Gennaio 2007
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Gennaio 2007
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 96100596 - [email protected] Velletri-Segni Chiesa Suburbicaria Anno 4 - numero 1 (27) Gennaio 2007 ? Vincenzo Apicella Il 31 dicembre 1968 si svolse a Sotto il Monte, paese natale di Giovanni XXIII autore dell’enciclica Pacem in Terris, la prima Marcia della Pace e, dal 1° gennaio successivo è celebrata in questa data la Giornata della Pace per volontà di Paolo VI, che poco tempo prima aveva scritto la Populorum Progressio, altro grande punto di riferimento per i costruttori di pace. Dopo la grande stagione di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI prosegue nello sforzo di richiamare tutti gli uomini alle esigenze della pace, in un mondo che non cessa di essere insanguinato quotidianamente da un numero impressionante di conflitti, che non sono semplicemente “locali”, cioè limitati nello spazio e nel tempo, ma minacciano di coinvolgere tutti attraverso le nuove forme di terrorismo e l’ormai assodata globalizzazione. Già nel suo primo Messaggio per la Pace, del 1° gennaio dell’anno che si chiude, il Papa aveva affermato il suo primario e forte impegno per la pace richiamando le ragioni che lo hanno indotto a scegliere il suo nome da Pontefice: S. Benedetto, patrono dell’Europa e il suo immediato predecessore Benedetto, campione della lotta contro “l’inutile strage” del primo conflitto mondiale. Si è scelto questa volta di celebrare la Giornata della Pace, proprio a Norcia, la culla della vicenda benedettina, punto di partenza di una impresa che costituisce per il nostro continente la radice della sua cultura. E alla radice va anche Benedetto XVI con il Messaggio per la Giornata della Pace di questo 1° gennaio 2007, dal titolo significativo: “La Persona umana, cuore della pace”. Sappiamo che la pace non è solo sospensione, più o meno temporanea, della guerra, ma è benessere, equilibrio, pienezza di vita, secondo il significato profondo dello Shalom biblico, il primo saluto e il primo dono del Risorto ai suoi discepoli, quel saluto con cui inizia ogni nostro incontro liturgico. Perché questo dono possa essere accolto e vissuto occorre che prima siano risanate le quattro terribili fratture che il peccato produce nella nostra esistenza: la frattura della propria coscienza, quella del rapporto con Dio, con le altre persone e con la stessa natura che ci circonda. Nel suo messaggio Benedetto XVI percorre, con la lucidità e la profondità che gli sono proprie, tutto questo itinerario, parlando di una ecolo- gia che non interessa soltanto l’ambiente, ma deve diventare anche ecologia umana ed ecologia sociale. Questo sarà possibile solo quando la persona umana sarà accolta come valore assoluto e trascendente, in quanto porta in se stessa, come dato costitutivo, la stessa immagine e somiglianza del suo Creatore. Ogni discriminazione, ogni limitazione di questo dato fondamentale non può che portare all’emarginazione, allo sfruttamento, alla strumentalizzazione e alla possibile eliminazione di intere categorie di esseri umani. Ecco perché il riconoscimento della dignità intangibile di ogni uomo, senza distinzione di razza, di sesso, di cultura, di fede religiosa, di potere economico o sociale è veramente il punto di partenza ed il cuore della pace. Tutti sono disponibili a riconoscere i diritti fondamentali dell’uomo, enunciati anche in tanti solenni documenti a tutti i livelli, ma il problema è sempre quello di chiarire qual è il fondamento e la sorgente di tali diritti, che implicano, d’altra parte, i corrispettivi doveri. Solo da qui può derivare il rispetto per la vita, per ogni vita, nascente, matura o morente, e per la libertà di ogni persona Se la pace è anzitutto dono del Risorto essa diventa anche impegno dell’uomo che lo riceve, ecco perché l’ultima parte del messaggio è rivolto soprattutto ai credenti, che devono saper condividere con i fratelli quanto hanno ricevuto, se lo hanno veramente accolto nel suo più profondo significato. 2 Q UESTO GIORNATA DELLA PACE 1 “La persona umana cuore della Pace” di S.E. Mons. Vincenzo Apicella GIORNATA DELLA PACE 3 La Pace pensando ai bambini di Stanislao Fioramonti GRANDI TEMI 4 Il fatto sociale e il Vangelo sono inscindibili tra loro a cura di Stanislao Fioramonti CONCILIO VATICANO II 5 Ancora sul sacerdozio comune dei fedeli di don Dario Vitali CHIESA&DIOCESI 6-7 Millenario della nascita di San Pier Damiani San Pier Damiani: un testimone di Cristo che ci interroga ancora di don Dario Vitali Pier Damiani: appunti per una biografia (I parte) di Francesco Cipollini CHIESA 8-9 Domenica: Ricchezza e Sfide Discorso tenuto dall’Eminentissimo Card. Francis Arinze, alla Giornata di Studio per la Commemorazione della Sacrosantum Concilium (I parte) CARITAS 10 Una Chiesa che ama: l’enciclica di Benedetto XVI ‘Deus Caritas Est’ di don Cesare Chialastri PASTORALE 11 Accogliete la Parola di Dio che opera in voi che credete Lettera pastorale di S.E. Mons. Vincenzo Apicella alla Diocesi Gennaio 2007 MESE PARLIAMO DI ... VOCAZIONI 12-13 S. Maria Assunta, la Concattredale di Segni La storia, la vita della parrocchia nella comunità cittadina a cura della Redazione FAMIGLIA&DIACONATO 14 Elkana e Anna: il dramma della sterilità del Dorina e Nicolino Tartaglione FAMIGLIA 15 PacsFamiglia, perché? di Pier Giorgio Liverani VOCAZIONI 16 L’accompagnamento vocazionale nel ministero presbiterale di Mons. Leonardo D’Ascenzo MUSICA&LITURGIA 17 Il dramma liturgico di Mara Della Vecchia Ecclesia in cammino Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni DIOCESI 18 Uno ‘strano’convegno diocesano di Stanislao Fioramonti CULTURA 20 Una riflessione sul sofferto rapporto tra etica e scienza di Sara Gilotta CULTURA 21 La mela tra storia e mito di Emanuela Ciarla ARTE 22 Il Battesimo di don Marco Nemesi Il contenuto di articoli, servizi, foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione. Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubblicati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizzazione del direttore. Direttore Responsabile Don Angelo Mancini Vicedirettore Fabio Ciarla Collaboratori Stanislao Fioramonti Tonino Parmeggiani Proprietà Diocesi di Velletri-Segni Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 Stampa: Tipolitografia Edizioni Anselmi s.r.l. - Marigliano (NA) Redazione C.so della Repubblica 343 00049 VELLETRI RM 06.9630051 fax 96100596 [email protected] A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. Mons. Vincenzo Apicella,don Dario Vitali, Francesco Cipollini, S. E.za Card. Francis Arinze, don Cesare Chialastri, Dorina e Nicolino Tartagione, diac. Pietro Latini, Pier Giorgio Liverani, Mons. Leonardo D’Ascenzo, Antonio Galati, Mara Della Vecchia, Sara Gilotta, Emanuela Ciarla, don Marco Nemesi. Consultabile online in formato pdf sul sito: www.diocesi.velletri-segni.it DISTRIBUZIONE GRATUITA Gennaio 2007 E' il tema della prossima Giornata mondiale della Pace (1° gennaio 2007), scelto da Benedetto XVI "pensando ai bambini, specie a quelli il cui futuro è compromesso dallo sfruttamento e dalla cattiveria di adulti senza scrupoli". Per il papa, rispettando la persona umana si promuove la pace e si pongono le premesse di un futuro sereno per le nuove generazioni. La pace, intesa come capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà, è però un dono e un compito. E' un dono di Dio, che con la creazione e la redenzione ha voluto un mondo armonioso e un uomo libero, nella cui coscienza si rispecdi Stanislao Fioramonti chia la sapienza divina; ed è un compito perché ci impegna a rispondere coerentemente con il piano divino. Accogliendo e rispettando le norme del diritto naturale che Dio Creatore ha posto nel cuore dell'uomo, sarà possibile il dialogo tra credenti di varie fedi e tra credenti e non credenti, dialogo che è il presupposto fondamentale di un'autentica pace. Rispettare la dignità umana è un dovere, e siccome la pace si fonda sul rispetto dei diritti di tutti, non si può disporre a piacimento della persona. La Chiesa, paladina dei diritti fondamentali di ogni persona, rivendica in particolare il rispetto della vita e della libertà religiosa: senza questi valori si facilita una mentalità e una cultura contrarie alla pace. Riguardo al diritto alla vita, il papa denuncia lo scempio che della vita si fa nella nostra società, a causa di conflitti armati, terrorismo, violenza, fame, aborto, sperimentazione sugli embrioni, eutanasia; questi ultimi due in particolare sono la negazione dell'accoglienza dell'altro, quindi la negazione della pace. Riguardo alla libertà religiosa, se questa manca, manca la pace, come dimostrano i cristiani impediti, perseguitati e anche uccisi, oppure i regimi che impongono un'unica religione, o i regimi indifferenti che dileggiano il credo religioso altrui. La pace è minacciata poi dalle tante ingiuste disuguaglianze ancora presenti nel mondo: disuguaglianze nell'accesso ai beni essenziali (cibo, acqua, casa, salute); disuguaglianze tra uomo e donna nell'esercizio dei diritti umani fondamentali; scarsa considerazione per la condizione femminile (donne sfruttate o mortificate nella loro dignità o rigidamente sottomesse all'uomo). Oltre a questa ecologia della natura, Grandi l'uomo costruttore di pace deve rispettare la propria ecologia umana, la struttura naturale e morale ricevuta da Dio; e deve considerare i rapporti tra queste due ecologie, perché il mancato rispetto dell'ambiente danneggia la convivenza umana, e viceversa. La pace con il creato è legata alla pace tra gli uomini, ed entrambe presuppongono la pace con Dio; lo esemplifica il "Cantico di frate Sole" di S. Francesco, e lo dimostra il problema dei rifornimenti energetici: la corsa alle risorse disponibili iniziata da nuove nazioni industrializzate contrasta con la grande arretratezza in cui ancora vivono molte regioni del mondo, prive di sviluppo anche per gli alti prezzi dell'energia; tale squilibrio sottintende interrogativi che non predispongono certo alla pace tra le nazioni. Da qui l'urgenza di rapporti tra gli uomini rispettosi della natura e della dignità e dei bisogni delle persone, perché la distruzione dell'ambiente, il suo uso improprio e l'accaparramento violento delle sue risorse sono segno di sviluppo disumano: non può essere integrale lo sviluppo limitato solo all'aspetto tecnico-economico, che trascuri la dimensione morale-religiosa. Il papa propone una ecologia umana favorevole alla crescita dell'albero della pace, che parta da una visione dell'uomo priva di pregiudizi e di interessi, di concezioni antropologiche portatrici di contrapposizione e di violenza, di concezio- ni di Dio che portano alla insofferenza o alla violenza: una guerra in nome di Dio è sempre inaccettabile. Oggi però la pace è avversata, oltre che dalle ideologie, dall'indifferenza verso quanto costituisce la vera natura dell'uomo: una visione 'debole' della persona che solo in apparenza favorisce la pace, perché in realtà facilita le imposizioni autoritarie. La pace vera e stabile invece presuppone il rispetto dei diritti dell'uomo, diritti deboli se fondati su una visione debole, relativistica della persona. Citando il Mahatma Gandhi, il papa aggiunge che solo uomini consapevoli dei propri doveri possono difendere i diritti umani, oggi gravemente attaccati. Tra gli organismi internazionali, il compito di tutelarli e di promuoverli, sulla base della Dichiarazione universale del 1948, spetta soprattutto all'ONU; non perdere di vista il fondamento naturale dei diritti dell'uomo eviterà agli organismi internazionali di interpretarli solo in chiave positivistica, cosa che li priverebbe dell'autorevolezza necessaria al loro compito. La consapevolezza di diritti connessi alla natura umana ha portato ad elaborare un diritto umanitario internazionale che impegna gli Stati anche in caso di guerra; la sua applicazione però è spesso incoerente, come dimostra il recente conflitto libanese e in genere la 'nuova' violenza impiegata dal terrorismo. Il diritto umanitario internazionale invece deve applicarsi in tutte le situazioni di guerra, comprese quelle senza regole del terrorismo. La guerra è sempre un fallimento e una grave perdita di umanità, ma quando vi si arriva, si salvaguardino almeno i principi essenziali di umanità e i valori fondanti la civile convivenza. Altro motivo di preoccupazione è il ricorso di alcuni stati agli armamenti nucleari, con il timore di una catastrofe atomica, come in passato negli anni della 'guerra fredda'. Alla condanna per tale scelta, già espressa dal Concilio con la "Gaudium et Spes", occorre unire la trattativa insistente sia per la non proliferazione delle armi nucleari, sia per la riduzione e lo smantellamento di quelle esistenti. Il messaggio papale si conclude con l'appello a ogni cristiano, perché si consideri e si comporti come operatore di pace e difensore della dignità e dei diritti dell'uomo, per contribuire a un vero umanesimo integrale secondo le direttive della "Populorum progressio" e della "Sollicitudo rei socialis". L'invocazione a Maria Regina della Pace chiude il documento. 3 4 Gennaio 2007 Grandi Sollecitazioni per il nuovo anno “Vi incoraggio ad approfondire sempre di più la vostra vita di fede tenendo ben presenti gli orientamenti emersi dal recente incontro della Chiesa italiana a Verona”. E’ necessaria una “coraggiosa azione evangelizzatrice”, capace di “suscitare il rinnovamento dell’impegno dei cattolici nella società; tale rinnovamento deve avvenire anche nel Lazio”. “Compito primario della evangelizzazione è indicare in Cristo Gesù il salvatore di ogni uomo. Non stancatevi di affidarvi a Lui, di annunciarlo con la vostra vita in famiglia e in ogni ambiente. E’ questo che gli uomini anche oggi attendono dalla Chiesa e dai cristiani”. Ci sembra importante, all’inizio del nuovo anno, sottolineare le parole che il papa ha rivolto ai fedeli del Lazio nella basilica di S. Pietro mercoledì 6 dicembre 2006; i pellegrini delle diocesi di Roma e della regione si erano ritrovati all’udienza generale, accompagnati dal card. Ruini e dai 20 vescovi laziali, in occasione della visita “ad limina”, cioè al vicario di Pietro, che essi stavano compiendo proprio in quei giorni. Le “dritte” che papa Benedetto ha suggerito a tutti noi in quel breve saluto sono tre: Approfondire la propria vita di fede secondo gli orientamenti di Verona; Evangelizzare per rinnovare l’impegno dei cattolici nella società; Annunciare con la nostra vita Cristo salvatore, perché questo vogliono gli uomini. Dunque nel breve saluto del papa ai cristiani del Lazio è chiaramente indicato cosa dobbiamo fare e come dobbiamo farlo. E già il nostro Convegno diocesano di novembre si è fatto interprete di quelle sollecitazioni, scegliendo come traccia per il nuovo anno pastorale l’approfondimento della conoscenza della Parola, mediante la rilettura del documento conciliare “Dei Verbum”: che è, appunto, evangelizzarsi per evangelizzare. Sembra evidente che, in questo campo, avremo tutti moltissimo da fare. Abbiamo però la possibilità di farlo utilizzando al meglio la nostra sensibilità e la nostra fantasia. Diamoci dunque da fare, senza paure, e buon lavoro a tutti! La Redazione (…) "Con il tema 'Dio' è connesso il tema sociale: la nostra responsabilità reciproca, la nostra responsabilità per la supremazia della giustizia e dell'amore nel mondo. (…) L'amore del prossimo, che in primo luogo è sollecitudine per la giustizia, è la pietra di paragone per la fede e per l'amore di Dio. (…) Il fatto sociale e il Vangelo sono inscindibili tra loro. Dove portiamo agli uomini soltanto conoscenze, abilità, capacità tecniche e strumenti, là portiamo troppo poco. Allora sopravvengono ben presto i meccanismi della violenza, e la capacità di distruggere e di uccidere diventa la capacità prevalente per raggiungere il potere - un potere che una volta o l'altra dovrebbe portare il diritto, ma che non ne sarà mai capace. In questo modo ci si allontana sempre di più dalla riconciliazione, dall'impegno comune per la giustizia e l'amore. (…). Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano le nostre prestazioni tecniche e la nostra scienza, ma al contempo si spaventano di fronte a un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da imporre anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca. (…) La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timore di Dio - il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra. (…) Questo senso di rispetto può essere rigenerato Sintesi a cura di nel mondo occidentale soltanto se Stanislao Fioramonti cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi e in noi. Questa fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Facciamo però appello alla libertà degli uomini di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto. (…) Non veniamo meno al rispetto di altre religioni e culture, al profondo rispetto per la loro fede, se confessiamo ad alta voce e senza mezzi termini quel Dio che alla violenza oppone la sua sofferenza; che di fronte al male e al suo potere innalza, come limite e superamento, la sua misericordia…". Chie - 5 Gennaio 2007 La riscoperta del sacerdozio comune costituisce uno dei guadagni più significativi del concilio Vaticano II. I testi del Nuovo Testamento richiamati al n. 10 della Lumen Gentium ci hanno descritto non di una funzione ministeriale, ma una condizione di vita, che consiste in ultima analisi nell’offrire se stessi e tutta la propria vita in unione all’offerta di sé che Cristo ha compiuto una volta per tutte nel mistero pasquale. Ma come avviene, come si esercita il sacerdozio comune di tutti i fedeli? Dalla correlazione necessaria tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale già si poteva evincere che l’offerta di sé compiuta dai fedeli avviene e si manifesta in modo pieno nella celebrazione eucaristica. Come a dire che la partecipazione al sacerdozio di Cristo, che il concilio indica in tre dimensioni – profetica, sacerdotale e regale – si manifesta e si compie nella dimensione sacerdotale, in particolare nella celebrazione eucaristica. È qui che il popolo di Dio – bisogna sempre ricordare che il sacerdozio comune è azione di un popolo, di un corpo di cui siamo membra – offre al Padre la vittima perfetta, Cristo, e in unione con Lui offre non soltanto le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze dei presenti, ma di tutta la Chiesa e dell’intera di don Dario Vitali creazione. Si capisce allora Parroco e Teologo perché il n. 11 descriva anzitutto la «comunità sacerdotale», e faccia derivare la sua «indole sacra e organicamente strutturata… sia dai sacramenti che dalle virtù». Chi conosce il modo di concepire la Chiesa prima del concilio, quando in evidenza venivano posti gli elementi istituzionali, radicalizzando la distanza tra clero e fedeli, potrà capire la forza della novità proposta dal concilio. Purtroppo, i commentatori si fermano poco su questo capovolgimento di prospettiva, peraltro limitandosi a sviluppare l’aspetto sacramentale – anche perché il testo è costruito sulla sequenza dei sette sacramenti – senza sottolineare quello delle virtù. Eppure, in ogni passaggio i sue aspetti sono sempre coimplicati. Si legga, ad esempio, la parte di testo che si riferisce ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana: «I fedeli, incorporati nella Chiesa con il battesimo, sono deputati al culto della religione cristiana dal carattere e, essendo rigenerati per essere figli di Dio, sono tenuti a professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa. Con il sacramento della confermazione vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dello Spirito santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo. Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la vit- tima divina e se stessi con essa; così tutti, sia con l’oblazione che con la santa comunione, compiono la propria parte nell’azione liturgica, non però indistintamente, ma chi in un modo e chi in un altro. Cibandosi poi del corpo di Cristo nella santa assemblea, mostrano concretamente l’unità del popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è felicemente espressa e mirabilmente prodotta». La dimensione sacramentale è subito identificabile; meno quella relativa alle virtù. Anche perché il testo non spiega di cosa si tratti. Ma già in LG 8, la costituzione aveva introdotto una descrizione impegnativa della Chiesa in analogia al mistero del Verbo incarnato con una formula ardita: la Chiesa è comunità di fede, speranza e carità. Sono, queste, le virtù teologali. La tradizione teologica – soprattutto quella che fa capo a san Tommaso d’Aquino, ravvisava in esse il principio della vita cristiana, in quanto innalzano l’uomo alla capacità – superiore alle forze umane – di credere, sperare e amare Dio e tutte le cose in Dio. Per capire come la comunità sacerdotale venga edificata mediante le virtù, basta pensare agli effetti del battesimo: il sacramento della rigenerazione, nel momento in cui innesta il credente nella vita in Cristo, lo concorpora – espressione felice della teologia medioevale – nella Chiesa, come una delle membra del corpo di Cristo, di cui Cristo è la testa. Come a dire che per il cristiano non esiste un prima della relazione personale con Cristo, e un poi della vita ecclesiale: i due momenti sono dati sempre insieme, come aspetti necessari dell’unico evento della salvezza in Cristo. Ma dire corpo di Cristo è dire Chiesa nel senso più profondo del termine, come unità dei credenti che scaturisce non da una decisione propria, ma dall’azione dello Spirito che unifica e edifica i credenti nell’unità con Cristo e tra di loro: unità che non è di ordine sociologico – la somma di quanti appartengono alla Chiesa – ma sacramentale, dal momento che i battezzati sono «realmente» le membra di questo corpo. Ancora una volta si può richiamare qui san Tommaso, quando spiegava la vita della Chiesa in forza della gratia capitis. Con questa espressione egli indicava il Cristo-capo, il Signore glorificato alla destra del Padre che con la sua potenza – manifestata dall’effusione dello Spirito santo – unisce a sé e compagina come membra del suo corpo i battezzati. È lo Spirito, infatti, che vivifica il corpo, nel quale la diversità dei doni, delle vocazioni, dei carismi e ministeri non è annullata ma composta in unità. La lettera agli Efesini afferma che è Cristo, mediante il sono del suo Spirito, che «ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, affinché arri- viamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,11-13). Una prospettiva del genere sottrae la vita cristiana a una concezione individualistica, che rende la fede un fatto privato e la svuota della sua capacità testimoniale. D’altronde, la fede, la speranza e la carità sono prima di tutti dono di Dio alla Chiesa e quindi doni della Chiesa. Ognuno che venga alla fede è battezzato, copme dice la liturgia, nella fede della Chiesa, che preesiste e rende possibile la fede del singolo. Così la carità, che è la regola suprema della Chiesa, al punto che molti Padri usavato il termine agape/charitas come sinonimo di Chiesa. Il che significa che ciascun credente possiede la fede, la speranza e la carità in quanto innestato nella Chiesa dal battesimo, e matura in queste virtù a condizione della vita nella Chiesa, che costituisce il contesto, l’ambiente per la sussistenza e la crescita della vita in Cristo. La forza di questa concezione emerge nella descrizione dei due sacramenti della guarigione. Descrivendo la penitenza, il concilio afferma: «Quanti si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono per le offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita con il peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, con l’esempio e la preghiera». E in merito all’unzione degli infermi, dopo aver precisato che la Chiesa sostiene i malati, li esorta «a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio». Dei ministri ordinati si dice – con una formula densa – che «sono posti in nome di Cristo a pascere la Chiesa con la parola e con la grazia di Dio». Degli sposi, invece, si dice che hanno, «nel loro stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono in seno al Popolo di Dio», in quanto da loro procede la famiglia, “chiesa domestica”, dentro la quale sono i primi annunciatori della fede con la parola e con l’esempio, chiamati a far crescere la vocazione di ognuno. La conclusione è eloquente: «Muniti tanti e così mirabili mezzi di salvezza, tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste». In questo modo, nella santità di ogni battezzato risplende la santità della Chiesa, la quale – correlativamente – si adorna della santità dei suoi figli e compare davanti al suo sposo «tutta bella, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma tutta santa e immacolata» (Ef 5,27). Si capisce, allora, perché Bruno di Segni, nel libri II delle Sentenze, parlasse della fede, della speranza, della carità e di tutte le virtù come degli ornamenti – meglio sarebbe dire i gioielli – della Chiesa. 6 Chiesa&D Gennaio 2007 San Pier Damiani: un testimone di Cristo che ci interroga ancora Il 9-10 novembre del 2000, l’Istituto di Scienze Religiose di Velletri organizzò presso il Teatro Aurora un convegno di studi su san Pier Damiani. L’intenzione che sosteneva quelle giornate di studio era di potersi specchiare nella testimonianza di uno dei nostri padri – che sia stato o meno cardinale vescovo di Velletri o soltanto incaricato del papa a riformare il clero della nostra diocesi, poco cambia nell’alto profilo del grande santo – per ricevere ispirazione e insegnamento all’inizio del nuovo Millennio dell’erta cristiana. Le relazioni sulla vita e sul pensiero di questo monaco, divenuto uno dei protagonisti della Riforma della Chiesa che andrà sotto il nome di «Riforma gregoriana», hanno avuto più risonanza fuori dalla diocesi che in casa nostra, a dimostrazione che «nemo propheta in patria»: il volume, pubblicato in una collana di Storia e cultura religiosa mediovale sotto il titolo Pier Damiani († 1072). Figura, aspetti dottrinali e memoria nella diocesi di Velletri, Venafro 2003, è stato segnalato dagli organizzatori del convegno di studi che si terrà nel settembre 2007 a Faenza, in occasione del millenario della nascita del santo (1006-2006). Di quel volume, vorrei ripresentare alcuni passaggi della relazione da me tenuta in quell’occasione sugli aspetti dottrinali delle opere di san Pier Damiani, nella speranza che sia di stimolo ad accostare l’opera di un autore, le cui opere sono raccolte in due volumi della Patrologia Latina (voll. 144-145), ora tradotti in parte anche in italiano per i tipi della Città Nuova. «Non è agevole raccogliere in sintesi la teologia di San Pier Damiani (1007-1072). Sia perché i riferimenti e le implicazioni dottrinali dei suoi scritti sono vastissime e in contesti i più disparati; sia perché tali implicazioni hanno diversi punti di vista, almeno quante sono le ragioni per cui egli scrive. Non si tratta, naturalmente, di indicazioni e di prospettive contraddittorie – il pensiero di Pier Damiani risponde a un’unità interna di grande spessore –, ma composite e difficilmente riducibili a sistema. Tentare una sintesi rischierebbe di costringere i tanti passaggi dottrinali, sparsi nelle opere, in uno schema estraneo alle intenzioni e alle prospettive di un autore che scrive soprattutto testi di occasione, legati alla sua esperienza di uomo di Chiesa, impegnato nel rinnovamento della vita monastica prima, e poi della Chiesa, a fianco di grandi uomini che hanno perseguito e attuato la cosiddetta ‘riforma gregoriana’. D’altra parte, bisogna chiedersi se il titolo di teologo competa a questo santo eremita, senza per questo disconoscere la forza del suo pensiero e delle sue intuizioni. […] Piuttosto, la sua originalità si avverte quando coniuga la dottrina con la vita, applicando la teologia alla prassi ecclesiale: qui rivela la sua capacità di sintesi, con una proposta teologica che diventa la ritraduzione riflessa di una esperienza di vita tutta plasmata dall’ideale monastico. Tutto questo in linea con l’intenzione di servire la verità scrivendo per l’utilità di chi legge: ma tale utilità coincide con la santità della vita cristiana, sempre e continuamente riproposta da Pier Damiani. Se di teologo si può parlare, questo va fatto in linea con quella ‘teologia monastica’ che, partendo dalla lettura della ‘sacra pagina’, deduce le implicazioni e le applicazioni teologiche secondo il metodo della lectio divina… Lo schema interpretativo che guida tutta la sua riflessione e che raccorda in unità organica le diverse opere è quello della storia come historia salutis. Creazione, preparazione veterotestamentaria, incarnazione del Verbo, tempo della Chiesa sono le tappe successive dell’unica storia, guidata da Dio. Dio continua a operare nella storia, a guidarla secondo un progetto, che stabilisce in unità le varie epoche, dalla creazione del mondo al compimento finale. Il cristiano (cioè, il monaco) è chiamato a sviluppare questa comprensione della storia, nella quale ciò che è già avvenuto, si ripete (se è Dio che opera) o va ripetuto (se è l’uomo che deve entrare in una comprensione delle cose secondo la volontà di Dio): e la porta d’ingresso a tale comprensione, che rende possibile il reiterarsi della historia salutis, è la lettura spirituale della Bibbia. Al centro di questa storia sta, naturalmente, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il quale porta a compimento questa storia nella parousia, ma che appare già in filigrana nelle figure dell’Antico Testamento. Come per i Padri della Chiesa, anche per Pier Damiani è cosa ovvia l’unità dei due Testamenti, dove tutto porta a Cristo e tutto parla di Cristo. Novità del suo pensiero è forse l’affermazione che Dio continua a far risplendere il misteri di Cristo nella vita dei santi , quasi fossero un prolungamento dell’umanità di Cristo, o comunque, la manifestazione di una ulteriore tappa della historia salutis. All’interno di questo quadro possente, assume un rilievo tutto particolare la Chiesa. Per certi aspetti, si potrebbe dire che in Pier Damiani tutto è ecclesiologia. Quando scrive le lettere a papi, vescovi, monaci, preti, laici, il suo pensiero è sempre rivolto alla purezza della vita cristiana, collocata nel seno di una Chiesa che deve risplendere come la Chiesa delle origini. La santità dei cristiani, in tutte le vocazioni, è espressione della santità della Chiesa, e viceversa. Per capire questa prospettiva, bastano i suggerimenti di J. Leclerc: “La santa Chiesa è per Pier Damiani l’opera di Dio: essa trascende la debolezza degli uomini in mezzo ai quali si compie. ‘E’ un giardino di delizie, un paradiso spirituale, irrigato dall’onda dei carismi celesti’. I preti sono dei canali e niente altro: anche se cattivi, lasciano scorrere l’acqua; la fonte rima- di don Dario Vitali ne sempre pura. Per le mani del vescovo, fos- Parroco e teologo se anche simoniaco, è Gesù che conferisce l’ordinazione; la parola di Dio resta sempre vera anche se è predicata da una bocca indegna: la grazia la fa fruttificare in coloro che la ricevono. In essa si continua la storia sacra cominciata con l’Antico Testamento; in essa si perpetuano i miracoli che resero testimonianza al patto tra il Signore e il suo popolo eletto, per l’eternità. Il paradiso sarà il compimento di questa grande opera di salvezza che ha avuto inizio sulla terra. ‘La Chiesa attuale è il vestibolo della Chiesa celeste’; essa è di ordine escatologico. La gerarchia visibile della Chiesa ha come scopo di garantire agli uomini la vera comunicazione di tutto questo mistero. Poiché si tratta di un mistero di unità, la struttura della Chiesa deve manifestarlo”. Su questo sfondo si capiscono le tante definizioni della Chiesa, che Pier Damiani riprende dalla Scrittura e dalla tradizione patristica: Sponsa Christi, sacrarium Spiritus Sancti, dei cui doni è tutta piena, Christi vestis, corpus Christi ; scaturita dal costato di Cristo come Eva dal costato di Adamo. Per la bellezza di questa sposa Pier Damiani ha giocato la sua vita e si è lasciato sottrarre alla vita monastica. Accoglierela sua testimonianza di vita e conoscerne le motivazioni attraverso il pensiero può sospingere a intuire e prospettare nuove vie per il rinnovamento della vita cristiana, tanto a livello ecclesiale che personale. Chiesa&D 7 Gennaio 2007 Nel canto XXI del Paradiso, Dante Alighieri immagina di incontrare, nel cielo di Saturno, uno spirito con il quale si ferma a parlare della predestinazione e dell’imperscrutabilità dei disegni divini. Questi, poi, si rivela essere Pier Damiani; del quale, in circa 20 versi (106-126), il sommo poeta traccia un rapido ma pregno ritratto biografico, sottolineandone particolarmente la volontà di riforma e il suo amore per la povertà. La citazione dantesca sta a dimostrare la fama di Pier Damiani nel panorama italiano. Pietro inizia la sua esistenza terrena a Ravenna, nel 1007. Rimasto orfano del padre in tenera età, viene mandato a studiare a Faenza e a Parma dal fratello maggiore Damiano, arciprete di Ravenna. La tradizione1 vuole che, in riconoscenza per quanto ricevuto dal fratello, abbia cambiato il suo nome in Petrus Damiani, Pietro di Damiano, nome con il quale è ormai universalmente noto. I suoi studi gli fornirono una istruzione letteraria e canodi Francesco Cipollini nistica eccezionale per l’epoca. Ma il conseguente esercizio delDocente di religione e storico della Chiesa l’avvocatura non lo rendeva soddisfatto.Nel 1034/1035 entra fra gli eremiti dell’ordine camaldolese nel monastero di Fonte Avellana, sul monte Carnia, dove i monaci vivevano in capanne isolate, dedicandosi alla preghiera e alla contemplazione, non disgiunte anche da attività pratiche seguendo l’ideale di san Romualdo: ciò finalmente riempiva il cuore di Pier Damiani che poteva così trovare la sua realizzazione nella vita eremitica. Di fronte alla scelta tra “la più comoda vita claustrale”2 e “lo stretto sentiero della perfezione ascetica”3, egli sceglie quest’ultima come forma di rinuncia al mondo, come mezzo più adatto a combattere le tentazioni terrene. NOTE 1 Un’ottimo status quaestionis è riportato nella voce Pier Damiani di G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, LIII, Venezia 1851, 6-9. 