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Cavalcanti Fresca rosa novella Fresca rosa novella, piacente primavera, per prata e per rivera gaiamente cantando, vostro fin presio mando a la verdura. Lo vostro presio in gio' si rinovelli da grandi e da zitelli per ciascuno camino; e càntine gli auselli, ciascuno in suo latino, da sera e da matino, su li verdi arboscelli. Tutto lo mondo canti, po' che lo tempo vène, sì come si convene, vostr'altezza presiata: ché siete angelicata – crïatura. Ariosto La verginella è simile alla rosa, ch'in bel giardin su la nativa spina mentre sola e sicura si riposa, né gregge né pastor se le avicina; l'aura soave e l'alba rugiadosa, l'acqua, la terra al suo favor s'inchina: gioveni vaghi e donne inamorate amano averne e seni e tempie ornate. Ma non sì tosto dal materno stelo rimossa viene e dal suo ceppo verde, che quanto avea dagli uomini e dal cielo favor, grazia e bellezza, tutto perde. La vergine che 'i fior, di che più zelo che de' begli occhi e de la vita aver de', lascia altrui côrre, il pregio ch‘avea inanti perde nel cor di tutti gli altri amanti Giovanni Pascoli Il gelsomino notturno E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso a' miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolìo di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento... E' l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova. Umberto Saba "Il biancospino" Di marzo per la via della fontana la siepe s'è svegliata tutta bianca, ma non è neve, quella: è biancospino tremulo ai primi soffi del mattino. Montale Riviere Riviere, bastano pochi tocchi d'erbaspada penduli da un ciglione sul delirio del mare; o due camelie pallide nei giardini deserti, e un eucalipto biondo che si tuffi tra sfrusci e pazzi voli nella luce; ed ecco che in un attimo invisibili fili a me si asserpano, farfalle in una ragna di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli. Portami il girasole ch'io lo trapianti nel mio terreno bruciato dal salino, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti del cielo l'ansietà del suo volto giallino. Tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire é dunque la ventura delle venture. Portami tu la pianta che conduce dove sorgono bionde trasparenze e vapora la vita quale essenza; portami il girasole impazzito di luce. I limoni Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Attilio Bertolucci Coglierò per te l' ultima rosa del giardino, la rosa bianca che fiorisce nelle prime nebbie. Le avide api l' hanno visitata sino a ieri, ma è ancora così dolce che fa tremare. E' un ritratto di te a trent' anni, un po' smemorata, come tu sarai allora. Johann Wolfgang Goethe Violetta Una violetta stava sul prato ignota e con il capo reclinato, era una graziosa violetta. Veniva una pastorella il passo lieve, l'anima serena, per la sua strada giù per il prato, cantando. Ah, pensa la violetta, vorrei tanto essere il fiore più bello del creato, ah, solo per un istante, fino a che mi ha colto il mio amore e mi ha stretto languida sul cuore! Ah, soltanto, soltanto per un breve quarto d'ora! Ahimé, ahimé, venne la giovinetta e non si diede cura della violetta, anzi calpesta l'infelice. Era lieta anche se cadeva e moriva: se muoio, muoio tuttavia, per causa sua, per causa sua, qui ai suoi piedi almeno. IL FIORELLINO MERAVIGLIOSO Canzone del conte prigioniero Il conte Conosco un meraviglioso fiorellino e ne ho un grande desiderio; vorrei andare a cercarlo, se io non fossi prigioniero. Il mio dolore non è piccolo; quand'io vivevo libero, avevo vicino a me quel fiore. Da questo castell tutt'intorno scosceso i miei occhi vagano, e dall'alto della torre non posso scorgerlo con il mio sguardo; e chi lo porti alla mia vista, cavaliere