Relazione Finale Progetto

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Relazione Finale Progetto
ODISSEO
PROGETTO PER IL RIENTRO ONOREVOLE ED ASSISTITO
IN PATRIA DI DETENUTI STRANIERI
Rapporto conclusivo
A cura di:
Grazia Macchieraldo, Piccolo Principe
Licia Rita Roselli e Stefania Carrera, AgeSoL
Milano, marzo 2007
Indice
Premessa al Progetto Odisseo
Da dove muove Odisseo
Premessa metodologica alla ricerca
Le interviste
Il Perù
Domande area legale
Commenti alle domande dell’area legale
Domande area antropologico - culturale
Commenti alle domande dell’area antropologico - culturale
Domande area delle buone prassi
Commenti alle domande dell’area delle buone prassi
La Tunisia
Domande area legale
Commenti alle domande dell’area legale
Domande area antropologico - culturale
Commenti alle domande dell’area antropologico - culturale
Domande area delle buone prassi
Commenti alle domande dell’area delle buone prassi
La Romania
Domande area legale
Commenti alle domande dell’area legale
Domande area antropologico - culturale
Commenti alle domande dell’area antropologico - culturale
Domande area delle buone prassi
Commenti alle domande dell’area delle buone prassi
pg 4
pg 6
pg 12
pg 16
pg 17
pg 21
pg 23
pg 36
pg 40
pg 46
pg 47
pg 48
pg 52
pg 54
pg 65
pg 68
pg 72
pg 73
pg 74
pg 80
pg 82
pg 93
pg 96
pg 100
Quale senso fornisce la ricerca al Progetto Odisseo
Ipotesi progettuali per i rientri onorevoli
La sperimentazione dei rientri onorevoli
Le persone
I contesti
La selezione dei candidati al rientro
La scheda
La descrizione dei casi
pg 101
pg 103
pg 105
pg 107
pg 107
pg 108
pg 110
Valutazione del Progetto
pg 115
Premessa
E’ stato osservato che i rimpatri forzati di migranti, che risiedono illegalmente nei paesi dell’Unione Europea,
hanno un impatto fortemente negativo sia su chi torna, sia sulla società del paese d’origine.
Il rimpatrio, infatti, è un’esperienza traumatica di per sé, anche se era già stato messo in conto, rappresenta
un’interruzione della propria esperienza migratoria, e spesso è visto come una incapacità a soddisfare
un’ambizione personale e come la perdita di potere a prendere decisioni sulla propria vita.
Il ritorno se percepito come un fallimento, come l’effetto di una diminuzione delle proprie prospettive e delle
proprie risorse, espone a un immediato rischio di nuova migrazione spesso illegale o di reclutamento in
piccole organizzazioni criminali.
Il ritorno viceversa può essere pianificato come una fase del percorso migratorio e l’assistenza socioeconomica nel processo di reintegrazione dei migranti nei loro paesi di origine, assicura a tale processo una
sostenibilità di maggiore durata e una maggiore sicurezza sociale.
L’esigenza di una progettazione e di un supporto al ritorno in patria dei migranti, in relazione alla loro
reintegrazione economica, e che tenga conto anche degli aspetti psicologici del rimpatrio, è emersa in maniera
chiara dalla ricerca che è stata svolta nell’ambito del Progetto ODISSEO e di cui diamo ampia esposizione in
seguito.
Intenti del progetto e perché un progetto di rientro onorevole.
Il progetto Odisseo ha realizzato in primis una ricerca/azione che preparasse delle basi di conoscenza
concreta per realizzare quindi interventi di rientro onorevole ed assistito rivolti a detenuti stranieri con decreto
di espulsione che accettano di rientrare in patria, in modo da invertire la tendenza attuale che vede nelle
espulsioni forzate la prevalente modalità di azione.
Il progetto si è articolato in due aree di intervento poiché si ritiene che i percorsi di rientro debbano essere ben
preparati ed organizzati, vista la complessità e le molteplici variabili in gioco.
Il contesto di riferimento
L’inasprimento delle politiche migratorie s’inserisce in un contesto internazionale più ampio: attualmente in
Europa il rimpatrio forzato1 coinvolge un numero sempre più grande di persone, con effetti dimostrativi nei
Paesi ad ampia pressione migratoria2.
Occorre ricordare un dato: la maggior parte degli stranieri detenuti in carcere ha un decreto d’espulsione alle
spalle, non solo in virtù dei reati commessi (espulsione per motivi di sicurezza, la cui esecuzione è prevista
subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione, art. 15, comma 1 bis, D. Lgs.
286/98, come modificato dalla L. 189/02), ma anche perché durante il periodo di detenzione spesso non è
possibile presentare, per una serie di motivi, presso le Questure la documentazione per il rinnovo del
permesso di soggiorno.
Le espulsioni forzate presentano costi economici, sociali e psicologici molto alti. Dal punto di vista economico,
secondo Morozzo della Rocca, il costo per la realizzazione di un rimpatrio forzato si aggira intorno ai 6000
euro3, mentre fonti ministeriali lo stimano intorno ai 1500 euro4. Dal punto di vista sociale e psicologico le
pratiche di rientro forzato messe in atto sono poco dignitose: il ritorno diventa un momento drammatico,
improvviso e non programmato, senza alcuna cura rispetto alla possibilità di reintegrazione sociale. Queste
caratteristiche comportano costi non indifferenti sulla gestione dei flussi migratori nel medio-lungo periodo: uno
1
Per rimpatrio forzato s’intende: “ Il ritorno obbligato nel Paese di origine, transito o in un altro Paese terzo, in base
ad un atto amministrativo o giuridico”, la definizione è quella utilizzata e proposta dalla Commissione Europea, COM
(2002) 564 def.
2
A questo proposito si segnala che risultano in calo i respingimenti alla frontiera: nel 2002 sono stati 9.091, nel 2003
5.930 e nel corso del primo semestre 2004 si sono registrati 3.124 provvedimenti, dati reperibili sul sito
www.giustizia.it
3
Morozzo della Rocca, Diritto, immigrazione e Cittadinanza, 2002, n.4
4
L. Coslavi e F.Piperno con il coordinamento di F.Pastore, Rimpatrio forzato e poi? Analisi dell’impatto delle
espulsioni di differenti categorie di migranti: un confronto tra Albania, Marocco e Nigeria, Rapporto di ricerca curaro
da Cespi, p. 5. I dati sono reperibili su: www.cespi.it
3
studio curato da UNICRI ha rilevato che nell’arco di 2-6 mesi molte delle persone rimpatriate forzatamente
avevano tentato di giocare un’altra volta la chance dell’emigrazione5.
Da questo esempio si evince quanto sia alta la probabilità che un migrante rimpatriato forzatamente tenti
nuovamente la strada dell’emigrazione, con effetti diretti anche sul business del traffico di esseri umani.
Nonostante le problematiche emerse dall’analisi dei rimpatri forzati, le raccomandazioni della Commissione
Europea e la condizione del nostro Paese configurato come meta di destinazione dei flussi migratori (regolari
ed irregolari), risulta carente un approccio programmatico nei confronti dei rientri assistiti.
In quest’ottica si è svolto “Odisseo - Progetto sul rientro onorevole” , suddiviso in due aree d'azione:
AREA D'AZIONE 1: la ricerca
La ricerca ha riguardato tre grandi aree di interesse, la cui esplorazione è indispensabile, vista la complessità
dell'operazione di rientro assistito:
Area legale
Area socio-antropologica
Area delle buone prassi
La valutazione è avvenuta attraverso lo studio e l'approfondimento degli aspetti legali-giuridici e attraverso
interviste in profondità a testimoni privilegiati, quali:
Persone straniere interessate a questi programmi
Operatori impegnati in progetti di rientro assistito
Funzionari di polizia e personale delle Questure
Funzionari consolari e delle ambasciate dei Paesi di attenzione
• Rispetto all’ambito legale si sono individuate le condizioni necessarie previste dalla legislazione
nazionale ed internazionale per la messa in atto di percorsi di rientro onorevole.
• Per ciò che concerne il filone riguardante gli aspetti socio-antroplogici abbiamo considerato queste
variabili:
a. la famiglia di origine. Individuazione dei vincoli posti dal contesto familiare: l’accoglienza del migrante
“in primis” è ri-accoglienza e comprensione da parte della rete parentale.
b. Il lavoro e il reddito della persona. Valutare i tassi di inserimento lavorativo dei soggetti beneficiari del
progetto e valutare gli aspetti qualitativi quali il grado di soddisfacimento (l'ipotesi di partenza è stata
che un soggetto insoddisfatto e non appagato probabilmente mostrerà difficoltà di “tenuta”).
c. Il tipo di reato commesso ed eventualmente il ruolo nell’organizzazione criminale. Coloro che si sono
inseriti da professionisti nei circuiti criminosi difficilmente potranno accettare programmi di questo
genere, a causa dei vincoli e degli aspetti economici.
d. Dati di contesto valoriali. Analisi dei possibili livelli di stigmatizzatone derivanti dall’essersi macchiato
di un reato e di aver fallito il proprio progetto migratorio.
• Rispetto all'area delle buone prassi abbiamo provato ad enucleare pratiche funzionali che, al di là del
singolo caso, possano adattarsi mediando i due contrapposti poli: alla necessità di ottimizzare delle
procedure routinarie per facilitare e rendere più agile l’intervento e alla specificità di ogni singola
esperienza. In questo senso abbiamo ritenuto che possano costituire l’incipit fondamentale per il
successivo intervento di sperimentazione di rientri assistiti, oggetto dell’azione 2 del progetto Odisseo.
Le variabili analizzate in questo ambito sono state:
aspetti relativi alle pratiche burocratiche
il livello di consapevolezza e di formazione del soggetto beneficiario
l'armonizzazione tra i percorsi di rientro onorevole e il contesto socio-culturale di appartenenza
5
UNICRI, Report of Field survey in Edo State Nigeria, Programme of Action against trafficking in minors and young
women from Nigeria into Italy for the pur pose of sexual exploitation, July 2003, p. 69
4
AREA D'AZIONE 2: la progettazione di due programmi di rientro assistito.
La sperimentazione ha riguardato due detenuti stranieri della Seconda Casa di Reclusione di Milano
Bollate
L'intervento si è incentrato in:
a. attività informativa rivolta a detenuti stranieri di orientamento di base su aspetti legali e sulla
metodologia progettuale
b. selezione dei beneficiari tra i detenuti stranieri presenti nella Seconda Casa di Reclusione di Milano
Bollate
c. percorso di counselling individuale come fase preparatoria ai progetti sperimentali di rientro assistito
d. attività di orientamento al lavoro ed inserimento lavorativo nel paese d'origine ed eventualmente
anche percorsi di adattamento/inserimento al lavoro in Italia durante l’espiazione pena (in
collaborazione con azienda profit presente nella Casa di Reclusione di Bollate, che si è resa
disponibile già in fase di progettazione a partecipare a questa sperimentazione con propri dipendenti
interni PCDET- ovviamente volontari e consenzienti)
Questi percorsi sperimentali di rientro onorevole costituiranno la base di partenza di cases studies, e
strettamente connessi alla parte dedicata alla ricerca.
L'approccio è stato integrato e bi-direzionale, attribuendo pari dignità alle 2 aree d'azione: la prima fornisce gli
attrezzi di lavoro, la seconda si caratterizza nella messa in azione che fornirà nuovi spunti per progettazioni ed
interventi futuri.
Destinatari del progetto: Detenuti con decreto di espulsione o che vogliano rientrare nel paese d'origine.
Istituzioni, a vario titolo, interessate ed operanti nell'ambito della popolazione straniera e delle azioni di
rimpatrio volontario e di reinserimento socio - lavorativo di immigrati.
ONG e
Territori coinvolti: il progetto concentra le sue attività di indagine a Milano e avendo come fuoco le regioni
maggiormente rappresentate delle comunità Tunisine, Rumene e Peruviane presenti in Italia.
5
Da dove muove il progetto ODISSEO
Qualche cifra sulle presenze, e sugli stranieri, in carcere
PRESENTI al 31.12.2006
Tipo Istituto
Donne Uomini Totale Nr. Istituti
CASE DI RECLUSIONE
Condannati
37
108
4.642
4.750
Imputati
34
1.077
1.111
Internati
5
131
136
147
5.850
5.997
Totale
CASE CIRCONDARIALI
160
Condannati
487
10.116
10.603
Imputati
947
20.030
20.977
Internati
Totale
6
22
28
1.440
30.168
31.608
ISTITUTI PER LE MISURE DI SICUREZZA
Condannati
7
108
Imputati
9
48
57
Internati
67
1.161
1.228
83
1.317
1.400
Totale
Totale generale
8
115
1.670 37.335 39.005
205
Presenze e Capienze Regione Lombardia distribuite per istituto, tipo, posizione giuridica e sesso al
31/12/2006
ISTITUTO
TIPO
CAPIENZA
REGOLAMENTARE
D
BERGAMO
CC
BRESCIA "CANTON
CC
MONBELLO"
BRESCIA "VERZIANO" CR
BUSTO ARSIZIO
CC
CASTIGLIONE DELLE OPG
STIVIERE
COMO
CC
CREMONA
CC
LECCO
CC
LODI
CC
MANTOVA
CC
MONZA
CC
MILANO "SAN
CC
VITTORE"
OPERA "I C.R."
CR
BOLLATE "II C.R."
CR
PAVIA
CC
SONDRIO
CC
VARESE
CC
VIGEVANO
CC
VOGHERA "N.C."
CC
Totale regione
19
U
Tot
DETENUTI
PRESENTI
D
U
POSIZIONE GIURIDICA
Tot
IMPUTATI
U
Tot
D
D
CONDANNATI
U
Tot
D
INTERNATI
U
Tot
22
0
188
206
210
206
15
0
303
340
318
340
9
0
189
288
198
288
6
0
114
52
120
52
0
0
0
0
0
0
35
0
77
36
167
116
71
167
193
23
0
83
43
312
140
66
312
223
15
0
9
10
243
2
25
243
11
8
0
7
33
69
6
41
69
13
0
0
67
0
0
132
0
0
199
50
0
0
0
23
71
63
371
196
54
57
96
349
604
421
196
54
57
119
420
667
20
315
0
194
0
43
0
56
8
129
86 505
102 1.000
335
194
43
56
137
591
1.102
14
0
0
0
4
57
72
183
123
33
42
100
363
879
197
123
33
42
104
420
951
6
0
0
0
4
29
30
132
71
10
14
29
142
121
138
71
10
14
33
171
151
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
45
0
0
0
0
56
0
832
919
244
27
53
180
158
877
919
244
27
53
236
158
42 1.074
0 710
0
313
0
23
0
74
65
240
0
195
1.116
710
313
23
74
305
195
2
0
0
0
0
32
0
255
292
177
15
52
147
84
257
292
177
15
52
179
84
40
0
0
0
0
33
0
819
418
136
8
22
93
111
859
418
136
8
22
126
111
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
442 4.853 5.295
444 6.009
163 2.400 2.563 67
132
199
6.453 214
3.477 3.691
Fonte: D.A.P - SEZIONE STATISTICA
6
PERCENTUALI DI STRANIERI PER NAZIONALITA’PRESENTI NELLE CARCERI ITALIANE
al 31/12/2006
Popolazione detenuta straniera in Lombardia al 31-12-2006
UE
475
EUROPA
AFRICA
Ex Alba Roma Altri Tunisia Maro Alge
Jugos nia
nia
Paesi
cco
ria
lavia
Europa
145
382
97
234
794
134
60
Altri
paesi
Africa
267
ASIA
Medio
Altri
oriente paesi
Asia
46
136
AMERICA
ALTRO
Nord Centro Sud
4
52
230
8
Totale
3.806
Da questi dati si rileva che su tutti gli Istituti penitenziari della Lombardia la presenza degli stranieri, anche
dopo il provvedimento di Indulto del 31/7/2006, è ancora molto alta: infatti su 6.453 presenti 3.806 sono
stranieri, ben oltre la metà.
A tale scopo, per completezza di informazioni, si accenna a qualche cifra che riguarda il provvedimento di
Indulto in Lombardia: infatti a fine dicembre erano 3.254 i detenuti che negli Istituti penitenziari lombardi (su
una popolazione complessiva vicina alle 9000 unità) hanno beneficiato dell’indulto.
Si tratta di 3.049 uomini (1757 italiani, 1292 stranieri) e 205 donne (90 italiane e 115 straniere).
Di questi, 245 sono già rientrati negli istituti di pena (144 uomini stranieri, 96 italiani e 5 donne), la gran parte
dei reingressi non dipende dall’aver commesso altri reati cosiddetti penali, ma spesso sono stranieri che dopo
l’indulto hanno avuto il decreto di espulsione e non hanno ottemperato a tale ingiunzione.
Questo è il panorama del sistema carcerario in Italia, ma affinché il quadro sia più chiaro occorre riferirsi alla
legge sull’immigrazione n°189/2002, meglio nota coma Legge Bossi-Fini, che ha reso più stringenti i parametri
tramite cui è possibile rimanere in territorio italiano, legando la permanenza regolare ad un contratto di lavoro;
per questo motivo il permesso di soggiorno ha le vesti di un vero e proprio contratto di soggiorno.
Sull’espulsione: dal momento che il legislatore ha posto tra i suoi scopi principali la lotta alla clandestinità ha
reso più facili le espulsioni, anche se una successiva modificazione nel mese di novembre 2004 ha reso
necessario un giudizio di convalida da parte del Giudice di Pace per tutti coloro che abbiano ricevuto un
provvedimento di espulsione (Decreto legge n. 241/2004).
7
La Normativa di riferimento6
A) I principi generali contenuti nell’ordinamento penitenziario e nel DPR230/2000; la disciplina delle espulsioni.
Nell’art. 1 dell’Ordinamento Penitenziario sono enunciati i principi generali concernenti il trattamento
penitenziario. Al comma 1 si legge: ”il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve
assicurare il rispetto della dignità della persona”, prosegue poi il comma 2, “il trattamento è improntato ad
un’assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza, e condizioni economiche e
sociali, ad opinioni politiche ed a credenze religiose”. L’art. 35 del D.P.R. n. 230/2000 (Regolamento recante
norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà personale), rubricato
“Detenuti ed internati stranieri”, recita così: ”nell’esecuzione delle misure privative della libertà nei confronti di
cittadini stranieri, si deve tenere conto delle loro difficoltà linguistiche e delle differenze culturali. Devono
essere favorite possibilità di contatto con le autorità consolari del loro Paese. Deve essere, inoltre, favorito
l’intervento di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con
organizzazioni di volontariato”.
Aldilà della normativa relativa agli stranieri contenuta nell’ordinamento penitenziario e nel DPR230/00 sopra
menzionata, per gli stranieri in carcere ha una diretta rilevanza la normativa relativa alla espulsione dal
territorio italiano.
L’espulsione dello straniero c.d. extracomunitario può essere disposta:
1) dall’autorità giudiziaria a titolo di misura di sicurezza ai sensi dell’art.235 c.p., quando lo straniero sia
condannato alla reclusione per un tempo non inferiore ai 10 anni; ancora, ai sensi dell’art.312 c.p., quando
lo straniero sia condannato ad una pena detentiva per uno dei delitti contemplati dal Titolo I del c.p.; infine,
l’art.15 del T.U. Immigrazione stabilisce che il giudice può ordinare l’espulsione dello straniero che sia
condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del c.p.p., sempre che risulti socialmente
pericoloso
2) dall’autorità giudiziaria a titolo di sanzione sostitutiva (art.16 T.U. Immigrazione). Presupposti: a)
condanna o applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in relazione ad un reato non colposo; b)
l’irrogazione di una pena detentiva entro il limite di due anni; c) la sussistenza di una delle situazioni
legittimanti l’espulsione amministrativa ex art.13, comma 2 T.U. Immigrazione (vedi oltre); d)
l’insussistenza delle condizioni per la sospensione condizionale della pena.
3) dal Magistrato di Sorveglianza a titolo di sanzione alternativa alla detenzione (art.16 T.U. Immigrazione)
quando lo straniero si trova in talune delle situazioni legittimanti l’espulsione amministrativa ex art.13,
comma 2 T.U. Immigrazione (vedi oltre) e che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non
superiore ai due anni
4) dal Prefetto a titolo di sanzione amministrativa ai sensi dell’ art.13, comma 2 T.U. Immigrazione:
“L'espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero: a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi
ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10; b) si è trattenuto nel territorio dello
Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da
forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da
più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo; c) appartiene a taluna delle categorie indicate
nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto
1988, n. 327, o nell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della
legge 13 settembre 1982, n. 646.”
5) Dal Ministro dell’Interno a titolo di sanzione amministrativa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato (art.13, comma 1 T.U. Immigrazione).
B) Misure alternative alla detenzione e lavoro all’esterno ex art.21 O.P. La condizione dei cittadini stranieri in
esecuzione pena è emersa autonomamente in riferimento ai condannati ammessi alle misure alternative alla
detenzione. Due sono le domande principali alle quali rispondere: come disciplinare la presenza sul territorio
nazionale di stranieri detenuti, privi di permesso di soggiorno o con un titolo scaduto e non rinnovato, al
momento in cui gli stessi sono ammessi all'affidamento in prova, al lavoro esterno o ad altra misura alternativa
prevista dalla legge; se optare o meno per la convertibilità del permesso di soggiorno per motivi di giustizia
6
estratto da www.tsd.unifi.it/altrodir/
8
(che riguarda sia chi è in attesa di un giudizio sia chi deve scontare la condanna definitiva comminata) in
permesso di soggiorno per lavoro subordinato, nell'ipotesi di ammissione a una misura alternativa che implichi
lo svolgimento di attività lavorativa.
Su entrambi i punti si è pronunciata la circolare del 2 dicembre 2000, Ministero degli Interni, che ha ratificato
come legittima la permanenza in territorio italiano dei detenuti ammessi alle misure alternative, stante
l'espressa definizione della relativa ordinanza del Magistrato di Sorveglianza come un'autorizzazione in questo
senso, e ha escluso la convertibilità fra i diversi titoli di soggiorno, che comporterebbe un necessario raffronto
con le quote dei flussi d'ingresso programmati annualmente. La circolare ritiene, invece, legittimata l'attività
lavorativa degli ammessi alle misure alternative sulla base della sola ordinanza del Magistrato di Sorveglianza.
[…]La circolare n° 27 del 15 marzo 1993, Ministero del Lavoro - Direzione generale per l’impiego […] indica in
modo puntuale i vari passaggi della procedura di avviamento al lavoro dei detenuti extracomunitari sprovvisti
di permesso di soggiorno, realizzabile grazie a un apposito atto rilasciato dagli uffici provinciali e valido solo
fino al termine della misura alternativa. Nello stesso senso vanno la circolare del 12 aprile 1999, Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria, e la lettera circolare 0444878 del 14 gennaio 2002, sempre proveniente dal
D.A.P. Con la prima si precisa che, ai fini del rilascio del codice fiscale ai detenuti e agli internati
extracomunitari, non occorre il possesso del permesso di soggiorno e che la mancanza di un valido
documento può essere superata con la presentazione della richiesta di codice fiscale da parte del direttore
dell’Istituto penitenziario o di un suo delegato. Con la seconda circolare viene eliminato ogni dubbio residuo
circa la sussistenza del diritto agli assegni familiari per i detenuti extracomunitari lavoranti. Qualora vi siano
incertezze sui dati riguardanti gli eventuali familiari a carico dei lavoratori detenuti, spetta alla competente
amministrazione contattare i rispettivi consolati per effettuare le necessarie verifiche.
Sull’immigrazione irregolare e i rimpatri 7
I respingimenti. La polizia di frontiera è abilitata a disporre il respingimento degli stranieri che si presentano ai
valichi di frontiera senza i necessari requisiti, quali documenti validi, visto d’ingresso, documentazione idonea
a comprovare lo scopo del soggiorno e l’effettiva disponibilità di adeguati mezzi di sussistenza. La maggiore
facilità ed economicità di contrastare gli irregolari alle frontiere tramite il respingimento fa sì che proprio
attraverso questo strumento si sia realizzato un consistente numero di allontanamenti, seppure diminuito
rispetto all’inizio del 2000.
I respingimenti sono stati 48.437 nel 1999, 42.221 nel 2000, 41.058 nel 2001, 43.795 nel 2002, 27.397 nel
2003, 24.528 nel 2004 e 23.878 nel 2005. La ragione della dimensione dei respingimenti è dovuta al fatto che
gli immigrati di molte nazioni (quelle dell’Est Europa) sono stati esentati dal visto per motivi turistici e che
quindi più agevolmente hanno potuto attraversare le frontiere. La frontiera terrestre è stata quella più implicata
nei respingimenti, seguita dalla marittima. Gli sbarchi sono stati 20.143 nel 2001, 23.719 nel 2002, 14.331 nel
2003, 13.635 nel 2004 e 22.939 nel 2005; questa notevole ripresa degli sbarchi in Italia è dovuta alle più
severe condizioni di controllo a Ceuta e Melilla.
Le espulsioni. Se ai respingimenti può essere attribuito un ruolo di prevenzione dell’immigrazione irregolare,
le espulsioni rimangono i provvedimenti giudiziari o amministrativi attraverso cui si contrasta la presenza
irregolare riscontrata sul territorio: in diverse fattispecie le espulsioni avvengono con accompagnamento
coattivo alla frontiera e risultano perciò molto costose rispetto agli allontanamenti.
Dal 2004 le espulsioni sono aumentate perché la legge 189/2002 ha incrementato le espulsioni coattive e
ridotto i casi di applicazione delle intimazioni.
Si riscontrano delle differenze per nazioni di origine. L’incidenza delle espulsioni è alta, confrontata con la
rispettiva presenza irregolare, nei confronti degli immigrati provenienti da realtà geografiche molto distanti,
7
tratto da: Immigrazione irregolare in Italia/Irregular Migration in Italy a cura di IDOS - Punto Nazionale di
Contatto dell’European Migration Network (EMN) in collaborazione con il Dossier Statistico Immigrazione
Caritas/Migrantes e con il supporto del Ministero dell’Interno. I dati relativi al 2005 sono stati forniti dalla Direzione
Centrale Immigrazione e Polizia di Frontiera del Dipartimento Pubblica Sicurezza – Ministero dell’Interno. Da una
ricerca sulla presenza irregolare nei diversi Stati membri promossa dalla Commissione Europea come supporto del
programma“European Migration Network”. Roma, 27 giugno 2006
9
come alcuni paesi dell’Africa subsahariana e del Medio ed Estremo Oriente, ma anche di marocchini, tunisini,
ucraini e romeni.
Non sempre l’espulsione avviene in maniera coatta. I non ottemperanti ai provvedimenti di espulsione sono
quelle persone che, pur avendo ricevuto un provvedimento di intimazione all’espulsione o un ordine, da parte
del questore, di lasciare il territorio dello Stato (entro 5 giorni dalla dimissione da un centro di permanenza),
non hanno tuttavia dato esecuzione all’intimazione e si sono illegittimamente trattenuti in Italia. Nel 2005 si è
trattato di 65.617 persone ed è così avvenuto che per la prima volta dal 1999 le persone allontanate sono
risultate di meno rispetto a quelle che hanno avuto un provvedimento di espulsione.
I rimpatri. A seguito dei provvedimenti di espulsione vengono predisposti, laddove l’immigrato irregolare non
abbia ottemperato all’intimazione di lasciare l’Italia, i cosiddetti “rimpatri assistiti” ovvero l’accompagnamento
del cittadino straniero verso il proprio paese d’origine.
La politica dei rimpatri assistiti ha potuto esplicare tutta la sua efficacia solo a seguito della stipula di accordi
bilaterali tra Italia e paesi di origine dei migranti. Gli accordi in questione prevedono una collaborazione
bilaterale per contrastare i flussi irregolari, attraverso il coinvolgimento nelle misure di rimpatrio dei paesi di
partenza e l’attribuzione a loro favore nei decreti di programmazione dei flussi di quote preferenziali di
lavoratori ammessi ad entrare in Italia.
L’Italia ha firmato 27 intese bilaterali in tema di riammissione, di cui 21 già in vigore. Contatti in materia sono
stati avviati con numerosi altri paesi. Dei predetti 27 accordi:
• 13 sono stati stipulati con paesi dell’UE (Austria, Cipro, Estonia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania,
Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria);
• 2 sono stati stipulati con paesi candidati (Bulgaria e Romania);
• 12 riguardano paesi non-UE (Albania, Algeria, Croazia, Macedonia, Georgia, Marocco, Moldavia,
Nigeria, Sri Lanka, Svizzera, Tunisia e Serbia-Montenegro).
Le persone effettivamente espulse o rimpatriate sono state 23.955 nel 1999, 23.836 nel 2000, 34.390 nel
2001, 44706 nel 2002, 37.756 nel 2003, 35.437 nel 2004 e 26.985 nel 2005, così ripartite: 16.690 espulsioni
eseguite, e 10.295 riammissioni in forza degli appositi accordi.
Per il terzo anno consecutivo, e in maniera consistente, è diminuito il numero delle persone rimpatriate, il che
attesta i limiti delle strategie di contrasto. Le persone destinatarie di un provvedimento di espulsione, al quale
non hanno ottemperato, sono state 40.489 nel 1999, 64.734 nel 2000, 58.207 nel 2001, 61.282 nel 2002,
40.586 nel 2003, 45.697 nel 2004 e, come ricordato, 65.617 nel 2005.
Oltre al rimpatrio assistito è previsto anche il “rimpatrio volontario assistito” caratterizzato dalla volontarietà e
dall’assistenza che viene offerta a chi desidera tornare nel proprio paese.
In nessun caso il rimpatrio volontario può avere luogo a seguito di un decreto di espulsione o di respingimento.
L’assistenza al rimpatrio volontario consiste in un supporto concesso agli interessati dal momento in cui
prendono la decisione di tornare, sino al loro arrivo nel paese di origine.
Non si dispone di dati al riguardo se non per alcune esperienze pilota che hanno riguardato il reinserimento
produttivo in patria di donne sfruttate ai fini sessuali (art. 18 del Dlg. 286/1998 consente il rilascio di un
permesso temporaneo di soggiorno per motivi di protezione alle vittime del traffico di esseri umani)
Trattenimenti presso i Centri di permanenza temporanea. Le persone transitate nei Centri di Permanenza
Temporanea (CPT) sono state 13.863 nel 2003, 15.647 nel 2004 e 16.163 nel 2005. Nel 2004 le persone
rimpatriate hanno inciso intorno al 50% sul totale dei trattenuti e non è pertanto significativamente aumentata,
salvo che in alcuni CPT, la capacità di procedere all’effettivo allontanamento degli irregolari dopo il periodo di
trattenimento.
I costi del contrasto all’immigrazione irregolare. Secondo quanto riferisce la Corte dei Conti, il contrasto
dell’immigrazione irregolare nel 2004 è costato all’Italia complessivamente 115.467.000 euro (circa 316 mila
euro al giorno), un importo rilevante tanto più se paragonato all’ammontare totale destinato nello stesso anno
a livello centrale a progetti di integrazione e assistenza agli immigrati (29 milioni di euro).
10
Irregolarità e mercato del lavoro nero. L’attività di vigilanza sarebbe di per sé un deterrente tutt’altro che
trascurabile per contrastare l’area del lavoro sommerso e sfruttato, che coinvolge un gran numero di irregolari,
ma risulta di fatto insufficiente, specialmente in realtà produttive a notevole dispersione come l’agricoltura o
eccessivamente frammentate come il settore della collaborazione familiare, come anche nel commercio e
nelle piccole imprese. Il settore agricolo, in prevalenza stagionale, è uno degli ambiti di lavoro che assorbono
maggiormente la manodopera immigrata irregolare e per questo è stato oggetto di una ricerca realizzata nel
2004 dall’associazione umanitaria Medici Senza Frontiere (MSF), attraverso visite e interviste a 770 persone,
hanno evidenziato condizioni di trattamento veramente disumane.
Le visite ispettive vengono svolte su tutto il territorio nazionale dall’INPS, dall’INAIL e dal Nucleo Ispettivo dei
Carabinieri presso il Ministero del Lavoro. Queste ultime nel 2005 hanno riguardato 24.555 aziende. All’interno
di queste uno straniero su quattro non ha potuto dimostrare un rapporto di lavoro in regola e il 12,9% è
risultato privo di permesso di soggiorno.
Quanto alla tipologia del lavoro nero, nel Sud, a causa della disoccupazione diffusa, le infrazioni assumono un
carattere più strutturale (aziende mai registrate, aziende fantasma). Nel Nord, invece, l’economia sommersa
cerca di assumere facciate solo apparentemente regolari (ad esempio contratti fittizi di collaborazione
coordinata e continuativa) o forme di lavoro subordinato fatte passare come autonomo (doppio lavoro,
occultamento di ore lavorative).
Date queste premesse risulta quanto mai difficile innestare circuiti virtuosi di sostegno alla legalità, che vede
nel lavoro uno dei mezzi principali, in quanto esso, oltre che essere importante strumento per la realizzazione
di sé, costituisce un fattore che influisce positivamente sui processi di inserimento sociale. Il lavoro in carcere
e per gli ex-detenuti stranieri è merce rara, malgrado alcuni provvedimenti come la Circolare Ministeriale del
’93 che ha permesso di fornire tutti gli stranieri in carcere di codice fiscale. Agli ostacoli burocratici e legislativi,
ai problemi derivanti dalle caratteristiche socio-anagrafiche del target di riferimento, ovvero soggetti con livelli
di istruzione bassi e quindi con poche risorse spendibili sul territorio, si aggiungono i problemi derivanti dai
vincoli sociali e dai pregiudizi. In sintesi ci troviamo di fronte ad una popolazione che per i motivi sopra citati
viene inserita in percentuale residuale nei pochi progetti di formazione e lavoro, malgrado la nostra
Costituzione all’articolo 3 stabilisce che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”
Anche in Italia quindi è giunto il momento di studiare, progettare ed indagare al meglio queste situazioni,
interrogandoci, senza pregiudizi, sulle reali vie percorribili per rientri assistiti caratterizzati anche da un efficace
reinserimento socio-lavorativo.
Crediamo che in Lombardia essendo una regione che è sempre stata molto sensibile ed inclusiva al problema
migratorio, sia giunto il momento di farsi carico anche del problema dei detenuti stranieri con decreto di
espulsione, seppur in via sperimentale, tenendo conto delle risorse disponibili: in quest’ottica abbiamo
progettato e realizzato ODISSEO - Progetto per il rientro onorevole, e di seguito si presentato i risultati di:
• La ricerca
• la progettazione e sperimentazione di due percorsi di rientro assistito di soggetti in espiazione pena
nella Seconda Casa di Reclusione di Milano Bollate, che volontariamente hanno voluto sottoporsi a
questo percorso.
11
PREMESSA METODOLOGICA ALLA RICERCA
I passaggi metodologici che hanno portato alla realizzazione della ricerca sono stati:
1. L’individuazione del numero di nazioni extra Unione Europea da coinvolgere nella ricerca. Per giungere a
questa decisione il processo attivato è stato:
a) La realizzazione di un’analisi preliminare della portata della ricerca che ha preso in considerazione:
• i dati forniti dall’Ufficio stranieri della Polizia di Stato relativi alle espulsione effettuate in un
semestre, dati indicanti i numeri delle persone espulse suddivise per nazionalità;
• i dati forniti dal PRAP e dalle educatrici della seconda Casa di Reclusione di Bollate e della Casa
Circondariale S. Vittore relativi al numero dei detenuti stranieri presenti negli Istituti Penitenziari di
Opera, Bollate e S. Vittore suddivisi per nazionalità
b) Il vaglio delle risorse umane ed economiche disponibili per realizzare la ricerca
c) La messa a punto dell’ipotesi operativa relativa al numero delle nazioni su cui era possibile effettuare
la ricerca
Gli esiti di questa analisi preliminare hanno portato alla decisione di realizzare la ricerca su 3 paesi extra
Unione Europea.
2. L’individuazione delle specifiche nazioni su cui effettuare la ricerca. Per prendere questa decisione ci si è
basati su:
a) i dati forniti dall’Ufficio stranieri della Polizia di Stato relativi alle espulsione effettuate in un semestre,
dati indicanti i numeri delle persone espulse suddivise per nazionalità e i dati forniti dal P.R.A.P., dalla
seconda Casa di Reclusione di Bollate e dalla Casa Circondariale S. Vittore relativi al numero di
detenuti stranieri presenti negli Istituti Penitenziari di Opera, Bollate e S. Vittore suddivisi per
nazionalità
b) le informazioni reperite sono state confrontate con una riflessione in merito alla scelta di differenziare
piuttosto che di omologare le aree geografiche su cui concentrare la ricerca.
La valutazione fatta ha considerato più funzionale differenziare le aree geografiche su cui concentrare la
ricerca, in modo da avere la possibilità di verificare:
• se diverse condizioni socio–economiche e geo-politiche potessero risultare variabili determinanti nella
valutazione di fattibilità di interventi di rientro volontario assistito di persone detenute che, una volta
scontata la pena, hanno ricevuto il decreto di espulsione
• se diversi contesti determinassero la necessità di impostare i progetti di rientro onorevole sulla base di
modalità specifiche, che tenessero conto di aspetti propri dell’area territoriale presa in esame.
Sulla base dei dati reperiti e delle riflessioni realizzate sono stati scelti come paesi su cui focalizzare la
ricerca Perù, Tunisia e Romania.
3. L’individuazione delle fonti attraverso cui realizzare la ricerca. Tale scelta si è basata su:
a) La valutazione della tipologia di informazioni indispensabili per poter verificare la fattibilità dei progetti
di rientro onorevole e le modalità operative di realizzazione
b) L’analisi di quali soggetti ed istituzioni potessero possedere le informazioni necessarie per produrre i
risultati attesi dalla ricerca.
12
La tipologia delle informazioni necessarie individuate sono state:
• AREA LEGALE: presenza di accordi bilaterali, modalità operative del rimpatrio, normative favorenti od
ostacolanti l’inserimento lavorativo per rimpatriati e per persone con esperienza di detenzione,
aggiornamento dei certificati penali con condanne ricevute all’estero e uso dei certificati penali per la
ricerca del lavoro.
• AREA SOCIO – ANTROPOLOGICA: processi migratori, presenza aree di povertà, accoglienza di
fronte ad un rientro forzato, conoscenza dei percorsi di rientro forzato, accoglienza di persone con
un’esperienza detentiva, tipologie di reato commesse nella nazione presa in esame, esistenza di reati
sopportati, localizzazione dei possibili inserimenti lavorativi nella nazione considerata, tipologia di
lavoro e professionalità competitive, costo della vita.
• AREA DELLE BUONE PRASSI: disponibilità alla solidarietà, esistenza di progetti di reinserimento
lavorativo per rimpatriati e per ex detenuti, buone prassi di tali percorsi, possibilità e funzionalità per i
progetti del coinvolgimento di enti istituzionali e di organizzazioni del privato sociale.
Le fonti in possesso di tali informazioni sono state valutate essere:
• Attori istituzionali: funzionari pubblici di Ambasciate, Consolati, Questura, e CPT
• Organizzazioni del Terzo Settore operanti nell’area Stranieri e della Cooperazione internazionale
• Organizzazioni pubbliche che si occupano di Cooperazione Internazionale, Commercio Estero e
Camere di Commercio
• Popolazione straniera proveniente dalle nazioni prese in esame dalla ricerca e regolarmente immigrati
in Italia
• Popolazione detenuta appartenente alle nazioni considerate dalla ricerca
4. L’impostazione della prima bozza di intervista semi strutturata
5. La verifica della prima bozza dell’intervista tramite:
a) l’individuazione di persone competenti su ciascuno dei paesi focus della ricerca
b) La scelta è ricaduta su: un magistrato del Tribunale del lavoro competente in materia penale della
Romania, una cooperante competente del Perù, una docente universitaria competente di Tunisia.
c) La messa in prova dell’intervista sottoponendola agli esperti sopra indicati
Sono stati organizzati singoli incontri con ciascuno degli esperti individuati a cui è stata presentata la
ricerca e sottoposta la prima bozza dell’intervista.
Questa azione ha permesso di avviare una riflessione comune che ha consentito di correggere
imprecisioni e di integrare aspetti mancanti portando alla stesura definitiva dell’intervista semi strutturata
da sottoporre alle fonti individuate.
6. La messa a punto della modalità di ricerca dei soggetti appartenenti alle fonti individuate.
Sono stati usati strumenti quali: l’indagine su documentazione pubblicata relativamente al tema degli
stranieri, dei rimpatri e di percorsi di rientro con accompagnamento, l’indagine su internet, l’attivazione
degli esperti impiegati nella fase 5., il confronto con operatori del settore pubblico e del privato sociale.
7. Avvio della fase di contatto con i potenziali intervistati.
Il contatto è avvenuto telefonicamente, via e-mail e con l’invio di lettere di richiesta ufficiale per
l’effettuazione dell’intervista via posta e fax. E’ stata prodotta una presentazione del progetto – ricerca che
è stata fatta pervenire ai potenziali intervistati.
8. Creazione della griglia per il riversamento dei dati provenienti dalle interviste
13
9. La realizzazione delle interviste è avvenuta tramite:
• Appuntamento con i singoli intervistati
• La registrazione dell’intervista
• Il riversamento dei dati raccolti sulla griglia appositamente creata
10. L’analisi dei dati contenuti nella griglia e la definizione degli aspetti ritenuti significativi per la ricerca
11. La scelta della modalità di presentazione del report finale
12. La creazione del report finale
I punti critici incontrati sono stati:
•
La fase 2. dei passaggi metodologici che hanno portato alla messa a punto e alla realizzazione della
ricerca è stata compiuta a febbraio – marzo 2006. In quel periodo non avevamo informazioni relative alla
possibilità che la Romania sarebbe entrata nell’Unione Europea a gennaio 2007. Rispetto all’area
balcanica, in base ai dati in nostro possesso sul numero degli espulsi e sul numero dei detenuti, le nazioni
che presentavano un particolare interesse per il progetto Odisseo erano la Romania e l’Albania. La scelta
si è concretizzata sulla Romania a causa della sua maggiore stabilità socio – economica e della minore
presenza di criminalità e di fenomeni legati all’illegalità. L’ingresso della Romania nell’Unione Europea ha
comportato che i cittadini rumeni siano diventati cittadini comunitari. Dal punto di vista normativo tale
cambiamento di condizione ha effetti significativi relativamente alla possibilità di emettere decreti di
espulsione, perché i cittadini rumeni, in quanto comunitari, sono diventati praticamente inespellibili. La
ricerca si è perciò occupata, a differenza dell’ipotesi originaria, di due nazioni extra Unione Europea, Perù
e Tunisia, e di una nazione neo - comunitaria. Tale cambiamento ha presentato alcuni elementi
interessanti, non previsti in fase di progettazione della ricerca, riguardanti l’approfondimento dello status
delle persone ex detenute appartenenti a nazioni neo – comunitarie.
•
Durante la fase 3., relativamente all’individuazione delle fonti con informazioni di interesse per il progetto
Odisseo, è emerso che i cittadini stranieri residenti nei loro stessi paesi d’origine, avrebbero potuto
costituire una risorsa informativa particolarmente preziosa per la messa a fuoco degli aspetti socio –
antropologici. Abbiamo dovuto rinunciare a sondare tale fonte poiché non avevamo previsto risorse
economiche adeguate né per recarci direttamente nelle nazioni interessate dalla ricerca ed effettuare in
loco delle interviste, né per impiegare mediatori o traduttori che avrebbero potuto individuare persone nel
loro stesso paese d’origine per intervistarle anche a distanza.
•
La mancanza di disponibilità da parte dei funzionari delle Camere di Commercio e del Commercio Estero
all’essere intervistati. La scelta di questa fonte era avvenuta nella fase 3. e nessuno aveva ipotizzato una
tale indisponibilità. La difficoltà rilevata è stata l’incomprensione, da parte dei soggetti a cui ci siamo rivolti,
del valore che avrebbero avuto per la ricerca le informazioni da loro fornite. L’impressione è stata che
considerino gli aspetti commerciali come rigidamente separati dagli interventi di carattere sociale. Tale
conclusione è da tenere presente per una eventuale creazione di rete che coinvolga anche questi attori,
poiché è indispensabile prevedere una preliminare azione di sensibilizzazione ed informazione rispetto ai
progetti di rientro volontario onorevole volta a stimolare la loro partecipazione e chiarire il loro specifico
ruolo all’interno della rete.
•
Rispetto alla tipologia d’informazioni necessarie per la ricerca e alle fonti che avrebbero potuto fornirle
(fase 3.) l’Area delle buone prassi ha dovuto confrontarsi col fatto che praticamente non esistono progetti
sperimentati e realizzati di rientro onorevole per ex detenuti. Abbiamo quindi raccolto indicazioni
14
relativamente alle buone prassi dei progetti di cooperazione internazionale e le abbiamo traslate
sull’ipotesi progettuale di rientri onorevoli per ex detenuti.
•
In fase progettuale non abbiamo pensato ad una restituzione dei risultati ottenuti con la ricerca alle fonti
informative che hanno permesso di raggiungere tali risultati, cioè le persone che si sono fatte intervistare.
Abbiamo intenzione di programmare un incontro di restituzione non solo per dare un compimento al
percorso a cui gli intervistati hanno partecipato e perché in taluni casi ci è stato espressamente richiesto,
ma anche perché risulta essere un’azione per sondare il terreno della costruzione di reti intorno al progetto
Odisseo.
Punti di attenzione individuati:
•
Nella fase 10. di analisi dei dati emersi dalle interviste è stato rilevato il fenomeno del self report, ossia
l’errore metodologico secondo cui la persona intervistata fornisce proiezioni personali piuttosto che la
descrizione della realtà. Ciò avviene prevalentemente in attori istituzionali e rappresentanti di un potere e
tale fenomeno viene determinato dal fatto che questi soggetti hanno la necessità del controllo
dell’immagine, così che tendono a sostituire alla realtà una visione personale costruita sulla base della
proiezione auspicata.
15
INTERVISTE
IL PERÙ
Interviste realizzate con:
FONTE: gruppo di controllo
A.
B.
C.
D.
mediatrice culturale
mediatrice culturale
cittadino peruviano con regolare permesso di soggiorno
cittadina peruviana senza permesso di soggiorno
FONTE: detenuti
E. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate
F. Detenuta alla Casa Circondariale di S. Vittore
G. Detenuta alla Casa Circondariale di S. Vittore
FONTE: istituzionale
H.
I.
J.
K.
L.
Console aggiunto Perù
Croce Rossa Italiana
Cooperazione decentrata Comune di Milano
Cooperazione internazionale Regione Lombardia
Ufficio stranieri Polizia di Stato
FONTE: cooperazione internazionale
M.
N.
O.
P.
Q.
Cooperante con esperienza nei barrios di Lima
Cooperante di ASPEM (associazione solidarietà paesi emergenti)
Avvocato della Defensoria del pueblo8 che collabora con ASPEM a Lima
Cooperante Mani Tese
Caritas Ambrosiana
8
La Defensoría del Pueblo è un organo costituzionale autonomo previsto dalla Costituzione del 1993. La sua mission consiste nel
proteggere i diritti costituzionali e fondamentali della persona e della comunità, supervisionare la realizzazione dei doveri
dell’amministrazione pubblica e la prestazione dei servizi pubblici alla cittadinanza.
Titolare dell’istituzione è la Defensora del Pueblo, che la rappresenta e dirige. Viene eletta con il voto di almeno due terzi del
Congresso della Repubblica, e il suo mandato dura cinque anni. Gode di inviolabilità, non risponde a livello civile ne penale alle
raccomandazioni, segnalazioni, opinioni e indicazioni che emette nell’esercizio delle sue funzioni. Inoltre può operare in assoluta
indipendenza nelle sue funzioni. È regolamentata dalla Costituzione stessa e dalla Legge Organica.
La Defensoría non svolge funzioni penali o fiscali e non si sostituisce ad alcuna altra autorità. Non detta sentenze, non impone multe
né sanzioni; le sue opinioni o manifestazioni di volontà non costituiscono atti amministrativi o giurisdizionali con effetto coercitivo.
La realizzazione delle raccomandazioni o indicazioni che emette si basa sulla persuasione, attraverso la quale si cerca di formare
coscienza nei poteri pubblici sul fatto che tali indicazioni debbano essere soggette alla legalità e al rispetto dei diritti dei cittadini.
(http://www.ombudsman.gob.pe/defensoria.html)
16
DOMANDE AREA LEGALE
DOMANDA 1
A.
B.
H.
L.
O.
DOMANDA 2
A.
B.
C.
D.
H.
L.
Esiste una normativa di accordo tra lo Stato italiano e la sua nazione che regola il rientro forzato?
Se sì, spiegare le regole degli accordi.
Che io sappia non esiste
Che io sappia no
No
Non lo so perché dipendono dal ministero degli esteri, certamente è più semplice con l’Albania dove abbiamo
forze di polizia nostre per la formazione e l'istruzione, c'è una collaborazione massima con la Romania, c'è stato
con la Bulgaria e non potrebbe essere altrimenti per chi fa istanza di entrare in Europa.
Non mi risulta che esistano accordi tra Italia e Perù, o anche convenzioni locali che sostengano il reinserimento in
Perù di peruviani ex detenuti o che abbiano avuto una sanzione in Italia (o in qualsiasi altro paese). Ci fu in alcuni
casi l’intervento del capo dell’Istituto Penitenziario Peruviano, quando si venne a conoscenza di maltrattamenti
perpetrati a detenuti peruviani in Cile e in Bolivia.
Come la sua nazione accoglie i soggetti rimpatriati? Spiegare, se esistono, le normative che definiscono
delle condotte a cui i rimpatriati devono adempiere o le prassi consolidate a cui si attengono.
Non c’è attenzione ai bisogni della persona, per esempio di dare alla persona una possibilità di stabilità
economica e lavoro. A livello di servizi sociali non c'è aiuto. Noi peruviani non siamo sviluppati come voi, non c'è
quella preoccupazione per la persona, per farla reinserire.
Non se ne occupano, rientrano nel territorio nazionale normalmente e le persone continuano a fare la propria vita.
Non c'è nessun passaggio di tipo istituzionale; mi è capitato di vedere persone che sono state espulse e quando
sono ritornate in Perù è stato come se non fosse successo niente.
Se l’espulsione è dovuta ad un reato grave la persona viene fermata dalla polizia che si informa sui motivi
dell'espulsione. Questa persona verrà processata. I reati non gravi sono il furto (di auto o nel supermercato). Se
viene espulso solo perché era irregolare, allora è un peruviano pulito e non gli viene fatto niente, è libero.
Quando sbarcano dall'aereo vanno a casa, senza controlli né altro.
Non c’è una condizione speciale per chi viene espulso. Molti espulsi tornano nel giro di pochi mesi, perché hanno
una vita in Italia, con una loro famiglia. Ho conosciuto famiglie composte da più di 100 persone che vivono in
Italia.
Procedure che riguardano lo straniero che esce dal carcere per fine pena o per applicazione della pena
sostitutiva: l'intervento della Questura si concretizza essenzialmente nell'espulsione (è il Prefetto che espelle, il
Questore si limita ad eseguire il decreto del Prefetto nelle tre forme previste: accompagnamento alla frontiera
immediato, trattenimento nel CPT, oppure ordine di lasciare il paese in 5 giorni). Per quelli che escono dal
carcere, essendo persone che commettono reati, c'è sempre trattenimento al CPT, perché comporterebbe
problemi rispetto al controllo sociale consegnare l'invito a una persona appena uscita dal carcere che potrebbe,
per qualsiasi motivo, il giorno dopo commette un nuovo reato. Quindi preferiamo trattenerli al CPT in modo da
essere sicuri di poterli accompagnare fisicamente alla frontiera. Nel caso in cui non hanno documenti, dopo 60
giorni, come spesso avviene, vengono muniti dell'ordine del Questore di lasciare il paese entro 5 giorni e lasciati
liberi. Non sono chiuse le vie al rilascio del permesso di soggiorno per gli stranieri che hanno subito una
condanna, questo accade sempre quando sono coniugi di cittadini italiani o genitori di cittadini italiani, che
acquistano lo status di inespellibili. In questi casi richiediamo la convivenza, si chiama il coniuge richiedendo
l’autocertificazione della convivenza e alla persona straniera verrà dato un permesso per famiglia, che potrà
essere convertito in lavoro.
Art 16 della legge Bossi Fini prevede che si possa presentare istanza al giudice per ottenere di sostituire il carcere
con il rientro nel paese d'origine quando la pena è sotto i 2 anni. Viene chiamato provvedimento deflattivo per
sfoltire le carceri. Una volta che viene concessa l’applicazione dell'art.16, tale situazione viene trasmessa in
Questura e la persona verrà accompagnata nel paese d’origine nel tempo necessario a trovare il biglietto per il
rimpatrio. L'accompagnamento al paese d'origine è obbligatorio, non è come l'espulso normale, perciò se non c'è
il passaporto non si può richiedere la pena alternativa. La richiesta può venire da chi ha un'identità certa o dai
paesi i cui consolati sono disposti a riconoscere l'identità dei loro cittadini. Una volta arrivati nella loro nazione
sono liberi.
I reati ostativi al permanere nell'area Shenghen sono il 380 e 381, quelli che prevedono l'arresto obbligatorio in
fragranza e l'arresto facoltativo, in più i reati sessuali, pedofilia, immigrazione clandestina, sfruttamento della
prostituzione.
Se una persona espulsa vuole rientrare ha la possibilità di richiedere il nulla osta speciale al rientro, la sanatoria
non lo può aiutare perché, anche se cambia nome, ha depositato le impronte e viene subito individuato. Questo
per voi significa che potete fare rientri onorevoli, offrire un'occasione nel paese d'origine, e se la persona non ce la
fa a rimanere nel paese d'origine, piuttosto che rientrare clandestinamente (che non gli conviene perché ormai
con le impronte non si sfugge più), appena maturano i termini potete farvi carico del deposito dell’istanza presso
17
Q.
R.
DOMANDA 3
B.
C.
D.
H.
Q.
DOMANDA 4
B.
C.
H.
M.
DOMANDA 5
A.
B.
l'ambasciata. Dopo di che sulla legge sull'immigrazione non si può mai dare niente per scontato, perché è una
legge modernissima, più volte modificata, plasmata da sentenze del TAR, della Corte di Cassazione e dei giudici
ordinari, perciò non si può escludere nessun tipo di ulteriore modifica.
Per sostenere le spese di rimpatrio c'è un capitolo in Prefettura. Per le espulsioni con l'art. 16 il biglietto viene
automaticamente pagato. Se una persona è detenuta e vuole rientrare nel suo paese d’origine (alle condizioni di
cui sopra) ha il diritto al rientro pagato.
Quello che succede è sostanzialmente che il consolato identifica la persona e deve rilasciargli un documento di
viaggio. Nel momento in cui la persona passa la frontiera sul passaporto o sul documento di viaggio verrà messo
il timbro da parte delle autorità di frontiera italiane di uscita dal territorio italiano. Questo perchè da quella data
decorrono i 10 anni di divieto di reingresso in Italia. Prima erano 5 anni, la legge Bossi - Fini li ha aumentati a 10.
Bisogna tener conto che generalmente quando viene fatto il rimpatrio le persone non vengono avvisate
dell’imminente partenza, quindi si ritrovano nella situazione in cui i poliziotti li prelevano di mattina presto, li
portano in aeroporto e li caricano sull'aereo scortati a seconda appunto della nazionalità del gruppo che deve
essere rimpatriato. Queste persone possono immaginare che quell'aereo li riporti a casa, ma nessuno gli
comunica niente. Questo per evitare problemi di sicurezza e di ordine all'interno del centro di permanenza
temporanea. Una volta che sbarcano dall'aereo non sappiamo cosa accada.
Non lo so perché come IOM non ci occupiamo del rimpatrio forzato, noi ci occupiamo solamente del rimpatrio
volontario ed assistito. Siamo contro le espulsioni e non partecipiamo a questo tipo di rimpatrio.
Quando il rimpatrio è assistito si tratta di rimpatri volontari. Noi assistiamo le persone dall’Italia fino alla
destinazione finale e alla reintegrazione nel paese d'origine. Ci occupiamo di aiutare la persona a prendere una
decisione consapevole per il rimpatrio usando il counselling, che la persona ottenga un documento di viaggio
presso la sua Ambasciata nel caso in cui non ha il passaporto, di organizzare il viaggio, di fornirgli il visto di
transito, di fornirgli assistenza in aeroporto a Roma e nel paese d'origine (perché abbiamo i nostri uffici) e di
aiutarlo ad ottenere la reintegrazione (dipende da progetto a progetto) sempre attraverso la nostra rete nei paese
d'origine.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono l’integrazione lavorativa dei soggetti
rimpatriati?
Se sì, spiegare la normativa.
No, non c'è una legge
No, l'aiuto viene dato da amici o famigliari
Che io sappia non c'è una legge, non c'è proprio niente.
No
Non esistono. Almeno le persone che abbiamo incontrato nuovamente perché sono tornate in Italia dopo un
rimpatrio dicono che gran parte di loro cerca comunque di ritornare in Italia perché al loro paese di origine non
hanno la possibilità di trovare lavoro, non hanno più nessuno avendo lasciato il paese da tanto tempo. Per cui
presumibilmente vengono lasciati al loro destino.
Mi viene in mente che il consolato del Perù, ad esempio, investe molto sui cittadini stranieri residenti all'estero,
ovviamente perché ci sono molte rimesse, ma non investe niente sulle persone irregolari, se non agevolazioni
durante i periodi di regolarizzazione con il rilascio dei documenti di identità piuttosto che altro.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che ostacolano l’inserimento lavorativo dei soggetti
rimpatriati?
No, non credo che esistano
No.
No
Se esiste non so. Faccio un paradosso: non è che non esista il divieto di sosta, se qualcuno parcheggia davanti al
mio garage, quella persona è in divieto di sosta. Posso pretendere che i vigili vengano a portare via la macchina a
Bergamo o a Milano. In Perù il problema è che non viene in mente a nessuno di chiamare i vigili, perché i vigili
come entità sono lontani dalla loro realtà. Nella situazione descritta sopra, la prima cosa che uno fa è chiamare il
vicino che magari è un po' più influente, per sua popolarità o per il fatto che in passato è stato un dirigente
apprezzato ect. Il vicino ha voce in capito, individua di chi è l’auto, cerca il proprietario, gli chiede di spostare
l’auto, quello la sposta. Oppure per far spostare la macchina si va dal dirigente protestando per il parcheggio in
divieto di sosta.
Magari la legislazione c'è, ma per la mia esperienza è molto più efficace ciò che viene ritenuto regola di
convivenza della specifica comunità. Le comunità non sono isolate tra di loro, ma per il fatto che hanno questo
senso innato di auto organizzarsi (vedi risposta a domanda 18) è l’assemblea che decide il divieto di sosta e, in
questo modo, la regola viene rispettata.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono od ostacolano l’inserimento lavorativo di
soggetti che hanno ricevuto condanne penali in patria o all’estero?
La legge favorisce l'inserimento
Là ci sono molte leggi sulla carta, ma in realtà ci sono tante cose che non si avverano, non si compiono. Perché è
un paese talmente grande, c'è molta burocrazia, e molte leggi non vengono applicate. Se anche la legge
18
H.
O.
DOMANDA 6
B.
C.
H.
I.
L.
O.
Q.
DOMANDA 7
B.
C.
D.
H.
M.
prevedesse di favorire l'inserimento lavorativo per chi è stato in carcere, comunque tutto dipende dal datore di
lavoro: se gli vuole dare lavoro glielo dà, se non vuole non glielo dà.
Sì, ci sono programmi di reinserimento, di formazione – lavoro, sono gestiti a livello istituzionale
Mi sembra che non esistano istituzioni private locali che si occupino in modo specifico dell’assistenza post
penitenziaria. Sicuramente esistono alcune ONG che lavorano sulla riabilitazione di ex detenuti che durante la
pena sono stati identificati come consumatori di droghe (ONG: Cedro; Perú Sin Drogas; etc…).
Nella sua nazione, vengono riportate sui certificati penali, rilasciati a suoi connazionali, le condanne
ricevute all’estero?
C'è la certificazione dei precedenti penali, che deve essere prodotta quando si richiede il passaporto o quando
servono atti notarili, anche per il lavoro magari chiedono la fedina. Ma non so se vengono riportati anche i reati
commessi all'estero.
Se è una cosa grossa (tipo il brasiliano della Vanna Marchi) allora vengono riportati, ma per quelli piccoli è difficile
che vengano riportati
Non vengono riportate sul certificato penale le condanne ricevute all’estero.
Sul certificato penale italiano viene registrato. Sul certificato penale del paese di origine non so. Bisogna tenere
conto che la maggior parte dei cittadini extra comunitari in carcere hanno degli alias, questo comporta una
difficoltà nell'identificazione. Nel caso il cittadino straniero abbia usato un alias non potrebbe mai avere un
trasporto di informazioni sulla fedina penale del paese di origine. Se il cittadino straniero ha usato il proprio nome
potrebbe esserci questo passaggio di informazioni dalla fedina penale italiana a quella del suo paese, ma è
fantapolitica, nel senso che potrebbe esserci un lavoro da parte dell'Interpool così capillare, e dubito che ciò
accada. A meno che non si tratta di reati che vanno a sfociare nell'internazionale, tipo traffico di armi, traffico di
stupefacenti, terrorismo.
Non credo proprio, tant'è vero che per la cittadinanza si richiede il casellario giudiziario del paese di origine. La
banca dati Schengen è una banca dati comune ma per determinati reati: espulsioni, furto d'auto, monete. Non c'è
una replica pari pari della nostra banca dati nei paesi d'origine, ancora si è arrivati a ciò. Soprattutto non sapremo
mai se una persona è pregiudicata nel suo paese d'origine, lo sappiamo se ci fossero segnalazioni dell'Interpool.
C'è un fascicolo nella divisione anticrimine che si chiama “permanendo” che se uno per una volta viene segnalato
per un fatto rimane lì. Certo quando una persona viene espulsa la polizia lo sa, perché la persona arriva
segnalata, scortata, non so che iniziative possono prendere là. So che i cittadini di alcuni paesi temono tantissimo
quello che gli può succedere nel loro paese.