2 A. DUÉ, San Pier Damiani, in I santi nella storia, II, Cinisello Balsamo 2006, 111 3 Ibidem. 4 Accesso a cariche e compiti Pier Damiani: appunti per una biografia La situazione della Chiesa, in particolare del clero, in quegli anni non era delle più rosee: la simonia4 e il nicolaismo5 dilaniavano il corpo ecclesiale. Il monachesimo cenobitico, tuttavia, viveva una stagione splendida: erano gli anni del fulgore dell’abbazia benedettina di Cluny. Amante della povertà (anche Dante nel già citato canto XXI del Paradiso gli mette in bocca una invettiva contro la ricchezza e il lusso del clero!), il solitario di Fonte Avellana la considera mezzo di santificazione, accanto alle pratiche di ascetismo. Gli eremiti devono essere poveri, ma possono utilizzare i beni materiali per l’arricchimento della casa del Signore e per aiutare i poveri. Pier Damiani, divenuto priore della comunità nel 1043, si adopera perché sia preservata l’integrità degli spazi del monastero di Camaldoli al fine di consentire un migliore isolamento, così essenziale per la fuga mundi. Somme considerevoli vengono spese per i libri: Pier Damiani ritiene necessario che i suoi eremiti si accostino al “nutrimento” che viene dalla parola dei grandi autori. L’esperienza di Pier Damiani è tutta tesa fra due opposte realtà: da una parte il disprezzo dei beni temporali, dall’altra la salvaguardia e la cura degli stessi come mezzi per la crescita spirituale. Ascesi e contemplazione si coniugano con organizzazione, proselitismo e, soprattutto, predicazione infiammata di denuncia dei mali che affliggono la chiesa. Il suo anelito di riforma non è fondato soltanto sulla teoria e limitato alle mura del suo eremo: egli viaggia per tutta l’Italia, visita i monasteri, incontra i vescovi, i sacerdoti e i monaci. Lo notano anche i papi che lo inviano spesso come loro lega- ecclesiastici dietro pagamento di somme in denaro o beni. 5 Mancato rispetto dell’obbligo del celibato da parte di ecclesiastici. 6 Il Moroni vuole teatro dello scontro la città di Civitella o Civitade. Si veda G. MORONI, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, XXXVIII, Venezia 1846, 30. 7 Collecto igitur modico quidem, sed fortium militum suae gentis exercitu, super Northmannos praeliaturus to in diverse delicate missioni. Il 18 giugno 1053 il papa Leone IX, a capo di un esercito italo-imperiale, si scontra6 con i Normanni che lo sconfiggono. Il papa viene fatto prigioniero. Bruno di Segni7 e Pier Damiani8 si chiedono perplessi se il posto del papa è a capo di un esercito! Nel 1057 Stefano IX, che era stato abate di Montecassino e aveva avuto modo di conoscerlo a fondo, lo nomina cardinale e, nonostante le sue reticenze, lo costringe ad accettare il governo della diocesi di Ostia. Il rimpianto per aver lasciato la vita eremitica lo accompagnerà per tutta la sua esistenza. Alla morte di Stefano IX (29 marzo 1058) Pier Damiani si rifiuta di consacrare papa il vescovo di Velletri, Giovanni Mincio, che, attraverso sotterfugi e promesse, era riuscito a farsi eleggere dalla nobiltà romana al soglio pontificio con il nome di Benedetto X e che verrà condannato nel sinodo di Sutri9 (gennaio 1059). Niccolò II viene eletto al posto dello scomunicato Benedetto X. Sarà questi ad inviare Pier Damiani e Anselmo di Lucca a Milano per risolvere il problema della Pataria di Arialdo, movimento che propugnava una riforma morale e disciplinare e l’instaurazione di una Chiesa più fedele al modello evangelico. Il loro intervento sarà risolutivo nell’ottenere dal vescovo di Milano, Guido, un atteggiamento più conforme ai dettami evangelici. vadit; zelum quidem Dei habens, sed non fortasse secundum scientiam. Utinam non ipse per se illuc ivisset. Si veda BRUNO DI SEGNI, S. Leonis papae vita auctore s. Brunone, (PL 165, 1116B). 8 Plane quis non videat quam sit inhonesta confusio, ut quod agendum Ecclesia denegat, impudenter ipsa committat et cum aliis praedicet patientiam, infoederabilem ipsa contra innocentes accendatur in iram? […] (fine prima parte) Si ergo pro fide, qua universalis vivit Ecclesia, nusquam ferrea corripi arma conceditur, quomodo pro terrenis ac transitoriis Ecclesiae facultatibus loricatae acies in gladios debacchantur?. Si veda PIER DAMIANI, Epistula IX. Ad Oldericum episcopum firmanum, (PL 144, 315B-316A). 9 A. FLICHE, La riforma Gregoriana e la riconquista cristiana, in A. FLICHEV. MARTIN, Storia della Chiesa, VIII, Torino 19722, 25. 8 Chiesa Gennaio 2007 Nel culto cristiano la Domenica, il Giorno del Signore, occupa un posto centrale e fondamentale. Il modo in cui il Giorno del Signore è compreso, accolto e vissuto, è un buon indicatore dello stato di salute di una comunità cristiana. E non mancano nel mondo d’oggi sfide all’osservanza del Giorno del Signore. Come possiamo mettere insieme in poche parole un’articolazione della profondità e della bellezza del Giorno del Signore? Delle sue dimensioni, come Giorno di Cristo, Giorno della Chiesa e Giorno dell’Uomo? In particolare, la celebrazione eucaristica domenicale è vista come una ricchezza? Esistono sfide e sviluppi importanti nel mondo odierno che minacciano questo gioiello che è il Giorno del Signore ed è importante elencarne alcuni. A1 tempo stesso, non vanno però passate sotto silenzio le buone notizie relative alla puntuale osservanza della Domenica in non pochi luoghi. Concluderemo con proposte e suggerimenti su cosa si potrà fare per promuovere una migliore osservanza del Giorno del Signore. 1. La Domenica, Giorno del Signore Tutto il tempo, tutta la storia, appartengono a Dio. Ogni istante della nostra esistenza appartiene al Creatore e dovrebbe essere speso nell’adorazione e nella lode di Lui. Tuttavia, è pure un dato di fatto che Dio ha distinto un giorno in cui l’umanità rivolgesse a Lui una particolare attenzione. «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gn 2, 3). Il terzo comandamento del Decalogo è molto chiaro: «Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il Sabato in onore del Signore, tuo Dio; tu non farai alcun lavoro in quel giorno...» (Es 20, 8-10). Il Giorno del Signore è, quindi, non soltanto un giorno di riposo per l’uomo, un giorno di interruzione del suo lavoro quotidiano, ma è anzitutto e al di sopra di tutto un giorno in cui l’uomo presta una speciale attenzione a Dio Creatore, un giorno in cui egli fa memoria e celebra le meraviglie operate da Dio. «Cogliendo questo comandamento (di santificare il Giorno del Signore) nell’orizzonte delle strutture fondamentali dell’etica, - dice il Papa Giovanni Paolo II - Israele e poi la Chiesa mostrano di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione qualificante e irrinunciabile del rapporto con Dio annunciato e proposto dalla rivelazione biblica» (Dies Domini, n. 13). Il Giorno del Signore è, dunque, un giorno speciale in cui l’uomo manifesta la propria riconoscenza per Dio, suo Creatore, esprime la propria adorazione, la propria lode e il proprio ringraziamento, celebra e ammira le meraviglie operate e compiute da Dio. 2. La Domenica, giorno di Cristo Signore La Domenica è per la Chiesa il giorno di Cristo Signore, il primo giorno dopo il sabato, il giorno nel quale Gesù nostro Salvatore è risorto dalla morte (cf. Mc 16, 2.9; Lc 24, 1; Gv 20, 1). Nello stesso giorno egli è apparso a due dei suoi discepoli lungo la strada per Emmaus (cf. Lc 24, 1335) e agli undici Apostoli riuniti insieme nel cenacolo (cf. Lc 24, 36; Gv 20, 19). Otto giorni dopo egli apparve nuovamente agli Apostoli, con Tommaso presente (cf. Gv 20,26), quasi a suggerirne un ritmo. Ed era di Domenica quando, a Pentecoste, inviò lo Spirito Santo sugli Apostoli riuniti con la Beata Vergine Maria e con alcuni discepoli (cf. Lc 24, 49; At 1,4-5). La resurrezione di Cristo è l’evento fondamentale su cui si poggia la fede cristiana (c£ 1 Cor 15, 14). Come il Papa Benedetto XVI ha detto al IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana a Verona, il 19 Ottobre 2006, «La risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta di un grande mistero, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l’anticipazione e il pegno della nostra speranza» (cf. L’Osservatore Romano, 20 ottobre 2006, p. 6). La Pasqua è, dunque, il giorno più grande nella celebrazione dei misteri di Cristo nella Chiesa. E la Domenica è il giorno, lo spazio, il cuore della vita della Chiesa nel quale si commemora settimanalmente la Pasqua del Signore. Per i cristiani, pertanto, la Domenica è la festa primordiale e fondamentale la cui originalità è data dalla celebrazione del mistero della salvezza, attuato dalla passione, morte e risurrezione del Signore. Il Concilio Vaticano II riunisce insieme tutti questi aspetti nella Sacrosanctum Concilium, al n. 106, considerato il grande manifesto della Domenica cristiana: «Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della Risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del Signore” o “domenica”. In questo giorno, infatti, i fedeli devono riunirsi per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia, e così far memoria della Passione, della Risurrezione e della gloria del Signore Gesù e render grazie a Dio che li “ha rigenerati per una speranza viva mediante la Risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1 Pt 1,3). Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta alcun’altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico». Non sorprende, dunque, che fin dai primordi della Chiesa i seguaci di Cristo hanno dato grande importanza all’osservanza del Giorno del Signore. I fedeli di Troade si riunivano «per spezzare il pane» il primo giorno della settimana (cf. At 20, 7-12). Il libro dell’Apocalisse chiama questo primo giorno della settimana “il Giorno del Signore” (Ap 1, 10). San Giustino scrive che i cristiani si riunivano insieme “nel giorno detto del sole” (Apologia I, 67: PG 6, col. 430). Per i cristiani Cristo è il sole che sorge venuto a visitarci. Egli è la luce del mondo (cf. Gv 1, 4.59; 9, 5), egli è il «sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1, 78-79), egli è la «luce per illuminare le genti» (Lc 2, 32), per cui «il giorno commemorativo della sua risurrezione è il riflesso perenne, nella scansione settimanale del tempo, di questa epifania della sua gloria» (Dies Domini, n. 27). Significativo è il fatto che i paesi anglofoni e quelli del nord Europa utilizzano per designare questo giorno l’antica denominazione di giorno del sole (Sunday-Sonntag). Esistevano, dunque, molte buone ragioni per la Chiesa delle origini per spostare il prin- Chie - 9 Gennaio 2007 cipale giorno liturgico della settimana dal Sabato alla Domenica, Giorno del Signore. Come il Papa Benedetto XVI ha detto nel suo discorso al clero di Aosta il 25 Luglio 2005: «Si è creata la domenica perché il Signore è risorto ed è entrato nella comunità degli apostoli per essere con loro. E così hanno anche capito che non è più il Sabato il giorno liturgico, ma la Domenica nella quale sempre di nuovo il Signore vuole essere corporalmente con noi e nutrirci del suo Corpo, perché diventiamo noi stessi il suo corpo nel mondo» (cf. L’Osservatore Romano, 27 luglio 2005, p. 4). 3. La Domenica è anche il giorno della Chiesa Sin dall’origine la Domenica è caratterizzata dal raduno della comunità dei fedeli. Il pagano Plinio non trovava altra definizione per descrivere i cristiani se non quella di definirli come coloro La lettera che sono soliti riunirsi insieme con gli auguri prima dell’alba del Cardinale Arinze per cantare a Cristo e prendere cibo insieme (Epistola, 10, 97). Dal momento che i cristiani celebrano i misteri di Cristo in modo speciale nel Giorno del Signore, la Domenica assume anche il titolo di Giorno della Chiesa. I fedeli di Cristo si recano insieme come comunità visibile per celebrare il memoriale della nostra redenzione. Quando il Vescovo diocesano nella sua chiesa cattedrale concelebra la Messa domenicale con il suo clero, con l’assistenza dei diaconi e degli altri ministri; e con la partecipazione del popolo, «si ha una speciale manifestazione della Chiesa» (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 41). I sacerdoti che celebrano l’Eucaristia nelle chiese parrocchiali e nelle missioni agiscono, così, al posto del loro Vescovo e in comunione con lui. Nella Preghiera Eucaristica di ogni Messa sono menzionati per nome il Papa e il Vescovo diocesano per manifestare questa comunione ecclesiale. È vero che le singole persone possono pregare nelle loro case. Anzi, ciò è necessario. Ma non è sufficiente, «non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente e ricordino interiormente, nel segreto del cuore, la morte e la risurrezione di Cristo. Quanti, infatti, hanno ricevuto la grazia del battesimo, non sono stati salvati solo a titolo individuale, ma come membra del Corpo mistico, entrati a far parte del popolo di Dio» (Dies Domini, n. 31). I cristiani devono assolutamente riunirsi, almeno nel Giorno del Signore, per adorare Dio come Ekklesìa, come comunità riunita dal Signore risorto, per rendergli lode, ringraziarlo, chiedergli perdono dei peccati, rivolgergli suppliche per i bisogni spirituali e materiali ed essere nutriti alla duplice mensa della Parola di Dio e del Corpo e Sangue del Signore. Per questa ragione, come dice il Papa Giovanni Paolo II, «di domenica, giorno dell’assemblea, le Messe dei piccoli gruppi non sono da incoraggiare» (Dies Domini, n. 36). Ogni cristiano ha il dovere di testimoniare al mondo con la propria vita cosa è la Chiesa, e ciò avviene fondamentalmente di Domenica: convocato dal Signore a radunarsi con i fratelli per nutrirsi del Pane di vita, il cristiano testimonia che “è corpo di Cristo”, membro del suo mistico corpo che è la Chiesa. 