o servo che sia, il mio fido dovrebbe restare. La rosa Sono tutta in fiore e ascolto quello che dici, qui sotto le tue sbarre. Povero nobile cavaliere, certo, di me, la rosa, intendi parlare! Eletta è la tua anima, la regina dei fiori domina certo anche nel tuo cuore. Il conte La tua porpora ogni onore merita dentro il verde involucro; per questo la ragazza ti desidera, come i gioielli e l'oro. Il tuo serto esalta il volto più bello: ma tu, fiorellino, non sei quello che io venero in segreto. Il giglio Ha uno stile altero e a cose eccelse aspira la rosa; ma loderà la bella del cuore anche il giglio che l'adorna. A chi batte il cuore in un petto fedele e pura, come la mia, ha la mente, questi di me ha la stima più alta. Il conte Io mi ritengo casto e puro, e puro da colpe malvage; ma qui sono tenuto prigioniero e tutto solo mi devo tormentare. Tu nella tua bellezza mi evochi la casta soavità delle vergini: ma io penso a un fiore più caro. Il garofano Io, il garofano, penso di essere questo fiore, qui nel giardino del carceriere, se no, perché il vecchio mi presta le sue cure con tanto amore? I petali urgono nella bella corona, un profumo per sempre si sprigiona, e tutti i mille colori. Il conte Non va disprezzato il garofano, è la gioia del giardiniere: ora alla luce deve stare esposto, ora lui dal sole lo protegge; ma quello che il conte rende lieto non è uno sfarzo ricercato, è un silenzioso fiore. La violetta Me ne sto reclinata e nascosta e non parlo volentieri, ma voglio, dato che ora è la mia volta, rompere il mio silenzio profondo. Se sono io, come mi dispiace, uomo stimato, di non recare su fino a te tutti i profumi. Il conte La buona violetta io la stimo molto: è tanto modesta e tanto odorosa; ma io ho bisogno di più, nel mio acerbo affanno. A voi soltanto voglio confidarmi: su questi picchi rocciosi e aridi non troverò la mia bella. Ma la donna più fedele della terra incede presso il ruscello, in basso, sospira e geme sommessa fino al giorno del mio riscatto. Quando coglie un fiore celeste e ripete: non ti scordar di me! lo sento anche di lontano. Certo, si sente la forza di lontano, se due si amano davvero; nella notte del carcere sono rimasto ancora vivo per questo. E nche se mi spezza il cuore, basta che io esclami: non ti scordar di me! e rinasco alla vita. Heine, Heinrich Da vecchie fiabe qualcosa fa cenno Da vecchie fiabe qualcosa fa cenno con una mano bianca, e lì si canta e lì si sente di un paese magico dove sbocciano colorati fiori nella luce dorata della sera, e ardono con lieve profumo col volto di sposi; e verdi alberi cantano antichissime melodie, l'aria risuona di segreti e gli uccelli cinguettano; e immagini nebbiose si levano da terra e danzano un'aerea ridda con il coro bizzarro; e scintille azzurre ardono su ogni foglia e ogni rametto e luci rosse corrono in cerchi folli e confusi; e rumorose fonti erompono dalla selva di pietre marmoree e stranamente nei ruscelli continua a splendere il riflesso. Ah! potessi io andarci e lì rallegrare il mio cuore, e sollevato da ogni pena essere libero e beato! Ah! Quel paese di delizia lo vedo spesso in sogno, ma arriva il sole del mattino e lui si dissipa come vana schiuma. William Wordsworth Narcisi Erravo solo come una nuvola Che fluttua in alto su valli e colline, Quando all’improvviso vidi una folla, Una miriade di narcisi dorati; Accanto al lago, sotto gli alberi, che svolazzavano e danzavano nella brezza. Continui come le stelle che risplendono E luccicano sulla via lattea, Si stendevano in una striscia infinita Lungo il margine di una baia: Diecimila ne vidi con un solo sguardo, Che dondolavano la testa in una danza vivace. Le onde accanto a loro ballavano; ma essi Superavano per brio le onde scintillanti: Un poeta