La pena comminata all’estero non viene registrata nei precedenti penali della persona in Perù.
Non vengono riportate. Il certificato del casellario dei carichi pendenti italiano riporta tutti procedimenti aperti in
Italia. Per cui per avere questo genere di informazioni si devono fare altre verifiche, con altre procedure. I
certificati rilasciati dai tribunali ordinari sul nostro territorio verificano solo procedimenti in Italia.
Tutte le comunicazioni riguardanti il cittadino straniero vengono inviate al consolato o all'ambasciata che poi
comunica alle proprie autorità, per cui in linea teorica si potrebbe venire a conoscenza delle condanne ricevute in
un paese terzo. Poi non so quanto funzionino le amministrazioni e come funzionino, comunque nel caso che una
persona ha subito delle condanne oppure che ci sono dei procedimenti penali in corso, gli atti vengono notificati
anche ai consolati.
Per poter essere assunti da un datore di lavoro, si devono presentare le certificazioni dei carichi pendenti
e delle fedine penali? E questo costituisce un pregiudizio per i datori di lavoro?
Il datore di lavoro lo chiede. Se ci sono reati può essere un problema, a quel punto la cosa procede in base al
criterio del datore di lavoro. Se il datore di lavoro se la sente, vede la persona che gli ispira fiducia, bene;
altrimenti non gli dà lavoro. Ci sono alcuni lavori che le persone che hanno precedenti penali possono fare:
l'ultima volta che sono stata in Perù (l'anno scorso) ho visto che li impiegano in lavori tipo guardie giurate, che
tengono sotto controllo le costruzioni o la sicurezza di un locale. Gli fanno addirittura portare l'arma. Questo
perché ad alcune delle persone che hanno commesso reati viene riconosciuta la capacità di essere svegli, furti,
capaci di riconoscere le persone; per questo li fanno lavorare nella sicurezza.
Le ditte grosse o medie lo richiedono, se la fedina penale non è pulita è un ostacolo perché la persona non è
ritenuta sicura.
Il datore di lavoro chiede i precedenti penali e se la persona ha precedenti fa fatica a trovare lavoro, spesso non
riesce a trovare lavoro
Viene richiesto per quasi tutti i lavori formali. Ma in Perù c’è una bassa percentuale di lavoro formale. Chi è stato
in carcere deve lavorare nel settore informale.
Molto del lavoro è in nero, cioè vai nel cantiere quando c'è lavoro e quando ti chiamano. Penso che le persone
siano pagate a giornata e che il fenomeno sia qualcosa di equivalente al caporalato, così come lo conosciamo
noi; lì è in proporzioni veramente devastanti. Chi decide che ha bisogno di 3 operai, va al barrio e ne prende 3.
Finita la giornata gli dà i soldi e domani deciderà come vorrà. Al di là del fatto che la persona non ha un lavoro
fisso, non sa neanche per quanto tempo lavorerà in uno specifico posto, perché glielo dicono di giorno in giorno.
Molti bambini lavorano, i bambini maschi lavorano al mercato facendo il carico - scarico delle merci, oppure
stanno al banco. Quelli più piccoli (4 anni) fanno lavori nel barrio, come per esempio le consegne. Le bambine
19
N.
sostanzialmente vanno in casa a fare le colf. Ci sono alcune che lo fanno a giornata, altre vivono nella casa dei
datori di lavoro. A Cusco c’è il CAIT, si tratta di un'associazione che raccoglie le ragazze, in realtà le bambine,
perché partono dai 4 anni di età, che sono scappate o che l'associazione ha recuperato da case della zona dove
facevano le colf. Le bambine, anche piccolissime, vengono mandate dalla Serra a Cusco per andare a fare questo
lavoro, perché una volta entrate in una casa stanno tutta la vita nella stessa casa. Fanno i mestieri in casa e non
vengono pagate, perché si dà per scontato che il fatto che le lascino vivere in casa e che mangino è già
abbastanza. Il problema è che ci sono episodi di abuso. C'è una mentalità che dà per scontato che nonostante
una bambina abbia 4 o 5 anni, la bambina stira, pulisce, cucina, lavorando 15 - 17 ore al giorno. E' un lavoro da
schiavi mentre chi tiene in casa le bambine si considera un filantropo.
Nella maggior parte dei casi, per quanto riguarda il lavoro formale, il sapere di una passata detenzione preclude
qualsiasi possibilità di ottenere un lavoro. La discriminazione è molto forte. Poi può anche dipendere dal tipo di
reato che è stato commesso. Il Perù è un paese molto maschilista per cui, immagino, se il datore di lavoro
maschio ha di fronte una persona che ha commesso un reato che possa diventare un oggetto di vanto, in questo
caso il reato può anche essere sottovalutato. Anche se, per le situazioni che ho conosciuto, la permanenza nelle
carceri peruviane lascia segni fisicamente visibili, per cui l’ex detenuto è anche molto riconoscibile all’esterno, per
il tipo di tatuaggi, dal taglio di capelli; ci tengono molto a riportare sul proprio corpo i segni della vita carceraria. Il
contesto lavorativo è fatto per la maggior parte di lavoro informale, la maggior parte della popolazione è o
sottooccupata (lavori senza contratto e lavori occasionali – dal mattino alla sera tipo caporalato, oppure uno si
inventa un lavoretto come andare a vendere le caramelle sull’autobus) o disoccupata. Sapendo che il lavoro
formale a Lima riguarda il 7% della popolazione occupata, sono convinto che il fatto di essere stato in carcere
precluda delle possibilità di lavoro formale. In Perù la popolazione disoccupata è il 7% della popolazione attiva, la
percentuale della popolazione con un contratto formale è del 10 - 15%, il resto della popolazione è sottooccupata
con lavori informali e senza contratto. Questa situazione è determinata dal fatto che il Perù non produce molto,
quindi le occasioni di lavoro formale all’interno dell’industria sono poche. Fuori da Lima la realtà è completamente
rurale, quindi lavoro informale, ciascuno coltiva il suo campo o magari lavora per un proprietario terriero però
sicuramente senza contratto. Lima si è costituita negli ultimi 50 – 60 anni con una crescita velocissima e quindi
l’informalità è ancora la caratteristica principale della città. E’ vero che a Lima ci sono 10.000.000 di abitanti, quasi
la metà della popolazione di tutto il Perù, però l’informalità è fortissima. Lima cresce di 300.000 / 400.000 persone
all’anno per emigrazioni interne. L’informalità è dovuta alla mancanza di leggi adeguate e di punizioni per
l’inosservanza delle leggi, alla corruzione che consente di non applicare o violare le leggi senza rischiare una
pena; tutto questo porta il datore di lavoro a non assumere una persona. In fondo non gli conviene, in questo
modo può lasciare a casa una persona da un giorno all’altro, non pagargli le malattie, sostituire immediatamente
una persone quando vuole, senza rischiare niente.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA LEGALE – PERÙ
Normativa d’accordo tra Italia e Perù
Non esistono accordi di rientro tra Italia e Perù, ciò comporta che un programma di rientro onorevole –
assistito debba prevedere una preliminare intesa tra le organizzazioni italiane che se ne occupano e il
Consolato del Perù. Relativamente all’ottenimento di una intesa con il Consolato c’è da sottolineare che tale
procedura rappresenterebbe un’inversione della linea di tendenza adottata finora dal Consolato medesimo,
caratterizzata da un forte investimento sui cittadini regolarmente inseriti in Italia e da un relativo scarso
interesse nei confronti degli irregolari. Questa condizione è stata da noi stessi percepita nel momento in cui è
avvenuta la richiesta di intervistare un rappresentante del Consolato del Perù, infatti le prime risposte ricevute
esprimevano il non interesse nel prendere in considerazione procedure volte al rientro onorevole,
sottolineando l’assenza di comprensione del significato di un’azione di aiuto a cittadini peruviani per rientrare
in Perù. Durante l’intervista tale percezione è andata stemperandosi; perciò quello che è accaduto fa pensare
alla necessità di un intervento di sensibilizzazione preliminare alla sottoscrizione di un accordo di intesa per i
rientri onorevoli – assistiti.
Aspetti legislativi relativi alle procedure di rientro assistito
Per quanto riguarda la procedura per il rientro onorevole – assistito è bene tenere conto che, nel caso un
cittadino peruviano sia stato espulso perché irregolare, una volta rientrato in Perù è considerato un cittadino
libero, senza sanzioni né procedimenti a suo carico. Questo comporta il fatto che è possibile attivare percorsi
di rientro onorevole per i cittadini peruviani che hanno scontato la pena e hanno ricevuto il decreto di
espulsione, sapendo che non ci saranno difficoltà nel momento dell’ingresso nel paese d’origine. Un’altra
procedura che è possibile mettere in atto è la richiesta della pena alternativa, nel caso la pena da scontare sia
inferiore ai 2 anni, che si concretizza nella presentazione dell’istanza al Giudice per ottenere di sostituire il
carcere con il rientro nel paese d'origine. Nel caso il Giudice dia parere favorevole, la persona viene
accompagnata nel suo paese d’origine e lì viene considerata una persona libera. Condizione necessaria per
attivare tale procedura è che la persona detenuta sia in possesso del passaporto poiché la richiesta di pena
alternativa può venire solo da chi ha un'identità certa o dai cittadini di quei paesi i cui Consolati sono disposti a
riconoscerne l'identità. Perciò anche per poter impiegare questa procedura è indispensabile stabilire accordi di
intesa con il Consolato del Perù.
Legislazione in materia di lavoro
Per quanto riguarda l’esistenza di una normativa che favorisca l’inserimento lavorativo di persone rimpatriate o
ex detenuti le risposte ottenute sono contrastanti, in particolar modo il rappresentante del Consolato del Perù
e persone appartenenti al gruppo di controllo sostengono l’esistenza di una legislazione in materia. Il punto di
attenzione è relativo alla ricorrente affermazione che le leggi esistono sulla carta, ma difficilmente vengono
applicate. Inoltre molte risposte fanno emergere un atteggiamento informale nella convivenza civile, tale per
cui ciascuna comunità (barrio, quartiere) si dota di una propria auto – organizzazione, con regole proprie e
condivise, che risulta essere più efficace, maggiormente conosciuta dagli abitanti del luogo e più rispettata
delle leggi dello Stato. Questo aspetto indica la necessità ed il coinvolgimento delle realtà locali (barrio,
quartieri, municipalità) negli accordi programmatici per i rientri onorevoli, poiché il livello locale pare essere
essenziale per far conoscere e promuovere tra la popolazione i programmi e le iniziative, e quindi diventa
indispensabile per favorire l’inserimento sociale.
I certificati penali pare non costituiscano un problema, per quanto riguarda la possibilità di inserimento
lavorativo, visto che i reati commessi fuori da Perù non vengono riportati sul casellario giudiziario peruviano,
tranne quei reati a rilevanza internazionale (ossia il traffico di armi, il traffico di stupefacenti e il terrorismo). Il
punto d’attenzione riguarda piuttosto l’organizzazione del lavoro peruviana, dove prevale il lavoro informale su
quello formale e anche sulla condizione di disoccupato. E’ indispensabile tenere conto di questo aspetto per la
creazione di qualsiasi inserimento lavorativo per le persone che usufruiscono del progetto di rientro onorevole,
essendo fondamentale sia che la persona abbia un lavoro continuativo sia che non vengano messe in atto
21
forme di discriminazione nei confronti della popolazione peruviana residente che non ha attivato processi
migratori.
E’ interessante notare che le persone detenute intervistate non hanno saputo rispondere a nessuna della
domande dell'area legale, evidenziando una diffusa mancanza di conoscenza rispetto alla legislazione in
materia di immigrazione, ai rapporti diplomatici esistenti tra Perù ed Italia e alla legislazione peruviana in
materia di lavoro. Per quanto riguarda il progetto di rientro onorevole: l’assenza di informazioni da parte della
popolazione detenuta ci indica che bisogna prevedere azioni volte al superamento di tale condizione. Risulta
essere un elemento di riflessione anche per le persone detenute in generale, ossia anche per quello persone
non interessate a progetti di rientro onorevole, visto che l’assenza d’informazioni può essere causa di
comportamenti scorretti e illeciti, che potrebbero essere prevenuti con una semplice azione conoscitiva.
22
DOMANDE AREA ANTROPOLOGICO – CULTURALE
DOMANDA 8
A.
B.
C.
D.
E.
F.
G.
H.
I.
J.
N.
Quali pensa siano le ragioni che hanno spinto suoi connazionali a cercare di emigrare?
Sicuramente un bisogno tremendo a livello economico, perché il primo bisogno che ci spinge a emigrare è
l'assenza di lavoro, molte volte non si ha una possibilità di lavoro e se si trova qualcosa non è abbastanza:
semplicemente permette di mangiare, non dà abbastanza soldi. In Perù si vive una condizione di sopravvivenza:
si vive alla giornata e senza sapere se si arriverà a domani.
Sicuramente la povertà. Il Perù dopo gli anni '80, con il governo di Fujimori, ha vissuto una crisi economica molto
pesante, tanto che quel governo è stato denominato il Fuji - shock. Sono state introdotte misure economiche che
da un momento all'altro hanno portato ad una crisi molto pesante. Anche se già prima la gente migrava
(soprattutto verso gli Stati Uniti, e successivamente c'è stato il boom della Spagna che è durato un periodo), con
Fujimori c'è stata un'accentuazione della crisi soprattutto nei settori della classe media, che si è impoverita. Molte
persone che stavano abbastanza bene e avevano delle risorse le hanno usate per andare via. Infatti la prima
migrazione verso l'Italia è stata di persone laureate, che lavoravano nelle istituzioni pubbliche, molti avvocati,
insegnanti. Le ultime migrazioni presentano caratteristiche diverse perché riguardano persone che sono riuscite
ad emigrare tramite parenti, tramite il prestiti di soldi, hanno ipotecato le poche cose che avevano, per trovare i
soldi per riuscire a venire. Attualmente il costo per arrivare con un passaporto che non è il tuo si aggira intorno ai
5.000 - 6.000 euro.
Sicuramente la povertà, la mancanza di lavoro, inoltre là in Perù a 25 anni sei già vecchio per lavorare. Abbiamo
una visione dell'essere vecchio diversa che in Italia. In Italia anziano vuole dire 80 anni, in Perù vuol dire avere 60
anni perché l'aspettativa di vita è minore. Il datore di lavoro ricerca persone giovani, soprattutto nei grandi
magazzini (Esselunga) o grandi supermercati (Carrefour) si assumono persone giovanissime, cioè intorno ai 18
anni. A 25 anni già si comincia a fare fatica a trovare lavoro. La popolazione del Perù è prevalentemente giovane.
Dipende dalla persona, io ho lasciato il mio paese perché amo l'arte, ero all'università e volevo conoscere le opere
d'arte europee. Qualcuno emigra per cercarsi un futuro, perché in Perù l'economia 5/6 anni fa era un po'
sbilanciata, cioè non era sicura, c'era instabilità. Lo stipendio di un lavoratore o di un impiegato non riusciva a
coprire il bisogno perché c'erano un sacco di spese. Quindi le persone cercavano di uscire per trovare una vita
migliore.
Per migliorare la propria situazione, stare un po' meglio, farsi un po' di soldi, migliorare il modo di vivere. Perché la
situazione economica in Perù è caratterizzata dall’assenza di lavoro, e per chi lavora lo stipendio è bassissimo.
Per la situazione economica e sociale, in Perù gli stipendi sono più bassi e la vita in Italia è più tranquilla e serena.
In Italia ci sono più possibilità di migliorare la condizione di vita.
Non c’è lavoro e lo stipendio è basso.
Per lavorare, quello che si guadagna in Italia con un lavoro normale è uguale a quello che guadagna un dottore in
Perù.
La situazione economica, l’economia è in crisi.
Ho poche notizie sul Perù perché sono poco presenti nel CPT.
Le ragioni sono varie, la prima è sempre l'urgenza di miglioramento economico e della propria vita. Inoltre
soprattutto da queste regioni funziona il tam tam del gruppo che è già venuto qua. Non credo che siano percorsi di
emigrazioni strutturati con delle mete chiare di inserimento lavorativo.
Le migrazioni verso altri paesi sono strettamente legate alle migrazioni interne che ci sono state negli ultimi 20
anni (soprattutto dal 1980 al 2000). Due situazioni particolari: da una parte la violenza terroristica e la violenza
politica, quindi la guerra interna che ha fatto 70.000 morti in 20 anni. Questa situazione ha prodotto dei movimenti
fortissimi dall’interno, dalle zone rurali alla città e automaticamente questo ha prodotto una riduzione della
possibilità di lavoro all’interno della città e quindi la fuga verso l’estero. Dall’altra parte c’è la questione economica
che si è molto aggravata negli ultimi 20 anni, in particolare dal ’90 al ’95, perché sono state adottate una serie di
misure finanziarie che hanno ridotto il potere d’acquisto di cento volte (il cosiddetto “pacchettasso”, che ha
provocato da un giorno all’altro un’inflazione del 1000 per 1000). Le ragioni dell’emigrazione sono la mancanza di
un’occupazione adeguata e la conoscenza delle condizioni di vita in altri paesi. Vale molto il richiamo da parte di
chi è già emigrato. Il famigliare che è già in Italia, anche se disoccupato o in condizioni di difficoltà, non lo
ammette mai, soprattutto con i parenti. Questo perché spesso la famiglia è compromessa, è impegnata nel
rendere possibile l’emigrazione, quindi la famiglia conta molto su chi è emigrato e, nei primi due anni (periodo in
cui è difficile trovare un lavoro in Italia) non dicono “guardate che ci siamo sbagliati, non è come avevamo pensato
ect", comunque mentono. Questa dinamica, tipicamente peruviana, non facilita il freno all’emigrazione.
La popolazione che si trasferisce a Lima dalle zone interne del paese è in condizioni di estrema povertà, abituata
all’economia basata sull’agricoltura, sulla coltivazione del proprio campo e dell’allevamento delle proprie bestie,
arrivano a Lima senza soldi e senza niente e non potrebbero mai intraprendere un viaggio verso l’Europa ed è
difficile che cadano subito nelle mani di strozzini. E’ una questione proprio famigliare, cioè emigra in Europa chi ha
23
Q.
DOMANDA 9
A.
B.
C.
D.
E.
F.
G.
H.
J.
M.
N.
già qualcuno della famiglia qui. Invece chi emigra dalla sierra (dalle zone rurali) a Lima non ha parenti che sono
emigrati in Europa, quindi chi arriva a Lima dalle zone rurali si ferma a Lima, almeno per un certo periodo. Anche
perché chi viene dalle zone rurali è più abituato a fare lavori duri, è quindi più disposto a fare lavoracci mal pagati
a Lima, si accontenta di quello. La popolazione che emigra è quella della classe media o medio – alta che negli
ultimi 20 anni è diventata classe media o medio – bassa. Chi emigra all’esterno del Perù ha una famiglia che gli
dà un certo supporto. Il poveraccio che emigra è una caso raro.
Per quanto riguarda il Perù non saprei dire specificamente. Non so i peruviani, ma in genere i sud americani
realizzano le cosiddette catene migratorie, cioè il fatto che la presenza in Italia di parenti emigrati da molti anni,
alcuni con la cittadinanza, comporta il fatto che altri li seguono.
In quali aree della sua nazione sono concentrate sacche di povertà?
Non c'è un'area specifica, però sicuramente c'è un'alta percentuale nell'area della migrazione interna. Per
esempio la gente della montagna emigra nella capitale perché in montagna non c'è acqua, luce, c’è poco da
mangiare, si coltivano le patate e si vive solo di quello, quindi la gente è obbligata a migrare nella città. Migra e si
trova in una realtà che non conosce, è senza casa, e si insedia in alcune zone specifiche della periferia di Lima,
sulle colline di sabbia, le case sono di paglia, vivono in condizioni estreme. Spesso i bambini lavorano. Un'altra
zona in cui non c'è possibilità di lavoro è quella del nord (la zona al confine con l’Ecuador), non c'è industria, ci
sono le risorse naturali: il pesce, la farina di pesce, le spiagge. Un'altra molto povera è l'Amazzonia. E' una zona
trascurata perché ancora si abita sugli alberi, con le palafitte, si vive in condizioni di estrema difficoltà.
Lima nelle zone di periferia: i quartieri nuovi sono quartieri che nascono anche nella sabbia, avvengono invasione
di terreni che apparentemente non appartengono a nessuno (perché dove c'è la sabbia chi vuoi che ci viva),
allora prendono quel posto e vivono lì. Comincia così piano piano, finché arrivano a costruire facendo le tubature,
però sono loro stessi che si muovono tramite la comunità, tra di loro si aiutano. Nel sud, centro - sud nelle Ande
(Huancavelica e Andahuaylas) c'è povertà estrema, nelle zone rurali.
Le Ande, ci sono paesini poveri che a volte non hanno neanche luce né acqua, vivono con l'acqua piovana.
Anche nella Selva, nella zona orientale del Perù (Amazzonas).
La zona delle Ande, c'è tanta povertà e fanno tanti figli per ignoranza perché non vanno a scuola. Alcune zone di
Lima, le zone periferiche la gente vive con un tetto di legno, non c'è acqua in casa. Queste zone si chiamano
inserro, che vuol dire dove ci sono le grotte, una zona desertica e desolata.
Ci sono aree molto povere, ma non so i nomi
Sono tante: Puno, Cusco, Huancayo. Nella stessa Lima ci sono tante zone povere.
Il nord, la sierra, la selva.
Le Ande. La situazione demografica è che a Lima risiede il 35 – 40 % della popolazione nazionale.
Ci sono alcune aree rurali e anche le aree periurbane, per esempio sia i territori andini che le grosse zone intorno
a Lima. Sono aree di estrema povertà, noi abbiamo seguito parecchi progetti nelle barriadas, in cui ci sono
condizioni pesanti.
Ti descrivo quello che ho visto arrivando dall'aeroporto. Scendi dall'aereo, esci dall'aeroporto e sei in una
metropoli enorme, perciò dai per scontato che qualsiasi direzione prendi per un po' vedrai solo case. Siamo
arrivati alle 11,30 di sera, sono venuti a prenderci all'aeroporto in macchina, luci notturne, dopo un'ora di costa
(con l'oceano a destra e la metropoli a sinistra) e luci ininterrotte, penso che manchi poco ad uscire da Lima.
Chiedo e mi rispondono che siamo quasi in periferia. Proseguiamo il viaggio in auto e si interrompono le luci alte
delle case e si comincia a vedere qualcosa tipo un presepe, che si perde a vista d'occhio. Di notte non capisci di
cosa si tratti. Alla mattina vedi delle dune ricoperte di materiale marrone che, se guardi bene, ti accorgi che sono
baracche costruite sopra a dune di sabbia. A me sembrava di vedere città alta a Bergamo, prendi città alta, la radi
al suolo e metti camionate e camionate di mattoni a caso, a questo punto hai un effetto simile. Questo territorio è
diventato così negli anni tramite le invasioni, cioè flussi migratori provenienti da tutto il Perù che, per cercare
fortuna, si dirigevano verso la metropoli. Una volta esaurito il posto in città hanno iniziato a fermarsi fuori. Sono
chiamate invasioni perché sono organizzate, cioè gruppi di famiglie o villaggi interi si organizzano e partono
insieme occupando un posto alla periferia di Lima. A ondate si creano queste cinture esterne che si allontanano
sempre di più dalla metropoli, in questo modo si è formato quello che chiamano il cono sur. Le varie
circonferenze, che rappresentano i diversi barrios, vengono chiamati con la data dell'invasione. Alle istituzioni quel
terreno non interessa perché è desertico, nessuno andrà mai a impedirgli di costruire la propria casa. Quando
l'invasione viene fatta da un villaggio o un gruppo di famiglie si portano dietro il proprio tessuto sociale, però
affianco a loro c'è un altro gruppo e così via. Vengono tutti da posti diversi del Perù, dai posti più poveri: dalla
montagne, dalla selva, qualcuno dalle parti del sud.
Ciascun barrios è isolato dall'altro, spesso delimitato da strade, ma all'interno c'è un'eterogeneità culturale
enorme. C'è gente che magari non riesce a comunicare perché parla dialetti diversi. A volte è difficile scambiarsi
le esperienze e creare un tessuto sociale a causa dell'eterogeneità.
In termini economici le sacche di povertà sono nelle zone rurali. Il Perù ha queste tre zone: costa, sierra e selva.
Le città principali e più grosse sono sulla costa. La sierra è la zona delle montagne delle Ande peruviane e fino
agli anni ’50 la maggior parte della popolazione viveva qui. Qui si concentra la maggior parte della povertà
economica perché l’economia è basata sull’agricoltura e sull’allevamento. Questo vuol dire non è detto che in
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famiglia gestiscano dei soldi. La zona della selva (o foresta amazzonica) è caratterizzata da povertà estrema a
causa dell’inaccessibilità ai servizi, che magari non esistono neanche. L’economia è basata sul baratto o su altre
forme alternative. Per quanto riguarda Lima le sacche di povertà si concentrano nelle zone immediatamente
adiacenti al centro. Qui si trovano i primi insediamenti urbani, formatisi negli anni ’50 a causa della prima forte
fuga dall’interno del paese dovuta a questioni economiche. I migranti si sono concentrati in questa zona,
soprattutto nei distretti di La Victoria, San Luis e Lagostino, fermandosi su questo territorio per la vicinanza con il
mercato generale della distribuzione di verdura (questo mercato serve tutta la città e offre la possibilità di trovare
lavoro occasionale). Rispetto a questo primo flusso migratorio non c’è stata nessuna pianificazione urbana e
tuttora i quartieri si costituiscono con invasioni. Altre sacche di povertà di Lima sono le zone periferiche, più
povere economicamente di quelle del centro ma in condizioni migliori per quanto riguarda i rapporti sociali, perché
la gente delle invasioni o dei nuovi insediamenti umani crede ancora negli aspetti tipici della sierra, quelli di
solidarietà e di comunità. Mentre chi vive nelle zone centrali, guadagnando un po’ di soldi, sperimenta condizioni
in cui aumentano le differenze e le invidie, per questa ragione le condizioni di vita, intese in termini di vulnerabilità
sociale, sono peggiori per chi vive nelle zone povere del centro.
E da quali aree della sua nazione, a suo giudizio, partono gli emigrati?
Soprattutto da Lima, ma chi emigra spesso non è nativo di Lima, piuttosto è emigrato dalla montagna e dal nord,
si trovano a Lima con una realtà difficile e cerca un’alternativa fuori dal paese. Come luoghi di destinazione
dell’emigrazione c'è l'Argentina (adesso non più), la Spagna e gli Stati Uniti, ora anche l'Italia.
Adesso l’emigrazione è diffusa su tutto il territorio, all'inizio era prevalentemente da Lima. Negli ultimi anni sono
arrivati da altre regioni. La dimostrazione di ciò è data dal fenomeno del regionalismo che dà identità e possibilità
di unione creando comunità a seconda della regione di provenienza. Per esempio quelli del sud dell'Arequipa
hanno le loro associazioni e comunità in Italia, spesso lo scopo di tali associazioni è quello di festeggiare i santi
patroni peruviani e le feste patronali. Ci sono molti immigrati provenienti dal centro del Perù, cioè da Huancayo.
Ogni gruppo crea la sua comunità, la sua associazione e attraverso l'associazione portano qua i festeggiamenti
che facevano nella loro terra, lo fanno per riportare le proprie feste e tradizioni, per portare qua un pezzo di Perù.
Qui io trovo tante persone che provengono dal centro, dal nord e anche dal sud, non c'è una zona particolare da
cui provengono.
Ci sono persone che aiutano i peruviani rimasti in patria, sono persone che se lo possono permettere perché
hanno un bar o una piccola impresa e si mettono insieme in un'associazione in modo da poter inviare in Perù
oggetti utili: libri, quaderni, giocattoli per Natale.
Partono da qualsiasi parte del Perù.
Vengono da tutto il Perù. Per noi è difficile arrivare in Europa. Per uscire dal Perù ci vuole il visto e questo richiede
una casa, un conto corrente e dei soldi in banca. Allora bisogna procurarsi un passaporto falso e poi passare per
un paese vicino: il Brasile, l’Argentina o l’Ecuador. Ci vogliono circa 2 mesi per arrivare a destinazione. La
destinazione deve essere un paese grande: Francia o Germania, perché lì non ci sono tanti controlli.
Da tutto il Perù.
Da tutta la nazione.
La maggior parte arrivano da Lima, Lima è il luogo di passaggio per tutti, perché è il luogo in cui si fanno i
documenti. Le altre regioni da cui provengono sono: le Ande centrali e Huancayo.
La mia impressione è che tutti arrivano a Lima e poi da Lima emigrano.
I flussi migratori provengono da luoghi specifici, non sono generalizzati. Non ho informazioni precise sulle aree di
provenienza.
Mi sembra difficile che una persona da Iquitos, nella selva, o da Aguascaliente sul Machupicchu emigri
direttamente in Italia. Il viaggio all'estero è la seconda tappa della disperazione, la prima è Lima. Il percorso
potrebbe essere: una persona, nella sua cittadina di origine, vende le mucche, non riesce più tenere il campo, non
ha più soldi e decida di andare a Lima, primo step. A Lima non trova lavora, fa la fame peggio di prima perché non
ha nemmeno il campo di patate perché si trova su un luogo desertico, quindi, se appena ce la fa, emigra. Chi vive
ad Iquitos l'Italia non sa neanche cosa sia, per questo mi sembra strano che arrivino direttamente da lì, mentre mi
sembra più facile che l'Italia sia una seconda tappa del viaggio.
Di solito i flussi migratori partono da Lima sia perché è statisticamente più grande e anche perché un passaggio
da Lima viene fatto anche da chi proviene da altre zone del Perù. Passaggio vuol dire un tempo abbastanza
prolungato. Chi viene dalle zone rurali magari non emigra direttamente a Lima, prima passa da una città delle
zone interne del paese e poi va a Lima. Anche perché spesso si muovono a piedi, non avendo i soldi per pagare il
mezzo di trasporto.
Dal suo punto di vista, nel progetto migratorio i suoi concittadini prevedono di ritornare in patria dopo
alcuni anni, con i guadagni accumulati, e costruirsi una nuova attività, o desiderano solo andarsene?
Tutti quelli che partono pensano di tornare, è difficile trovare qualcuno che dica "io rimango", tutti in genere si
prefissano delle date per tornare (un anno, due anni). Faccio i soldi poi torno. Invece si trovano a vivere una
situazione più facile in Italia, dove anche con poco si riesce a sopravvivere, viceversa in Perù non ha più
opportunità perché ormai il lavoro lo ha perso, è già grande di età, allora non ce la fa a tornare. Ho visto persone
che hanno provato a tornare e sono rientrate in Italia nel giro di un anno, dicendo che era impossibile. Anche se
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svolgono attività autonome, non riescono e tornano in Italia. Non riescono perché sono abituati a vivere in un
mondo dove c'è più accesso a tante cose che nel proprio paese non ci sono, è più facile trovare anche lavoro in
Italia. Ormai si sono fatti un'idea del benessere, di quello che vuol dire alimentarsi bene, vivere bene, certo con
quello che uno riesce a guadagnare. Quando tornano in Perù fanno il paragone. Con uno stipendio in Perù non è
possibile avere oggetti ed abbigliamento come in Italia. Lo stipendio in Perù basta soltanto per mangiare. Invece
in Italia lavorando, anche se non guadagni molto, riesci a organizzarti, a dividere. Si sono abituati all'idea del
benessere occidentale e non riescono a riambientarsi in Perù, quindi tornano in Italia.
Il 60% ritorna, perché è difficile che un sud americano si abitui alla vita quotidiana di un europeo. Pur stando in
Italia, manteniamo la nostra cultura e le nostre abitudini, per esempio i pic-nic nei parchi. Risparmiamo soldi per
poter comprare una casa e un'attività in Perù. Anch'io tornerò al mio paese a fare la mia vecchiaia, perché devo
andare a morire là.
Ci sono entrambe le situazioni, persone che vogliono accumulare un po' di soldi e poi tornare. Però alcuni,
vedendo che la situazione economica in Perù non cambia, anzi peggiora, stanno cercando di aprire un negozio in
Italia con i risparmi accumulati. E un pò alla volta fanno venire i loro famigliari in Italia. Ci sono persone che invece
partono pensando di radicarsi in Italia, come me perché io sono sola in Perù, non ho famigliari.
Tutti vogliono fare soldi per tornare, ma ci sono persone che si abituano al sistema di vita italiano e rimangono.
Uno viene in Italia solo per lavorare e dopo ritornare in Perù, perché la famiglia è in Perù. Io non voglio tornare in
Perù adesso perché non c’è lavoro e quello che c’è lo pagano poco. Voglio lavorare qui, risparmiare e tornare in
Perù per aprire un negozio all’interno di un mercato grande nel centro di Lima. In Perù ho due figli che studiano da
mantenere. Qui la vita è dura perché sono sola, è molto triste.
Qualcuno pensa di far soldi e tornare. C’è qualcuno che rimane qua e porta la famiglia. Perché è diversa la vita
qui e in Perù e dipende da come uno si trova. Per esempio a 13 anni in Perù puoi già essere madre, qui a
quell’età si studia. Allora se una famiglia vuole che sua figlia studi cercherà di portarla qui e di rimanere in Italia. In
Italia si vive più nel lusso.
Per lo più rimangono in Italia, molti comprano la casa. Questo perché la situazione del Perù non migliora,
l’economia non cresce.
All'inizio del percorso migratorio c'è l'idea di tornare, poi dipende da come va l'inserimento, se questo c'è (ma a
volte anche se non c'è si continua a tentare di restare qua) pensano di rimanere, infatti gli immigrati hanno
comprato casa qua. Quando si parte la spinta del processo migratorio non è quella di pensare di andare a vivere
all'estero per tutta la vita.
Finora le situazioni che ho conosciuto direttamente presentano tutte il medesimo modello: “vado 2 anni,
guadagno, ritorno”. Questo pensiero è tipico, così come è tipico che in realtà rimangono in Italia. Non ce la fanno.
Perché o non guadagnano abbastanza oppure guadagnano abbastanza perciò dicono “ma chi me lo fa fare di
tornare”. Il peruviano è legatissimo alle sue radici, ma questo non è detto che porti delle conseguenze
nell’atteggiamento concreto nel quotidiano. In realtà il tradimento nei confronti della patria e nei confronti dei
famigliari è un aspetto molto forte nelle scelte quotidiane che vengono fatte. Questo lo dicono gli stessi peruviani
emigrati. Emigro in Italia con le lacrime agli occhi, ma un dispiacere reale non c’è. Nei primi anni di emigrazione
dal Perù emigrava prima l’uomo e non era detto che manteneva fedeltà alla famiglia, spesso si ritrovava con
un'altra famiglia in Italia. Ho visto che a lungo termine (10 – 15 anni) si rende un po’ più evidente il desiderio di
tornare, si accorgono che gli manca troppo la loro cultura e le loro radici non in termini di nostalgia ma esistenziali
oppure perché tornando hanno più possibilità, perché se una persona ha da parte un po’ di soldi in Perù può
vivere ad una livello dignitoso.
Di fronte ad un rientro forzato, con decreto di espulsione dall’Italia, ritiene che ci sia un’accoglienza
favorevole da parte dei famigliari del rimpatriato?
Non credo, non vedo questa come una cosa positiva e gradevole per la persona. Mi immagino che la famiglia
abbia difficoltà a prendersi carico di un'altra persona. Questo perché il fatto che quella persona sia già emigrata
per la famiglia è un sollievo, se ritorna, e in più avendo scontato una pena, non viene accolta molto bene.
La vivrebbero come una delusione grande. Io ho visto un caso di espulsione e il padre del ragazzo non glielo ha
perdonato. Il ragazzo è stato espulso perché non aveva i documenti, è tornato subito nel giro di 24 ore, ma suo
padre non lo ha perdonato. Non era colpa del ragazzo però il rapporto col padre si è guastato. Il padre aveva
messo tutte le speranze in questo figlio che dall'Italia avrebbe aiutato la famiglia, per un futuro migliore e tutti i
soldi spesi per realizzare l’emigrazione sono stati buttati via. I parenti la vivono come un fallimento.
La famiglia lo accoglierebbe bene perché noi sud americani siamo legati alla nostra famiglia. La famiglia lo
aiuterebbe, gli darebbe una mano cercandogli qualche lavoro.
Che possono fare, niente.
E’ un dispiacere. La famiglia cerca di aiutarlo per ripartire. La mia situazione è che tutta la mia famiglia principale
è in Italia. In Perù ho visto persone che sono state espulse all’improvviso e senza soldi, e una volta rientrati si
sono accorti che lì tutti si aspettano un regalo e un rientro da glorioso.
Tristezza, le famiglie piangono perché non ricevono più le rimesse
Bene perché ormai le cose sono fatte. Però per la persona stessa è una grande delusione perché torna senza
neanche 1 euro. Considera che per arrivare in Europa ci voglio 5000 euro.
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Credo che venga occultato quello che hanno fatto in Italia, soprattutto se hanno fatto qualcosa di poco chiaro.
Problemi di essere accolti male riguardano solo quelle persone che sanno di avere delle pendenze con la
giustizia, ma ciò non riguarda né la famiglia né gli amici né la comunità di appartenenza. Non ho mai visto atti di
autolesionismo per la paura di rientrare a casa, in famiglia; li ho visti per la paura di dover scontare pene nel
proprio paese d'origine.
Non so. Dipende se la famiglia sa qualcosa, se la famiglia sapeva dov'era e cosa faceva. Se la persona non ha
mai comunicato con la famiglia probabilmente un po' di resistenza la troverebbe, perché se non ha mai
comunicato vuol dire che non ha mai mandato soldi e quindi la persona ha abbandonato completamente la
famiglia. Può darsi che si instauri anche una dinamica per cui se non hai mai comunicato né mandato soldi, vuol
dire che l'emigrazione era solo una scusa. Inoltre la famiglia nel frattempo non sarà stata lì ad aspettare, doveva
continuare a viverre e avrà trovato soluzioni alternative. Perciò la persona una volta che rientra, non dico che sia
inutile, ma la famiglia ormai il problema della propria sopravvivenza avrà trovato un modo per risolverlo. E se la
persona non può entrare nella soluzione che la famiglia ha trovato, ammesso che la famiglia voglia farlo entrare,
probabilmente la persona sarebbe di peso.
Se si dovesse fare un progetto per cui l'intervento si limitasse a pagare il viaggio di ritorno ad una persona, penso
che i problemi sarebbero enormi sia economici, sia di vissuto famigliare, sia di vissuto personale.
Bisogna tenere conto anche di questo dato: molti uomini hanno più di una famiglia, anche all'interno dello stesso
barrio. E' come se uno fosse poligamo, però in maniera molto forzata, cioè si crea un circolo vizioso dovuto al
fatto che magari un uomo ha moglie e figli, una notte ubriaco l'uomo si infila in una casa diversa della propria,
l'uomo sta con questa nuova donna per un po' di tempo e nasce un altro figlio. E così via con altre donne. Alcune
storie sono allucinanti, hanno cercato di spiegarmene qualcuna, ma dopo poco io mi perdo nel racconto perché si
creano questi circoli viziosi in un la situazione peggiora progressivamente.
Premetto che non conosco situazioni di questo tipo, perciò mi baso sulla conoscenza sociologica del Perù e della
famiglia peruviana. Posso riuscire ad immaginare diverse situazioni in cui le modalità di accoglienza dipendono
anche da come ci si erano separati nel momento della migrazione. Le variabili sono: chi è il famigliare migrato, se
è un figlio giovane magari viene anche accolto volentieri, a braccia aperte, anche dicendo “meno male, per fortuna
che sei tornato”. Non credo che la stessa cosa accada nel momento in cui rientra un capo famiglia maschio,
perché ci si basava molto sulla possibilità che questo mandasse a casa dei soldi. Immagino che ancora più
drammatica è la situazione di un rimpatrio forzato di una donna, se è una mamma con ancora i figlio in Perù
immagino che i figli l’accoglierebbero molto volentieri, invece la famiglia o il contorno (vicini) penso che
sottolineerebbero molto l’aspetto del fallimento.
Di fronte ad un rientro forzato, ritiene che ci sia una qualche forma di accoglienza da parte della cerchia
parentale o dai precedenti amici del rimpatriato?
Non credo. Penserebbero che sei andato via, hai avuto la possibilità di migliorare, ma non l'hai fatto. Lo possono
guardare come uno che ha fallito.
Lo accoglierebbero.
Lo accoglierebbero bene gli amici, non i conoscenti. Gli amici lo aiuterebbero a cercare lavoro nell'ambito in cui la
persona è capace di operare.
A loro non interessa.
La maggior parte si nasconde, è brutto. Spesso inventano delle scuse.
Qualcuno sarebbe triste, qualcuno si burlerebbe di lui perché non ha migliorato la sua situazione, non ha
combinato niente di buono.
Lo accoglierebbero bene, ma la maggior parte cerca di tornare.
Quello che riesce ad emigrare è considerato il più fortunato del barrio perché ha recuperato i soldi per farlo. Allora
magari nel barrio c'è qualcuno che è veramente amico di questa persona e vorrebbe aiutarlo, però è messo
peggio di lui.
La solidarietà potrebbe esserci in un paese dove tutti sono campesinos, ognuno ha il campo, e uno di loro ha
avuto la sfortuna che gli si è seccato il pozzo o qualche altro accidente e in base a questo decide di andare a
Lima. Se questa persona tornasse nel suo paese, magari i compaesani lo aiuterebbero. Ma se nessuno ha il
campo, se nessuno ha il lavoro, più che offrirgli una birra, non credo sia possibile altro.
Quando si tratta di coalizzarsi contro qualcun altro il peruviano è molto forte. Perciò se il peruviano emigrato
rientra forzatamente in Perù e parla dell’Italia e della polizia che l’hanno arrestato o di chi l’ha tradito chi lo ascolta
sarebbe solidale con lui.
La comunità di origine come accoglie un suo concittadino espulso da un’altra nazione?
Anche la comunità ha dei pregiudizi, perché purtroppo se si sa che questa persona ha commesso dei reati si
formano dei pregiudizi e questo potrebbe essere un motivo per non aiutarlo ad inserirsi nel lavoro, perché è stato
un delinquente. E se lo era anche prima di andare via, ancora peggio. Tornerebbe a rubare, a delinquere. Perché
troverebbe subito persone che gli direbbero "vieni a rubare con noi". Perché sono tante, e se questa persona
proveniva da una zona depressa, è logico che per bisogno ritorni a delinquere.
Sì ti accoglie, però poi parlano sottovoce. "Non ce l'ha fatta, poverino", pensando che è un fallito, che è uno che
ha avuto sfortuna, che non è stato abbastanza furbo per farcela. Dal punto di vista culturale i peruviani sono molto
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attenti a quello che gli altri dicono, ci si preoccupa moltissimo.
Si sentirebbero due campane che suonano diversamente: qualcuno può dire che quella persona è stata cacciata
perché ha commesso qualche reato, qualcun altro invece dirà "non sappiamo cosa è successo, perciò se bisogna
dargli una mano, diamogliela". Quello che si pensa è che è difficile che una persona venga mandata via
dall'Europa solo perché è irregolare, perciò se viene mandata via si pensa che abbia fatto qualcosa, qualche
reato. Allora per un poco di tempo (qualche settimana) la gente lo guarderà male, dicendo “non bisogna parlare
con lui perché è cattivo”. Però c'è qualcuno che potrà capire, qualcuno che penserà che lo ha fatto perché spinto
dagli amici. Ci sono persone che capiscono e persone che non capiscono.
Non ci sarebbe pregiudizio. Anche se ti fanno tornare indietro per forza, i compaesani non ci possono fare niente.
Come si dice "hai perso, hai perso", e basta.
Secondo me la persona preferirebbe rientrare in un barrios diverso da quello da cui era partito, perché in questo
modo non sarebbe costretto a far fronte al fatto che lui è andato via per fare fortuna e torna sconfitto. Tornare
sconfitto nel barrio da cui era partito da Lima, sarebbe comunque una sconfitta relativa perché lì c'è la gente che
l'ha conosciuto quando lui è arrivato a Lima. Immagino che sia ancora più straziante e frustrante il fatto di tornare
addirittura a casa propria. Anche perché da lì la persona mancherebbe da un tempo enorme, quindi tornerebbe
dopo un sacco di tempo e allora o nessuno sa niente e la persona può raccontare qualsiasi cosa, la comunità
quantomeno sa che la persona è stata a Lima perché era partita per Lima, e la persona non sarebbe costretta a
raccontare che è emigrata in Italia e che ha avuto un’esperienza detentiva. In questo modo la persona tornerebbe
a mani vuole, ma non tornerebbe da ex detenuto, mentre tornare da ex detenuto sommerebbe sconfitta a
sconfitta. Certo, se la persona rientra all'interno di un progetto è diverso. Se rientra all'interno di una cooperativa
con un inserimento lavorativo, la comunità lo accetterebbe meglio. Comunque un progetto del genere sarebbe più
difficile da realizzare nella cittadina di origine della persona piuttosto che a Lima.
In generale ha la possibilità di reinserirsi nella comunità territoriale o di vicinato o di relazioni. Può essere che a
livello lavorativo venga valorizzato il fatto che ha avuto un’esperienza all’estero. Così come può essere che
prevalga il disprezzo per il fallimento. Credo che dipenda molto dall’elemento caratteriale e attitudinale della
persona, cioè se è una persona che per cui la comunità è contenta che ritorna è un conto, se è una persona che
non era apprezzata dalla comunità allora verrà ancora più esclusa.
Non mi risulta che ci sia un sentimento collettivo nei loro confronti; magari rimane circoscritto nell’ambito
famigliare.
Bisogna tenere in considerazione che questi soggetti normalmente sono persone che hanno deciso di emigrare
dal loro paese. Quelli che vanno via fanno una scelta molto grossa ed hanno una certa reputazione. Chi va via fa
una scelta individualista, nel senso che sceglie per il loro futuro e, al limite, si preoccupa di far tornare del denaro
sulla loro famiglia o sulla loro comunità ristretta. Solitamente sono persone che hanno come primo obiettivo quello
di migliorare la propria condizione e poi eventualmente quella dei parenti. Mentre chi rimane nel paese e cerca di
lavorare lì per lo sviluppo di quel paese fa la scelta di impegnarsi per la propria comunità e per il proprio paese.
Quindi le persone che se ne vanno hanno la fama che gli interessa innanzitutto organizzarsi la propria vita. Non
c'è niente di disonorevole, però questo riemerge nel momento in cui tornano.
Noi valutiamo la situazione di persone che tornano volontariamente senza i problemi delle persone che dovreste
supportare voi (detenzione), tornano perché hanno deciso di tornare: ci hanno pensato su, considerano la famiglia
una radice importante. Insomma fanno una valutazione dopo un'esperienza che è stata qui più o meno positiva,
in alcuni casi anche molto positiva. Si tratta di persone che fanno una valutazione della loro esperienza all'estero
sapendo di aver fatto molte cose, persone che hanno contatti ancora forti col loro paese e legami importanti, e
quasi per coscienza si dicono che le competenze e risorse acquisite vanno spese per il proprio paese, per lo
sviluppo del proprio paese e per la propria gente.
Da lì nasce l'idea di poter legale progetti di sviluppo dei paesi terzi alle persone che rientrano. Alcune
associazione ed amministrazioni hanno molto lavorato su questo approccio. Per esempio la regione Liguria e
Veneto hanno inserito tra le priorità delle linee di finanziamento per i progetti di cooperazione allo sviluppo quella
di favorire attività di sviluppo che nascano dalla comunità espatriata volte allo sviluppo del paese d’origine. Quindi
questo concetto di inserire come fattore prioritario il rientro degli emigrati che possano essere attori di sviluppo nel
paese d'origine c'è anche in una serie di amministrazioni pubbliche. E' una cosa che a dirla sembra bella e
interessante, fascinosa quantomeno, anche abbastanza partecipata; poi bisogna vedere se si riesce a farla.
Le è capitato di leggere sui quotidiani o di vedere alla televisione, nella sua nazione, situazioni in cui
venivano discriminati o, all’opposto, favorevolmente accettati degli ex-detenuti o dei rimpatriati per il
fallimento di un progetto migratorio?
Rimpatriati no, detenuti sì ma in Perù. C'è sempre il pregiudizio rispetto alla persone e poca accettazione.
Vengono discriminati.
Le persone che sono state nelle carceri peruviane vengono discriminate, è molto difficile che trovano lavoro (a
parte le occupazioni legate alla sicurezza o i lavori sporchi – vedi risposta a domanda 7). Da noi si riconoscono
subito le persone che sono state in carcere perché hanno i segni. Le carceri peruviane oltrepassano il limite
dell'umano, sono superaffollate, tante persone muoiono, ci sono molti malati di H.I.V., non hanno medicine. Ogni
giorno devi pagare per sopravvivere, per essere protetto da qualcuno, perché altrimenti o ti violentano o ti
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ammazzano. I famigliari devono portare il mangiare. C'è un alto tasso di TBC. E' l'inferno. Queste persone hanno
l'abitudine di marchiarsi il braccio, di farsi delle ferite. Ci sono liti, ci sono i gruppi suddivisi gerarchicamente.
Quando ci sono gli scontri si tagliano. Le persone che sono state in carcere si riconoscono per i segni che
possono portare sul corpo e in faccia. Perché la faccia cambia. Molti li riconoscono e tendono ad allontanarli, ne
hanno paura. Chi è stato in carcere viene molto discriminato. Queste cose le so perché ne parlano i mass media e
internet, in più io ho dei cugini poliziotti che mi hanno raccontato com'è il carcere. Chi entra in carcere è difficile
che esca come prima, è segnato per sempre. Ci sono state anche tante persone innocenti che sono entrate in
carcere, ma la giustizia non arriva mai, sono anni e anni che stanno lì, e a quel punto basta, si è guastata la
persona.
Conosco una persona che è stata rimpatriata perché aveva rubato ad una persona anziana. Questa persona era
dispiaciuta perché in Italia stava bene e lavorava, però lui era ambizioso e voleva farsi i soldi dalla sera alla
mattina. Dispiaciuto però troppo tardi, una persona che commette un errore deve pagarlo. Adesso questa persona
lavora in Perù e fa i lavori che gli capitano, imbianchino, muratore, elettricista, giardiniere. Lavorando alla giornata,
senza sicurezza, non ha un lavoro fisso. In Perù è difficile trovare un lavoro buono, dove puoi essere tranquillo.
In Perù c'è sempre stata discriminazione nei confronti di chi è stato in carcere, nei confronti dei transessuali e
anche per la razza: i neri o i cioli (= terrone) delle Ande.
No
La tv ne parla, ma solo come notizia.
No
No
Non credo che se ne parli. L'attenzione è sulla migrazione positiva, sui successi. Tutti i paesi hanno ministeri per i
loro immigrati all'esterno, anche le associazioni migranti che sono qui si stanno sempre più muovendo su discorsi
positivi, della possibilità di investire nel paese d’origine l'esperienza acquisita qui o le risorse economiche.
Sarebbe interessante sondare all'interno delle comunità di emigrati, che si stanno sempre più raggruppando. Per
esempio la comunità peruviana ha appena fatto un incontro in cui hanno eletto un nuovo organismo
rappresentativo di tutte le comunità peruviane, stanno tornando ad essere attivi. Noi ci stiamo incontrando con
loro rispetto al discorso che si aprirà sulle rimesse. Come si sono raggruppate le comunità senegalesi, in passato.
Sarebbe interessante in queste sedi di incontri sottoporre a loro la questione di cosa ne pensano dei fratelli più
sfortunati.
Le è mai capitato di conoscere tra i suoi vicini di casa, nella sua nazione di origine, degli ex-detenuti o dei
rimpatriati? Come vivevano?
No
No
No
Sì. Continuano con la loro vita, fanno fatica a trovare lavoro perché hanno precedenti penali.
No
No
No
No
Secondo me bisogna scindere in due l’ambito: quelli che sono riusciti in Italia a fare le formiche (che hanno
racimolato del denaro) e quindi nel loro paese hanno una prospettiva di vita dignitosa; e quelli che hanno fatto le
cicale e che si trovano ad avere lo stesso identico problema di prima di migrare. Molti, moltissimi, di quelli che
sono venuti a vivere in Europa, una volta che tornano, rimpiangono il modo di vivere europeo, anche gli stessi
mussulmani.
Se il soggetto rimpatriato ha commesso all’estero un reato contro la persona o contro il patrimonio ed ha
subito una pena, come lo accoglie la sua comunità?
Non bene.
Se non sanno niente, lui non lo direbbe, quindi passa come uno che è arrivato dall'Italia e basta. Io ho sentito di
persone che hanno commesso un reato in Italia e vanno avanti ed indietro dall'Italia al Perù, non so come fanno
anche perché sono illegali, e quando si trovano in Perù non dicono di essere stato in carcere. Tante persone
fanno finta, basta non dirlo e nessuno se ne accorge.
Lo tratterebbero in maniera normale.
È più brutto.
Lo accoglierebbero bene, mia madre preferirebbe che mi deportassero piuttosto che sapermi in galera. Se ci
fosse la possibilità io tornerei in Perù, con un lavoro a tempo pieno che mi faccia guadagnare circa 300 euro al
mese. Vorrei lavorare vicino a casa, nella mia provincia (Trujillo), farei qualsiasi lavoro.
Non è detto che la famiglia e la comunità siano a conoscenza di quello che ha fatto in Italia. Quindi è una
questione di relazioni interpersonali. Comunque non è vanto per nessuno aver compromesso la propria e l'altrui
onestà, quindi sicuramente chi rientra lo omette e va tutto in sordina.
Dipende dal crimine, una cosa è un omicidio, una cosa è una rapina, una cosa è una truffa.
Da una parte può valere il tipo di reato che ha commesso. Per la famiglia è un po’ più difficile accoglierlo perché
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rimane un disonore nel momento in cui si sa che il rientro è forzato (per cui non in base alla volontà della persona)
e ha anche commesso qualcosa di sbagliato. In questo caso il peruviano non entrerebbe in merito al giusto o
sbagliato (son d’accordo o non sono d’accordo), piuttosto chi rientra sarebbe visto sotto una cattiva luce per il solo
fatto che all’estero avrebbe dovuto guadagnare soldi che sarebbero serviti anche alla famiglia, mentre la persona
è stata espulsa e la famiglia rimane senza il suo sostegno. Se la persona rientrante è stato in carcere questo
produrrebbe un pettegolezzo che creerebbe emarginazione nei confronti della persona e della famiglia.
Per quanto riguarda la percezione sociale nei confronti dell’ex detenuto, se si tratta di una persona che ha vissuto
in un carcere peruviano la reazione della gente è abbastanza rigida: questo è dovuto alla sfiducia generalizzata
nel sistema penitenziario peruviano, e alla certezza, quindi, che la pena non abbia sicuramente agito sul recupero
di chi ha compiuto qualche delitto. Egli, quindi, diventa persona stigmatizzata ed emarginata, con scarsissime
possibilità di reinserimento; è molto frequente trovare ex detenuti sugli autobus a chiedere carità, dato che il
passato in carcere gli impedisce di trovare lavoro. Non ho invece notizie su ciò che succede nel caso di peruviani
ex detenuti ed espulsi (o rimpatriati); forse perché ci sono pochi casi di questo tipo, o perché la gente non viene a
conoscenza della cosa.
A quali condizioni di comportamento si attiva la possibilità di ricevere un aiuto dalla propria comunità e di
essere valutati positivamente?
La prima condizione è quella economica. Se la persona che torna avesse una possibilità di lavoro sicuro, sarebbe
più facile per loro inserirsi nella comunità. Visto che per tanti professionisti, persone con lauree e master è difficile
trovare lavoro. Per una persona con un passato pesante è molto più difficile.
La comunità vede bene le persone a cui piace lavorare, che ci tengono al lavoro, perché il lavoro in Perù è un
valore molto importante. Una persona viene valutata per quanto lavoro fa, per quanto sgobba. Questa è una cosa
che viene molto ben vista dalla comunità, una persona che si vede che si dà da fare, che è attiva, che è onesta.
Se sei educatore, rispettoso degli altri, lavori senza fare male a nessuno, allora sarai una persona rispettata. Se
sei una persona che non dai una mano agli altri, allora pensano di te che sei menefreghista. Non c'è bisogno di
portare l'abito del monaco.
Vivere tranquillamente, lavorare, non commettere reati.
Se non hai niente, non sei niente.
Disposto a lavorare, onesto e grato.
Ci aiutiamo perché noi siamo fatti così. Non viene aiutato chi si droga, ruba e beve.
Se dovessi rispondere così su due piedi direi che se la persona offre la birra a tutti i suoi amici fa un salto di
popolarità veramente enorme. Questa risposta vale più per la cerchia di persone amiche che per la comunità in
generale.
Pensando al barrio bisogna tenere in considerazione la sua organizzazione sociale. I peruviani hanno innato un
senso dell'organizzazione strepitoso. Per esempio quando c'è un'invasione se il gruppo non è in numero
sufficiente per creare da solo un barrio si mette d'accordo con tutti i gruppi confinanti ed immediatamente
eleggono i dirigenti del barrio. C'è tutta una struttura gerarchica che loro danno per scontata, nel senso che
quando si muove un gruppo di persone ci deve essere il dirigente della comunità ect., che fanno le veci di quella
che sarebbe una normale istituzione del posto. Se una persona vuole discutere qualcosa con uno specifico barrio
deve parlare con una persona specifica, che è riconosciuta dirigente del barrio e lo è perché è stato eletto da tutti
gli abitanti del barrio. Questa modalità li aiuta perché fa sì che non sono completamente allo sbando, ovviamente
dipende da chi hanno come dirigenti ma comunque i dirigenti sono espressione di quelli che abitano su quel
territorio. Il fatto di avere questo tipo di organizzazione fa sì che di per sé c'è una figura astratta che rappresenta il
barrio in cui una persona torna. Perciò i comportamenti indispensabili per entrare in una barrio in una maniera ben
vista sono: contattare subito i dirigenti, presentarsi, spiegare quale è il progetto per cui la persona è tornata.
Ovviamente questo vuol dire che chi si occupa del progetto deve occuparsi delle relazioni e dell'informazione ai
dirigenti. Per la persona il fatto formare di arrivare e contattare subito i dirigenti potrebbe essere una cosa
formalmente e importante, che lo metterebbe in buona luce. Perché andare dal dirigente è come andare in casa di
tutti, siccome questo non lo si può fare, si va dal dirigente, che nell'assemblea periodica informerà il resto della
popolazione.
Le situazioni sono diverse. Per esempio ci sono espressioni di solidarietà molto forte che riguardano quasi tutte le
comunità nei casi più estremi, intesi come condizioni di salute. In questi casi la solidarietà passa attraverso
l’organizzazione di attività di quartiere per raccogliere soldi. Già la condizione di disoccupazione, per esempio un
quarantenne licenziato, la solidarietà se la deve guadagnare un po’ di più. Essendo molto forte la discriminazione
nei gruppi sociali in Perù, dipende molto chi è in condizione di bisogno: se è una persona significativa per la
comunità, allora sì; ma se uno è un poveraccio e non conduce una vita sociale molto forte, quindi non ha relazioni
particolari, in questo caso l’espressione di solidarietà è più ridotta. Le persone significative per la comunità sono i
dirigenti popolari o i dirigenti di quartiere, che vengono eletti più o meno democraticamente dal quartiere. Altre
persone che hanno valore sono i medici, il prete, il sindaco, le autorità che in qualche modo possono avere
un’influenza sulla condizione di tutti i giorni. Viene considerato chi ce la fa, cioè chi costruisce un piano in più di
casa o chi dipinge la facciata della casa. Poi dipende perché ci sono dei quartieri in cui viene valorizzata e
considerata la persona che esprime un impegno molto forte nei confronti della comunità, a livello proprio di base
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(occupandosi dei bambini, di comunità cristiana – cioè è un impegno sociale: lavorare con i diversamente abili,
attività con anziani, condurre lotte di quartiere per ottenere l’asfalto delle strade, i marciapiedi, la corrente, l’acqua,
la fogna).
Se il rimpatriato ha fatto parte all’estero di associazioni criminose, come viene accolto dalla sua comunità
di appartenenza?
Tutti parlerebbero sottovoce che è un mafioso, ne avrebbero paura, starebbero attenti e lontani.
Se la persona rientra in una città grande non si viene a sapere. Se è di un paese piccolo a quel punto lo
vedrebbero male, ci sarebbero chiacchiere. Questa persona non sarà felice a sentire quello che dicono di lui.
La comunità lo rifiuterebbe.
È un lupo in mezzo ai lupi, questo riguarda il tipo di codice presente nelle carceri, nel senso che ci sono reati gravi
per la dignità (il reato di traffico internazionale di stupefacenti non è considerato così grave come uno stupro, dal
loro punto di vista). Perciò chi ha commesso un reato “normale” viene visto come tutti gli altri, chi ha fatto uno
stupro è considerato in maniera negativa. I reati non sopportati sono lo stupro e la violenza sui minori, è una
percezione generalizzata.
Male, perché anche attraverso le campagne mediatiche l’organizzazione criminale viene vista come danno per
tutta le comunità. Un caso particolare è quello dell’organizzazione criminale a sfondo politico perché non è detto
che ci sia una condanna da parte della comunità, fino a 5 – 6 anni fa non ci sarebbe stata una condanna per
riconoscimento in quel movimento.
Quali sono le tipologie di reato che sono più compiute nella sua nazione e con quale intensità di pena
vengono punite?
C'è tanta delinquenza, si vedono tanti furti di auto e furti nella strada (scippi).
I reati che si commettono di più in Perù sono il furto, la violenza sessuale su donne e bambini, omicidi. La pena è
il carcere, chi riesce a scappare all'interno del paese difficilmente viene preso.
Sequestri di persona a scopo di estorsione, rapine in banca, furti ai tir e ai furgoni porta valore, furti nei grossi
supermercati all'ora di chiusura. Questi reati sono puniti col carcere. Ma purtroppo la giustizia non è precisa, a
volte sbaglia. Cioè chi dovrebbe avere una condanna di 30 anni, si trova ad averne 10. Se il reato è di terrorismo,
gli danno una condanna perpetua.
