrocchia sta cercando di
raggiungerli per instaurare con loro un dialogo, inizialmente per
capire i problemi che devono affrontare in un Paese
che non conoscono. Non
si sono fino ad ora rivelati un grosso problema,
ma a volte le richieste di
aiuto sono piuttosto
pressanti.
Quali iniziative proporresti per i cristiani dei vari
gruppi di età?
Il sabato mattina nella
Chiesa Cattedrale si stanno organizzando attività
di oratorio, disegno, giochi, prove di canto, riunione dei chierichetti per i ragazzi dai 6 ai 15 anni.
Per tutti i ragazzi proporrei momenti di incontro sia a livello parrocchiale che diocesano, che
non si risolvano in grande confusione, ma siano ben preparati e differenziati per fasce di età.
Molto importanti sono i momenti di incontro e
di formazione per giovani e giovani coppie; tali
momenti dovrebbero essere integrati da impegni attivi nel sociale e nelle opere caritative. La
catechesi dovrebbe essere sempre al centro di tutto, poi sono necessari momenti aggregativi.
parrocchiani? In che modo?
Le devozioni locali sono forti anche se i giovani cominciano a non riconoscervisi più. È necessario allora comprendere lo spirito profondo di
tali devozioni e rinnovarle alla luce dei nostri tempi.
Quale è l’elemento qualificante l’attività caritativa della tua parrocchia?
La Caritas si occupa principalmente di rispondere ai bisogni primari e urgenti (cibo, bollette
luce, acqua e gas) e a richieste di lavoro che però
è molto difficile soddisfare. È in progetto la collaborazione stretta con la caritas parrocchiale di
santa Maria degli Angeli per poter attrezzare in
maniera adeguata un unico Centro di ascolto e
di distribuzione per tutto il paese.
Quali forme di annuncio vorresti attive nella tua
parrocchia?
Stiamo attivando un centro che, attraverso la stampa e altri mezzi di comunicazione, aiuti i fedeli a comprendere il mondo alla luce della Parola
di Dio e dell’insegnamento della Chiesa.
Esprimi un parere sulla presenza delle aggregazioni laicali nella vita ecclesiale, sulla loro capacità di integrarsi nel vissuto parrocchiale, sulle possibilità di penetrazione del messaggio evangelico nella società che esse rappresentano, sulla effettiva forza di comunione che realizzano.
Nella nostra parrocchia ci sono molte aggregazioni laicali (passioniste, Amici di Giovanna Antida,
Legio Mariae, Francescane, C.L…) che operano primariamente per le attività parrocchiali. L’Azione
Cattolica ha avuto un momento di difficoltà ma
abbiamo intenzione di renderla viva e attiva nella nostra parrocchia.
C’è un collegamento con l’Amministrazione comunale della tua città affinché prenda decisioni aderenti alle reali esigenze della popolazione? Se
potessi evidenziare un aspetto per migliorare la
vita sociale della tua città, da cattolica cosa diresti agli amministratori
Breve descrizione storica
comunali?
Essendo Segni un piccolo paese, il
della Concattedrale si Segni
confronto con l’Amministrazione avviene confrontandosi sovente a livelA cura di Stanislao Fioramonti
lo personale con gli Amministratori,
La concattedrale di Segni che vediamo adesso è del 1626, progettafacendo loro presenti le esigenze,
ta dall’architetto Gian Battista Roderi, e la sua facciata marmorea è del
le necessità, i desideri e le possibi1817; ma c’è una cattedrale segnina fin da quando a Segni c’è un vescolità della popolazione.
vo, cioè almeno dalla fine del V secolo. L’edificio precedente a quelChiederei loro di privilegiare il bene
lo odierno era del tempo di S. Bruno (secolo XI) e di esso rimacomune, per la realizzazione di quell’insieme di condizioni strutturane il campanile romanico. In quell’antica cattedrale si svolsero
li della convivenza per permettere
importanti episodi di vita ecclesiastica, perché nel Medioevo Segni
ad ogni cittadino di esplicare le profu una importante sede del papato itinerante fuori Roma per motiprie attività e qualità umane.
vi politici, militari o igienico-sanitari. Perciò vi furono canonizSoprattutto chiederei agli amminizati il vescovo di Anagni Pietro di Salerno, da Pasquale II (4 giustratori comunali di essere vicino alla
gno 1110); l’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket, trucifamiglia, cellula fondamentale deldato in chiesa da emissari del re d’Inghilterra, da Alessandro
la società, mettendo da parte gli inteIII (21 febbraio 1173); e lo stesso S. Bruno di Asti, vescovo di
ressi personali.
Segni e patrono della diocesi, da papa Lucio III (18 luglio 1183).
L’interno della con cattedrale segnina è ricco di opere d’arSe il vescovo ti chiedesse di dargli
te, in particolare dipinti di Lazzaro Baldi, Francesco Cozza,
un solo consiglio, a quale ambito
il Baciccio, Pietro da Cortona e i fratelli Courtois; i busti
pastorale daresti la tua priorità e
d’argento di S. Bruno e di S. Vitaliano papa nativo di Segni;
con quali indicazioni?
gli stucchi dorati di Francesco e Valerio Vaiani nella capChiederei al vescovo di lavorare per
pella del Rosario. L’ultimo restauro totale fu completatrovare in ogni parrocchia il giusto
to nel 1995 dal parroco don Bruno Navarra, che ci ha
equilibrio nei tre ambiti della vita
lasciato pochi mesi fa e da un cui opuscolo sulla chiesa
parrocchiale: catechesi, liturgia,
abbiamo tratto queste notizie.
vita.
Gli extracomunitari e i non cattolici ti sembrano un
E’pensabile una nuova proposta pastorale e liturgica per rinnovare la devozione locale, in modo
da rispondere meglio alle nuove esigenze dei tuoi
14 Famiglia&Di
Paure contrastanti attraversano oggi le coppie al pensiero della vita che da loro potrebbe
nascere: si teme di avere un figlio, si teme di
non averne. Episodi sconcertanti traducono in
fatti queste paure: la vita umana viene innaturalmente interrotta, la vita umana viene tecnicamente prodotta. Ma anche in tempi di vita violata e manipolata, emerge imperioso il desiderio di dare la vita a un figlio. Sennonché, la natura sembra prendersi la rivincita delle ferite che
vengono inferte alla sua naturale fecondità: aumentano le coppie che pur desiderando dare vita a
un figlio sono affette da sterilità.
Come ogni desiderio umano, anche quello umanissimo di un figlio può essere inquinato dall'egoismo, ma nonostante questa possibilità è difficile negare che la sua frustrazione non comporti una profonda sofferenza: la sterilità è una
ferita che penetra nell'identità della persona, tanto più in una donna. La Bibbia conosce non poche
vicende di coppie sterili. Tra di esse, la storia
di Elkana e Anna spicca per l'acume con cui entra
nei risvolti coniugali della sterilità. Le conoscenze
del tempo attribuivano la causa alla donna, in
questo caso ad Anna, neanche sospettando ciò
che oggi si conosce a proposito della sterilità maschile. Nonostante questo limite, il racconto è attento alle conseguenze che ha sull'uomo il fatto che
il figlio non arriva. Ma osserviamo anzitutto la
sensibilità squisitamente femminile di Anna. Il grembo sterile non le appare come una parte di sé
malata o una funzione bloccata, ma come una
ferita al suo essere donna. Il grembo, nascosto
nell'intimo del corpo, è l'espressione corporea
dell'intimità personale; la sofferenza del grembo, come testimonia l'atteggiamento di Anna, diviene sofferenza dell'intera persona: si mise a piangere e non voleva prendere cibo (l Sam 1,7). L'intima
Il diaconato
nel Concilio
di Trento
diac. Pietro Latini
Poiché il ministero annesso ad un sacerdozio
così santo è cosa divina, ne è conseguito che,
per esercitarlo più degnamente e con maggiore
venerazione, nell’ordinata articolazione della
Chiesa vi fossero più ordini di ministri e diversi fra loro, connessi per il loro ufficio al sacerdozio, e distribuiti in modo che coloro che
avessero già ricevuto la tonsura clericale arrivassero agli ordini maggiori attraverso quelli
minori. La sacra scrittura infatti nomina
espressamente non solo i sacerdoti ma anche i
diaconi ed insegna con parole solenni quello
che si deve sommamente osservare nella loro
ordinazione (Conc. Trento; ses. XXIII Cap II).