non poteva che rallegrarsi, In tale gioconda compagnia: Io miravo e rimiravo – senza pensare A quale ricchezza lo spettacolo mi aveva portato: Perché spesso, quando me ne sto steso sul sofa Distratto o pensieroso, Essi mi balenano all’occhio interiore Che è la grazia della solitudine; E allora il mio cuore si riempie di piacere, E danza con i narcisi. (1804) Emily Dickinson Un sepalo ed un petalo e una spina in un comune mattino d'estate, un fiasco di rugiada, un'ape o due, una brezza, un frullo in mezzo agli alberi— ed io sono una rosa! … La pallida colonna del soffione sgomenta l'erba — ed ecco che l’inverno d'un tratto si trasforma in un coro di gemiti infinito— Una sontuosa gemma dallo stelo spicca seguita da un fiore sgargiante — sono i soli che danno l'annuncio delle esequie compiute …. Fiorire - è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le minime circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato poi offerto come una farfalla al mezzogiorno— Colmare il bocciolo — combattere il verme ottenere quanta rugiada gli spetta – regolare il calore — eludere il vento— sfuggire all'ape ladruncola non deludere la natura grande che l'attende proprio quel giorno — essere un fiore, è profonda responsabilità— Virginia Woolf da La signora Dalloway Eccoli, i fiori: delfini, piselli odorosi, grappoli di lillà, e garofani, garofani a profusione. C’erano le rose e gli iris. Ah, sì – e inspirò i differenti profumi di quel giardino terrestre, sempre parlando alla signorina Pym, la quale le era riconoscente, e la giudicava tanto buona, ma appariva invecchiata quest’anno; intanto girava la testa da una parte e dall’altra tra gli iris e le rose e indicava cogli occhi socchiusi dei ciuffi di lillà, annusando, dopo il chiasso della strada, la deliziosa fragranza, la freschezza squisita. E quando riapriva gli occhi, come le sembravano fresche le rose – veniva alla mente il bucato appena lavato e ben piegato nelle ceste di paglia; come parevano cupi e compassati i garofani rossi, invece, con le loro teste erette; e i piselli odorosi che si allargavano nelle coppe, viola sfumato, bianco neve, pallidi – come se fosse sera e, finita la splendida giornata estiva, col cielo ormai d’un azzurro quasi nero e i delfini e i garofani, e i gigli, le ragazze uscissero nei loro abitini di organza a raccogliere i piselli odorosi e le rose. È in quell’attimo, tra le sei e le sette, che i fiori – le rose, i garofani, gli iris, i lillà – risplendono: bianco, violetto, rosso arancione. Ogni fiore sembra ardere di luce propria, soffice, puro, ognuno nella sua aiuola velata di nebbia. E come le piacevano le falene bianche e grigie che volteggiavano sui girasoli e sulle primule! Lewis Carroll da Attraverso lo specchio "...Questa volta ella arrivò ad una grande aiuola, tutta orlata di margherite, e con un salice piangente nel mezzo. - Oh Giglio, - disse Alice, rivolgendosi a uno stelo che oscillava graziosamente al vento, vorrei che tu potessi parlare. - Noi possiamo parlare, - disse il Giglio, - se c'è qualcuno con cui metta conto di parlare. Alice fu così stupita che rimase senza parola per un minuto. Finalmente, siccome il Giglio non faceva che oscillare, ripigliò a discorrere timidamente... quasi con un bisbiglio. - E tutti i fiori parlano? - Come te, - disse il Giglio, - e molto più forte. - Sai, - disse la Rosa, - cominciar noi non sta bene, e veramente tu parlavi; dicevo a me stessa: «Il suo viso ha qualche significato, sebbene non sia furbo». Pure, tu hai il colore giusto, e col colore giusto si va lontano. - Non m'importa nulla del colore, - disse il Giglio. - Starebbe meglio se ella avesse i petali un po' più arricciati. Ad Alice non piaceva di essere giudicata, e così cominciò a fare delle domande. - Non