Il furto, la violenza sessuale su donne e bambini. Per pochi soldi sono disposti anche a tagliarti la gola. Per il furto
la pena è leggera. Per la violenza sessuale la pena è l'ergastolo.
Furto, rubano tutti dal presidente ai dipendenti, ai commercianti. Sulle pene non so, c’è molta corruzione nella
polizia, tra i giudici.
C’è di tutto, come qua. Le pene sono dure.
Narcotraffico. Questo perché sulla Colombia c’è un grande controllo, per questa ragione i produttori di cocaina
sono migrati in Perù. La pena dipende dal livello di partecipazione. C’è anche molta delinquenza minorile: furti. Se
una persona ruba sotto un certo limite (es. 400 soles) non va in carcere. Non c’è il cumulo.
Violenza su donne e bambini. Il problema della pena è che questi reati prima di essere perseguiti dovrebbero
essere denunciati. In un tessuto sociale di quel tipo la denuncia di questo tipo di reato è quasi impossibile.
Bisogna tenere conto che le istituzioni esistono però ci sono zone lasciate molto abbandonate a se stesse. Non so
quanto l'anagrafe sia esistente in quei posti, credo che non si sappia quanti bambini ci siano, molte nascite non
vengono neanche dichiarate (a volte perché non si sa neanche che cognome dare al bambino, a volte non vanno
a dichiararli perché pensano che non ne valga la pena perché è il sesto o settimo figlio). La violenza su donne e
bambini è talmente diffusa che non c'è la cultura della difesa dall'abuso nemmeno all'interno della comunità.
Inoltre culturalmente c'è il fatto che se un uomo picchia sua moglie è come se le dimostrasse che ha un certo
interesse nei cuoi confronti, perché quantomeno si prende la briga di picchiarla invece che non tornare neanche a
casa. La donna che non denuncia l'abuso comunque considera il fatto che quantomeno il marito è presente.
La microcriminalità è molto alta. Girando per il barrio si vedono baracche con le sbarre alle finestre, parlo di
baracche con l'ondulex come tetto e sulla porta un lucchetto, sulle finestre delle sbarre. Allora se si sentono in
dovere di mettere le sbarre vuol dire che c'è la possibilità che senza sbarre uno entri e rubi quelle poche cose che
si possiedono. Secondo me il furto viene denunciato.
Delinquenza comune, piccoli furti, piccolo spaccio (anche se il consumo è abbastanza limitato). In generale la
pena in Perù è abbastanza forte, l’incarcerazione è immediata e il percorso verso il processo è abbastanza
veloce. I minori vengono inviati nei carceri per adulti. Nei carceri non ci sono diversificazione dei settori in base al
tipo di pena, tranne nel caso dei reati politici e di terrorismo. L’approccio carcerario è esclusivamente punitivo. Poi
i reati legati alle lesioni nei confronti di persone nei casi di violenze e abusi sessuali e maltrattamento – violenza
su minori e donne. Poi i reati legati alla corruzione ed evasioni fiscali.
Ci sono dei reati che vengono sopportati e non perseguiti nella sua nazione, perché sono compiuti da una
grande quantità di persone o perché vengono ritenuti necessari alla sopravvivenza?
Per i furti i ragazzi entrano in carcere per un'ora e dopo vengono lasciati.
Il furto viene giudicato con qualche attenuante.
Il furto leggero, per esempio se uno ruba una scooter - allora se lo prendono richiedono la restituzione dello
scooter + qualche settimana di carcere. A Lima ci sono gruppi di 3 o 4 persona e rubano i soldi, se chi viene
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aggredito non dà i soldi viene malmenato e a volte accoltellato. Se le forze dell'ordine riescono a prenderli e a
fargli un processo, la pena è di 3 o 4 mesi.
Dare un nome falso, non avere i documenti.
Quelli che fanno i governi, e la gente non capisce (in Italia la gente è più attenta a quello che fa il Parlamento, alle
leggi che escono).
Furti minori. Le denunce sono inferiori al 40% di tutti i furti compiuti.
Probabilmente sì, anche proprio sui diritti.
Se dovessimo proporre degli inserimenti lavorativi nella sua nazione, dove è realistico che vengano
proposti? Nelle città o nelle campagne? Dove esiste un tessuto industriale -artigianale o in altri luoghi? Ci
indichi i luoghi.
A Lima no, perché Lima è il punto di massima delinquenza del Perù, è un disastro per la delinquenza. Penserei
magari ad una città più tranquilla, dove ci sia anche un pò di campagna, dove non ci sia tutta quella delinquenza.
Tipo una città di montagna o una città del sud. Huancayo, Arequipa o Trujillo, che è una città sul mare ma molto
più tranquilla. In queste città c'è artigianato, l'industria no perché è tutto centralizzato nella capitale. Comunque
non penserei mai alla capitale, perché la capitale è come Sao Paulo.
La ristorazione funziona bene a Lima o nei luoghi turistici (Cusco, Puno), per quanto riguarda l’artigianato dipende
dalla zona, perché ogni regione ha il suo artigianato tipico. La produzione di pisco (una grappa tradizionale che
viene esportata negli Stati Uniti) il luogo di produzione è a sud di Lima, nella provincia di Ica. Mentre la produzione
di lukuma, un frutto usato per fare bevande calde e gelati, la produzione è tra le Ande e la costa, in una zona dove
c'è un clima speciale.
In una piccola città è difficile, perché lì ognuno fa il suo lavoro nel suo ambito, mentre in una grande città c'è più
possibilità: Lima. Cusco, Trujillo, Huancayo, le capitali delle regioni.
Dipende da dove provengono, bisogna far sì che la persona ritorni nel suo luogo d'origine
Cercare lavori che danno un bello stipendio. In Perù sono retribuiti bene i lavori professionali, per es. lo chef.
Lima, è la città più importante e ci sono molte organizzazioni che ci lavorano.
Bisogna fare uno studio più approfondito sui singoli paesi. E poi dipende da dove provengono, perché se una
persona proviene da un'area rurale e la sua unica esperienza metropolitana è stata a Milano ed è finita pure male,
non è pensabile reinserirlo nell'area metropolitana di lima, perché sarebbe troppo complesso. Il territorio di
dimensione medie è il luogo dove si può immaginare di avere un'attenzione maggiore da parte della comunità.
Oramai le grandi aree metropolitane sono troppo dispersive e non è detto che garantiscano l'attenzione della
comunità, mentre questo credo che sia un elemento indispensabile per un progetto come il vostro. Nelle aree
medie il terziario offre ancora delle possibilità.
I progetti di sviluppo agricolo per loro natura si realizzano nelle campagne, i progetti di formazione molto spesso
tengono conto delle opportunità delle varie zone e in genere è più facile realizzarli nelle città. Tutto dipende dalle
caratteristiche del territorio. In molti paesi terzi c’è interesse a sviluppare le aree rurali, aree che potenzialmente
sono molto ricche e che necessitano di tecnica e modalità di coltivazione, offrono diverse possibilità. L’importante
è sempre fare un’analisi generale per vedere quali sono le opportunità e sulla base di questo muoversi. Quello
che chiamiamo lo studio di fattibilità del progetto, fatto in maniera dettagliata, perché le realtà sono molto diverse,
da paese a paese si trovano cose molto differenti.
Bisogna reinserirli nella comunità d’origine, sempre che risulti che ci siano le condizioni di accoglienza. In
generale Lima, perché la maggior parte della popolazione che emigra viene da Lima. Tranne nel caso in cui la
persona emigrata faceva già parte di bande di micro criminalità in Perù, in questo caso non ci sarebbero neanche
le condizioni per un reinserimento nella sua comunità perché l’opzione banda di quartiere magari era l’unica
possibilità, per cui sarebbe inopportuno un rientro in quel tipo di comunità. Inoltre laddove esistono bande di
quartiere molto forti le comunità sono completamente sfasciate, perciò è impossibile un reinserimento perché è
una zona senza possibilità. Se ci fosse un contatto, una collaborazione forte con qualcuno che è presente nel
paese terzo, un’associazione, una istituzione o una ONG locale sarebbe possibile anche lavorare su quartieri
difficili, facendo un percorso di reinserimento che sarebbe anche utile per la comunità. Inoltre è indispensabile un
collegamento con il settore produttivo, imprenditoriale e occupazionale, perché un rientro in Perù deve essere per
forza collegato con un reinserimento lavorativo. Poiché l’essere lavoratore è una condizione indispensabile per
ottenere un riconoscimento positivo all’interno della comunità.
A me viene più in mente che si deve creare un progetto ad hoc per la persona e questo comporta l'avere dei
referenti seri sul posto. Bisogna anche valutare la storia della persona, per esempio se la famiglia ha investito
affinché la persona potesse recuperare risorse per tutti allora il discorso lavorativo è importante. Perciò è
importante dargli un'opportunità lavorativa, soprattutto se viene dalla campagna e non ha risorse, in questo caso
andrebbe bene anche che non rientrasse nel suo paesino e lo si inserisse in una città con una concreta possibilità
di lavoro. Se invece la persona avesse avuto un'esperienza migratoria drammatica e avesse bisogno di un
supporto da parte delle famiglia, allora sarebbe bene offrirgli un ritorno onorevole all'interno della propria famiglia.
Dipende proprio dalla specifica situazione.
Che tipologie di lavoro ritiene appetibili e competitive per il mercato di lavoro della sua nazione?
Portare là e far funzionare macchine, per esempio le macchine per l'olio di oliva. Ci sono molte olive ma non la
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produzione dell'olio di oliva. L'olio di oliva è molto caro, se lo può permettere solo la gente che ha i soldi.
Il settore artigianale, l'anno scorso ho visto che il turismo è molto in crescita ed insieme al turismo va molto
l'artigianato e la cucina. Ci sono tante scuole di chef, scuole per diventare cuoco. La cucina si è molto stilizzata.
Molti chef peruviani vanno all'estero a lavorare, a presentare una cucina un po' diversa da quella tradizionale, che
ne presenta alcuni elementi più stilizzati per aderire ai gusti europei e di altri paesi. C'è anche tutto un lavoro di
ricerca. Sono aumentati il numero di ristoranti che propongono cose diverse di cucina peruviana. La ristorazione
funziona bene a Lima o nei luoghi turistici (Cusco, Puno), ci sono anche tanti ristoratori italiani che lavorano là.
E' cresciuto tantissimo il mercato dell'artigianato, c'è una domanda pazzesca. Producono cose classiche, tipo
tappeti, manufatti con telai, quadri, ceramica. Dipende dalla zona, perché ogni regione ha il suo tipico artigianato.
C'è una ricerca di miglioramento della qualità, perché si vuole esportare.
Rispetto al commercio del vino e del pisco (è una grappa tradizionale) c'è una crescita della commercializzazione,
c’è stato un boom di esportazione negli Stati Uniti. Lo producono a sud di Lima, nella provincia di Ica, dove c'è il
paese Pisco che si chiama come la bevanda. Ci sono i coltivatori di uva, che lavorano l'uva e non il mosto in base
alla tradizione che hanno portato gli spagnoli. Questo tipo di grappa è molto delicata, sono cresciute tante aziende
agricole che si dedicano a esportare questa bevanda negli Stati Uniti ed Europa.
E' crescita l'esportazione della lukuma, un frutto esotico molto particolare, utilizzato per fare le bevande calde e i
gelati; l'esportazione è verso gli Stati Uniti. Il frutto viene prodotto tra le Ande e la costa, in una zona dove c'è un
clima speciale.
Commercio di gioielli, ma non di primo livello bensì di secondo, l'argento soprattutto lavorato con pietre e semi
tradizionali. Ci sono piccole ditte di artigiani che producono questo tipo di gioielli, sono molto belli, stilizzati,
lavorati bene, con l'argento (l'oro non si propone molto a causa del costo). Questo chiama molto l'attenzione del
turista.
Operai nel settore edilizio o nella produzione tessile o alimentare (l'inscatolamento della frutta, per esempio).
Penso a questo ambito perché immagino che gli imprenditori in questo ambito non avrebbero la preoccupazione
dei furti e quindi non avrebbero pregiudizi, l'unica cosa che potrebbero prendere è la frutta perché i macchinari
sono immensi. Lavoro artigianale, con una formazione specifica. Camerieri o cuochi nei ristoranti.
Il lavoro autonomo come negoziante o come ambulante del mercato. Molte persone si stanno dedicando al lavoro
autonomo, perché adesso è molto difficile trovare un lavoro stabile e fisso. La situazione è che ti chiamano per
lavorare quando ce n'è bisogno, così a volte lavorano a volte non lavorano.
Un operaio guadagna 150 euro al mese, è incomparabile con uno stipendio italiano
Il lavoro in fabbrica, oppure l’agricoltura: asparagi e olio. Oppure l’artigianato.
Artigianato, fornendo loro una formazione professionale.
La raccolta dei rifiuti potrebbe venire organizzata, e non sarebbe una cosa difficile da fare, non comporta
competenze particolari, permette di ricreare la relazione con il territorio perché si passa da tutte le case. Molte
parrocchie lo fanno già, chi è organizzato lo fa.
L'artigianato potrebbe essere un altro settore. Ci si potrebbe basare sul fatto che Lima ha il mercato centrale che
è enorme e al suo interno c'è il mercato dell'artegiania che raccoglie tutti i lavori di artigianato di tutto il Perù.
Perché, come spesso accade, il turista viaggia in Perù ma i souvenir li compra poco prima di ripartire per casa.
Allora se si individuasse qualcosa che sono bravi a fare, qualcosa di legato alle loro radici e tradizioni culturali, ci
potrebbe essere lo sbocco sul mercato centrale di Lima e con il commercio equo e solidale.
L'altra possibilità è data dal turismo: nei luoghi di interesse turistico alcune persone si improvvisano come guide.
Si potrebbe invece insegnargli il mestiere, migliorare l'italiano e organizzare un servizio di guide turistiche
professionali.
Rispetto alla situazione di disoccupazione cronica è importante offrire alle persone un lavoro continuativo, perché
in questo modo si offre alle persone di entrare in un progetto, perciò oltre all'avere un lavoro avrebbero anche la
possibilità di fare qualcosa di positivo per la propria comunità. Credo che se le persone si sentono parte di un
progetto sono più agganciate e di conseguenza più affidabili. Per esempio nei primi locali che abbiamo costruito
abbiamo insistito molto perché si facessero dei turni di pulizia, non solo perché ci vanno i bambini, ma anche
perché se una persone è costretta a pulire un locale questo fa sì che la persona senta più suo il posto e quando
qualcun altro lo sporca , dà fastidio non tanto perché bisogna pulirlo, ma perché è anche tuo. Inoltre se il progetto
funziona, il farne parte dà una sensazione di orgoglio, e questo è un aggancio abbastanza forte. La popolarità
della persona cresce e cresce la stima generale nei suoi confronti.
E’ difficile rispondere a questa domanda perché essendo molto forte il lavoro informale si inventano veramente di
tutto, è meglio che andiamo noi là a prendere qualche spunto per avviare qualche attività competitiva in Italia. Per
quanto riguarda i giovani stanno nascendo alcune attività artistiche: arti circensi, spettacoli di strada, teatro,
giocoleria, pittura, piccolo artigianato alternativo più creativo. Però è un lavoro autonomo perciò bisogna sostenerli
attraverso borse di studio, corsi, sostegno alla costituzione dell’attività lavorativa oppure questi lavori vengono fatti
attraverso realtà protette: ONG che lavora con i giovani su un’attività di avvio al lavoro, in questo caso è
necessaria una collaborazione stretta con soggetti locali. In Perù ci sono tante ong, alcune lavorano molto bene
coinvolgendo le comunità.
Quali professionalità dovremmo insegnare ai suoi connazionali da rimpatriare?
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Lavorare a livello di industrializzazione, insegnare a lavorare sulle macchine: tipo metalmeccanico. Disegno per le
macchine. Abbiamo molte risorse naturali, la materia prima, ma non abbiamo l'industria di trasformazione.
Design dei gioielli, come lavorare questi oggetti in argento. I disegni di questi oggetti. Portare nuove tecniche per
realizzarli.
La ristorazione, scuola di cucina, di alta cucina.
Come amministrare e commercializzare l'artigianato, come migliorare la qualità degli oggetti artigianali.
Design della moda, dei vestiti, anche da noi c'è il mercato cinese che ha invaso ma le cose nuove funzionano.
Abiti tagliati bene, confezionati bene, con un prezzo contenuto hanno successo.
Creare impresa, penso che persone detenute in Italia abbiano voglia di tornare nel proprio paese, penso anche
che queste persone se lavorano in gruppo è meglio. Se fanno un percorso qua e poi tornano là e continuano a
stare insieme, facendo sempre un percorso insieme, anche accompagnati per un periodo là, è meglio. Da noi c'è
questa idea di fare le cose in comunità, fin dai tempi degli Inka, davanti alle avversità ci siamo messi sempre in
gruppo, in comunità. Per esempio le Ande sono molto povere, il governo non fa niente, non c'è nessun aiuto ai
contadini, loro fanno da soli e in comunità. Sarebbe bello formare un gruppo qua, accompagnarlo là, e ancora in
gruppo aiutarli a fare un piccola impresa per tenerli insieme. Io vedo difficile che ce la facciano da soli, si
sentirebbero persi.
Dipende dalle capacità della persona, da cosa ha fatto, che tipo di formazione possiede. Potrebbe essere
l'informatica o la pittura o la creazione artigianale.
Formazione tecnica, sui macchinari per lavorare nell'industria.
Pasticceria, falegnameria.
Credo che la formazione sia indispensabile, in quali settori non saprei
Bisogna pensare alla costruzione di un percorso per la persona, cioè sull'analisi delle possibilità che la persona
ha, perciò l'impostazione di un percorso vincente per lo sviluppo della persona. Inoltre rapporti diretti con piccole e
medie imprese che danno formazione, aumentare la loro consapevolezza di cittadinanza.
Dipende dalla scolarizzazione delle persone con cui hai a che fare. Se la scolarizzazione è molto bassa bisogna
insegnargli a fare un mestiere. Un mestiere che poi la persona possa fare anche in autonomia. Per esempio
inventando, se gli si insegna a fare l'arrotino, la persona può prendersi una bici e svolgere il suo mestiere. Se gli si
insegna a fare il falegname, il problema è che quando la persona torna deve trovare una falegnameria che lo
faccia lavorare oppure i macchinari necessari. Allora credo che valga la pena insegnare professioni spendibili in
maniera immediata.
Nei barrios come Tablada, che è abbastanza recente, non c'è nessuno che comprerebbe una cucina o un mobile.
Ci sono barrios formati da più anni che sono come delle piccole cittadine, e lì si trovano la falegnameria e
quant'altro. Per i barrios come Tablada l'esempio dell'arrotino è calzante perché va incontro ad un bisogno
fondamentale, in quanto qui se si ha un coltello che non taglia se ne prende un altro; lì se la famiglia ha un solo
coltello di numero e non taglia, deve arrotarlo.
Un'altra possibilità è proporre corsi per il micro-credito, in modo che quando la persona torna, in base al bisogno
che vede, ha degli strumenti per decidere di intraprendere un'attività.
Molte attività professionali sarebbero valorizzate in Perù, nel senso che se una persona fa un corso professionale
in Italia verrebbe presa in considerazione in Perù, soprattutto perché garantirebbe una migliore qualità del
prodotto. Per esempio nell’ambito del design. Le modalità di lavoro sono molto diverse in Italia e Perù. In Perù
sono molto più avanti nella capacità di arrangiarsi cioè sistemano e aggiustano e costruiscono qualsiasi cosa
senza mai bloccare la produzione nel caso in cui un pezzo mancasse, invece manca il prodotto di qualità. I settori
possono essere il giardinaggio, l’informatica, le arti grafiche. Per quanto riguarda l’industria in generale se uno
dimostra delle capacità, visto che lì spesso sono approssimativi, questo è un valore aggiunto. Poco interessanti le
abilità che riguardano la forza. Altro ambito interessante è quello della contabilità, io non ho mai trovato nessuno
in grado di lavorare in maniera esatta. Non sono in grado di gestire nulla di minimamente complesso dal punto
amministrativo e contabile.
Qual è il costo della vita nella sua nazione di origine, rispetto al nostro tenore di vita? Quanto guadagna in
media un lavoratore dipendente?
In confronto a quello che si guadagna, il costo della vita è alto perché lo stipendio base è 100 euro. Per avere una
casa, una macchina, per vivere normale servono 600/700 euro. Lo stipendio medio è 250 euro.
Con un euro prendi 3 soles e mezzo, costa di più l'euro che il dollaro.
Secondo le cifre ufficiali il reddito medio è di 400 soles al mese, ma la realtà è che il reddito medio è di 200 - 100
soles. Con 200 soles al mese fai una vita da fame, una bolletta della luce costa in media 40 - 50 soles per una
casa normale. Per tre persone facevamo una spesa alla settimana di 100 soles, mangiando bene ma facendo
qualche restrizione.
Le persone spesso mangiano una sola volta al giorno, alla sera devono un tea. Il riso costa, la frutta e la carne
anche. Si mangiano solo le ossa della carne, con cui si fa il brodo. I negozianti non regalano più le teste del pollo,
come facevano una volta, adesso bisogna comprarle. La situazione è abbastanza critica, un tempo le teste del
pollo si davano ai cani, adesso vengono mangiate dalle persone.
Ci sono persone che vivono con 5 soles al giorno, spesso vanno a mangiare alla mensa organizzata dal quartiere,
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aiutati dalle ONG e dallo Stato, riescono a cucinare con pochi soldi e così le persone in difficoltà riescono a
mangiare una volta al giorno. Ormai in quasi tutti i quartieri ci sono queste attività, una volta erano solo nelle zone
povere.
Un infermiere o un professore che ha un famiglia non molto grande se la cava, ma arrivando a pelo a fine mese.
Ci sono persone che commerciano e queste stanno bene. Un lavoratore manuale ha qualche problema a coprire i
costi di un mese con il suo stipendio.
Lo stipendio minimo per un lavoratore dipendente è 450 soles, che corrispondono a 120 euro al mese. Adesso
per vivere devono lavorare sia il marito che la moglie perché solo per vivere in un mese si spendono 500 soles + il
costo dell'affitto che si aggira intorno ai 150 euro al mese. E poi c'è da pagare la luce, il gas. Basta solo per la
sopravvivenza.
Una famiglia di 4 persone ha bisogno di 300 euro al mese = 1000 soles.
Solo per mangiare servono 200 euro al mese, lo stipendio medio è di 100 – 120 euro
Ci vogliono 500 euro al mese per una famiglia di 4 persone.
Gli indicatori della Banca Mondiale sono precisi. Il problema è che non c’è lavoro. A un livello sociale basso le
donne hanno poche opportunità lavorative, per le donne è impossibile, per l’uomo è difficile. La percentuale della
popolazione povera vi aggira intorno al 50%.
Quale sia il costo della vita in un barrio non so. Considera che nel primo progetto che abbiamo fatto, abbiamo
costruito un locale di 2 piani in muratura, con tetto e tutto l'allestimento interno, al costo di 4800 euro.
A Lima è un terzo di quello che può costare qua in media, tenendo conto di tutto compreso il pagamento delle
tasse. Nelle zone periferiche le persone sopravvivono con 1 dollaro al giorno.
Su quali paesi stranieri sarebbe meglio che realizzassimo il progetto Odisseo?
Più che sui paesi bisognerebbe concentrarsi sulla tipologia di reati. Probabilmente più il paese è lontano, più è
difficile per lo straniero rientrare. Per esempio i sud americani temono tantissimo l'espulsione perché è proprio
difficile affrontare un viaggio, mentre non lo è per i paesi collegati via terra. Mi concentrerei sulla tipologia di reati,
darei per poco appetibile lo straniero che si è macchiato di violenza sessuale (e ce ne sono tanti), il loro destino è
di essere espulsi, difficilmente questo ufficio valuterà positivamente la richiesta di rilascio di un permesso per
lavoro anche se il posto di lavoro ci fosse. Spessa cosa per lo spaccio di stupefacenti. Mentre ci sono reati meno
gravi, per esempio quelli contro il patrimonio (mentre per altri reati non si va in carcere, tipo il falso, la guida senza
patente, la vendita abusiva di marchi contraffatti). Toglierei dalla casistica, nel senso che non me ne interesserei
proprio, quelli che sono stati condannati per traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della
prostituzione. Da parte nostra è difficilissimo orientarci in senso positivo nei confronti di questi soggetti. Per
quanto riguarda le etnie degli stranieri soggette ad espulsioni (che sono 7000 all'anno, di cui 2000 accompagnati
alle frontiere) vedi allegato.
Le donne processate per traffico di stupefacenti, che spesso provengono dal sud america e arrivano con una
certa quantità di ovuli nello stomaco, non hanno intenzione di rimanere in Italia. Loro giocano alla lotteria, perché
10.000 o 5.000 dollari cambiano loro l'intera esistenza, tant'è che i giudici raramente esigono che la condanna
venga scontata in Italia perché non vengono considerate un soggetto pericoloso, perciò condannano e ordinano
l'espulsione. In questi casi non c'è un profilo criminale alto, ma la pena di solito è elevata (4 - 6 anni). Non penso
che queste donne perdano l’emolumento per il trasporto, gli verrà assicurato in patria.
Le persone arrestate per furto (che è uno dei pochi reati che prevede la fragranza) vengono portate in camera di
sicurezza, la mattina successiva hanno la direttissima, senza andare in carcere, di solito vengono condannati alla
minima e hanno l'espulsione. E' tutto automatico, quindi voi non riuscite neanche a vederli. Se voleste farlo
sareste i primi a lavorare sulle direttissime. Per lavorare sulle direttissime bisogna inserirsi in quei tempi morti che
precedono l'udienza. Una volta fatta la direttissima vanno in via Corelli, perché non abbiamo mai il biglietto aereo
pronto, e ci stanno da un minimo di 7 a un massimo di 60 giorni. Si può lavorare con questi stranieri perché
stanno lì, al centro. In via Corelli i pochi posti disponibili sono dedicati ai carcerati, che sono per definizione
pregiudicati visto che hanno una sentenza definitiva. Ci sono dei tempi minimi e massimi in cui si può lavorare. I
tempi per i trattenuti si allungano di 48 ore perché il giudice di pace va in via Corelli a fare le convalide e in quella
circostanza gli avvocati (quelli di fiducia) insistono per avere dal giudice qualche cosa. Quello è il momento, è
l'udienza di convalida che si tiene in via Corelli davanti al giudice di pace. Normalmente hanno un giudice d'ufficio,
perciò già sarebbe valida l'assistenza in questo senso. La convalida deve essere fatta entro 48 ore dal fermo.
Il contributo che l'ufficio stranieri della P.S. potrebbe apportare al progetto Odisseo è quello di prendere in
considerazione le vostre richieste, meramente conoscitive, certo non sulla personalità della persona, l'elenco dei
precedenti, i reati fanno parte di quei dati sensibili che richiedono una delega delle persone, che passa attraverso
l'avvocato di fiducia. Quello che possiamo dire per indirizzare, lo facciamo.
Per quanto riguarda in generale l'America latina abbiamo avuto qualche caso di rientro assistito, forse verso il
Perù 1 o 2 persone.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA ANTROPOLOGICO – CULTURALE – PERÙ
Le ragioni della migrazione
Nelle risposte prevalgono ragioni di tipo economico collegate alla storia peruviana degli ultimi 20 anni. Le
misure finanziarie adottate hanno provocato una forte inflazione che ha ridotto drasticamente il potere
d’acquisto. Gli occupati riescono a guadagnare solo ciò che basta per la sopravvivenza, la condizione di chi
svolge lavori informali e non continuativi è ai limiti della sopravvivenza e alle soglie della povertà. Le aree in
cui si concentra la povertà sono molte: le Ande, la Selva, la foresta Amazzonica, i quartieri centrali e i quartieri
periferici di Lima, questi ultimi si sono formati attraverso “invasioni” organizzate dovute alla costante
migrazione interna che da diverse zone del paese preme verso la capitale.
I processi migratori
Le persone migrano a partire da qualsiasi zona peruviana e i movimenti migratori si caratterizzano come
progressivi processi di avvicinamento alla capitale. L’avvicinamento si interrompe solo nel momento in cui la
persona trova una sistemazione lavorativa che gli consenta la sopravvivenza. Nel caso ciò non avvenga
prima, l’ultima tappa della migrazione interna è Lima. Lima può rappresentare il luogo di insediamento dei
migranti o il trampolino di lancio per l’espatrio. Queste due opzioni vengono attivate in base alle condizioni
socio – economiche, famigliari e culturali delle persone interessate. Per emigrare all’estero infatti è necessario
possedere delle risorse economiche: per ottenere il visto o per procurasi un passaporto falso e per sostenere
le spese per il viaggio. Si stima che il costo dell’emigrazione all’estero si aggiri intorno a 5.000 euro.
Molte persone arrivate a Lima dall’interno del paese, soprattutto dalle zone rurali, non possiedono tali risorse
ed inoltre sono culturalmente più abituate a svolgere lavori faticosi, riescono perciò ad adattarsi con maggiore
facilità all’offerta di lavoro presente a Lima.
Inoltre un fenomeno caratterizzante la migrazione peruviana è quello denominato delle “catene migratorie”, in
molti partono per raggiungere parenti e conoscenti già migrati all’estero, questi ultimi raramente raccontano
delle difficoltà da loro incontrate nell’inserimento socio – lavorativo nel paese che li ha accolti.
Rimanere all’estero o tornare
I fattori determinanti questa scelta sono: la riuscita del processo migratorio, il ricongiungimento famigliare,
l’adattamento allo stile di vita occidentale.
La decisione basata sulla riuscita del processo migratorio è considerata in maniera controversa, poiché
preferiscono restare all’estero sia le persone che hanno avuto un processo migratorio di successo
costruendosi una posizione di vita stabile all’estero, sia le persone con un processo migratorio incerto o fallito
a causa della difficoltà di ammetterne la non riuscita e di tornare a casa a mani vuote con scarse prospettive di
sopravvivenza.
Il ricongiungimento famigliare fa parte della dinamica migratoria caratterizzata dal costituirsi di vere e proprie
catene migratorie, intere famiglie emigrano e si stabiliscono all’estero. Di fronte a questa situazione il rientro
nella propria nazione d’origine non è previsto, non essendoci più là una famiglia o punti affettivi e parentali di
riferimento. La maggior parte delle persone che fanno questa scelta sanciscono la decisione di stabilizzarsi
all’estero con l’acquisto della casa.
Un ulteriore punto d’attenzione rilevato è quello relativo all’abituarsi, da parte della persona emigrata, allo stile
di vita occidentale e alla conseguente difficoltà di un nuovo inserimento in patria. Una maggiore possibilità di
cavarsela economicamente, una maggiore possibilità di acquisto di beni primari e secondari, uno stile di vita
per cui le possibilità vengono date a prescindere dall’età anagrafica, (per cui nel caso delle donne la maternità
non avviene necessariamente in giovane età) insieme alla sensazione di dover cominciare tutto da capo
rientrando nella propria nazione, fanno preferire alle persone di rimanere all’estero piuttosto che tornare nel
proprio paese.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La famiglia
Le risposte evidenziano l’importanza di due aspetti specifici e separati: il legame affettivo e il rapporto
economico.
36
Per quanto riguarda il legame affettivo la famiglia sarebbe contenta di accogliere chi rientra, soprattutto se si
tratta di figli giovani o di madri con bambini in Perù. Nel caso in cui il rientrante sia un maschio adulto un punto
di attenzione riguarda il tipo di relazione che ha mantenuto con la famiglia, infatti due intervistati sottolineano
come accadano spesso situazioni di “poligamia”, situazioni in cui l’uomo si crea più legami famigliari con
moglie e figli diversi.
Rispetto al rapporto economico il problema evidenziato è quello relativo all’affidamento economico che la
famiglia fa sulla persona che emigra. Chi rimane in Perù si aspetta di essere sgravato dal mantenimento di
una persona e possibilmente di ricevere rimesse. Ciò comporta che l’emigrazione è percepita come un
sollievo e come una opportunità in più di sopravvivenza in Perù. Un rimpatrio provoca delusione, dispiacere,
tristezza, e la preoccupazione legata all’interrogativo su cosa farà chi rientra. Sarà un peso per la famiglia? Si
potrà inserire nella soluzione di sopravvivenza individuata dalla famiglia?
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La cerchia parentale, gli amici e la comunità di origine
Un punto essenziale riguarda la possibilità di esprimere concretamente solidarietà fornendo aiuto a chi rientra,
questa potenzialità è scarsa per carenza di risorse, soprattutto nelle aree urbane. Le modalità di accoglienza
dipendono da chi è la persona che rientra e dal tipo di relazioni amicali e sociali che aveva instaurato nel suo
paese d’origine. Se la persona aveva un riconoscimento tra gli amici e all’interno della comunità e godeva di
un apprezzamento, potrebbe prevalere una modalità di accoglienza aperta, disponibile nei confronti del
rientrante. In questo caso verrebbe valorizzata l’esperienza migratoria rispetto a competenze professionali
apprese all’estero. Se la persona invece non era particolarmente apprezzata prima della migrazione, potrebbe
prevalere nei suoi confronti un atteggiamento negativo che andrebbe a sottolineare la scelta individualistica
che la persona ha fatto nel momento dell’emigrazione e la colpevolizzazione della persona, considerata
incapace, a causa del fallimento dell’esperienza migratoria, con la creazione di un pregiudizio negativo nei
suoi confronti.
Prevale la sensazione che l’esperienza di rientro o rimpatrio venga occultata, tanto che viene fornito il
suggerimento di promuovere reinserimenti sociali e lavorativi in barrios e cittadine diverse da quella d’origine
del rientrante.
E’ importante sottolineare che la popolazione peruviana pare che non sappia che si può essere rimpatriati per
il solo fatto di essere un emigrato irregolare, senza aver commesso un ulteriore reato. Si tratta di un dato da
tenere in considerazione rispetto all’identificazione di un immaginario collettivo nei confronti di un rientrante.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - I mass media
La maggioranza degli intervistati dichiara che i mass media peruviani non parlano delle persone rimpatriate,
prevale un’attenzione alla migrazione che riguarda i processi positivi e di successo.
Rispetto alle persone con una esperienza di detenzione è rilevante tenere conto della descrizione che viene
fatta delle carceri peruviane e delle condizioni di vita al loro interno. L’immaginario collettivo si basa su questo
genere di informazioni e conoscenza, portando con sé pregiudizi e convinzioni specifiche. Essendo la
condizione degli istituti Penitenziari italiani ed europei molto differente è bene tenere conto di questa
discrepanza nelle presentazioni di progetti di rientro onorevole per ex detenuti.
Tipologia di reati maggiormente commessi in Perù
Furti: dai furti minori all’estorsione a scopo di rapina. Violenza sessuale nei confronti di minori e donne.
Narcotraffico. Corruzione.
Molti dei reati subiti non vengono denunciati, sia quelli relativi ai furti poiché non si vede l’utilità della denuncia
sia quelli legati alle violenze, per condizione culturale diffusa che non prevede la difesa da questo genere di
abusi.
Reati sopportati
Furti minori, falsificazione di documenti, corruzione.
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Modalità di accoglienza per chi ha commesso un reato
La persona rientrante ometterebbe di parlare dei suoi precedenti penali all’estero perché sarebbe ritenuto un
disonore per la famiglia e darebbe adito a pettegolezzi che comporterebbero lo sua emarginazione, e,
probabilmente, anche quella della famiglia.
Tale situazione peggiora coll’aggravarsi del reato, l’appartenenza ad un’associazione criminale comporterebbe
il rifiuto da parte della comunità d’appartenenza.
Nei programmi di reinserimento per il rientro onorevole è importante tenere conto della tipologia di reato
commesso, di come esso è percepito da chi l’ha commesso e dalla comunità ospitante. Sarebbero da
escludere dal programma di rientro onorevole persone con un profilo criminale alto, che si sono macchiate di
crimini quali traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, violenza sessuale.
Mentre ci sono reati meno gravi, per esempio quelli contro il patrimonio o quelli che prevedono la fragranza,
che vengono percepiti con più indulgenza, perché commessi più per necessità e per mancanza di prospettive
che per la reale appartenenza ad associazioni criminali e per l’identificazione della persona con profilo
criminale alto. Rispetto al centro e al sud – America fanno parte di questa ultima tipologia le donne processate
per traffico di stupefacenti, che arrivano con una relativamente scarsa quantità di ovuli nello stomaco. Queste
donne non hanno un progetto migratorio, spesso partono lasciando a casa i figli affidati alle nonne o alle
amiche, e hanno l’urgenza di rientrare non avendo nessuna intenzione di rimanere in Italia.
Rispetto alle persone che rientreranno con programmi di rientro onorevole bisognerà prendere in
considerazione la reale possibilità e la eventuale modalità di esplicitare l’avvenuta permanenza in un carcere
italiano.
Rispetto alla creazione della rete che la realizzazione del progetto Odisseo prevede bisogna individuare una
modalità di presentazione adeguata della condizione degli Istituti Penitenziari italiani, della tipologia di reati
commessi dai potenziali rientranti, prevedendo un’opera di sensibilizzazione e di contrasto ai pregiudizi
negativi individuati.
Condizioni di comportamento favorenti l’aiuto
Il lavoro è un valore molto importante in Perù, ciò comporta che una persona per essere ben vista deve avere
un lavoro e deve darsi da fare. Avere un lavoro significa anche avere una condizione di vita decente, e questo
è un ulteriore elemento favorente l’inserimento sociale. Altri aspetti riguardano l’onestà, l’educazione, il rispetto
per gli altri.
Per potersi inserire nella comunità è indispensabile rispettare la gerarchia organizzativa della comunità stessa,
presentandosi ai dirigenti territoriali, fornendo loro informazioni e creando relazioni.
Non è da sottovalutare la radice culturale che determina la modalità attraverso cui la popolazione peruviana
affronta le difficoltà, ossia il mettersi insieme, il darsi un’organizzazione ed una struttura, e il gestire in gruppo
la situazione. Avviene così per le “invasioni” dei territori alla periferia di Lima e, in base alla testimonianza di
una intervistata, si tratta di un portato antico, dei tempi degli Inka, secondo cui davanti alle avversità i peruviani
si mettono sempre in gruppo, in comunità, mentre da soli si sentirebbero persi.
Dove prevedere gli inserimenti lavorativi
Le risposte delineano linee di tendenza diverse: c’è chi esclude Lima perché troppo dispersiva e con una
presenza troppo alta di delinquenza, c’è chi pensa a Lima perché offre maggiori possibilità di inserimento
lavorativo. Altri privilegiano le capitali regionali (Cusco, Trujillo, Huancayo) essendo abbastanza grandi per
offrire possibilità, ma non così estese e dispersive come la capitale.
Vengono delineate altre due ipotesi: l’una prevede di dare la precedenza alla provenienza della persona,
reinserendola nel suo paese d’origine, l’altra alla professionalità sviluppata dalla persona (se di tipo agricolo in
campagna, se di tipo artigianale e industriale in aree urbane e periurbane, etc.).
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I lavori concorrenziali in Perù e la formazione professionale
C’è una congruenza tra alcune risposte fornite rispetto alle attività professionali concorrenziali in Perù e
l’offerta di qualificazione professionale da fornire, riguardano: il settore industriale relativamente all’area della
trasformazione alimentare e dell’industria metalmeccanica; il settore della ristorazione e alberghiero; il settore
artigianale con professionalità quali il pasticcere, il falegname, il design di gioielli e di moda.
Interessante la sottolineatura relativa al fatto che molte attività professionali verrebbero valorizzate in Perù
poiché una professionalizzazione conseguita all’estero garantirebbe una migliore qualità del prodotto.
Altrettanto interessante la considerazione della carenza di contabili capaci.
Un altro ambito da sondare è quello del micro-credito e dell’attenzione a pensare anche ad attività realizzabili
nei barrios, per esempio l’organizzazione della raccolta rifiuti e del riciclaggio.
Il costo della vita in Perù
Le risposte indicano una necessità di guadagnare in uno spettro che va dai 200 ai 500 euro al mese.
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DOMANDE AREA DELLE BUONE PRASSI
DOMANDA 26
C.
D.
J.
DOMANDA 27
B.
D.
N.
DOMANDA 28
DOMANDA 29
K.
N.
DOMANDA 30
J.
Le risulta che suoi connazionali rimpatriati abbiano trovato la solidarietà della loro comunità ed abbiano
trovato un lavoro?
Quando sono ancora in Italia vengono aiutati dal consolato del Perù (danno soldi per i bisogni primari) e le Caritas
che sono in Italia (per mangiare e dormire). Però quando la persona arriva in Perù si deve arrangiare da sola. Il
Perù è pieno di queste persone, non solo rimpatriati ma anche quelli che sono lì e che non hanno lavoro né la
possibilità di mangiare. E' pieno.
Non c'è nessuno che le aiuta, non interessa.
Le persone che rimangono a lungo in Europa creano un po’ una frattura con il proprio paese e questo le porta a
diventare straniero in Europa e straniero nel suo paese. In questi casi la solidarietà ce l’hanno più qua, perché
organizzano il gruppo qua, là non hanno più un gruppo di riferimento: non penso che troverebbero nel loro paese
una grande solidarietà. Per migrazioni più brevi penso che i legami rimangano abbastanza forti e se tornasse
riceverebbero sostegno.
Esistono dei percorsi lavorativi costruiti ed offerti dalla sua comunità a suoi connazionali rimpatriati?
Non ne ho mai sentito parlare.
Credo di no.
Ci sono occasioni di orientamento ed inserimento lavorativo, ma sui rimpatriati non so. Sono rivolti alle donne o ai
giovani, quelli che abbandonano la scuola soprattutto. Noi a Lima ci occupiamo del tema del lavoro sul piano della
formazione professionale, le attività di orientamento e di inserimento lavorativo ci mettono a contatto con quelle
associazioni locali che svolgono un lavoro analogo. Sono soprattutto associazioni no profit, servizi non ne
conosco.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete mai aiutato ex-detenuti o rimpatriati a reinserirsi nel
mondo del lavoro del loro paese di origine?
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete incontrato tra i lavoratori o tra i funzionari, dello stato con
cui operate, degli ex-detenuti o dei rimpatriati dopo il fallimento di un progetto migratorio?
Noi abbiamo avuto alcuni incontri con extra comunitari che vivono qui e vogliono realizzare alcune iniziative nei
loro paesi, perché attraverso i contatti con i famigliari pensano di poter realizzare qualcosa nel loro paese.
Difficilmente loro dicono voglio realizzare un progetto per tornare là, in genere dicono voglio realizzare questo per
dare lavoro ad amici, famigliari ect.
Non abbiamo mai incontrato funzionari stranieri con un’esperienza migratoria, probabilmente queste persone
appartengono ad un ceto sociale che non è attratto dalla migrazione.
No
(Per i cooperanti o camere di commercio) Siete a conoscenza di buone prassi o di normative che
favoriscono il reinserimento di ex-detenuti o rimpatriati nel paese estero in cui operate? o nel vostro
paese di origine?
Rispetto al rientro assistito abbiamo partecipato ad alcuni tavoli di discussione sulla tematica per verificare la
possibilità di trasferire l'esperienza dei servizi di assistenza italiani nei paesi terzi. Sappiamo che i problemi sono
molti, che spesso i programmi non sono appropriati rispetto all'inserimento. Bisogna lavorare molto nei paesi terzi,
perché senza una preparazione di rete forte questi rientri cadono, durano poco. Se il progetto di rientro fallisce la
persona attiva un nuovo tentativo migratorio. Inoltre bisogna conoscere le realtà territoriali dove avverrà il rientro,
in modo da poter valutare se esse sono adeguate al rientrante.
I progetti che abbiamo sostenuto in Perù riguardavano: 1) il sostegno nel settore educativo della formazione
professionale o nel settore dell'acqua per il miglioramento della distribuzione dell'acqua, per esempio a
Villasalvador, che sono Pueblos Jovenes (che si trovano alla periferia di Lima). 2) lo sviluppo agricolo in zone
rurali.
Abbiamo avuto una unica esperienza di progetto di rientro di un gruppo di adulti con la comunità Eritrea. Questa
esperienza è stata fatta con lo IOM. Era un esperimento nostro e anche loro, nel senso che era un progetto di
rientro di gruppo, un gruppo di 12 persone. Né IOM né noi avevamo ancora fatto progetti di gruppo. E' stato fatto
in collaborazione con la comunità Eritrea in Italia. Rispetto a questa esperienza le buone pratiche individuate
sono: che ci sia una chiarezza del percorso, condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte
del gruppo o della persona obbiettivo. Che sia garantito un adeguato percorso formativo qui prima che la persona
rientri. Che là ci sia una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al credito alle persone
o al gruppo che rientra. Un'altra cosa che ha garantito la riuscita del nostro progetto è stato mantenere il legame
con noi (il progetto era l'inserimento lavorativo nel campo delle telecomunicazioni, cioè mettere in piedi un servizio
di video e ripresa per la televisione Eritrea e soggetti privati), quindi è stato fondamentale mantenere un legame
tra la scuola di cinema e televisione del comune di Milano e loro. Tale legame era fatto di rapporti telefonici e
scritti in modo che avessero garantito un supporto tecnico, se si spaccava una macchina o se era necessario un
40
K.
M.
pezzo di ricambio. E’ indispensabile prevedere di mantenere un legame nel tempo allentandolo poco alla volta. La
stessa IOM ha come regola di imporre un periodo di tempo fisso prima che i mezzi di produzione passino di
proprietà, tutte le telecamere per un x numero di anni sono rimaste di proprietà dell'IOM, solo in seguito è
avvenuto il passaggio di proprietà.
Noi puntiamo molto sul discorso della sostenibilità dei progetti, ovverosia che il progetto una volta concluso possa
continuare senza il nostro coinvolgimento. Per questo diamo molta importanza al coinvolgimento nel progetto di
soggetti locali e al fatto che nel progetto venga utilizzato anche del personale locale, che possa essere formato e
che poi a sua volta possa formare. E’ importante anche il trasferimento di know how e di competenze e
conoscenze da parte del soggetto italiano che realizza il progetto in collaborazione con la controparte locale.
Teniamo molto a precisare il ruolo della controparte, che deve ricoprire un ruolo attivo. Quindi il trasferimento, la
conoscenza, con un coinvolgimento attivo in modo che il progetto possa proseguire anche senza il soggetto
italiano. Un altro elemento è uno studio, una valutazione a monte, delle opportunità che il territorio offre a livello
locale. Per esempio ci sono dei progetti che si basano sulla medicina tradizionale, oppure che prevedono
l’impiego di tecniche migliori per coltivazioni già presenti. Questa analisi di fattibilità iniziale è fondamentale per
poter capire quali sono le opportunità che il territorio offre.
In alcuni ambiti particolari, come quello sanitario, un contributo da parte dei soggetti europei è importante, se non
fondamentale. Noi facciamo dei gemellaggi, per esempio tra ospedali lombardi e ospedali di paesi terzi. Quello
che viene fatto in questi progetti è proprio il trasferimento di know how da personale sanitario europeo a personale
dei paesi terzi. Proprio perché su alcuni ambiti gli europei hanno un livello di conoscenza superiore. Alcune volte è
capitato anche che i medici italiani non avessero conoscenza tecnica superiore, ma il bisogno degli ospedali dei
paesi terzi era rispetto agli aspetti organizzativi. Spesso nei paesi terzi non c’è l’idea di come si faccia
l’organizzazione di un ospedale, quindi il nostro affiancamento è importante in questo senso. A volte hanno i
mezzi ma non li sanno utilizzare al meglio, perciò l’affiancamento li aiuta in questo. Anche la forma di micro
impresa rivolta alle donne viene realizzata con una forma di affiancamento per l’organizzazione della micro
impresa, poi loro sono capaci. Per esempio io ho partecipato ad un convegno sulle donne africane e la cosa che
mi ha stupita è stata che loro hanno chiesto di non mandare soldi ma risorse che le aiutassero a capire come
organizzarsi, perché per il resto ci potevano pensare loro. E’ proprio un discorso di organizzazione delle varie
attività in tutti i settori. La metodologia che riteniamo più funzionale è di prevedere una prima parte di progetto con
un contributo consistente delle organizzazioni europee, poi una fase di affiancamento che mantenga un legame
che progressivamente diminuisce fino a che la realtà del paese terzo diventa autonoma. Perché non bisogna
pensare di abbandonarli immediatamente. Ci vuole un coinvolgimento loro, quando il progetto nasce deve essere
progettato insieme (europei e paesi terzi), perché deve essere sentito, solo in questo modo sarà un progetto di
successo, perché loro hanno partecipato alla creazione, in base alle loro esigenze. Anche i rappresentanti delle
nostre associazioni, che conoscono le realtà locali e che vivono là da anni, non possono avere le esigenze che ha
la persona che è nata in quel posto e che vive quella realtà, con una cultura diversa dalla nostra. Quindi il progetto
deve essere condiviso. E’ necessario fin dalla progettazione coinvolgere le realtà locali dei paesi terzi, di chi poi
avrà la gestione del progetto. In genere i progetti nascono sulla base di esigenze che sono locali. Per esempio nei
progetti sanitari di gemellaggio, essi vengono fatti con i nostri ospedali, ma la componente maggiormente
coinvolta non è quella dei medici bensì quella degli infermieri, perché c’è proprio bisogna di puntare l’intervento ad
un livello organizzativo, è l’organizzazione dell’ospedale che manca. Nel caso del vostro progetto si tratta di un
capovolgimento della logica che abbiamo esposto, perché l’esigenza parte da noi e dobbiamo farla capire a loro e
coinvolgerli. Il problema è che avrete relazioni con paesi che non sono molto sensibili alle esigenze degli altri.
Un progetto come il vostro di reinserimento lavorativo è bene che si basi sul ruolo che le donne hanno in queste
culture.
La cooperazione italiana ha affidato al Cesvi la stesura di uno strategy paper su migrazione e sviluppo. Si tratta di
una cosa che sta sempre più interessando la platea internazionale, a livello di commissione europea è già stata
istituita una commissione su questa tematica. L’Italia la sta definendo. La strategy paper serve a collegare il
discorso migratorio al discorso dello sviluppo nei suoi vari aspetti, perché per ora si parla solo di rimesse, ma la
tematica non è stata ancora affrontata in maniera precisa e analitica, per cui ci sono diverse visioni. Entro fine
anno si dovrebbe arrivare ad un documento condiviso. E’ un argomento che è su tutti i tavoli. Ci accorgiamo che
tanti organismi stanno occupandosi di questo problema.
Per realizzare un progetto bisogna tenere conto delle caratteristiche dei barrios: ciascun barrios è isolato dall'altro,
spesso delimitato da strade, ma all'interno c'è un'eterogeneità culturale enorme. C'è gente che magari non riesce
a comunicare perché parla dialetti diversi. La conseguenza di ciò è l'importanza di fare progetti piccoli, a livello di
singolo barrio, e di fare partecipare quasi obbligatoriamente le persone. Per esempio se si realizza un comedor
(mensa), si apre una porta. Le donne manderebbero i figli perché lì mangerebbero, loro non dovrebbero
occuparsene per qualche ora. In questo modo apri le porte, rompi le barriere, le persone arriverebbero da più
parti, si incontrerebbero e potrebbero iniziare a parlare tra loro.
Situazione e progetto realizzato.
Posso raccontare la mia esperienza. Per fare qualcosa che avesse senso abbiamo pensato a quali fossero i
bisogni, il primo bisogno che abbiamo visto era un bisogno di educazione e un bisogno di far lavorare le mamme.
Perché il nucleo famigliare è completamente disgregato dal fatto che quando una persona ha una disoccupazione
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così cronica, che per loro è quasi genetica, hanno una consapevolezza di questo disagio talmente profonda che
non dico che lo giustifichino ma lo danno per scontato. Nel momento in cui una persona nasce povero e
disoccupato, con padre povero e disoccupato, nonno povero e disoccupato, si dà per scontato che avrà un figlio
povero e disoccupato, un nipote povero e disoccupato e così via. Io personalmente all'inizio avevo grosse
difficoltà a giustificare l'atteggiamento che vedevo, per cui sembra che il tipico marito e padre peruviano è uno che
appena ha due soldi, perché è stato fortunato ed è riuscito a lavorare 3 giorni dopo 3 mesi che stava a casa, ha
guadagnato 10, 5 se li beve, 4 se li gioca, quello che avanza (se proprio è talmente ubriaco che non riesce a
trovarseli in tasca) li trova la moglie e li usa per la famiglia. Questa cosa è difficile da giustificare quando arrivi da
fuori e hai troppo poco tempo per capirla. Pian piano, parlandone anche con persone che erano lì da molto più
tempo, si mette a fuoco che per loro è una cosa talmente endemica che anche se portassero a casa 10 per loro e
per le generazioni future quei 10 non servirebbero, perché comunque tutti non avrebbero mai la possibilità di
uscirne. E' come se uno sa che quella è la sua condizione e basta, non c'è niente da fare, è sempre stato così e
sarà sempre così. Perciò non si vede perché sia necessario alzarsi alle 7 della mattina, invece che alle 10, per
andare a cercare una lavoro in tutta Lima, quando si sa che non lo si troverà.
Le donne sono più responsabili, forse perché i figli hanno una dipendenza fisica da loro, così la madre sviluppa
una senso di responsabilità diverso da quello del padre. C'è anche forse un problema di dignità, l’uomo dovrebbe
sostenere la sua famiglia, ma non ha prospettive per farlo, questa situazione mina la base, la dignità di una
persona, quindi è anche per questo che si riducono in stati quasi ingiustificabili.
Il problema è che le donne con figli piccoli non riescono a lavorare perché non sanno dove lasciare i bambini.
Noi abbiamo pensato ad un progetto piccolo per dare modo alle donne di trovarsi insieme, in un posto dove
possono portare i bambini e contemporaneamente lavorare. Abbiamo pensato ad un laboratorio di taglio e cucito,
con affianco una saletta in cui potevano lasciare i bambini, quelli piccoli se li tenevano vicini, quelli in età
prescolare erano seguiti da una volontaria che li aiutava a fare un po' di giochi, quelli più grandicelli invece di
andare in giro stavano lì e qualcuno li aiutava nei compiti.
Siamo riusciti a costruire i locali, con anche una biblioteca. Una volta che si è messo tutto in moto, tramite
volontari e raccolta fondi, quel progetto sta in piedi da solo e lo gestiscono da lì perfettamente.
Il laboratorio produce. Inizialmente è stato utilizzato per fare un corso di taglio e cucito, con una signora del luogo
esperta che aveva una vecchia macchina da cucire. Il primo gruppo è stato di 6 o 7 donne, hanno fatto il corso e
al termine del corso sono rimaste collegate a quei locali producevano guanti, sciarpe. Gli oggetti venivano venduti
attraverso il collegamento con il turismo responsabile. Le cose si sono allargate perché tramite il turismo
responsabile qualcuno gli ha fatto fare, per esempio, le bomboniere. Progetti molto piccoli che però, in quella
realtà, hanno consentito a questo locale di raccogliere gente, accogliere altre donne, fare altri corsi, ampliarsi un
po', farsi conoscere con altre persone, all'inizio turisti come me, che quando sono tornati in Italia si sono sentiti
responsabilizzati nel fare qualcosa.
Una volta avviato questo progetto, abbiamo pensato di realizzarne un altro: un presidio medico. Anche
quest'ultimo è in uno stato abbastanza avanzato, lo stiamo facendo in collaborazione con il COOPE.
A questo punto si tratta di vedere altri bisogni.
Il bisogno di educazione prescolare e scolare è fortissimo, perché c'è un abbandono scolastico enorme. Mi ero
fatto l'idea che l'abbandono fosse dovuto sostanzialmente alle condizioni precarie della famiglia dal punto di vista
economico (i bambini di 6 anni lavorano). Approfondendo l'argomento ci si rende conto che la battaglia non è di
cercare di non far lavorare i bambini (se i bambini non lavorano, non mangiano), semmai bisogna trovare un
modo per farli lavorare in condizioni degne, senza sfruttamento e riuscire ad affiancare un progetto per dargli la
possibilità di studiare. Altrimenti entrano in un circolo vizioso: è vero che si ha bisogno di lavorare per mangiare,
però se questo impedisce di studiare, ciò comporta che la persona rimarrà in quello strato sociale lì (perché non
potrà fare un lavoro che consenta di uscirne), verosimilmente nella futura famiglia che si creerà si riprodurrà lo
stesso circolo vizioso, e in questo modo non si riesce a sradicare il problema. Già solo con il nostro progetto
l'abbandono scolastico si è drasticamente ridotto in quel quartiere (quasi dell'80%) e sono molto interessanti i
motivi per cui si è ridotto: la possibilità di avere un tavolo su cui scrivere, una sedia, di avere la luce. Questa
esperienza fa capire meglio quali sono i problemi: la questione non è il fatto che uno non ha la possibilità di
essere formato, anche il personale locale è competente, ma mancano le condizioni materiali.
La popolazione infantile è esorbitante ed inoltre le strutture scolastiche sono limitate, allora la scuola è
organizzata in turni, c'è il turno della mattina, del pomeriggio e della sera. In questo modo i bambini vanno a
scuola e lavorano in orari diversi della stessa giornata.
Per quanto riguarda la salute il problema principale è connesso alla malnutrizione, ci sono bambini malnutriti
cronici, le patologie sono anemie, problemi agli occhi, infezioni intestinali. Il servizio sanitario nazionale è
completamente privato, per farsi fare una visita bisogna presentarsi con la garza, i guanti, le siringhe ect.
altrimenti non si viene visitati.
Il grosso problema che c'è, è quello lavorativo. Secondo me c'è la possibilità di aprire cooperative per sviluppare
occupazione, pensando a piccoli progetti: per esempio creare una cooperativa di raccolta e riciclo plastica. Con
una persona che fa il giro delle case del suo barrios e raccoglie la plastica, questa plastica si può riciclare, anche
inviandola in Italia (abbiamo già preso contatti con una azienda italiana che sarebbe interessata). Intorno ad
un'attività di questo tipo si potrebbe collegare un'attività complementare per cui a chi fornisce la plastica si dà un
42
N.
P.
DOMANDA 31
N.
buono per il comedor (la mensa popolare) o un buono per visite sanitarie. In questo modo le famiglie del quartiere
si sentirebbero parte del progetto, le famiglie sarebbero responsabilizzate rispetto a questa attività e si creerebbe
un tessuto sociale che invece in quei posti è difficile da creare.
No
Gli esperimenti che come Mani Tese sono stati fatti sono stati tentativi dall'interno, nel senso che Mani Tese ha
una grossa base associativa, con un sacco di volontari sparsi per l'Italia e in molti dei gruppi di Mani Tese ci sono
anche degli extracomunitari che partecipano alle attività di volontariato. In particolare in alcuni gruppi ci sono delle
comunità straniere che partecipano molto, per esempio il gruppo di Firenze ha un certo numero di volontari
stranieri.
L'esperienza che abbiamo avuto riguarda attività generatrici di reddito, per esempio la creazione di una
produzione avicola in Benin, che sarebbe stata gestita da un'associazione locale che avrebbe coinvolto la
comunità di un villaggio. Il villaggio avrebbe gestito l'attività produttiva per svilupparla.
Il progetto sarebbe stato attivato, seguito e promosso da alcune di queste persone che rientrano dall'Italia.
Segnalo due grandi problemi. La cosa è stata fatta perché Mani Tese ha ritenuto che andasse sperimentata sia
come tipologia di aiuto alla cooperazione sia come un'azione di cooperazione partecipata promossa dalla nostra
esperienza qui e dai rapporti tra i nostri soci volontari. Le persone coinvolte nel progetto tornano in Benin, prima
debolezza grossissima è che questa associazione locale esiste e non esiste, nel senso che poi alla fine si basa
sulle persone che sono rientrate e sulla loro sfera famigliare. Il fatto che tutto si svolga a partire da rapporti
parentali crea qualche problema, perché gestire e monitorare in loco un progetto che viene gestito da una famiglia
è molto più difficile che gestire un progetto gestito da una comunità in cui la gente si protegge a vicenda, invece
nel caso della famiglia essa fa l'interesse della famiglia. Secondo problema: le persone che sono rientrate, nel
nostro caso, hanno assunto l’atteggiamento degli “americani”. Cioè camminano a due metri da terra, mostrano di
aver svoltato e di aver risolto la vita a sé e a tutta la famiglia, mostrano di aver fatto un'esperienza assolutamente
inimmaginabile e si tengono distaccati culturalmente, si sentono elevati culturalmente. Quindi assumono il ruolo di
capi della faccenda. In più tornano con una valigetta, un tot di soldi per promuovere un’attività e far lavorare tutti
quanti. Quindi dal punto di vista culturale la cosa non funziona, cioè toglie tutta quella neutralità che invece ha il
sostegno ad una comunità con la quale non c'è nessuna relazione. Perché invece qui si va sulle conoscenze.
Altri problemi: non è stabile il fatto che queste persone se ne stiano lì, perché c'è chi dopo sei mesi gli viene il
prurito per cui lì non vuole più vivere e gli viene la nostalgia dell'Italia, e così o tornano in Italia oppure vanno e
vengono, perché magari si inventano un import - export, oppure prendono e vanno da un'altra parte perché lo
hanno fatto una volta, è andata bene e lo possono rifare. Si questa modalità ha incidenza il fatto che quelle sono
persone che hanno già fatto una scelta, il fatto di essere andati via da un villaggio rurale non è una scelta da
niente, è una cosa che comporta pensiero, organizzazione, capacità comunicativa, è una cosa abbastanza
importante. Quindi in qualche maniera è gente che non è detto che sia stabile lì, una volta tornata non è detto che
ci stia, soprattutto se hanno fatto esperienze forti, importanti. Si tratta di persone che hanno fatto un passo avanti
culturale perciò tornando indietro si rendono conto dei limiti della cultura e della famiglia, per esempio rispetto a
come si organizzano i matrimoni, rispetto a come è strutturata la società in una zona rurale, e quindi culturalmente
c'è un distacco. In base a ciò o la cosa va estremamente bene da un punto di vista economico oppure vanno,
mettono su questa produzione, ci mettono tre o quattro persone che ci lavorano dentro, cioè fanno i responsabili
di questa cosa, però senza in realtà arrivare a grandi risultati.