Il concilio di Trento ha dunque riformato l’Ordine
sacro e riscoperto il Diaconato.
Il sacerdozio è chiamato santo ed il ministero ordinato è sacerdotale; il Diaconato e gli altri gradi
della Gerarchia sono visti in prospettiva sacerdotale
ed il sacerdote in funzione della cura delle anime. L’ufficio ed il beneficio ecclesiastico diventano supporto di quella cura ed il vescovo si scopre pastore: tutta la gerarchia ritrova la propria
dimensione ministeriale ed il Diaconato ne
diventa l’icona. I decreti di Trento sembrano essere vicini più a quelli dei grandi concili dell’anti-
ferita della sterilità, che già sanguina al pensiero
del proprio grembo muto, si acuisce laddove la
fecondità altrui la mette ancor più in risalto. Anna
conosce addirittura la perfidia femminile di chi
ostenta i propri figli per mortificare chi ne è priva: la sua rivale per giunta l'affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione (l Sam 1,6).
In assenza dell'amore di un figlio, una risorsa
notevole è certo l'amore del proprio coniuge. Ed
Anna non ne è certo priva, poiché Elkana la ama
e di un amore che le parole rivolte alla moglie
lasciano intravedere tenero e grande: Anna, per-
chità che non a quelli del Medioevo, anche
nella formulazione: i dibattiti di scuola e di
terminologia tendono a scomparire, le
espressioni bibliche e patristiche diventano
prevalenti e comincia a prendere forma un modo
più spirituale di accostarsi ai grandi temi teologici. Anche la struttura del concilio richiama l’antichità: né le nazioni né le università
sono protagoniste ma il papato e i vescovi,
la Chiesa di Roma e le Chiese locali. Da Trento
escono un clero riformato, una riformata formazione del clero (vengono istituiti i seminari) e un
nuovo modo di accostarsi alla Scrittura. Frutto e
motore di questa grande riforma è il Diaconato:
un ministero saldamente fondato su riferimenti biblici e originariamente orientato al sacerdozio.
La prospettiva sacerdotale è la risposta della Chiesa
ai problemi del protestantesimo; ma è anche la prospettiva che restringe l’identità del ministero ordinato esclusivamente a particolari ambiti che possono essere ora il culto, ora la parola, ora la consacrazione, evidenziando certamente contenuti veri
ma solo parziali. Un presbiterio parrocchiale che
imposti la propria azione pastorale e i propri rapporti con i ministeri laicali partendo da una concezione del sacerdozio nella prospettiva del
sacrificio, potrebbe autolimitarsi nelle proprie funzioni e limitare la crescita della comunità. Nella
prospettiva del sacrificio il ministero sacerdotale è qualificato dall’altare, dal sacrificio, dall’eucaristia,
dall’assoluzione, dal culto cui è ordinato. Sacerdote
significa “uomo del sacro”. La profanità non entra
nella sua competenza diretta. Questa prospettiva,
pur essendo vera per motivazioni bibliche che sono
alla sua base, per motivazioni dogmatico-teologiche che la sostengono e per motivazioni prati-
Gennaio
2007
ché piangi? Perché non mangi? Perché è triste
il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di
dieci figli? (1 Sam 1,8). Per quanto intenso possa essere l'amore coniugale, la ferita per il figlio
che manca lascia intuire come la fecondità non
sia un optional dell'amore di coppia, ma il suo
destino: il terzo è il desiderio iscritto nell'unione dei due.
Di fronte alla sterilità inspiegabile e insuperabile capita che si ricerchi la causa in Dio. Era comune ai tempi di Anna ritenere che il Signore ne
avesse reso sterile il grembo (l Sam 1,6). Non
è insolito nemmeno oggi, in tempi non certo permeati di religiosità, attribuire a Dio l'origine dei
mali che sfuggono alle spiegazioni e alle cure
umane. Riportare fino a Dio il dramma della propria sterilità è il sentiero percorso da Anna. Non
lo percorre tuttavia con il dito puntato in segno
d'accusa, ma con lo sguardo fiducioso di chi percepisce che, al di là di ogni capacità e sforzo
umano, la sorgente della vita viene da più lontano e affonda le radici nel mistero divino. Solo
se ricondotta alla sua origine divina, la fecondità cessa di essere il potere di un uomo e di
una donna, e di conseguenza la sterilità una frustrazione. Solo se osservato dall'alto di Dio, il
figlio smette di essere un diritto irrinunciabile e
diviene un dono dato gratuitamente e di cui non
si può disporre a piacimento. Solo se i coniugi
ricordano chi è il Creatore, possono riconoscere che la fecondità della procreazione non è titolo di orgoglio, e il figlio non è proprietà privata;
come pure
p o s s o n o Dorina e Nicolino Tartaglione
rasserenarsi al pensiero che la sterilità non è solo una
tormentosa umiliazione e l'assenza di un figlio
non è un destino crudele.
co-pastorali di incontestabile utilità, è responsabile delle seguenti difficoltà:
potrebbe non evidenziare a sufficienza soprattutto
in alcune presentazioni teologiche, spirituali e pastorali meno attente, le altre funzioni del ministero
- quella profetica, quella regale e quella ministeriale;
da un punto di vista teologico ha fatto ritardare
la formulazione della sacramentalità dell’episcopato;
ha fatto chiamare ordini minori quelli che sono
ministeri laicali, generando la convinzione – errata – che il ministero è solo dell’ordine;
ha fatto impostare tutto il discorso del ministero
ordinato non in termini di servizio da esercitare
ma di autorità e potere da vestire.
Nel Concilio di Trento la Chiesa ha risposto alle
sfide presenti ed ha guardato al futuro. Una forte accentuazione della cura pastorale e della formazione della Gerarchia per questa cura non poteva fermarsi al culto ed al Sacrificio. Essa doveva andare oltre e guardare a quella ecclesiologia
che il Diaconato nella sua dimensione di servizio già annunciava e che il Concilio ecumenico
Vaticano II avrebbe poi così fortemente sostenuto. È la prospettiva che valorizza i ministeri laicali e che dà senso alla Gerarchia; è la prospettiva che fa crescere la Chiesa.
A Trento questa prospettiva è stata solo annunciata con il Diaconato. Ci consola però constatare che la rinascita della Chiesa, dopo la riforma
protestante, passa anche per la riscoperta del Diaconato
così come successe all’inizio quando la Chiesa nacque. È una constatazione per il passato ed un auspicio per noi che preghiamo lo Spirito per una nuova primavera della Chiesa.
F a m i g 15
Gennaio
2007
"L'uomo, il
quale in terra è la
sola creatura che
Dio abbia voluto
per se stessa, può
ritrovarsi pienamente soltanto
attraverso un dono
sincero di sé".
Questa affermazione, che in primo luogo denota la
costituzione ontologica della persona,
vale a dire la sua
essenza, è di grande valore antropologico e teologico insieme ed è
stata fatta dal
Concilio (Gaudium
et Spes, n. 24). Essa
spiega il primo
perché del matrimonio e della famiglia. La chiave
della sua interpretazione sta il quel "dono
sincero di sé", che non può essere tale se
non è per sempre, se non è destinato a un'altra persona e se non è totale. Questo è, infatti, il senso del matrimonio e, allo stesso
tempo, della generazione che ne consegue.
Se non si comprende questo significato non
si può capire il perché della differenza tra
il vero matrimonio - quello sacramentale, ma in qualche modo anche quello civile - e le altre unioni di cui in questi giorni tanto si parla: unioni di fatto, pacs ovvero patti civili di solidarietà, matrimoni omosessuali. Nemmeno si possono comprendere i rischi del riconoscimento di quei
diritti che si vogliono dare alle singole persone che convivono in un'unione di fatto
né, infine, ci si
può rendere condi Pier Giorgio Liverani
to del perché la
qualifica di "famiglia" debba essere negata a questo tipo di
vita comune.