4. La celebrazione eucaristica, ricchezza e cuore della Domenica Per la comunità cristiana, la celebrazione della Santa Eucaristia è il cuore del Giorno del Signore. Ciò rappresenta una ricchezza che è particolarmente apprezzata. Il Concilio Vaticano II la definisce: «fonte e culmine dell’intera vita cristiana» (Lumen Gentium, n. 11). L’unica cosa che la Chiesa ha di equivalente alla Messa è un’altra Messa! La Chiesa non possiede altra ricchezza: «nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo» (Presbyterorum Ordinis, n. 5). È di cruciale importanza che tutti i membri della Chiesa apprezzino sempre più il tesoro che Cristo ha riposto nelle mani della sua Sposa, la Chiesa, offrendo se stesso in questo straordinario sacrificio e sacramento. «Dalla liturgia - dice il Concilio Vaticano II - e particolarmente dall’Eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (Sacrosanctum Concilium, n. 10). Quanto più il popolo è convinto di questa ricchezza tanto più esso avvertirà il bisogno della Messa domenicale, prima ancora di avvertire la partecipazione come un precetto del diritto della Chiesa. (prosegue sul prossimo numero) 10 Caritas Gennaio 2007 Una Chiesa che ama: l’enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas est” Attraverso questo articolo non si vuole fare la presentazione dettagliata della prima enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas est”, firmata il 25 dicembre 2005 e pubblicata il 25 gennaio 2006, ma individuare alcune ‘provocazioni’per il cammino delle nostre Chiese e dentro di esse della Caritas diocesana e parrocchiale. Il tema dell’amore è centrale in questa prima lettera di Papa Ratzinger, per tanti anni custode rigoroso e fedele dell’ortodossia della fede. “Siccome Dio ci ha amati per primo l’amore adesso non è solo un ‘comandamento’, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro. In questo mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto”(DCE,1). Un’enciclica definita dal Card. Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nella conferenza di presentazione, “programmatica nel senso più alto e impegnativo che si deve attribuire” a quel termine e che invita “tutti i cristiani e le Chiese ad andare al centro della fede cristiana; all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica, ma l’incontro con una persona che dà alla vita una decisione positiva”. Il Papa si rende conto che la parola ‘amore’ è abusata, sciupata e quasi si ha paura ad utilizzarla. Occorre però riprenderla, purificarla, riportarla al suo splendore originario perché possa illuminare la via dei cristiani. Si tratta di un testo breve, diviso in due parti (la prima ha come titolo: L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza; la seconda: Caritas, l’esercizio dell’amore da parte della chiesa quale ‘comunità d’amore’) e distribuito in 42 paragrafi, che ci offre una visione dell’amore per il prossimo e del compito ecclesiale di operare per la carità che trova le sue radici nell’essenza di Dio stesso che è Amore. Il Pontefice desidera invitare a vivere l’amore e in questo modo fa “entrare la luce di Dio nel mondo” (DCE,39) perché attraverso l’amore Dio, con la sua luce, si rende presente tra gli uomini. La carità è essenziale alla missione della Chiesa. In quale direzione l’enciclica ‘spinge’ le Chiese a lavorare perché diventino comunità d’amore? Che cosa deve fare dentro di esse la Caritas? Sottolineo alcuni contenuti traducendoli in scelte da realizzare: 1. Il Papa, lo si è detto, insiste nella prima parte della lettera, sulla necessità di una purificazione del linguaggio e fa un’ampia erudita analisi del termine amore, come ‘eros’ e come ‘aga- “Tutta la Chiesa è responsabile della carità, per cui essa non può essere delegata ad un ufficio pastorale (la Caritas)” pe’, recuperando il valore dell’eros nel piano originario di Dio Creatore. Ed afferma che l’eros è inseparabile dall’agape, e da esso deve lasciarsi permeare, fino a diventare un amore ‘ablativo’, gratuito. Anche nelle nostre parrocchie è necessario richiamare e documentare che la carità è amore, perché spesso nella prassi ecclesiale essa è decaduta a livello di assistenza e di un fare da ‘Croce rossa’(senza nulla togliere ai meriti di quest’ultima). 2. Un altro punto di riflessione è la chiarezza con la quale Benedetto XVI dice che il compito specifico della Chiesa nella storia umana è il ‘servizio della carità’. Esso appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacramenti e l’annuncio del Vangelo; dunque le comunità ecclesiali non possono trascurarlo come non si possono trascurare i Sacramenti e la Parola. E’ un affermazione di estrema importanza, detta dal Papa che per tanti anni è stato il custode della fede. E’ un punto molto stimolante su cui riflettere. Tutta la chiesa è responsabile della carità, per cui essa non può essere delegata ad un ufficio pastorale (la Caritas). L’enciclica dice cose per la Chiesa, non si rivolge alla Caritas! Il compito di quest’ultima è quello di promuovere nell’ambito della carità (che è compito di tutta la pastorale diocesana e parrocchiale) la scelta preferenziale dei poveri. I responsabili in prima linea sono i Vescovi: il Papa al n. 32 dell’enciclica richiama il compito del vescovo come presidente della comunità di carità e qui parla dell’amministrazione dei beni della chiesa. 3. Altro punto di riflessione è il rapporto tra giustizia e carità: un binomio a cui il Papa dedica tre paragrafi della sua lettera (nn° 26-29). Già Paolo VI (1972) nel suo primo discorso alla nascente Caritas aveva posto il problema: “La società moderna è più sensibile alle applicazioni della giustizia che all’esercizio della carità. Non per questo, tuttavia, l’azione caritativa della chiesa ha perduto la sua funzione nel mondo con“La Caritas deve temporaneo. La carità è sempre necessaria, come stimolo e come completamento della giustizia essere riconoscente stessa”. E Benedetto XVI: “L’amore-caritas sarà sema Papa Benedetto pre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che per l’esplicito riferimento possa rendere superfluo il servizio dell’amore…. L’affermazione secondo la quale le strutture giue incoraggiamento ste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica al volontariato” dell’uomo; il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe di ‘solo pane’(Mt 4,4), convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che più specificamente umano” (DCE,28). L’enciclica mette in risalto poi molto chiaramente la relazione tra il necessario impegno per la giustizia e l’esercizio della carità e dentro di essa il diverso compito dello stato e della chiesa. Dice il Papa: “Il giusto ordine della società e dello stato è compito della politica. Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri - cita S. Agostino” (DCE,28). Il servizio della carità è il compito della chiesa: “L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è innanzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è un compito per l’intera comunità ecclesiale a tutti i livelli. Tutta l’attività della chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la parola e i sacramenti… e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell’attività umana. In questo punto politica e fede si toccano”. (DCE, 28). Da tutto questo si ribadisce la linea di Paolo VI: la giustizia è compito centrale della politica, nel cui ambito devono agire i laici cattolici sotto la propria responsabilità; ma non è compito della chiesa, la quale non può mettersi al posto dello stato, anche se la sua dottrina sociale deve contribuire alla formazione delle coscienze e alla percezione delle vere esigenze della giustizia. di don Cesare Chialastri Compito della Chiesa è la formazio- Resp. Caritas diocesana ne delle coscienze nella politica. Essa dunque non può restare ai margini della giustizia. Ovviamente la Chiesa, in tutti i suoi rapporti interni ed esterni, deve ben applicare la giustizia. Paolo VI diceva che la giustizia è il primo gradino della carità e don L. Dilani diceva che la giustizia senza la carità è monca, ma la carità senza giustizia è falsa. Questa lunga riflessione fa rivedere la nostra agenda pastorale e le priorità che diamo alle nostre attività: a livello locale non c’è una adeguata presa di coscienza di questa funzione ecclesiale, mentre a livello nazionale alcune volte si ha l’impressione di qualche entrata a gamba tesa. 4. Infine la Caritas deve essere riconoscente a Papa Benedetto per l’esplicito riferimento e incoraggiamento ad una attività che, con alti e bassi, ha sempre avuto a cuore e ha sempre coltivato: il volontariato. “Un fenomeno importante del nostro tempo è il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico di una molteplicità di servizi. Vorrei qui indirizzare una particolare parola di apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario modo a questa attività. Tale impegno diffuso costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi”. (DCE,30). Il papa conclude così: “…l’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica”. (DCE,39). Pastor 11 Gennaio 2007 Mercoledì 20 dicembre u.s. al termine del cammino diocesano di formazione cristiana per l’avvento, il vescovo diocesano Mons. Vincenzo Apicella, all’interno di una liturgia molto partecipata, nella cattedrale di S. Clemente ha reso nota la Lettera Pastorale che traccia l’orientamento per l’anno appena iniziato. La lettera data alle stampe, al termine dell’anno ha raggiunto tutte le comunità della Diocesi. Nell’intento del Pastore della Diocesi, c’è la volontà di ribadire l’esigenza di porre al centro di ogni attività pastorale la Parola di Dio. Nella Premessa ricorda l’invito di Dio al suo popolo: “Ascolta, Israele!...”(Dt.6,4) è il primo, fondamentale comandamento che il Signore dona al suo Popolo perché possa vivere e possedere la terra in cui scorre latte e miele. Gesù lo conferma (Mc.12,29) e lo fa diventare la beatitudine propria del suo discepolo: “beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (Lc.11,28), definendola la sola cosa di cui c’è bisogno, “la parte migliore, che non sarà tolta” (Lc.10,42). Continua quindi legando questo invito alla nostra vita diocesana: “E’ parso quindi necessario iniziare il cammino comune, in questo primo anno del mio servizio episcopale in questa diocesi, mettendoci in ascolto della Parola di Dio e interrogandoci sui modi e sulla qualità del nostro ascolto, ricordando ancora la parola dell’unico Maestro: “fate attenzione a come ascoltate…” (Lc.8,18). A questo tema abbiamo dedicato il nostro convegno e i gruppi di studio hanno lavorato sull’argomento; anche dalle loro conclusioni ho cercato di prospettare brevemente alcune esigenze e proposte da condividere.” Passa poi a descrivere la realtà della Parola: che cosa s’intende per Parola di Dio, come la Parola si colloca nella vita della Chiesa, luogo di accoglienza, comprensione e di risposta a Dio; come accostarsi alla Sacra Scrittura. Indica inoltre i livelli di lettura della Parola: personale, spirituale, liturgico e storico profetico. Nella conclusione Mons. Vincenzo Apicella, sottolinea la foernza della Parola per una comunità Diocesana quale la nostra: “ricordando la piccola parabola riportata solo nel più breve degli Evangeli, quello di Marco: “Diceva: il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce;come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura” (Mc.4,2629). Così avviene anche per la Parola di Dio seminata nei nostri cuori, per cui non importa chi semina, chi irriga o chi miete, l’essenziale è che la Parola ha in se stessa la capacità di crescere e di portare frutto, perché è la presenza del Dio vivente, che opera sempre per la nostra salvezza e perché noi diventiamo a nostra volta viventi a lode della sua gloria (Ef.1,12). L’immagine della copertina è il “Salvator Mundi” di autore ignoto della fine dell’XI sec. e inizio del XII sec.. Tempera su tavola, 153x66 cm E’ una delle repliche laziali più antiche del Cristo in trono derivata dall’antica acheropita del Sancta Sanctorum a Roma e molto diffusa dopo l’XI sec.. La tavola è stata restaurata nel 1912 da Bacci Venuti ed è conservata nel Museo Diocesano di Velletri La Madre di Dio, Madonna delle Grazie e Vergine assunta in cielo, modello di chi accoglie e custodisce la Parola e crede al suo adempimento, interceda per noi ed accompagni il nostro cammino. 12 P a r r o c c h i e & C Iniziamo con il nuovo anno una serie di interviste che hanno lo scopo di far conoscere le parrocchie, con le loro storie e problemi, e i parroci della diocesi; è un tentativo di rendere comuni a tutti realtà che non sempre è possibile avvicinare, specie da parte di chi non è direttamente impegnato nelle attività diocesane. Sarebbe bello che esse dessero lo spunto per un dialogo-dibattito su quanto si scopre, proprio dalle pagine della nostra rivista. La prima parrocchia a entrare in gioco è quella della Concattedrale di Segni, dedicata a S. Maria Assunta e retta da don Franco Fagiolo. Nato a Segni 57 anni fa, don Franco ha studiato a Segni al seminario Minore, poi il ginnasio a Velletri e infine Liceo Filosofia e Teologia ad Anagni. Sacerdote da 33 anni, è stato vicerettore ed economo nel Seminario di Segni. Responsabile della Commissione diocesana Musica per la Liturgia, è stato il primo parroco della nuova parrocchia di S. Bruno a Colleferro. Alle nostre domande risponde di partecipare regolarmente agli incontri diocesani del clero e di avere un buon rapporto con gli altri sacerdoti, specialmente quelli che operano nelle parrocchie di Segni e paesi limitrofi. Siccome da soli due mesi ha iniziato il servizio pastorale presso la parrocchia Santa Maria Assunta di Segni per le risposte alle altre domande lascia la parola a una sua collaboratrice. Ilaria Spigone, 25 anni, studentessa in Giurisprudenza, appartiene alla parrocchia S. Maria Assunta di Segni da quando è nata; è impegnata in modo particolare nel gruppo giovani, nella catechesi ai bambini e nel gruppo dei canti, ma quando serve dà una mano anche in altri settori. Oltre a frequentare la catechesi per i giovani, è attiva nel gruppo caritas. Tra le sue attitudini particolari, la disponibilità e l’impegno alla collaborazione. Vuoi descrivere il territorio e la gente della tua parrocchia? La parrocchia è situata nel centro storico di Segni, ma da qualche anno di essa fa parte anche la zona del Pantano. Tra le due realtà non c’è grande collegamento.Il centro storico conta molte persone anziane, anche se ultimamente si va ripopolando di molte famiglie extracomunitarie. I giovani frequentano, per passeggiare ed incontrarsi, la zona nuova del paese. Ti piace la tua chiesa? Perché? La mia chiesa mi piace, mi lusinga che sia una Cattedrale piena di storia e teologia, di opere d’arte di notevole valore, anche se a volte le bellezze artistiche impe- Gennaio 2007 a cura della Redazione discono che ci si possa intrattenere senza paura di fare danni. Cosa vorresti trovare entrando in una chiesa? Entrando in chiesa mi piacerebbe trovare un clima di accoglienza in cui nessuno si senta ospite, osservatore occasionale, ma tutti siano attori protagonisti e possano partecipare attivamente alle numerose attività. Quale aspetto della religione sopporti di meno? Non mi piace l’atteggiamento di alcuni sacerdoti quando parlano del Signore come di qualcuno pronto a punirci se non ci comportiamo secondo gli insegnamenti evangelici, di coloro che parlano della Chiesa come capace di mettere in pratica una giustizia fredda e inflessibile. I preti ti sembrano persone degne di rispetto? Sì, anche se come tutti gli uomini possono avere pregi e difetti, essere più o meno simpatici, ma poiché rappresentano e proseguono su questa terra la missione salvifica di Cristo penso che comunque debbano sempre essere considerate persone degne di rispetto. Perché frequenti la tua parrocchia? Perché penso che tutti nelle proprie comunità