Nel nostro caso i due progetti dal punto di vista della riuscita sono tutti e due andati male, nel senso non hanno
ottenuto il risultato atteso né economicamente né culturalmente. Perché queste persone se ne sono tornate
indietro, quello che è rimasto sul terreno è poco o niente, dove c'è qualcosa non ha niente di comunitario ma è
assolutamente un'attività della famiglia. I nostri obiettivi non sono di far crescere piccoli imprenditori locali,
abbiamo come obiettivo quello di sviluppare comunità, quindi per noi i due progetti realizzati non rappresentano
un successo. Magari chi ha un obbiettivo sull'individuo, può considerare un successo il fatto che quell'individuo si
sistemi.
Inoltre nelle nostre esperienze le associazione locali esistono solo a condizione che ci sia la presenza di chi
rientra, senza di loro non esistono. Quando sono stati giù a lavorare su questi progetti in realtà erano i padroni
assoluti, nel senso che se io torno in Benin con una valigetta per fare un pollaio tu mai mi potrai dire "secondo me
è meglio che lo facciamo così", i soldi li ho portati io perché sono andato in Italia, perché ho conosciuto certa
gente, perché questa gente ha avuto fiducia di me e mi ha dato i soldi, quindi taci e il pollaio si fa come dico io.
Mentre in una situazione normale di un nostro progetto ci sarebbe stato un comitato locale di gestione di questo
pollaio e tutti avrebbero avuto la stessa possibilità di dire la loro opinione, con un equilibrio di posizioni. In questo
caso c'è questa figura nuova che vale anche di più del capo villaggio perché alla fine è quello che sbaraglia tutto.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete subito reati nel paese in cui avete operato? Quali reati? Li
avete denunciati? Vedevate compiere reati e di che tipo?
No
43
DOMANDA 32
J.
K.
M.
N.
O.
P.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Pensa che per proporre degli inserimenti lavorativi di rimpatriati
ci si possa affidare alle strutture di assistenza presenti nella nazione in cui opera, o ritiene che si possano
raggiungere migliori risultati cercando l’aiuto di organizzazioni non governative di stati esteri?
E' necessario coinvolgere il governo, almeno il governo locale ma anche le ONG presenti sul territorio. Bisogna
avere una conoscenza buona delle ONG, perché succede che in questi paesi alcune ONG siano fasulle, bisogna
prevedere anche la presenza di un espatriato che segua il progetto, perché basarlo solo su ONG locali è quanto
mai pericoloso. Rispetto alle ONG locali è bene chiedere alle ONG italiane, perché di solito hanno rapporti con
partner locali e quindi si può partire con un loro appoggio.
E’ funzionale soprattutto lavorare con le associazioni perché riescono ad allacciare i rapporti con le municipalità,
quindi col territorio, perchè le associazioni hanno la conoscenza del territorio. Ci deve essere anche una cornice
politica, che favorirebbe progetti tipo il vostro, altrimenti il rischio è di iniziare un progetto che poi a livello di
municipalità viene interpretato come qualcosa di imposto da un altro paese, e questo non è funzionale. E’ logico
che i tempi della burocrazia sono diversi dai tempi delle associazioni, che operano molto rapidamente, mentre
trovare gli accordi a livello politico è molto più lungo e complicato. Se c’è un accordo governativo è più facile per
gli operatori portare avanti un certo tipo di progetto. Noi chiediamo che il progetto non sia calato dall’altro, ma
chiediamo delle lettere di intesa e di partecipazione e collaborazione, con il coinvolgimento di associazioni sul
territorio e della municipalità. Solo così può funzionare un progetto. A monte, visto il problema di cui vi occupate,
se non c’è l’accordo col governo e con l’istituzione non credo il vostro progetto possa avere le gambe per
camminare.
Come cooperazione internazionale finanziamo progetti in tutti i settori. L’obiettivo del progetto deve favorire l’autosviluppo locale e ci deve essere una sinergia con le strategie locali, nel senso che deve comunque essere in
appoggio delle municipalità o delle regioni. Ci deve essere una omogeneità con la strategia locale di sviluppo del
paese e dell’area dove si va ad operare. I progetti vengono presentati da ONG e associazioni che hanno come
attività prioritaria la cooperazione allo sviluppo. Gli ambito sono i più diversi: formazione professionale, sanità,
agricoltura, cultura.
Il reinserimento socio-lavorativo di persone con un percorso migratorio fallito può essere contemplato tra i progetti
che finanziamo, ma deve essere concordato con le autorità locali. Le nostre ONG conoscono il territorio,
collaborano con le municipalità e le associazioni locali. Per rendere operativo il vostro progetto è necessario
creare degli accordi con le municipalità, i governi, fin dall’inizio del progetto.
Non so se esistono ONG che si occupino di emigrati rimpatriati. Almeno a Tablada no. Le ONG si occupano di
progetti educativi, creano comedor (che è fondamentale), c'è un progetto che è una specie di polisportiva che
contatta i ragazzini un po' più grandi (dai 10 anni), ai quali interessa meno mangiare e l'aiuto a fare i compiti,
mentre la squadra di pallacanestro, calcetto ect. Vengono usate per renderlo interessante. Viene preso il gioco
come scusa educativa e in questo modo riesci a capire le storie dei ragazzi raggiungendoli attraverso l'interesse
per il gioco e la divisa, che è il top dello specchietto. Ci sono i campionati tra i vari barrios. E' un modo anche per
tenere collegati ai progetti i giovani del posto.
Il passaggio attraverso le ONG è indispensabile. Senza escludere il contatto con le istituzioni e quello col territorio
(associazioni). Non conosco lavori di successo realizzati tramite il contatto istituzionale. Questo perché le ong
sono radicate nel territorio, più dei comuni e delle istituzioni. Le istituzioni svolgono i loro compiti in maniera
burocratica, inoltre se lavori con le istituzioni non puoi tenere le cose sotto controllo. Le ONG mostrano maggiore
interesse. Meglio rivolgersi ad ONG stabili e monotematiche, in questo modo si può condividere gli interessi ed
attuare uno scambio reciproco su metodi, tematiche e loro approfondimenti. Bisogna evitare quelle realtà o
organizzazioni che hanno un complesso di inferiorità perché risulta essere un impedimento al lavoro.
A livello internazionale conosco l’esperienza del P.R.I. (Penal Reform International), una delle istituzioni più serie
che lavora sulla riduzione delle misure di carcerazione, e potrebbe avere qualche conoscenza del tema di cui mi
hai chiesto (www.penalreform.org). Hanno una presenza regionale in America Latina, e poco fa sono venuti in
Perù per sostenere qualche progetto. A livello governativo, sarebbe interessante visionare il sito web della INPE
(Istituto Penitenziario del Perù. http://www.inpe.gob.pe/contenidos.php?id=226&np=32&direccion=1), dove potete
trovare qualche informazione sull’azione post penitenziaria. Anche se, a occhio, credo di poter dire che questo è
un settore particolarmente debole dell’INPE (anche analizzando il dato molto elevato relativo alla ripetizione del
reato da parte di ex detenuti). Considero comunque che l’INPE sia un punto di riferimento importante nel caso si
voglia avviare un lavoro di reinserimento in Perù di peruviani che hanno scontato la loro pena in Italia.
La cooperazione internazionale non finanzia attività ad individui e non supporta attività per individui, supporta
invece attività per comunità e per gruppi, per associazioni, gruppi di produttori, gruppi di villaggio.
Nella vostra idea progettuale l'azione è basata sull'individuo, quello che interessa è che l'individuo torni indietro, e
quindi tutto si gioca sulla persona non sulla comunità.
Il lavoro che dovrete fare voi è verificare cosa esiste e dove, e verificare se le persone disponibili a rientrare sono
persone che possono entrare in quella realtà. Mi riferisco alle centinaia di progetti magari di formazione fatti anche
dalle realtà non governative che hanno come beneficiari i locali e che potrebbero accogliere situazioni particolari.
Questo potrebbe darvi l'occasione di collaborare con realtà che sul territorio già funzionano. Dei casi di
abbinamento ci potranno certo essere.
44
Sarebbe importante capire se c'è già un network capillare da cui si potrebbe partire. Le cose più capillari sono
quelle organizzate dai religiosi. Dovete studiare quei paesi per vedere quali realtà ci sono. E poi bisogna fare una
verifica in luogo, per trovare la disponibilità di una serie di centri ad accogliere dei nuovi beneficiari.
Una questione importante da prevedere è chi fa il monitoraggio sul posto, bisogna garantirsi che la cosa sia
seguita.
Bisogna fare uno studio su quali sono le realtà recettive, i potenziali recettori di queste persone nei loro paesi
(imprese, servizi sociali locali, ONG, missionari). Secondo me una cosa del genere costringe a lavorare ad hoc.
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COMMENTI ALLE DOMANDE SULLE BUONE PRASSI - PERÙ
Non ci sono esperienze realizzate di progetti di rientro onorevole in Perù per persone ex detenute.
Rispetto all’esperienza di rientro di alcuni cittadini eritrei (unica esperienza di cui si ha notizia) le buone prassi
individuate riguardano:
• chiarezza del percorso
• condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte del gruppo o della persona
obbiettivo
• adeguato percorso formativo prima del rientro
• presenza nel paese terzo di una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al
credito alle persone o al gruppo che rientra
• prevedere un periodo in cui mantenere i legami anche a distanza, in modo da garantire un supporto anche
tecnico. Il legame va mantenuto nel tempo e allentato poco alla volta.
Rispetto ai progetti di cooperazione internazionale realizzati le buone prassi individuate riguardano:
• coinvolgimento del governo, almeno a livello locale
• coinvolgimento delle ONG presenti sul territorio, previo un preliminare monitoraggio per verificarne
l’affidabilità
• prevedere la presenza di almeno un cooperante che segua il progetto in loco
• creare progetti sulla base di un’analisi di fattibilità
• coinvolgere le realtà dei paesi terzi nella fase di progettazione
• creare progetti che prevedano la sostenibilità, ovvero che il progetto una volta concluso possa continuare
senza il coinvolgimento della cooperazione internazionale
• prevedere l’impiego di personale locale nel progetto, in modo da garantire il trasferimento di know how e di
competenze e conoscenze
• indispensabilità di un ruolo attivo del partenariato del paese terzo
Viene sottolineato l’importanza del ruolo delle donne per la buona riuscita dei progetti, sia per l’accoglienza in
loco, sia se sono esse stesse oggetto di rientro assistito, essendo esse più affidabili degli uomini per ragioni
culturali legate al ruolo all’interno della famiglia e alla funzione di accudimento dei figli.
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INTERVISTE
LA TUNISIA
Interviste realizzate con:
FONTE: gruppo di controllo
A.
B.
C.
D.
Dottoranda Università
Dottoranda Università
Rappresentante associazione “Tribunale degli immigrati”
Responsabile Associazione Tunisini di Milano
FONTE: detenuti
E. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate
F. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate
FONTE: istituzionale
I.
J.
K.
L.
Croce Rossa Italiana
Cooperazione decentrata Comune di Milano
Cooperazione internazionale Regione Lombardia
Ufficio stranieri Polizia di Stato
FONTE: cooperazione internazionale
M. Docente universitaria con esperienza di cooperazione internazionale
P. Mani Tese
Q. Caritas Ambrosiana
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DOMANDE SULL’AREA LEGALE
DOMANDA 1
A.
C.
D.
L.
M.
Q.
DOMANDA 2
A.
C.
D.
Esiste una normativa di accordo tra lo Stato italiano e la sua nazione che regola il rientro forzato?
Se si, spiegare le regole degli accordi.
Immagino che ci sia però non so niente di preciso. So che ci sono degli accordi bilaterali, quelli per impedire
l'immigrazione clandestina, ma non so se c'è qualcosa o meno rispetto ai rimpatri forzati
Esistono degli accordi bilaterali tra Tunisia ed Italia già vecchi di tre anni per quanto riguarda il rimpatrio di
clandestini. Il primo accordo è stato fatto a fine ’98, in quanto nell’estate del ’98 si è verificato il fenomeno delle
barche (ne arrivavano anche 3000 al mese), sbarcavano a Lampedusa. In quel momento è stato siglato il primo
accordo tra Italia e Tunisia in cambio di aiuti strutturali alla polizia, alla dogana tunisina, per combattere
l’immigrazione clandestina. In questi accordi è previsto che nel momento in cui la persona clandestina viene
identificata come tunisina, la Tunisia non può non accettarla. Mentre prima una persona senza passaporto non
veniva accettata nel paese. Invece adesso quando la persona viene identificata come tunisina, lo stato tunisino ha
l’obbligo di riaccoglierlo.
Tutti i paesi che hanno firmato gli accordi bilaterali vengono premiati dall’Italia nei decreti flussi, nel senso che
viene destinato a quei paesi un numero x di posti per persone provenienti da quei paesi.
La Tunisia è uno dei paesi che ha firmato l’accordo con l’Italia secondo cui la Tunisia è tenuta a riconoscere i suoi
cittadini, perciò le persone che vengono espulse passano dal consolato e lì gli viene fatto un documento per
l’espatrio.
Non lo so perché dipendono dal ministero degli esteri, certamente è più semplice con l’Albania dove abbiamo
forze di polizia nostre per la formazione e l'istruzione, c'è una collaborazione massima con la Romania, c'è stato
con la Bulgaria e non potrebbe essere altrimenti per chi fa istanza di entrare in Europa.
Direi di sì, non la conosco nello specifico.
Esistono degli accordi di riammissione con la Tunisia, si tratta di accordi di collaborazione tra Italia e il paese di
provenienza più che di rientro forzato. Nel senso che il cittadino straniero, che viene trovato sul territorio italiano
senza permesso di soggiorno oppure che ha commesso un reato e si trova in carcere o che ha commesso un
reato che non consente poi il rinnovo o l'ottenimento del permesso di soggiorno, ovviamente dovrà essere
espulso. Viene quindi portato nel CPT e le autorità di pubblica sicurezza italiane hanno la possibilità di prendere i
contatti con le autorità diplomatiche del paese di appartenenza della persona, affinché la persona venga
identificata e gli venga rilasciato il documento di viaggio fondamentale per poter far rientrare la persona nel paese
di origine. Se non esistono questi accordi di riammissione ovviamente è più difficile l'identificazione, perché non
c'è la collaborazione da parte dei consolati, e quindi risulta vano il trattenimento di identificazione durante la
permanenza nei CPT. Nel caso in cui la persona da rimpatriare non venga accompagnata in frontiera, essa, una
volta scaduti i 60 giorni (tempo massimo di trattenimento), si ritrova sul territorio italiano con un invito, un obbligo,
di lasciare l'Italia entro 5 giorni, che ovviamente non viene ottemperato.
In cambio di questa collaborazione l'Italia prevede delle quote privilegiate di ingresso di cittadini stranieri
provenienti da quei paesi con cui l'Italia ha sottoscritto questi accordi, all’interno della pubblicazione annuale del
decreto flussi.
Per i cittadini di paesi che non hanno sottoscritto accordi con l'Italia, quando essi si trovano nei centri di
permanenza temporanea, le autorità di pubblica sicurezza chiedono al consolato, al presumibile consolato di
competenza, la collaborazione. Ci sono consolati che non intendono collaborare con l'Italia perché non ci sono
questi accordi, altri consolati che invece, a seconda del periodo storico, collaborano nonostante non ci siano
accordi.
Come la sua nazione accoglie i soggetti rimpatriati? Spiegare, se esistono, le normative che definiscono
delle condotte a cui i rimpatriati devono adempiere o le prassi consolidate a cui si attengono.
Si sa pochissimo di queste cose. Sicuramente verrà accompagnato in una casa di detenzione e poi non so. Di
queste cose non si parla nei telegiornali né nei giornali scritti, si può sentire qualcosa nei media esteri ma non nei
media nazionali.
La persona rimpatriata viene punita in base alla normativa che regola il fatto che la persona è uscita dal territorio
tunisino in modo clandestino. La persona viene punita con un pena minima di un mese di carcere. Perciò tutte
queste persone che vengono rispedite in Tunisia sicuramente passano dal carcere. La normativa viene applicata.
Non c’è una via d’uscita alternativa, la persona viene arrestata, addirittura adesso hanno reso più severa la pena,
che arriva anche a 6 mesi. Questa normativa è della Tunisia, non esiste né in Marocco né in Egitto. Solo la
Tunisia punisce i suoi cittadini se escono dal territorio nazionale in modo irregolare. Addirittura la polizia nella
dogana tunisina, al momento dell’uscita dei cittadini tunisini alla frontiera, controlla se hanno o meno i documenti
di soggiorno dello stato in cui si stanno recando (Italia, Francia, ect), cioè fanno un lavori al posto degli organi di
controllo degli stati di destinazione delle persone.
Non è un piacere perché la Tunisia punta molto a fare una bella figura all’estero. Al rientro le persone hanno un
48
I.
L.
Q.
po’ di problemi con la polizia perché la polizia deve sapere cosa è successo, per quali motivi sono stati espulsi,
per questione di sicurezza vengono interrogati. Sono liberi, ma hanno un invito per presentarsi al Ministero degli
Interni o alla polizia della regione dove abitano.
Non so. Per le persone che vengono rimpatriate e hanno già delle pendenze so che vengono accolte nella loro
nazione direttamente dalla polizia locale.
Le notizie che ho vengono da parte degli stranieri stessi ed in particolar modo per quanto riguarda la Tunisia,
informazioni che riguardano il regime carcerario che è considerato più duro di quello italiano. La persone che deve
essere rimpatriata e che sa che lo aspetta il carcere in Tunisia ha paura, preferirebbero scontare la pena in Italia.
Procedure che riguardano lo straniero che esce dal carcere per fine pena o per applicazione della pena
sostitutiva: l'intervento della Questura si concretizza essenzialmente o nell'espulsione (è il Prefetto che espelle, il
Questore si limita ad eseguire il decreto del Prefetto nelle tre forme previste: accompagnamento alla frontiera
immediato, trattenimento nel CPT, oppure ordine di lasciare il paese in 5 giorni). Per quelli che escono dal
carcere, essendo persone che commettono reati, c'è sempre trattenimento al CPT, perché comporterebbe
problemi rispetto al controllo sociale consegnare l'invito a una persona appena uscita dal carcere che potrebbe,
per qualsiasi motivo, il giorno dopo commette un nuovo reato. Quindi preferiamo trattenerli al centro in modo da
essere sicuri di poterli accompagnare fisicamente alla frontiera. Nel caso in cui non hanno documenti, dopo 60
giorni, come spesso avviene, vengono muniti dell'ordine del Questore di lasciare il paese entro 5 giorni e lasciati
liberi. Non sono chiuse le vie al rilascio del permesso di soggiorno per gli stranieri che hanno subito una
condanna, questo accade sempre quando sono coniugi di cittadini italiani o genitori di cittadini italiani, che
acquistano lo status di inespellibili. In questi casi richiediamo la convivenza, si chiama il coniuge richiedendo
l’autocertificazione della convivenza e alla persona straniera verrà dato un permesso per famiglia, che potrà
essere convertito in lavoro.
Art 16 della legge Bossi Fini prevede che si possa presentare istanza al giudice per ottenere di sostituire il carcere
con il rientro nel paese d'origine quando la pena è sotto i 3 anni. Viene chiamato provvedimento deflattivo per
sfoltire le carceri. Una volta che viene concessa l’applicazione dell'art.16, tale situazione viene trasmessa in
Questura e la persona verrà accompagnata nel paese d’origine nel tempo necessario a trovare il biglietto per il
rimpatrio. L'accompagnamento al paese d'origine è obbligatorio, non è come l'espulso normale, perciò se non c'è
il passaporto non si può richiedere la pena alternativa. La richiesta può venire da chi ha un'identità certa o dai
paesi i cui consolati sono disposti a riconoscere l'identità dei loro cittadini. Una volta arrivati nella loro nazione
sono liberi.
I reati ostativi al permanere nell'area Shenghen sono il 380 e 381, quelli che prevedono l'arresto obbligatorio in
fragranza e l'arresto facoltativo, in più i reati sessuali, pedofilia, immigrazione clandestina, sfruttamento della
prostituzione.
Se una persona espulsa vuole rientrare ha la possibilità di richiedere il nulla osta speciale al rientro, la sanatoria
non lo può aiutare perché, anche se cambia nome, ha depositato le impronte e viene subito individuato. Questo
per voi significa che potete fare rientri onorevoli, offrire un'occasione nel paese d'origine, e se la persona non ce la
fa a rimanere nel paese d'origine, piuttosto che rientrare clandestinamente (che non gli conviene perché ormai
con le impronte non si sfugge più), appena maturano i termini potete farvi carico del deposito dell’istanza presso
l'ambasciata. Dopo di che sulla legge sull'immigrazione non si può mai dare niente per scontato, perché è una
legge modernissima, più volte modificata, plasmata da sentenze del TAR, della Corte di Cassazione e dei giudici
ordinari, perciò non si può escludere nessun tipo di ulteriore modifica.
Per sostenere le spese di rimpatrio c'è un capitolo in Prefettura. Per le espulsioni con l'art. 16 il biglietto viene
automaticamente pagato. Se una persona è detenuta e vuole rientrare nel suo paese d’origine (alle condizioni di
cui sopra) ha il diritto al rientro pagato.
Quello che succede è sostanzialmente che il consolato identifica la persona e deve rilasciargli un documento di
viaggio. Nel momento in cui la persona passa la frontiera sul passaporto o sul documento di viaggio verrà messo
il timbro da parte delle autorità di frontiera italiane di uscita dal territorio italiano. Questo perchè da quella data
decorrono i 10 anni di divieto di reingresso in Italia. Prima erano 5 anni, la legge Bossi - Fini li ha aumentati a 10.
Bisogna tener conto che generalmente quando viene fatto il rimpatrio le persone non vengono avvisate
dell’imminente partenza, quindi si ritrovano nella situazione in cui i poliziotti li prelevano di mattina presto, li
portano in aeroporto e li caricano sull'aereo scortati a seconda appunto della nazionalità del gruppo che deve
essere rimpatriato. Queste persone possono immaginare che quell'aereo li riporti a casa, ma nessuno gli
comunica niente. Questo per evitare problemi di sicurezza e di ordine all'interno del centro di permanenza
temporanea. Una volta che sbarcano dall'aereo non sappiamo cosa accada. Abbiamo qualche indicazione
sporadica che ci è stata data da persone che poi sono rientrate in Italia. In alcuni paesi il fatto di uscire dal proprio
paese irregolarmente è un reato, per cui nel momento in cui si rientra vengono arrestati e possono o pagare una
multa, per altro abbastanza elevata, oppure si devono fare un certo numero di giorni in carcere (il carcere è
abbastanza duro). Questo succede in Marocco, in Tunisia non so, in altri paesi africani succede così. Quando
vengono rimpatriati vengono accolti dalla polizia di frontiera del paese di origine e vengono malmenati o
comunque trattenuti anche se non esistono delle regole (per esempio questo succede in Nigeria e in altri paesi
africani).
49
R.
DOMANDA 3
C.
D.
Q.
DOMANDA 4
C.
D.
DOMANDA 5
C.
D.
DOMANDA 6
C.
D.
I.
Non lo so perché come IOM non ci occupiamo del rimpatrio forzato, noi ci occupiamo solamente del rimpatrio
volontario ed assistito. Siamo contro le espulsioni e non partecipiamo a questo tipo di rimpatrio.
Quando il rimpatrio è assistito si tratta di rimpatri volontari. Noi assistiamo le persone dall’Italia fino alla
destinazione finale e alla reintegrazione nel paese d'origine. Ci occupiamo di aiutare la persona a prendere una
decisione consapevole per il rimpatrio usando il counselling, che la persona ottenga un documento di viaggio
presso la sua Ambasciata nel caso in cui non ha il passaporto, di organizzare il viaggio, di fornirgli il visto di
transito, di fornirgli assistenza in aeroporto a Roma e nel paese d'origine (perché abbiamo i nostri uffici) e di
aiutarlo ad ottenere la reintegrazione (dipende da progetto a progetto) sempre attraverso la nostra rete nei paese
d'origine.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono l’integrazione lavorativa dei soggetti
rimpatriati?
Se si, spiegare la normativa.
No, niente
E’ difficile, non ci sono normative che aiutano queste persone a trovare il lavoro. Loro devono ricominciare la loro
vita lavorativa da capo, se ne devono occupare da soli.
Non esistono. Almeno le persone che abbiamo incontrato nuovamente perché sono tornate in Italia dopo un
rimpatrio dicono che gran parte di loro cerca comunque di ritornare in Italia perché al loro paese di origine non
hanno la possibilità di trovare lavoro, non hanno più nessuno avendo lasciato il paese da tanto tempo. Per cui
presumibilmente vengono lasciati al loro destino.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che ostacolano l’inserimento lavorativo dei soggetti
rimpatriati?
No, l’unico ostacolo è il carcere. Per il resto è come prima, cioè sono in cerca del paradiso. Anche perché la
Tunisia non è un paese modello. Quasi tutti i paesi arabi sono paesi in cui vige la dittatura. In Tunisia la dittatura è
un regime di polizia, c’è repressione, non ci sono libertà, ci sono sistematiche violazioni dei diritti umani. C’è molta
corruzione, anche a livello imprenditoriale, non è possibile evitare la corruzione. Molti imprenditori falliscono
perché appena hanno successo arriva qualcuno a chiedere una tangente. La corruzione è a tutti i livelli,
amministrativo, politico. Attualmente in Presidente della Tunisia è malato, era un generale, e sono i suoi famigliari
che gestiscono la politica. In Marocco la cosa è un po’ diversa, nonostante ci sia una monarchia, però in Marocco
ci sono più libertà, anche per quanto riguarda gli investimenti, è più vicino al modello europeo. La corruzione c’è
sempre, però non come in Tunisia.
No perché sono considerati come tutte le altre persone.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono od ostacolano l’inserimento lavorativo di
soggetti che hanno ricevuto condanne penali in patria o all’estero?
Nessun aiuto. Addirittura in Tunisia adesso c’è il problema della disoccupazione anche dei laureati. Davanti alle
ambasciate e ai consolati ci sono le file di persone che cercano di scappare. C’è gente che rischia la via pur di
andare via, perché ci sono sempre tantissimi morti nello stretto tra la Sicilia e la Tunisia, morti dichiarati, morti non
dichiarati, dispersi. I laureati che vogliono emigrare sono anche architetti e ingegneri che vengono in Italia e fanno
i manovali, fanno di tutto.
I posti riservati alla Tunisia per il decreto flussi vengono gestiti dall’ufficio di collocamento, purtroppo lì avviene
tutto a pagamento. C’è chi paga 6.000.000 di dinari tunisini (=4000 euro), chi paga 6000 euro, in questo modo
riescono ad ottenere il visto per venire qui. Anche quello è un sistema corrotto. Poi c’è il sistema di cooperazione,
ci sono per lo più associazioni vicine alla chiesa, e nel sud della Tunisia hanno attivato delle scuole di formazione,
insegnano un mestiere per far arrivare questa gente, ma sono scoppiate parecchie denuncie, specialmente nella
zona di Roma. Infatti tanti lavoratori immigrati hanno denunciato queste associazioni perché una volta arrivati in
Italia gli hanno sequestrato il passaporto, il permesso di soggiorno, vengono retribuiti con 100 euro al mese
facendoli lavorare presso fabbriche come apprendisti. Diciamo che tutti i progetti che sono attualmente in corso
sono progetti che non toccano veramente la popolazione, la popolazione non sente che c’è qualcosa, sanno che
c’è qualcosa di corrotto, che bisogna avere soldi. Già dal ’98 è stato previsto che presso i consolati italiani
all’estero ci dovrebbe essere una lista di lavoratori in attesa di essere chiamati, in base al decreto flussi, queste
liste non sono mai state fatte. Non c’è mai stato questo aiuto concreto.
In Tunisia non ci sono leggi che ostacolano chi ha avuto una condanna e nemmeno li aiutano.
Nella sua nazione, vengono riportate sui certificati penali, rilasciati a suoi connazionali, le condanne
ricevute all’estero?
No, sul certificato penale tunisino risultano solo le condanne ricevute in Tunisia. La Tunisia nel suo sistema
penale ha l’extraterritorialità, nel senso che se un cittadino tunisino (anche se si trova in Italia, per esempio)
commette un atto che per la Tunisia è un crimine viene giudicato in Tunisia anche in contumacia.
Il certificato penale esiste, ma non so quali condanne vengono riportate
Sul certificato penale italiano viene registrato. Sul certificato penale del paese di origine non so. Bisogna tenere
conto che la maggior parte dei cittadini extra comunitari in carcere hanno degli alias, questo comporta una
difficoltà nell'identificazione. Nel caso il cittadino straniero abbia usato un alias non potrebbe mai avere un
trasporto di informazioni sulla fedina penale del paese di origine. Se il cittadino straniero ha usato il proprio nome
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L.
Q.
DOMANDA 7
A.
B
C.
D.
potrebbe esserci questo passaggio di informazioni dalla fedina penale italiana a quella del suo paese, ma è
fantapolitica, nel senso che potrebbe esserci un lavoro da parte dell'Interpool così capillare, e dubito che ciò
accada. A meno che non si tratta di reati che vanno a sfociare nell'internazionale, tipo traffico di armi, traffico di
stupefacenti, terrorismo.
Non credo proprio, tant'è vero che per la cittadinanza si richiede il casellario giudiziario del paese di origine. La
banca dati Schengen è una banca dati comune ma per determinati reati: espulsioni, furto d'auto, monete. Non c'è
una replica pari pari della nostra banca dati nei paesi d'origine, ancora si è arrivati a ciò. Soprattutto non sapremo
mai se una persona è pregiudicata nel suo paese d'origine, lo sappiamo se ci fossero segnalazioni dell'Interpool.
C'è un fascicolo nella divisione anticrimine che si chiama “permanendo” che se uno per una volta viene segnalato
per un fatto rimane lì. Certo quando una persona viene espulsa la polizia lo sa, perché la persona arriva
segnalata, scortata, non so che iniziative possono prendere là. So che i cittadini di alcuni paesi temono tantissimo
quello che gli può succedere nel loro paese.
Non vengono riportate. Il certificato del casellario dei carichi pendenti italiano riporta tutti procedimenti aperti in
Italia. Per cui per avere questo genere di informazioni si devono fare altre verifiche, con altre procedure. I
certificati rilasciati dai tribunali ordinari sul nostro territorio verificano solo procedimenti in Italia.
Tutte le comunicazioni riguardanti il cittadino straniero vengono inviate al consolato o all'ambasciata che poi
comunica alle proprie autorità, per cui in linea teorica si potrebbe venire a conoscenza delle condanne ricevute in
un paese terzo. Poi non so quanto funzionino le amministrazioni e come funzionino, comunque nel caso che una
persona ha subito delle condanne oppure che ci sono dei procedimenti penali in corso, gli atti vengono notificati
anche ai consolati.
Per poter essere assunti da un datore di lavoro, si devono presentare le certificazioni dei carichi pendenti
e delle fedine penali? E questo costituisce un pregiudizio per i datori di lavoro?
Per gli impieghi pubblici sicuramente viene richiesto e la fedina penale deve essere pulita per essere assunti.
Le grandi aziende lo richiedono, insomma le aziende che fanno un contratto di lavoro e pagano i contributi, se la
fedina penale non è pulita è un problema. Dai noi esiste anche il lavoro sommerso e in questo caso non viene
richiesto il certificato penale.
Non necessariamente, bisogna presentare la fedina penale solo per i lavori pubblici a cui si accede attraverso
concorso. Tutto il sistema scolastico in Tunisia è fatto di concorsi, nel senso che quando si studia dopo 6 anni c’è
un concorso che non si basa sul fatto che lo studente abbia raggiunto la media o meno, ma suoi posti disponibili
nella scuola di grado superiore. Anche la maturità è fatta con un sistema di concorso, in Tunisia la maturità non è
mai stati superata da più del 30% degli studenti, così il 70% viene bocciato ma non perché non ha raggiunto la
media bensì perché non c’erano posti all’università. Questo è un sistema vecchio d’origine francese, che neanche
la Francia lo usa più.
I privati non richiedono il certificato penale, mentre il pubblico impiego lo richiede. Se c’è qualche condanna la
persona non viene ammessa al concorso pubblico. La condotta è molto considerata in Tunisia.
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COMMENTI ALLE DOMANDE SULL’AREA LEGALE - TUNISIA
Normativa d’accordo tra Italia e Tunisia - Aspetti legislativi relativi alle procedure di rientro assistito
Esistono accordi di riammissione tra Italia e Tunisia, si tratta di accordi di collaborazione che regolano anche il
rimpatrio di persone emigrate clandestinamente, infatti in base a tali accordi la Tunisia è tenuta a riconoscere i
suoi cittadini e a riaccoglierli.
La legislazione tunisina prevede che la persona che rientra, nel caso sia uscita in maniera clandestina dal
territorio, deve scontare una pena in carcere, che va da 1 a 6 mesi.
Il sistema penale tunisino prevede l’extraterritorialità, ossia se un cittadino tunisino commette un atto, ovunque
si trovi, che per la Tunisia è un crimine viene giudicato in patria anche in contumacia.
Inoltre se un tunisino ha commesso un reato all’estero contro un cittadino tunisino, anche se ha già avuto una
condanna all’estero e ha già scontato una pena, verrà nuovamente processato in Tunisia e potrà avere
un’altra condanna separata. Per la legislazione tunisina infatti non ha rilevanza se la persona ha già scontato
la pena per quel reato in Europa, poiché in Tunisia dovrà scontare la pena come condanna principale e non
come pena integrativa; in pratica gli anni scontati all’estero non valgono.
Per quanto riguarda i percorsi di rientro onorevole questi tre aspetti legislativi rappresentano dei punti
d’attenzione, in quanto bisognerà valutare:
• se gli ex detenuti tunisini se la sentano di rientrare affrontando da 1 a 6 mesi di detenzione, nel caso in cui
siano emigrati clandestinamente. L’alternativa è verificare se c’è la possibilità di attivare percorsi senza
incappare nel periodo di detenzione, anche se la persona interessata è uscita in maniera irregolare dal
territorio tunisino.
• Sarà indispensabile sondare con il potenziale candidato ad un progetto di rientro onorevole è se ha
commesso reati che prevedono l’extraterritorialità.
• Sarà indispensabile verificare se la persona ha commesso all’estero reati contro un cittadino tunisino.
Le normativa sopra esposte potrebbero rendere problematica l’applicazione della procedura secondo cui è
possibile richiedere una pena alternativa al carcere, nel caso la condanna da scontare sia inferiore ai 2 anni,
che si concretizza nella presentazione dell’istanza al giudice per ottenere di sostituire il carcere con il rientro
nel paese d'origine. Condizione necessaria per attivare tale procedura è che la persona detenuta sia in
possesso del passaporto poiché la richiesta di pena alternativa può venire solo da chi ha un'identità certa o dai
cittadini di quei paesi i cui Consolati sono disposti a riconoscerne l'identità. In questo caso l’esistenza di
accordi bilaterali è da considerarsi un aspetto facilitante.
Un aspetto di cui il progetto di rientro onorevole dovrebbe occuparsi è la prassi in base alla quale una persona
all’uscita dal carcere, avendo scontato la pena, viene inviata e trattenuta nei Centri di Permanenza
Temporanea affinché avvenga la sua identificazione (condizione necessaria per l’accompagnamento in
frontiera). Bisognerebbe verificare se l’identificazione potesse essere anticipata durante il periodo di
detenzione, in modo che la persona possa non passare per il CPT e, una volta scontata la pena o ottenuta
l’alternativa alla pena, possa essere immediatamente accompagnata in frontiera. Questa procedura alternativa
comporterebbe un risparmio di risorse economiche per lo Stato Italiano e la possibilità di dover effettuare un
passaggio in meno per il cittadino straniero.
Legislazione in materia di lavoro
Per quanto riguarda l’esistenza di una normativa che favorisca l’inserimento lavorativo di persone rimpatriate o
ex detenuti le risposte ottenute vanno tutte nella direzione dell’assenza di qualsiasi legislazione in materia, sia
ostacolante che favorente, e della necessità che la persona se la cavi da sola.
E’ interessante rilevare come l’assenza di intervento in materia di lavoro e la vicinanza della Tunisia all’Europa
siano fattori determinanti per i protratti e successivi tentativi di emigrazione irregolare anche da parte di
cittadini tunisini già rimpatriati.
Per quanto riguarda la possibilità di inserimento lavorativo i certificati penali pare non costituiscano un
problema, visto che i reati commessi fuori da Tunisia non vengono riportati sul casellario giudiziario tunisino,
tranne quei reati a rilevanza internazionale (ossia il traffico di armi, il traffico di stupefacenti e il terrorismo).
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Un punto di attenzione è dato dalla percezione della presenza di una corruzione diffusa sul territorio tunisino e
a diversi livelli. Bisogna tenerne conto per evitarla, impostando accordi solidi e funzionali.
E’ interessante notare che le persone detenute intervistate non hanno saputo rispondere a nessuna della
domande dell'area legale, evidenziando una diffusa mancanza di conoscenza rispetto alla legislazione in
materia di immigrazione, ai rapporti diplomatici esistenti tra la Tunisia e l’Italia ed alla legislazione tunisina in
materia di lavoro. Per quanto riguarda il progetto di rientro onorevole l’assenza di informazioni da parte della
popolazione detenuta necessita di prevedere azioni volte al superamento di tale condizione.
53
DOMANDE AREA SOCIO – ANTROPOLOGICA
DOMANDA 8
A.
B.
D.
E.
F.
I.
J.
M.
Quali pensa siano le ragioni che hanno spinto suoi connazionali a cercare di emigrare?
L'aspirazione a cambiare vita, poiché in Tunisia in questi ultimi anni si sta verificando quello che più o meno sta
succedendo anche qui, cioè gente che diventa sempre più ricca e gente che diventa sempre più povera e siccome
noi dagli anni '80 fino agli anni '90 eravamo per l'80% una classe media abbastanza compatta, questo dislivello
attuale ha creato un po' di scompiglio. I giovani sono tutti istruiti, cioè praticamente una grandissima percentuale
ha la laurea. Quindi anche la laurea non è più un metro valido per poter competere nell'ambito del lavoro, perché
tutti hanno la laurea. Per questo si pensa di più ai soldi piuttosto che ai valori e si cerca di fare i soldi in qualsiasi
modo. Uno di questi modi è emigrare. Anche perché poi d'estate c'è il rientro degli immigrati con i macchinoni,
gente che sembra che stia bene (che magari qui non mangia tutto l'anno per poter fare la scena quando
sbarcano) e i giovani pensano che emigrando si possono fare i soldi facilmente e velocemente. Alcune volte c'è
anche un disincanto, qui abbiamo conosciuto persone che sono laureate ma che fanno i muratori o i carpentieri,
lavori puliti senza delinquere; la forza della disperazione fa sì che la gente che ha in mente di partire parte lo
stesso. Magari senza troppe aspettative, però pensano che non sanno quello che trovano ma che sanno quello
che lasciano. Pensano che peggio non si può stare, non sanno che si può stare peggio, prendono e vengono.
L’Italia è considerata una tappa, di solito almeno, la gente non vuole stare in Italia.
Le condizioni economiche e la mancanza di lavoro. Se una persona non riesce a trovare lavoro giù vede l’Europa
come il sogno, il paradiso e visto che l’Italia è più vicina alla Tunisia è la prima cosa che si tenta. Si pensa che in
Europa si possono fare soldi in breve tempo.
La maggior parte per cercare di migliorare e di avere un futuro migliore, avere condizioni di vita migliori, sono
motivi economici. I giovani sognano l’Europa perché pensano che qui avranno un futuro sicuro per l’aspetto
economico e per la libertà.
In Tunisia c’è poco lavoro ed è mal pagato.
Perché non c’è libertà, che invece c’è in Italia.
La ragione è legata alla possibilità o al sogno di poter cambiare vita, di avere un salario ben più alto di quello che
può dare qualsiasi lavoro in Tunisia. So che anche un lavoratore regolare in Tunisia ha un salario veramente
basso, quindi la chimera del guadagnare parecchi soldi porta alla migrazione. Per quanto riguarda la Tunisia le
persone che sono passate dal CPT sono prevalentemente piccoli spacciatori, e non so se sono venuti in Italia a
cercare una nuova vita, forse sono partiti credendo che in Italia sia più semplice passarla franca per certi tipi di
lavoro. Perché comunque tunisini che non hanno commesso delitti noi non li vediamo, intendendo per delitti lo
spaccio. Non so dire se partono proprio con questa visione rispetto all’Italia, so che sicuramente ritornano (una
volta espulsi) convinti che quello è il miglior modo per guadagnare in Italia. Il ritorno dopo un'espulsione è una
pratica sia dei tunisini sia dei rumeni, albanesi. Il discorso è diverso per chi parte da lontano, il Perù, la Nigeria.
Le ragioni sono varie, la prima è sempre l'urgenza di miglioramento economico e della propria vita, poi soprattutto
da queste regioni funziona il tam tam del gruppo che è già venuto qua. Non credo che siano percorsi di
emigrazioni strutturati con delle mete chiare di inserimento lavorativo, per le persone che vengono dal Maghreb
non credo si aspettino di trovarsi subito un lavoro. Vengono via da una situazione per migliorare la propria
condizione economica, ma anche per venire fuori da una situazione di vita, di relazioni sociali e di prospettive che
vivono come un disastro.
C'è molto di sogno, di cambiamento radicale della propria vita: è sogno e fuga insieme. Perché in realtà in Tunisia
non ci sono situazioni di estrema povertà, c'è una rete sociale che tiene, una rete famigliare che tiene, quindi non
si fugge per fame. Si viene via per cercare lavoro, un lavoro molto remunerativo, c'è questa aspirazione. Perché là
il lavoro operaio e manuale è a livelli di stipendi molto bassi, in rapporto anche all'aumento del costo della vita.
Considerando anche che lo stile di vita è molto avanzato, perché su certi aspetti la Tunisia è un paese molto
moderno, con tutte le nuove tecnologie, per esempio c'è stato questo nuovo impulso all'acquisto della macchina.
C'è stata una modernizzazione di fatto del paese, che però negli ultimi anni ha portato ad un maggiore
differenziazione tra chi è ricco e chi invece è sceso nella scala sociale, diventando più povero. Quella che ha
sofferto soprattutto è la classe media, che ha dei salari (quelli da pubblico impiego) inconciliabili con un certo
tenore di vita, che invece è il modello proposto. C'è una grossa frustrazione da parte dei giovani che studiano,
perché la Tunisia ha un livello di scolarizzazione molto alto e l'istruzione funziona. Per cui loro studiano, lavorano
per un certo tipo di preparazione e poi fanno fatica ad inserirsi.
Ci sono delle motivazioni oggettiva all'emigrazione, collegate ad una non adeguatezza di quello che si potrà
guadagnare, del lavoro che si potrà fare e della libertà da certi vincoli, dati da un lato dalle famiglie (c'è il desiderio
di fuggire, di affermarsi autonomamente come individui, perché esiste ancora la famiglia allargata e quindi
l'emigrazione di un membro della famiglia è qualcosa che coinvolge poi tutta la famiglia). Queste reti di solidarietà
che salvano la situazione, nel senso che nessuno muore di fame, però poi tengono abbastanza prigionieri, legati.
Quindi c'è un desiderio di emancipazione e anche un'aspirazione ad una vita meno controllata da parte dello stato
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Q.
DOMANDA 9
A.
B
C.
D.
E.
F.
I.
M.
DOMANDA 10
A.
B.
C.
D.
F.
I.
M.
Q.
e delle istituzioni. Perché questo controllo c'è ed è pesante su di loro. Loro lo sentono, lo vivono, sanno che è così
e che per il momento non si può fare altrimenti, questo peso c'è.
Una minima parte ha anche una motivazione di tipo religioso, perché comunque è venuta maturando l'idea che in
Europa l’islam può essere vissuto più liberamente, questo a causa del fatto che il paese tiene molto sotto controllo
gli aspetti radicali dell'islam.
Quello che attira molto è la rete di chi è venuto e ce l'ha fatta. Quindi il ritorno a questa idea del sogno, siccome
altri ce l'hanno fatta. Senza tener conto che le condizioni sono realmente mutate, loro questo non lo mettono in
conto, lo rifiutano, dicono "va bene la legge è diversa, questo non si può fare, però io ci provo lo stesso".
Per il rientro l'offerta di un lavoro non basta, perché deve essere un lavoro di un certo tipo, che permetta loro di
guadagnare, di avere un certo tipo di tenore sociale.
Per quanto riguarda la Tunisia le persone che arrivano sono giovani, tra l'altro istruiti e spesso arrivano da famiglie
abbienti o comunque non povere, per cui l'idea è di trovare più libertà o più opportunità in Europa.
In quali aree della sua nazione sono concentrate sacche di povertà?
Fino a qualche anno fa in alcune zone dell'entroterra non avevano acqua potabile né elettricità, ci sono zone in cui
vivono quasi solo anziani e donne, perché tutti gli uomini sono emigrati. Succede che gli abitanti di alcune zone
particolari sono emigrati tutti nello stesso posto, per esempio c'è una città nel Sael da cui sono venuti tutti in Italia:
questo perché ne emigra uno, si trova bene, fa venire il fratello o il cugino, si creano delle catene migratorie. Là
c'è un disagio economico schiacciante.
Nelle grandi città ci sono zone particolarmente povere e poi verso il nord - ovest della Tunisia (verso il confine con
l’Algeria) e il sud (nella parte desertica). Da lì molti migrano verso le grandi città della Tunisia, tipo Sfax. Susah,
Tunisi, che sono città dove ci sono lavori nel terziario. Così tutte le regioni dell'entroterra soffrono.
La zona est della Tunisia. In Tunisia dall’indipendenza a tutt’oggi l’élite governativa è sempre provenuta dalla
zona costiera del Sael. Mentre la zona est, sud – est è tutta una zona dimenticata non solo a livello di dirigenza
politica ma anche a livello di strutture, di tutto. Sono zone molto povere.
Il nord – ovest, centro.
La maggior parte della Tunisia è povera.
Le campagne.
Non so. L'impressione è che tra le tre nazioni che prendete in considerazione, la Tunisia sia quella messa meglio
dal punto di vista economico.
Nel proletariato urbano. Non ho mai visto bidonville come in Marocco, però sicuramente ci sono situazioni di
povertà, di disoccupazione. Ci sono anche dei sussidi sociali, il fatto che la scuola sia gratuita fa sì almeno che i
bambini stiano a scuola parecchio; poi ci sono i dopo-scuola. Nelle campagne si tratta di una povertà di mezzi
generale, di fame non si muore comunque. Di gente che raccoglie rifiuti, che dorme per strada, non ce n'è. Di
gente che chiede l'elemosina ce n'è abbastanza.
C'è una differenza tra città e campagna, ma nelle campagne la povertà è sentita fino ad un certo punto, più che
altro sono le modalità di vita che cambiano perché viene condotta una vita molto semplice, di pastorizia. Si
vedono ancora donne e bambini che lavorano insieme alle bestie tutto il giorno e non hanno grandi mezzi.
E da quali aree della sua nazione, a suo giudizio, partono gli emigrati?
La gente che abita nella città più o meno sa di cosa si tratta, cosa vuole dire emigrare e che cosa si deve aspetta
una persona che emigra. Sono persone che non hanno altra via d'uscita, quindi scelgono di emigrare. Non c'è una
zona di provenienza specifica, vengono un po' dappertutto, però probabilmente in termini di statistica provengono
più dall'entroterra che dalle città. Perché le città più o meno è abitata da gente un po' più sveglia. L’esistenza dei
ricongiungimenti famigliari fa sì che certe zone siano più propense di altre all'emigrazione.
Indifferentemente da tutta la nazione. Quelli che si trovano a Tunisi, visto che sono più vicini all’Italia, hanno
maggiormente presente l'idea di emigrare.
Partono da tutta la nazione, ma i punti di partenza sono i paesi costieri. Perciò c’è un trasferimento interno verso
le aree costiere e da lì la partenza per l’estero. Da lì non partono solo i tunisini, ma anche persone provenienti
dall’Egitto e dall’Africa nera. La Tunisia è un luogo di passaggio, addirittura lo stato tunisino può fare pressione
sullo stato italiano controllando i flussi in partenza.
Arrivano da tutte le regioni.
Sfax, Susah, Meslir.
Arrivano da tutti i territorio delle nazioni.
Il fenomeno dell'emigrazione non interessa solo i giovani delle campagne e del sud, vengono via anche da Tunisi
e dalle grandi città. Dove ci sono quartieri popolari, c'è molta disoccupazione, ci sono molti giovani a spasso, che
hanno magari studiato. C'è molto lavoro nero, col turismo soprattutto, gente che vuole accompagnare, che vuole
vendere, c'è un'economia sommersa.
Una prima migrazione viene dal sud e dalla campagna verso Tunisi. In Tunisia tutto fa capo a Tunisi, adesso ci
sono tentativi di investire in altre zone a tutti i livelli, sia con la creazione di distretti industriali, sia con le università.
C'è una processo di decentralizzazione che dovrebbe servire a far decollare delle aree su tutto il territorio. Al sud
ci sono molti investimenti anche per evitare la migrazione verso Tunisi.
Dalla Tunisia c'è una zona specifica, che precisamente non ricordo come si chiami, perché nelle schede che
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DOMANDA 11
A.
B.
C.
D.
F.
I.
J.
M.
Q.
DOMANDA 12
A.
B.
facevamo allo sportello tutti dicevano di provenire da lì (oppure la ragione è che si rivolgevano a noi solo quelli
provenienti da quella specifica zona).
Dal suo punto di vista, nel progetto migratorio i suoi concittadini prevedono di ritornare in patria dopo
alcuni anni, con i guadagni accumulati, e costruirsi una nuova attività, o desiderano solo andarsene?
Dipende dal percorso di emigrazione perché c'è l'emigrato che viene per far soldi, questo tipo di emigrato cerca di
fare soldi quanto più può e poi torna. E c'è chi emigra per altre ragioni, per studio, perché non ce la fa più in un
sistema politico determinato, piuttosto che gente che emigra per questioni famigliari. Questi non è detto che
pensano di tornare in Tunisia. Però penso che in linea di massima tutti tornano. Dipende anche dal progetto di
emigrazione iniziale, ci sono persone che vengono qua, non riescono ad integrarsi, non riescono a fare soldi né a
trovare lavoro, però si ostinano a rimanere pur di non tornare e far la figura di colui che ha fallito. Tra le persone
che conosco io, chi è riuscito a crearsi una buona situazione famigliare e lavorativa tende a rimanere qua e a
creare qualche progetto in Tunisia per sé o per aiutare i famigliari, ma in linea di massima stanno qui.
C'è l'idea di andare in Italia, farsi una fortuna e tornare in Tunisia. Durante il percorso migratorio questa idea viene
cambiata, perché la persona arriva qua, si trova bene, trova un buon lavoro e decide di rimanere. Dipende
sicuramente dalla persona, dai suoi progetti. Quelli che conosco io, praticamente tutti, hanno scelto di rimanere,
fanno di tutto per fare il ricongiungimento famigliare per gli altri che sono rimasti in Tunisia (moglie, bambini,
fratelli).
C’è una differenza tra i maghrebini e gli egiziani. L’Egiziano e chi proviene dal Medio Oriente (Siria, Libano ect)
partono con l’intenzione di stare dai 2 ai 4 anni, il tempo che ci vuole per migliorare la loro situazione e tornare al
paese d’origine. Questo perché hanno un’identità religiosa e tradizionale forte. Avviene il contrario per quanto
riguarda le persone provenienti dalla zona del Maghreb, il loro attaccamento alla loro identità è più debole, perciò
non hanno problemi ad adattarsi all’Europa, non pensano a tornare dopo qualche anno. Per lo più vogliono
stabilirsi definitivamente.
Tantissimi cercano di avere un po’ di tempo per migliorare le condizioni economiche in modo da avere un
risparmio e rientrare aprendo una piccola attività in Tunisia. Tanti non fanno il ricongiungimento famigliare,
lasciano la famiglia e i bambini e appena migliorano le loro condizioni rientrano. Però ci sono casi che hanno
ritardato un po’ a rientrare e si sono creati problemi famigliari. E’ un grande sacrificio, conosco persone che
soffrono, ma non hanno tanta scelta, ogni anno sperano che sia l’ultimo, i figli diventano grandi e sono lontani dal
padre, è la donna che li fa crescere. Ci sono persone con figli che sono arrivati all’università e loro sono ancora
qua. Per i figli il padre sembra un estraneo, perché li vede un paio di volte all’anno.
Ognuno ha la sua idea, io non sono venuto per stare per sempre in Italia, vado e torno.
Per la Tunisia ho difficoltà a risponderti a causa dei casi che ho seguito, si tratta di persone che hanno commesso
reati avendo intenzione di delinquere. Questi soggetti, una volta tornati nel loro paese, rientrano in Italia per
continuare ad operare nell'illegalità. Quelli che ho incontrato io hanno interesse a rimanere in Europa.
All'inizio del percorso migratorio c'è l'idea di tornare, poi dipende da come va l'inserimento, se questo c'è (ma a
volte anche se non c'è si continua a tentare di restare qua) pensano di rimanere, infatti molti emigrati hanno
comprato casa qua. Quando si parte la spinta del processo migratorio non è quella di pensare di andare a vivere
all'estero per tutta la vita.
Ci sono tutte e due. C'è una parte che non ha intenzione di rientrare. C'è una parte invece che ha intenzione di
creare nel paese d’origine delle attività. Vogliono attività che siano anche molto di apparenza, c'è molta esibizione
dei soldi. Non era così (conosco la Tunisia dall'inizio degli anni 80), era un paese molto dignitoso, una società con
saldi valori. Adesso c'è una esibizione di ricchezza che comincia dall'aeroporto costruito completamente i marmo,
con un stile che non è tunisino, e che poi continua a tutti i livelli.
Partendo dal nostro osservatorio la maggior parte dei tunisini intende rimanere in Italia, eventualmente spostarsi
in altri paesi europei, ma non rientrare. Hanno fatto una scelta definitiva.
Di fronte ad un rientro forzato, con decreto di espulsione dall’Italia, ritiene che ci sia un’accoglienza
favorevole da parte dei famigliari del rimpatriato?
Dipende se la famiglia sapeva che genere di attività svolgeva fuori, nel senso che se uno si aspetta o sa che sia
un delinquente comunque lo shock iniziale non è lo stesso di uno che pensa che il figlio lavori, sia una persona
onesta, corretta e leale. In Tunisia ci sono due tipi di emigrazione, l'alta emigrazione e la bassa emigrazione,
chiamiamole così grossolanamente. Chi emigra per lavorare o studiare di solito non va in Italia, ma in Francia,
Canada, Germania. Chi piuttosto dell'aereo prende il gommone attiva un'emigrazione completamente diversa.
Purtroppo anch'io mi sono dovuta confrontare con questo aspetto quando sono arrivata qui, nel senso che ho
toccato con mano che i nostri connazionali sono di due tipi: la gente per bene che viene qui per lavorare e la
gente che viene qui per rompere le scatole e compiere azioni illegali. Purtroppo le persone appartenenti alla
seconda categoria sono in percentuali più alte. Per questo si è creata un'associazione mentale tra emigrare in
Italia e il concetto di illegalità, comunque di spaccio. Ultimamente stanno uscendo fuori anche storie non di
spaccio, ma ancora più gravi che riguardano persone che obbligano le proprie sorelle o mogli a prostituirsi.
In maniera normale, la persona rimane uno della famiglia. In Tunisia c'è questa idea che gli emigrati che vengono
in Italia lavorano nel business della droga. C'è un identikit del tunisino spacciatore che vive in Italia: ha
un'acconciatura particolare con capelli un po' lunghi con tanto gel, collane vistose, atteggiamento spavaldo di chi
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C.
D.
E.
F.
I.
J.
M.
Q.
DOMANDA 13
A.
B.
C.
D.
E.
F.
M.
DOMANDA 14
A.
B.
non teme niente e nulla, il macchinone con la musica a palla. Comunque in generale l’Italia viene sempre
associata con la droga.
Lo accoglie come uno che ha giocato una partita e ha perso. Comunque per loro non è una cosa vergognosa, e
sanno che tenterà di nuovo.
E’ molto dura. La società non perdona e anche i famigliari, vieni ritenuto un perdente, una persona che non è
riuscita. Molte persone rischiano qualunque cosa pur di non tornare. Per quanto riguarda la famiglia dipende dalla
sensibilità, il livello di istruzione, il livello culturale. La persona che rientra sente la cosa come se avesse fatto
qualcosa di molto grave, come un grande complesso.
Gli farebbe piacere rivederlo. Io parteciperei ad un programma di rientro onorevole a condizione che mi venga
offerto un lavoro con cui posso vivere in Tunisia. Lo farei perché la mia famiglia è là e mi piacerebbe poter vivere
con loro.
Bene, infatti io scrivo sempre.
Credo che venga occultato quello che hanno fatto in Italia, soprattutto se hanno fatto qualcosa di poco chiaro.
Problemi di essere accolti male riguardano solo quelle persone che sanno di avere delle pendenze con la
giustizia, ma ciò non riguarda né la famiglia né gli amici né la comunità di appartenenza. Non ho mai visto atti di
autolesionismo per la paura di rientrare a casa, in famiglia; li ho visti per la paura di dover scontare pene nel
proprio paese d’origine.
Non ne ho idea. E secondo me l'accoglienza sarà molto diversa nei tre paesi che prendete in considerazione.
In linea di massima il rientro è il segno di una sconfitta, in ogni caso. Secondo me loro tendono a nascondere il
fatto che in Italia possano aver subito delle condanne. Tenderebbero a nasconderlo.
Male. Credo che tranne per il ragazzino che scappa, per gli altri senz'altro male. Perché in tutte le situazioni la
famiglia investe, a livello economico, affettivo, emotivo. Pensando alle catene migratorie l'investimento significa
che c'è una futuro per gli altri. Il rimpatrio forzato in cui uno torna con il vestito che ha indosso è sempre
traumatico.
Di fronte ad un rientro forzato, ritiene che ci sia una qualche forma di accoglienza da parte della cerchia
parentale o dai precedenti amici del rimpatriato?
Tornare così è un fallimento colossale, è uno scandalo. Non penso tanto all'atteggiamento dei famigliari e amici,
ma all'atteggiamento del rimpatriato stesso. Conoscevo due persone emigrate negli Stati Uniti che sono dovute
tornare per vari motivi: l'uno è quasi impazzito, l'altro poco ci manca. Non so se questo sia dovuto al rifiuto della
realtà di essere rimpatriato, del sentirsi comunque marchiato a vita da questa esperienza, o se anche
l'atteggiamento della gente circostante abbia influito in qualche modo. Questo è difficile stabilirlo, bisogna vedere i
casi concreti.
Dipende, secondo me gli amici non glielo dicono in faccia che è un fallito, però magari parlano di questo alle sue
spalle. Gli amici di solito sanno già come è andato e magari cosa faceva in Italia, quindi sono già preparati ad
accoglierlo di nuovo.
Lo accoglie come uno che ha giocato una partita e ha perso. Comunque per loro non è una cosa vergognosa, e
sanno che tenterà di nuovo.
E’ molto dura. La società non perdona. Molte persone rischiano qualunque cosa pur di non tornare. La persona
che rientra sente la cosa come se avesse fatto qualcosa di molto grave, come un grande complesso.
Qualcuno sarebbe contento e qualcun altro no, perché percepirebbe la persona rientrata come un nuovo
concorrente.
Se è da tanto che non ti vedono ti accolgono benissimo.
Non ho conosciuto direttamente situazioni in cui sapessi di questa eventualità, però lo vedo nel fatto che sono
molto restii a tornare indietro anche quando non hanno commesso un reato, proprio perché tornare indietro
significa aver perso. Riguarda l'idea che si ha della migrazione, del fatto che partire significa fare fortuna. Loro
partono con l'idea che comunque vada loro riusciranno a far fortuna, perché qualcuno prima di loro ce l'ha fatta.
Se si porta l'esempio di chi non è riuscito non lo prendono neanche in considerazione. Se li si mette di fronte alle
difficoltà, gli si chiede "ma quando sei là come fai, cosa fai", niente, non passa niente. Per questo dico che il
tornare e creare delle condizioni perché possano inserirsi dovrebbe partire da molto prima, nel momento in cui
uno si è messo nell'idea di partire è difficile. Anche se adesso è quello che si deve fare, tanti in un modo o
nell'altro dovranno tornare.
La comunità di origine come accoglie un suo concittadino espulso da un’altra nazione?
Il fatto di essere stato espulso è una macchia comunque, perché la gente sa che è stato espulso, ma non ne
conosce il motivo. Magari lavorava e guadagnava soldi ma era senza documenti, la gente non va a guardare
questo, ma guarda che è stato espulso. Siccome comunque non è una cosa positiva non penso che sarà
guardato bene. Io credo che in Tunisia non si sa che dall’Europa si può essere espulsi anche senza aver
commesso alcun reato, perciò se una persona viene espulsa gli altri si immaginano che abbia fatto qualcosa di
male.
L'emigrazione clandestina dalla Tunisia in Italia è diventata una cosa molto frequente e quindi tutti noi in Tunisia
abbiamo presenti le conseguenze, nel senso che anche quando uno è rimpatriato non viene condannato dalla
comunità, dagli amici, dai famigliari. Secondo me avrà una vita normale, non avrò problemi di esclusione dalla
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comunità o dal giro degli amici. Avrà delle difficoltà ad essere reinserito nella società per trovare lavoro, per vivere
una vita normale. Però a livello di comunità non avrò problemi drammatici. Penso che avrà problemi a trovare
lavoro perché uno rimpatriato in Tunisia avrà fatto qualcosa di sbagliato e quindi quando cercherà lavoro avrà
questo punto nero.
E’ molto dura. La società non perdona. Molte persone rischiano qualunque cosa pur di non tornare. La persona
che rientra sente la cosa come se avesse fatto qualcosa di molto grave, come un grande complesso.
La società tunisina punisce queste persone perché pensa che abbiano avuto un’occasione e l’abbiano sprecata.
Comunque in Tunisia quando una persona è espulsa non si va cosa ha fatto, solo lui lo sa, c’è privacy su questo
aspetto. E le persone di solito lo tengono nascosto.