Vediamo perché. La fede ci insegna che
il matrimonio e la famiglia cristiani possiedono una dignità superiore persino alla
sua concezione biblica: da cellula naturale
costitutiva della società umana (la Genesi
racconta la creazione di una unità familiare uomo-donna somigliante a Dio e con
il compito di dar vita all'intera umanità)
a "sacramento", cioè a "segno" dell'unione fra Cristo e la Chiesa, ovvero dell'alleanza tra Dio e l'uomo. La Costituzione
e le leggi affermano che la famiglia è una
"società naturale fondata sul matrimonio"
e che il matrimonio, anche se esiste il divorzio, è comunque un impegno pubblico stabile, che comporta i doveri della coabitazione, della fedeltà e di "mantenere,
istruire ed educare i figli".
A questa visione anche solo civile le
considerazioni di tipo religioso non sono
indifferenti. L'attuale crisi della famiglia
e il tentativo di affiancarle, fino a sostituirla, la "non-famiglia" è un fenomeno sociale che ha soprattutto ragioni di ordine spirituale: fu Lutero che li mise in moto, perché, per primo, strappò il matrimonio dal
suo radicamento sacramentale e cristologico per collocarlo in una sfera puramente
naturale, cioè esclusivamente umana e statale. Fu una vera sovversione, che consentì
in seguito al secolarismo di completare lo
strappo del matrimonio e della famiglia anche
dalle loro radici umane e simboliche (il divorzio, l'aborto legalizzato, la fecondazione
artificiale) al punto che il Parlamento di
Strasburgo ha potuto raccomandare ai Paesi
dell'Unione Europea (febbraio 1994) il "matrimonio" tra omosessuali: un vero non-senso.
Oggi a questo ripido piano inclinato,
sul quale la famiglia sta scivolando, si oppone soltanto la visione cristiana del matrimonio, della famiglia e della vita, che ha
ancora una suo radicamento e una sua forza decisivi. Si assiste all'assurdo che anche
coloro che operano per la distruzione della famiglia cercando di smontarla e di farla a pezzi, ne hanno pur sempre bisogno:
chiamano "famiglie" quelle di fatto, temporanee, in prova, omosessuali nelle loro
diverse tipologie. In realtà semplici
"mostri" ricostruiti con pezzi della famiglia autentica, a sua imitazione: una specie di "Frankenstein della famiglia" o di
"famiglia parassitaria" o "similfamiglia",
che vorrebbe rivendicare, a carico della comunità, gli stessi vantaggi sociali, ma senza
i doveri, della famiglia che nega.
Il primo dei quali è quello del nome,
che è assunto non
più come un dato
etico di riferimento stabile, ma come
un elemento sociologico frutto dell'individualismo e
del volontarismo
(affettività o interesse) dei due partner. Un'affettività
che dev'essere
dichiarata spontaneamente come
"legame " di qualunque tipo, compresa l'omosessualità, che in tal
modo si fa sempre
più strada verso la
piena parità con la
normalità sessuale,
giuridica e istituzionale. In queste
non-famiglie non
esiste impegno di
alcun tipo: non certamente quello della durata per il futuro, perché se ne registra soltanto quella del passato: due o tre anni di
convivenza nemmeno comprovata e la "prova" dovrebbe essere la stessa dichiarazione.
E neppure l'ostacolo della difficoltà del divorzio. Con l'effetto di una presa d'atto da parte del Comune medesimo o dello Stato che
ai conviventi garantirà i vantaggi del matrimonio: eredità, subentro nelle locazioni,
assistenza sanitaria e carceraria, reversibilità della pensione con esclusione o almeno con danno dei parenti veri, assegni familiari, graduatoria per l'assegnazione della
casa e via così.
A ciò bisogna aggiungere i costi economici per le finanze statali e il rischio della "degiuridificazione" del matrimonio, che
perderà così la sua singolare specificità di
istituto giuridico collettivo, e quello dell'annullamento della famiglia come primaria
formazione sociale. Infine, a proposito del
riconoscimento dei diritti delle singole persone senza quello esplicito dell'unione fra
i due bisogna domandarsi quale differenza ci potrebbe essere fra i diritti personali dei due singoli e il diritto della famiglia
come unità di più persone. Senza considerare il pericolo di aprire almeno un pertugio a unioni, come dire?, di fantasia fino
a quelle poligamiche o poliandriche o a
unioni del tipo delle famigerate "comuni"
con cui nella Cina comunista (ma non solo)
si tentò si far fuori la famiglia: se è sufficiente, per la costituzione di una unione di fatto, dichiarare un legame affettivo, come si potrà impedirle?
Le conseguenze di un ulteriore imbarbarimento della vita della comunità civile sarebbero gravissime per il tessuto etico della società e per la stessa civiltà.
16 V o c a -
Gennaio
2007
A partire da questo numero verrà proposta una serie
di articoli sul tema dell'accompagnamento vocazionale
nel ministero presbiterale. Gli articoli, pur rivolgendosi direttamente ai sacerdoti, tuttavia, possono offrire motivo di riflessione anche ai vari educatori a servizio delle nostre comunità parrocchiali.
Dopo una introduzione, tratteremo l'argomento dell'attenzione che il pastore deve avere su di sé, poi
l'attenzione sulla persona accompagnata e, infine,
prenderemo in considerazione un possibile itinerario a partire dagli insegnamenti del documento conclusivo del convegno europeo sulle vocazioni, Nuove
Vocazioni per una Nuova Europa (Roma, 5-10 maggio 1997).
Introduzione
La parrocchia: una comunità che accompagna…
La parrocchia è famiglia che genera alla vita (Battesimo)
e che accompagna verso la maturità della vita cristiana (accompagnamento: "quarto sacramento" dell'iniziazione cristiana). È importante che riscopra non
solo la responsabilità di generare ma anche quella di condurre-accompagnare alla maturità che è riconoscere, accogliere e rispondere alla propria vocazione.
…propone degli itinerari…
Il documento finale del Congresso sulle vocazioni
al Sacerdozio e alla Vita consacrata in Europa, Nuove
Vocazioni per una Nuova Europa (NVNE), al n. 27
indica quali siano gli itinerari pastorali vocazionali
classici e irrinunciabili: la liturgia e la preghiera, la
comunione ecclesiale, il servizio della carità e la testimonianza annuncio del vangelo. Sono una via obbligata e offrono garanzia all'autenticità della ricerca
e del discernimento. Al n. 28 dice che "le vocazioni che non nascono da quest'esperienza e da questo inserimento nell'azione comunitaria ecclesiale
rischiano di essere viziate alla radice e di dubbia autenticità".
…evoca la domanda.
Dinanzi ad una pastorale giovanile preoccupata, il
più delle volte, soprattutto di aggregare e di tenere
"buoni" i nostri giovani, la crisi delle vocazioni chiede alle nostre comunità cristiane di riscoprire la gioia
e la forza di presentare il Cristo "pro-vocante", che
chiede non alcuni segmenti della vita e solo per alcune stagioni dell'esistenza, ma tutta la vita e per sempre. "La crisi vocazionale è certamente anche crisi di proposta pedagogica e di cammino educativo"
(NVNE, 30). In altri termini, potremmo affermare che
"se la pastorale non arriva a 'trafiggere il cuore' e
a porre l'ascoltatore dinanzi alla domanda strategica ("che cosa devo fare?"), non è pastorale cristiana,
ma ipotesi innocua di lavoro" (NVNE, 26/g).
… e allora?
A partire da queste considerazioni iniziali, diventa
importante per il pastore instaurare rapporti personali attraverso l'accompagnamento: si tratta di affiancare sempre di più all'annuncio a tutti (predica al microfono), la relazione con il singolo.
Ma mettiamo i piedi per terra. Partiamo da una osservazione di Pino Scabini che, probabilmente, ci siamo ritrovati a fare anche noi in qualche occasione.