sono protagonisti, ciascuno può e deve essere collaboratore attivo, partecipare alla costruzione della casa comune, ciascuno in proporzione ai propri impegni e alle proprie esigenze, in modo originale e personale. Che ne pensi della posizione dei cattolici su divorzio, pacs, eutanasia, aborto, manipolazione genetica e altro? Quale rimprovero principale fai alla Chiesa e al suo insegnamento? Viviamo in una cultura che tende agli eccessi, da un lato banalizza la sessualità, dall’altro la relativizza non vedendo in essa una comunione intima d’amore tra i due sposi. Creandoci a sua immagine e somiglianza Dio ci ha chiamato ad amare non in qualsiasi modo, ma come Lui ci ha amati, gratuitamente. Sono d’accordo con la posizione che la Chiesa assume su questi temi di estrema attualità; proprio perché gratuito, l’amore tra un uomo e una donna dovrà essere anche fedele, non limitato a tempo e condizioni, e fecondo, perché ha in sé una capacità creativa che rende i coniugi collaboratori e non padroni delle nuove vite che si preparano ad accogliere. Di qui l’assurdità di tut- ti quei gesti, aborto, contraccettivi, manipolazioni genetiche che sopprimono spesso la vita a cui si è dato inizio. Senza per questo escludere dai rapporti sociali ed ecclesiali coloro che non per loro colpa hanno subito il divorzio o siano affetti da malattie quali omosessualità. Solo l’uomo e la donna, imitando Cristo potranno diventare nel matrimonio “una sola carne”, imitando così l’amore divino. Quanto alla seconda parte della domanda, forse proprio in questi argomenti vorrei che la Chiesa generalizzasse meno i propri principi e guardasse ad ogni situazione per evitare quanto sottolineato sopra. Cosa ti piace di più e cosa di meno di papa Ratzinger? Dietro un atteggiamento apparentemente intransigente, il Pontefice nasconde una dolcezza che lo rende autentico testimone e successore di Cristo, forse però utilizza un linguaggio non sempre di facile e immediata comprensione. L’opera di solidarietà della Chiesa (caritas, assistenza ecc.) ti sembra meritoria? Sei una di quelli che pensano che la Chiesa dovrebbe pensare solo all’aspetto religioso della vita, oppure che fa bene a farsi sentire anche nelle questioni politiche e sociali? Mi sembra meritoria, anche se la società di oggi spesso è dominata da sperequazioni intollerabili. Su ogni credente dovrebbe pesare di più la responsabilità che anche un piccolo gesto potrebbe aiutare chi si trova in condizioni disagiate. Penso inoltre che il cristiano sia chiamato a vivere anche “la città degli uomini” con le sue culture, tradizioni, con le sue leggi e il suo ordinamento. Di fronte a particolari problemi o situazioni, che investono più immediata- P a r r o c c h i e & C 13 Gennaio 2007 mente la comune coscienza cristiana, una forma di unità politica dei cattolici e una forma di intervento nella vita politica non solo siano un bene, ma un dovere. Che cosa vorresti suggerire al tuo parroco? Di riuscire ad aprire la parrocchia all’intero paese, creando un luogo in cui sia prima di tutto piacevole l’incontro. Esistono momenti di confronto con altri laici impegnati nella città per iniziative comuni? Non sempre è possibile riuscire ad organizzare incontri inter-parrocchiali, anche se nel corso dell’anno non mancano i momenti per incontri di catechesi in cui possiamo scambiarci pareri e opinioni. Come partecipano i tuoi parrocchiani alla vita ecclesiale? Alcuni parrocchiani partecipano attivamente alla vita della parrocchia, cioè partecipano alla liturgia domenicale (distribuzione letture, sistemazione altare, fiori, processione offertoriale, canti), alle attività di catechismo, caritas parrocchiale, ma per la maggior parte delle persone il contatto con la Chiesa si riduce ad “assistere” alla messa domenicale. problema? Non tutti gli stranieri presenti nel territorio della parrocchia sono cristiani cattolici, alcune famiglie sono musulmane ed altre ortodosse. Già da tempo attraverso l’opera della Caritas la parrocchia sta cercando di raggiungerli per instaurare con loro un dialogo, inizialmente per capire i problemi che devono affrontare in un Paese che non conoscono. Non si sono fino ad ora rivelati un grosso problema, ma a volte le richieste di aiuto sono piuttosto pressanti. Quali iniziative proporresti per i cristiani dei vari gruppi di età? Il sabato mattina nella Chiesa Cattedrale si stanno organizzando attività di oratorio, disegno, giochi, prove di canto, riunione dei chierichetti per i ragazzi dai 6 ai 15 anni. Per tutti i ragazzi proporrei momenti di incontro sia a livello parrocchiale che diocesano, che non si risolvano in grande confusione, ma siano ben preparati e differenziati per fasce di età. Molto importanti sono i momenti di incontro e di formazione per giovani e giovani coppie; tali momenti dovrebbero essere integrati da impegni attivi nel sociale e nelle opere caritative. La catechesi dovrebbe essere sempre al centro di tutto, poi sono necessari momenti aggregativi. parrocchiani? In che modo? Le devozioni locali sono forti anche se i giovani cominciano a non riconoscervisi più. È necessario allora comprendere lo spirito profondo di tali devozioni e rinnovarle alla luce dei nostri tempi. Quale è l’elemento qualificante l’attività caritativa della tua parrocchia? La Caritas si occupa principalmente di rispondere ai bisogni primari e urgenti (cibo, bollette luce, acqua e gas) e a richieste di lavoro che però è molto difficile soddisfare. È in progetto la collaborazione stretta con la caritas parrocchiale di santa Maria degli Angeli per poter attrezzare in maniera adeguata un unico Centro di ascolto e di distribuzione per tutto il paese. Quali forme di annuncio vorresti attive nella tua parrocchia? Stiamo attivando un centro che, attraverso la stampa e altri mezzi di comunicazione, aiuti i fedeli a comprendere il mondo alla luce della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa. Esprimi un parere sulla presenza delle aggregazioni laicali nella vita ecclesiale, sulla loro capacità di integrarsi nel vissuto parrocchiale, sulle possibilità di penetrazione del messaggio evangelico nella società che esse rappresentano, sulla effettiva forza di comunione che realizzano. Nella nostra parrocchia ci sono molte aggregazioni laicali (passioniste, Amici di Giovanna Antida, Legio Mariae, Francescane, C.L…) che operano primariamente per le attività parrocchiali. L’Azione Cattolica ha avuto un momento di difficoltà ma abbiamo intenzione di renderla viva e attiva nella nostra parrocchia. C’è un collegamento con l’Amministrazione comunale della tua città affinché prenda decisioni aderenti alle reali esigenze della popolazione? Se potessi evidenziare un aspetto per migliorare la vita sociale della tua città, da cattolica cosa diresti agli amministratori Breve descrizione storica comunali? Essendo Segni un piccolo paese, il della Concattedrale si Segni confronto con l’Amministrazione avviene confrontandosi sovente a livelA cura di Stanislao Fioramonti lo personale con gli Amministratori, La concattedrale di Segni che vediamo adesso è del 1626, progettafacendo loro presenti le esigenze, ta dall’architetto Gian Battista Roderi, e la sua facciata marmorea è del le necessità, i desideri e le possibi1817; ma c’è una cattedrale segnina fin da quando a Segni c’è un vescolità della popolazione. vo, cioè almeno dalla fine del V secolo. L’edificio precedente a quelChiederei loro di privilegiare il bene lo odierno era del tempo di S. Bruno (secolo XI) e di esso rimacomune, per la realizzazione di quell’insieme di condizioni strutturane il campanile romanico. In quell’antica cattedrale si svolsero li della convivenza per permettere importanti episodi di vita ecclesiastica, perché nel Medioevo Segni ad ogni cittadino di esplicare le profu una importante sede del papato itinerante fuori Roma per motiprie attività e qualità umane. vi politici, militari o igienico-sanitari. Perciò vi furono canonizSoprattutto chiederei agli amminizati il vescovo di Anagni Pietro di Salerno, da Pasquale II (4 giustratori comunali di essere vicino alla gno 1110); l’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket, trucifamiglia, cellula fondamentale deldato in chiesa da emissari del re d’Inghilterra, da Alessandro la società, mettendo da parte gli inteIII (21 febbraio 1173); e lo stesso S. Bruno di Asti, vescovo di ressi personali. Segni e patrono della diocesi, da papa Lucio III (18 luglio 1183). L’interno della con cattedrale segnina è ricco di opere d’arSe il vescovo ti chiedesse di dargli te, in particolare dipinti di Lazzaro Baldi, Francesco Cozza, un solo consiglio, a quale ambito il Baciccio, Pietro da Cortona e i fratelli Courtois; i busti pastorale daresti la tua priorità e d’argento di S. Bruno e di S. Vitaliano papa nativo di Segni; con quali indicazioni? gli stucchi dorati di Francesco e Valerio Vaiani nella capChiederei al vescovo di lavorare per pella del Rosario. L’ultimo restauro totale fu completatrovare in ogni parrocchia il giusto to nel 1995 dal parroco don Bruno Navarra, che ci ha equilibrio nei tre ambiti della vita lasciato pochi mesi fa e da un cui opuscolo sulla chiesa parrocchiale: catechesi, liturgia, abbiamo tratto queste notizie. vita. Gli extracomunitari e i non cattolici ti sembrano un E’pensabile una nuova proposta pastorale e liturgica per rinnovare la devozione locale, in modo da rispondere meglio alle nuove esigenze dei tuoi 14 Famiglia&Di Paure contrastanti attraversano oggi le coppie al pensiero della vita che da loro potrebbe nascere: si teme di avere un figlio, si teme di non averne. Episodi sconcertanti traducono in fatti queste paure: la vita umana viene innaturalmente interrotta, la vita umana viene tecnicamente prodotta. Ma anche in tempi di vita violata e manipolata, emerge imperioso il desiderio di dare la vita a un figlio. Sennonché, la natura sembra prendersi la rivincita delle ferite che vengono inferte alla sua naturale fecondità: aumentano le coppie che pur desiderando dare vita a un figlio sono affette da sterilità. Come ogni desiderio umano, anche quello umanissimo di un figlio può essere inquinato dall'egoismo, ma nonostante questa possibilità è difficile negare che la sua frustrazione non comporti una profonda sofferenza: la sterilità è una ferita che penetra nell'identità della persona, tanto più in una donna. La Bibbia conosce non poche vicende di coppie sterili. Tra di esse, la storia di Elkana e Anna spicca per l'acume con cui entra nei risvolti coniugali della sterilità. Le conoscenze del tempo attribuivano la causa alla donna, in questo caso ad Anna, neanche sospettando ciò che oggi si conosce a proposito della sterilità maschile. Nonostante questo limite, il racconto è attento alle conseguenze che ha sull'uomo il fatto che il figlio non arriva. Ma osserviamo anzitutto la sensibilità squisitamente femminile di Anna. Il grembo sterile non le appare come una parte di sé malata o una funzione bloccata, ma come una ferita al suo essere donna. Il grembo, nascosto nell'intimo del corpo, è l'espressione corporea dell'intimità personale; la sofferenza del grembo, come testimonia l'atteggiamento di Anna, diviene sofferenza dell'intera persona: si mise a piangere e non voleva prendere cibo (l Sam 1,7). L'intima Il diaconato nel Concilio di Trento diac. Pietro Latini Poiché il ministero annesso ad un sacerdozio così santo è cosa divina, ne è conseguito che, per esercitarlo più degnamente e con maggiore venerazione, nell’ordinata articolazione della Chiesa vi fossero più ordini di ministri e diversi fra loro, connessi per il loro ufficio al sacerdozio, e distribuiti in modo che coloro che avessero già ricevuto la tonsura clericale arrivassero agli ordini maggiori attraverso quelli minori. La sacra scrittura infatti nomina espressamente non solo i sacerdoti ma anche i diaconi ed insegna con parole solenni quello che si deve sommamente osservare nella loro ordinazione (Conc. Trento; ses. XXIII Cap II). Il concilio di Trento ha dunque riformato l’Ordine sacro e riscoperto il Diaconato. Il sacerdozio è chiamato santo ed il ministero ordinato è sacerdotale; il Diaconato e gli altri gradi della Gerarchia sono visti in prospettiva sacerdotale ed il sacerdote in funzione della cura delle anime. L’ufficio ed il beneficio ecclesiastico diventano supporto di quella cura ed il vescovo si scopre pastore: tutta la gerarchia ritrova la propria dimensione ministeriale ed il Diaconato ne diventa l’icona. I decreti di Trento sembrano essere vicini più a quelli dei grandi concili dell’anti- ferita della sterilità, che già sanguina al pensiero del proprio grembo muto, si acuisce laddove la fecondità altrui la mette ancor più in risalto. Anna conosce addirittura la perfidia femminile di chi ostenta i propri figli per mortificare chi ne è priva: la sua rivale per giunta l'affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione (l Sam 1,6). In assenza dell'amore di un figlio, una risorsa notevole è certo l'amore del proprio coniuge. Ed Anna non ne è certo priva, poiché Elkana la ama e di un amore che le parole rivolte alla moglie lasciano intravedere tenero e grande: Anna, per- chità che non a quelli del Medioevo, anche nella formulazione: i dibattiti di scuola e di terminologia tendono a scomparire, le espressioni bibliche e patristiche diventano prevalenti e comincia a prendere forma un modo più spirituale di accostarsi ai grandi temi teologici. Anche la struttura del concilio richiama l’antichità: né le nazioni né le università sono protagoniste ma il papato e i vescovi, la Chiesa di Roma e le Chiese locali. Da Trento escono un clero riformato, una riformata formazione del clero (vengono istituiti i seminari) e un nuovo modo di accostarsi alla Scrittura. Frutto e motore di questa grande riforma è il Diaconato: un ministero saldamente fondato su riferimenti biblici e originariamente orientato al sacerdozio. La prospettiva sacerdotale è la risposta della Chiesa ai problemi del protestantesimo; ma è anche la prospettiva che restringe l’identità del ministero ordinato esclusivamente a particolari ambiti che possono essere ora il culto, ora la parola, ora la consacrazione, evidenziando certamente contenuti veri ma solo parziali. Un presbiterio parrocchiale che imposti la propria azione pastorale e i propri rapporti con i ministeri laicali partendo da una concezione del sacerdozio nella prospettiva del sacrificio, potrebbe autolimitarsi nelle proprie funzioni e limitare la crescita della comunità. Nella prospettiva del sacrificio il ministero sacerdotale è qualificato dall’altare, dal sacrificio, dall’eucaristia, dall’assoluzione, dal culto cui è ordinato. Sacerdote significa “uomo del sacro”. La profanità non entra nella sua competenza diretta. Questa prospettiva, pur essendo vera per motivazioni bibliche che sono alla sua base, per motivazioni dogmatico-teologiche che la sostengono e per motivazioni prati- Gennaio 2007 ché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli? (1 Sam 1,8). Per quanto intenso possa essere l'amore coniugale, la ferita per il figlio che manca lascia intuire come la fecondità non sia un optional dell'amore di coppia, ma il suo destino: il terzo è il desiderio iscritto nell'unione dei due. Di fronte alla sterilità inspiegabile e insuperabile capita che si ricerchi la causa in Dio. Era comune ai tempi di Anna ritenere che il Signore ne avesse reso sterile il grembo (l Sam 1,6). Non è insolito nemmeno oggi, in tempi non certo permeati di religiosità, attribuire a Dio l'origine dei mali che sfuggono alle spiegazioni e alle cure umane. Riportare fino a Dio il dramma della propria sterilità è il sentiero percorso da Anna. Non lo percorre tuttavia con il dito puntato in segno d'accusa, ma con lo sguardo fiducioso di chi percepisce che, al di là di ogni capacità e sforzo umano, la sorgente della vita viene da più lontano e affonda le radici nel mistero divino. Solo se ricondotta alla sua origine divina, la fecondità cessa di essere il potere di un uomo e di una donna, e di