Tutti verrebbero a salutarti, qualcuno verrebbe per un suo interesse. Se hai qualcosa da dare, tutti diventano
amici. Altrimenti ti mollano e non ti frequentano più, senza trattarti male, ti ignorano e basta.
Bisogna tenere in considerazione che questi soggetti normalmente sono persone che hanno deciso di emigrare
dal loro paese. Quelli che vanno via fanno una scelta molto grossa ed hanno una certa reputazione. Chi va via fa
una scelta individualista, nel senso che sceglie per il loro futuro e, al limite, si preoccupa di far tornare del denaro
sulla loro famiglia o sulla loro comunità ristretta. Solitamente sono persone che hanno come primo obiettivo quello
di migliorare la propria condizione e poi eventualmente quella dei parenti. Mentre chi rimane nel paese e cerca di
lavorare lì per lo sviluppo di quel paese fa la scelta di impegnarsi per la propria comunità e per il proprio paese.
Quindi le persone che se ne vanno hanno la fama che gli interessa innanzitutto organizzarsi la propria vita. Non
c'è niente di disonorevole, però questo riemerge nel momento in cui tornano.
Noi valutiamo la situazione di persone che tornano volontariamente senza i problemi delle persone che dovreste
supportare voi (detenzione), tornano perché hanno deciso di tornare: ci hanno pensato su, considerano la famiglia
una radice importante. Insomma fanno una valutazione dopo un'esperienza che è stata qui più o meno positiva,
in alcuni casi anche molto positiva. Si tratta di persone che fanno una valutazione della loro esperienza all'estero
sapendo di aver fatto molte cose, persone che hanno contatti ancora forti col loro paese e legami importanti, e
quasi per coscienza si dicono che le competenze e risorse acquisite vanno spese per il proprio paese, per lo
sviluppo del proprio paese e per la propria gente.
Da lì nasce l'idea di poter legale progetti di sviluppo dei paesi terzi alle persone che rientrano. Alcune
associazione ed amministrazioni hanno molto lavorato su questo approccio. Per esempio la regione Liguria e
Veneto hanno inserito tra le priorità delle linee di finanziamento per i progetti di cooperazione allo sviluppo quella
di favorire attività di sviluppo che nascano dalla comunità espatriata volte allo sviluppo del paese d’origine. Quindi
questo concetto di inserire come fattore prioritario il rientro degli emigrati che possano essere attori di sviluppo nel
paese d'origine c'è anche in una serie di amministrazioni pubbliche. E' una cosa che a dirla sembra bella e
interessante, fascinosa quantomeno, anche abbastanza partecipata; poi bisogna vedere se si riesce a farla.
Le è capitato di leggere sui quotidiani o di vedere alla televisione, nella sua nazione, situazioni in cui
venivano discriminati o, all’opposto, favorevolmente accettati degli ex-detenuti o dei rimpatriati per il
fallimento di un progetto migratorio?
Non ne parlano per niente, quello che so lo trovo via internet o da un passa parola. In Tunisia vivo in una città che
ha un porto e conosco persone che lavorano al porto, loro dicono che quasi tutte le settimane tornano le salme di
cittadini tunisini rimpatriate dall’Italia, morte a causa di reati di mafia, regolamenti di conti tra clan, piuttosto che
spaccio di droga, non so esattamente. So con sicurezza che vengono rimpatriati e non si sa niente. I giornali
parlano di quello che sono invitati a dire, magari se c'è qualche trattativa tra il governo italiano e tunisino per
progetti, scambi, accordi bilaterali, flussi di immigrazione, di esperienze positive (come il flusso regolato di operai
ed infermieri), gli accordi per i clandestini (ora dalla Tunisia partono molto meno barche di quanto partivano
prima). Solo queste cose, che sono positive, vengono dette; non viene detto che magari qualche barchetta ce la
fa comunque, che succedono cose poco piacevoli qui, non si sa assolutamente niente.
Non ne parlano. Il nostro giornalismo non è così libero, cioè non si parla di tutto, si parla delle cose positive,
mentre delle negative no. Per dire l'emigrazione clandestina, io sento spesso in televisione in Italia delle barche
che arrivano, in Tunisia non si parla mai in televisione o in radio di questo.
Non credo che ne parlino.
No.
No.
Non credo che se ne parli. L'attenzione è sulla migrazione positiva, sui successi. Tutti i paesi hanno ministeri per i
loro immigrati all'esterno, anche le associazioni migranti che sono qui si stanno sempre più muovendo su discorsi
positivi, della possibilità di investire nel paese d’origine l'esperienza acquisita qui o le risorse economiche.
Sarebbe interessante sondare all'interno delle comunità di emigrati, che si stanno sempre più raggruppando.
Sarebbe interessante in queste sedi di incontro sottoporre a loro la questione di cosa ne pensano dei fratelli più
sfortunati.
Dei rientri non se ne parla. Si parla molto di quello che la Tunisia può fare per i suoi emigrati. Ci sono comitati di
accoglienza, organizzano corsi di arabo durante l'estate, colonie per i bambini e i giovani figli di emigrati. E c'è
questo insistere sui cittadini all'estero. Si parla di emigrati legali e che hanno una storia migratoria di inserimento,
che hanno i figli e che si vuole che continuino ad essere tunisini.
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Le è mai capitato di conoscere tra i suoi vicini di casa, nella sua nazione di origine, degli ex-detenuti o dei
rimpatriati? Come vivevano?
Io conoscevo quelle due persone di cui ho detto che sono emigrate in America. Credo che la situazione non sia
paragonabile perché l’America è un altro mondo. Sono due persone che sono partite dalla mia città, che è sempre
stata conosciuta per il gioco della pallacanestro. Erano due bravissimi giocatori, che sono stati là e si sono
fermati. Poi uno dei due è dovuto tornare perché il papà stava male e una volta rientrato in Tunisia non è più
riuscito a tornare negli Stati Uniti. L'altro invece ha lavorato e ha sposato una messicana in vista di prendere la
cittadinanza americana, perché lei ce l'aveva, le cose non sono andate bene tra loro, lui l'ha picchiata ed è stato
mandato via. Questi due vivevano in un'altra dimensione, in un altro mondo, avevano quello che volevano,
guadagnavano, vivevano il sogno americano; tornati in Tunisia si trovano nel loro piccolo quartierino, senza niente
da fare, con gli amici che gli dicono "sei un pirla". Vengono caricati da questa atmosfera di pressione. Tornano in
una società che è completamente lontana da quella che per un po' hanno vissuto, ci si abitua velocemente alle
cose migliori, ma quando si torna indietro si fa molta più fatica. Queste due persone stanno morendo dentro,
stanno veramente male. Uno dei due è riuscito a cominciare a lavorare, attraverso conoscenze lavora nel porto, si
tratta di una persona molto in gamba ma da quando era rientrato dall’America aveva sempre scatti, si innervosiva
facilmente. Comunque è riuscito a trovare lavoro, non è stato emarginato (è quello che ha avuto i problemi con la
moglie). L'altro non si è ripreso, non è riuscito a superare questa cosa.
(Successivamente all’intervista la persona intervistata ha fatto sapere che il ragazzo espulso per i problemi con la
moglie si è suicidato)
Non ho conosciuto nessuno.
Rimangono disoccupati aspettando la soluzione magica, cioè un’altra chance di uscire e tornare in Europa.
Conosco una persona che era stato espulso dalla Francia, con la famiglia in Tunisia, e lui non riusciva a rimanere
in Tunisia, ad entrare nella società tunisina di nuovo, alla fine è riuscito ad avere di nuovo un permesso. Se la
persona ha un’indipendenza economica, se ha una possibilità economica, se riesce ad inserirsi economicamente
anche se è stato espulso non ha importanza. In Tunisia si ragiona in termini di disponibilità economiche, perché
non c’è un’assistenza dove l’istituzione si occupa di questi casi, questo tipo di accompagnamento manca.
No.
Di solito rubano o spacciano per raccogliere soldi per ripartire. Vogliono tornare in Italia perché in Tunisia l’unica
possibilità di guadagnare è spacciare o rubare. Se non hai un mestiere non puoi fare niente. I mestieri buoni sono:
fabbro, meccanico, falegname, venditore di mobili vecchi, barbiere professionale.
Secondo me bisogna scindere in due l’ambito, quelli che sono riusciti in Italia a fare le formiche (che hanno
racimolato del denaro) e quindi nel loro paese hanno una prospettiva di vita dignitosa; e quelli che hanno fatto le
cicale e che si trovano ad avere lo stesso identico problema di quando sono venuti in Italia. Molti, moltissimi, di
quelli che sono venuti a vivere in Europa, una volta che tornano, rimpiangono il modo di vivere europeo, anche gli
stessi mussulmani.
No.
Se il soggetto rimpatriato ha commesso all’estero un reato contro la persona o contro il patrimonio ed ha
subito una pena, come lo accoglie la sua comunità?
Dipende da qual è la comunità da cui proviene, perché in certi ambienti è un vanto aver commesso dei reati, a
maggior ragione all'estero. Questi ambienti sono i quartieri malfamati delle varie città, a Tunisi si trovano sia
dentro la città che fuori.
Se faceva cose illegali prima di emigrare nel quartiere lo sapevano, in questo caso quando torna si presenta con
una medaglia, dipende dal quartiere da dove proviene. Quando sono tornata d'estate ho avuto paura di andare in
giro per Tunisi perché gli scippi sono cresciuti in modo incredibile, succedono delle cose allucinanti cioè uno ha
paura di camminare in mezzo alla gente, è una cosa incredibile. La situazione è diventata molto critica in Tunisia.
Poi tra l'altro forse c'entra anche la politica perché le prigioni sono sempre più piene, anche di personaggi politici,
e il Presidente della Repubblica quando c'è una festa religiosa o nazionale fa uscire tutti. In questo modo le
persone che commettono reati minori sono sempre fuori, in attività, male che vada fanno qualche mese di carcere
e poi escono.
Se il reato è stato commesso contro un cittadino tunisino allora verrà processato anche in Tunisia e anche se ha
avuto una condanna qui avrà un’altra condanna in Tunisia separata, nel senso che per la legge tunisina non
importa se la persona ha scontato la pena per quel reato in Europa perché in Tunisia verrà di nuovo condannata e
dovrà scontare la pena come condanna principale e non come pena integrativa. In pratica gli anni scontati
all’estero non valgono. Perciò una persona che ha commesso un reato contro un cittadino tunisino non vorrà mai
e poi mai rientrare in Tunisia, perché lì verrà di nuovo processato. Se il reato commesso è contro una persona di
altra nazionalità (non tunisina), chi ha commesso reato può rientrare in Tunisia e non avrà nessun. La famiglia, i
parenti e gli amici lo accoglierebbero nello stesso modo che se non avesse commesso un reato.
Non è visto bene, la gente non si fida, non è più ritenuto affidabile. Non conosco un caso in particolare, so in
generale che molte persone espulse tentano di tornare. Conosco una persona che adesso è in carcere a
Mantova, la sua famiglia gli ha proposto di tornare, ma lui non vuole, ha paura della reazione della società.
Dipende da com’è la persona, se mette la testa a posto è ben accolta.
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Non gli fanno niente, l’importante è che sei tornato sano.
Non è detto che la famiglia e la comunità siano a conoscenza di quello che ha fatto in Italia. Quindi è una
questione di relazioni interpersonali. Comunque non è vanto per nessuno aver compromesso la propria e l'altrui
onestà, quindi sicuramente non ne parlano e va tutto in sordina.
Dipende dal crimine, una cosa è un omicidio, una cosa è una rapina, una cosa è una truffa.
Non mi viene in mente di aver mai letto qualcosa. Ci sono tante cose che non sono dette. Sicuramente è una
società un po' come la nostra per certi aspetti, ci sono le madri che proteggono i figli. C'è anche una certa dose di
ipocrisia nelle famiglie, per cui si cercherebbe di tenere nascosto il fatto.
Delle persone che abbiamo conosciuto sappiano che non dicono alla famiglia che hanno subito delle condanne.
Lo tengono nascosto tranne che nelle lunghe detenzioni, soprattutto per chi doveva provvedere alla famiglia.
A quali condizioni di comportamento si attiva la possibilità di ricevere un aiuto dalla propria comunità e di
essere valutati positivamente?
In Tunisia c'è la propensione a dare una mano alle persone, non si nega nulla in generale. Perché c'è comunque
la famiglia, gli amici, e qualcuno una mano te la dà. Se una persona, anche se ha sbagliato, dimostra di voler
ricominciare e lavorare, di solito le persone sono disposte a dargli una mano. Anche nei primi momenti con aiuti
economici, non muore sicuramente di fame perché c'è qualcuno che lo accoglie. In tutta la mia vita in Tunisia non
ho mai sentito di uno che è morto di fame, c'è sempre qualcuno che dà una mano, da mangiare, qualche dritta.
Il lavoro onesto. Comunque c'è solidarietà verso chi è in difficoltà e la disponibilità ad aiutare chi vuole fare una
vista onesta anche se precedentemente ha sbagliato
La Tunisia ha un popolo che è sempre stato aperto, è stato aperto a tutte le civilizzazioni perché sono passati
romani, arabi ect, perciò non c’è un problema di comunicazione o socializzazione. La popolazione è molto aperta,
senza difficoltà di comunicare con l’altro indipendentemente se l’altro è di un’altra razza o religione. C’è una
disponibilità di fondo.
Il successo. La Tunisia ha investito molto nell’istruzione perché una delle sue linee generali per costruire una
persona è che uno deve imparare qualcosa o con la testa o con le mani. La Tunisia non avendo risorse di materie
prime, deve contare sull’essere umano. La persona deve avere la capacità di integrarsi, di farsi un futuro e di
migliorarsi. Molti lasciano la scuola prima, molti immigrati in Italia non sono riusciti a finire la scuola, molti si
fermano prima, imparano un po’ di mestiere e poi lasciano. Ma l’indirizzo generale dello Stato è quello di
diplomarsi o laurearsi. La maggioranza dei tunisini che stanno in carcere in Italia arrivano dalle grandi città:
Tunisia e Biserta. Io credo che tanti di questi arrivano dai quartieri poveri della loro città oppure sono persone
appartenenti a famiglie che stanno bene e la persona emigrata in Italia non vuole fare sacrifici, pensava che tutto
sarebbe stato facile. Sono queste le persone che facilmente cadono nella trappola della criminalità. Mentre le
persone che arrivano dalle città povere dell’ovest o del sud hanno tanta volontà, fanno sacrifici, hanno voglia di
lavorare, e sono persone che riescono ad integrarsi.
Chi lavora onestamente, senza frequentare delinquenti.
La mia percezione è un po' di delusione, la Tunisia adesso è un paese che lavora molto sui soldi. Se una persona
ha fortuna, va bene tutto. L'altra cosa che ha valore è la famiglia, un'attenzione verso la famiglia d'origine e verso i
bambini. E' ancora visto in maniera molto più positiva l'uomo che si sposa. Anche se adesso c'è una situazione in
cui le ragazze non vogliono sposarsi, le donne si danno molto più da fare, all'università e negli studi sono molto
più brave dei ragazzi, quindi lavorano, si creano la loro autonomia e non vogliono sposarsi. Però la famiglia
rimane ancora un valore forte. Sul tipo di lavoro c'è una tendenza a valorizzare di più il lavoro che ha a che fare
con lo scambio di denaro quindi l'ambito commerciale piuttosto che il lavoro agricolo o manuale.
Se il rimpatriato ha fatto parte all’estero di associazioni criminose, come viene accolto dalla sua comunità
di appartenenza?
Lo accoglierebbe male, la comunità avrà paura e non lo aiuterà. Nel senso che comunque in una comunità sana
questi comportamenti vengono condannati. Magari questa persona proviene da una famiglia che si è data da fare
per risparmiare i soldi e far emigrare il figlio, fargli cambiare tenore di vita e il figlio spreca questa possibilità ed
inoltre commette reati gravi, questo è visto come un tradimento.
Lo accoglierebbe con un po' di cautela, nel senso avendo paura di quella persona.
Se il reato è stato commesso contro un cittadino tunisino allora verrà processato anche in Tunisia e anche se ha
avuto una condanna qui avrà un’altra condanna in Tunisia separata, nel senso che per la legge tunisina non
importa se la persona ha scontato la pena per quel reato in Europa perché in Tunisia verrà di nuovo condannata e
dovrà scontare la pena come condanna principale e non come pena integrativa. In pratica gli anni scontati
all’estero non valgono. Perciò una persona che ha commesso un reato contro un cittadino tunisino non vorrà mai
e poi mai rientrare in Tunisia, perché lì verrà di nuovo processato. Se il reato commesso è contro una persona di
altra nazionalità (non tunisina), chi ha commesso reato può rientrare in Tunisia e non avrà nessun. La famiglia, i
parenti e gli amici lo accoglierebbero nello stesso modo che se non avesse commesso un reato.
Diventa più complicato perché vengono controllati ed hanno una vita molto difficile. Tutti li temono, la società li
isola.
La famiglia non ti abbandona.
È un lupo in mezzo ai lupi, questo riguarda il tipo di codice presente nelle carceri, nel senso che ci sono reati gravi
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per la dignità (il reato di traffico internazionale di stupefacenti non è considerato così grave come uno stupro, dal
loro punto di vista). Perciò chi ha commesso un reato “normale” viene visto come tutti gli altri, chi ha fatto uno
stupro è considerato in maniera negativa. I reati non sopportati sono lo stupro e la violenza sui minori, è una
percezione generalizzata.
Quali sono le tipologie di reato che sono più compiute nella sua nazione e con quale intensità di pena
vengono punite?
C'è un po' di tutto. Rapine e scippi sono moneta comune. Ci sono anche molti reati di corruzione, anche se non se
ne parla tanto. I reati di droga vengono puniti duramente. Altro non so.
La corruzione è diventata una cosa normale, chiedono chiaramente i soldi senza nessun problema. Reati
sessuali, ma nessuno ne parla. Scippi e rapine.
Furto (punito col carcere), assegni scoperti (è un reato punito col carcere).
Furto, falsificazione di assegni o assegni scoperti, sono soprattutto reati collegati ai soldi. I carceri sono pieni di
persone che fanno queste cose. In Tunisia non esiste qualcosa tipo la mafia, però ci sono dei piccoli criminali
soprattutto nelle grandi città.
Furto e spaccio.
Furto e spaccio, le pene sono più pesanti che in Italia.
Furti legati all'aumento della ricchezza, sono puniti anche abbastanza duramente. Quando la polizia interviene lo
fa duramente, la situazione si aggrava se ci sono di mezzo gli stranieri o persone di un certo livello.
I reati di droga, lo spaccio. L'alcool è in libera vendita in Tunisia (tranne in alcune zone), il consumo è molto
elevato e c'è tanta gente che si ubriaca.
Ci sono dei reati che vengono sopportati e non perseguiti nella sua nazione, perché sono compiuti da una
grande quantità di persone o perché vengono ritenuti necessari alla sopravvivenza?
La corruzione.
No, in quasi tutti i paesi arabi non viene tollerato nessun tipo di reato perché, trattandosi di dittature, non possono
lasciare aperture.
Se si ruba una bicicletta o rubare qualcosa ad un negoziante perché se ne ha bisogno, i piccoli furti.
Quando capita per la prima volta.
La rissa.
In Tunisia lo spaccio, il tunisino, spacciatore in strada in Italia, non considera un reato quello che fa.
Probabilmente sì, anche proprio sui diritti.
Quelli legati alla convivenza, infrazioni varie ai regolamenti, al vivere civile. Corruzione. L'essere clandestini, non
avere i documenti non è sentito più di tanto come un reato.
I cittadini tunisini che abbiamo incontrato e che sono stati in carcere sono stati accusati soprattutto di spaccio e
loro lo consideravano una cosa da niente, normale. Per cui probabilmente hanno delle misure di valutazione
diverse rispetto allo spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti.
Se dovessimo proporre degli inserimenti lavorativi nella sua nazione, dove è realistico che vengano
proposti? Nelle città o nelle campagne? Dove esiste un tessuto industriale - artigianale o in altri luoghi?
Ci indichi i luoghi.
Per i tunisini, come per gli arabi, un'espulsione vuol dire perdere la faccia, e questa è la cosa peggiore che possa
succedere. Allora è meglio che non rientri proprio nella sua città o paese d'origine. La situazione economica e
politica sta peggiorando perché anche se una persona ha del capitale (mettiamo 10.000 euro) e vuole fare
qualcosa, per riuscire deve corrompere, deve stare a certe regole perché altrimenti non riesce ad andare avanti.
Quindi non è solo il disagio economico ma anche il fatto di vivere in una società che non ti offre niente e ti prende
tutto. La Tunisia è una pentola a pressione perché soldi non ce ne sono, prospettive di miglioramento non ce n’è,
non c'è libertà di espressione, né informazione; per contro la gente è abbastanza istruita, non sono dei cretini,
capiscono, in Tunisia ci sono ovunque antenne satellitari che prendono tutti i canali del mondo e la gente guarda,
si informa, perché c'è una sete di informazioni terribile. Così la gente si informa, si arrabbia e tiene tutto dentro,
fino a che un giorno esplode.
In Tunisia c'è gente laureata che non riesce a trovare lavoro, se torna che cosa fa? La situazione economica è
che una persona che lavora in Comune prende 210 dinari e paga l'affitto 200 dinari, come fa a vivere? Con la
corruzione. La situazione sociale ed economica in Tunisia è molto difficile, il costo della vita sta crescendo e lo
stipendio è sempre quello. Quindi anche se si riesce a trovare lavoro la situazione rimane difficile lo stesso. La
situazione in Tunisia sta peggiorando, mi spiace dirlo, non era così 5 o 6 anni fa, allora si viveva abbastanza
bene, quando vado d'estate mi sento proprio male perché la situazione sta peggiorando purtroppo. E' una catena
perché la politica in Tunisia ha reso la situazione molto critica.
Il sud, sud – est, perché è la zona più povera. Lavorando lì si possono aiutare sia gli ex detenuti per il
reinserimento sia lo stesso territorio.
Se il progetto riguardasse un gruppo di persone sceglierei una città con le industrie, in modo che abbiano un
lavoro continuativo. La provincia di Soux è una zona in cui ci sono già circa 150 ditte italiane, lì si aprirà nei
prossimi anni un grande porto che diventerà la porta dell’Europa per l’Africa, il porto sarà fatto nell’acqua profonda
e diventerà il primo porto in Africa. Questa provincia è molto interessante perché è vicina alle provincie povere
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della Tunisia ed è anche vicino alle città turistiche (Hammamet è a 40 km). Non è per caso che il porto verrà
realizzato là. Se il progetto riguardasse persone singole bisogna far tesoro del mestiere che la persona conosce,
facendogli aprire in Tunisia un’attività da collocare dove può produrre e vendere. Poi ci sono le attività agricole. In
Tunisia si sta assistendo ad un grande rientro di europei, italiani per esempio. Ho visto persone che, nella mia
regione di origine, hanno portato una società italiana; persone provenienti dalla Puglia, che hanno affittato dal
Ministero dell’agricoltura dei terreni, tramite un tunisino che ha lavorato per loro in Puglia. Questa ditta ha fatto
miracoli, quest’anno sono riusciti a coltivare anche i carciofi, io credevo che fosse impossibile. Coltivano i
pomodori e poi li fanno secchi, facendoli essiccare sotto il sole. Esportano pressoché tutto e fanno lavorare
tantissime persone, specialmente le donne, questa è stata una fortuna per tante famiglie povere. Questa modalità
si sta diffondendo in tante zone, ci sono tanti rientri di persone italiane e europee che hanno esperienza in diversi
settori, per esempio quello dell’olio, e stanno riuscendo bene in Tunisia. Io conosco un anziano agricoltore
tunisino, lui lavorava dei terreni in Tunisia per una famiglia italiana, quando gli italiani se ne sono andati, lui si è
reso conto che i tunisini non sono in grado di coltivare, i prodotti non sono più come quelli di prima, i tunisini non
sono capaci di fare delle cose fatte bene. Il Ministero dell’agricoltura, che era gestito da ingegneri, ha fallito perché
i terreni con l’acqua rimangono fermi.
Nel turismo è difficile, perché c’è molta concorrenza e poi il lavoro è stagionale, perciò secondo me non è la scelta
giusta.
Dipende da qual è il mestiere della persona.
Bisogna fare uno studio più approfondito sui singoli paesi. E poi dipende da dove provengono, perché se una
persona proviene da un'area rurale e la sua unica esperienza metropolitana è stata a Milano ed è finita pure male,
non è pensabile reinserirlo in un’area metropolitana, perché sarebbe troppo complesso. Il territorio di dimensione
medie è il luogo dove si può immaginare di avere un'attenzione maggiore da parte della comunità. Oramai le
grandi aree metropolitane sono troppo dispersive e non è detto che garantiscano l'attenzione della comunità,
mentre questo credo che sia un elemento indispensabile per un progetto come il vostro. Nelle aree medie il
terziario offre ancora delle possibilità.
I progetti di sviluppo agricolo per loro natura si realizzano nelle campagne, i progetti di formazione molto spesso
tengono conto delle opportunità delle varie zone e in genere è più facile realizzarli nelle città. Tutto dipende dalle
caratteristiche del territorio. In molti paesi terzi c’è interesse a sviluppare le aree rurali, aree che potenzialmente
sono molto ricche e che necessitano di tecnica e modalità di coltivazione, offrono diverse possibilità. L’importante
è sempre fare un’analisi generale per vedere quali sono le opportunità e sulla base di questo muoversi. Quello
che chiamiamo lo studio di fattibilità del progetto, fatto in maniera dettagliata, perché le realtà sono molto diverse,
da paese a paese si trovano cose molto differenti.
Luoghi: costa, deserto e siti archeologici per il turismo. Per agricoltura: tutte le aree appena dietro la costa ed
alcune pianure e regioni del sud.
Si sta realizzando la decentralizzazione con la creazione di distretti industriali in aree diverse da Tunisi. Lo stanno
facendo in collaborazione con alcune Regioni italiane, che hanno avviato contatti per la creazione di società miste
oppure società italiane che si insediano lì. La Lombardia è coinvolta, c'è poi il Veneto e il Lazio, la Toscana,
l'Emilia Romagna, c'è un ufficio dell'Istituto per il commercio estero.
A me viene più in mente che si deve creare un progetto ad hoc per la persona e questo comporta l'avere dei
referenti seri sul posto. Bisogna anche valutare la storia della persona, per esempio se la famiglia ha investito
affinché la persona potesse recuperare risorse per tutti allora il discorso lavorativo è importante. Perciò è
importante dargli un'opportunità lavorativa, soprattutto se viene dalla campagna e non ha risorse, in questo caso
andrebbe bene anche che non rientrasse nel suo paesino e lo si inserisse in una città con una concreta possibilità
di lavoro. Se invece la persona avesse avuto un'esperienza migratoria drammatica e avesse bisogno di un
supporto da parte delle famiglia, allora sarebbe bene offrirgli un ritorno onorevole all'interno della propria famiglia.
Dipende proprio dalla specifica situazione.
Che tipologie di lavoro ritiene appetibili e competitive per il mercato di lavoro della sua nazione?
Inserirli in progetti di cooperazione tra Italia e Tunisia, so che ce ne sono nell'industria tessile e del cuoio. Il
problema è che i salari in Tunisia sono diversi, cioè se in Italia si prendono 700 euro per un lavoro del genere, in
Tunisia prenderà meno di 400 dinari (1 dinaro sono 75 centesimi) per cui il dislivello è forte. Potrebbero anche
sfruttare la loro conoscenza dell'italiano lavorando in progetti di cooperazione Italia - Tunisia.
Il sud – est è una zona completamente agricola, ci sono tantissimi terreni abbandonati anche se c’è acqua, i
terreni sono privati e pubblici. Sono abbandonati perché lo Stato non finanzia la costruzione di pozzi. La politica
economica del paese negli ultimi 30 anni si è basata sul turismo, solo sul turismo, perciò gli investimenti sono stati
fatti sulla zona costiera.
Fabbriche di scarpe, fabbriche tessili. Adesso c’è una data importante che è il 1° gennaio 2008, nel ’95 la Tunisia
ha sottoscritto con la Comunità europea un accordo secondo il quale verrà tolta la dogana tunisina, perciò ci sarà
un’apertura del mercato tunisino, questo da un lato aiuterà gli investimenti esteri (attualmente il problema per gli
investitori è la dogana e il tornare in possesso degli investimenti), dall’altro lato farà fallire molte imprese, quelle
che non sono competitive con le merci estere (europee o cinesi).
La provincia di Soux è una zona in cui ci sono già circa 150 ditte italiane, lì si aprirà nei prossimi anni un grande
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B.
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A.
B.
C.
D.
porto che diventerà la porta dell’Europa per l’Africa, il porto sarà fatto nell’acqua profonda e diventerà il primo
porto in Africa. Poi ci sono le attività agricole. In Tunisia si sta assistendo ad un grande rientro di europei, italiani
per esempio. Ho visto persone che, nella mia regione di origine, hanno portato una società italiana; persone
provenienti dalla Puglia, che hanno affittato dal Ministero dell’agricoltura dei terreni, tramite un tunisino che ha
lavorato per loro in Puglia. Questa ditta ha fatto miracoli, quest’anno sono riusciti a coltivare anche i carciofi, io
credevo che fosse impossibile. Coltivano i pomodori e poi li fanno secchi, facendoli essiccare sotto il sole.
Esportano pressoché tutto e fanno lavorare tantissime persone, specialmente le donne, questa è stata una
fortuna per tante famiglie povere. Questa modalità si sta diffondendo in tante zone, ci sono tanti rientri di persone
italiane e europee che hanno esperienza in diversi settori, per esempio quello dell’olio, e stanno riuscendo bene in
Tunisia. Io conosco un anziano agricoltore tunisino, lui lavorava dei terreni in Tunisia per una famiglia italiana,
quando gli italiani se ne sono andati, lui si è reso conto che i tunisini non sono in grado di coltivare, i prodotti non
sono più come quelli di prima, i tunisini non sono capaci di fare delle cose fatte bene. Il Ministero dell’agricoltura,
che era gestito da ingegneri, ha fallito perché i terreni con l’acqua rimangono fermi.
Artigiani, con una base solida di capitale.
Elettricista, barbiere professionale, fabbro, meccanico, falegname, venditore di mobili vecchi.
Per quanto riguarda la Tunisia c'è una grande possibilità di instaurare dei servizi secondari per il turismo, cioè
tutto quello che è l'indotto del turismo: il pullman con relativo autista, la guida per le visite, chi gestisce un
maneggio etc.
Gli imprenditori hanno problemi a trovare una certo tipo di manovalanza, che sia in grado di fare i lavori. C'è
richiesta di manodopera: operai specializzati, artigiani, lavoratori dell'edilizia che abbiano un minimo di
specializzazione. Tornitori, industria meccanica. Anche lì gli imprenditori che ho conosciuto preferiscono tutti le
donne perché dicono che lavorano meglio, perché sono più motivate. Per loro avere un lavoro e uno stipendio
significa emanciparsi e quindi ci tengono anche a lavorare bene, nel settore delle calzature e del tessile la
stragrande maggioranza della manodopera è femminile.
Nell'artigianato c'è stata una perdita di manodopera nei lavori legati all'edilizia, tipo falegnami, carpentieri. Questo
genere di lavorazione è richiesta, tenendo conto che lì continuano a costruire e manca la manutenzione.
Continuano a costruire alberghi, dopo due anni sono da buttare perché le riparazioni e la manutenzione non ci
sono. Prima non era così perché c'erano artigiani, ma questa tradizione si è un po' persa.
Negli alberghi c'è richiesta di personale. Uno dei settori in cui si punta molto è l'agricoltura, perché la Tunisia ha
delle potenzialità per cui si stanno sviluppando coltivazioni in serra e di primizie, che rappresentano buone
opportunità per l'esportazione. Di tratta di tutta quella parte di agricoltura che non è legata alla sussistenza ma
all'esportazione. E nell'industria di trasformazione alimentare, sull'olio, sul vino, hanno investito parecchio, ne
hanno migliorato la qualità per avere standard riconoscibili, lavorano molto sulle certificazioni, sul biologico.
Hanno bisogno di tecnici. Sia nell'industria, che nell'agricoltura, che nel settore alberghiero hanno bisogno di
quelle categorie intermedie, non di semplice manovalanza di base, ma lavoratori che abbiano delle competenze
tecniche un poco più specializzate per lavorare in settori più moderni.
Pesca, dove si stanno facendo società miste, si sta lavorando sulla trasformazione: sul modo di pescare e
sull’industria di surgelazione, congelamento ed inscatolamento.
Quali professionalità dovremmo insegnare ai suoi connazionali da rimpatriare?
La cosa migliore sarebbe fare accordi con le aziende, consultandole rispetto alle figure professionali che gli
servono e di conseguenza formare le persone in quale competenze individuate.
Falegnameria, lavorazione della ceramica.
Bisogna insegnare i mestieri che i giovani tunisini al momento non vogliono più fare. Questa estate il sindaco del
mio paese in Tunisia mi raccontava che c’è un piccolo artigiano di falegnameria che cercava due lavoratori per
impiegarli in un’attività un po’ difficile, questo falegname non riusciva a trovare persone che lavorassero per più di
una settimana. Perché il lavoro era troppo duro, ha avuto dei problemi per trovare una persona fissa. Servono
anche nell’edilizia persone specializzate che sappiano fare un lavoro, perché al momento ce ne sono pochissime.
Sono poche perché molti di quelli che sanno lavorare sono emigrati e i giovani non vogliono fare questo tipo di
lavoro.
Elettricista, barbiere professionale, fabbro, meccanico, falegname, venditore di mobili vecchi.
Credo che la formazione sia indispensabile, in quali settori non saprei.
Bisogna pensare alla costruzione di un percorso per la persona, basandosi sull'analisi delle possibilità che la
persona ha, in modo da impostare un percorso vincente per lo sviluppo della persona. Inoltre creare rapporti
diretti con piccole e medie imprese che danno formazione.
Qual è il costo della vita nella sua nazione di origine, rispetto al nostro tenore di vita? Quanto guadagna in
media un lavoratore dipendente?
E' minore dell’Italia.
Il costo della vita rispetto all’Italia è minore, ma rispetto allo stipendio che una persona normale percepisce in
Tunisia non ce la fa. Un'infermiera col suo stipendio ce la fa appena appena ad arrivare alla fine del mese.
3000 euro l’anno è il costo medio della vita.
Una persona deve lavorare tutti i giorni per poter avere una vita dignitosa. Bisogna avere un lavoro che gli
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DOMANDA
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garantisca di lavorare tutto l’anno.
Il costo della vita è caro, ci vogliono 400 dinari per una famiglia di 3 persone.
300 dinari per 4 persone.
Uno stipendio medio di un operaio è sui 200 - 300 dinari al mese che sono 200 euro. Mentre gli stipendi di un
impiegato medio sono sugli 800 dinari che sono 600 euro, stipendi normali. Il costo della vita è molto aumentato,
perché gli affitti a Tunisi partono come minimo dai 300 dinari. C'è da dire che molti hanno una casa di proprietà e
questo rappresenta il sogno per tutti, proprio perché gli affitti sono elevati, e questo anche a causa del fatto che
l'80% della popolazione è proprietaria di casa.
Ci sono alcuni prezzi che sono tenuti molto bassi, cioè i generi di prima necessità, l'istruzione che è gratuita per
tutti, i mezzi pubblici che però funzionano relativamente (soprattutto adesso che è aumentato il traffico per le
strade). Ad esempio le spese per il taxi, che era un mezzo di trasporto molto usato da tutti, sono aumentate
notevolmente nel giro di questi ultimi due o tre anni. L'aumento del costo della vita è tangibile.
E poi c'è questa doppia economia, cioè ci sono i posti dove possono andare i turisti e le classi tunisine molto
agiate, che si sono molto arricchite negli ultimi tempo, spendendo cifre paragonabili ai prezzi di centro Milano; e
invece i posti in cui si può mangiare con mezzo dinaro.
Su quali paesi stranieri sarebbe meglio che realizzassimo il progetto Odisseo?
Più che sui paesi bisognerebbe concentrarsi sulla tipologia di reati. Probabilmente più il paese è lontano, più è
difficile per lo straniero rientrare. Mi concentrerei sulla tipologia di reati, darei per poco appetibile lo straniero che
si è macchiato di violenza sessuale (e ce ne sono tanti), il loro destino è di essere espulsi, difficilmente questo
ufficio valuterà positivamente la richiesta di rilascio di un permesso per lavoro anche se il posto di lavoro ci fosse.
Spessa cosa per lo spaccio di stupefacenti. Mentre ci sono reati meno gravi, per esempio quelli contro il
patrimonio (mentre per altri reati non si va in carcere, tipo il falso, la guida senza patente, la vendita abusiva di
marchi contraffatti). Toglierei dalla casistica, nel senso che non me ne interesserei proprio, quelli che sono stati
condannati per traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione. Da parte nostra è
difficilissimo orientarci in senso positivo nei confronti di questi soggetti. Per quanto riguarda le etnie degli stranieri
soggette ad espulsioni (che sono 7000 all'anno, di cui 2000 accompagnati alle frontiere) vedi allegato.
Le persone arrestate per furto (che è uno dei pochi reati che prevede la fragranza) vengono portate in camera di
sicurezza, la mattina successiva hanno la direttissima, senza andare in carcere, di solito vengono condannati alla
minima e hanno l'espulsione. E' tutto automatico, quindi voi non riuscite neanche a vederli. Se voleste farlo
sareste i primi a lavorare sulle direttissime. Per lavorare sulle direttissime bisogna inserirsi in quei tempi morti che
precedono l'udienza. Una volta fatta la direttissima vanno in via Corelli, perché non abbiamo mai il biglietto aereo
pronto, e ci stanno da un minimo di 7 a un massimo di 60 giorni. Si può lavorare con questi stranieri perché
stanno lì, al centro. In via Corelli i pochi posti disponibili sono dedicati ai carcerati, che sono per definizione
pregiudicati visto che hanno una sentenza definitiva. Ci sono dei tempi minimi e massimi in cui si può lavorare. I
tempi per i trattenuti si allungano di 48 ore perché il giudice di pace va in via Corelli a fare le convalide e in quella
circostanza gli avvocati (quelli di fiducia) insistono per avere dal giudice qualche cosa. Quello è il momento, è
l'udienza di convalida che si tiene in via Corelli davanti al giudice di pace. Normalmente hanno un giudice d'ufficio,
perciò già sarebbe valida l'assistenza in questo senso. La convalida deve essere fatta entro 48 ore dal fermo.
Il contributo che l'ufficio stranieri della P.S. potrebbe apportare al progetto Odisseo è quello di prendere in
considerazione le vostre richieste, meramente conoscitive, certo non sulla personalità della persona, l'elenco dei
precedenti, i reati fanno parte di quei dati sensibili che richiedono una delega delle persone, che passa attraverso
l'avvocato di fiducia. Quello che possiamo dire per indirizzare, lo facciamo.
Abbiamo avuto una sola persona che è rientrata in Tunisia e nessuna in Marocco, perciò verso il Maghreb ci sono
poche richieste per ora per il rientro.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA ANTROPOLOGICO – CULTURALE TUNISIA
Le ragioni della migrazione e i processi migratori
La migrazione è vissuta come un sogno e una fuga. Si fugge dalla frustrazione di non riuscire a trovare un
lavoro adeguato alla propria preparazione e abbastanza remunerativo, si fugge per cercare maggiore libertà
rispetto ai vincoli famigliari e politici. La condizione socio – economica tunisina viene rappresentata come
fortemente influenzata da modelli di vita occidentali con stili consumistici, attualmente inconciliabili con il
potere d’acquisto reale della maggior parte della popolazione. Non c’è povertà estrema, ma il lavoro operaio e
manuale è retribuito con stipendi considerati bassi e c’è difficoltà a raggiungere livelli di occupazione consoni
all’alto livello di istruzione. Sono presenti anche fenomeni di disoccupazione e di lavoro nero. Le condizioni
delle zone rurali sono di maggiore difficoltà, con scarsità di infrastrutture e stili di vita molto semplici fondati
sull’agricoltura e la pastorizia.
Il sogno è di guadagnare molti soldi per garantirsi un futuro sicuro dal punto di vista economico e di
emancipazione personale. Spesso si tratta di un sogno perché chi emigra non si costruisce un progetto
migratorio sulla base della conoscenza della normative vigenti, delle condizioni socio – economiche dei luoghi
di destinazione, ed invece parte confidando di farcela comunque. La modalità di tentare più volte di entrare in
un paese europeo, anche dopo un’espulsione, pare essere molto diffusa.
Le aree più povere della Tunisia sono il nord – ovest (al confine con l’Algeria), l’est e sud – est (nella parte
desertica), l’entroterra e le periferie urbane. La provenienza di chi emigra è da tutta la nazione ma per quanto
riguarda la Tunisia viene evidenziato il fenomeno delle “catena migratorie”.
In Tunisia c’è un pensiero diffuso che divide l’emigrazione in due tipologie: la alta e la bassa. Chi appartiene
alla alta emigrazione sceglie paesi di destinazione quali Francia, Germania e Canada. Chi mette in atto la
bassa emigrazione si dirige verso l’Italia, facilmente raggiungibile con mezzi di fortuna.
Per quanto riguarda i progetti di rientro onorevole:
• viene sottolineato come sia indispensabile offrire un’occupazione che permetta un certo tenore di vita e
non la mera sopravvivenza
• è bene tenere conto che il Governo tunisino è interessato ad attuare una strategia di decentralizzazione,
volta ad attivare nuovi distretti industriali e poli culturali, in modo da invertire la tendenza secondo cui tutte
le attività economiche, produttive, intellettuali ed istituzionali fanno capo a Tunisi.
Rimanere all’estero o tornare
Gli intervistati delineano due distinti approcci rispetto al desiderio di stabilizzarsi all’estero o rientrare in patria:
• c’è chi attribuisce alla migrazione la funzione di permettere di accumulare risorse economiche sufficienti
ad avviare un’attività nel paese d’origine. In questo caso non viene messo in atto il ricongiungimento
famigliare e vi sono un paio di rientri all’anno per incontrare la propria famiglia in Tunisia. La difficoltà
evidenziata è collegata al tempo necessario per accumulare risorse sufficienti, spesso è superiore al
previsto. Ciò presenta delle conseguenze soprattutto rispetto alla relazione padre – figlio: i figli crescono
senza padre, si creano vissuti di lontananza e situazioni di incomprensione, i figli smettono di dare fiducia
ai loro padri avendo più volte avuto rassicurazioni sul fatto che presto sarebbero tornati senza che ciò si
realizzasse.
• C’è chi decide di rimanere all’estero, si tratta di una scelta che difficilmente viene presa all’inizio del
processo migratorio ma durante la migrazione. Un intervistato ha avanzato l’ipotesi che ciò avviene perché
le persone del Maghreb hanno uno scarso attaccamento alla propria identità culturale e perciò riescono
facilmente ad adattarsi allo stile di vita europeo.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La famiglia
La modalità di accoglienza dipende dalla famiglia, dalla sua sensibilità e dal livello culturale – di istruzione.
Prevale una sensazione di fallimento, che può essere incrementata dalla reazione della famiglia, ma che
comunque appartiene a chi è stato costretto a rientrare. E’ una vergogna, una sconfitta, un poco stemperata
dal fatto che c’è la consapevolezza che si può ritentare.
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Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La cerchia parentale, gli amici e la comunità di origine
Un punto di attenzione individuato riguarda il pregiudizio negativo nei confronti di chi emigra in Italia, poiché in
Tunisia si è creata un’associazione mentale tra emigrare in Italia e il concetto di illegalità, prevalentemente
collegata allo spaccio. Si sa che la persona è stata espulsa, ma non se ne conosce il motivo, e pare che molti
ignorino che si possa essere rimpatriati se non si ha il permesso di soggiorno.
C’è la percezione che la persona abbia sprecato un’occasione, ma per lo più la difficoltà riguarda il rimpatriato
stesso, che vive il ritorno come una colpa, un fallimento, facendo fatica a reinserirsi nella comunità locale.
Gli intervistati riportano diverse testimonianze su come vivono in Tunisia persone che sono state rimpatriate,
la cifra comune è data dalla difficoltà di reinserimento nella società tunisina e dalla ricerca di una nuova
occasione per emigrare. Le ragioni di ciò sono la difficoltà a trovare lavoro, l’assenza di supporto
all’inserimento lavorativo, l’interesse nei confronti di altri paesi e la difficoltà di riadattarsi al proprio.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato – Mass media
I mass media non parlano dei rientri forzati, preferendo occuparsi dei processi migratori di successo e delle
attività messe in opera dalla Tunisia a favore degli emigrati (comitati di accoglienza, corsi di arabo durante
l’estate, colonie per bambini figli di emigrati). L’atteggiamento del Governo tunisino è che gli emigrati
continuino ad essere tunisini e abbiano percorsi di inserimento nei paesi che li accolgono.
Tipologia di reati maggiormente commessi in Tunisia
Furti, falsificazione di assegni ed assegni scoperti, spaccio, abusi sessuali, corruzione.
I reati sopportati
La corruzione, perché molto diffusa; i piccoli furti commessi per necessità, reati collegati ad infrazioni dei
regolamenti di convivenza civile, il non avere documenti (l’essere clandestini non è percepito come un reato),
lo spaccio che viene considerato una cosa da niente, normale, non un reato.
E’ stata espressa un’altra percezione secondo cui nei paesi arabi nessun reato è considerato sopportabile, per
una questione di organizzazione politica – istituzionale.
Modalità di accoglienza per chi ha commesso un reato
Dipende dall’ambiente da cui proviene, poiché in alcuni quartieri “malfamati” è un vanto aver commesso un
reato all’estero. Viceversa in altri ambienti non sarebbe più ritenuto affidabile e verrebbe trattato con cautela.
Comunque non è detto che la persona espliciti quello che gli è accaduto all’estero, anzi si ritiene più probabile
che lo nasconda. Viene rilevata anche la tendenza ad un sistema di protezione all’interno della famiglia, che
quindi potrebbe saperlo e tenerlo nascosto ad altri.
Per quanto riguarda l’aver fatto parte di associazioni criminali viene considerata un’azione di una certa gravità,
forse anche perché la percezione generalizzata è che in Tunisia non esista qualcosa come la mafia. Malgrado
ciò viene espressa la sensazione che la famiglia comunque riaccoglierebbe questa persona.
Nei programmi di reinserimento per il rientro onorevole è importante tenere conto della tipologia di reato
commesso, di come esso è percepito da chi l’ha commesso e dalla comunità in cui rientrerà. Sarebbero da
escludere dal programma di rientro onorevole persone con un profilo criminale alto, che si sono macchiate di
crimini quali traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, violenza sessuale.
Mentre ci sono reati meno gravi, per esempio quelli contro il patrimonio o quelli che prevedono la fragranza,
che vengono percepiti con più indulgenza, perché commessi più per necessità e per mancanza di prospettive
che per la reale appartenenza ad associazioni criminali e per l’identificazione della persona con profilo
criminale alto.
Un aspetto da sondare sarà quello di verificare la possibilità di coinvolgere nei progetti di rientro onorevole
anche le persone arrestate per furto (che è uno dei pochi reati che prevede la fragranza). La procedura in
questo caso è che al momento dell’arresto i sospettati vengono portati in camera di sicurezza e la mattina
successiva hanno il processo per direttissima, senza andare in carcere, e che se sono condannati gli viene
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data la pena minima e l'espulsione. Sono quindi condotti al Centro di Permanenza Temporaneo, perché non
c’è mai il biglietto aereo pronto, per un periodo minimo di 7 giorni e massimo di 60 giorni.
Per realizzare progetti di rientro onorevole con persone condannate per questo tipo di reato è indispensabile
poter lavorare all’interno dei Centri di Permanenza Temporanea.
Condizioni di comportamento favorenti l’aiuto
Viene rilevata una disponibilità di fondo da parte della società Tunisia ad atteggiamenti di solidarietà e di aiuto
anche nei confronti di chi ha sbagliato ed è disposto a non ripetere l’errore.
Sono apprezzate le persone che lavorano onestamente e quelle che hanno successo, soprattutto economico.
Dove prevedere gli inserimenti lavorativi
Dalle interviste emergono tendenze diverse, l’una centrata sulla persona che si focalizza su:
• Evitare di far rientrare la persona nella sua comunità di origine per non fargli vivere la frustrazione del
fallimento
• Costruire progetti ad hoc sulla persona che tengano conto delle sue relazioni famigliari e della possibilità
di avere organizzazioni referenti serie sul posto
• Impostare il progetto di reinserimento in base al mestiere che la persona sa fare
L’altra centrata sul territorio, secondo cui:
• È possibile pensare progetti che aiutino le persone ex detenute che rientrano e anche la comunità locale,
in questo caso la collocazione ideale sarebbe nell’area sud e sud-est
• Pensare a degli inserimenti lavorative presso ditte straniere che lavorano sul territorio tunisino, nella
regione di Soux pare ve ne siano parecchie
• Tenere in considerazione la regione di Soux perché è in costruzione un grande porto commerciale che ha
l’ambizione di diventare il primo porto dell’Africa
• Un settore interessante è l’agricoltura che recentemente ha visto un interesse da parte di imprenditori
agrari stranieri, i quali hanno impiantato attività produttive basate su sistemi all’avanguardia e i cui prodotti
sono destinati all’esportazione
• Le attività turistiche risultano essere un settore controverso, poiché alcuni lo ritengono promettente mentre
altri sottolineano la presenza di una forte concorrenza
I lavori concorrenziali in Tunisia e la formazione professionale
Nel settore industriale viene suggerito di attivare accordi con le aziende che lavorano in Tunisia che
prevedano una riqualificazione professionale e l’inserimento lavorativo.
In agricoltura la coltivazione in serre e di primizie per l’esportazione.
Nel settore edilizio e dell’artigianato mancano operai specializzati e tecnici.
Rispetto al turismo possono essere sviluppati i servizi secondari e l’indotto: autisti di pulman, guide, gestori di
maneggi etc, ma servono anche persone che si occupino di manutenzione delle strutture.
C’è stato un grande investimento sull’industria della trasformazione degli alimentari (olio, vino, pesce)
Costo della vita
Il costo della vita è molto elevato se rapportato al reddito.
Un operaio guadagna 200 euro al mese, un impiegato 600 euro al mese.
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DOMANDE AREA DELLE BUONE PRASSI
DOMANDA 26
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DOMANDA 27
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DOMANDA 28
DOMANDA 29
K.
DOMANDA 30
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K.
Le risulta che suoi connazionali rimpatriati abbiano trovato la solidarietà della loro comunità ed abbiano
trovato un lavoro?
I due ragazzi che erano emigrati in America hanno avuto la solidarietà delle famiglie perché li hanno riaccolti in
casa, poi uno dei due è riuscito a trovare lavoro e comunque è stato aiutato a rientrare nel giro. C'è solidarietà
perché dispiace veramente in questi casi. Il fatto di non avercela fatta e di avere sprecato una possibilità molto
invidiata fa scattare da un lato una pietà e dall'altro il considerarlo come una persona che si è lasciata sfuggire
un'occasione, che “se fosse capitata a me avrei sfruttato sicuramente meglio”. Quindi una solidarietà frammista ad
un po' di cattiveria.
Le persone che rimangono a lungo in Europa creano un po’ una frattura con il proprio paese e questo le porta a
diventare straniere in Europa e straniere nel suo paese. In questi casi la solidarietà ce l’hanno più qua, perché
organizzano il gruppo qua, non là: non penso che troverebbero nel loro paese una grande solidarietà. Per
migrazioni più brevi penso che i legami rimangano abbastanza forti e se tornasse avrebbe il sostegno.
Esistono dei percorsi lavorativi costruiti ed offerti dalla sua comunità a suoi connazionali rimpatriati?
No.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete mai aiutato ex-detenuti o rimpatriati a reinserirsi nel
mondo del lavoro del loro paese di origine?
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete incontrato tra i lavoratori o tra i funzionari, dello stato con
cui operate, degli ex-detenuti o dei rimpatriati dopo il fallimento di un progetto migratorio?
Noi abbiamo avuto alcuni incontri con extra comunitari che vivono qui e vogliono realizzare alcune iniziative nei
loro paesi, perché attraverso i contatti con i famigliari pensano di poter realizzare qualcosa nel loro paese.
Difficilmente loro dicono voglio realizzare un progetto per tornare là, in genere dicono voglio realizzare questo per
dare lavoro ad amici, famigliari ect.
Non abbiamo mai incontrato funzionari stranieri con un’esperienza migratoria, probabilmente queste persone
appartengono ad un ceto sociale che non è attratto dalla migrazione.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Siete a conoscenza di buone prassi o di normative che
favoriscono il reinserimento di ex-detenuti o rimpatriati nel paese estero in cui operate? o nel vostro
paese di origine?
Rispetto al rientro assistito abbiamo partecipato ad alcuni tavoli di discussione sulla tematica per verificare la
possibilità di trasferire l'esperienza dei servizi di assistenza italiani nei paesi terzi. Sappiamo che i problemi sono
molti, che spesso i programmi non sono appropriati rispetto all'inserimento. Bisogna lavorare molto nei paesi terzi,
perché senza una preparazione di rete forte questi rientri cadono, durano poco. Se il progetto di rientro fallisce la
persona attiva un nuovo tentativo migratorio. Inoltre bisogna conoscere le realtà territoriali dove avverrà il rientro,
in modo da poter valutare se esse sono adeguate al rientrante.
I progetti che abbiamo sostenuto in Perù riguardavano: 1) il sostegno nel settore educativo della formazione
professionale o nel settore dell'acqua per il miglioramento della distribuzione dell'acqua, per esempio a
Villasalvador, che sono Pueblos Jovenes (che si trovano alla periferia di Lima). 2) lo sviluppo agricolo in zone
rurali.
Abbiamo avuto una unica esperienza di progetto di rientro di un gruppo di adulti con la comunità Eritrea. Questa
esperienza è stata fatta con lo IOM. Era un esperimento nostro e anche loro, nel senso che era un progetto di
rientro di gruppo, un gruppo di 12 persone. Né IOM né noi avevamo ancora fatto progetti di gruppo. E' stato fatto
in collaborazione con la comunità eritrea in Italia. Rispetto a questa esperienza le buone pratiche individuate
sono: che ci sia una chiarezza del percorso, condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte
del gruppo o della persona obbiettivo. Che sia garantito un adeguato percorso formativo qui prima che la persona
rientri. Che là ci sia una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al credito alle persone
o al gruppo che rientra. Un'altra cosa che ha garantito la riuscita del nostro progetto è stato mantenere il legame
con noi (il progetto era l'inserimento lavorativo nel campo delle telecomunicazioni, cioè mettere in piedi un servizio
di video e ripresa per la televisione eritrea e soggetti privati), quindi è stato fondamentale mantenere un legame
tra la scuola di cinema e televisione del comune di Milano e loro. Tale legame era fatto di rapporti telefonici e
scritti in modo che avessero garantito un supporto tecnico, se si spaccava una macchina o se era necessario un
pezzo di ricambio. E’ indispensabile prevedere di mantenere un legame nel tempo allentandolo poco alla volta. La
stessa IOM ha come regola di imporre un periodo di tempo fisso prima che i mezzi di produzione passino di
proprietà, tutte le telecamere per un x numero di anni sono rimaste di proprietà dell'IOM, solo in seguito è
avvenuto il passaggio di proprietà.
Noi puntiamo molto sul discorso della sostenibilità dei progetti, ovverosia che il progetto una volta concluso possa
continuare senza il nostro coinvolgimento. Per questo diamo molta importanza al coinvolgimento nel progetto di
soggetti locali e al fatto che nel progetto venga utilizzato anche del personale locale, che possa essere formato e
che poi a sua volta possa formare. E’ importante anche il trasferimento di know how e di competenze e
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P.
conoscenze da parte del soggetto italiano che realizza il progetto in collaborazione con la controparte locale.
Teniamo molto a precisare il ruolo della controparte, che deve ricoprire un ruolo attivo. Quindi il trasferimento, la
conoscenza, con un coinvolgimento attivo in modo che il progetto possa proseguire anche senza il soggetto
italiano. Un altro elemento è uno studio, una valutazione a monte, delle opportunità che il territorio offre a livello
locale. Per esempio ci sono dei progetti che si basano sulla medicina tradizionale, oppure che prevedono
l’impiego di tecniche migliori per coltivazioni già presenti. Questa analisi di fattibilità iniziale è fondamentale per
poter capire quali sono le opportunità che il territorio offre.
In alcuni ambiti particolari, come quello sanitario, un contributo da parte dei soggetti europei è importante, se non
fondamentale. Noi facciamo dei gemellaggi, per esempio tra ospedali lombardi e ospedali di paesi terzi. Quello
che viene fatto in questi progetti è proprio il trasferimento di know how da personale sanitario europeo a personale
dei paesi terzi. Proprio perché su alcuni ambiti gli europei hanno un livello di conoscenza superiore. Alcune volte è
capitato anche che i medici italiani non avessero conoscenza tecnica superiore, ma il bisogno degli ospedali dei
paesi terzi era rispetto agli aspetti organizzativi. Spesso nei paesi terzi non c’è l’idea di come si faccia
l’organizzazione di un ospedale, quindi il nostro affiancamento è importante in questo senso. A volte hanno i
mezzi ma non li sanno utilizzare al meglio, perciò l’affiancamento li aiuta in questo. Anche la forma di micro
impresa rivolta alle donne viene realizzata con una forma di affiancamento per l’organizzazione della micro
impresa, poi loro sono capaci. Per esempio io ho partecipato ad un convegno sulle donne africane e la cosa che
mi ha stupita è stata che loro hanno chiesto di non mandare soldi ma risorse che le aiutassero a capire come
organizzarsi, perché per il resto ci potevano pensare loro. E’ proprio un discorso di organizzazione delle varie
attività in tutti i settori. La metodologia che riteniamo più funzionale è di prevedere una prima parte di progetto con
un contributo consistente delle organizzazioni europee, poi una fase di affiancamento che mantenga un legame
che progressivamente diminuisce fino a che la realtà del paese terzo diventa autonoma. Perché non bisogna
pensare di abbandonarli immediatamente. Ci vuole un coinvolgimento loro, quando il progetto nasce deve essere
progettato insieme (europei e paesi terzi), perché deve essere sentito, solo in questo modo sarà un progetto di
successo, perché loro hanno partecipato alla creazione, in base alle loro esigenze. Anche i rappresentanti delle
nostre associazioni, che conoscono le realtà locali e che vivono là da anni, non possono avere le esigenze che ha
la persona che è nata in quel posto e che vive quella realtà, con una cultura diversa dalla nostra. Quindi il progetto
deve essere condiviso. E’ necessario fin dalla progettazione coinvolgere le realtà locali dei paesi terzi, di chi poi
avrà la gestione del progetto. In genere i progetti nascono sulla base di esigenze che sono locali. Per esempio nei
progetti sanitari di gemellaggio, essi vengono fatti con i nostri ospedali, ma la componente maggiormente
coinvolta non è quella dei medici bensì quella degli infermieri, perché c’è proprio bisogna di puntare l’intervento ad
un livello organizzativo, è l’organizzazione dell’ospedale che manca. Nel caso del vostro progetto si tratta di un
capovolgimento della logica che abbiamo esposto, perché l’esigenza parte da noi e dobbiamo farla capire a loro e
coinvolgerli. Il problema è che avrete relazioni con paesi che non sono molto sensibili alle esigenze degli altri.
In Tunisia abbiamo finanziato soprattutto progetti di micro-credito, tutti rivolti a donne. Questo perché le donne
sono molto più affidabili degli uomini, sono più motivate e danno grandi soddisfazioni. Inoltre questi progetti vanno
avanti, nel senso che rimangono continuativi nel tempo. Sono le donne il motore dello sviluppo. La cultura rende
gli uomini inaffidabili; anche per il fatto che la donna, dovendosi occupare dei figli, ha una visione più valida
dell’uomo, anche a livello organizzativo. Nelle regioni africane è la donna che va a prendere l’acqua, e l’uomo è lì,
aspetta, a volte è molto violento. Nel convegno delle donne africane è intervenuta una donna, sorella del
Presidente dello stato di cui, quando lui è stato ucciso, lei ha preso il posto. Nel suo intervento lei raccontava le
violenze che ha subito da parte del marito con una tale tranquillità, per me inconcepibile. E’ l’uomo che conta, ma
è inattivo, lui aspetta e pretende. Raccontavano che se c’è un pezzo di pane, la mamma lo divide col bambino o lo
dà al bambino, il padre se lo mangia lui e non lo divide con nessuno.
Un progetto come il vostro di reinserimento lavorativo è bene che si basi sul ruolo che le donne hanno in queste
culture.
In Marocco abbiamo finanziato un progetto di cooperativa femminile per realizzare tappeti. Anche lì la persona
che lo sta portando avanti diceva che si trova molto entusiasmo e motivazione tra le donne.
In un progetto in Libia c’era una ragazzina che era entusiasta di fare un corso di parrucchiera perché questo le
consentiva di superare il suo isolamento, perché raccontava che le ragazzine stanno in casa e aspettano di
sposarsi, questo è l’unico obbiettivo della loro vita. Gli organizzatori ci dicono che fanno proprio fatica a trovare le
ragazze che seguano il corso.
La cooperazione italiana ha affidato al Cesvi la stesura di uno strategy paper su migrazione e sviluppo. Si tratta di
una cosa che sta sempre più interessando la platea internazionale, a livello di commissione europea è già stata
istituita una commissione su questa tematica. L’Italia la sta definendo. La strategy paper serve a collegare il
discorso migratorio al discorso dello sviluppo nei suoi vari aspetti, perché per ora si parla solo di rimesse, ma la
tematica non è stata ancora affrontata in maniera precisa e analitica, per cui ci sono diverse visioni. Entro fine
anno si dovrebbe arrivare ad un documento condiviso. E’ un argomento che è su tutti i tavoli. Ci accorgiamo che
tanti organismi stanno occupandosi di questo problema.
Gli esperimenti che come Mani Tese sono stati fatti sono stati tentativi dall'interno, nel senso che Mani Tese ha
una grossa base associativa, con un sacco di volontari sparsi per l'Italia e in molti dei gruppi di Mani Tese ci sono
anche degli extracomunitari che partecipano alle attività di volontariato. In particolare in alcuni gruppi ci sono delle
69
DOMANDA 31
DOMANDA 32
C.