"Quando un giovane o una ragazza arrivano al momento più espressivo della loro vocazione, quali sono
l'ordinazione sacerdotale, la professione religiosa o
la celebrazione del matrimonio, raramente hanno coscienza piena che il parroco della loro comunità ecclesiale è stato un servitore della loro avventura cristiana. Un servizio umile e legato all'ordinarietà delle cose è quello del parroco, raramente appariscente
al punto che, nelle occasioni citate, i ringraziamenti
si sprecano verso una moltitudine di persone; al parroco di solito si riservano quelli di routine, senza particolari emozioni; capita di sentirlo ringraziare perché ha organizzato bene la festa ma non per l'altra opera di edificazione che la tradizione cristiana
tiene in molto conto ossia edificare la comunità cri-
stiana come un tempio dove tutti siano pietre vive
(cf 1Pt 2,4-6). È debole la coscienza dei fedeli a riguardo di tutti i fattori che contribuiscono a realizzarsi
nella loro vocazione? O è carente la sollecitudine
del parroco verso coloro che si avviano nella strada di una vocazione di speciale consacrazione?" (Scabini
di Antonio Galati
«Per aiutare il giovane ad arrivare alla capacità di
amare in modo oblativo e gratuito, condizione indispensabile per riconoscere la presenza del dono del
celibato e la possibilità di viverlo in modo libero
e liberante, verranno programmati incontri specifici»1.
Adempiendo a quanto è scritto nel progetto formativo,
la comunità educante del seminario organizza dei
weekend formativi, atti a integrare, con l’ausilio di
tecniche di psicologia, il cammino di crescita umana che si svolge durante l’anno al Collegio Leoniano.
Perciò vengono programmati degli incontri, tra settembre e giugno, in cui don Giuseppe Sovernigo,
un sacerdote della diocesi di Treviso specializzato in psicologia per la formazione umana e presbiterale,
guida degli incontri su tematiche specifiche, aiu-
La psicologia
al servizio
del seminario
tando i seminaristi a riflettere e a confrontarsi su
tali questioni per la loro crescita e per il loro bene
e di quelle persone che, a Dio piacendo, si rivolgeranno a loro come a preti in grado di accogliere nella maniera adeguata.
Don Giuseppe Sovernigo, in accordo con la comunità educante del seminario, ha impostato il cammino formativo da lui guidato, in modo tale da poter
svolgere quattro incontri durante l’anno, oltre ai colloqui individuali in cui si trattano questioni più personali, per permettere di approfondire a passi consequenziali il tema scelto.
Quest’anno il titolo guida degli incontri è Amare
con cuore indiviso.
Da settembre, mese in cui il seminario ha ripreso
le attività ordinarie, si sono svolti già due incontri
dei quattro previsti. Nel primo incontro, svoltosi
il 4 e il 5 novembre, l’attenzione era posta sulla per-
di Mons. Leonardo D’Ascenzo
Responsabile Centro Diocesano Vocazioni
P., Il servizio umile e ordinario del parroco alle vocazioni, in Vocazioni 2, 1997, p. 6).
sona e gli esercizi proposti avevano la finalità di
far prendere coscienza al seminarista di come si è
strutturato il proprio io e di presentare un modello ideale da raggiungere, basato su quello che ci
presenta Gesù. Il secondo incontro, sviluppato il
2 e il 3 dicembre, ha, invece, posto l’attenzione su
come il seminarista vive l’amore che dona e che
riceve. Questo secondo incontro coincide sempre
con la festa delle famiglie dei seminaristi, il che
permette anche ai genitori di potersi interrogare,
sempre con l’aiuto di don Giuseppe, sul loro rapporto con i figli incamminati verso il sacerdozio e
su come continuare a vivere l’amore con loro.
Questi weekend formativi sono strutturati in modo tale da poter permettere sia un lavoro assembleare che un lavoro personale, oltre a uno scambio
di idee a piccoli gruppi, cosicché ognuno può condividere con gli altri cose che ritiene condivisibili e che permettono a tutti di crescere, secondo un
modo di dire di don Giuseppe, ormai familiarissimo ai seminaristi: «chi si espone vende e poi ci
guadagna, chi non si espone non vende e poi si lagna».
I lavori iniziano il sabato pomeriggio intorno alle
15.30 con la presentazione del tema da parte di don
Giuseppe e proseguono poi con un momento di riflessione personale e poi con una condivisione per gruppi, che è moderata da alcuni dei responsabili del
seminario e da seminaristi del sesto anno. Si conclude il pomeriggio con una nuova riunione comunitaria in cui vengono riportati i feedback degli incontri fatti nei gruppi e vengono anche poste delle domande a don Giuseppe inerenti il tema.
Dopo la recita dei Vespri segue la cena e poi la visione di un film, sempre riguardante il tema trattato.
La domenica successiva lo schema è più o meno
il medesimo e i lavori si concludono con l’Eucaristia
e la condivisione del pranzo.
Dopo il pranzo ci si organizza per passare il pomeriggio in maniera rilassante e, al tempo stesso, costruttiva e ci si dà l’appuntamento alle 21.45 per la Compieta
comunitaria, pronti a riiniziare una nuova settimana
arricchita anche dagli spunti dati da don Giuseppe.
1 Progetto formativo del seminario, p. 39. Cfr. anche
Linee comuni per la vita dei nostri seminari, 9;
Gennaio
2007
Dalla meditazione e l’immobilità della contemplazione favorite dalle
forme musicali del canto gregoriano nell’alto medioevo, si arriva
intorno al X secolo a forme musicale,
pure derivate dal gregoriano, ma che
invece erano destinate ad accompagnare
il movimento nei riti sacri, elemento questo del tutto nuovo nel canto
cristiano e nelle pratiche religiose della cristianità, sta nascendo il canto
processionale adatto ad accompagnare
un’azione che potremmo chiamare
coreografica: la processione. È questa un primo accenno di rappresentazione degli episodi biblici che
porterà successivamente all’affermarsi
del “dramma liturgico”.
Una narrazione che predi Mara Della Vecchia cedeva la messa di Pasqua
già nel X secolo, esponeva
l’episodio delle donne che arrivate
al sepolcro di Gesù lo trovano vuoto, ed è il primo esempio di dramma liturgico: “Quem qaeritis in sepulchro, o christicolae?\ Jesum Nazarenum
crucifixum, o caelicolae. \ Non est .hic,
surrexit sicut praedixerat; \ Ite, nunziate quia surrexit de sepulchro”. (Chi
cercate nel sepolcro, seguaci di
Cristo? Gesù di Nazaret che fu crocifisso, abitatori del cielo. Egli non
M u s i c a & L i 17
è qui, è risorto come aveva predetto; andate annunziate che egli è risorto dal sepolcro).
Dalla semplice intonazione da parte di un solista o di un coro
si passa gradualmente a
una vera rappresentazione con diversi cantori
per ogni ruolo, con i
costumi e azione scenica.
Dal “Quem quaeritis?”
segue una ricchissima
storia del dramma liturgico che conosce la sua
massima espansione nel
XII secolo, gli spunti per
la creazione di nuovi
drammi sono numerosi:
sono stati messi in musica il ciclo natalizio e il ciclo
pasquale, la resurrezione
di Lazzaro, la strage degli
innocenti, la conversione
di Paolo di Tarso, l’episodio
dei discepoli a Emmaus,
le vicende dei profeti dall’antico Testamento. Un
dramma liturgico particolarmente pregevole del
XII sec è il “Ludus
Danielis” sulla vita del profeta Daniele di come egli
scampò alla morte nella
fossa dei leoni grazie
all’intervento di un angelo; è un’ opera molto
ampia e complessa il cui
intero manoscritto è conservato nella cattedrale di
Beauvais in Francia che
testimonia l’esistenza di un
teatro medioevale dopo
secoli dalla scomparsa
del teatro classico seguita alla caduta dell’impero romano.
Il dramma liturgico sembra essere
lontano dal canto cristiano originale, il cui scopo era quello della preghiera e della predicazione, ma
mantiene comunque una sua funzione
d’insegnamento e divulgazione delle scritture. Infatti il dramma liturgico viene rappresentato soprattutto nei monasteri, dove gli attori erano monaci e novizi oppure nelle chiese parrocchiali, luoghi nei quali le
sacre rappresentazioni, oltre a conferire solennità alle celebrazioni, assolvevano anche al compito di agevolare l’apprendimento degli insegnamenti cristiani, difficilmente
venivano scelte le grandi cattedrali cittadine per rappresentare i
drammi liturgici proprio perché i fedeli dovevano poter seguire facilmente la vicenda che si svolgeva in più
parti della chiesa.