conseguenza la sterilità una frustrazione. Solo se osservato dall'alto di Dio, il figlio smette di essere un diritto irrinunciabile e diviene un dono dato gratuitamente e di cui non si può disporre a piacimento. Solo se i coniugi ricordano chi è il Creatore, possono riconoscere che la fecondità della procreazione non è titolo di orgoglio, e il figlio non è proprietà privata; come pure p o s s o n o Dorina e Nicolino Tartaglione rasserenarsi al pensiero che la sterilità non è solo una tormentosa umiliazione e l'assenza di un figlio non è un destino crudele. co-pastorali di incontestabile utilità, è responsabile delle seguenti difficoltà: potrebbe non evidenziare a sufficienza soprattutto in alcune presentazioni teologiche, spirituali e pastorali meno attente, le altre funzioni del ministero - quella profetica, quella regale e quella ministeriale; da un punto di vista teologico ha fatto ritardare la formulazione della sacramentalità dell’episcopato; ha fatto chiamare ordini minori quelli che sono ministeri laicali, generando la convinzione – errata – che il ministero è solo dell’ordine; ha fatto impostare tutto il discorso del ministero ordinato non in termini di servizio da esercitare ma di autorità e potere da vestire. Nel Concilio di Trento la Chiesa ha risposto alle sfide presenti ed ha guardato al futuro. Una forte accentuazione della cura pastorale e della formazione della Gerarchia per questa cura non poteva fermarsi al culto ed al Sacrificio. Essa doveva andare oltre e guardare a quella ecclesiologia che il Diaconato nella sua dimensione di servizio già annunciava e che il Concilio ecumenico Vaticano II avrebbe poi così fortemente sostenuto. È la prospettiva che valorizza i ministeri laicali e che dà senso alla Gerarchia; è la prospettiva che fa crescere la Chiesa. A Trento questa prospettiva è stata solo annunciata con il Diaconato. Ci consola però constatare che la rinascita della Chiesa, dopo la riforma protestante, passa anche per la riscoperta del Diaconato così come successe all’inizio quando la Chiesa nacque. È una constatazione per il passato ed un auspicio per noi che preghiamo lo Spirito per una nuova primavera della Chiesa. F a m i g 15 Gennaio 2007 "L'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, può ritrovarsi pienamente soltanto attraverso un dono sincero di sé". Questa affermazione, che in primo luogo denota la costituzione ontologica della persona, vale a dire la sua essenza, è di grande valore antropologico e teologico insieme ed è stata fatta dal Concilio (Gaudium et Spes, n. 24). Essa spiega il primo perché del matrimonio e della famiglia. La chiave della sua interpretazione sta il quel "dono sincero di sé", che non può essere tale se non è per sempre, se non è destinato a un'altra persona e se non è totale. Questo è, infatti, il senso del matrimonio e, allo stesso tempo, della generazione che ne consegue. Se non si comprende questo significato non si può capire il perché della differenza tra il vero matrimonio - quello sacramentale, ma in qualche modo anche quello civile - e le altre unioni di cui in questi giorni tanto si parla: unioni di fatto, pacs ovvero patti civili di solidarietà, matrimoni omosessuali. Nemmeno si possono comprendere i rischi del riconoscimento di quei diritti che si vogliono dare alle singole persone che convivono in un'unione di fatto né, infine, ci si può rendere condi Pier Giorgio Liverani to del perché la qualifica di "famiglia" debba essere negata a questo tipo di vita comune. Vediamo perché. La fede ci insegna che il matrimonio e la famiglia cristiani possiedono una dignità superiore persino alla sua concezione biblica: da cellula naturale costitutiva della società umana (la Genesi racconta la creazione di una unità familiare uomo-donna somigliante a Dio e con il compito di dar vita all'intera umanità) a "sacramento", cioè a "segno" dell'unione fra Cristo e la Chiesa, ovvero dell'alleanza tra Dio e l'uomo. La Costituzione e le leggi affermano che la famiglia è una "società naturale fondata sul matrimonio" e che il matrimonio, anche se esiste il divorzio, è comunque un impegno pubblico stabile, che comporta i doveri della coabitazione, della fedeltà e di "mantenere, istruire ed educare i figli". A questa visione anche solo civile le considerazioni di tipo religioso non sono indifferenti. L'attuale crisi della famiglia e il tentativo di affiancarle, fino a sostituirla, la "non-famiglia" è un fenomeno sociale che ha soprattutto ragioni di ordine spirituale: fu Lutero che li mise in moto, perché, per primo, strappò il matrimonio dal suo radicamento sacramentale e cristologico per collocarlo in una sfera puramente naturale, cioè esclusivamente umana e statale. Fu una vera sovversione, che consentì in seguito al secolarismo di completare lo strappo del matrimonio e della famiglia anche dalle loro radici umane e simboliche (il divorzio, l'aborto legalizzato, la fecondazione artificiale) al punto che il Parlamento di Strasburgo ha potuto raccomandare ai Paesi dell'Unione Europea (febbraio 1994) il "matrimonio" tra omosessuali: un vero non-senso. Oggi a questo ripido piano inclinato, sul quale la famiglia sta scivolando, si oppone soltanto la visione cristiana del matrimonio, della famiglia e della vita, che ha ancora una suo radicamento e una sua forza decisivi. Si assiste all'assurdo che anche coloro che operano per la distruzione della famiglia cercando di smontarla e di farla a pezzi, ne hanno pur sempre bisogno: chiamano "famiglie" quelle di fatto, temporanee, in prova, omosessuali nelle loro diverse tipologie. In realtà semplici "mostri" ricostruiti con pezzi della famiglia autentica, a sua imitazione: una specie di "Frankenstein della famiglia" o di "famiglia parassitaria" o "similfamiglia", che vorrebbe rivendicare, a carico della comunità, gli stessi vantaggi sociali, ma senza i doveri, della famiglia che nega. Il primo dei quali è quello del nome, che è assunto non più come un dato etico di riferimento stabile, ma come un elemento sociologico frutto dell'individualismo e del volontarismo (affettività o interesse) dei due partner. Un'affettività che dev'essere dichiarata spontaneamente come "legame " di qualunque tipo, compresa l'omosessualità, che in tal modo si fa sempre più strada verso la piena parità con la normalità sessuale, giuridica e istituzionale. In queste non-famiglie non esiste impegno di alcun tipo: non certamente quello della durata per il futuro, perché se ne registra soltanto quella del passato: due o tre anni di convivenza nemmeno comprovata e la "prova" dovrebbe essere la stessa dichiarazione. E neppure l'ostacolo della difficoltà del divorzio. Con l'effetto di una presa d'atto da parte del Comune medesimo o dello Stato che ai conviventi garantirà i vantaggi del matrimonio: eredità, subentro nelle locazioni, assistenza sanitaria e carceraria, reversibilità della pensione con esclusione o almeno con danno dei parenti veri, assegni familiari, graduatoria per l'assegnazione della casa e via così. A ciò bisogna aggiungere i costi economici per le finanze statali e il rischio della "degiuridificazione" del matrimonio, che perderà così la sua singolare specificità di istituto giuridico collettivo, e quello dell'annullamento della famiglia come primaria formazione sociale. Infine, a proposito del riconoscimento dei diritti delle singole persone senza quello esplicito dell'unione fra i due bisogna domandarsi quale differenza ci potrebbe essere fra i diritti personali dei due singoli e il diritto della famiglia come unità di più persone. Senza considerare il pericolo di aprire almeno un pertugio a unioni, come dire?, di fantasia fino a quelle poligamiche o poliandriche o a unioni del tipo delle famigerate "comuni" con cui nella Cina comunista (ma non solo) si tentò si far fuori la famiglia: se è sufficiente, per la costituzione di una unione di fatto, dichiarare un legame affettivo, come si potrà impedirle? Le conseguenze di un ulteriore imbarbarimento della vita della comunità civile sarebbero gravissime per il tessuto etico della società e per la stessa civiltà. 16 V o c a - Gennaio 2007 A partire da questo numero verrà proposta una serie di articoli sul tema dell'accompagnamento vocazionale nel ministero presbiterale. Gli articoli, pur rivolgendosi direttamente ai sacerdoti, tuttavia, possono offrire motivo di riflessione anche ai vari educatori a servizio delle nostre comunità parrocchiali. Dopo una introduzione, tratteremo l'argomento dell'attenzione che il pastore deve avere su di sé, poi l'attenzione sulla persona accompagnata e, infine, prenderemo in considerazione un possibile itinerario a partire dagli insegnamenti del documento conclusivo del convegno europeo sulle vocazioni, Nuove Vocazioni per una Nuova Europa (Roma, 5-10 maggio 1997). Introduzione La parrocchia: una comunità che accompagna… La parrocchia è famiglia che genera alla vita (Battesimo) e che accompagna verso la maturità della vita cristiana (accompagnamento: "quarto sacramento" dell'iniziazione cristiana). È importante che riscopra non solo la responsabilità di generare ma anche quella di condurre-accompagnare alla maturità che è riconoscere, accogliere e rispondere alla propria vocazione. …propone degli itinerari… Il documento finale del Congresso sulle vocazioni al Sacerdozio e alla Vita consacrata in Europa, Nuove Vocazioni per una Nuova Europa (NVNE), al n. 27 indica quali siano gli itinerari pastorali vocazionali classici e irrinunciabili: la liturgia e la preghiera, la comunione ecclesiale, il servizio della carità e la testimonianza annuncio del vangelo. Sono una via obbligata e offrono garanzia all'autenticità della ricerca e del discernimento. Al n. 28 dice che "le vocazioni che non nascono da quest'esperienza e da questo inserimento nell'azione comunitaria ecclesiale rischiano di essere viziate alla radice e di dubbia autenticità". …evoca la domanda. Dinanzi ad una pastorale giovanile preoccupata, il più delle volte, soprattutto di aggregare e di tenere "buoni" i nostri giovani, la crisi delle vocazioni chiede alle nostre comunità cristiane di riscoprire la gioia e la forza di presentare il Cristo "pro-vocante", che chiede non alcuni segmenti della vita e solo per alcune stagioni dell'esistenza, ma tutta la vita e per sempre. "La crisi vocazionale è certamente anche crisi di proposta pedagogica e di cammino educativo" (NVNE, 30). In altri termini, potremmo affermare che "se la pastorale non arriva a 'trafiggere il cuore' e a porre l'ascoltatore dinanzi alla domanda strategica ("che cosa devo fare?"), non è pastorale cristiana, ma ipotesi innocua di lavoro" (NVNE, 26/g). … e allora? A partire da queste considerazioni iniziali, diventa importante per il pastore instaurare rapporti personali attraverso l'accompagnamento: si tratta di affiancare sempre di più all'annuncio a tutti (predica al microfono), la relazione con il singolo. Ma mettiamo i piedi per terra. Partiamo da una osservazione di Pino Scabini che, probabilmente, ci siamo ritrovati a fare anche noi in qualche occasione. "Quando un giovane o una ragazza arrivano al momento più espressivo della loro vocazione, quali sono l'ordinazione sacerdotale, la professione religiosa o la celebrazione del matrimonio, raramente hanno coscienza piena che il parroco della loro comunità ecclesiale è stato un servitore della loro avventura cristiana. Un servizio umile e legato all'ordinarietà delle cose è quello del parroco, raramente appariscente al punto che, nelle occasioni citate, i ringraziamenti si sprecano verso una moltitudine di persone; al parroco di solito si riservano quelli di routine, senza particolari emozioni; capita di sentirlo ringraziare perché ha organizzato bene la festa ma non per l'altra opera di edificazione che la tradizione cristiana tiene in molto conto ossia edificare la comunità cri- stiana come un tempio dove tutti siano pietre vive (cf 1Pt 2,4-6). È debole la coscienza dei fedeli a riguardo di tutti i fattori che contribuiscono a realizzarsi nella loro vocazione? O è carente la sollecitudine del parroco verso coloro che si avviano nella strada di una vocazione di speciale consacrazione?" (Scabini di Antonio Galati «Per aiutare il giovane ad arrivare alla capacità di amare in modo oblativo e gratuito, condizione indispensabile per riconoscere la presenza del dono del celibato e la possibilità di viverlo in modo libero e liberante, verranno programmati incontri specifici»1. Adempiendo a quanto è scritto nel progetto formativo, la comunità educante del seminario organizza dei weekend formativi, atti a integrare, con l’ausilio di tecniche di psicologia, il cammino di crescita umana che si svolge durante l’anno al Collegio Leoniano. Perciò vengono programmati degli incontri, tra settembre e giugno, in cui don Giuseppe Sovernigo, un sacerdote della diocesi di Treviso specializzato in psicologia per la formazione umana e presbiterale, guida degli incontri su tematiche specifiche, aiu- La psicologia al servizio del seminario tando i seminaristi a riflettere e a confrontarsi su tali questioni per la loro crescita e per il loro bene e di quelle persone che, a Dio piacendo, si rivolgeranno a loro come a preti in grado di accogliere nella maniera adeguata. Don Giuseppe Sovernigo, in accordo con la comunità educante del seminario, ha impostato il cammino formativo da lui guidato, in modo tale da poter svolgere quattro incontri durante l’anno, oltre ai colloqui individuali in cui si trattano questioni più personali, per permettere di approfondire a passi consequenziali il tema scelto. Quest’anno il titolo guida degli incontri è Amare con cuore indiviso. Da settembre, mese in cui il seminario ha ripreso le attività ordinarie, si sono svolti già due incontri dei quattro previsti. Nel primo incontro, svoltosi il 4 e il 5 novembre, l’attenzione era posta sulla per- di Mons. Leonardo D’Ascenzo Responsabile Centro Diocesano Vocazioni P., Il servizio umile e ordinario del parroco alle vocazioni, in Vocazioni 2, 1997, p. 6). sona e gli esercizi proposti avevano la finalità di far prendere coscienza al seminarista di come si è strutturato il proprio io e di presentare un modello ideale da raggiungere, basato su quello che ci presenta Gesù. Il secondo incontro, sviluppato il 2 e il 3 dicembre, ha, invece, posto l’attenzione su come il seminarista vive l’amore che dona e che riceve. Questo secondo incontro coincide sempre con la festa delle famiglie dei seminaristi, il che permette anche ai genitori di potersi interrogare, sempre con l’aiuto di don Giuseppe, sul loro rapporto con i figli incamminati verso il sacerdozio e su come continuare a vivere l’amore con loro. Questi weekend formativi sono strutturati in modo tale da poter permettere sia un lavoro assembleare che un lavoro personale, oltre a uno scambio di idee a piccoli gruppi, cosicché ognuno può condividere con gli altri cose che ritiene condivisibili e che permettono a tutti di crescere, secondo un modo di dire di don Giuseppe, ormai familiarissimo ai seminaristi: «chi si espone vende e poi ci guadagna, chi non si espone non vende e poi si lagna». I lavori iniziano il sabato pomeriggio intorno alle 15.30 con la presentazione del tema da parte di don Giuseppe e proseguono poi con un momento di riflessione personale e poi con una condivisione per gruppi, che è moderata da alcuni dei responsabili del seminario e da seminaristi del sesto anno. Si conclude il pomeriggio con una nuova riunione comunitaria in cui vengono riportati i feedback degli incontri fatti nei gruppi e vengono anche poste delle domande a don Giuseppe inerenti il tema. Dopo la recita dei Vespri segue la cena e poi la visione di un film, sempre riguardante il tema trattato. La domenica successiva lo schema è più o meno il medesimo e i lavori si concludono con l’Eucaristia e la condivisione del pranzo. Dopo il pranzo ci si organizza per passare il pomeriggio in maniera rilassante e, al tempo stesso, costruttiva e ci si dà l’appuntamento alle 21.45 per la Compieta comunitaria, pronti a riiniziare una nuova settimana arricchita anche dagli spunti dati da don Giuseppe. 