avete paura d'esser piantati qui fuori, con nessuno che vi accudisca? - V'è l'albero nel mezzo, - disse la Rosa, a che altro servirebbe? - Ma che potrebbe fare innanzi a un pericolo? - chiese Alice. - Troncarlo, - disse la Rosa. - È per questo, - disse una Margherita, - che il suo fusto si chiama tronco. - Non sai questo? - gridò un'altra Margherita, e tutte cominciarono a strillare in coro, finchè l'aria parve tutta assordata da quelle stridule voci. - Silenzio, tutte! - gridò il Giglio, agitandosi irosamente da un lato all'altro, fremente di rabbia. - Siccome sanno che io non posso raggiungerle, - balbettò, piegando verso Alice la testa tremante, - si mettono a gridare a quel modo. - Non ci badare, disse Alice con accento carezzevole, e, chinandosi sulle margherite, che stavano ricominciando, bisbigliò: - Se non state zitte, vi colgo. Vi fu un istante di silenzio e parecchie delle margheritine rosee diventarono bianche. - Benissimo! - disse il Giglio. - Le margherite hanno un carattere pessimo. Quando una parla, cominciano tutte, e non ci vuol altro per seccare chi le sente. - Come va che voi potete parlare così bene? - disse Alice, sperando di addolcirlo con un complimento. - Sono stata in tanti giardini, ma non ho mai sentito parlare i fiori. - Metti giù la mano e tasta il suolo, - disse il Giglio. - Saprai il perchè. Alice obbedì. - È molto duro, - ella disse, - ma non capisco che c'entri. - Nella maggior parte dei giardini. - disse il Giglio, - fanno i letti dei fiori troppo soffici, ecosì i fiori dormono sempre. La ragione era ottima, e Alice fu lieta di apprenderla. - Non ci avevo pensato, - disse. - Credo che tu non pensi mai! - disse la Rosa con un tono piuttosto severo. Non ho visto mai una fisionomia più stupida, - disse la Viola così improvvisamente, che Alice diede un balzo. - Tieni a posto quella lingua! - grido il Giglio. - Come se tu vedessi mai nessuno. Tu nascondi la testa sotto le foglie e vi russi tanto che ne sai del mondo quanto può saperne un germoglio..." Gerald Durrel Da La mia famiglia e altri animali Di tanto in tanto, nel corso della mattinata, lui s'interrompeva tutt'a un tratto nel bel mezzo di una somma o di una filastrocca di capoluoghi di contea e piegava la testa da un lato come se tendesse l'orecchio. «Scusami un momento» diceva. «Devo andare a vedere mia madre». A tutta prima questo mi lasciò un po' perplesso, perché ero convinto che Kralefsky fosse troppo vecchio per avere una madre ancora vivente. Dopo averci almanaccato sopra, arrivai alla conclusione che quello fosse soltanto un modo garbato di dire che desiderava andare al gabinetto, perché mi rendevo conto che non tutti avevano la disinvoltura della mia famiglia quando si toccava queltasto. Non pensai affatto che, se a mia conclusione era giusta, Kralefsky si appartava molto più spesso di qualunque altra persona di mia conoscenza. Una mattina, a colazione, avevo mangiato nespole a tutto spiano, e cominciai a sentirne gli spiacevoli effetti mentre eravamo nel mezzo d'una lezione di storia. Visto che Kralefsky era tanto schizzinoso sull'argomento dei gabinetti, decisi che dovevo esprimere la mia richiesta in modo educato, e la soluzione migliore mi parve quella di adottare lo strano termine che usava lui. Lo guardai fermamente negli occhi e gli dissi che avrei desiderato fare una visita a sua madre. «A mia madre?» ripeté lui stupefatto. «Una visita a mia madre? Adesso?». Non riuscii a capire che cosa ci fosse di tanto strano, sicché mi limitai ad annuire. «Be',» disse in tono dubbioso «sono certo che mamma sarà felice di vederti, naturalmente, però sarà meglio che vada a vedere se non le è di disturbo». Uscì dalla stanza, con un'aria ancora un po' perplessa, e tornò dopo qualche minuto. «Mamma