Dall’interno, il dramma liturgico passerà successivamente all’esterno
della chiesa, cioè sul sagrato il quale costituirà una sorta di palcoscenico per la rappresentazione assumendo delle caratteristiche più spiccatamente popolari. I drammi
liturgici verranno poi man mano abbandonati, ma non prima di aver contribuito alla rinascita di una forma
artistica ed espressiva così importante
come il teatro. Oggi non vengono più
proposti nella loro funzione originale,
ma forse una lontanissima eco della loro antica diffusione resta nelle
suggestive rappresentazioni della passione che ancora sopravvivono in tanti paesi d’Italia durante la settimana di Pasqua.
18 Dio -
so l’aggettivo ‘strano’
nel senso di ‘nuovo’,
‘diverso’, ‘originale’, perché
così mi è sembrato il Convegno
Pastorale Diocesano svoltosi a
Velletri il pomeriggio di venerdì 24 e la mattina di sabato 25
novembre 2006.
’stato un convegno ‘nuovo’ perché ce ne aspettavamo uno sul recente incontro della Chiesa italiana a
Verona, al quale hanno partecipato una mezza dozzina di nostri
rappresentanti e per attendere
lo svolgimento del quale il
nostro appuntamento annuale
era stato anche rinviato da
settembre, inizio tradizionale dell’anno pastorale, a fine novembre. Ma la decisione del vescovo Apicella di scegliere come tema
per il cammino diocesano nell’anno 2006-2007 la rilettura della Dei Verbum, costituzione
dogmatica del Concilio Vaticano
II sulla Parola di Dio, con le questioni ad essa connesse
(Rivelazione, Tradizione, Sacra
Scrittura), ha modificato le
priorità del convegno. Il suo temaguida è divenuto così una frase di S. Paolo ai Tessalonicesi
(“Accogliete la Parola di Dio che
opera in voi che credete”, 1Ts 2,13),
e il convegno è diventato la prima di una serie di iniziative che
caratterizzeranno l’attività diocesana nel prossimo anno. Si tratterà, è stato scritto, di riprendere la dottrina della Dei
U
E
Gennaio
2007
Verbum, verificarne la ricezione, cogliere gli interrogativi e sviluppare le prospettive che facciano crescere la nostra Chiesa
a quarant’anni dal Concilio.
’ stato un convegno
‘diverso’ soprattutto
nella concezione: non più i tre
giorni di relazioni e dibattiti del
passato, che pure hanno portato
in diocesi personaggi notevoli della vita ecclesiale (si pensi solo
all’allora card. Ratzinger), ma
appena due sbrigative mezze giornate di lavori, introdotte da una
rapida relazione della teologa Stella
Marra della Gregoriana e proseguite dda due sessioni di
gruppi di studio nelle quali tutti i partecipanti, divisi in tre parti, hanno discusso dei tre modi
possibili di lettura della Bibbia
(liturgica, spirituale, storico-profetica) e di come questo si fa, se
si fa, in diocesi. Le proposte sono
state poi presentate al vescovo
nell’assemblea finale, per essere da lui ulteriormente elaborate e applicate.
’ stato un convegno ‘originale’ perché il protagonista non è stato il tavolo
sul palco, con i suoi relatori, prelati ecc., ma l’assemblea in
platea, formata dall’insieme
dei laici, sacerdoti, religiosi e religiose che rappresentavano le parrocchie. Convegno originale
anche per il suo stile semplice,
visibilmente governato non
dagli organizzatori (il vescovo
E
E
e don Dario Vitali in primis), ma
dal medioevale splendido
“Salvator mundi” su tavola
che si confrontava con l’assemblea
e che molto opportunamente è
stato scelto come icona del
convegno.
’ stato ancora scritto che
“a quarant’anni dalla
Dei Verbum, la volontà è quella di verificare a che punto siamo nel cammino di maturazione di una Chiesa che nasce dalla Parola e alla Parola sta sottomessa”. Se
questa è stata di Stanislao Fioramonti
la volontà che
ha portato a questo convegno e
non a un altro, a cose fatte mi
resta l’inquietudine che io, della Dei Verbum, non so pressoché nulla. Colpa mia, certissimo, ma non si poteva escogitare qualcosa prima del convegno
per conoscerla almeno un po?
E’ anche vero tuttavia che il programma pastorale del prossimo
anno ha già allestito corsi e iniziative per approfondire sia la
costituzione conciliare che la conoscenza delle Scritture nel senso suggerito dalla teologa Marra;
quello cioè di reimparare una
lettura ‘ecclesiale’, cioè comunitaria, della Bibbia, abbandonando quella devozionale del passato e guardandosi da una
ancor più pericolosa lettura individualistica.
e son rose, fioriranno.
E
S
Dioce 19
Gennaio
2007
In questi giorni di fine anno si è abituati a ricevere o donare, fra i tanti
regali, anche un calendario. Tra i molti interessanti ricevuti non poteva passare inosservato quello dell’Arma dei
Carabinieri, che da sempre si qualifica per le scelte artistiche che lo
impreziosiscono, una fra tutte da ricordare è quella di alcuni anni con le
illustrazioni del grande artista Pietro
Annigoni. Non è passato inosservato
il calendario del 2007 non solo per
le belle illustrazioni di Luciano
Jacus, e per la tematica scelta, la tutela del patrimonio artistico, quale campo di forte impegno dell’Arma, ma
perché proprio grazie a questo impegno il nostro museo diocesano ha
potuto riavere nel 1997 la sua Crux
Veliterna, trafugata nel 1983. La nostra
Crux domina la pagina del mese di
luglio, mentre un porporato celebra
e la figura di un carabiniere in alta
uniforme dà esattamente il senso della protezione e della tutela. L’immagine
ci riporta alla mente la gioia del ritrovamento e la cerimonia di riconsegna avvenuta all’interno del primo
anno di preparazione al Giubileo del
2000: accoglienza in piazza Cairoli,
consegna al vescovo Mons. Andrea
M. Erba che a sua volta la pose tra
le mani dell’allora Cardinal Titolare
S. Em. Joseph Ratzinger, in processione
si raggiunse la cattedrale di San
Clemente. Qui con la cornice austera di una liturgia penitenziale, la presenza di moltissimi fedeli, Autorità
Civili e Militari e dei Carbinieri del
NTPA, la preziosa e antica Crux, stauroteca di un frammento della Croce
di Cristo, ricevette degna accoglienza.
Cogliamo l’occasione per ringraziare
il Comando Generale dell’Arma, i responsabili dell’edizione del Calendario il gen. C.A.
Leonardo Gallitelli, il Col. T. ISSMI Riccardo
Galletta e l’art director Paolo Di Paolo per
la considerazione mostrata e tutti i
Carabinieri che ci hanno omaggiato del
Calendario.
d.A.M.
20 Cultu -
Dostoevskij dice che se
Dio non esistesse, tutto
sarebbe lecito, così che non
esisterebbe più il peccato e il mondo sarebbe solo
un insieme disordinato di
frammenti. In verità la
cultura occidentale si è mossa nella certezza che Dio
esiste ed è Colui che unifica il mondo ed ordina gli
eventi. Tuttavia la storia nel
suo continuo ciclo di trasformazione e metamorfosi
della realtà è il luogo nel
quale si legge con facilità che se Dio non è scomparso dalla scacchiera
del mondo, è pur vero che
per molti versi la fede in
Lui e i conseguenti valori
etici e morali che inevitabilmente dovrebbero derivarne, hanno subito un arresto o forse sarebbe meglio dire una crisi, che affonda le sue radici sul fatto che
l'umanità ha preferito scegliere per sé un'altra strada che ha creduto più facile ed utile , quella che si basa sulle conquiste scientifiche e tecnologiche, da cui crede di poter
ottenere benessere, felicità e sicurezza.