1 Progetto formativo del seminario, p. 39. Cfr. anche Linee comuni per la vita dei nostri seminari, 9; Gennaio 2007 Dalla meditazione e l’immobilità della contemplazione favorite dalle forme musicali del canto gregoriano nell’alto medioevo, si arriva intorno al X secolo a forme musicale, pure derivate dal gregoriano, ma che invece erano destinate ad accompagnare il movimento nei riti sacri, elemento questo del tutto nuovo nel canto cristiano e nelle pratiche religiose della cristianità, sta nascendo il canto processionale adatto ad accompagnare un’azione che potremmo chiamare coreografica: la processione. È questa un primo accenno di rappresentazione degli episodi biblici che porterà successivamente all’affermarsi del “dramma liturgico”. Una narrazione che predi Mara Della Vecchia cedeva la messa di Pasqua già nel X secolo, esponeva l’episodio delle donne che arrivate al sepolcro di Gesù lo trovano vuoto, ed è il primo esempio di dramma liturgico: “Quem qaeritis in sepulchro, o christicolae?\ Jesum Nazarenum crucifixum, o caelicolae. \ Non est .hic, surrexit sicut praedixerat; \ Ite, nunziate quia surrexit de sepulchro”. (Chi cercate nel sepolcro, seguaci di Cristo? Gesù di Nazaret che fu crocifisso, abitatori del cielo. Egli non M u s i c a & L i 17 è qui, è risorto come aveva predetto; andate annunziate che egli è risorto dal sepolcro). Dalla semplice intonazione da parte di un solista o di un coro si passa gradualmente a una vera rappresentazione con diversi cantori per ogni ruolo, con i costumi e azione scenica. Dal “Quem quaeritis?” segue una ricchissima storia del dramma liturgico che conosce la sua massima espansione nel XII secolo, gli spunti per la creazione di nuovi drammi sono numerosi: sono stati messi in musica il ciclo natalizio e il ciclo pasquale, la resurrezione di Lazzaro, la strage degli innocenti, la conversione di Paolo di Tarso, l’episodio dei discepoli a Emmaus, le vicende dei profeti dall’antico Testamento. Un dramma liturgico particolarmente pregevole del XII sec è il “Ludus Danielis” sulla vita del profeta Daniele di come egli scampò alla morte nella fossa dei leoni grazie all’intervento di un angelo; è un’ opera molto ampia e complessa il cui intero manoscritto è conservato nella cattedrale di Beauvais in Francia che testimonia l’esistenza di un teatro medioevale dopo secoli dalla scomparsa del teatro classico seguita alla caduta dell’impero romano. Il dramma liturgico sembra essere lontano dal canto cristiano originale, il cui scopo era quello della preghiera e della predicazione, ma mantiene comunque una sua funzione d’insegnamento e divulgazione delle scritture. Infatti il dramma liturgico viene rappresentato soprattutto nei monasteri, dove gli attori erano monaci e novizi oppure nelle chiese parrocchiali, luoghi nei quali le sacre rappresentazioni, oltre a conferire solennità alle celebrazioni, assolvevano anche al compito di agevolare l’apprendimento degli insegnamenti cristiani, difficilmente venivano scelte le grandi cattedrali cittadine per rappresentare i drammi liturgici proprio perché i fedeli dovevano poter seguire facilmente la vicenda che si svolgeva in più parti della chiesa. Dall’interno, il dramma liturgico passerà successivamente all’esterno della chiesa, cioè sul sagrato il quale costituirà una sorta di palcoscenico per la rappresentazione assumendo delle caratteristiche più spiccatamente popolari. I drammi liturgici verranno poi man mano abbandonati, ma non prima di aver contribuito alla rinascita di una forma artistica ed espressiva così importante come il teatro. Oggi non vengono più proposti nella loro funzione originale, ma forse una lontanissima eco della loro antica diffusione resta nelle suggestive rappresentazioni della passione che ancora sopravvivono in tanti paesi d’Italia durante la settimana di Pasqua. 18 Dio - so l’aggettivo ‘strano’ nel senso di ‘nuovo’, ‘diverso’, ‘originale’, perché così mi è sembrato il Convegno Pastorale Diocesano svoltosi a Velletri il pomeriggio di venerdì 24 e la mattina di sabato 25 novembre 2006. ’stato un convegno ‘nuovo’ perché ce ne aspettavamo uno sul recente incontro della Chiesa italiana a Verona, al quale hanno partecipato una mezza dozzina di nostri rappresentanti e per attendere lo svolgimento del quale il nostro appuntamento annuale era stato anche rinviato da settembre, inizio tradizionale dell’anno pastorale, a fine novembre. Ma la decisione del vescovo Apicella di scegliere come tema per il cammino diocesano nell’anno 2006-2007 la rilettura della Dei Verbum, costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Parola di Dio, con le questioni ad essa connesse (Rivelazione, Tradizione, Sacra Scrittura), ha modificato le priorità del convegno. Il suo temaguida è divenuto così una frase di S. Paolo ai Tessalonicesi (“Accogliete la Parola di Dio che opera in voi che credete”, 1Ts 2,13), e il convegno è diventato la prima di una serie di iniziative che caratterizzeranno l’attività diocesana nel prossimo anno. Si tratterà, è stato scritto, di riprendere la dottrina della Dei U E Gennaio 2007 Verbum, verificarne la ricezione, cogliere gli interrogativi e sviluppare le prospettive che facciano crescere la nostra Chiesa a quarant’anni dal Concilio. ’ stato un convegno ‘diverso’ soprattutto nella concezione: non più i tre giorni di relazioni e dibattiti del passato, che pure hanno portato in diocesi personaggi notevoli della vita ecclesiale (si pensi solo all’allora card. Ratzinger), ma appena due sbrigative mezze giornate di lavori, introdotte da una rapida relazione della teologa Stella Marra della Gregoriana e proseguite dda due sessioni di gruppi di studio nelle quali tutti i partecipanti, divisi in tre parti, hanno discusso dei tre modi possibili di lettura della Bibbia (liturgica, spirituale, storico-profetica) e di come questo si fa, se si fa, in diocesi. Le proposte sono state poi presentate al vescovo nell’assemblea finale, per essere da lui ulteriormente elaborate e applicate. ’ stato un convegno ‘originale’ perché il protagonista non è stato il tavolo sul palco, con i suoi relatori, prelati ecc., ma l’assemblea in platea, formata dall’insieme dei laici, sacerdoti, religiosi e religiose che rappresentavano le parrocchie. Convegno originale anche per il suo stile semplice, visibilmente governato non dagli organizzatori (il vescovo E E e don Dario Vitali in primis), ma dal medioevale splendido “Salvator mundi” su tavola che si confrontava con l’assemblea e che molto opportunamente è stato scelto come icona del convegno. ’ stato ancora scritto che “a quarant’anni dalla Dei Verbum, la volontà è quella di verificare a che punto siamo nel cammino di maturazione di una Chiesa che nasce dalla Parola e alla Parola sta sottomessa”. Se questa è stata di Stanislao Fioramonti la volontà che ha portato a questo convegno e non a un altro, a cose fatte mi resta l’inquietudine che io, della Dei Verbum, non so pressoché nulla. Colpa mia, certissimo, ma non si poteva escogitare qualcosa prima del convegno per conoscerla almeno un po? E’ anche vero tuttavia che il programma pastorale del prossimo anno ha già allestito corsi e iniziative per approfondire sia la costituzione conciliare che la conoscenza delle Scritture nel senso suggerito dalla teologa Marra; quello cioè di reimparare una lettura ‘ecclesiale’, cioè comunitaria, della Bibbia, abbandonando quella devozionale del passato e guardandosi da una ancor più pericolosa lettura individualistica. e son rose, fioriranno. E S Dioce 19 Gennaio 2007 In questi giorni di fine anno si è abituati a ricevere o donare, fra i tanti regali, anche un calendario. Tra i molti interessanti ricevuti non poteva passare inosservato quello dell’Arma dei Carabinieri, che da sempre si qualifica per le scelte artistiche che lo impreziosiscono, una fra tutte da ricordare è quella di alcuni anni con le illustrazioni del grande artista Pietro Annigoni. Non è passato inosservato il calendario del 2007 non solo per le belle illustrazioni di Luciano Jacus, e per la tematica scelta, la tutela del patrimonio artistico, quale campo di forte impegno dell’Arma, ma perché proprio grazie a questo impegno il nostro museo diocesano ha potuto riavere nel 1997 la sua Crux Veliterna, trafugata nel 1983. La nostra Crux domina la pagina del mese di luglio, mentre un porporato celebra e la figura di un carabiniere in alta uniforme dà esattamente il senso della protezione e della tutela. L’immagine ci riporta alla mente la gioia del ritrovamento e la cerimonia di riconsegna avvenuta all’interno del primo anno di preparazione al Giubileo del 2000: accoglienza in piazza Cairoli, consegna al vescovo Mons. Andrea M. Erba che a sua volta la pose tra le mani dell’allora Cardinal Titolare S. Em. Joseph Ratzinger, in processione si raggiunse la cattedrale di San Clemente. Qui con la cornice austera di una liturgia penitenziale, la presenza di moltissimi fedeli, Autorità Civili e Militari e dei Carbinieri del NTPA, la preziosa e antica Crux, stauroteca di un frammento della Croce di Cristo, ricevette degna accoglienza. Cogliamo l’occasione per ringraziare il Comando Generale dell’Arma, i responsabili dell’edizione del Calendario il gen. C.A. Leonardo Gallitelli, il Col. T. ISSMI Riccardo Galletta e l’art director Paolo Di Paolo per la considerazione mostrata e tutti i Carabinieri che ci hanno omaggiato del Calendario. d.A.M. 20 Cultu - Dostoevskij dice che se Dio non esistesse, tutto sarebbe lecito, così che non esisterebbe più il peccato e il mondo sarebbe solo un insieme disordinato di frammenti. In verità la cultura occidentale si è mossa nella certezza che Dio esiste ed è Colui che unifica il mondo ed ordina gli eventi. Tuttavia la storia nel suo continuo ciclo di trasformazione e metamorfosi della realtà è il luogo nel quale si legge con facilità che se Dio non è scomparso dalla scacchiera del mondo, è pur vero che per molti versi la fede in Lui e i conseguenti valori etici e morali che inevitabilmente dovrebbero derivarne, hanno subito un arresto o forse sarebbe meglio dire una crisi, che affonda le sue radici sul fatto che l'umanità ha preferito scegliere per sé un'altra strada che ha creduto più facile ed utile , quella che si basa sulle conquiste scientifiche e tecnologiche, da cui crede di poter ottenere benessere, felicità e sicurezza. E' questa una realtà ormai inequivocabilmente certa, i cui risultati, purtroppo, spesso negativi sono evidenti ed hanno mutato nel profondo il significato stesso di civiltà e società. Si è voluto dimenticare, infatti, che, come già affermava Einstein, le scienze non possono conoscere valori come bene e male, né tanto meno emozioni, non possono, cioè, produrre istanze etiche, ma solo concetti creati dagli scienziati e dalle loro esperienze. Purtroppo, però, le scienze basandosi appunto sull'esperienza, non conoscono , né potrebbero tenere conto solo di quei metodi che possono essere moralmente accettabili, ma sono "costrette" a trascurare ogni giudizio di valore, per attenersi a metodi razionali ed obiettivi atti Gennaio 2007 a fissare punti stabili e poli immobili. Se poi tutto ciò finisce per influenzare con le probabili conseguenze, che una qualsivoglia ricerca può portare con sé , la società e la vita degli uomini, allora è l'etica che dovrebbe intervenire, prima, per rendere chiaro il reale significato delle scoperte scientifiche e poi per " regolarne" la divulgazione e l'uso. Ma è ormai certo che le società moderne, in quanto dipendono economicamente e psicologicamente dalle applicazioni tecnologiche della scienza, hanno finito per essere derubate di ogni salda , coerente e accettabile "fede" su cui poggiare il proprio sistema di valori. Si tratta senza dubbio di una grande rivoluzione, che ha finito per sostituirsi seppure in modo ancora alquanto confuso a tutta una serie di sistemi religiosi, che per migliaia di anni avevano regolato la vita umana e la struttura sociale con i suoi codici morali e comportamentali. E dal vuoto lasciato da essi, si è andato affermando in modo sempre più forte un profondo sentimen- “Si è voluto dimenticare che, come affermava Einstein, le scienze non possono conoscere valori come bene e male...” to di frustrazione e di alienazione, che ha generato non solo sfiducia generalizzata nei confronti della scienza,che ha fallito proprio lì dove aveva promesso all'umanità tutta conquiste capaci davvero di trasformare in senso positivo i destini umani, ma della capacità da parte dell'uomo di saper individuare principi capaci di offrire quelle certezze di cui si ha inevitabilmente bisogno, per dare un senso alla vita . Per questo e senza ulteriori ritardi, è necessario riportare gli studi scientifici verso un sistema di valori, che già Jean Monod definì, " l'etica della conoscenza", per cui ogni scelta scientifica, esplicitamente o no, deve rispondere a cri- di Sara Gilotta teri di valore , che non solo non devono nuocere all'umanità, ma, semmai, guidarla verso mete positive ed equilibrate, tenendo presente innanzitutto un fatto estremamente semplice da esprimere con le parole, ma altrettanto difficile da realizzare e cioè che gli scienziati devono accettare di avere una peculiare responsabilità verso la società e l'intero genere umano, in modo che siano essi e le loro scoperte a servire l'umanità , per porre le basi di un nuovo sviluppo della cultura e della creatività ed impedire ogni forma di alienazione sia intellettuale, che politica. Cultu 21 Gennaio 2007 La mela tra storia e mito Appartenente alla famiglia botanica delle “Rosaceae” e del genere “Malus domestica” la nostra amata mela compare spessissimo nella lunga storia dell’uomo, tanto che la storia stessa sarebbe stata sicuramente ben diversa se questo frutto non vi fosse entrato con tale prepotenza. Il primo consumo di questo onnipresente prodotto dalle prime pagine della Bibbia stabilisce il confine tra una vita paradisiaca, ricca di gioia, di agi e delizie ed una vita brevissima arricchita di tribolazioni, pericoli e malattie. La mela diventa in questo modo simbolo del bene e del male, dell’obbedienza e della disobbedienza dell’uomo alle regole stabilite da Dio, dell’amore e dell’odio, di Emanuela Ciarla insomma racchiude in sé una coinciDocente di materie denza di oppoletterarie e sommelier sti. Il cibo diventa qualcosa di più di un semplice nutrimento: è fonte di vita eterna, è promessa futura, ma anche forte limite dell’autonomia dell’uomo. In questo frutto si può simboleggiare l’essenza dell’uomo, che lo rende diverso e superiore agli altri esseri viventi. Adamo è infatti l’unica creatura che può dialogare con Dio, elabora concetti e regole, è consapevole delle conseguenze ma il rischio lo attrae. Il frutto è lì a conferma della sua dimensione umana, simile a Dio, ma non uguale, signore della terra ma non dell’universo. Il suo viaggio sarà un percorso difficile, fatto allo stesso tempo di abbondanza e di carestia, attraverso il nutrimento del corpo ma anche e soprattutto dello spirito. La mela diventa poi una delle cause della guerra più famosa dell’antichità, quando Paride, giudice nella contesa per la più bella tra le dee, consegna il mitico frutto ad Afrodite, indispettendo Giunone e Minerva. Afrodite per ringraziarlo gli farà incontrare la più bella tra le donne, Elena, moglie di Menelao, che per riprendersi la sposa, non intenzionata a ritornare dal suo legittimo, scatenerà la guerra di Troia. In Asia, nel mondo prebiblico, la mela era legata alla simbologia della bellezza e alla prosperità, in India compare in numerosi scritti antichi insieme al pepe nero e rosa, come stimolante e ricostituente sia per gli uomini e le don“La mela racchiude in sé ne. Nella Bibbia nel cantico dei Cantici leggiamo: una coincidenza di opposti... “Presto portate dolci d’uva che mi restituiscano forza, e mele che mi diano In questo frutto sostegno…” Nella mitologia greca si può simboleggiare proprio attraverso le mele Ippomene conquistò la bell’essenza dell’uomo, lissima Atalanta ricorrendo ad una operazione astuta. La fanciulla si sarebche lo rende diverso be offerta a colui che l’avesse battuta nella corsa, e superiore ma avrebbe ucciso tutti gli sconfitti. Ippomene furagli altri esseri viventi” bescamente lasciò cadere tre mele d’oro sulla pista che fecero distrarre la fani suoi contemporanei trattano ciulla attardatasi a raccoglierle, perquesto nobile frutto, sempre predendo la corsa. sente nelle nature morte. Troviamo le mele in molte rapNell’immaginario collettivo di granpresentazioni dell’arte antica, da di e piccini la mela è sempre prequella mesopotamica, alla egizia, sente, da Biancaneve con la mela alla greca e alla romana; In Italia avvelenata, a Newton che si narne abbiamo uno splendido esemra abbia intuito le leggi relative pio negli stupendi mosaici della alla forza di gravità vedendo cadeVilla del Casale a Piazza Armerina re proprio uno di in Sicilia. Non possiamo dimenquesti frutti. Certo ticare come il Caranon possiamo vaggio e dimenticare Guglielmo Tell e la sua balestra, né la “Grande Mela” che ci guarda oltreoceano. 