D.
comunità straniere che partecipano molto, per esempio il gruppo di Firenze ha un certo numero di volontari
stranieri.
L'esperienza che abbiamo avuto riguarda attività generatrici di reddito, per esempio la creazione di una
produzione avicola in Benin, che sarebbe stata gestita da un'associazione locale che avrebbe coinvolto la
comunità di un villaggio. Il villaggio avrebbe gestito l'attività produttiva per svilupparla.
Il progetto sarebbe stato attivato, seguito e promosso da alcune di queste persone che rientrano dall'Italia.
Segnalo due grandi problemi. La cosa è stata fatta perché Mani Tese ha ritenuto che andasse sperimentata sia
come tipologia di aiuto alla cooperazione sia come un'azione di cooperazione partecipata promossa dalla nostra
esperienza qui e dai rapporti tra i nostri soci volontari. Le persone coinvolte nel progetto tornano in Benin, prima
debolezza grossissima è che questa associazione locale esiste e non esiste, nel senso che poi alla fine si basa
sulle persone che sono rientrate e sulla loro sfera famigliare. Il fatto che tutto si svolga a partire da rapporti
parentali crea qualche problema, perché gestire e monitorare in loco un progetto che viene gestito da una famiglia
è molto più difficile che gestire un progetto gestito da una comunità in cui la gente si protegge a vicenda, invece
nel caso della famiglia essa fa l'interesse della famiglia. Secondo problema: le persone che sono rientrate, nel
nostro caso, hanno assunto l’atteggiamento degli “americani”. Cioè camminano a due metri da terra, mostrano di
aver svoltato e di aver risolto la vita a sé e a tutta la famiglia, mostrano di aver fatto un'esperienza assolutamente
inimmaginabile e si tengono distaccati culturalmente, si sentono elevati culturalmente. Quindi assumono il ruolo di
capi della faccenda. In più tornano con una valigetta, un tot di soldi per promuovere un’attività e far lavorare tutti
quanti. Quindi dal punto di vista culturale la cosa non funziona, cioè toglie tutta quella neutralità che invece ha il
sostegno ad una comunità con la quale non c'è nessuna relazione. Perché invece qui si va sulle conoscenze.
Altri problemi: non è stabile il fatto che queste persone se ne stiano lì, perché c'è chi dopo sei mesi gli viene il
prurito per cui lì non vuole più vivere e gli viene la nostalgia dell'Italia, e così o tornano in Italia oppure vanno e
vengono, perché magari si inventano un import - export, oppure prendono e vanno da un'altra parte perché lo
hanno fatto una volta, è andata bene e lo possono rifare. Si questa modalità ha incidenza il fatto che quelle sono
persone che hanno già fatto una scelta, il fatto di essere andati via da un villaggio rurale non è una scelta da
niente, è una cosa che comporta pensiero, organizzazione, capacità comunicativa, è una cosa abbastanza
importante. Quindi in qualche maniera è gente che non è detto che sia stabile lì, una volta tornata non è detto che
ci stia, soprattutto se hanno fatto esperienze forti, importanti. Si tratta di persone che hanno fatto un passo avanti
culturale perciò tornando indietro si rendono conto dei limiti della cultura e della famiglia, per esempio rispetto a
come si organizzano i matrimoni, rispetto a come è strutturata la società in una zona rurale, e quindi culturalmente
c'è un distacco. In base a ciò o la cosa va estremamente bene da un punto di vista economico oppure vanno,
mettono su questa produzione, ci mettono tre o quattro persone che ci lavorano dentro, cioè fanno i responsabili
di questa cosa, però senza in realtà arrivare a grandi risultati.
Nel nostro caso i due progetti dal punto di vista della riuscita sono tutti e due andati male, nel senso non hanno
ottenuto il risultato atteso né economicamente né culturalmente. Perché queste persone se ne sono tornate
indietro, quello che è rimasto sul terreno è poco o niente, dove c'è qualcosa non ha niente di comunitario ma è
assolutamente un'attività della famiglia. I nostri obiettivi non sono di far crescere piccoli imprenditori locali,
abbiamo come obiettivo quello di sviluppare comunità, quindi per noi i due progetti realizzati non rappresentano
un successo. Magari chi ha un obbiettivo sull'individuo, può considerare un successo il fatto che quell'individuo si
sistemi.
Inoltre nelle nostre esperienze le associazione locali esistono solo a condizione che ci sia la presenza di chi
rientra, senza di loro non esistono. Quando sono stati giù a lavorare su questi progetti in realtà erano i padroni
assoluti, nel senso che se io torno in Benin con una valigetta per fare un pollaio tu mai mi potrai dire "secondo me
è meglio che lo facciamo così", i soldi li ho portati io perché sono andato in Italia, perché ho conosciuto certa
gente, perché questa gente ha avuto fiducia di me e mi ha dato i soldi, quindi taci e il pollaio si fa come dico io.
Mentre in una situazione normale di un nostro progetto ci sarebbe stato un comitato locale di gestione di questo
pollaio e tutti avrebbero avuto la stessa possibilità di dire la loro opinione, con un equilibrio di posizioni. In questo
caso c'è questa figura nuova che vale anche di più del capo villaggio perché alla fine è quello che sbaraglia tutto.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete subito reati nel paese in cui avete operato? Quali reati? Li
avete denunciati? Vedevate compiere reati e di che tipo?
(Per i cooperanti o camere di commercio) Pensa che per proporre degli inserimenti lavorativi di rimpatriati
ci si possa affidare alle strutture di assistenza presenti nella nazione in cui opera, o ritiene che si possano
raggiungere migliori risultati cercando l’aiuto di organizzazioni non governative di stati esteri?
Bisogna puntare più sui rapporti istituzionali per evitare la corruzione e poter gestire il controllo, anche perché in
Tunisia la società civile e tutte le sue componenti non sono libere di agire, non hanno un margine d’azione. Gli
enti istituzionali da coinvolgere sono Comuni, Regioni, lo Stato, bisogna fare degli accordi scritti, che prevedano
degli strumenti di controllo. Per avere una cosa concreta bisogna rivolgersi allo Stato, non ci sono altre soluzioni.
Per arrivare allo Stato bisogna attivare un contatto diretto, perché essendoci molta corruzione se si aumentano i
passaggi ognuno cercherà di portare acqua a casa sua. Potreste inserire il vostro progetto dentro un programma
di cooperazione già in atto.
Ci vuole un appoggio politico, collegamenti con le aziende in modo da sapere dove sono i posti di lavoro, bisogna
70
J.
K.
P.
avere un appoggio da chi segue queste persone anche per esempio all’interno del consolato. La Tunisia ha delle
buone istituzione e i progetti promossi da enti europei vengono bene accolti.
E' necessario coinvolgere il governo, almeno il governo locale ma anche le ONG presenti sul territorio. Bisogna
avere una conoscenza buona delle ONG, perché succede che in questi paesi alcune ONG siano fasulle, bisogna
prevedere anche la presenza di un espatriato che segua il progetto, perché basarlo solo su ONG locali è quanto
mai pericoloso. Rispetto alle ONG locali è bene chiedere alle ONG italiane, perché di solito hanno rapporti con
partner locali e quindi si può partire con un loro appoggio.
E’ funzionale soprattutto lavorare con le associazioni perché riescono ad allacciare i rapporti con le municipalità,
quindi col territorio, perché le associazioni hanno la conoscenza del territorio. Ci deve essere anche una cornice
politica, che favorirebbe progetti tipo il vostro, altrimenti il rischio è di iniziare un progetto che poi a livello di
municipalità viene interpretato come qualcosa di imposto da un altro paese, e questo non è funzionale. E’ logico
che i tempi della burocrazia sono diversi dai tempi delle associazioni, che operano molto rapidamente, mentre
trovare gli accordi a livello politico è molto più lungo e complicato. Se c’è un accordo governativo è più facile per
gli operatori portare avanti un certo tipo di progetto. Noi chiediamo che il progetto non sia calato dall’altro, ma
chiediamo delle lettere di intesa e di partecipazione e collaborazione, con il coinvolgimento di associazioni sul
territorio e della municipalità. Solo così può funzionare un progetto. A monte, visto il problema di cui vi occupate,
se non c’è l’accordo col governo e con l’istituzione non credo il vostro progetto possa avere le gambe per
camminare.
Come cooperazione internazionale finanziamo progetti in tutti i settori. L’obiettivo del progetto deve favorire l’autosviluppo locale e ci deve essere una sinergia con le strategie locali, nel senso che deve comunque essere in
appoggio delle municipalità o delle regioni. Ci deve essere una omogeneità con la strategia locale di sviluppo del
paese e dell’area dove si va ad operare. I progetti vengono presentati da ONG e associazioni che hanno come
attività prioritaria la cooperazione allo sviluppo. Gli ambito sono i più diversi: formazione professionale, sanità,
agricoltura, cultura.
Il reinserimento socio-lavorativo di persone con un percorso migratorio fallito può essere contemplato tra i progetti
che finanziamo, ma deve essere concordato con le autorità locali. Le nostre ONG conoscono il territorio,
collaborano con le municipalità e le associazioni locali. Per rendere operativo il vostro progetto è necessario
creare degli accordi con le municipalità, i governi, fin dall’inizio del progetto.
La cooperazione internazionale non finanzia attività ad individui e non supporta attività per individui, supporta
invece attività per comunità e per gruppi, per associazioni, gruppi di produttori, gruppi di villaggio.
Nella vostra idea progettuale l'azione è basata sull'individuo, quello che interessa è che l'individuo torni indietro, e
quindi tutto si gioca sulla persona non sulla comunità.
Il lavoro che dovrete fare voi è verificare cosa esiste e dove, e verificare se le persone disponibili a rientrare sono
persone che possono entrare in quella realtà. Mi riferisco alle centinaia di progetti magari di formazione fatti anche
dalle realtà non governative che hanno come beneficiari i locali e che potrebbero accogliere situazioni particolari.
Questo potrebbe darvi l'occasione di collaborare con realtà che sul territorio già funzionano. Dei casi di
abbinamento ci potranno certo essere.
Sarebbe importante capire se c'è già un network capillare da cui si potrebbe partire. Le cose più capillari sono
quelle organizzate dai religiosi. Dovete studiare quei paesi per vedere quali realtà ci sono. E poi bisogna fare una
verifica in luogo, per trovare la disponibilità di una serie di centri ad accogliere dei nuovi beneficiari.
Una questione importante da prevedere è chi fa il monitoraggio sul posto, bisogna garantirsi che la cosa sia
seguita.
Bisogna fare uno studio su quali sono le realtà recettive, i potenziali recettori di queste persone nei loro paesi
(imprese, servizi sociali locali, ONG, missionari). Secondo me una cosa del genere costringe a lavorare ad hoc.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA DELLE BUONE PRASSI - TUNISIA
Non ci sono esperienze realizzate di progetti di rientro onorevole in Tunisia per persone ex detenute.
Rispetto alla specificità tunisina gli elementi sottolineati dagli intervistati sono stati:
• La necessità di puntare sui rapporti istituzionali, come garanzia volta ad evitare fenomeni corruttivi e per
creare accordi che prevedano la possibilità di gestire il controllo del progetto. Gli enti istituzionali da
coinvolgere sono Comuni, Regioni, lo Stato, con i quali sottoscrivere programmi di intesa e convenzioni.
• Evitare il moltiplicarsi di passaggi e il coinvolgimento di molti livelli diversi per scongiurare il rischio di
imbattersi nella corruzione.
• Verificare la possibilità di inserire il progetto di rientro onorevole all’interno di un programma di
cooperazione già in atto.
• Attivare collegamenti con le aziende già operanti sul territorio tunisino
Rispetto all’esperienza di rientro di alcuni cittadini eritrei le buone prassi individuate riguardano:
• chiarezza del percorso
• condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte del gruppo o della persona
obbiettivo
• adeguato percorso formativo prima del rientro
• presenza nel paese terzo di una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al
credito alle persone o al gruppo che rientra
• prevedere un periodo in cui mantenere i legami anche a distanza, in modo da garantire un supporto anche
tecnico. Il legame va mantenuto nel tempo e allentato poco alla volta.
Rispetto ai progetti di cooperazione internazionale realizzati le buone prassi individuate riguardano:
• coinvolgimento del governo, almeno a livello locale
• coinvolgimento delle ONG presenti sul territorio, previo un preliminare monitoraggio per verificarne
l’affidabilità
• prevedere la presenza di almeno un cooperante che segua il progetto in loco
• creare progetti sulla base di un’analisi di fattibilità
• coinvolgere le realtà dei paesi terzi nella fase di progettazione
• creare progetti che prevedano la sostenibilità, ovverosia che il progetto una volta concluso possa
continuare senza il coinvolgimento della cooperazione internazionale
• prevedere l’impiego di personale locale nel progetto, in modo da garantire il trasferimento di know how e di
competenze e conoscenze
• indispensabilità di un ruolo attivo del partenariato del paese terzo
Viene sottolineato l’importanza del ruolo delle donne per la buona riuscita dei progetti.
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INTERVISTE
LA ROMANIA
Interviste realizzate con:
FONTE: gruppo di controllo
A. Mediatrice culturale
B. Mediatrice culturale
C. Rappresentate Associazione Rumeni in Italia
D. Donna rumena con regolare permesso di soggiorno
FONTE: detenuti
E. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate di etnia rom
F. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate
G. Detenuto alla seconda Casa di Reclusione di Bollate
FONTE: istituzionale
I.
J.
K.
L.
M.
Croce Rossa Italiana
Cooperazione decentrata Comune di Milano
Cooperazione internazionale Regione Lombardia
Ufficio stranieri Polizia di Stato
Console generale della Romania
FONTE: cooperazione internazionale
Q. Caritas Ambrosiana
R. IOM (International Organization of Migration)
73
DOMANDE AREA LEGALE
DOMANDA 1
A.
C.
I.
L.
M.
Q.
Esiste una normativa di accordo tra lo Stato italiano e la sua nazione che regola il rientro forzato?
Se si, spiegare le regole degli accordi.
Le persone nei CPT vengono mandate in Romania con trasporto pagato dalla Stato Italiano. Quando arrivano in
Romania vengono presi in consegna dalle forze dell'ordine, fanno un colloquio e dopo sono persone libere.
Questo comporta solo che quelle persone non possono più rientrare in Italia e nello spazio Schengen per 5 anni.
E' la parte Europea che determina questa proibizione, non la parte rumena.
Per quanto so io non c’è un accordo diplomatico di reciprocità tra Italia e Romania. Per evitare problematiche di
reati da parte dei rumeni sul territorio italiano (come anche da parte degli italiani sul territorio rumeno) è stato fatto
un altro accordo secondo cui il ministero degli affari interni rumeni ha inviato in Italia una persona adatta per fare il
collegamento con la polizia italiana. Qui al Consolato c’è un colonnello, come c’è anche a Roma, che
intervengono per i reati gravi o per i ricercati.
Per quanto riguarda la Romania c'è un accordo bilaterale, quindi i controlli da parte della Questura sono molto più
veloci perché le autorità consolari rumene rilasciano dei lasciapassare collettivi. Cioè non vanno ad individuare
persona per persona, ma collettivamente. Infatti sono previsti, a differenza di altre nazioni, dei voli charter in
accordo con la polizia rumena che spesso viene direttamente a prendere le persone da espatriare in Italia, e li
riportano in patria.
Non lo so perché dipendono dal Ministero degli esteri, certamente è più semplice con l’Albania, dove le forze di
polizia italiane si sono recate per formare ed istruire le forze di polizia rumene, in questo caso c'è una
collaborazione massima; ciò accade anche con la Romania, c'è stato con la Bulgaria, e non potrebbe essere
altrimenti per le nazioni che fanno istanza di entrare in Europa.
Devo fare una premessa, la comunità rumena composta da persone legali e illegali, è la più importante in Italia.
Come numero di reati commessi in Italia gli emigrati rumeni sono al terzo posto, ma se si rapporta questo dato al
numero dei rumeni presenti in Italia si scende al diciassettesimo posto. Per questa ragione le Questure italiane
dicono che non hanno grossi problemi con i rumeni. Inoltre l'80% dei reati sono reati alla legge di immigrazione, a
causa del fatto che l’Italia è l'unico paese dello spazio Schengen nel quale in 8 giorni la persona deve procurarsi il
permesso di soggiorno. Alla gran parte dei rumeni succede che mettono il visto dello spazio Schengen tra
Ungheria ed Austria, spesso sono stati 3 giorni in Austria, 2 in Germania, 2 in Francia, e arrivano in Italia che sono
già in colpa. Per quanto riguarda gli altri reati si tratta di reati minori, rubano qualcosa da mangiare, mettono due
giacche una sopra l'altra ai supermercati, non si tratta di criminalità organizzata. Anche nel campo della
prostituzione, ambito in cui ci sono molte cittadine rumene (anche minorenni), queste sono gestite dalle catene di
sfruttamento di altre nazioni. Si sono firmati degli accordi tra Romania e quasi tutti i paesi dell'Unione Europea e
dello spazio Schengen, uno dei primi fu con l’Italia, i cosiddetti accordi di riammissione, secondo i quali quelli che
non hanno rispettato le leggi italiane, per vari motivi, possono essere rimandati in Romania. Ci sono anche
accordi di estradizione e ci sono anche accordi affinché la pena venga scontata in Romania. Questi accori
funzionano veramente bene, anche per il fatto che, secondo gli accordi fatti, ci sono sia in frontiera italiana ufficiali
romeni che lavorano insieme a quelli italiani, sia in frontiera rumena ufficiali italiani che lavorano insieme a quelli
rumeni. E in più, secondo un altro accordo, l’Italia ha in Romania rappresentanti della polizia italiana, e la
Romania ha in Italia (presso l'ambasciata e i consolati) addetti rumeni che lavorano insieme alle Questure,
carabinieri, polizia locale e così via.
Esistono degli accordi di riammissione con la Romania, si tratta di accordi di collaborazione tra Italia e il paese di
provenienza più che di rientro forzato. Nel senso che il cittadino straniero, che viene trovato sul territorio italiano
senza permesso di soggiorno oppure che ha commesso un reato e si trova in carcere o che ha commesso un
reato che non consente poi il rinnovo o l'ottenimento del permesso di soggiorno, ovviamente dovrà essere
espulso. Viene quindi portato nel CPT e le autorità di pubblica sicurezza italiane hanno la possibilità di prendere i
contatti con le autorità diplomatiche del paese di appartenenza della persona, affinché la persona venga
identificata e gli venga rilasciato il documento di viaggio fondamentale per poter far rientrare la persona nel paese
di origine. Se non esistono questi accordi di riammissione ovviamente è più difficile l'identificazione, perché non
c'è la collaborazione da parte dei consolati, e quindi risulta vano il trattenimento di identificazione durante la
permanenza nei CPT. Nel caso in cui la persona da rimpatriare non venga accompagnata in frontiera, essa, una
volta scaduti i 60 giorni (tempo massimo di trattenimento), si ritrova sul territorio italiano con un invito, un obbligo,
di lasciare l'Italia entro 5 giorni, che ovviamente non viene ottemperato.
In cambio di questa collaborazione l'Italia prevede delle quote privilegiate di ingresso di cittadini stranieri
provenienti da quei paesi con cui l'Italia ha sottoscritto questi accordi, all’interno della pubblicazione annuale del
decreto flussi.
Per i cittadini di paesi che non hanno sottoscritto accordi con l'Italia, quando essi si trovano nei centri di
permanenza temporanea, le autorità di pubblica sicurezza chiedono al consolato, al presumibile consolato di
competenza, la collaborazione. Ci sono consolati che non intendono collaborare con l'Italia perché non ci sono
74
R.
DOMANDA 2
A.
B.
C.
F.
G.
I.
questi accordi, altri consolati che invece, a seconda del periodo storico, collaborano nonostante non ci siano
accordi.
Io non li conosco come accordi tra paesi, comunque c'è collaborazione. Noi come organizzazione internazionale
abbiamo una collaborazione buona, in particolare l'abbiamo avuto con l'ambasciata e il governo rumeno, anche
attraverso il nostro ufficio in Romania, ma anche qua. Abbiamo un'ottima collaborazione nel caso di rientri dei
rumeni.
Come la sua nazione accoglie i soggetti rimpatriati? Spiegare, se esistono, le normative che definiscono
delle condotte a cui i rimpatriati devono adempiere o le prassi consolidate a cui si attengono.
Dall'anno scorso c'è una legge che prevede il ritiro del passaporto in dogana rumena per chi veniva espulso
dall'Italia e anche per le persone che non rispettavano il termine di tre mesi per il soggiorno di turismo. Il
passaporto potrà poi essere ritirato presso gli Uffici di polizia delle diverse città. Viene riconsegnato ad alcune
condizioni, ma non ricordo quali. L'anno scorso in tv hanno fatto vedere queste persone abbastanza disperate
davanti alle dogane. Ora questa legge è stata cambiata per cui oggi la legge dice che se superano il periodo del
visto ed esso scade, poi non possono più uscire dalla Romania per 5 anni, non c'è più un ritiro forzato del
passaporto. I rimpatriati sono tantissimi. Gli fanno il colloquio e dopo sono trattati come tutti gli altri normali
cittadini.
Sicuramente ci sono centri di accoglienza anche in Romania per quelli che rientrano mandati dall'Italia con un
foglio di via. Le strutture hanno come organizzazione un'assistente sociale e i poliziotti del Ministero degli interni.
Però non saprei dire cosa fanno perché non ho mai lavorato in un progetto del genere.
C’è una legge recente (n° 148) che si riferisce a quelli con reati minori (la maggior parte riguarda il fatto che le
persone non hanno il permesso di soggiorno, sul territorio italiano al momento si stima che ci siano 700.000
rumeni clandestini) tale legge prevede che al rientro alla persona non succede niente, è libera, ma se la persona
cerca di nuovo di passare la frontiera verso l’Europa essa viene fermata in base agli accordi Schengen. La legge
prevede, in particolare nei rapporti con l’Italia, che per una persona rimpatriata in Romania essa verrà richiamata
dai giudici in Romania e, in base alle ragioni per cui ha avuto il rimpatrio, i giudici sentenziano se confermarlo o
ritirarlo, nel caso venga ritirato la persona avrà diritto di entrare in tutti i paesi dell’area Schengen tranne che in
Italia. Nel 2007 con l’ingresso in Comunità europea della Romania tutti gli accordi collegati a Schengen cadranno,
probabilmente in maniera progressiva nel tempo. Nella discussione del parlamento europeo sull’ingresso della
Romania nell’Unione europea molti Stati erano perplessi e avrebbero voluto più tempo in modo che la Romania
riuscisse ad arrivare ad un livello di sviluppo tale per cui i cittadini rumeni non fossero portati ad emigrare per
sopravvivere. Per questo sono convinto che fin quando la Romania riesce a cambiare le leggi interne, per metterle
in linea con quelle europee, nel campo dell’emigrazione la cintura sarà un po’ stretta, per non lasciare che i
rumeni se ne vadano dove vogliono e quando vogliono, come gli altri cittadini europei. Questo a causa della paura
degli Stati europei che troppe persone emigrino dalla Romania.
Timbrano il passaporto e lo trattengono. Dopo un po' di tempo arriva a casa l'autorizzazione per avere un nuovo
passaporto e puoi andare a ritirarlo.
Mettono un timbro sul passaporto e così non si può più uscire per 5 anni dalla Romania.
Non so. Per le persone che vengono rimpatriate e hanno già delle pendenze so che vengono accolte nella loro
nazione direttamente dalla polizia locale.
Procedure che riguardano lo straniero che esce dal carcere per fine pena o per applicazione della pena
sostitutiva: l'intervento della Questura si concretizza essenzialmente o nell'espulsione (è il Prefetto che espelle, il
Questore si limita ad eseguire il decreto del Prefetto nelle tre forme previste: accompagnamento alla frontiera
immediato, trattenimento nel CPT, oppure ordine di lasciare il paese in 5 giorni). Per quelli che escono dal
carcere, essendo persone che commettono reati, c'è sempre trattenimento al CPT, perché comporterebbe
problemi rispetto al controllo sociale consegnare l'invito a una persona appena uscita dal carcere che potrebbe,
per qualsiasi motivo, il giorno dopo commette un nuovo reato. Quindi preferiamo trattenerli al centro in modo da
essere sicuri di poterli accompagnare fisicamente alla frontiera. Nel caso in cui non hanno documenti, dopo 60
giorni, come spesso avviene, vengono muniti dell'ordine del Questore di lasciare il paese entro 5 giorni e lasciati
liberi. Non sono chiuse le vie al rilascio del permesso di soggiorno per gli stranieri che hanno subito una
condanna, questo accade sempre quando sono coniugi di cittadini italiani o genitori di cittadini italiani, che
acquistano lo status di inespellibili. In questi casi richiediamo la convivenza, si chiama il coniuge richiedendo
l’autocertificazione della convivenza e alla persona straniera verrà dato un permesso per famiglia, che potrà
essere convertito in lavoro. I cittadini rumeni dal 1° gennaio diventano europei e ciò comporta che saranno
inespellibili, tutti gli europei sono inespellibili. Quando parliamo di testo unico sull'immigrazione parliamo solo di
extracomunitari, mentre i comunitari sono regolati - in quanto stranieri - da un'altra legge che è del 2000,
modificata nel 2002 e ultimamente ancora modificata, che li considera inespellibili. Essi possono stare in Italia
liberamente, in teoria fino a 90 giorni, ma nessuno gli chiede contezza, hanno bisogno del permesso nel momento
in cui iniziano a lavorare. Stiamo recependo la direttiva europea per cui scomparirà anche il permesso per i
comunitari. E siccome al momento la metà delle espulsioni sono di cittadini rumeni e albanesi, l'anno prossimo
avremo un abbattimento drastico delle espulsioni. Il rumeno, al pari di un francese, che sconta la pena, se non è
una persona pericolosa per la sicurezza nazionale tanto da scomodare il Ministro, rimane qua come libero
75
M.
Q.
R.
DOMANDA 3
A.
C.
cittadino, inespellibile, perché non si può espellere una persona che non ha limiti a circolare in Europa. I
comunitari hanno diritto a rimanere in Italia un anno per attesa occupazione.
Art 16 della legge Bossi Fini prevede che si possa presentare istanza al giudice per ottenere di sostituire il carcere
con il rientro nel paese d'origine quando la pena è sotto i 3 anni. Viene chiamato provvedimento deflattivo per
sfoltire le carceri. Una volta che viene concessa l’applicazione dell'art.16, tale situazione viene trasmessa in
Questura e la persona verrà accompagnata nel paese d’origine nel tempo necessario a trovare il biglietto per il
rimpatrio. L'accompagnamento al paese d'origine è obbligatorio, non è come l'espulso normale, perciò se non c'è
il passaporto non si può richiedere la pena alternativa. La richiesta può venire da chi ha un'identità certa o dai
paesi i cui consolati sono disposti a riconoscere l'identità dei loro cittadini. Una volta arrivati nella loro nazione
sono liberi.
I reati ostativi al permanere nell'area Schengen sono il 380 e 381, quelli che prevedono l'arresto obbligatorio in
fragranza e l'arresto facoltativo, in più i reati sessuali, pedofilia, immigrazione clandestina, sfruttamento della
prostituzione.
Se una persona espulsa vuole rientrare ha la possibilità di richiedere il nulla osta speciale al rientro, la sanatoria
non lo può aiutare perché, anche se cambia nome, ha depositato le impronte e viene subito individuato. Questo
per voi significa che potete fare rientri onorevoli, offrire un'occasione nel paese d'origine, e se la persona non ce la
fa a rimanere nel paese d'origine, piuttosto che rientrare clandestinamente (che non gli conviene perché ormai
con le impronte non si sfugge più), appena maturano i termini potete farvi carico del deposito dell’istanza presso
l'ambasciata. Dopo di che sulla legge sull'immigrazione non si può mai dare niente per scontato, perché è una
legge modernissima, più volte modificata, plasmata da sentenze del TAR, della Corte di Cassazione e dei giudici
ordinari, perciò non si può escludere nessun tipo di ulteriore modifica.
Per sostenere le spese di rimpatrio c'è un capitolo in Prefettura. Per le espulsioni con l'art. 16 il biglietto viene
automaticamente pagato. Se una persona è detenuta e vuole rientrare nel suo paese d’origine (alle condizioni di
cui sopra) ha il diritto al rientro pagato.
Vi sono due tipi di rimpatrio: 1) con una ordinanza del Prefetto che li obbliga a rimpatriare in 5 giorni (per quelli
che non hanno commesso reati), 2) con i voli di bandiera speciali accolti da ufficiali rumeni quando giungono. Un
giudice valuta a secondo dei documenti che vengono presentati, in base all'indagine che viene fatta, se ha una
pena da finire di scontare viene portato in un carcere rumeno oppure possono venire esaminati i reati in quel
momento e giudicati secondo la legge rumena (che è quasi identica a quella italiana ed identica alle norme della
Comunità europea). Ho un'altra osservazione la Kee Comunitarie è stata completamente assorbita dalla Romania
e dunque non ci sono differenze indicative, non ci sono aspetti che non sono in concordanza. I documenti e le
procedure usate sono stabilite già con questo accordo normativo, dunque sono sempre accompagnati con dei
giustificativi che vengono esaminati in Romania. Un ultima osservazione rispetto alla Romania la situazione è un
po' speciale perché la Romania sarà membro dall'Unione europea dal gennaio 2007, dunque entreranno in vigore
tutte le norme europee.
Quello che succede è sostanzialmente che il consolato identifica la persona e deve rilasciargli un documento di
viaggio. Nel momento in cui la persona passa la frontiera sul passaporto o sul documento di viaggio verrà messo
il timbro da parte delle autorità di frontiera italiane di uscita dal territorio italiano. Questo perchè da quella data
decorrono i 10 anni di divieto di reingresso in Italia. Prima erano 5 anni, la legge Bossi - Fini li ha aumentati a 10.
Bisogna tener conto che generalmente quando viene fatto il rimpatrio le persone non vengono avvisate
dell’imminente partenza, quindi si ritrovano nella situazione in cui i poliziotti li prelevano di mattina presto, li
portano in aeroporto e li caricano sull'aereo scortati a seconda appunto della nazionalità del gruppo che deve
essere rimpatriato. Queste persone possono immaginare che quell'aereo li riporti a casa, ma nessuno gli
comunica niente. Questo per evitare problemi di sicurezza e di ordine all'interno del centro di permanenza
temporanea. Una volta che sbarcano dall'aereo non sappiamo cosa accada.
Per quanto riguarda la Romania viene annullato il passaporto, viene messo un timbro e annullato per cui quella
persona non può più uscire dalla Romania (con quel passaporto). Però non vengono trattenuti.
Non lo so perché come IOM non ci occupiamo del rimpatrio forzato, noi ci occupiamo solamente del rimpatrio
volontario ed assistito. Siamo contro le espulsioni e non partecipiamo a questo tipo di rimpatrio.
Quando il rimpatrio è assistito si tratta di rimpatri volontari. Noi assistiamo le persone dall’Italia fino alla
destinazione finale e alla reintegrazione nel paese d'origine. Ci occupiamo di aiutare la persona a prendere una
decisione consapevole per il rimpatrio usando il counselling, che la persona ottenga un documento di viaggio
presso la sua Ambasciata nel caso in cui non ha il passaporto, di organizzare il viaggio, di fornirgli il visto di
transito, di fornirgli assistenza in aeroporto a Roma e nel paese d'origine (perché abbiamo i nostri uffici) e di
aiutarlo ad ottenere la reintegrazione (dipende da progetto a progetto) sempre attraverso la nostra rete nei paese
d'origine.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono l’integrazione lavorativa dei soggetti
rimpatriati?
Se si, spiegare la normativa.
Non c'è niente che favorisce.
Non c’è nessuna legge in tal senso perché una persona espulsa nel momento in cui arriva in Romania è libera di
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M.
Q.
R.
DOMANDA 4
A.
B.
C.
M.
DOMANDA 5
A.
B.
C.
M.
fare quello che vuole.
Una normativa esiste per tutti quelli che hanno subito una pena, anche in Romania. Una volta scontata la pena
hanno un'offerta di lavoro, che rispetti la loro qualifica professionale; se durante la pena ha seguito corsi di
qualificazione gli viene cercato un posto in lavoro nel campo in cui si è formato. Se ha famiglia con bambini, i
bambini entrano nell'attenzione di un'agenzia speciale che si chiama Agenzia nazionale per la protezione dei
minori, che alle famiglie in difficoltà accorda una tutela speciale per i minori; se i genitori non sono capaci di
sostenerli possono ricevere aiuti sociali, per esempio per il pagamento del riscaldamento, per la situazione di
disoccupazione. Un'osservazione, non si deve fare il paragone tra i programmi e le cifre che esistono in Italia o in
Belgio o in Germania con quelle che esistono in Romania, tutto è in rapporto con lo stipendio medio rumeno (lo
stipendio medio è quasi 200 euro al mese). L'aiuto sociale non può essere più alto per esempio dello stipendio di
un professore universitario. Tutti questi programmi sono a livello governativo, adesso iniziano ad occuparsene
anche delle ONG. Da noi la società civile ha un storia abbastanza recente, adesso si sta cristallizzando, in molti
campi è già molto attiva, in altri campi è in stato di formazione. Cominciano ad esserci delle ONG che iniziano
piccoli programmi e progetti per accordare un'assistenza alle persone che si trovano in difficoltà di vario tipo:
handicap, situazioni famigliari difficili, persone che sono state in carcere. Di principio le cose funzionano come in
Italia, solo che con meno rendimento, a causa della scarsa forma economica del paese, questo è uno dei
principali ostacoli.
Non esistono. Almeno le persone che abbiamo incontrato nuovamente perché sono tornate in Italia dopo un
rimpatrio dicono che gran parte di loro cerca comunque di ritornare in Italia perché al loro paese di origine non
hanno la possibilità di trovare lavoro, non hanno più nessuno avendo lasciato il paese da tanto tempo. Per cui
presumibilmente vengono lasciati al loro destino.
La Romania sta tentando delle politiche più ampie con accordi e investimenti. La stessa cosa è avvenuta in Libia.
Però fanno parte di politiche molto più ampie che non sono legate al destino di chi rientra con decreti di
espulsione. Queste strategie non è detto che poi abbiamo delle ripercussioni pratiche sulle persone espulse
dall’Europa.
Mi viene in mente che il consolato del Perù, ad esempio, investe molto sui cittadini stranieri residenti all'estero,
ovviamente perché ci sono molte rimesse, ma non investe niente sulle persone irregolari, se non agevolazioni
durante i periodi di regolarizzazione con il rilascio dei documenti di identità piuttosto che altro. Cosa che, ad
esempio, il consolato della Romania non fa. Il consolato della Romania considera tutti i cittadini scomodi, nel
senso che il consolato non agevola niente, non solo rispetto ai clandestini, nemmeno per gli altri. Se hai bisogno
di prendere contatti con il consolato, per qualsiasi cosa, ci metti code, il fatto che al telefono non rispondono. Ora
noi siamo a Milano, ma se uno arriva anche solo da qualsiasi altro posto del nord Italia è impossibile. Per cui li
modo con cui la Romania tratta i propri immigrati è inesistente.
In Romania sì, hanno molte possibilità anche attraverso il loro governo che ultimamente si sta muovendo anche
perché entrerà nella comunità europea. Abbiamo notato che c'è un miglioramento enorme perché c'è più
disponibilità da parte delle autorità locali, è migliorata la situazione rispetto ai diritti umani in particolare verso i
rom.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che ostacolano l’inserimento lavorativo dei soggetti
rimpatriati?
No.
No.
Non c’è nessuna legge in tal senso perché una persona espulsa nel momento in cui arriva in Romania è libera di
fare quello che vuole.
Non esistono.
Esistono, nella sua nazione, delle normative che favoriscono od ostacolano l’inserimento lavorativo di
soggetti che hanno ricevuto condanne penali in patria o all’estero?
Non so se in Romania è ancora in vigore una legge per cui sulla carta di identità la serie era specifica per persone
che avevano ricevuto condanne. In questo modo al primo controllo di polizia si capiva che quella persona aveva
avuto delle condanne. Essendo un numero molto alto di persone con condanne, secondo me ci si è fatta
l'abitudine, cioè se uno ha voglia di lavorare viene inserito comunque.
La serie era riconoscibile da tutti.
No. Il cittadino rumeno ha tutti i diritti di una persona che è stata assolta e che ha scontato la pena.
In Romania quando un carcerato esce fuori dal carcere ha il diritto di trovare un posto di lavoro. Le leggi rumene
lo obbligano, quando si presenta in un posto di lavoro, di far vedere i documenti che attestano che è stato in
carcere. Nel caso che non lo fa, già diventa un reato.
Una normativa esiste per tutti quelli che hanno subito una pena, anche in Romania. Una volta scontata la pena
hanno un'offerta di lavoro, che rispetti la loro qualifica professionale; se durante la pena ha seguito corsi di
qualificazione gli viene cercato un posto in lavoro nel campo in cui si è formato. Se ha famiglia con bambini, i
bambini entrano nell'attenzione di un'agenzia speciale che si chiama Agenzia nazionale per la protezione dei
minori, che alle famiglie in difficoltà accorda una tutela speciale per i minori; se i genitori non sono capaci di
sostenerli possono ricevere aiuti sociali, per esempio per il pagamento del riscaldamento, per la situazione di
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R.
DOMANDA 6
A.
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I.
L.
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DOMANDA 7
A.
B.
C.
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F.
disoccupazione. Un'osservazione, non si deve fare il paragone tra i programmi e le cifre che esistono in Italia o in
Belgio o in Germania con quelle che esistono in Romania, tutto è in rapporto con lo stipendio medio rumeno (lo
stipendio medio è quasi 200 euro al mese). L'aiuto sociale non può essere più alto per esempio dello stipendio di
un professore universitario. Tutti questi programmi sono a livello governativo, adesso iniziano ad occuparsene
anche delle ONG. Da noi la società civile ha un storia abbastanza recente, adesso si sta cristallizzando, in molti
campi è già molto attiva, in altri campi è in stato di formazione. Cominciano ad esserci delle ONG che iniziano
piccoli programmi e progetti per accordare un'assistenza alle persone che si trovano in difficoltà di vario tipo:
handicap, situazioni famigliari difficili, persone che sono state in carcere. Di principio le cose funzionano come in
Italia, solo che con meno rendimento, a causa della scarsa forma economica del paese, questo è uno dei
principali ostacoli.
Non so. Mi sono trovata per caso ad assistere qualche persone che è uscita dal carcere perché quest'anno
gestisco il programma umanitario. Abbiamo potuto accettare i casi che non hanno avuto espulsione, perché in
pratica tutti quelli che escono dal carcere dovrebbero avere il decreto di espulsione per legge, però succede, per
caso probabilmente, che non vengano accompagnati dal commissariato alla Questura e qualcuno rimane senza
espulsione. Noi abbiamo assistito qualche persona, uno verso la Serbia, uno verso un paese asiatico e uno verso
l’America latina. Per assisterli abbiamo bisogno di un certificato che attesti che hanno scontato la pena e della
certezza che non sia stato espulso.
Nella sua nazione, vengono riportate sui certificati penali, rilasciati a suoi connazionali, le condanne
ricevute all’estero?
Per quel che so io ultimamente sì, perché stanno collaborando la giustizia italiana e rumena. Stanno cercando di
fare una rete per facilitare il loro lavoro.
Sì. Tipo il foglio del casellario penale. Se l'ha ricevuta all'estero non so se viene scritto.
Penso di sì, perché la Polizia inserisce tutto quello che succede.
Sì vengono riportate.
Le condanne all'estero non vengono riportate.
Sul certificato penale italiano viene registrato. Sul certificato penale del paese di origine non so. Bisogna tenere
conto che la maggior parte dei cittadini extra comunitari in carcere hanno degli alias, questo comporta una
difficoltà nell'identificazione. Nel caso il cittadino straniero abbia usato un alias non potrebbe mai avere un
trasporto di informazioni sulla fedina penale del paese di origine. Se il cittadino straniero ha usato il proprio nome
potrebbe esserci questo passaggio di informazioni dalla fedina penale italiana a quella del suo paese, ma è
fantapolitica, nel senso che potrebbe esserci un lavoro da parte dell'Interpool così capillare, e dubito che ciò
accada. A meno che non si tratta di reati che vanno a sfociare nell'internazionale, tipo traffico di armi, traffico di
stupefacenti, terrorismo.
Non credo proprio, tant'è vero che per la cittadinanza si richiede il casellario giudiziario del paese di origine. La
banca dati Schengen è una banca dati comune ma per determinati reati: espulsioni, furto d'auto, monete. Non c'è
una replica pari pari della nostra banca dati nei paesi d'origine, ancora si è arrivati a ciò. Soprattutto non sapremo
mai se una persona è pregiudicata nel suo paese d'origine, lo sappiamo se ci fossero segnalazioni dell'Interpool.
C'è un fascicolo nella divisione anticrimine che si chiama “permanendo” che se uno per una volta viene segnalato
per un fatto rimane lì. Certo quando una persona viene espulsa la polizia lo sa, perché la persona arriva
segnalata, scortata, non so che iniziative possono prendere là. So che i cittadini di alcuni paesi temono tantissimo
quello che gli può succedere nel loro paese.
Non vengono riportate. Il certificato del casellario dei carichi pendenti italiano riporta tutti procedimenti aperti in
Italia. Per cui per avere questo genere di informazioni si devono fare altre verifiche, con altre procedure. I
certificati rilasciati dai tribunali ordinari sul nostro territorio verificano solo procedimenti in Italia.
Tutte le comunicazioni riguardanti il cittadino straniero vengono inviate al consolato o all'ambasciata che poi
comunica alle proprie autorità, per cui in linea teorica si potrebbe venire a conoscenza delle condanne ricevute in
un paese terzo. Poi non so quanto funzionino le amministrazioni e come funzionino, comunque nel caso che una
persona ha subito delle condanne oppure che ci sono dei procedimenti penali in corso, gli atti vengono notificati
anche ai consolati.
Per poter essere assunti da un datore di lavoro, si devono presentare le certificazioni dei carichi pendenti
e delle fedine penali? E questo costituisce un pregiudizio per i datori di lavoro?
Se è privato no, se è statale sì. Il pregiudizio dipende dalla ragione che ha portato alla condanna, perché ci sono
cose gravi che potrebbero mettere a rischio i colleghi di lavoro allora c'è pregiudizio; in genere non c'è pregiudizio.
Il datore di lavoro richiede il certificato. Per quanto riguarda il pregiudizio dipende molto da che tipo di datore di
lavoro è.
No, non viene richiesto.
Il datore di lavoro chiede il casellario giudiziario, che è valido per 6 mesi. Se sul casellario risulta qualcosa, il
datore di lavoro valuta di che cosa si tratta. Poi dipende da che tipo di lavoro si sta cercando. La situazione è più
incerta, ma non è compromessa.
Il datore di lavoro non lo chiede. Lo chiedono solo per fare la patente (te la fanno fare solo se non hai condanne
pesanti).
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G.
M.
Il datore di lavoro lo chiede e ne tiene conto.
Dipende dal campo di attività. Se si tratta di un impiego pubblico il casellario giudiziario deve essere pulito. Ci
sono campi dove non lo chiedono sempre, i privati se trovano un buon lavoratore tengono conto di meno della
fedina penale. Certo che esiste (come in Italia) una diffidenza, anche a livello di mentalità, contro quelli che hanno
fatto un reato. Non credo che uno che ha rubato possa essere assunto come contabile in banca. Forse le ONG
dovranno lavorare per attenuare l'ostilità che esiste rispetto a quelli che hanno commesso un reato.
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COMMETI DOMANDE AREA LEGALE – ROMANIA
Il 1° gennaio 2007 la Romania è entrata nell’Unione Europea, perciò i cittadini rumeni sono comunitari a tutti
gli effetti, in quanto tali sono persone che non hanno limiti rispetto alla libertà di circolare in Europa e perciò
sono inespellibili. Anche un cittadino rumeno, una volta scontata la pena non riceve più il decreto di espulsione
tranne il caso in cui si tratti di persona ritenuta pericolosa per la sicurezza nazionale, in questo caso il
Ministero dell’Interno emana un decreto di espulsione.
Per ciò che concerne la Romania gli accordi collegati a Schengen decadranno in maniera progressiva, ancora
non si conoscono i tempi di tale passaggio.
Normativa d’accordo tra Italia e Romania - Aspetti legislativi relativi alle procedure di rientro assistito
Esistono accordi di riammissione tra Italia e Romania, si tratta di accordi di collaborazione che regolano anche
il rimpatrio di persone emigrate clandestinamente, infatti in base a tali accordi la Romania è tenuta a
riconoscere i suoi cittadini e a riaccoglierli.
Esistono anche accordi di estradizione ed è previsto che il cittadino rumeno detenuto nelle carceri europee
possa finire di scontare la pena in Romania.
Le procedure relative all’espulsione di cittadini rumeni prevedono che:
• L’autorità di frontiera italiana metta un timbro sul passaporto della persona in uscita
• A partire dalla data del timbro decorrono i 10 anni previsti dalla Legge Bossi – Fini di divieto di reingresso
in Italia
• Se un cittadino rumeno con passaporto timbrato cerca nuovamente di passare la frontiera (con quel
passaporto) viene fermato
• In Romania viene messo in atto un procedimento giuridico volto a confermare o eliminare il decreto di
espulsione, perciò c’è la possibilità per la persona espulsa e rientrata in Romania di un annullamento del
provvedimento che la riguarda, in questo caso sarà di nuovo libera di circolare nello spazio Schengen
Viene sottolineato da più parti che la collaborazione tra Italia e Romania è buona e che gli accordi vengono
applicati e funzionano.
Legislazione in materia di lavoro
Le dichiarazioni degli intervistati sono contrastanti. Alcuni sostengono che il Governo rumeno si sta muovendo
nella direzione di favorire l’integrazione lavorativa per i soggetti svantaggiati e lo sta facendo anche per
adeguarsi alla normativa dei paesi europei. In tale direzione c’è chi dichiara che esiste già una normativa che
riguarda tutte le persone che hanno scontato una pena, anche sul territorio rumeno, che prevede un’offerta di
lavoro e un sostegno sociale soprattutto per le persone con famiglia e con difficoltà economiche. Fino a poco
tempo fa tutti questi programmi erano gestiti dal Governo, ma recentemente hanno iniziato ad organizzarsi sul
territorio rumeno delle ONG che si stanno occupando anche della gestione di queste attività.
Altri invece sostengono che non ci sia nessuna normativa che favorisca l’inserimento delle persone
svantaggiate.
Certificati penali e inserimento lavorativo
Una persona intervistata dichiara che in passato le carte di identità delle persone che avevano ricevute
condanne avevano dei numeri di serie speciali, essendo tali numeri di serie conosciuti da tutti, l’individuazione
di chi aveva avuto problemi con la giustizia era immediata. Non si ha riscontro che ancora oggi venga attuata
questa pratica.
Per quanto riguarda la possibilità di inserimento lavorativo i certificati penali pare non costituiscano un
problema, visto che i reati commessi fuori dalla Romania non vengono riportati sul casellario giudiziario
rumeno, tranne quei reati a rilevanza internazionale (ossia il traffico di armi, il traffico di stupefacenti e il
terrorismo).
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E’ interessante notare che le persone detenute intervistate non hanno saputo rispondere a nessuna della
domande dell'area legale, evidenziando una diffusa mancanza di conoscenza rispetto alla legislazione in
materia di immigrazione, ai rapporti diplomatici esistenti tra Romania ed Italia e alla legislazione rumena in
materia di lavoro. Per quanto riguarda il progetto di rientro onorevole l’assenza di informazioni da parte della
popolazione detenuta necessita di prevedere azioni volte al superamento di tale condizione.
81
DOMANDE AREA ANTROPOLOGICO – CULTURALE
DOMANDA 8
A.
B.
C.
D.
E.
F.
G.
I.
J.
M.
Quali pensa siano le ragioni che hanno spinto suoi connazionali a cercare di emigrare?
Ci sono tante categorie. La categoria con il numero di persone più alto è "vado, lavoro un anno - due - tre, torno
in Romania con i soldi fatti ed investo in Romania. La categoria successiva è rappresentata da quelli che vengono
per stabilirsi qua, per lavorare, per crearsi delle condizioni di vita migliore dal punto di vista economico.
Ultimamente sembra che in Romania stiano nascendo delle possibilità altrettanto interessanti. Una categoria, ma
non molto consistente, viene per studiare e poi ci sono quelli che vengono per cercare affari, import – export.
Ragioni economiche e sociali. Per le ragioni sociali mi riferisco ai rom che sono un po' emarginati. Non perché non
hanno i diritti, anzi adesso con la nostra entrata nella comunità hanno più diritti che i rumeni, però è stato sempre
così in Romania, non c'è niente da fare. Quindi anche dandogli tutti i diritti possibili, loro sono un gruppo speciale.
L'emarginazione è dovuta al fatto che hanno vissuto sempre al limite dell'integrazione, ai margini delle grandi città,
nei paesi piccoli le loro case erano sempre costruite fuori dal paese, vivevano nella loro comunità, come lavoro
praticavano lavori non qualificati. E' sempre stato così.
Ceaucescu ha messo in atto una dittatura bestiale, che ha messo in ginocchio tutto il paese per 45 anni. Nel
dicembre ’89, in due giorni è cambiato tutto. All’improvviso si sono spalancate le porte del paese. All’inizio è uscita
poca gente dal paese. Ma il livello di povertà era elevato, malgrado la disoccupazione non esistesse. L’apertura
delle porte ha cambiato non solo i parametri di vita sociale, ma anche quelli economico – politici. All’improvviso si
è visto che le tecnologie impiegate erano antiquate, che i prodotti industriali non erano competitivi. Così nel giro di
due anni le industrie hanno chiuso le porte e quasi il 30% della popolazione rumena si è trovata per strada.
Persone preparate all’improvviso si sono trovate senza lavoro, senza la possibilità di portare il pane a casa.
L’agricoltura era in mano agli anziani, perché i giovani preferivano il lavoro in fabbrica. Fino alla firma da parte
della Romania dell’accordo Schengen, i rumeni per uscire dal paese dovevano fare file di settimane davanti al
Consolato per ricevere il visto sul passaporto. Nel 2001 eravamo presenti in Italia quasi 80.000 rumeni. Dopo
l’accordo Schengen per uscire dal paese era sufficiente il passaporto e si poteva andare dove si voleva in base
alle condizioni Schengen (90 giorni, non di più). Quelli che sono usciti non sono mai ritornati indietro.
Questo è un discorso molto ampio, dipende dall’economia, dalla vita che non è così facile, dalla difficoltà di
trovare un posto di lavoro. Allora la persona cerca questa via di mezzo, di andare all’estero, di provare, perché
vengono e provano; ci sono persone che non sia abituano e allora vanno via. Non si abituano alle condizioni, alle
abitudini, al clima. Soprattutto per i più giovani c’è anche il fatto di aver voglia di cambiare, di vedere un altro
mondo, la curiosità di vedere altre nazioni (come si lavora, come si guadagna e come si sta in un altro paese), di
verificare se riescono ad integrarsi in un altro luogo e di vedere se riescono a fare qualcosa di più per loro.
Quando decidono di partire cercano di andare da qualcuno che conoscono, perché da soli è più difficile. Vanno da
qualche amico, conoscente, che li ospita per qualche tempo.
Per lavorare, ma andando avanti e indietro perché in Romania ho la mia famiglia.
In Romania il lavoro c'è, ma si guadagna poco e con quello che guadagni non riesci a fare niente
In Romania non ci sono soldi. C'è lavoro, ma non per tutti. Per avere un posto buono bisogna avere il diploma
oppure avere conoscenze. Altrimenti il lavoro è a singhiozzo, qualche giorno lavori e qualche altro non lavori.
Per quanto riguarda i rumeni la ragione è legata alla possibilità o al sogno di poter cambiare vita, di avere un
salario ben più alto di quello che si può ricevere con qualsiasi lavoro in Romania. So che anche un lavoratore
regolare in Romania ha un salario veramente basso, quindi la chimera del guadagnare parecchi soldi porta alla
migrazione.
Le ragioni sono varie, la prima è sempre l'urgenza di miglioramento economico e della propria vita. Inoltre
soprattutto da queste regioni funziona il tam tam del gruppo che è già venuto qua. Non credo che siano percorsi di
emigrazioni strutturati con delle mete chiare di inserimento lavorativo, soprattutto per i giovani rumeni, che sono
gli ultimi che sono arrivati. Vengono via da una situazione (la mia esperienza è soprattutto in Albania, dove ho
lavorato 2 anni) per migliorare la propria condizione economica, ma anche per venire fuori da una situazione di
vita, di relazioni sociali e di prospettive, disastrosa.
In Italia ci sono due tipi di emigrazione rumena. La prima era l'emigrazione storica, rappresentata da quelli venuti
in Italia prima della caduta del comunismo, che scappavano per motivi politici sia di libertà personale e contro le
costrizioni del sistema. Questa emigrazione è formata soprattutto da intellettuali, professori, medici, artisti, ce ne
sono un sacco a Milano e in Lombardia (direttori di ospedali, medici). Dopo il 2000 il motivo è stato di tipo
economico, facilitato dal fatto che c'è una vicinanza linguistica, infatti un rumeno fin dall'inizio riesce a parlare un
po' di italiano, nel giro di 2 o 3 settimane non ha più problemi di capire e farsi capire, in 6 mesi i membri di una
famiglia rumena che si trova in Italia parlano tra di loro in italiano. Hanno questo desiderio di integrazione(che è
negativo da un punto di vista culturale rumeno, però positivo per loro), per cui diventano veramente italiani. Non
hanno problemi di lingua, anche culturalmente non ci sono grandi differenze. La stessa cosa accade agli italiani in
Romania, pochi lo sanno ma una delle prime migrazioni italiane fu verso la Romania, e anche attualmente
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Q.
R.
DOMANDA 9
A.
B.
C.
D.
E.
G.
M.
Q.
DOMANDA 10
A.
B.
formano un gruppo etnico perfettamente inserito, con il diritto di aver un rappresentante nel Parlamento rumeno
indipendentemente dal numero dei voti. Ci sono più di 65.000 italiani in Romania, ci sono più di 20.000 piccole e
medie imprese italiane in Romania, dunque è un flusso da entrambe le parti e non in un solo senso. Il principale
motivo dell’emigrazione rumena è economico, ed in Italia c'è bisogno di manodopera, anche qualificata. Seppur
dal punto di vista della struttura culturale e sociale abbiamo un handicap generato da 50 anni di dittatura, dal
punto di vista professionale e scientifico siamo ben preparati in alcuni campi (soprattutto nei campi scientifici:
matematica, fisica, informatica). Gli emigrati rumeni hanno trovato in Italia accoglienza ed ospitalità, e questo è
merito del popolo italiano che è il meno razzista del mondo. C'è sempre stato un legame speciale, particolare, tra
Italia e Romania. I rumeni hanno un'apertura speciale per gli italiani e viceversa. I rumeni in Italia sono occupati
maggiormente nell'edilizia, tanto che il sindaco di Torino diceva che non avrebbe potuto fare le olimpiadi invernali
senza i romeni; agricoltura, soprattutto sui vigneti perché anche noi abbiamo questa tradizioni; sono occupati
come badanti, che è un fenomeno strano perché fanno da badanti ex maestre e professoresse con un livello
culturale altissimo; come medici e assistenti infermieri, dove abbiamo una tradizione e una preparazione di prima
qualità; e ultimamente ci sono molti giovani informativi, perché abbiamo una scuola di qualità. Gli imprenditori
italiani cercano i rumeni anche in Italia perché i rumeni vogliono lavorare il sabato e la domenica, le assistenti
infermiere voglio fare i turni di notte, per guadagnare un po' di più e mandano i soldi a casa. In questo modo si
comprano la casa, un pezzo di terra.
Per il gruppo dei rumeni senz'altro la povertà. Per i rom rumeni oltre alla povertà c'è anche un grosso pregiudizio
da parte della Romania nei loro confronti, però questo se lo ritrovano in tutti i paesi. Per gli altri c'è una discorso di
povertà e un tentativo di migliorare la propria situazione rispetto ad un paese che è sfasciato (anche per le
ragazze che accettano di emigrare non sapendo, o avendo informazioni vaghe, rispetto a quello che vengono a
fare). Sfasciato dal punto di vista politico, sociale, economico. Un paese che si deve tirare fuori da una situazione
di grossa povertà e da una situazione politica che è stata per tanti anni bloccata, con tutto quello che ciò significa
rispetto al discorso di formazione di una coscienza civica. Sono molte le componenti di cui bisogna tenere conto:
è un paese arretrato rispetto all'occidente. La gente emigra per un discorso di povertà ma anche per un discorso
di opportunità. L'economia è prettamente di sussistenza. Per dire, i giovani frequentano l'università e l’Europa li
attrae.
Il gruppo rom presenta problematiche maggiori rispetto agli altri, con problematiche più forti rispetto ai percorsi di
integrazione; anche se in Romania erano inseriti in abitazioni e avevano percorsi scolastici, ciò non toglie che
sono stati soggetti a politiche e comportamenti discriminatori, per cui anche in Romania erano emarginati e
ghettizzati. Un arrivo in Italia rimane con queste caratteristiche, si portano dietro questo vissuto e anche
concretamente lo agiscono. Poi dipende dai gruppi rom di appartenenza, perché alcuni gruppi hanno delle
modalità integrative in termini positivi, per cui si possono considerare come qualsiasi altro cittadino straniero.
Dipende dalla storia che ciascun gruppo ha vissuto.
La povertà. Ci sono anche stati casi di diritti umani violati, ma la maggior parte emigra per ragioni economiche.
In quali aree della sua nazione sono concentrate sacche di povertà?
La parte dell'est Romania - vicino alla Moldavia, lì il livello di vita è molto basso e c'è una cultura della migrazione.
Solo per dire, in Italia in strada le prostitute sono in maggioranza provenienti da quella regione. Questa è la zona
più povera del paese.
Intorno alle grandi città. Le regioni di pianura vicino a Craiova, dove è concentrata anche una grande popolazione
rom. Nelle zone poco industrializzate, tipo verso l'est al confine con la repubblica Moldavia.
La campagna. Moldavia, Dobrogia.
La regione Moldavia, è stata sempre un po’ povera, c’era solo l’agricoltura, le industrie non erano sviluppate.
Nella regione di Valsea.
Ci sono, ma non so quali sono.
La Moldavia è l'area meno sviluppata e più povera, la zona est della Moldavia è la più povera e credo che la metà
delle persone emigrate da lì vengono a fare i documenti al consolato generale di Milano. E' chiaro che se uno si
stabilisce in un luogo comincia a formare una isola di quella zona, per esempio persone del nord della Romania (il
nord della Transilvania) si sono stabiliti in qualche migliaia a Lodi, persone della zona del centro della Moldavia
sono più di 200.000 in Piemonte, vengono dove sono venuti i primi e si raggruppano. Esistono in Romania zone
meno sviluppate e quelle danno la maggior parte dell'emigrazione.
In Romania tutta la campagna, che è la stragrande maggioranza del paese, è in condizione di povertà. Le città
presentano il fenomeno di molte metropoli, cioè di attrarre persone. Poi probabilmente ci sono anche delle regioni
specifiche particolarmente povere, ma non sono in grado di indicarle. Anche a seconda dell'etnia di appartenenza
sono più o meno facilitati, se uno appartiene al gruppo ungherese, rispetto al gruppo rumeno rispetto al gruppo
rom ha più o meno privilegi, condizioni diverse, opportunità diverse.
E da quali aree della sua nazione, a suo giudizio, partono gli emigrati?
La migrazione viene da qualsiasi parte.
Vengono da Craiova la popolazione rom, si tratta di una zona di pianura dove l'agricoltura non ha grande
successo adesso, perché nessuno investe nelle piccole aziende. Molti rumeni arrivano dal Maranuesh, una zona
al centro nord.
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Dopo la rivoluzione dell’’89 i primi ad andare via sono state le persone della regione Moldavia e sono andati via in
tanti. Adesso arrivano da tutta la Romania.
Da tutta la nazione.
Da tutta la nazione.
Da tutta la nazione.
Per quanto riguarda i rumeni arrivano da tutti i territorio delle nazioni.
Proviene da luoghi specifici, non è generalizzata. Non ho informazioni precise sulle aree di provenienza.
Quasi dappertutto, con qualche eccezione, per esempio dalla zona di Timisoara non esistono emigrati romeni
perché gli italiani sono venuti lì. Nella zona di Timisoara si parla più veneto che rumeno, la Confindustria del
triveneto ha fatto una delle sue riunioni annuali lì. Lì non esiste disoccupazione. Nella zona di Bucarest lo stesso.
Forse da lì arriva qualche giovane informatico.
Se iniziano a venire partendo da un'area della Romania e si stabiliscono in un'area geografica dell’Italia, poi fanno
venire anche altri da quell'area. Perciò probabilmente dipende dai primi che sono partiti perché poi quelli
richiamano gli altri. In questo modo abbiamo individuato non solo l'area da cui provengono, ma anche l'area di
destinazione in Italia. Per questa ragione per gestire i rimpatri abbiamo organizzato dei ponti tra i comuni da dove
provengono e quelli in cui sono emigrati.
Dal suo punto di vista, nel progetto migratorio i suoi concittadini prevedono di ritornare in patria dopo
alcuni anni, con i guadagni accumulati, e costruirsi una nuova attività, o desiderano solo andarsene?
La maggioranza pensa di tornare in Romania con i soldi accumulati e di investirli nell'acquisto dell'appartamento e
dell'automobile. L'acquisto dell'appartamento è importante. Quando tornano poi si fermano in Romania.
Il progetto migratorio è quello di lavorare per qualche anno, sacrificandosi e tornare in Romania per lavorare e
costruire qualcosa, tipo acquistare la casa e la terra.
Quelli che vogliono stare in Italia si capisce subito perché chiedono la cittadinanza italiana, si stima che siano
intorno a 500 persone quelle che hanno già la cittadinanza. Molti chiedono il domicilio in Italia, ma non la
cittadinanza. Il resto lavorano qui per mandare in Romania soldi per costruirsi una casa o per iniziare qualche
affare, questi sono la maggior parte. Ogni anno entrano in Romania quasi 35.000.000 di euro di rimesse. La
pensione è un problema gravissimo, perché non ci sono accordi di reciprocità per il congiungimento della
pensione italiana con quella rumena.