E' questa una realtà ormai inequivocabilmente
certa, i cui risultati, purtroppo, spesso negativi sono evidenti ed hanno mutato nel profondo il significato stesso di civiltà e società. Si è voluto dimenticare, infatti, che,
come già affermava Einstein, le scienze
non possono conoscere valori come
bene e male, né tanto meno emozioni, non
possono, cioè, produrre istanze etiche, ma
solo concetti creati dagli scienziati e dalle loro esperienze. Purtroppo, però, le scienze basandosi appunto sull'esperienza, non
conoscono , né potrebbero tenere conto
solo di quei metodi che possono essere
moralmente accettabili, ma sono "costrette" a trascurare ogni giudizio di valore, per
attenersi a metodi razionali ed obiettivi atti
Gennaio
2007
a fissare punti stabili e poli immobili. Se
poi tutto ciò finisce per influenzare con
le probabili conseguenze, che una qualsivoglia ricerca può portare con sé , la società e la vita degli uomini, allora è l'etica che
dovrebbe intervenire, prima, per rendere
chiaro il reale significato delle scoperte scientifiche e poi per " regolarne" la divulgazione e l'uso. Ma è ormai certo che le società moderne, in quanto dipendono economicamente e psicologicamente dalle applicazioni tecnologiche della scienza, hanno finito per essere derubate di ogni salda , coerente e accettabile "fede" su cui
poggiare il proprio sistema di valori. Si tratta senza dubbio di una grande rivoluzione, che ha finito per sostituirsi seppure in
modo ancora alquanto confuso a tutta una
serie di sistemi religiosi, che per migliaia
di anni avevano regolato la vita umana e
la struttura sociale con i suoi codici morali e comportamentali. E dal vuoto lasciato da essi, si è andato affermando in modo
sempre più forte un profondo sentimen-
“Si è voluto dimenticare che,
come affermava Einstein,
le scienze non possono conoscere
valori come bene e male...”
to di frustrazione e di alienazione, che ha
generato non solo sfiducia generalizzata nei confronti della scienza,che ha fallito proprio lì dove aveva promesso all'umanità tutta conquiste capaci davvero di
trasformare in senso positivo i destini umani, ma della capacità da parte dell'uomo
di saper individuare principi capaci di offrire quelle certezze di cui si ha inevitabilmente bisogno, per dare un senso alla vita
. Per questo e senza ulteriori ritardi, è necessario riportare gli studi scientifici verso un
sistema di valori, che già Jean Monod definì, " l'etica della conoscenza", per cui
ogni scelta scientifica, esplicitamente o no, deve rispondere a cri- di Sara Gilotta
teri di valore , che non solo non devono nuocere all'umanità, ma, semmai, guidarla verso mete positive ed equilibrate, tenendo presente innanzitutto un fatto estremamente semplice da esprimere con le parole, ma altrettanto difficile da
realizzare e cioè che gli scienziati devono accettare di avere una peculiare
responsabilità verso la società e l'intero
genere umano, in modo che siano essi e
le loro scoperte a servire l'umanità , per
porre le basi di un nuovo sviluppo della
cultura e della creatività ed impedire ogni
forma di alienazione sia intellettuale, che
politica.
Cultu 21
Gennaio
2007
La mela tra
storia e mito
Appartenente alla famiglia botanica delle “Rosaceae” e del genere “Malus domestica” la nostra amata mela compare spessissimo
nella lunga storia dell’uomo, tanto che la storia stessa sarebbe stata sicuramente ben diversa se questo frutto non vi fosse entrato con
tale prepotenza. Il primo consumo di questo onnipresente prodotto
dalle prime pagine della Bibbia
stabilisce il confine tra una vita
paradisiaca, ricca di gioia, di agi
e delizie ed una vita brevissima
arricchita di tribolazioni, pericoli e malattie. La mela diventa in
questo modo simbolo del bene e
del male, dell’obbedienza e della disobbedienza dell’uomo alle
regole stabilite da Dio, dell’amore
e dell’odio,
di Emanuela Ciarla
insomma racchiude in sé
una coinciDocente di materie
denza di oppoletterarie e sommelier
sti. Il cibo
diventa qualcosa di più di un semplice nutrimento: è fonte di vita
eterna, è promessa futura, ma anche
forte limite dell’autonomia dell’uomo.
In questo frutto si può simboleggiare l’essenza dell’uomo, che lo
rende diverso e superiore agli altri
esseri viventi. Adamo è infatti l’unica creatura che può dialogare con
Dio, elabora concetti e regole, è
consapevole delle conseguenze ma
il rischio lo attrae. Il frutto è lì a
conferma della sua dimensione umana, simile a Dio, ma non uguale,
signore della terra ma non dell’universo. Il suo viaggio sarà un percorso
difficile, fatto
allo stesso tempo
di abbondanza e
di carestia, attraverso il nutrimento del corpo
ma anche e soprattutto dello spirito.
La mela diventa poi
una delle cause della guerra più famosa dell’antichità, quando Paride,
giudice nella contesa per
la più bella tra le dee,
consegna il mitico
frutto ad Afrodite,
indispettendo
Giunone e Minerva.
Afrodite per ringraziarlo gli farà
incontrare la più
bella tra le donne,
Elena,
moglie di Menelao, che
per riprendersi la sposa, non intenzionata a
ritornare dal suo legittimo, scatenerà la guerra di
Troia. In Asia, nel mondo prebiblico, la mela era legata alla
simbologia della bellezza e alla
prosperità, in India compare in numerosi scritti antichi insieme al
pepe nero e rosa, come stimolante e ricostituente sia
per gli uomini e le don“La mela racchiude in sé
ne. Nella Bibbia nel cantico dei Cantici leggiamo:
una coincidenza di opposti...
“Presto portate dolci d’uva che mi restituiscano forza, e mele che mi diano
In questo frutto
sostegno…”
Nella mitologia greca
si può simboleggiare
proprio attraverso le mele
Ippomene conquistò la bell’essenza dell’uomo,
lissima Atalanta ricorrendo
ad una operazione astuta. La fanciulla si sarebche lo rende diverso
be offerta a colui che l’avesse battuta nella corsa,
e superiore
ma avrebbe ucciso tutti gli
sconfitti. Ippomene furagli altri esseri viventi”
bescamente lasciò cadere tre mele d’oro sulla pista
che fecero distrarre la fani suoi contemporanei trattano
ciulla attardatasi a raccoglierle, perquesto nobile frutto, sempre predendo la corsa.
sente nelle nature morte.
Troviamo le mele in molte rapNell’immaginario collettivo di granpresentazioni dell’arte antica, da
di e piccini la mela è sempre prequella mesopotamica, alla egizia,
sente, da Biancaneve con la mela
alla greca e alla romana; In Italia
avvelenata, a Newton che si narne abbiamo uno splendido esemra abbia intuito le leggi relative
pio negli stupendi mosaici della
alla forza di gravità vedendo cadeVilla del Casale a Piazza Armerina
re proprio uno di
in Sicilia. Non possiamo dimenquesti frutti. Certo
ticare come il Caranon possiamo
vaggio e
dimenticare
Guglielmo Tell
e la sua balestra, né la
“Grande Mela”
che ci guarda
oltreoceano.
22 Arte
Gennaio
2007
Il Battesimo
In chiusura del tempo natalizio la Chiesa celebra la festa del Battesimo di Cristo
come definitiva Epifania dell’Essere: dopo
la manifestazione al popolo ebraico (l’annuncio del Natale ai pastori di Betlemme)
e al mondo intero (l’Adorazione dei Magi), l’Essere
manifesta pienamente se stesso nella rivelazione della Trinitá.
Rivelazione che si imprime così profondamente
nell’animo dei primi discepoli da essere menzionata
da tutti e quattro gli Evangelisti e dal libro degli
Atti. L’accorata preghiera del profeta Isaia: “Se
tu squarciassi i cieli e scendessi!” trova qui piena risposta: Giovanni Battista vede aprirsi i cieli e ode la voce del Padre certificare: “Questi è
il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!”. Lo Spirito
Santo poi, sotto apparenze di colomba, scende su
Gesù e vi rimane cancellando così l’antica maledizione: “Il mio spirito non rimarrà per sempre
nell’uomo a causa del peccato” (Gen 6,3). Chiunque
aderisce per fede a Cristo, entra nell’esperienza
del dimorare nello Spirito e contempla nel Figlio
la gloria del Padre.