22 Arte Gennaio 2007 Il Battesimo In chiusura del tempo natalizio la Chiesa celebra la festa del Battesimo di Cristo come definitiva Epifania dell’Essere: dopo la manifestazione al popolo ebraico (l’annuncio del Natale ai pastori di Betlemme) e al mondo intero (l’Adorazione dei Magi), l’Essere manifesta pienamente se stesso nella rivelazione della Trinitá. Rivelazione che si imprime così profondamente nell’animo dei primi discepoli da essere menzionata da tutti e quattro gli Evangelisti e dal libro degli Atti. L’accorata preghiera del profeta Isaia: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” trova qui piena risposta: Giovanni Battista vede aprirsi i cieli e ode la voce del Padre certificare: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!”. Lo Spirito Santo poi, sotto apparenze di colomba, scende su Gesù e vi rimane cancellando così l’antica maledizione: “Il mio spirito non rimarrà per sempre nell’uomo a causa del peccato” (Gen 6,3). Chiunque aderisce per fede a Cristo, entra nell’esperienza del dimorare nello Spirito e contempla nel Figlio la gloria del Padre. Per penetrare più profondamente in questo mistero, vogliamo farci aiutare dalla voce eloquente di Piero della Francesca, originale artista italiano del quattrocento, che ci ha lasciato un mirabile commento pittorico del Battesimo di Cristo. Il Battesimo di Cristo fu una delle prime opere di Piero (alcuni studiosi suggeriscono come datazione gli anni fra il 1440-1445) e risulta essere di una modernità straordinaria. La religiosità dell’evento traspare dall’intensità della luce e dalla bellezza armonica della composizione. Né Cristo, né il Battista, né gli angeli hanno aureole e la colomba dello Spirito Santo si distingue appena dalle nuvole che attraversano il cielo. Piero invita l’osservatore ad andare a Dio attraverso l’umanità di Cristo. Tutto, nel dipinto, è estremamente umano e incarnato, eppure tutto è etereo e limpidissimo, di una bellezza che riporta alla creazione originaria. Il Giordano è raffigurato come uno dei torrenti umbri, così come umbra, e per nulla ispirata alla Palestina, è la vegetazione che lo attornia. Alla destra del Cristo, sullo sfondo, si intravede un piccolo centro abitato, è Borgo San Sepolcro cittadina dell’autore e cornice geografica della chiesa a cui era destinato il dipinto. Questo paesaggio, così noto al pittore e ai suoi contemporanei, è immerso in un aria diversa: in un’atmosfera carica di mistero e di bellezza. L’incarnazione del resto è la restaurazione di tutte le cose in Cristo e chi aderisce a Lui per mezzo della fede, entra nelle acque salutari del suo battesimo e riemerge rinnovato. Piero della Francesca celebra qui la tersa bellezza di un mondo rinnovato dalla grazia. Questo dipinto è una intensa meditazione del mistero di Cristo attraverso la Scrittura. L’evento del Battesimo è letto alla luce degli oracoli profetici: lo Spirito del Signore scende sul Messia (Is 61,1); i monti e i colli si sono appianati e le valli colmate (Is 40, 3-5), lasciando il posto a un paesaggio dolce e primaverile, con teneri germogli che spuntano qua e là. L’intera natura partecipa alla nuova alleanza: Dio risponde all’uomo, scendendo dal cielo e il cielo - riflesso nelle acque del ruscello - risponde alla terra, come canta Osea (2, 23-24) Contrariamente all’iconografia classica, che dipinge il Cristo immerso nel Giordano, Piero lo raffigura all’asciutto: le acque del Giordano, infatti, si ritirano dinanzi al passaggio del Signore, così come si ritrassero nei giorni antichi, al passaggio di Giosuè a capo del popolo. Pace e concordia, rappresentata da due dei tre angeli, si abbracciano e l’uomo (in secondo piano sulle rive del ruscello) sciolto dal peccato che lo teneva ricurvo, si riveste del Signore Gesù Cristo. L’arte si rivela così un mezzo prezioso per la di don Marco Nemesi preghiera e la meditazione dei semplici, aiutandoli a conoscere e a penetrare i misteri della Parola. L’opera di Piero, era originariamente collocata dietro l’altare maggiore della Cattedrale di Borgo San Sepolcro, dove il sacerdote celebrava l’Eucaristia. Si comprende allora come la discesa dello Spirito Santo su Gesù rimandi all’epiclesi della Santa Messa: la colomba si libra proprio sopra il capo del Signore e la mano destra del Battista s’interpone fra i due proprio come le mani del sacerdote sulle offerte. La colomba si trova al centro di un ampio cerchio che abbraccia la volta e si chiude nella parte sottostante, con la linea suggerita dal braccio destro dell’angelo e dal braccio sinistro, leggermente piegato, del Battista: la sfera del divino irrompe nell’umano e lo trasfigura. I tre misteriosi angeli sulla sinistra, non partecipano al rito portando le vesti del Salvatore, come invece avviene nella maggior parte delle raffigurazioni del Battesimo, ma sono pure presenze che invitano - con la posizione del corpo e con lo sguardo - ad entrare nel mistero rappresentato. Fra le tante ipotesi avanzate su questi tre angeli, qualcuno ha visto in essi la personificazione della Trinità o vi possiamo scorgere le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità mediante le quali si possono penetrare i divini misteri. Giovanni il Battista, insieme con l’angelo in vesti rosse e blu, conducono l’osservatore a fissare lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede (Eb12, 2). Entrambe le figure, infatti, con un gesto delicato della mano indicano il Salvatore. Giovanni Battista, guardando verso Gesù e genuflettendo leggermente una delle ginocchia, invita all’adorazione, mentre il colore degli abiti del primo angelo alludono al mistero che si adora: il rosso, l’umanità di Gesù -la sua passione e morte -e il blu, la sua divinità. Gli stessi colori si ritrovano nell’abito di Cristo dell’icona della Trinità di Rublëv. Le ali multicolore dell’Angelo rievocano le piume del pavo- ne o dell’uccello del paradiso, entrambi simboli della risurrezione. Sullo sfondo del dipinto, a destra dell’osservatore si scorge un uomo seminudo, colto nell’atto di indossare l’abito. Il biancore della sua pelle, del tutto simile a quella di Gesù, fa pensare al neofita che ha già attraversato le acque salutari del Battesimo e si riveste di Cristo. Candido, come la pelle di Cristo e del neofita, è anche il tronco dell’albero in primo piano. Quest’albero, e quell’altro più in ombra semi nascosto dagli angeli, è volutamente diverso dagli altri presenti nel paesaggio. Sullo sfondo abbiamo delle conifere, mentre gli alberi in primo piano, belli e frondosi, sono più simili agli alberi da frutta e rimandano ai due alberi del paradiso terrestre: l’albero della conoscenza del bene e del male e (quello in ombra) l’albero della vita. Il simbolismo è chiaro: chi si riveste del Signore Gesù Cristo ed entra nella familiarità con Lui, riacquista il candore e la bellezza originaria. Dietro al neofita si intravedono altri uomini, in abiti ampi e con copricapo di diversa foggia. Questi, in contrapposizione alla compostezza degli altri personaggi, sembrano muoversi e discutere animatamente. Se si fa riferimento al Vangelo possiamo vedere rappresentati in essi farisei e sadducei, ma se si fa riferimento al momento storico in cui Piero della Francesca ha dipinto il Battesimo, allora questi personaggi sembrano rappresentare la controversia tra la chiesa d’oriente e quella d’occidente attorno al Mistero della Trinità, controversia che si placò nel 1439, in seguito ad un accordo raggiunto col Concilio di Firenze. L’accordo tuttavia fu breve, decadde subito dopo e non fu mai sancito. Piero dipinge la sua tavola, quando appunto la prospettiva di una ritrovata concordia fra le due Chiese era ormai sfumata. L’uomo seminudo, non ha abiti che permettano di collocarlo in un’epoca; non indossa, come Cristo, il perizoma; non è un uomo del tempo di Gesù, ma è il credente di ogni tempo, è la Chiesa che attraversa i secoli e le epoche: già santificata, per i meriti e la grazia di Gesù Cristo, eppure sempre bisognosa di perfezionarsi, di rivestirsi di Cristo per essere senza macchia né ruga. L’arte sacra è un annuncio di salvezza: chi la contempla non può rimanere uguale a prima. Nel dipinto i tre angeli posti fra i due alberi dell’Eden ci inquietano; ad essi Piero affida il compito di provocare l’osservatore. Essi, come già detto, sono stati variamente interpretati, ma è soprattutto il loro sguardo a porci degli interrogativi. L’angelo della concordia guarda il mistero che si sta compiendo e il suo sguardo è assorto e contemplativo, va oltre il visibile. La sua carne, bianchissima come quella di Gesù, esprime purezza e luminosità. Egli ci interroga circa il mistero, quale posto occupa nella nostra vita la contemplazione e il silenzio, il rapporto con Dio. L’angelo della Pace ci guarda diritti in volto. Osserva proprio noi, mentre abbraccia la concordia, quasi a rimarcare d’essere una sola cosa con lei. La pace e la concordia sono in parte doni di Dio e in parte impegno dell’uomo. Egli dunque rinvia al nostro rapporto con gli altri, al nostro impegno per la giustizia e per la pace. L’ultimo angelo ci volge le spalle, ma si trova nella nostra stessa posizione rispetto al Mistero. Anch’esso sembra guardare il Cristo, eppure il suo sguardo si dirige più lontano, forse si posa sull’uomo ricurvo, appena uscito dal lavacro purificatore, oppure scruta gli uomini in ampie cappe e mantelli. Egli ci invita a riflettere sui segni dei tempi. Invita a guardare la storia, non con l’occhio distratto della cronaca, ma con lo sguardo penetrante di Dio, alla luce cioè, della rivelazione che trova in Cristo la sua pienezza. A p p u n t a - 23 Gennaio 2007 GENNAIO 5 venerdì - S. Amelia Monastero invisibile 6 sabato - EPIFANIA DEL SIGNORE (s) P Giornata Mondiale dell’Infanzia Missionaria 18° Anniversario dell’Ordinazione Episcopale di S.E. Mons. Andrea M. Erba 7 domenica - BATT. DEL SIGNORE C (f) 8 lunedì - S. Severino I sett. I sett. T.O. 12 venerdì - S. Cesira Incontro ordinario del Vescovo con i responsabili degli Uffici di Curia 13 sabato - S. Ilario (mf) 14 domenica - II DOM. T.O. C II sett. 94a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 93a Giornata per le migrazioni PASTORALE GIOVANILE: Incontri di spiritualità per adulti - VELLETRI, Centro S. Maria dell’Acero dalle 15,30 alle 18,30 17 mercoledì - S. Antonio abate (m) XVIII Giornata per l’Approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano Festa di Sant’Antonio Abate in: Montelanico: Parr. S. Pietro Apostolo Segni: Parr. S. Maria degli Angeli Velletri: nell’omonima Rettoria Velletri: Parr. S. Paolo Apostolo Artena: Parr. S. Maria di Gesù Gavignano: nell’omonima chiesa 18 giovedì - S. Margherita d’ Ungheria 19 venerdì - S. Mario e fam. RITIRO DEL CLERO 20 sabato - S. Fabiano (mf) Valmontone: S. Sebastiano m., festa del titolare dell’omonima parrocchia Velletri: Cattedrale di S. Clemente I, celebrazione per S. Sebastiano Patrono dei Vigili Urbani 21 domenica - III DOM. T.O.C. III sett. PG: Incontri dell’Acero - VELLETRI, Centro S. Maria dell’Acero Festeggiamenti in onore di S. Antonio Abate Velletri: Rettoria S. Antonio Abate Segni: S. Maria degli Angeli Artena: S. Maria del Gesù 22 lunedì- S. Vincenzo (mf) Compleanno di S.E. Mons. Vincenzo Apicella Gavignano: S. Antonio Abate, S. Messa e Benedizione animali e auto 18° Anniversario dell’inizio del Ministero Episcopale di S. E. Mons. Andrea M. Erba 24 mercoledì - S. Francesco di Sales (m) 25 giovedì - Conversione di S.Paolo (f) 26 venerdì - Ss. Timoteo e Tito (m) CONSIGLIO PRESBITERALE - convocazione ordinaria 27 sabato - S.Vitaliano Papa, nato a Segni Segni: S. Vitaliano compatrono della città, festa nella Concattedrale di S. Maria Assunta Segni: Istituto Mons. Signori - Suore Serve del Signore e della Vergine di Matarà, Festa di S. Vitaliano Papa Velletri: Suore Orsoline dell’Unione Romana, Festa della Fondatrice S. Angela Merici PG: Le Notti di Nicodemo - I 10 Comandamenti - VALMONTONE, Parr. S. Anna 28 domenica - IV DOM. T.O. C 1° Anniversario della nomina a Pastore della Diocesi di S.E. Mons. Vincenzo Apicella 29 lunedì- S. Valerio 54a Giornata dei malati di Lebbra 30 martedì - S. Martina 31 mercoledì - S. Giovanni Bosco (m) Colleferro: Parr. S. Barbara, S. Messa in Memoria di S. Giovanni Bosco FEBBRAIO 2 venerdì - Present. del Signore (f) P XI Giornata della Vita Consacrata Monastero invisibile CISM-USMI: Convegno degli Istituti di Vita Consacrata - VELLETRI, Cattedrale di San Clemente 3 sabato - S. Biagio (mf) 4 domenica - V DOM. T.O. C I sett. XIX Giornata per la Vita 5 lunedì - S. Agata (m) 6 martedì - Ss. Paolo Miki e c. (m) Velletri: Cattedrale S. Clemente I, festa di S. Geraldo ep. conf. compatrono della città 8 giovedì - S. Girolamo Emiliani (mf) Velletri: Parr. S. Martino, festa del fondatore S. Girolamo Emiliani nella comunità dei Padri Somaschi 9 venerdì - S. Apollonia Velletri: festa nell’omonima Rettoria 10 sabato - S. Scolastica (m) 11 domenica - VI DOM. T.O. C II sett. XV Giornata Mondiale del Malato Segni: Suore Serve del Signore e della Vergine di Matarà, festa della comunità ‘Nostra Signora di Lourdes’ 24 A p p u n t a Gennaio 2007 Atti ufficiali del Vescovo Prot. VSC 25A/2006 DECRETO DI NOMINA PER LA COSTITUZIONE DEL TRIBUNALE ECCLESIASTICO DIOCESANO Dopo la morte del Rev.mo Mons. Eteocle Trocchi, il Tribunale ecclesiastico diocesano si è reso vacante nella sua totale composizione. Volendo ridare alla Diocesi questo importante e necessario organismo, ben conoscendo le qualità umane e professionali delle persone individuate a ricoprire i ruoli previsti, per la facoltà concessami dal Codice di Diritto Canonico (cf. cann. 1419§1-2; 1430; 1432; 1435 e 483) Costituisco il Tribunale Ecclesiastico Diocesano che risulta così composto: S.E. Rev.ma Mons. Vincenzo Apicella presidente Dott. Avv. Alessandro Bucci promotore di giustizia Dott. Avv. Silvia Filippi difensore del vincolo Mons. Angelo Mancini cancelliere Don Fabrizio Marchetti notaio Velletri, 10.12.2006 Prot. VSC 26A/2006 DECRETO DI NOMINA PER LA COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO DIOCESANO PER GLI AFFARI ECONOMICI Al termine della scadenza naturale del CAE e con la nomina del nuovo vescovo si è reso necessario ricostituire il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici. Essendo venuto a conoscenze delle qualità professionali delle persone proposte a ricoprire il ruolo di consiglieri nelle problematiche economiche; per la facoltà concessami dal Codice di Diritto Canonico (cf. cann. 492§1-2; 493), con il presente decreto che ha immediato vigore Costituisco il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici e nomino voi per il prossimo quinquennio ORLANDI mons. Gino vic. ep.le per l’economia DUCCI Prof. Luigi MARCANTONIO dott. Pietro PERICA avv. Giuseppe VALENZI dott. Alberto Membri di detto Consiglio. Velletri, 10.12.2006 ? Vincenzo Apicella Mons. Angelo Mancini Cancelliere Vescovile