Parlando di me sono qui per creare un futuro ai miei figli, che sono qui con me. Credo che se i giovani si sposano
e si fanno un vita, sono disposti a rimanere qua. Io no, quando sarà, voglio tornare. La cittadinanza sarà bella, ma
io non mi sento di prenderla, perché non lascerei la mia cittadinanza mai. Mi piace tanto qua, ma voglio tornare.
Lavorare in Europa, ma fare avanti e indietro.
Vogliono fermarsi in Europa.
Qualcuno vuole fermarsi e qualcun altro non vuole. Torna in Romania chi ha guadagnato i soldi, è un problema
tornare a casa senza soldi.
La cittadina rumena di solito viene in Italia per lavorare e racimolare un gruzzolo con la prospettiva di tornare al
suo paese comprandosi una casa e vivendo diversamente da come aveva vissuto nel passato, cioè togliersi dal
regime di povertà in cui aveva vissuto. L'uomo rumeno dai 25 anni in su viene in Italia per trovare lavoro, i più
giovani spesso cadono nella rete della delinquenza. Come tipologia di reato quello tipico è il ladro di
appartamento. Comunque l'uomo rumeno vuole abbandonare il suo paese perché non gli ha dato molto e quindi
preferisce cercare di mettere radici in Europa.
All'inizio del percorso migratorio c'è l'idea di tornare, poi dipende da come va l'inserimento, se questo c'è pensano
di rimanere (ma a volte anche se non c'è si continua a tentare di restare qua), molti immigrati hanno comprato
casa qua. Quando si parte la spinta del processo migratorio non è quella di pensare di andare a vivere all'estero
per tutta la vita.
Il 95% partono con l'intenzione di tornare, poi di questi, una volta che hanno portato la moglie e i bambini, rimane
un 20% che vuole tornare. La maggior parte all'inizio parte con l'intenzione di tornare, di farsi una casa, comprarsi
un pezzo di terra in Romania.
Per la Romania non saprei, i rom vanno e vengono, continuano ad andare e venire, le famiglie sono famiglie
allargate. Alcuni gruppi rom fanno una scelta di pendolarismo, questo è evidente per il fatto che non tengono
bambini, appena il bambino è svezzato lo riportano in Romania, e arrivano tutti da uno stesso villaggio. Il che
significa che il loro interesse è lavorare per garantirsi la sussistenza (lavorando o facendo l'elemosina) e che
ritengono di avere più possibilità in Europa che non in Romania. Non hanno un progetto di rimanere o rientrare.
Quello che dicono è che se là si stesse meglio magari torneremmo.
Una persona che lascia il suo paese comunque nella testa ha l'idea di tornare un giorno. E' un suo sogno, poi non
si sa mai se si realizza o no, ma questo c'è. Io pure ho questo sogno e penso che un giorno rientrerò, anche se
vivo da 18 anni in Italia, sono integrata bene, mi trovo bene. Sicuramente questi saranno sempre i miei due paesi,
Italia e Bosnia. Però io sento dentro di me che dovrei ritornare di nuovo nel mio paese. Certo c'è anche paura,
non è facile affrontarla. Secondo me ogni persona che lascia il suo paese ha sempre l'idea di rientrare un giorno.
Di fronte ad un rientro forzato, con decreto di espulsione dall’Italia, ritiene che ci sia un’accoglienza
favorevole da parte dei famigliari del rimpatriato?
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In genere i rimpatriati sono persone che hanno ignorato la legge sul permesso di soggiorno per turismo, che non è
un reato grave, per la moralità non è considerata una cosa grave. Di conseguenza vengono accolti bene perché
alla fine sono considerate delle vittime. Vengono considerati sfortunati, perché quando vengono portati al CPT e
poi espulsi, tutti i beni che avevano in Italia vengono persi perché nessuno ha la possibilità di recuperali e portali a
casa. Perciò hanno lavorato qua senza riuscire a portare niente a casa, è proprio un fallimento.
Dipende molto dalla famiglia. Per i rom quando tornano si rivolgono alla loro comunità e ovviamente vengono
accettati perché lì la delinquenza è vista bene, non c'è pregiudizio. Se capita ad una persona (non rom) di essere
condannato e poi mandato in Romania, viene accolto dalla famiglia come una persona uscita dal carcere, non
importa che viene dall'Italia. Ho conosciuto persone che non erano regolari qui e che sono stati mandati per forza
in Romania, di solito provano a rientrare in Italia. Persone che hanno scontato una pena e che sono stati mandati
in Romania non ne ho conosciute.
Sono contenti di rivederlo, e immagino che il problema che si pongono sia la questione del lavoro, che non ha più.
Penso bene. Conosco due casi, due ragazzi, le famiglie non li hanno accolti male, hanno capito quello che è
successo e gli hanno consigliato di rimanere a casa perché la legge dice che non si può emigrare in Europa per 5
anni dopo un rimpatrio forzato.
Sono tristi.
Rimangono delusi perché torni senza soldi e senza niente.
Per venire in Italia si ha avuto un prestito, se torno senza niente come faccio a ripagare il prestito? Diventa un
problema per tutta la famiglia. Qualcuno è arrivato a dover vendere la casa.
Io parteciperei ad un progetto di rientro onorevole se mi viene offerto un lavoro pagato bene e sicuro, sono in Italia
lontano dalla mia famiglia solo per lavorare.
Credo che venga occultato quello che hanno fatto in Italia, soprattutto se hanno fatto qualcosa di poco chiaro. In
Romania rispetto alle donne so che non è visto bene il fatto che si siano prostituite in Italia. Nei colloqui che
abbiamo con gli ospiti le donne rumene raccontano che i loro genitori tendono a far finta di non sapere quello che
la propria figlia fa in Italia, e quando torna l'accoglienza non è così dura o crudele come la ragazza stessa
potrebbe immaginare. La ragazza di solito ha paura di non essere bene accolta immaginando che i genitori
sappiano che lei si è prostituita in Italia, in realtà i genitori fanno più una sceneggiata e la cosa finisce lì.
Problemi di essere accolti male riguardano solo quelle persone che sanno di avere delle pendenze con la
giustizia, ma ciò non riguarda né la famiglia né gli amici né la comunità di appartenenza. Non ho mai visto atti di
autolesionismo per la paura di rientrare a casa, in famiglia; li ho visti per la paura di dover scontare pene nel
proprio paese d’origine.
La famiglia lo accoglie con un po' di dispiacere perché non è riuscito, ma sono felici che sia tornato a casa.
Male. Credo che tranne per il ragazzino che scappa, per gli altri senz'altro male. Perché in tutte le situazioni la
famiglia investe, a livello economico, affettivo, emotivo. Pensando alle catene migratorie l'investimento significa
che c'è una futuro per gli altri. Il rimpatrio forzato in cui uno torna con il vestito che ha indosso è sempre
traumatico.
Questo dipende da come rientrano, in quali condizioni. Se ritorna una persona che qua è riuscita a guadagnare
qualcosa ed inoltre è inserito nel nostro programma per la reintegrazione, questa persona è benvenuta. Dipende
anche dai rapporti che ha avuto con i famigliari durante il periodo migratorio. Certo se una persona ha avuto delle
difficoltà grosse qua e poi rientra e continua ad essere una problema lì, non è benvenuto. Nel nostro programma
umanitario aiutiamo nel rientro le persone malate e spesso i famigliari non li vogliono lì, perché non sanno che
fare con loro.
Di fronte ad un rientro forzato, ritiene che ci sia una qualche forma di accoglienza da parte della cerchia
parentale o dai precedenti amici del rimpatriato?
Di solito nessuno dice nulla.
Mi hanno preso, che posso fare, mi hanno preso e devo tornare piuttosto che stare in carcere.
Loro non capiscono perché sei tornato indietro.
Gli dispiace, ma non gli interessa molto. Chi viene espulso prova a tornare, perché se rimane in Romania non ha
niente da fare.
Difficile dire, non l'ho mai vissuto personalmente. Secondo me portano con loro la croce di quello che non è
riuscito, ma non è una croce molto pesante perché è almeno uno di quelli che ci ha provato, che già dà una
fierezza in più. Secondo me questo non è un problema dal punto di vista sociologico.
In realtà le persone che provengono dalla Romania raccontano il rimpatrio ridendo, il concetto è vado e vengo, lo
mettono in conto perché i rimpatri in Romania sono tantissimi per cui vanno e vengono. Per esempio chi usa il
passaporto sa che deve rifarlo a causa del timbro. Però la Romania è vicina all'Italia, per cui l'investimento è più
basso.
Dipende da persona a persona. Non credo che la cerchia amicale faccia lo stesso ragionamento dei parenti,
dipende cosa gli chiede uno quando rientra, se gli richiede qualcosa. Conosco bene la realtà balcanica per quanto
riguarda il ritorno dove c'è stata la guerra. Lì ci sono stati problemi per le persone che ritornavano dopo essere
scappate dalla guerra, persone che non aveva vissuto tutto quello che avevano vissuto quelli che erano rimasti. E
in più tornavano assistito e tornavano magari anche con qualche soldo risparmiato, questo ha creato problemi.
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Così abbiamo realizzato dei progetti per i locali, per poi aiutare l'inserimento di chi rientrava, perché altrimenti chi
era rimasto si sentiva discriminato nei confronti delle persone che rientravano. Abbiamo organizzato corsi di
formazione di vario tipo, in agricoltura, per gli imprenditori, di microcredito, ai corsi partecipavano sia i residenti
che quelli che rientravano. E durante la formazione si creava un rapporto che facilitava poi la reintegrazione e il
reinserimento delle persone. Quelli che rientravano nei primi mesi del rientro erano aiutati grazie ad un piccolo
aiuto economico previsto dal nostro programma (200 euro a persona). Inoltre gli forniamo un programma di
reintegrazione, che ammonta a 1450 euro per nucleo famigliare, utilizzabili per cose ritenute necessarie, per
esempio l'affitto di una casa, mettere a posto l'appartamento oppure per creare una piccola attività. Vengono
anche aiutati nelle pratiche per l’ottenimento della pensione se sono anziani o dell'assistenza sociale in loco. Io
sono bosniaca e conosco la realtà di quando si rientra per breve tempo: c'è molta aspettativa da parte di parenti e
amici, perché pensano che chi vive all'estero ha soldi ed è benestante e torna con i soldi. Questa idea c'è.
La comunità di origine come accoglie un suo concittadino espulso da un’altra nazione?
Di solito nessuno dice nulla.
Si comportano male, parlano dicendo che non hai concluso niente
Rispetto al rientro assistito abbiamo partecipato ad alcuni tavoli di discussione sulla tematica per trasferire
l'esperienza dei servizi di assistenza italiani all’estero, in Romania per esempio. Lo scopo era di creare una rete
che potesse garantire un effettivo rientro. E parliamo di minori. Sappiamo che i problemi sono molti, che spesso i
programmi non sono appropriati rispetto all'inserimento. Bisogna lavorare molto nel paese, perché senza una
preparazione di rete forte nel paese questi rientri cadono, durano poco. E se falliscono inevitabilmente ci sarà un
nuovo tentativo migratorio. Non si può fare un programma di rientro assistito di un ragazzo albanese dandogli un
tot numero di capre perché ritorni nello shatti a fare il pastore, da dove è scappato. Ma bisogna 1) che chi crea un
progetto qui vada in uno shatti albanese in montagna e capisca che cos'è e se vale la pena di impostare un
rientro così. Il punto debole è che difficilmente si riesce a creare un legame opportuno, cioè efficace nel paese in
cui la persona deve tornare. Rispetto ai minori si stanno muovendo parecchie cose, certo dal punto di vista degli
adulti è tutta un'altra visione.
Non lo giudica male, giudicano male uno che ha fatto un reato, se lo compie in Romania o in Italia è la stessa
cosa.
Le è capitato di leggere sui quotidiani o di vedere alla televisione, nella sua nazione, situazioni in cui
venivano discriminati o, all’opposto, favorevolmente accettati degli ex-detenuti o dei rimpatriati per il
fallimento di un progetto migratorio?
Per gli ex detenuti le cose dipendono dai motivi delle condanne, nel senso che in Romania sono visti
favorevolmente quelli che clonano le carte di credito, vengono considerati dei furbi, sfortunati ad aver preso una
condanna, però accolti bene. Invece per traffico di droga, prostituzione, rapine a mano armata vengono trattati
male.
Le situazioni sono diverse, c'è da dire che la polizia è molto corrotta in Romania, di conseguenza la delinquenza
diventa meno pesante, cioè è pesante dal punto di vista del cittadino che deve difendersi, ma c'è un numero molto
alto di delinquenti. Durante il comunismo eravamo tutti delinquenti (cioè tutti rubavamo allo Stato, chi il pane
perché lavorava al forno). Questa è la mentalità del popolo. A meno che non di tratta di qualcosa di molto grave,
vengono trattati normalmente, non vengono né favoriti né discriminati.
Non se ne parla.
No.
Non c'è discriminazione, ma neanche nessuno che ti aiuta.
Se ne parla e si dice che sono stati costretti a delinquere perché non hanno trovato lavoro e avevano bisogno di
soldi. Per loro non si fa niente. Le persone cercano di tornare in Italia perché in un giorno in Romania si guadagna
1 e in Italia si guadagna 10.
Sì, dicono che non vogliono i rumeni in Europa, mentre per la Romania è vantaggioso avere immigrati per le
rimesse.
Non credo che se ne parli. L'attenzione è sulla migrazione positiva, sui successi. Tutti i paesi hanno ministeri per i
loro immigrati all'esterno, anche le associazioni migranti che sono qui si stanno sempre più muovendo su discorsi
positivi, della possibilità di investire nel paese d’origine l'esperienza acquisita qui o le risorse economiche.
Sarebbe interessante sondare all'interno delle comunità di emigrati, che si stanno sempre più raggruppando.
Sarebbe interessante in queste sedi di incontro sottoporre a loro la questione di cosa ne pensano dei fratelli più
sfortunati.
I giornali ne parlano, per esempio c'è un quotidiano che pubblica una pagina settimanale con le lettere, i pensieri
e fatti di vita di quelli che sono rimasti definitivamente all'estero (l'emigrazione rumena è forte non solo in Italia, ma
anche in Spagna, in Canada, negli Stati Uniti), lo fanno per illustrare questo fenomeno e per far vedere sia i lati
positivi sia i fenomeni negativi. Soprattutto da 2 o 3 anni c'è una preoccupazione sia a livello governativo che dei
mass media, della società rumena. In Romania c'è già la carenza di mano d'opera in alcuni campi perché sono
tutti all'estero, dunque c'è già una preoccupazione.
Non lo so. I programmi che ho gestito io erano verso i Balcani e in questi casi ho notato che i mass media ne
parlano perché il ritorno nei paesi dove c'è stata la guerra era importante. Inoltre tutti i nostri progetti di
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reintegrazione sono stati portati sui media. I mass media hanno parlato bene dei nostri progetti apprezzando la
formazione e la reintegrazione.
Le è mai capitato di conoscere tra i suoi vicini di casa, nella sua nazione di origine, degli ex-detenuti o dei
rimpatriati? Come vivevano?
No.
Non ho mai avuto conoscenze dirette.
Dei due casi che conosco, appartengono a famiglie normali, ma fanno fatica a trovare lavoro. In casa non hanno
problemi, ma hanno problemi col lavoro. E poi c’è molto sfruttamento, perché sono giovani e vengono sfruttati,
non gli fanno un contratto di lavoro, prima di essere assunti devono lavorare in nero con un salario basso. Nella
mia regione ci sono molti imprenditori italiani e anche loro si sono comportati molto male con i lavoratori. Hanno
fabbriche di scarpe e confezioni e sfruttano i lavoratori. Adesso la gente si è un po’ resa conto e comincia a non
andare più a lavorare lì e a non vedere più bene questi imprenditori. Vengono a fare i padroni, mentre la gente ha
bisogno di essere trattata con dignità e di venire trattata come gente normale, in maniera umana.
No.
No.
Era dispiaciuto perché non aveva soldi né lavoro e non poteva mantenere la famiglia.
Secondo me bisogna scindere in due l’ambito, quelli che sono riusciti in Italia a fare le formiche (che hanno
racimolato del denaro) e quindi nel loro paese hanno una prospettiva di vita dignitosa; e quelli che hanno fatto le
cicale e che si trovano ad avere lo stesso identico problema di quando sono venuti in Italia. Molti, moltissimi, di
quelli che sono venuti a vivere in Europa, una volta che tornano, rimpiangono il modo di vivere europeo, anche gli
stessi mussulmani.
Molti li ho conosciuti qui in Italia per il mio lavoro. In Romania personalmente non ne ho conosciuti, però ho avuto
alcuni riferimenti da parte di altre persone: qualcuno ha riconsiderato l'esperienza migratoria, perché tanti hanno
fatto reati senza sapere e senza volere, spesso hanno avuto condanne che non hanno capito bene, spesso hanno
avuto avvocati d'ufficio che non gli hanno accordato una buona assistenza. Quando rientrano hanno intenzione di
far qualcosa in Romania perché dicono "ho fatto questa esperienza che non è per me, voglio mettere sull'avviso
gli altri". Ci sono altri che aspettano che trascorra il tempo del divieto di entrare nello spazio Schengen per
tornare. Dipende, anche i rumeni sono come tutti gli altri: c'è di tutto.
Se il soggetto rimpatriato ha commesso all’estero un reato contro la persona o contro il patrimonio ed ha
subito una pena, come lo accoglie la sua comunità?
Per questo è uguale in tutto il mondo. Comunque la famiglia lo capisce che è successo qualcosa, perché la
persona detenuta improvvisamente sparisce, non si fa sentire, non manda i soldi ect.
Dipende da quello che ha fatto, se ha rubato non è una cosa grossa, se ha fatto un crimine (omicidio) allora la
famiglia non lo accoglierà facilmente.
Pensano che è meglio che sia tornato a casa, piuttosto che rimanere fuori da solo. Un conto è se all'estero hai un
lavoro e una casa, se non hai niente i genitori preferiscono che rientri.
Non ne ho mai incontrati, in Romania non ci si interessa di quello che fanno le persone.
Non è detto che la famiglia e la comunità siano a conoscenza di quello che ha fatto in Italia. Quindi è una
questione di relazioni interpersonali. Comunque non è vanto per nessuno aver compromesso la propria e l'altrui
onestà, quindi sicuramente lo nascondono e la cosa passa in sordina.
Dipende dal crimine, una cosa è un omicidio, una cosa è una rapina, una cosa è una truffa.
Delle persone che abbiamo conosciuto sappiano che non dicono alla famiglia che hanno subito delle condanne.
Lo tengono nascosto tranne che per le lunghe detenzioni, soprattutto chi doveva provvedere alla famiglia.
A quali condizioni di comportamento si attiva la possibilità di ricevere un aiuto dalla propria comunità e di
essere valutati positivamente?
Come popolo è abbastanza accogliente e si aiutano reciprocamente, se in un paesino c'è una famiglia povera tutti
gli altri la sostengono.
Il fatto di aver scontato una pena all'estero, perché quando fai due anni di carcere in Romania non è uguale come
fare due anni di carcere in Italia, ha un valore in più, e quindi diventa una cosa importante. Per il resto dipende
dalla famiglia e dalla comunità dove rientra questa persona, se è una famiglia normale è visto come uno che è
tornato a casa. E' importante che ci sia un riferimento famigliare.
In Romania c’è una corsa bestiale a guadagnare in qualsiasi modo. Il carattere comune dei rumeni era l’unione,
l’accoglienza e la laboriosità. Ora un po’ si è perso il carattere dell’unione, dell’aiuto reciproco, perché il sistema
dittatoriale ha provocato una grande paura generalizzata, si aveva paura anche del proprio vicino. Adesso è
iniziata la corsa al guadagno perché la sensazione è di aver perso 45 anni della propria vita nella povertà.
Apprezziamo l’onesta e la capacità di dice le cose come stanno e di dimostrare quello che si è, apprezziamo le
persone limpide e che non nascondono. Dire la verità è sempre vincente. Essere una persona credibile grazie al
proprio modo di lavorare, al proprio modo di essere, per come si comporta a casa nella sua famiglia.
Nel mio paese non c'è nessuno che ti aiuti perché sono tutti nella stessa condizione. Il lavoro è irregolare per tutti.
Stare in famiglia, avere un lavoro, non fare casino (cioè non rubare).
Essere disponibili e gentili, dare confidenza agli altri.
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Una delle poche cose buone che abbiamo ereditato dalla dittatura è stata un certo tipo di solidarietà, perché
essendo tutti incastrati la solidarietà diventava uno dei pochi ami che avevamo. Questo sta gradualmente
diminuendo perché la libertà e la democrazia hanno portato con sé anche eccessi, c'è chi non ha capito bene la
democrazia perché la intende come la possibilità di fare tutto quello che si vuole. I rumeni sono specialmente
sensibili nei confronti degli anziani, è una nostra vecchia tradizione, per i bambini, per chi ha un handicap. Per
esempio quando non abbiamo la possibilità di rimpatriare qualche cittadino rumeno con questi problemi, portiamo
il caso alla chiesa e lì si organizza una colletta e si trovano delle soluzioni volontarie.
Per il resto la domanda è troppo generica e valida per tutto.
Nell'esperienza di rientro nei Balcani ho notato che dipende sempre dalla persona, infatti ho notato che le persone
che erano ben integrate in Italia e che hanno acquisito esperienze lavorative o di studio sono state più accettate
nel paese d'origine, anche perché portano con sé un insegnamento e un'esperienza nuova utile al paese. La
persona che non è riuscita ad integrarsi in Italia, avrà comunque difficoltà anche nella reintegrazione nel paese
d'origine, perché si tratta di una questione personale, di un fattore personale che è molto importante, dipende
dalla forza interiore della persona, il modo di reagire, di affrontare le situazioni. Però non è sempre detto, ci sono
anche dei casi che avevano una pessima integrazione in Italia, ma che sono riusciti rientrando a reintegrarsi,
trovando un lavoro e trovandosi a proprio agio nel loro ambiente, meglio che in Italia. Dipende molto da persona a
persona, da caso a caso. Spesso queste persone hanno anche problemi psicologici perché non è semplice
spostarsi da un paese ad un altro, poi di nuovo rientrare, sono tutti shock e dipende come questi shock vengono
superati.
Se il rimpatriato ha fatto parte all’estero di associazioni criminose, come viene accolto dalla sua comunità
di appartenenza?
La mafia è arrivata dopo la rivoluzione, perché prima non c’era. La gente normale non la vede bene.
Non lo vogliono più.
La famiglia lo esclude perché ha fatto una cosa troppo grave.
La famiglia non lo vedrebbe bene, non lo riprenderebbe in casa.
È un lupo in mezzo ai lupi, questo riguarda il tipo di codice presente nelle carceri, nel senso che ci sono reati gravi
per la dignità (il reato di traffico internazionale di stupefacenti non è considerato così grave come uno stupro, dal
loro punto di vista). Perciò chi ha commesso un reato “normale” viene visto come tutti gli altri, chi ha fatto uno
stupro è considerato in maniera negativa. I reati non sopportati sono lo stupro e la violenza sui minori, è una
percezione generalizzata.
La società rurale rumena è ancora un po' patriarcale, è una società semplice con valori chiari e determinati (come
era la società italiana dopo la guerra), una civiltà contadina con aspetti positivi e negativi. Sono meno indulgenti
per reati legati alla prostituzione, pedofilia, rispetto alla criminalità organizzata non capiscono bene di che cosa si
tratti. La morale è ancora forte. In città non esiste, le persone si conoscono a mala pena.
Quali sono le tipologie di reato che sono più compiute nella sua nazione e con quale intensità di pena
vengono punite?
I reati più compiuti sono i furti.
Quello che dice la cronaca sono i furti, la violenza sessuale (quello che vedo io alla televisione rumena) oppure
omicidi passionali o famigliari. 10 anni fa si ammazzavano molto per la terra, dopo la legge della proprietà della
terra si è innescata questa furia della proprietà, del desiderio di ottenere la terra, e fratelli e parenti si
ammazzavano per la terra.
Non so quali siano le pene.
Dal punto di vista sociale vengono molto condannati i reati tipo la pedofilia e l'abuso sessuale, anche il carcere
per le persone che commettono questi reati è duro.
Furti. La mafia è cresciuta molto, capita che si ammazzano tra loro. La delinquenza è cresciuta molto, la droga si
è molto diffusa. Il mondo occidentale ha portato tutto il bene e tutto il male anche in Romania, quello che capita
qua capita anche in Romania
I furti.
Rubare cibo in un magazzino.
Rubare in casa.
Il furto, per un piccolo furto lasciano correre per la prima e la seconda volta che viene fatto, mentre per una rapina
violenta la pena è di 6 o 8 anni.
In Romania vengono commessi molti reati sui minori sia perché i bambini sono deboli sia a causa del fenomeno
dell’alcolismo, che è un problema molto forte ed è collegato alla disoccupazione. Prevale una cultura maschilista,
che considera la donna e i minori in un certo modo. Queste sono problematiche che vengono tenute nascoste
anche dal governo rumeno.
Dal punto di vista sociale c'è stato uno iato, soprattutto negli ultimi anni della dittatura, per cui ci sono reati di
violenza, anche collegati al consumo eccessivo di alcool, soprattutto nell'ambito famigliare. L'uomo padrone che
calpesta la moglie e i figli e li considera la sua proprietà. Ci sono tantissimi furti per sopravvivenza, dovuti alla
mancanza. Tra i giovani (e questo ci preoccupa) c'è una criminalità informatica di alto livello visto che c'è una
grande preparazione informatica (pochi sanno che la seconda lingua che si parla in Romania è Microsoft), siamo
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tra i migliori nel bene e nel male. La maggior parte delle violenze sono violenze dovute al livello culturale e
sociale, all’istruzione, per il consumo eccessivo dell'alcool e sono legate alle zone più povere del paese.
Ci sono dei reati che vengono sopportati e non perseguiti nella sua nazione, perché sono compiuti da una
grande quantità di persone o perché vengono ritenuti necessari alla sopravvivenza?
I furti, le rapine sono considerati spiegabili dalla situazione economica, che porta il popola a delinquere. Inoltre il
numero di persone con delle condanne è molto alto. Il rumeno ha l'animo napoletano, le truffe sono considerate
da furti non da delinquenti. Tutti i reati dove non si fa del male fisico sono considerati tipo Robin Hood, si toglie ai
ricchi per dare ai poveri.
Il reato economico tipo frode. Fondamentalmente non è visto come un reato.
Se rubi una piccola cosa e hai un buon avvocato non vai in carcere.
Se una persona è minorenne o incensurata lasciano perdere, ma la seconda volta che quella persona viene presa
la mandano in carcere. Per un furto la pena è di 1 o 2 mesi, se rubi 10 cose calcolano la pena come se ne avessi
rubata una sola.
Quando non si paga una multa e il furto di cibo per mangiare.
Per i rumeni il furto è considerata una cosa normale, se non ce la si fa a vivere allora si ruba.
Probabilmente sì, anche proprio sui diritti.
Secondo le leggi, che sono identiche a quelle italiane, no. Per il resto è come in Italia, se uno ha rubato un pane
perché aveva fame anche il venditore del pane certe volte chiude un occhio.
Posso parlare dei rom rimpatriati in Romania: loro hanno un atteggiamento nei confronti degli oggetti tutto
particolare, nei confronti dei soldi hanno un atteggiamento culturale diverso. Non percepiscono il furto come reato.
Se dovessimo proporre degli inserimenti lavorativi nella sua nazione, dove è realistico che vengano
proposti? Nelle città o nelle campagne? Dove esiste un tessuto industriale - artigianale o in altri luoghi?
Ci indichi i luoghi.
La maggioranza delle persone che scontano una pena in carcere in Italia sono persone che hanno commesso
molti reati, a meno che non siano stati sfortunati da essere presi subito. Quando vengono presi di solito vengono
presi senza soldi perché appena compiono un reato i soldi vengono mandati in Romania, senza una possibilità di
recupero da parte dello stato italiano. Infatti tutti dichiarano, ed è vero, che non hanno beni. Da qui parte il mio
dubbio sul fatto se loro vogliono essere aiutati, perché in genere loro hanno mandato così tanti soldi a casa che
pagano la loro pena qua, poi quando vanno a casa tirano fuori i soldi e vivono da signori.
Ci sono poi quelli presi al primo furto o quelli che facevano pochi soldi che potrebbero venire inseriti nel settore
delle costruzioni, tipo muratori.
Bisogna vedere se c'è una legge che favorisce le aziende che inseriscono queste persone. Bisogna vedere se per
esempio lo Stato paga per queste persone metà dei contributi, se un privato che ha un'attività ha questi vantaggi li
inserisce più facilmente.
Nelle aree industrializzate c'è più richiesta, però anche nelle aree agricole - contadine dove servono meccanici per
i trattori, dove sono molto ricercati quelli che coltivano la frutta (mele e vigna).
Dipende se la persona ha un mestiere in mano allora bisogna cercare laddove può fare il suo mestiere. Se non ha
un mestiere bisogna fargli fare un scuola.
Io so fare il muratore, è l'unico mestiere che so fare, quindi posso fare quello. Lavorerei in qualsiasi posto, se mi
pagano a giornata vorrei 60/80 euro al giorno, se ho un contratto a tempo indeterminato vanno bene 30 euro al
giorno.
Sono pochi i rumeni che accetterebbero un lavoro in Romania perché la paga è bassa. Se sono pagato bene non
mi interessa né dove lavoro né che lavoro faccio. Comunque mi piacerebbe fare l'autista o il camionista e
guadagnare circa 400 euro al mese, ma c'è tanta concorrenza.
Un lavoro dove si guadagna bene, intorno ai 400 euro al mese.
Bisogna fare uno studio più approfondito sui singoli paesi. E poi dipende da dove provengono, perché se una
persona proviene da un'area rurale e la sua unica esperienza metropolitana è stata a Milano ed è finita pure male,
non è pensabile reinserirlo in un’area metropolitana, perché sarebbe troppo complesso. Il territorio di dimensione
medie è il luogo dove si può immaginare di avere un'attenzione maggiore da parte della comunità. Oramai le
grandi aree metropolitane sono troppo dispersive e non è detto che garantiscano l'attenzione della comunità,
mentre questo credo che sia un elemento indispensabile per un progetto come il vostro. Nelle aree medie il
terziario offre ancora delle possibilità.
I progetti di sviluppo agricolo per loro natura si realizzano nelle campagne, i progetti di formazione molto spesso
tengono conto delle opportunità delle varie zone e in genere è più facile realizzarli nelle città. Tutto dipende dalle
caratteristiche del territorio. In molti paesi terzi c’è interesse a sviluppare le aree rurali, aree che potenzialmente
sono molto ricche e che necessitano di tecnica e modalità di coltivazione, offrono diverse possibilità. L’importante
è sempre fare un’analisi generale per vedere quali sono le opportunità e sulla base di questo muoversi. Quello
che chiamiamo lo studio di fattibilità del progetto, fatto in maniera dettagliata, perché le realtà sono molto diverse,
da paese a paese si trovano cose molto differenti.
Secondo me bisogna fare un progetto più complesso, più ampio, con più attori. Identificare le aree non è difficile,
bisogna partire dalle persone detenute e vedere da dove provengono. Con la Regione Lombardia, con i fondi
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strutturali europei, si potranno fare sia investimenti per le infrastrutture sia per sviluppare quelle zone,
valorizzando l'inserimento di queste persone e delle loro famiglie. Con la Camera di Commercio si possono
attivare investitori italiani già presenti in Romania, si possono realizzare accordi bilaterali per avere delle
agevolazioni sia per gli investitori sia per lo sviluppo di queste aree. Il governo rumeno è disponibile a questo.
Inoltre c'è una certa autonomia locale nei campi economico e amministrativo, quindi i contatti giusti possono
essere trovati e da parte nostra c'è la disponibilità a dare una mano d'aiuto.
Se penso alla Romania dipende dalle zone da cui arrivano maggiormente le persone. O si pensa a degli
investimenti ad personam e quindi si verifica quello che la persona faceva, il livello di qualificazione professionale,
l'età, e in base a questo gli si dà una borsa lavoro per formazione professionale e si cerca qualcuno che nel paese
lo segua avendo fatto un'indagine, una ricerca, su quelle che possono essere le risorse del paese. In alcune aree
della Romania i contadini arano con il cavallo, allora se una persone arriva da quel territorio e la sua famiglia è
contadina, un trattore li può aiutare. Ma cosa significa un trattore? Oppure aiutarli a mettere in piedi un
allevamento. Però questo funziona e non funziona, se mettono in piedi un allevamento c'è mercato? Oppure visto
che ogni contadino che è nei dintorni delle grosse città ha uno spazio all'interno del mercato e quello spazio se lo
gestisce, quindi ci porta le proprie risorse e le vende, allora si può facilitare cose di questo tipo. Però ci vogliono
dei referenti precisi sul posto, e poi è indispensabile il verificare quali sono le risorse della persona, le competenze
e su quale territorio rientra, per capire come poterlo supportare. Se penso ad alcuni villaggi so che non c'è niente
da fare, si trovano in zone altamente depresse. Se una persona ha avuto un'esperienza migratoria in Europa, il
pensare di rientrare in un paesino senza l'acqua, è quasi inconcepibile? A me viene più in mente un progetto ad
hoc e questo comporta l'avere dei referenti seri sul posto. Bisogna anche valutare la storia della persona, per
esempio se la famiglia ha investito affinché la persona potesse recuperare risorse per tutti allora il discorso
lavorativo è importante. Perciò è importante dargli un'opportunità lavorativa, soprattutto se viene dalla campagna
e non ha risorse, allora va bene anche che non rientri nel suo paesino ma in una città e gli si offra un lavoro. Se
invece la persona avesse avuto un'esperienza migratoria drammatica e avesse bisogno di un supporto da parte
delle famiglia, allora sarebbe bene offrirgli un ritorno onorevole all'interno della propria famiglia. Dipende proprio
dalla specifica situazione.
Dovreste collaborare con lo IOM perché come esperienza in questo settore siamo gli unici. Bisogna occuparsi non
solo della questione del rientro e della reintegrazione, ma anche di tutta questa procedura per il ritorno che non è
da poco (l'assistenza per l'ottenimento dei documenti - noi abbiamo ottimi rapporti con le ambasciate e con i
governi; i visti di transito; l'assistenza in aeroporto; la procedura per la partenza, con la polizia di frontiera). In
questa parte di lavoro noi siamo molto bene organizzati perché abbiamo reti in molti paesi del mondo. E'
necessario attivare ottimi rapporti con i governi, con le istituzioni locali, perciò servono uffici in loco.
Per le persone uscite dal carcere italiano che abbiamo assistito a rientrare, li abbiamo aiutati nella procedura per
uscire dall’Italia e gli abbiamo dato un contributo di 400 euro sulla base di un loro piccolo progetto.
Che tipologie di lavoro ritiene appetibili e competitive per il mercato di lavoro della sua nazione?
L'economia sta crescendo, ci sono tantissimi imprenditori, anche se la cultura dell'io padrone - tu schiavo è
rimasta, comunque tutti i settori si stanno sviluppando, le fabbriche stanno riaprendo gestite da privati. Appetibili
sono i lavori che fanno guadagnare, per le persone che non hanno studiano i lavori sono quelli del muratore,
dell'operaio in fabbrica con i turni di notte, nei combinati chimici, in miniera. Sono i lavori che comportano più
sacrifici fisici. Per chi ha studiato è appetibile il lavoro comodo e remunerativo, per esempio nelle banche private
gli agenti che trattano i mutui.
Le assicurazioni, ma devono avere un titolo di studio liceale, è un lavoro molto remunerativo (anche 500 euro al
mese). Poi i lavori manuali.
L’edilizia, anche se nei mesi invernali non c’è lavoro. Aziende agricole. Il settore turistico.
Nella mia regione c'è agricoltura e allevamento, ma ognuno produce per sé. La terra è fertile.
Industria del vetro e computer.
Il lavoro in miniera, i minatori guadagnano bene.
Da come immagino la Romania ci sono molte possibilità di collegarsi agli imprenditori italiani che hanno installato
le loro imprese là.
I mestieri appetibili sono quelli che richiedono la mano d'opera qualificata, in questo momento in Romania c'è un
boom edilizio, quindi il campo edilizio è competitivo. Servono falegnami di qualità, dove l’Italia ha un grande
tradizione. Si può migliorare la produzione del vino, con corsi ed assistenza per fare un vino di qualità. Nel campo
delle cooperative agricole.
Quali professionalità dovremmo insegnare ai suoi connazionali da rimpatriare?
Informatica perché nelle scuole non si impara.
I rappresentanti per la vendita dei prodotti, in Romania non c'era questa professionalità.
Operatori sociali, si sta muovendo qualcosa nel sociale ma sono pochi quelli formati.
Idraulico, falegname, mestieri utili e richiesti, i meccanici che riparano le auto.
Bisogna insegnargli il lavoro che gli piace, quello che gli piace fare perché se la persona vede in prima luogo la
bellezza di quel lavoro, lo fa più volentieri.
Faccio il muratore e non saprei cosa altro imparare, potrei migliorare nella pittura.
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Fare la patente.
Fare il piastrellista (viene pagato bene). Poter guidare la macchina e quindi fare la patente.
Credo che la formazione sia indispensabile, in quali settori non saprei.
Bisogna pensare alla costruzione di un percorso per la persona, basandosi sull'analisi delle possibilità che la
persona ha, in modo da impostare un percorso vincente per lo sviluppo della persona. Inoltre creare rapporti
diretti con piccole e medie imprese che danno formazione.
Bisogna inserirli all'interno del progetto più complesso, per esempio prendendo accordi con le imprese rispetto ai
campi professionali su cui serve preparazione.
Per esempio parlare bene l’italiano è una risorsa. Per il resto dipende da cosa facevano prima, quale mestiere,
quali studi e quali sono i loro interessi per il futuro.
Qual è il costo della vita nella sua nazione di origine, rispetto al nostro tenore di vita? Quanto guadagna in
media un lavoratore dipendente?
Lo stipendio normale è 150 euro, i costi degli alimentari e dell'abbigliamento sono come in Italia. Quello stipendio
non basta per fare la spesa, ma spesso ognuno ha il suo orto perciò non compra né frutta né carne né formaggio
o uova. Si comprano i detersivi, l'olio, cose che non possono essere prodotte in proprio. In città è più difficile.
Quello che è rimasto che ancora rende sono i terreni e le case. In Romania non c'è la mentalità del mutuo, l'idea
di pagare a rate non è molto conosciuta, lì si acquista tutto con i soldi in mano.
Il costo della vita è caro. Per l'affitto paghi 100 euro a Bucarest, meno nelle città piccole. Lo stipendio medio è di
125 - 150 euro. Un professore di scuola media ha 125 - 150 euro al mese (dipende dagli anni di anzianità).
Un'infermiera professionale può arrivare con i turni a 200 - 300 euro al mese. Il mangiare è caro, non così caro
come in Italia. Per vivere una vita decente hai bisogno di almeno 300 euro al mese se hai la casa. Invece tanti
hanno lo stipendio di 150 euro e magari devono pagare anche un affitto. Quelli che vivono in campagna ed hanno
lavoro magari se la cavano meglio.
Da qualche anno i prezzi di verdura e carne sono quasi uguali a quelli italiani, ma gli stipendi sono di 6 volte
inferiori. Lo stipendio medio nazionale mensile è di 4.000.000 di lei, un chilo di carne costa 200.000 lei. Un chilo di
pane costa 20.000 lei. Mia sorella che vive in Romania e ha una pensione da 2.800.000 lei al mese, dopo 10
giorni finisce i soldi. In Romania c’è di tutto, prima quando andavi in un negozio non avevi scelta, adesso c’è di
tutto ma la gente non se lo può permettere. 1 euro = 35.000 lei. Per vivere bene bisogna avere almeno
15.000.000 di lei al mese, poco più di 400 euro
Il costo della vita è quasi come qua, lo stipendio è molto basso, per questo tante persone fanno i prestiti in banca,
la gente ha tanti tanti debiti. Fanno prestiti in più banche e non riescono a restituire i soldi.
Servono 250 euro al mese (senza automobile).
300 euro al mese per una vita normale.
Servono 400/500 euro al mese.
I costi crescono ad un ritmo molto più accelerato in confronto agli stipendi, ma è un sacrificio che abbiamo
calcolato per l'ammissione della Romania nell'unione europea. Ci sono tante cose che costano quasi come in
Italia e qualche cosa ancora di più. Il livello dello stipendio è 8 o 10 volte inferiore. Ci sono anche cose che
costano meno che in Italia. Anche qui si può notare un progresso per il fatto che negli ultimi anni la Romania ha
avuto un tasso di crescita del PIL del 25%, questo non si è riflesso subito ma in 2 o 3 anni si vedrà. L'inflazione è
scesa 3 anni fa sotto il 10 % da più del 100% di prima. Quest'anno sarà intorno al 5 o 6%. Sono dei segnali
positivi, aspettiamo che si vedano anche nel costo della vita reale del cittadino.
Quello che posso dire è che le persone che sono rientrate con noi in Romania riuscivano a comprarsi un pezzo di
terreno o il materiale per costruirsi una casa, perciò il costo della vita è basso: penso che 300 / 400 euro sia un
buono stipendio mensile lì.
Su quali paesi stranieri sarebbe meglio che realizzassimo il progetto Odisseo?
Più che sui paesi bisognerebbe concentrarsi sulla tipologia di reati. Probabilmente più il paese è lontano, più è
difficile per lo straniero rientrare. Mi concentrerei sulla tipologia di reati, darei per poco appetibile lo straniero che
si è macchiato di violenza sessuale (e ce ne sono tanti), il loro destino è di essere espulsi, difficilmente questo
ufficio valuterà positivamente la richiesta di rilascio di un permesso per lavoro anche se il posto di lavoro ci fosse.
Spessa cosa per lo spaccio di stupefacenti. Mentre ci sono reati meno gravi, per esempio quelli contro il
patrimonio (mentre per altri reati non si va in carcere, tipo il falso, la guida senza patente, la vendita abusiva di
marchi contraffatti). Toglierei dalla casistica, nel senso che non me ne interesserei proprio, quelli che sono stati
condannati per traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione. Da parte nostra è
difficilissimo orientarci in senso positivo nei confronti di questi soggetti. Per quanto riguarda le etnie degli stranieri
soggette ad espulsioni (che sono 7000 all'anno, di cui 2000 accompagnati alle frontiere) vedi allegato.
Rispetto alla nazione da coinvolgere nel progetto bisogna puntare sull'est, i paesi che restano fuori dalla Comunità
europea e che ci resteranno per molti anni. Non la Turchia, perché non ha un fenomeno migratorio rilevante in
Italia. Tutti gli staterelli che sono nati dalla disgregazione della Russia, che sono poveri e meritevoli di assistenza:
Georgia, Lituania, Ucraina. Le persone provenienti da queste nazioni cadono facilmente nelle reti criminali, perché
sono molto poveri, arrivano in Italia e vengono convogliati sull'attività criminale che è sempre più redditizia di
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quella normale, perciò poi vengono arrestati. L'Ucraina è uno stato grande e la pressione per venire in Italia è
forte. L'Ucraina è un paese ostico, mi pare che ancora sia a regime di doppio visto, cioè bisogna avere un
permesso da loro per uscire e uno da noi per entrare. Però sono messi bene come attività criminale. E' come se si
fosse verificato un passaggio di consegne: avevamo le bande degli albanesi, poi il paese si è stabilizzato e
l’Albania non ha più una forte immigrazione e non si espelle più nessun albanese, la scommessa dello Stato
italiano è stata vincente perché quel paese si è risollevato e non ci esporta più delinquenti. Poi è toccato alla
Romania e adesso dovrebbe cessare. E' un fenomeno che si sposta. Le masse di clandestini arrivano da questi
paesi più lontani, non grosse ondate. I rumeni hanno goduto dell'estensione del visto, mentre l'ucraino non può
perché rischia dal momento in cui varca il suo confine. Per loro un espatrio clandestino è molto costoso e se
questo progetto sfocia in un arresto è il fallimento di tutto il progetto di inserimento in Italia. Costosissimo progetto
perché spendono mediamente tra i 5.000 e i 7.000 euro. Le persone arrestate per furto (che è uno dei pochi reati
che prevede la fragranza) vengono portate in camera di sicurezza, la mattina successiva hanno la direttissima,
senza andare in carcere, di solito vengono condannati alla minima e hanno l'espulsione. E' tutto automatico,
quindi voi non riuscite neanche a vederli. Se voleste farlo sareste i primi a lavorare sulle direttissime. Per lavorare
sulle direttissime bisogna inserirsi in quei tempi morti che precedono l'udienza. Una volta fatta la direttissima
vanno in via Corelli, perché non abbiamo mai il biglietto aereo pronto, e ci stanno da un minimo di 7 a un massimo
di 60 giorni. Si può lavorare con questi stranieri perché stanno lì, al centro. In via Corelli i pochi posti disponibili
sono dedicati ai carcerati, che sono per definizione pregiudicati visto che hanno una sentenza definitiva. Ci sono
dei tempi minimi e massimi in cui si può lavorare. I tempi per i trattenuti si allungano di 48 ore perché il giudice di
pace va in via Corelli a fare le convalide e in quella circostanza gli avvocati (quelli di fiducia) insistono per avere
dal giudice qualche cosa. Quello è il momento, è l'udienza di convalida che si tiene in via Corelli davanti al giudice
di pace. Normalmente hanno un giudice d'ufficio, perciò già sarebbe valida l'assistenza in questo senso. La
convalida deve essere fatta entro 48 ore dal fermo.
Il contributo che l'ufficio stranieri della P.S. potrebbe apportare al progetto Odisseo è quello di prendere in
considerazione le vostre richieste, meramente conoscitive, certo non sulla personalità della persona, l'elenco dei
precedenti, i reati fanno parte di quei dati sensibili che richiedono una delega delle persone, che passa attraverso
l'avvocato di fiducia. Quello che possiamo dire per indirizzare, lo facciamo.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA ANTROPOLOGICO – CULTURALE
ROMANIA
Le ragioni della migrazione e i processi migratori
Dal 2000 ad oggi le spinte alla migrazione sono date dall’esigenza di migliorare la propria condizione di vita
dal punto di vista economico, perché in Romania c’è lavoro ma i salari sono bassi; i giovani sono mossi anche
dal desiderio di conoscere paesi diversi e di verificare la propria capacità di integrazione; i rom hanno
motivazioni di tipo sociale, collegate ad una situazione di pregiudizio negativo nei loro confronti e di
emarginazione, malgrado negli ultimi anni abbiano acquisito molti diritti civili.
I processi migratori sono caratterizzati da due fenomeni distinti: c’è chi parte per accumulare risorse
economiche da investire in Romania, con la speranza di riuscire a tornare nel giro di pochi anni, e c’è chi parte
pensando di stabilizzarsi all’estero. Durante la migrazione questa idea originaria muta, tanto che c’è chi stima
che solo il 20 % degli emigrati decidono di rientrare in Romania, ma c’è anche chi aumenta la stima ad oltre il
50%. Alcune testimonianze evidenziano che sono le donne quelle più propense a rientrare in patria, mentre gli
uomini preferirebbero cercare di mettere radici in Europa. Condizione sine qua non per rientrare in patria è
quella di avere accumulato risorse economiche durante l’esperienza migratoria.
Viene evidenziata anche per la Romania la presenza di “catene migratorie”, con una caratteristica specifica: si
raggiungono amici più che parenti. Tale fenomeno ha prodotto delle migrazioni selettive per regione, cioè in
una certa provincia italiana la maggior parte della popolazione rumena immigrata proviene dallo stesso
distretto rumeno.
In questa fase storica sembra che la migrazione parta da tutto il territorio rumeno. Essendo la Moldavia una
delle regioni più povere della Romania, molti degli emigrati provengono da lì. L’unico territorio non colpito dal
fenomeno migratorio pare essere quello di Timisoara, a causa del grande investimento di risorse economiche
straniere avvenuto negli ultimi anni (in questa area sono state impiantate 20.000 piccole e medie imprese
italiane). La popolazione rom proviene prevalentemente da Craiova, il loro progetto migratorio prevede però
costanti spostamenti da e per la Romania.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La famiglia
L’espulsione pare non costituire un problema, né per chi viene espulso perché trovato senza permesso di
soggiorno né per le persone che vengono rimpatriate dopo un periodo di detenzione. Nel primo caso la
percezione riportata relativamente alle famiglie è la contentezza di rivedere il parente, la sottolineatura che
l’emigrazione irregolare non è considerata moralmente riprovevole, il fatto che le persone rimpatriate in questo
modo sono considerate vittime e sfortunate (perché durante il rimpatrio hanno perso tutti i loro averi), la
preoccupazione del loro destino occupazionale in Romania, e la possibilità che si affronti di nuovo un percorso
migratorio irregolare.
Se l’avvio del percorso migratorio è avvenuto attraverso un prestito di denaro, il rimpatrio è vissuto in maniera
molto pesante e negativa sia da parte della famiglia che da parte del rimpatriato spesso, perché si apre il
problema di come pagare il debito contratto.
Invece sono le stesse persone espulse che potrebbero soffrire soggettivamente di questa situazione, perché
tornano a mani vuote e si sentono falliti.
I rom vengono accettati dalle loro famiglie e dalla comunità, di solito provano a tornare in Europa.
Modalità di accoglienza per un rientro forzato - La cerchia parentale, gli amici e la comunità di origine
Di solito chi rientra lo fa portando la croce di quello che non è riuscito, ma non è una croce molto pesante
perché è almeno uno che ci ha provato e perché l’investimento per il tentativo migratorio non è molto alto,
essendo la Romania molto vicina all’Italia. Perciò la percezione è che dal punto di vista sociologico il rimpatrio
non sia un problema, lo può essere a livello soggettivo per la singola persona che lo ha subito.
Le testimonianze dirette di persona rimpatriate evidenziano che non hanno avuto grossi problemi nell’ambito
famigliare e della comunità, bensì rispetto al lavoro, non solo perché hanno avuto difficoltà a trovare impiego
ma anche perché viene evidenziato il fatto che in Romania c’è un evidente sfruttamento della forza lavoro,
caratterizzato dal lavoro in nero e sottopagato (questo anche da parte degli imprenditori stranieri che hanno
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aperto realtà produttive in Romania e che iniziano a essere visti con diffidenza da parte della popolazione
locale).
Modalità di accoglienza per un rientro forzato – Mass media
Le testimonianze in questo caso sono contrastanti: c’è chi dice che i mass media ne parlano illustrando i lati
positivi e quelli negativi del processi migratori avendo anche uno scopo di contrasto all’emigrazione, poiché in
Romania inizia a scarseggiare la mano d’opera; c’è chi sostiene invece che i mass media puntino l’attenzione
sul fatto che l’Europa non voglia accogliere i rumeni; infine c’è chi dice che i mass media non parlano dei
fenomeni migratori.
Tipologia di reati maggiormente commessi in Romania
Furti, clonazione di carte di credito, truffe, abusi sessuali su donne e minori, omicidi (in ambito mafioso,
all’interno delle famiglie soprattutto per l’eredità dei terreni, passionali), reati collegati alla droga.
I reati sopportati
I furti minori perché sono considerati spiegabili dalla situazione economica, e le truffe che non sono viste come
un reato.
Modalità di accoglienza per chi ha commesso un reato
Le modalità di accoglienza in questo caso sono varie e dipendono da molti fattori: se la persona dichiara ciò
che le è accaduto; che tipo di reato ha commesso; se la famiglia se ne accorge anche senza che il diretto
interessato lo dica; che tipo di rapporto c’è con la famiglia.
Per quanto riguarda la partecipazione ad associazioni criminali invece la considerazione negativa è data per
scontata.
Condizioni di comportamento favorenti l’aiuto
La popolazione rumena era incline alla solidarietà, .questa modalità di rapporto tra individui è andata
attenuandosi a causa della dittatura che ha indotto una sensazione di paura generalizzata, e della grande
corsa al successo economico che caratterizza quest’ultimo periodo. Legami di solidarietà e di sostegno
reciproco sono attualmente messi in atto più facilmente nelle aree rurali piuttosto che nelle zone urbane.
Altre condizioni favorenti l’aiuto sono: far parte di una famiglia, essere laborioso e riuscire ad avere
un’occupazione; l’onestà (la capacità di dire le cose come stanno e di dimostrare quello che si è)
Dove prevedere gli inserimenti lavorativi
Dalle interviste emergono tendenze diverse, l’una centrata sulla persona che si focalizza su:
• Costruire progetti ad hoc sulla persona che tengano conto delle sue relazioni famigliari e della possibilità
di avere organizzazioni referenti serie sul posto
• Impostare il progetto in base alla provenienza della persona, facendolo rientrare nella sua comunità e
fornendogli aggiornamenti professionali per attività spendibili su quel territorio
• Impostare il progetto di reinserimento in base al mestiere che la persona sa fare
• Impostare il progetto in base all’individuazione di lavori ben retribuiti
• Selezionare accuratamente i candidati ai programmi di rientro onorevole, poiché molte persone che hanno
scontato una pena in Italia sono delinquenti abituali e hanno accumulato ingenti risorse economiche in
Romania. Questo a causa dell’abitudine di inviare immediatamente il ricavato della attività criminale in
modo che non possa essere sequestrato; così, pur risultando nulla tenenti in Italia, in Romania hanno la
possibilità di contare su notevoli possibilità economiche.
L’altra centrata sul territorio, secondo cui:
• Puntare sulle aree industrializzate
• Puntare sulle aree rurali, fornendo alle persone una qualifica professionale alta
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•
Attivare investitori italiani già presenti in Romania, creando accordi bilaterali che favoriscano gli investitori
sia lo sviluppo locale
I lavori concorrenziali in Romania e la formazione professionale
I lavori concorrenziali sono quelli forniti dalla mano d’opera qualificata, perciò servirebbero corsi di
riqualificazione professionale per mestieri nei settori edile (idraulici, piastrellisti, falegnami), nel settore
meccanico, agricolo (in particolar modo per la produzione di vino).
Un settore considerato in espansione è quello turistico, in questo caso la conoscenza dell’italiano è una
risorsa in più da spendere.
I detenuti intervistati hanno espresso il desiderio di poter fare la patente e poter lavorare come autisti.
Alcuni intervistati hanno sottolineato la possibilità di collegarsi con le imprese che producono in Romania
prendendo accordi sulla riqualificazione professionale del personale e su garanzie di assunzione.
Costo della vita
Lo stipendio mensile medio si aggira intorno ai 150 euro, per vivere decorosamente servono intorno ai 400
euro al mese.
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DOMANDE AREA DELLE BUONE PRASSI
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Le risulta che suoi connazionali rimpatriati abbiano trovato la solidarietà della loro comunità ed abbiano
trovato un lavoro?
Hanno trovato lavoro, dipende tutto dalla voglia di lavorare
Le persone che rimangono a lungo in Europa creano un po’ una frattura con il proprio paese e questo le porta a
diventare straniere in Europa e straniere nel suo paese. In questi casi la solidarietà ce l’hanno più qua, perché
organizzano il gruppo qua, non là: non penso che troverebbero nel loro paese una grande solidarietà. Per
migrazioni più brevi penso che i legami rimangano abbastanza forti e se tornasse avrebbe il sostegno..
Esistono dei percorsi lavorativi costruiti ed offerti dalla sua comunità a suoi connazionali rimpatriati?
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete mai aiutato ex-detenuti o rimpatriati a reinserirsi nel
mondo del lavoro del loro paese di origine?
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete incontrato tra i lavoratori o tra i funzionari, dello stato con
cui operate, degli ex-detenuti o dei rimpatriati dopo il fallimento di un progetto migratorio?
Noi abbiamo avuto alcuni incontri con extra comunitari che vivono qui e vogliono realizzare alcune iniziative nei
loro paesi, perché attraverso i contatti con i famigliari pensano di poter realizzare qualcosa nel loro paese.
Difficilmente loro dicono voglio realizzare un progetto per tornare là, in genere dicono voglio realizzare questo per
dare lavoro ad amici, famigliari ect.
Non abbiamo mai incontrato funzionari stranieri con un’esperienza migratoria, probabilmente queste persone
appartengono ad un ceto sociale che non è attratto dalla migrazione.
In particolare nei Balcani, sono tanti anche ministri. Si tratta però di una situazione particolare, si sono trovati per
forza in guerra e per forza se ne sono dovuti andare via. Erano persone con un certo livello di educazione e di
esperienza, appena gli è stato possibile hanno voluto rientrare per loro era più facile rientrare e ricominciare nel
loro paese.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Siete a conoscenza di buone prassi o di normative che
favoriscono il reinserimento di ex-detenuti o rimpatriati nel paese estero in cui operate? o nel vostro
paese di origine?
Abbiamo avuto una unica esperienza di progetto di rientro di un gruppo di adulti con la comunità Eritrea. Questa
esperienza è stata fatta con lo IOM. Era un esperimento nostro e anche loro, nel senso che era un progetto di
rientro di gruppo, un gruppo di 12 persone. Né IOM né noi avevamo ancora fatto progetti di gruppo. E' stato fatto
in collaborazione con la comunità eritrea in Italia. Rispetto a questa esperienza le buone pratiche individuate
sono: che ci sia una chiarezza del percorso, condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte
del gruppo o della persona obbiettivo. Che sia garantito un adeguato percorso formativo qui prima che la persona
rientri. Che là ci sia una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al credito alle persone
o al gruppo che rientra. Un'altra cosa che ha garantito la riuscita del nostro progetto è stato mantenere il legame
con noi (il progetto era l'inserimento lavorativo nel campo delle telecomunicazioni, cioè mettere in piedi un servizio
di video e ripresa per la televisione eritrea e soggetti privati), quindi è stato fondamentale mantenere un legame
tra la scuola di cinema e televisione del comune di Milano e loro. Tale legame era fatto di rapporti telefonici e
scritti in modo che avessero garantito un supporto tecnico, se si spaccava una macchina o se era necessario un
pezzo di ricambio. E’ indispensabile prevedere di mantenere un legame nel tempo allentandolo poco alla volta. La
stessa IOM ha come regola di imporre un periodo di tempo fisso prima che i mezzi di produzione passino di
proprietà, tutte le telecamere per un x numero di anni sono rimaste di proprietà dell'IOM, solo in seguito è
avvenuto il passaggio di proprietà.
Rispetto alla Romania ho poche indicazioni, a parte tutte le storie legate alle migrazioni giovanili, agli interventi sui
minori, minori infrattori, minori legati alla prostituzione.
In Romania abbiamo sostenuto progetti di sostegno al disagio giovanile, perché rispetto alla Romania siamo in
presenza di una situazione numericamente consistente: Progetti di sostegno sia a interventi realizzati là, per
esempio di aiuto alle case alloggio (cioè cosa succede quando questi giovani hanno terminato il tempo della
permanenza nelle istituzioni e non rientrano in famiglia), sia progetti realizzati in una zona della Romania con
popolazione prevalentemente rom rispetto alla prevenzione all'emigrazione realizzato con ONG che lavorano con i
giovani rispetto alla formazione e al sociale; un altro progetto è partito dall'esperienza dei centri di mediazioni
lavoro del Comune di Milano, abbiamo trasferito questa esperienza in Romania dove è stato aperto uno sportello.
Noi puntiamo molto sul discorso della sostenibilità dei progetti, ovverosia che il progetto una volta concluso possa
continuare senza il nostro coinvolgimento. Per questo diamo molta importanza al coinvolgimento nel progetto di
soggetti locali e al fatto che nel progetto venga utilizzato anche del personale locale, che possa essere formato e
che poi a sua volta possa formare. E’ importante anche il trasferimento di know how e di competenze e
conoscenze da parte del soggetto italiano che realizza il progetto in collaborazione con la controparte locale.
Teniamo molto a precisare il ruolo della controparte, che deve ricoprire un ruolo attivo. Quindi il trasferimento, la
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DOMANDA 31
J.
R.
DOMANDA 32
J.
K.
conoscenza, con un coinvolgimento attivo in modo che il progetto possa proseguire anche senza il soggetto
italiano. Un altro elemento è uno studio, una valutazione a monte, delle opportunità che il territorio offre a livello
locale. Per esempio ci sono dei progetti che si basano sulla medicina tradizionale, oppure che prevedono
l’impiego di tecniche migliori per coltivazioni già presenti. Questa analisi di fattibilità iniziale è fondamentale per
poter capire quali sono le opportunità che il territorio offre.
In alcuni ambiti particolari, come quello sanitario, un contributo da parte dei soggetti europei è importante, se non
fondamentale. Noi facciamo dei gemellaggi, per esempio tra ospedali lombardi e ospedali di paesi terzi. Quello
che viene fatto in questi progetti è proprio il trasferimento di know how da personale sanitario europeo a personale
dei paesi terzi. Proprio perché su alcuni ambiti gli europei hanno un livello di conoscenza superiore. Alcune volte è
capitato anche che i medici italiani non avessero conoscenza tecnica superiore, ma il bisogno degli ospedali dei
paesi terzi era rispetto agli aspetti organizzativi. Spesso nei paesi terzi non c’è l’idea di come si faccia
l’organizzazione di un ospedale, quindi il nostro affiancamento è importante in questo senso. A volte hanno i
mezzi ma non li sanno utilizzare al meglio, perciò l’affiancamento li aiuta in questo. Anche la forma di micro
impresa rivolta alle donne viene realizzata con una forma di affiancamento per l’organizzazione della micro
impresa, poi loro sono capaci. Per esempio io ho partecipato ad un convegno sulle donne africane e la cosa che
mi ha stupita è stata che loro hanno chiesto di non mandare soldi ma risorse che le aiutassero a capire come
organizzarsi, perché per il resto ci potevano pensare loro. E’ proprio un discorso di organizzazione delle varie
attività in tutti i settori. La metodologia che riteniamo più funzionale è di prevedere una prima parte di progetto con
un contributo consistente delle organizzazioni europee, poi una fase di affiancamento che mantenga un legame
che progressivamente diminuisce fino a che la realtà del paese terzo diventa autonoma. Perché non bisogna
pensare di abbandonarli immediatamente. Ci vuole un coinvolgimento loro, quando il progetto nasce deve essere
progettato insieme (europei e paesi terzi), perché deve essere sentito, solo in questo modo sarà un progetto di
successo, perché loro hanno partecipato alla creazione, in base alle loro esigenze. Anche i rappresentanti delle
nostre associazioni, che conoscono le realtà locali e che vivono là da anni, non possono avere le esigenze che ha
la persona che è nata in quel posto e che vive quella realtà, con una cultura diversa dalla nostra. Quindi il progetto
deve essere condiviso. E’ necessario fin dalla progettazione coinvolgere le realtà locali dei paesi terzi, di chi poi
avrà la gestione del progetto. In genere i progetti nascono sulla base di esigenze che sono locali. Per esempio nei
progetti sanitari di gemellaggio, essi vengono fatti con i nostri ospedali, ma la componente maggiormente
coinvolta non è quella dei medici bensì quella degli infermieri, perché c’è proprio bisogna di puntare l’intervento ad
un livello organizzativo, è l’organizzazione dell’ospedale che manca. Nel caso del vostro progetto si tratta di un
capovolgimento della logica che abbiamo esposto, perché l’esigenza parte da noi e dobbiamo farla capire a loro e
coinvolgerli. Il problema è che avrete relazioni con paesi che non sono molto sensibili alle esigenze degli altri.