Per penetrare più profondamente in questo mistero, vogliamo farci aiutare dalla voce eloquente di Piero della Francesca, originale artista italiano del quattrocento, che ci ha lasciato un mirabile commento pittorico del Battesimo di Cristo. Il
Battesimo di Cristo fu una delle prime opere di
Piero (alcuni studiosi suggeriscono come datazione gli anni fra il 1440-1445) e risulta essere di
una modernità straordinaria. La religiosità dell’evento
traspare dall’intensità della luce e dalla bellezza
armonica della composizione. Né Cristo, né il Battista,
né gli angeli hanno aureole e la colomba dello
Spirito Santo si distingue appena dalle nuvole che
attraversano il cielo. Piero invita l’osservatore ad
andare a Dio attraverso l’umanità di Cristo. Tutto,
nel dipinto, è estremamente umano e incarnato,
eppure tutto è etereo e limpidissimo, di una bellezza che riporta alla creazione originaria. Il Giordano
è raffigurato come uno dei torrenti umbri, così
come umbra, e per nulla ispirata alla Palestina,
è la vegetazione che lo attornia. Alla destra del
Cristo, sullo sfondo, si intravede un piccolo centro abitato, è Borgo San Sepolcro cittadina dell’autore e cornice geografica della chiesa a cui
era destinato il dipinto. Questo paesaggio, così
noto al pittore e ai suoi contemporanei, è immerso
in un aria diversa: in un’atmosfera carica di mistero e di bellezza. L’incarnazione del resto è la restaurazione di tutte le cose in Cristo e chi aderisce a
Lui per mezzo della fede, entra nelle acque salutari del suo battesimo e riemerge rinnovato. Piero
della Francesca celebra qui la tersa bellezza di
un mondo rinnovato dalla grazia.
Questo dipinto è una intensa meditazione del
mistero di Cristo attraverso la Scrittura.
L’evento del Battesimo è letto alla luce degli
oracoli profetici: lo Spirito del Signore scende sul Messia (Is 61,1); i monti e i colli si sono
appianati e le valli colmate (Is 40, 3-5), lasciando il posto a un paesaggio dolce e primaverile, con teneri germogli che spuntano qua e là.
L’intera natura partecipa alla nuova alleanza:
Dio risponde all’uomo, scendendo dal cielo e
il cielo - riflesso nelle acque del ruscello - risponde alla terra, come canta Osea (2, 23-24)
Contrariamente all’iconografia classica, che dipinge il Cristo immerso nel Giordano, Piero lo raffigura all’asciutto: le acque del Giordano, infatti, si ritirano dinanzi al passaggio del Signore,
così come si ritrassero nei giorni antichi, al passaggio di Giosuè a capo del popolo. Pace e concordia, rappresentata da due dei tre angeli, si
abbracciano e l’uomo (in secondo piano sulle rive del ruscello) sciolto dal peccato che lo
teneva ricurvo, si riveste del Signore Gesù Cristo.
L’arte si rivela così un mezzo prezioso per la
di don Marco Nemesi
preghiera e la meditazione dei semplici, aiutandoli a conoscere e a penetrare i misteri della Parola.
L’opera di Piero, era originariamente collocata dietro l’altare maggiore della Cattedrale di Borgo San
Sepolcro, dove il sacerdote celebrava l’Eucaristia.
Si comprende allora come la discesa dello Spirito
Santo su Gesù rimandi all’epiclesi della Santa Messa:
la colomba si libra proprio sopra il capo del Signore
e la mano destra del Battista s’interpone fra i due
proprio come le mani del sacerdote sulle offerte. La colomba si trova al centro di un ampio cerchio che abbraccia la volta e si chiude nella parte sottostante, con la linea suggerita dal braccio
destro dell’angelo e dal braccio sinistro, leggermente piegato, del Battista: la sfera del divino irrompe nell’umano e lo trasfigura. I tre misteriosi angeli sulla sinistra, non partecipano al rito portando
le vesti del Salvatore, come invece avviene nella maggior parte delle raffigurazioni del Battesimo,
ma sono pure presenze che invitano - con la posizione del corpo e con lo sguardo - ad entrare nel
mistero rappresentato. Fra le tante ipotesi avanzate su questi tre angeli, qualcuno ha visto in essi
la personificazione della Trinità o vi possiamo scorgere le tre virtù teologali: la fede, la speranza e
la carità mediante le quali si possono penetrare
i divini misteri.
Giovanni il Battista, insieme con l’angelo in vesti
rosse e blu, conducono l’osservatore a fissare lo
sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede
(Eb12, 2). Entrambe le figure, infatti, con un gesto
delicato della mano indicano il Salvatore. Giovanni
Battista, guardando verso Gesù e genuflettendo
leggermente una delle ginocchia, invita all’adorazione, mentre il colore degli abiti del primo angelo alludono al mistero che si adora: il rosso, l’umanità di Gesù -la sua passione e morte -e il blu,
la sua divinità. Gli stessi colori si ritrovano nell’abito di Cristo dell’icona della Trinità di
Rublëv. Le ali multicolore dell’Angelo rievocano le piume del
pavo-
ne o dell’uccello del paradiso, entrambi simboli della risurrezione.
Sullo sfondo del dipinto, a destra dell’osservatore si scorge un uomo seminudo,
colto nell’atto di indossare l’abito. Il biancore della sua pelle, del tutto simile a quella di
Gesù, fa pensare al neofita che ha già attraversato le acque salutari del Battesimo e si riveste di
Cristo. Candido, come la pelle di Cristo e del neofita, è anche il tronco dell’albero in primo piano.
Quest’albero, e quell’altro più in ombra semi nascosto dagli angeli, è volutamente diverso dagli altri
presenti nel paesaggio. Sullo sfondo abbiamo delle conifere, mentre gli alberi in primo piano, belli e frondosi, sono più simili agli alberi da frutta
e rimandano ai due alberi del paradiso terrestre:
l’albero della conoscenza del bene e del male e
(quello in ombra) l’albero della vita. Il simbolismo è chiaro: chi si riveste del Signore Gesù Cristo
ed entra nella familiarità con Lui, riacquista il candore e la bellezza originaria. Dietro al neofita si
intravedono altri uomini, in abiti ampi e con copricapo di diversa foggia. Questi, in contrapposizione
alla compostezza degli altri personaggi, sembrano muoversi e discutere animatamente. Se si fa
riferimento al Vangelo possiamo vedere rappresentati in essi farisei e sadducei, ma se si fa riferimento al momento storico in cui Piero della Francesca
ha dipinto il Battesimo, allora questi personaggi
sembrano rappresentare la controversia tra la chiesa d’oriente e quella d’occidente attorno al Mistero
della Trinità, controversia che si placò nel 1439,
in seguito ad un accordo raggiunto col Concilio
di Firenze. L’accordo tuttavia fu breve, decadde
subito dopo e non fu mai sancito. Piero dipinge
la sua tavola, quando appunto la prospettiva di una
ritrovata concordia fra le due Chiese era ormai sfumata. L’uomo seminudo, non ha abiti che permettano
di collocarlo in un’epoca; non indossa, come Cristo,
il perizoma; non è un uomo del tempo di Gesù,
ma è il credente di ogni tempo, è la Chiesa che
attraversa i secoli e le epoche: già santificata, per
i meriti e la grazia di Gesù Cristo, eppure sempre bisognosa di perfezionarsi, di rivestirsi di Cristo
per essere senza macchia né ruga.
L’arte sacra è un annuncio di salvezza: chi la contempla non può rimanere uguale a prima. Nel dipinto i tre angeli posti fra i due alberi dell’Eden ci
inquietano; ad essi Piero affida il compito di provocare l’osservatore. Essi, come già detto, sono
stati variamente interpretati, ma è soprattutto il
loro sguardo a porci degli interrogativi.
L’angelo della concordia guarda il mistero che
si sta compiendo e il suo sguardo è assorto
e contemplativo, va oltre il visibile. La sua
carne, bianchissima come quella di Gesù, esprime purezza e luminosità. Egli ci interroga
circa il mistero, quale posto occupa nella nostra
vita la contemplazione e il silenzio, il rapporto con Dio. L’angelo della Pace ci guarda diritti in volto. Osserva proprio noi, mentre abbraccia la concordia, quasi a rimarcare d’essere una sola cosa con lei. La pace e
la concordia sono in parte doni di Dio e in
parte impegno dell’uomo. Egli dunque rinvia al nostro rapporto con gli altri, al nostro
impegno per la giustizia e per la pace. L’ultimo
angelo ci volge le spalle, ma si trova nella
nostra stessa posizione rispetto al Mistero.
Anch’esso sembra guardare il Cristo, eppure il suo sguardo si dirige più lontano, forse si posa sull’uomo ricurvo, appena uscito dal lavacro purificatore, oppure scruta gli
uomini in ampie cappe e mantelli. Egli ci
invita a riflettere sui segni dei tempi. Invita
a guardare la storia, non con l’occhio distratto della cronaca, ma con lo sguardo penetrante di Dio, alla luce cioè, della rivelazione
che trova in Cristo la sua pienezza.
A p p u n t a - 23
Gennaio
2007
GENNAIO
5 venerdì - S. Amelia
Monastero invisibile
6 sabato - EPIFANIA DEL SIGNORE
(s) P
Giornata Mondiale
dell’Infanzia Missionaria
18° Anniversario dell’Ordinazione
Episcopale di S.E. Mons. Andrea M.
Erba
7 domenica - BATT. DEL SIGNORE
C (f)
8 lunedì - S. Severino I sett. I sett. T.O.
12 venerdì - S. Cesira
Incontro ordinario del Vescovo con
i responsabili degli Uffici di Curia
13 sabato - S. Ilario (mf)
14 domenica - II DOM. T.O. C
II sett.
94a Giornata Mondiale del Migrante
e del Rifugiato
93a Giornata per le migrazioni
PASTORALE GIOVANILE: Incontri
di spiritualità per adulti - VELLETRI,
Centro S. Maria dell’Acero dalle 15,30
alle 18,30
17 mercoledì - S. Antonio abate
(m)
XVIII Giornata per l’Approfondimento
e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano
Festa di Sant’Antonio Abate in:
Montelanico: Parr. S. Pietro Apostolo
Segni: Parr. S. Maria degli Angeli
Velletri: nell’omonima Rettoria
Velletri: Parr. S. Paolo Apostolo
Artena: Parr. S. Maria di Gesù
Gavignano: nell’omonima chiesa
18 giovedì - S. Margherita d’ Ungheria
19 venerdì - S. Mario e fam.
RITIRO DEL CLERO
20 sabato - S. Fabiano
(mf)
Valmontone: S. Sebastiano m.,
festa del titolare dell’omonima parrocchia
Velletri: Cattedrale di S. Clemente
I, celebrazione per S. Sebastiano Patrono
dei Vigili Urbani
21 domenica - III DOM. T.O.C. III sett.
PG: Incontri dell’Acero - VELLETRI,
Centro S. Maria dell’Acero
Festeggiamenti in onore di S. Antonio
Abate
Velletri: Rettoria S. Antonio Abate
Segni: S. Maria degli Angeli
Artena: S. Maria del Gesù
22 lunedì- S. Vincenzo
(mf)
Compleanno di S.E. Mons. Vincenzo
Apicella
Gavignano: S. Antonio Abate, S. Messa
e Benedizione animali e auto
18° Anniversario dell’inizio del
Ministero Episcopale di S. E. Mons.
Andrea M. Erba
24 mercoledì - S. Francesco di Sales (m)
25 giovedì - Conversione di S.Paolo (f)
26 venerdì - Ss. Timoteo e Tito
(m)
CONSIGLIO PRESBITERALE - convocazione ordinaria
27 sabato - S.Vitaliano Papa, nato a Segni
Segni: S. Vitaliano compatrono della città, festa nella Concattedrale di
S. Maria Assunta
Segni: Istituto Mons. Signori - Suore
Serve del Signore e della Vergine di
Matarà, Festa di S. Vitaliano Papa
Velletri: Suore Orsoline dell’Unione
Romana, Festa della Fondatrice S.
Angela Merici
PG: Le Notti di Nicodemo - I 10
Comandamenti - VALMONTONE, Parr.
S. Anna
28 domenica - IV DOM. T.O. C
1° Anniversario della nomina a
Pastore della Diocesi di S.E. Mons.
Vincenzo Apicella
29 lunedì- S. Valerio
54a Giornata dei malati di Lebbra
30 martedì - S. Martina
31 mercoledì - S. Giovanni Bosco (m)
Colleferro: Parr. S. Barbara, S. Messa
in Memoria di S. Giovanni Bosco
FEBBRAIO
2 venerdì - Present. del Signore (f) P
XI Giornata della Vita Consacrata
Monastero invisibile
CISM-USMI: Convegno degli Istituti
di Vita Consacrata - VELLETRI,
Cattedrale di San Clemente
3 sabato - S. Biagio
(mf)
4 domenica - V DOM. T.O. C I sett.
XIX Giornata per la Vita
5 lunedì - S. Agata
(m)
6 martedì - Ss. Paolo Miki e c.
(m)
Velletri: Cattedrale S. Clemente I, festa
di S. Geraldo ep. conf. compatrono
della città
8 giovedì - S. Girolamo Emiliani (mf)
Velletri: Parr. S. Martino, festa del
fondatore S. Girolamo Emiliani nella comunità dei Padri Somaschi
9 venerdì - S. Apollonia
Velletri: festa nell’omonima Rettoria
10 sabato - S. Scolastica
(m)
11 domenica - VI DOM. T.O. C II sett.
XV Giornata Mondiale del Malato
Segni: Suore Serve del Signore e della Vergine di Matarà, festa della comunità ‘Nostra Signora di Lourdes’
24 A p p u n t a
Gennaio
2007
Atti ufficiali del Vescovo
Prot. VSC 25A/2006
DECRETO DI NOMINA
PER LA COSTITUZIONE
DEL TRIBUNALE
ECCLESIASTICO
DIOCESANO
Dopo la morte del Rev.mo Mons.
Eteocle Trocchi, il Tribunale
ecclesiastico diocesano si è reso
vacante nella sua totale composizione. Volendo ridare alla
Diocesi questo importante e
necessario organismo, ben conoscendo le qualità umane e professionali delle persone individuate
a ricoprire i ruoli previsti, per la
facoltà concessami dal Codice di
Diritto Canonico (cf. cann.
1419§1-2; 1430; 1432; 1435 e 483)
Costituisco il Tribunale
Ecclesiastico Diocesano
che risulta così composto:
S.E. Rev.ma Mons.
Vincenzo Apicella
presidente
Dott. Avv. Alessandro Bucci
promotore di giustizia
Dott. Avv. Silvia Filippi
difensore del vincolo
Mons. Angelo Mancini
cancelliere
Don Fabrizio Marchetti
notaio
Velletri, 10.12.2006
Prot. VSC 26A/2006
DECRETO DI NOMINA
PER LA COSTITUZIONE
DEL CONSIGLIO
DIOCESANO
PER GLI AFFARI
ECONOMICI
Al termine della scadenza naturale
del CAE e con la nomina del nuovo vescovo si è reso necessario ricostituire il Consiglio Diocesano per
gli Affari Economici.
Essendo venuto a conoscenze
delle qualità professionali delle persone proposte a ricoprire il ruolo
di consiglieri nelle problematiche
economiche; per la facoltà concessami
dal Codice di Diritto Canonico (cf.
cann. 492§1-2; 493), con il presente
decreto che ha immediato vigore
Costituisco il Consiglio
Diocesano per gli Affari
Economici e nomino voi
per il prossimo
quinquennio
ORLANDI mons. Gino
vic. ep.le per l’economia
DUCCI Prof. Luigi
MARCANTONIO dott.
Pietro
PERICA avv. Giuseppe
VALENZI dott. Alberto
Membri di detto
Consiglio.
Velletri, 10.12.2006
? Vincenzo Apicella
Mons. Angelo Mancini
Cancelliere Vescovile