Anche in Albania abbiamo saputo di donne che vengono rinchiuse in casa, senza nessun diritto, solo doveri,
sposate sulla base di accordi famigliari. In Albania una giovane di 20 anni non sposata è considerata una nullità
per la società e una vergogna per la famiglia. Abbiamo finanziato un progetto di formazione con CELIM e ci
raccontavano che c’era una grande difficoltà a far partecipare le donne al corso di formazione e, se arrivavano,
venivano accompagnate dal marito o dal fidanzato o dal padre e alcune dalla suocera, che pretendevano di stare
fuori dalla stanza. Questo corso è stato organizzato a 2 km dalla città e queste donne non erano mai state in città.
Un progetto come il vostro di reinserimento lavorativo è bene che si basi sul ruolo che le donne hanno in queste
culture.
La cooperazione italiana ha affidato al Cesvi la stesura di uno strategy paper su migrazione e sviluppo. Si tratta di
una cosa che sta sempre più interessando la platea internazionale, a livello di commissione europea è già stata
istituita una commissione su questa tematica. L’Italia la sta definendo. La strategy paper serve a collegare il
discorso migratorio al discorso dello sviluppo nei suoi vari aspetti, perché per ora si parla solo di rimesse, ma la
tematica non è stata ancora affrontata in maniera precisa e analitica, per cui ci sono diverse visioni. Entro fine
anno si dovrebbe arrivare ad un documento condiviso. E’ un argomento che è su tutti i tavoli. Ci accorgiamo che
tanti organismi stanno occupandosi di questo problema.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Avete subito reati nel paese in cui avete operato? Quali reati? Li
avete denunciati? Vedevate compiere reati e di che tipo?
Una volta uno scippo.
Veramente i reati li ho subiti tutti in Italia, mi hanno rubato 3 volte, una volta il portafoglio e quest'anno tutta la
borsa. Non ho mai subito un reato all'estero.
(Per i cooperanti o camere di commercio) Pensa che per proporre degli inserimenti lavorativi di rimpatriati
ci si possa affidare alle strutture di assistenza presenti nella nazione in cui opera, o ritiene che si possano
raggiungere migliori risultati cercando l’aiuto di organizzazioni non governative di stati esteri?
E' necessario coinvolgere il governo, almeno il governo locale ma anche le ONG presenti sul territorio. Bisogna
avere una conoscenza buona delle ONG, perché succede che in questi paesi le ONG siano fasulle, bisogna
prevedere anche la presenza di un espatriato che segua il progetto, perché basarlo solo su ONG locali è quanto
mai pericoloso. Rispetto alle ONG locali è bene chiedere alle ONG presenti in Italia, perché di solito queste ultime
hanno rapporti con partner locali dei paesi terzi e quindi si può partire con un loro appoggio.
E’ funzionale soprattutto lavorare con le associazioni perché riescono ad allacciare i rapporti con le municipalità,
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Q.
R.
ALTRO
C.
quindi col territorio, perché le associazioni hanno la conoscenza del territorio. Ci deve essere anche una cornice
politica, che favorirebbe progetti tipo il vostro, altrimenti il rischio è di iniziare un progetto che poi a livello di
municipalità viene interpretato come qualcosa di imposto da un altro paese, e questo non è funzionale. E’ logico
che i tempi della burocrazia sono diversi dai tempi delle associazioni, che operano molto rapidamente, mentre
trovare gli accordi a livello politico è molto più lungo e complicato. Se c’è un accordo governativo è più facile per
gli operatori portare avanti un certo tipo di progetto. Noi chiediamo che il progetto non sia calato dall’altro, ma
chiediamo delle lettere di intesa e di partecipazione e collaborazione, con il coinvolgimento di associazioni sul
territorio e della municipalità. Solo così può funzionare un progetto. A monte, visto il problema di cui vi occupate,
se non c’è l’accordo col governo e con l’istituzione non credo il vostro progetto possa avere le gambe per
camminare.
Come cooperazione internazionale finanziamo progetti in tutti i settori. L’obiettivo del progetto deve favorire l’autosviluppo locale e ci deve essere una sinergia con le strategie locali, nel senso che deve comunque essere in
appoggio delle municipalità o delle regioni. Ci deve essere una omogeneità con la strategia locale di sviluppo del
paese e dell’area dove si va ad operare. I progetti vengono presentati da ONG e associazioni che hanno come
attività prioritaria la cooperazione allo sviluppo. Gli ambito sono i più diversi: formazione professionale, sanità,
agricoltura, cultura.
Il reinserimento socio-lavorativo di persone con un percorso migratorio fallito può essere contemplato tra i progetti
che finanziamo, ma deve essere concordato con le autorità locali. Le nostre ONG conoscono il territorio,
collaborano con le municipalità e le associazioni locali. Per rendere operativo il vostro progetto è necessario
creare degli accordi con le municipalità, i governi, fin dall’inizio del progetto.
In Romania ci sono strutture di assistenza pubbliche e del privato sociale, c'è anche tanto, la fatica è quella di fare
rete. Sono restii non solo perché rumeni, tutte le associazioni sono restie a fare rete. Se si pensa che tantissime
associazioni italiane sono andate in Romania, ed ognuna ha aperto un pezzettino. Non è così facile coordinarsi.
Se penso all'esempio dei ragazzi di strada, per esempio quelli di Bucarest, su cui un sacco di associazioni hanno
investito e stanno lavorando, però non esiste un coordinamento. Quando sono stata lì c'erano alcune associazioni
che mi raccontavano dello sfacelo di questo non riuscire a fare un coordinamento, perché un ragazzo
tranquillamente può vivere una settimana - 10 giorni - 1 mese in una associazione e nel momento in cui il progetto
diventa più ingente nei suoi confronti se ne va e passa in un'altra struttura, con molta nonchalance, in questo
modo se un ragazzo ha un proprio interesse ad uscire dalla strada, bene; ma se ha già fatto quella vita per un
certo periodo di tempo e gli interessa mangiare, farsi la doccia o dormire in un letto tranquillamente, riesce a
soddisfare questi bisogni senza nessun impegno. Queste associazioni si stanno interrogando profondamente e
non sono riuscite ancora a trovare una strategia per decidere che tipo di intervento fare, come fare un intervento
tutti insieme per evitare questo fenomeno, perché lavorare in quel modo non serve a niente ed è diventato quasi
una modalità di vivere dei ragazzi di strada di Bucarest. Il fatto di tentare un discorso di insieme non è semplice.
Inoltre i tempi occidentali non sono i tempi di altri paesi e questo comporta una fatica aggiuntiva rispetto alla
gestione dei progetti e del denaro. Alcune cose stanno funzionando bene, altre no. In Romania sta avvenendo
quello che è avvenuto in Albania, che sono stati investiti miliardi per un paese che comunque continua a far fatica
a vivere.
Funzionano i progetti che hanno tempi un po' lunghi, che riescono a trovare modalità di comunicazione che siano
le stesse da tutte e due le parti (una cura al comprendersi, al non dare per scontato che ci siano gli stessi obiettivi,
gli stessi criteri di attuazione), i progetti dove c'è un rispetto reciproco, la disponibilità a capire le esigenze
reciproche. L'altro discorso è che nel momento in cui tu porti risorse o trovi dall'altra parte delle persone realmente
solide, che non sono dipendenti dalle tue risorse (tipo "tu mi dai i soldi e dici che vuoi fare un pollaio e io te lo
apro"; dopodiché se tutti i contadini del paese i polli ce li hanno e quindi non ne venderò mai uno, non me ne
importa niente. Il concetto è: tu mi hai dato i soldi per costruire un pollaio, mi garantisci lo stipendio per due anni, e
io per due anni ti faccio tutti i pollai che vuoi). Tutta la cooperazione internazionale si scontra con questo
problema.
E poi i tempi, i nostri tempi non sempre coincidono. Noi facciamo progetti e i progetti hanno i tempi. I più onesti ti
dicono "non ce la facciamo col tempo che ci proponi, quindi non lo facciamo".
Bisogna avere la capacità di muoversi su piccolo obiettivi e in modo progressivo.
Della collaborazione con i governi ho già parlato, ed è una attività indispensabile. Noi abbiamo sempre lavorato
con reti di ONG italiane e locali, queste ultime sono importanti ed è fondamentale collaborare con loro. Le ONG
locali ci sono, sono presenti.
Ha senso fare un progetto come il nostro per i cittadini rumeni visto l’ingresso della Romania nell’unione
europea?
In questo momento non è possibile prevedere quali saranno le leggi che verranno emanate. Si possono fare dei
ragionamenti logici. Per come vedo io le cose direi che è già tardi per attivare un progetto di questo tipo. Sono
stati attivati progetti di rientro assistito per i rom in Romania da parte del Comune di Milano. Perché il progetto
funzioni è necessario che la Romania partecipi al progetto di rientro assistito per gli ex detenuti, in modo da
garantire l’inserimento socio-lavorativo una volta avvenuto il rientro. In questo modo, per esempio, si potrebbero
fare degli accordi per l’assegnazione di terreni agricoli da parte dello Stato. Quello che voglio dire è che non basta
l’assistenza in Italia, bisogna attivare una modalità di assistenza anche in Romania.
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Sono convinto che quando la Romania entrerà nell’Unione europea chiederà agli stati membri di aprire le porte
del carcere per le persone che sono dentro a causa del fatto che non hanno il permesso di soggiorno, con
l’obbligo per queste persone di rientrare in Romania.
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COMMENTI ALLE DOMANDE DELL’AREA DELLE BUONE PRASSI – ROMANIA
Non ci sono esperienze realizzate di progetti di rientro onorevole in Romania per persone ex detenute.
Rispetto alla specificità rumena gli elementi sottolineati dagli intervistati riguardano l’esistenza sul territorio di
molte strutture di assistenza pubbliche e del privato sociale e la conseguente necessità di coordinamento
attraverso la costruzione di reti. E’ stata anche sottolineata la difficoltà nel raggiungere tale obbiettivo, a causa
del prevalere delle specificità e della cura del proprio interesse. Inoltre è indispensabile calibrare bene la
tempistica dei progetti tenendo conto della differenza tra i tempi occidentali e quelli dei paesi terzi, realtà in cui
i progetti in ambito sociale sono agli inizi e che quindi ancora non hanno un concreto bagaglio di esperienza e
prassi consolidate.
Rispetto all’esperienza di rientro di alcuni cittadini eritrei le buone prassi individuate riguardano:
• chiarezza del percorso
• condivisione e partecipazione nella costruzione del percorso da parte del gruppo o della persona
obbiettivo
• adeguato percorso formativo prima del rientro
• presenza nel paese terzo di una agenzia di appoggio, che abbia anche la capacità di dare accesso al
credito alle persone o al gruppo che rientra
• prevedere un periodo in cui mantenere i legami anche a distanza, in modo da garantire un supporto anche
tecnico. Il legame va mantenuto nel tempo e allentato poco alla volta.
Rispetto ai progetti di cooperazione internazionale realizzati le buone prassi individuate riguardano:
• coinvolgimento del governo, almeno a livello locale
• coinvolgimento delle ONG presenti sul territorio, previo un preliminare monitoraggio per verificarne
l’affidabilità
• prevedere la presenza di almeno un cooperante che segua il progetto in loco
• creare progetti sulla base di un’analisi di fattibilità
• coinvolgere le realtà dei paesi terzi nella fase di progettazione
• creare progetti che prevedano la sostenibilità, ovverosia che il progetto una volta concluso possa
continuare senza il coinvolgimento della cooperazione internazionale
• prevedere l’impiego di personale locale nel progetto, in modo da garantire il trasferimento di know how e di
competenze e conoscenze
• indispensabilità di un ruolo attivo del partenariato del paese terzo
Anche qui si sottolinea l’importanza del ruolo delle donne per la tenuta e buona riuscita dei progetti.
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QUALE SENSO FORNISCE LA RICERCA AL PROGETTO ODISSEO
La ricerca evidenzia quali siano gli aspetti favorevoli alla realizzazione di progetti di rientro onorevole assistito
per persone detenute o ex detenute.
Essi sono:
•
Rispetto al sistema penitenziario italiano:
il fatto che questo tipo di intervento incide sul numero delle persone detenute, riducendolo; aspetto
che presenta un elevato interesse a causa del rilevante numero di persone straniere detenute nelle
carceri italiane e del Nord in particolare.
il contenimento dei costi a carico del sistema giudiziario italiano, tanto che in questa medesima
direzione si muove l’art. 16 della legge sull’immigrazione che prevede la possibilità di sostituire la
detenzione in un carcere italiano con il rientro nel paese d'origine.
Riuscire a fornire un valore rieducativo alla pena, mentre attualmente essa assume un significato
puramente punitivo per le persone straniere. Infatti nel caso in cui un detenuto, una volta scontata la
pena, riceva un decreto di espulsione, non è possibile per lui attivare nessun tipo di intervento sociale
volto al reinserimento della persona sul territorio italiano. I progetti di rientro onorevole assistito
permetterebbero di creare programmi di reinserimento socio-lavorativo nel paese d’origine del
detenuto o ex detenuto, fornendo quindi una prospettiva rieducativa alla pena oltre che una
prospettiva di vita nella legalità.
•
Rispetto alla persona straniera detenuta:
Comprendere le ragioni socio – economiche che hanno dato origine al processo migratorio e le
motivazioni socio – culturali per cui tali processo non è stato programmato sulla base di informazioni
certe ed attendibili relative alle normative in vigore in materia di immigrazione e alle possibilità di
inserimento nei paesi di destinazione del processo migratorio. Supportare la persona a crearsi ed a
realizzare un piano di sviluppo che tenga conto dei dati individuali e di contesto. L’attivazione di
questo tipo di processo permetterebbe alla persona di apprendere modalità di gestione della propria
vita più funzionali attraverso la modalità del modellamento.
Permettere che un processo migratorio fallito che non consente la sopravvivenza né del soggetto in
questione né della sua famiglia, si trasformi in un progetto di successo, dove l’inserimento lavorativo
diventa la premessa indispensabile per un reinserimento sociale.
•
Rispetto ai paesi terzi:
Il vantaggio maggiore e più generale per il paese terzo è che i progetti di rientro onorevole fungano da
stimolo alla creazione di un sistema di legalità all’interno della nazione; sistema di legalità che
riguarda sia le politiche attive del lavoro sia processi di crescita della convivenza civile, volti a
prevenire la migrazione illegale, che attualmente presenta altissimi costi in termini di vite umane perse
o sprecate e in termini di risorse economiche.
L’inversione di tendenza rispetto alla perdita di mano d’opera giovane e potenzialmente attiva, e al
conseguente depauperamento del territorio in termini di risorse – lavoro.
Per la riuscita di progetti di rientro onorevole è indispensabile tenere conto delle condizioni socioeconomiche dei paesi di origine in modo da inserire i rientri assistiti per persone detenute o ex
detenute all’interno di interventi più complessivi di sviluppo locale. Le ragioni di tali considerazioni
sono dettate dalle buone prassi individuate dagli attori del pubblico e del privato sociale coinvolti nella
ricerca che si occupano di Cooperazione Internazionale. In particolar modo l’attenzione alla
sostenibilità dei progetti, alla capacità di trasmettere ai paesi terzi un know how che inserisca gli
interventi in una strategia di empowerment, l’importanza del coinvolgimento dei paesi d’origine fin
101
dalla fase di ideazione delle attività in una logica di progettazione partecipata che tenga conto dei loro
bisogni e che li faccia sentire parte attiva della realizzazione del processo nella sua complessità.
Questa prospettiva va nella direzione di coniugare i nostri bisogni con i loro: il bisogno italiano è quello
di fornire un significato evolutivo alla pena scontata dai detenuti stranieri ed alleggerire il carico che il
grande numero di detenuti stranieri dà al sistema giudiziario e penale italiano; il bisogno dei paesi terzi
è collegato alla possibilità di sviluppo locale, al di fuori di una logica assistenziale. Un approccio così
strutturato permetterebbe anche di non generare discriminazioni tra chi ha fallito un progetto
migratorio e chi non ha avuto la possibilità di tentarlo.
L’importanza di coinvolgere i diversi livelli dell’organizzazione civile dei paesi terzi: dalle istituzioni alle
ONG locali, in modo da costruire alleanze funzionali alla realizzazione dei rientri e alla tenuta dei
progetti in una futura situazione di autonomia, che non preveda più la presenza e il sostegno diretto di
attori occidentali.
I PUNTI DI ATTENZIONE
L’analisi dei dati della ricerca fa emergere che in ciascuna delle nazioni prese in considerazione sono presenti
fattori problematici.
Rispetto al Perù:
• La situazione economica caratterizzata da forte instabilità, da una scarsa presenza di offerta di lavoro
regolare e dal prevalere di lavoro informale, da redditi bassi che permettono solo la sopravvivenza, da
ampie aree di povertà
• L’assenza di accordi bilaterali tra Italia e Perù
• La necessità di compiere un’opera di sensibilizzazione nei confronti del Consolato peruviano essendo
sconosciuti i progetti di rientro onorevole. Tale situazione delinea la necessità di compiere un’opera
informativa e di chiarificazione preliminare in modo da evitare ambiguità, incomprensioni che potrebbero
compromettere la disponibilità alla collaborazione
• Il grande peso delle prassi informali, superiore a quello delle procedure formalizzate
• La presenza del narcotraffico
• La notevole distanza fisica che separa il Perù dall’Europa
Rispetto alla Tunisia:
• La normativa riguardante il rientro di cittadini tunisini emigrati irregolarmente
• La forte presenza di corruzione
• Il dubbio sullo spirito di solidarietà della società tunisina
Rispetto alla Romania:
• Il suo ingresso nell’Unione Europea
• Lo sfruttamento della forza lavoro (anche da parte di imprenditori stranieri che hanno aperto realtà
produttive in Romania e che iniziano a essere visti con diffidenza da parte della popolazione locale)
caratterizzato dall’offrire lavoro in nero, sotto pagato e dal non garantire alcun diritto sindacale.
I punti di attenzione qui sopra riportati non sono tali da scoraggiare l’avvio di un progetto di rientro onorevole
per persone detenute o ex detenute, purché i progetti vengano costruiti in maniera differenziata e specifica,
tale da tenere conto delle particolarità della nazione e dell’area geografica in cui i rientri devono avvenire.
E’ quindi indispensabile individuare per ciascun paese preso in esame una formula adatta alle opportunità da
costruire nel paese terzo e alla modalità di coinvolgimento dei soggetti istituzionali e del privato sociale.
102
IPOTESI PROGETTUALI PER I RIENTRI ONOREVOLI
Perù
Considerati i punti di attenzione emersi, la formula più adeguata a questa nazione e all’area del Sud America
in generale va nella direzione di valorizzare e creare alleanze progettuali con le ONG che da anni operano su
questi territori sviluppando progetti di Cooperazione Internazionale. Grazie ai finanziamenti di molte Istituzioni
europee si è sviluppata una significativa presenza di ONG, in cui personale europeo e personale dei paesi
terzi collaborano attivamente.
L’ipotesi progettuale di sviluppo del Progetto Odisseo prevede di coinvolgere le ONG operanti sul territorio sud
americano, attraverso un’opera di monitoraggio, di valutazione del tipo di intervento realizzato e degli
strumenti impiegati, della possibilità ed interesse alla collaborazione e delle modalità della collaborazione
stessa. La prospettiva è quella di stimolare le ONG ad occuparsi dell’inserimento socio-lavorativo delle
persone detenute o ex detenute, facendole diventare parte integrante dei loro progetti di sviluppo locale.
Il ruolo delle organizzazioni italiane coinvolte nel progetto riguarderà la promozione della possibilità di rientro
onorevole negli Istituti Penitenziari, la presa di contatto con i detenuti, la selezione dei beneficiari, la creazione
delle condizioni amministrative-burocratiche necessarie alla realizzazione dei rientri (documenti di viaggio,
identificazione della persona, ect.), la sensibilizzazione del Consolato peruviano al fine di ottenere
collaborazione.
Lo spazio di collaborazione tra ONG e organizzazioni italiane riguarda l’individuazione e la creazione di
percorsi di aggiornamento e di formazione professionale favorenti l’inserimento lavorativo di chi rientrerà nel
paese d’origine.
E’ possibile individuare un primo target interessante per l’intervento ipotizzato in base ai percorsi migratori dei
potenziali destinatari dell’intervento: le donne processate per traffico di stupefacenti, che trasportano su di sè
una relativamente scarsa quantità di sostanza. Queste donne non hanno un progetto migratorio, spesso
partono lasciando a casa i figli affidati alle nonne o alle amiche ed hanno l’urgenza di rientrare, non avendo
nessuna intenzione di rimanere in Italia, ma di intraprendere un unico viaggio che, se andato a buon fine,
risolleverà le sorti economiche di tutta la famiglia per un periodo anche lungo.
Tunisia
Le ipotesi di sviluppo progettuale che riguardano la Tunisia e l’area nord africana sono:
1. Lo sviluppo di micro-attività imprenditoriali
2. L’inserimento lavorativo nelle realtà produttive sviluppate da industriali italiani in quest’area territoriale
3. La creazione di una agenzia di mediazione al lavoro
1. E’ un intervento con una portata locale, che prevede il coinvolgimento di singole municipalità collocate
prevalentemente nelle aree rurali. L’ipotesi di sviluppo è quella di fornire in Italia percorsi di formazione
specifici rispetto a tecniche di coltivazione innovative e all’uso dello strumento del micro-credito e favorire
l’apertura di micro-attività in Tunisia dove vengano occupati sia il target privilegiato di Odisseo sia la
popolazione residente. Tale modalità di realizzazione di questa idea progettuale consentirebbe un più facile
inserimento sociale dei detenuti ed ex detenuti rientranti, poiché essi diventerebbero parte di un gruppo di
lavoro misto, che comprende anche persone residenti sul territorio stesso dell’intervento.
2. Questa ipotesi prevede il coinvolgimento degli imprenditori con attività produttive in Tunisia (nei settori del
turismo, dell’edilizia, del commercio, per esempio) volto alla creazione di una rete organica al fine di
individuare le professionalità interessanti per il mercato del lavoro tunisino, organizzare per le persone
detenute dei corsi di qualificazione professionali in settori concorrenziali, garantire un inserimento lavorativo in
Tunisia alle persone che hanno partecipato con profitto al percorso di formazione professionale.
103
3. Si tratta di un’idea progettuale di portata nazionale, ossia che necessita del coinvolgimento del Governo
tunisino. L’Agenzia di mediazione al lavoro permetterebbe da una parte di occuparsi del rientro di detenuti ed
ex detenuti nel paese terzo e allo stesso tempo di sviluppare una capacità di mediazione al lavoro per tutta la
popolazione. Ciò significherebbe realizzare una politica di intervento sui servizi di incontro domanda/offerta di
lavoro, aspetto attualmente carente dai dati emersi dalla ricerca, che evidenziano il prevalere di lavoro nero e
informale.
Perché tale operazione funzioni ed abbia senso, il sistema deve essere assolutamente legittimato in termini
istituzionali sul territorio tunisino, solo in questo modo tale iniziativa andrebbe a stimolare la creazione di un
sistema di legalità nel mercato del lavoro all’interno della nazione stessa.
Il processo di creazione dell’Agenzia di mediazione al lavoro prevederebbe il coinvolgimento di:
• Organizzazioni italiane con funzioni organizzative e progettuali e col compito di esportare know how e
d’impiantare il sistema del servizio.
• La creazione di una rete di imprenditori già attivi in Tunisia e commercianti interessati ai servizi offerti
dall’agenzia di mediazione al lavoro
• L’attivazione di percorsi di formazione professionale, realizzabili in Italia per le persone detenute e sul
territorio tunisino per i residenti, volti alla qualificazione della mano d’opera e al suo inserimento funzionale
nelle attività produttive individuate e coinvolte
• L’attivazione di percorsi formativi in Tunisia volti alla creazione e implementazione del terzo e quarto
settore, per esempio la formazione di tutor da impiegare nell’agenzia stessa e lo stimolo alla nascita e alla
crescita dell’associazionismo e delle imprese sociali, collegate al principio dell’impresa.
• La localizzazione dell’Agenzia di mediazione al lavoro potrebbe essere il territorio di Soux, che sta vivendo
la costruzione di una enorme porto commerciale, oppure in un’area legata al turismo. La prima ipotesi si
adeguerebbe alla volontà del Governo tunisino di decentralizzare le attività produttive rispetto alla capitale.
Un primo target interessante per i percorsi di rientro onorevole in Tunisia è costituito da detenuti maschi, di età
superiore ai 30 anni, con ripetuti tentativi migratori alle spalle e una famiglia in Tunisia. Si tratta di persone
stanche dai continui tentativi di inserimento in occidente falliti e di persone con un solido legale affettivo e
relazionale nel loro paese d’origine.
Romania
L’ipotesi di sviluppo del progetto Odisseo è collegata alla presenza di una fitta rete di aziende italiane sul
territorio rumeno. In base a questo dato l’intervento più funzionale sarebbe quello di coinvolgere gli
imprenditori italiani che hanno investito in Romania e creare con loro una rete, al fine di individuare le
professionalità interessanti per l’inserimento nelle loro realtà produttive. Organizzare in collaborazione con gli
imprenditori italiani dei corsi di qualificazione professionale nei settori concorrenziali individuati per i detenuti,
e garantire l’inserimento lavorativo alle persone che hanno partecipato con profitto al percorso di formazione
professionale.
Perché un progetto di questo tipo funzioni in una realtà quale quella della Romania è indispensabile offrire
interventi di formazione e/o aggiornamento professionale al fine di raggiungere standard qualitativi elevati e
inserimenti lavorativi a livello medio o medio – alto, visto che la condizione indispensabile per poter prendere
in considerazione il rientro in patria è quella di poter contate su una buona retribuzione.
104
LA SPERIMENTAZIONE DEI RIENTRI ONOREVOLI
LE PERSONE
I dati forniti dalla ricerca hanno permesso di mettere a fuoco una procedura volta all’individuazione dei
candidati al rientro onorevole e all’attivazione di questi percorsi.
La modalità più funzionale identificata per facilitare la presa di decisione, verificare i pro e i contro e le opzioni
alternative, mettere a punto un piano di inserimento socio – lavorativo personalizzato è l’impiego di attività di
counselling e di orientamento.
Abbiamo compreso l’importanza che i percorsi di counselling e di orientamento si focalizzino su alcuni punti di
attenzione, specifici a seconda del paese di provenienza del soggetto interessato, in modo da sondare e
valorizzare alcuni dati di contesto (personali, famigliari e territoriali) essenziali per la riuscita del rientro.
Per il Perù e l’area del sud America le indicazioni sono:
• Compiere una valutazione sulla tipologia del reato commesso
• Approfondire il vissuto personale rispetto al rimpatrio
• Verificare dove si trova la famiglia
• Verificare le aspettative della famiglia rispetto al progetto migratorio della persona interessata
• Verificare le condizioni che permettano una buona accoglienza in famiglia
• Verificare se la persona ha creato nuovi nuclei famigliari e, in caso affermativo, cosa intende fare
• Verificare se sono stati contratti debiti per sostenere i costi dell’emigrazione e, se la risposta è affermativa,
conoscere a quanto ammontano
• Valutare che tipo di relazione la persona aveva con la sua comunità locale
• Verificare l’attaccamento allo stile di vita occidentale
• Verificare se la persona è in grado di sostenere un percorso individuale o se è meglio attivare un percorso
di gruppo
• Valutare quale sia il luogo più appropriato per il rientro (la propria comunità d’origine o altro luogo nel
paese d’origine)
• Verificare la percezione che la persona ha del reato commesso e quella che ipotizza possano avere i
famigliari, gli amici e la comunità locale
• Realizzare un bilancio di competenze e verificare la possibilità di attivare un percorso di riqualificazione
professionale
• Progettare interventi che valorizzino la qualificazione professionale
• Valutare il luogo di rientro tenendo conto della professionalità della persona e dell’offerta di lavoro in
quell’ambito professionale
• Individuare possibilità lavorative continuative e che garantiscano un reddito mensile compreso tra 200 e
500 euro
• Fornire un supporto che tenga conto della possibile colpevolizzazione rispetto al fallimento della
migrazione e del possibile conseguente vissuto di frustrazione.
• Individuare modalità attraverso cui presentarsi ai dirigenti territoriali dei barrios – quartieri
• Focalizzare l’attenzione sull’analisi delle diverse condizioni degli Istituti Penitenziari italiani e peruviani e
sui possibili pregiudizi negativi dei cittadini peruviani nei confronti dei detenuti
• Soffermarsi sulla possibilità che ai cittadini peruviani manchino informazioni sulle possibili cause delle
espulsioni e rimpatri, per esempio quelle legate al mancato possesso del permesso di soggiorno
Per la Tunisia e l’area del nord Africa le indicazioni sono:
• Compiere una valutazione sul reato commesso
• Verificare se la persona ha commesso reati sottoponibili alla extraterritorialità o contro cittadini tunisini
105
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Verificare se l’emigrazione è avvenuta in modo irregolare. In caso affermativo verificare a quali
conseguenze andrebbe incontro la persona interessata al rientro. Verificare la sua disponibilità ad
affrontare le conseguenze previste per l’emigrazione irregolare
Approfondire il vissuto personale rispetto al rimpatrio
Conoscere le condizioni socio – economiche della persona prima della scelta migratoria
Sondare le aspettative rispetto ad un inserimento lavorativo (retribuzione, orari, tipologia di contratto,
tipologia di lavoro)
Realizzare un bilancio di competenze
Verificare l’opportunità di attivare un percorso di riqualificazione professionale
Verificare l’attaccamento allo stile di vita occidentale e la disponibilità ad adeguarsi alle condizioni socio –
culturali del paese d’origine
Verificare dove si trova la famiglia
Verificare le aspettative della famiglia rispetto al progetto migratorio della persona interessata al rientro
Verificare il tipo di rapporto mantenuto coi figli, se ve ne fossero
Focalizzare l’attenzione sul pregiudizio negativo diffuso in Tunisia nei confronti di chi emigra in Italia e su
come gestire questa difficoltà
Soffermarsi sulla possibilità che ai cittadini tunisini manchino informazioni sulle possibili cause delle
espulsioni e rimpatri, per esempio quelle legate al mancato possesso del permesso di soggiorno
Verificare le condizioni che permetterebbero una buona accoglienza in famiglia
Verificare se sono stati contratti debiti per sostenere i costi dell’emigrazione e in caso affermativo a quanto
ammontano
Verificare quale percezione la persona ha del reato commesso e quella che ipotizza possano avere
famigliari, amici e concittadini
Valutare qual è il luogo più appropriato per il rientro (la propria comunità d’origine o altro luogo nel paese
d’origine)
Valutare il luogo di rientro tenendo conto della professionalità della persona e dell’offerta di lavoro in
quell’ambito professionale
Individuare possibilità lavorative che garantiscano la continuità ed un reddito medio (500 – 600 euro
mensili)
Per la Romania le indicazioni sono:
• Compiere una valutazione sul reato commesso
• Verificare l’interesse della persona a rientrare in Romania pur senza la costrizione del decreto di
espulsione
• Verificare se sono stati contratti debiti per sostenere i costi dell’emigrazione e in caso affermativo a quanto
ammontano
• Approfondire il vissuto personale rispetto al rimpatrio
• Conoscere le condizioni socio – economiche della persona prima della scelta migratoria
• Sondare le aspettative rispetto ad un inserimento lavorativo (retribuzione, orari, tipologia di contratto,
tipologia di lavoro)
• Realizzare un bilancio di competenze
• Verificare l’opportunità di attivare un percorso di riqualificazione professionale
• Verificare dove si trova la famiglia
• Verificare le aspettative della famiglia rispetto al progetto migratorio della persona interessata al rientro
• Verificare le condizioni che permetterebbero una buona accoglienza in famiglia
• Verificare quale percezione la persona ha del reato commesso e quella che ipotizza possano avere
famigliari, amici e concittadini
• Valutare qual è il luogo più appropriato per il rientro (la propria comunità d’origine o altro luogo nel paese
d’origine)
106
•
•
Valutare il luogo di rientro tenendo conto della professionalità della persona e dell’offerta di lavoro in
quell’ambito professionale
Individuare possibilità lavorative che garantiscano la continuità ed un reddito medio (400 euro mensili)
I CONTESTI
Le indicazioni fornite dalla ricerca rispetto alla modalità attraverso cui attivare i percorsi di rientro onorevole
riguardano:
• La necessità di creare una rete sul territorio italiano composta da:
♦ Gli Istituti Penitenziari coinvolti nel progetto, in particolar modo per quanto riguarda il livello operativo
del progetto è indispensabile attivare modalità di collaborazione con gli educatori e assistenti sociali e
con le organizzazioni che si occupano di formazione professionale e gestione dei laboratori all’interno
dei penitenziari
♦ I Consolati dei paesi coinvolti nel progetto, al fine di accordarsi sui modi e tempi dell’identificazione
delle persone, sul rilascio dei documenti di viaggio e sulla modalità del rientro
♦ L’ufficio stranieri della Questura da cui dipende la gestione dei rientri per art. 16 della legge Bossi –
Fini e l’accompagnamento in frontiera
♦ I Centri di Permanenza Temporanea, luogo in cui è possibile incontrare le persone processate per
direttissima e a cui è stato contemporaneamente dato un decreto di espulsione
•
La necessità di costruire una rete operativa sul territorio dei paesi terzi composta da:
♦ Le realtà organizzative sopra indicate, specifiche per ogni territorio individuato, in collaborazione con
le quali strutturare il percorso di inserimento lavorativo
♦ Soggetti operativi nel paese terzo che possano occuparsi del monitoraggio dell’inserimento lavorativo
e del supporto all’inserimento sociale del cittadino rientrante
Tali reti sono da costruire, perciò nella sperimentazione dei due casi di rientro onorevole non abbiamo potuto
avvalerci di reti già strutturate, bensì individuare modalità alternative, caratterizzate dall’essere meno affidabili
rispetto alla riuscita dell’intervento, ma le uniche a disposizione al momento.
LA SELEZIONE DEI CANDIDATI AL RIENTRO ONOREVOLE
L’assenza di reti già costituite funzionali alla realizzazione dei rientri onorevoli ha influenzato la fase di
selezione dei candidati. Durante le interviste ai detenuti: tre di essi avevano espresso l’interesse a partecipare
al progetto di rientro onorevole. Essi erano una donna peruviana, un detenuto rumeno e un detenuto tunisino.
Non abbiamo ritenuto opportuno proporre loro un progetto di rientro onorevole poiché:
• nessuno dei tre era inserito in percorsi di riqualificazione professionale in carcere né in attività di
laboratorio
• per quanto riguarda la donna peruviana:
♦ l’assenza della rete sul territorio italiano non permetteva di poter usufruire di procedure condivise con
il Consolato peruviano rispetto all’identificazione della persona e alle modalità di rientro
♦ l’assenza della rete in Perù rendeva complesso individuare una ONG di appoggio con cui creare il
progetto di reinserimento socio – lavorativo
• per quanto riguarda il detenuto rumeno:
♦ l’assenza della rete in Romania non permetteva di individuare una realtà produttiva in cui attivare
l’inserimento lavorativo
• per quanto riguarda il detenuto tunisino:
107
♦ l’assenza della rete sul territorio italiano rendeva molto incerte le modalità del rientro, non possedendo
accordi con il Consolato tunisino e quindi ignorando se la persona interessata avrebbe dovuto andare
incontro ad un periodo di detenzione in Tunisia poiché era emigrato irregolarmente. Inoltre non gli si
poteva garantire la tempistica dell’identificazione né le modalità del rientro.
♦ L’assenza della rete sul territorio tunisino ha reso impossibile la creazione del progetto di
reinserimento socio – lavorativo
Per individuare una modalità volta a superare tali difficoltà abbiamo impostato la selezione dei candidati per il
rientro onorevole ed assistito basandoci sulle risorse già a nostra disposizione, ovvero prioritariamente
sull’azienda PC DET, quale partner del progetto Odisseo.
PC DET gestisce un laboratorio informatico all’interno dell’Istituto Penitenziario di Bollate, fornendo a chi vi
lavora una specializzazione professionale. Inoltre PC DET ha interesse ad avviare attività produttive e
commerciali in paesi terzi, investendo su persone da lei formate e considerate affidabili per realizzare il suo
progetto imprenditoriale.
Abbiamo quindi valutato insieme al responsabile aziendale di PC DET quali fossero i potenziali candidati ai
percorsi di rientro onorevole, prendendo in considerazione 3 persone. Un detenuto senegalese scarcerato con
l’indulto, 1 detenuto rumeno e 1 detenuto moldavo.
Abbiamo deciso di non attivare il percorso di rientro onorevole con il detenuto moldavo a causa delle
scarsissime informazioni da noi possedute in questo momento sulla Moldavia (non essendo la Moldavia uno
dei territorio presi in esame dalla ricerca).
L’ipotesi di percorsi di rientro onorevole si è quindi focalizzata su l’ex detenuto senegalese e il detenuto
rumeno.
LA SCHEDA
Abbiamo messo a punto e utilizzato una scheda per verificare la concreta possibilità di realizzare il percorso
del rientro onorevole ed assistito. Tale scheda è stata ideata sulla base delle indicazioni emerse dalla ricerca,
in merito ai punti di attenzione da sondare e verificare per attivare il rientro onorevole.
DATI GENERALI
Nome e cognome
Luogo e data di nascita
Istituto penitenziario
Reparto
Ha un domicilio in Italia?
Se sì dove
Conoscenza lingue.
Quali
Patente
Documenti validi
Recapito telefonico
POSIZIONE GIURIDICA
Inizio pena
Fine pena
Posizione giuridica
Tipologia di reato
Precedenti. Se sì quali
Carichi pendenti.
Se sì quali
Recidiva
108
Camera di consiglio
Educatore
Assistente sociale
In possesso di sintesi
Procedimenti disciplinari
SITUAZIONE FAMIGLIARE
Stato civile
Figli (numero, età)
Luogo di residenza della
famiglia
Condizione abitativa
precedente la
migrazione
(dove, con chi)
Condizione abitativa
attuale della famiglia nel
paese d’origine
Condizione economica
della famiglia d’origine
Nel suo paese la
famiglia lo
accoglierebbe?
Se sì, a quali condizioni
SITUAZIONE SANITARIA
Stato di salute generale
Terapie in corso
Limiti
per
attività
lavorativa
Riconoscimento
invalidità
Uso sostante psicotrope,
anche
in
passato
(droghe, alcol…)
Servizi di riferimento
esterni
Servizi di riferimento
interni al carcere
PERCORSO MIGRATORIO
Da quanto tempo è in
Italia?
Ha vissuto in altre
nazioni?
Ha avuto il permesso di
soggiorno?
Se sì dove e per quanto
tempo
Qual è il suo titolo di
studio, e dove lo ha
conseguito?
Ha partecipato a
109
percorsi di formazione o
specializzazione
all’interno o all’esterno
del carcere?
Quali lavori ha svolto nel
suo paese d’origine?
Quali lavori ha svolto nei
paesi in cui è emigrato?
Attualmente sta
lavorando?
Se sì dove?
Inquadramento?
Quali sono i motivi per
cui desidera rientrare nel
paese d’origine?
Ha mantenuto legami
con il suo paese?
Quali?
Quale
lavoro/lavori
vorrebbe svolgere nel
suo paese d’origine?
Quali caratteristiche
dovrebbe avere il posto
di lavoro
(luogo geografico, orario,
salario, tipo di
contratto)?
Immagina che potrebbe
avere qualche difficoltà a
rientrare in famiglia?
Se sì, quali.
Immagina che potrebbe
avere qualche difficoltà
con i suoi compaesani?
Se sì, quali.
LA DESCRIZIONE DEI CASI
Primo caso
Dati generali
B.S., nato in Senegal a Kaolack il 06 luglio 1966
Coniugato con 5 figli (il maggiore avuto da una relazione con donna nubile; due maschi di 9 e 7 anni e due
femmine di 6 e 5 anni avuti dal matrimonio con Awa)
Il contesto socio-familiare di provenienza
Babacar è nato e cresciuto in Senegal, in un numeroso nucleo familiare con 5 figli. La famiglia d’origine non si
può definire indigente, poiché proprietaria di alcuni terreni.
Dopo aver terminato la scuola dell’obbligo, inizia a lavorare come carrozziere presso terzi.
110
Ha un figlio, nato da una relazione con una donna che però non sposa. Successivamente prende in moglie
Awa Ture, di professione sarta, dalla quale ha 3 figli. Nei primi anni di matrimonio la mamma di Babacar si
ammala gravemente. La donna abita a Dakar dove ha una casa, ma costretta in carrozzella perde
l’autosufficienza e viene accolta, per essere accudita, dalla famiglia di Babacar a Kaolack. E’ facile
comprendere come nel giro di pochi anni Babacar si trovi a fronteggiare una situazione economica che via via
si fa più difficile. Lo stipendio da carrozziere non basta a mantenere l’intera famiglia, la madre necessita di
cure costose per potersi ristabilire, e le entrate non possono più contare sul contributo di Awa, che impegnata
nell’accudimento dei figli e della suocera, ha abbandonato il lavoro di sarta.
E’ in questo difficile momento, che nonostante l’attaccamento alla sua famiglia ed alla sua terra, Babacar
medita il suo progetto migratorio e nell’intento di garantire un’esistenza decorosa alla famiglia decide di
emigrare in Europa in cerca di fortuna.
Il percorso migratorio
L’occasione gli arriva a metà degli anni novanta, con l’aiuto di alcuni connazionali a cui è legato da lontani
vincoli di parentela e che già risiedono nel nostro Paese, riesce ad approdare in Italia, dove viene accolto
nella loro abitazione in un comune nell’hinterland di Milano.
In effetti inizia da subito a lavorare come operaio in diverse cooperative, dove acquisisce professionalità come
operaio polivalente: saldatore soprattutto, ma anche verniciatore e gessista. Manda la metà dello stipendio alla
famiglia, con la quale mantiene regolari contatti telefonici.
Dopo circa quattro anni riesce a tornare in Senegal per un periodo di vacanza, ed è in quell’ccasione che
viene concepita l’ultimogenita, che però non è mai riuscito a conoscere ed ora ha cinque anni.
Rientrato in Italia lavora in modo continuativo, con l’idea di ricongiungersi con l’intera famiglia a Milano.
Durante un lavoro di saldatura però, un incidente all’occhio destro lo costringe a fermarsi. Viene operato, ma
non riacquista completamente la vista e l’occhio rimane offeso. Da questo momento, anche a causa della
solitudine data lontananza dalla famiglia e dal suo contesto d’origine, inizia a frequentare locali notturni e
discoteche. Inevitabilmente, assieme ai suoi amici connazionali, viene a contatto con sostanze psicotrope
(marijuana e cocaina) e pur non diventando tossicodipendente comincia a farne uso e a detenerne dosi in
piccola quantità nella casa che divide con gli amici. E’ a seguito di un controllo da parte delle forze dell’ordine
che viene arrestato e condannato a 4 anni di detenzione.
L’esperienza detentiva
E’ durante il periodo detentivo, costretto ad un periodo di forzata inattività, che Babacar ha modo di mettere a
frutto questa esperienza totalizzante riflettendo e facendo una revisione critica sul suo percorso migratorio e
sui trascorsi che lo hanno portato alla condanna, assumendosi ogni responsabilità per l’accaduto – in modo
anche sin troppo rigido - e pianificando nuovi progetti per il futuro. Comincia ad affermare con forza e
convinzione il suo desiderio di cambiare vita una volta uscito dal carcere, assicurando agli operatori che non
riprenderà per nessun motivo la vita sregolata degli ultimi mesi, né tantomeno l’uso di sostanze stupefacenti.
Non nasconde la sua condizione di detenuto alla famiglia, che sente settimanalmente durante la telefonata a
cui hanno diritto le persone recluse, e a cui continua a mandare denaro. Di fatto, durante la sua detenzione,
Babacar si è integrato nel difficile contesto del carcere, ha potuto costruire relazioni significative sia con gli
Educatori Penitenziari che con tutti gli Operatori Sociali che a vario titolo si sono occupati del suo caso.
Stimato anche dagli Agenti di reparto del Corpo di Polizia Penitenziaria per i suoi modi educati ed il rispetto
delle regole intramurarie, inizia presto (tenuto conto dei tempi dilatati dell’Amministrazione Penitenziaria) a
lavorare in mensa, dove si impegna con serietà ed entusiasmo, e gli viene perciò rinnovato l’incarico per tre
anni.
Nell’ultimo anno di detenzione inizia a lavorare presso la PC Det srl, società con forte mission sociale, nata
per sviluppare l’inserimento lavorativo di soggetti detenuti. Pc Det conta su un punto vendita di PC usati a
Novate Milanese, ma ha anche un’unità operativa all’interno del carcere che segue la manutenzione e
l’assemblaggio delle parti informatiche. Il suo scopo è valorizzare e sviluppare il lavoro intramurario, previo
periodo formativo che permette ai lavoratori di acquisire specifica professionalità nel settore, spendibile anche
sull’esterno.
111
Durante il periodo trascorso in PC Det, Babacar impara velocemente e si appassiona al mestiere,
raddoppiando i suoi guadagni , e di conseguenza il contributo economico da mandare mensilmente alla
famiglia.
Gli sviluppi familiari
Con i guadagni conseguiti durante il suo soggiorno in Italia – anche nel periodo di detenzione - Babacar ha
potuto riscattare l’abitazione in cui vive la famiglia, garantire un’educazione ai due figli maggiori in un collegio
di Religiose Missionarie (che tuttora frequentano) con l’intenzione di offrire questa possibilità anche alle due
figlie minori.
Inoltre, sempre con i soldi inviati mensilmente, la moglie ha potuto acquistare una macchina da cucire e
l’attrezzatura necessaria per lavorare da casa e riacquistare un minimo di autonomia economica; la madre si è
sottoposta ad un difficile e costoso intervento chirurgico, e pur non avendo riacquistato la completa mobilità
degli arti inferiori, ha ripreso a camminare ed è ritornata nella sua casa di Dakar, portando con sé anche una
delle due nipotine.
Se da un lato l’emigrazione di Babacar ha permesso alla famiglia di condurre un’esistenza dignitosa e di
risolvere tutte le esigenze di ordine economico, dall’altra ha minato pesantemente la coesione familiare. Oltre
a non avere avuto la gioia di conoscere la figlia minore, anche il rapporto con Awa ha subito un duro
contraccolpo a causa della lontananza che si protrae da più di cinque anni. Non ci è chiaro quali siano state le
dinamiche che lo abbiano spinto a rivolgersi ad un avvocato ed a chiedere la separazione (fatta per procura)
dalla moglie. Babacar afferma, e non abbiamo motivo di credere il contrario, che l’analisi della sua condizione
gli ha fatto comprendere quanto non sia giusto tenere vincolata una donna al proprio marito che non vede da
lungo tempo, e che solo per sua responsabilità ha trascorso gli ultimi anni in carcere.
L’ipotesi progettuale
Una volta dimesso, Babacar trova ospitalità presso alcuni connazionali in Milano.
Vorrebbe continuare a lavorare per PC Det, ma nonostante sia un lavoratore molto apprezzato per la sua
precisione e serietà, sull’esterno l’organico è al completo.
Il Progetto di reinserimento lavorativo ORFEO, che ha preso in carico Babacar durante il periodo di
detenzione, si attiva anche sull’esterno, riuscendo a reperire una postazione in Borsa Lavoro in una
Cooperativa Sociale che si rende da subito disponibile ad accoglierlo.
Ma il nodo critico da risolvere è costituito ora dal permesso di soggiorno, scaduto in carcere e da rinnovare.
Nonostante, a dire di Babacar, venga consegnata tutta la documentazione richiesta, compresa la disponibilità
della Cooperativa, a sei mesi dalla domanda, la Questura non ha ancora rinnovato il documento.
Ciò comporta a Babacar l’impossibilità di essere assunto in regola, di partecipare al Bando Aler per
l’assegnazione di alloggio popolare, l’aggancio con i Servizi Sociali per un contributo economico.
Ma non si perde d’animo, ed inizia a lavorare ugualmente, ma senza contratto, presso varie cooperative.
Abbandona l’ipotesi di inoltrare domanda per il ricongiungimento familiare: nonostante le varie peripezie, è
riuscito a garantire alla propria famiglia in Senegal una vita dignitosa, e quindi preferisce non sradicarla,
consapevole che in Italia la vita sia molto difficile e piena di insidie e trappole, a cui lui stesso non è riuscito a
resistere. Propone l’idea di separazione ad Awa, che accetta.
La proposta di Odisseo
In questo momento di impasse, ciò che il Progetto Odisseo propone a Babacar è qualcosa di nuovo, rispetto ai
suoi progetti originari, che però trova da subito riscontro.
Babacar è stanco di lavorare senza un contratto regolare, di vivere lontano dai figli e allo stato attuale non
intravede nessuna concreta possibilità di inserimento completo nella realtà del nostro Paese. Del resto, come
lui stesso afferma, non ha mai pensato di stabilirsi definitivamente in Italia: ha sempre vissuto questa
permanenza come momento di passaggio (più o meno lungo) che potesse permettergli di accantonare il
capitale necessario per costituire un’attività in Senegal sufficientemente remunerativa.
La retribuzione sufficiente per vivere, ammonta a 250-300 euro mensili, l’equivalente di uno stipendio medio in
Senegal. Inoltre vorrebbe tornare a Dakar o Kaolack.
112
Dopo una serie di colloqui di raccolta di informazioni, di approfondimento e di orientamento, e sulla base delle
precise esigenze espresse da Babacar, nasce la proposta di rientro onorevole, qui sinteticamente esposta.
Tale progetto comprende un sistema di microcredito scaglionato in cui è coinvolta anche l’azienda PC Det srl,
dove ricordiamo, Babacar ha avuto modo di lavorare per un anno e che conosce molto bene. Prevede un
percorso graduale e a tappe, con forte supporto d’ingresso, il cui ciclo dovrà compiersi in 6 mesi.
Fase Preliminare:
• Businnes planning fornito da PcDet (che avrebbe la possibilità di contare su un referente commerciale
in Senegal)
• Biglietto di sola andata per Dakar acquistato da PC Det
Fase di start-up:
• Inserimento di Babacar in azienda già operativa in Dakar, conosciuta da alcuni referenti italiani, per un
breve periodo di affiancamento e successivamente apertura di un piccolo punto vendita autonomo.
Tra le due opzioni proposte, rivendita e commercializzazione o manutenzione ed assistenza, Babacar
sceglie la prima.
• Sei mensilità garantite: i primi due mesi la retribuzione sarà di 280 euro, i due mesi successivi di 240
euro, gli ultimi due di 200 euro.
• Carico di PC usati (e loro parti) donati da PC Det, trasporto e tariffe doganali sempre a carico di PC
Det per i primi due mesi. Successivamente, in un’ottica di gradualità, Babacar pagherà le spese
doganali, poi le spese doganali ed il trasporto, sino a pagare anche il carico di merce, raggiungendo
completa autonomia entro il sesto mese.
Il Progetto di rientro onorevole avrà attuazione immediata, dopo aver completato le necessarie verifiche
tecniche in corso.
Il Centro di Solidarietà Come si è reso disponibile ad occuparsi del monitoraggio rispetto alla fase di start-up in
Senegal, potendo contare su una rete informale e affidabile attraverso cui reperire le informazioni necessarie
al monitoraggio.
Secondo caso
Dati generali
B. M. Nato in Romania (CS) il 04.05.1971
Domiciliato presso la Casa di Reclusione Milano Bollate
Cittadinanza Rumena
Passaporto valido
Il contesto socio-familiare di provenienza
Nel 2005, Brotac è un cittadino rumeno che vive con la famiglia a Timisoara.
Convive con la compagna, con la quale ha due figli, il maggiore di 14 anni ed il minore di 8.
Non ha mai pensato di emigrare in altro paese, poiché la situazione economica della famiglia non presenta
particolari problematiche. Vivono in casa di proprietà, la compagna lavora part time in un bar e Brotac, pur
avendo solo il diploma di licenza media, ha un buon posto di lavoro come impiegato nel settore amministrativo
di un’azienda di trasporti, dove è entrato molti anni prima come fattorino.
A seguito di crisi finanziaria dell’azienda e susseguente sua ristrutturazione interna, Brotac viene licenziato.
Superato il primo momento di sconforto, si attiva e cerca un altro impiego, ma non riesce più a ricollocarsi.
Dopo mesi di inattività, si fa tentare dai racconti di alcuni connazionali emigrati in Italia che vantano buoni
guadagni, e decide, in modo clandestino e senza un preciso progetto migratorio, di seguirne l’esempio.
113
Il percorso migratorio
Una volta sopraggiunto in Italia, agli inizi del 2006, viene ospitato temporaneamente da alcuni amici
connazionali a Milano. Comincia a cercare lavoro, nell’illusione che trovando un posto stabile possa
regolarizzare la sua posizione in tempo relativamente breve.
Ben presto si rende conto che senza permesso di soggiorno e non avendo una professionalità facilmente
spendibile, conoscendo poco la lingua italiana, ciò che può trovare sono solo brevissime collaborazioni come
manovale o muratore non qualificato, naturalmente non in regola e mal retribuite, che non gli permettono di
sostentarsi in modo autonomo né di pensare alla possibilità di prendere un piccolo monolocale in affitto,
poiché tra l’altro, la coabitazione con i compagni si fa via via più difficile e conflittuale. Resosi consapevole
della criticità della situazione, e non vedendo sbocchi immediati, per arrotondare i suoi insufficienti guadagni si
fa tentare dalla proposta di alcuni conoscenti che vivono di furti ed espedienti. Ma questa scelta non lo porta
lontano, e viene arrestato mentre sta tentando una rapina a soli tre mesi da suo arrivo in Italia.
L’esperienza detentiva
Brotac, alla sua prima esperienza delinquenziale (in Romania non ha mai avuto precedenti penali) viene
condannato a due anni di detenzione. A causa della precarietà della sua condizione abitativa e lavorativa che
non consentono di pensare all’esecuzione di una pena alternativa al carcere, Brotac è costretto a scontare
tutto il periodo della condanna in un Istituto Penitenziario. Nella Casa di Reclusione di Bollate dove è ristretto,
ha la possibilità di partecipare da subito ad un corso di base per l’utilizzo di PC, che lo appassiona al settore
informatico. Venuto a conoscenza che all’interno dell’Istituto opera un’unità operativa di PC Det, si candida
immediatamente, e durante la selezione per il reclutamento di personale interno, viene scelto.
Si appassiona molto al lavoro, che apprende con gran velocità. Riesce a risolvere complicati problemi tecnici e
di manutenzione, tanto che diventa il punto di riferimento anche per gli altri colleghi, che ne riconoscono la
competenza ed in un certo senso anche la leadership, che emerge in modo naturale. Per queste doti viene
notato dal referente PC Det, che gli riconosce il ruolo di coordinamento all’interno del gruppo, che col suo
contributo ha aumentato la produttività.
La proposta di Odisseo e la contestuale proposta di PC Det
In fase di progettazione del secondo percorso di rientro onorevole (come previsto da Odisseo), si era pensato
di coinvolgere Brotac nella costituzione di una piccola impresa a Timisoara, come referente PC Det per la
Romania.
Le tappe del percorso erano del tutto simili a quelle proposte a Babacar: orientamento e progettazione
d’impresa, elaborazione di businnes planning, acquisto di biglietto di sola andata, sistema di microcredito
scaglionato con forte supporto d’ingresso da parte dell’azienda. Il tempo previsto per il raggiungimento
dell’autonomia finanziaria era di 6 mesi.
Agli inizi di quest’anno però lo scenario geopolitico è mutato, e con l’entrata della Romania nell’Unione
Europea anche la posizione di Brotac è cambiata: da cittadino straniero senza permesso di soggiorno è
divenuto cittadino dell’Unione Europea, quindi non scatta più automaticamente il decreto di espulsione all’atto
del fine pena.
Ma anche PC Det ha avuto sviluppi importanti sul territorio ed è in costituzione un nuovo punto vendita con
magazzino nella città di Pavia, dove oltre a fare manutenzione ed assistenza dei Pc, si commercializzeranno
anche macchinari riciclati. L’idea di PC Det è di inserire nell’organico, anche con mansioni di responsabilità, le
persone che abbiano iniziato a lavorare in stato di detenzione, dando loro un’importante opportunità di
reinserimento lavorativo qualificato. Brotac viene identificato come soggetto idoneo, sufficientemente
autonomo per coprire un incarico di responsabilità, e contestualmente alla proposta di rientro onorevole di
Odisseo gli viene offerta anche la possibilità di restare in Italia. Invitato a riflettere serenamente tra le due
proposte, Brotac ha infine optato per quest’ultima, poiché l’apertura del nuovo show room coincide con la sua
data di fine pena ed andrebbe a ricoprire il ruolo di responsabile della nuova unità. Oltre ad avere apprezzato
l’importante riconoscimento alla professionalità acquisita, potrà contare su uno stipendio adeguato alla
mansione, consentendogli di porre solide basi per un ricongiungimento in territorio italiano con la sua famiglia.
114
VALUTAZIONE del Progetto
Alla presentazione del Progetto ODISSEO si era così previsto:
“Strumenti: Il sistema di valutazione sarà costituito al fine di ottenere un monitoraggio sufficientemente
esaustivo e indicazioni finalizzate al miglioramento delle performances per un eventuale proseguimento dello
stesso, utilizzando gli strumenti di controllo qualità di AgeSoL UNI EN ISO 9001:2000 (certificata in data 24
giugno 2003, N° SQU855AQ631).”
Pertanto, si sono approntati strumenti di monitoraggio e valutazione agili nella sua somministrazione e
gestione, nonché facilmente leggibili nel complesso anche per chi non ha agito direttamente nel progetto
stesso.
Sono state predisposte due schede di rilevazione del grado di soddisfazione delle azioni, proposte a due tipi di
utenti diversamente coinvolti dai partner di progetto (operatori penitenziari, volontari, responsabili aziendali,
cooperanti, detenuti ecc.)
1. un campione selezionato di persone variamente coinvolte nel progetto
2. ai due utenti detenuti a cui è stato progettato e predisposto il percorso di rientro onorevole
in patria
Sono state somministrate le schede di valutazione a un campione significativo di 9 persone variamente
1.
coinvolte nel progetto, così rappresentanti di diverse tipologie di operatori: due educatori di carcere, 1
imprenditore, 8 operatori sociali (di cui 6 che agiscono direttamente dentro e fuori le carceri milanesi)
che hanno collaborato in diverse occasioni e azioni del progetto.
Alla Domanda “Chiarezza delle informazioni ricevute in merito alle attività e alle finalità del Progetto
ODISSEO” 7 hanno risposto BUONO (il massimo del punteggio) e 2 DISCRETO
Alla Domanda “Professionalità degli operatori: comportamento, comunicazione, competenza sulle
problematiche su quanto attiene al progetto” 7 hanno risposto BUONO e 2 DISCRETO
Alla Domanda “Assistenza durante le fasi di realizzazione del progetto” 4 hanno risposto DISCRETO, 2
BUONO, per 3 NON APPLICABILE
Alla Domanda “Assistenza per eventuali espletamenti degli adempimenti burocratici nella fase di
realizzazione” 2 hanno risposto BUONO e 1 DISCRETO, per 5 NON APPLICABILE.
Alla Domanda “Assistenza successiva per il rientro onorevole in patria” per tutti e 9 NON APPLICABILE
2.
Sono state somministrate le schede di valutazione predisposte ad hoc ai due utenti coinvolti nel
progetto di rientro onorevole.
Alla Domanda “Chiarezza delle informazioni ricevute in merito alle attività del Progetto ODISSEO”
entrambi hanno risposto BUONO
Alla Domanda “Professionalità degli operatori: ascolto, aiuto, suggerimenti, competenza sulle
problematiche e sugli strumenti che riguardano l'orientamento e l'inserimento lavorativo, nonché il
rientro in patria” entrambi hanno risposto BUONO
Alla Domanda “Attività di informazione” entrambi hanno risposto BUONO
Alla Domanda “Attività di orientamento/counselling” Uno ha risposto BUONO e uno DISCRETO
Alla Domanda “Assistenza per preparazione avvio al lavoro e rientro in patria” Uno ha risposto Buono e
per uno NON APPLICABILE poiché ha scelto di non rientrare in patria per la sua mutata condizione di
cittadino neocomunitario (vedi relazione dell’utente).
Come si evince, anche se c’è stato un certo grado d’eccesso positivo nel giudizio, tutte le persone coinvolte (a
titolo volontario) nel progetto hanno espresso un alto grado di soddisfazione e di qualità nello svolgimento
delle azioni intraprese dai nostri operatori.
Bisogna inoltre sottolineare che gli operatori/funzionari della rete dei servizi che abbiamo avvicinato (dentro e
fuori le carceri) hanno mostrato viva collaborazione e notevole interesse a questo tipo di progetto, al momento
innovativo e unico nel panorama milanese.
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