sarà felice di vederti,» annunciò «ma dice che devi scusarla se è un po' in disordine». Pensai che parlare del gabinetto come se fosse un essere umano significava spingere la buona creanza un po' troppo in là, ma visto che Kralefsky su quell'argomento era palesemente un tantino eccentrico, sentii che era meglio assecondarlo. Gli dissi che non me ne importava neanche un po' se sua madre era in disordine, perché anche la nostra lo era molto spesso. «Ah... ehm... sì, sì, lo immagino» mormorò lui dandomi un'occhiata un po' allarmata. Mi accompagnò lungo un corridoio, aprì una porta e, con mia enorme sorpresa, mi fece entrare in una vasta camera da letto in penombra. La stanza era una foresta di fiori; vasi, conche e recipienti di coccio erano posati un po' dappertutto, e da ognuno traboccava una massa di splendide corolle che scintillavano nell'oscurità, come pareti di gioielli in una grotta ombreggiata diverde. A un capo della stanza c'era un letto enorme, e nel letto,appoggiata a un mucchio di cuscini, giaceva una minuscola figura non più grande di un bambino. Quando mi avvicinai capii che doveva esserevecchissima, perché i suoi tratti fini e delicati erano coperti da unintrico di rughe che solcavano una pelle morbida e vellutata comequella di un fungo neonato. Ma in lei la cosa stupefacente erano i capelli. Le ricadevano sulle spalle come una gonfia cascata e poi si spargevano per un tratto giù dal letto. Erano d'un intenso e bellissimo color rame, luminosi e scintillanti come se fossero in fiamme, e mi fecero pensare alle foglie d'autunno e al vivido pelo invernale delle volpi. «Mamma cara,» disse dolcemente Kralefsky, attraversando la stanza e sedendosi su una sedia accanto al letto «mamma cara, Gerry è venuto a trovarti». La minuscola figura sul letto sollevò le palpebre trasparenti e pallide e mi guardò con grandi occhi bruni, vispi e intelligenti come quelli di un uccello. Trasse dal folto della sua ramata capigliatura una mano sottile e bellissima, appesantita di anelli, e me la porse, sorridendo maliziosamente. «Sono così lusingata che tu abbia chiesto di vedermi» disse con una voce sommessa e velata. «Al giorno d'oggi, tanta gente considera una persona della mia età una vera seccatura». Imbarazzato, mormorai qualcosa, e gli occhi brillanti mi guardarono ammiccando, e lei diede in una garrula risatina da merlo e batté la mano sul letto. «Siediti qua,» mi invitò «siediti e chiacchieriamo un momentino». Con grande cautela raccolsi la massa di capelli ramati e la spostai da una parte per potermi sedere sul letto. I capelli erano morbidi, serici e pesanti, come un'onda color fiamma che mi scorresse tra ledita. La signora Kralefsky mi sorrise e ne prese una ciocca, facendosela rigirare tra le dita perché scintillasse. «L'unica vanità che mi sia rimasta,» disse «tutto quel che resta della mia bellezza». Contemplò quell'ondata di capelli come se fosse un cucciolo, o qualche altra bestiolina che non avesse nulla a che fare con lei, e se li accarezzò affettuosamente. «E' strano,» disse «molto strano. Io ho una teoria, sai? Che alcune cose belle s'innamorano di se stesse, come Narciso. E quando questo succede, non hanno nessun bisogno di aiuto per vivere; diventano così prese dalla propria bellezza che vivono soltanto per quella, nutrendosi di se stesse, per così dire. In questo modo, più si fanno belle e più forti diventano; vivono in un circolo. I miei capelli hanno fatto proprio questo. Sono autosufficienti, crescono soltanto per se stessi, e il fatto che il mio corpo sia andato in rovina non li turba minimamente. Quando morirò, se ne potrà colmare tutta la mia bara, e probabilmente loro continueranno a crescere anche quando il mio corpo sarà ridotto in polvere». «Su, su, mamma, non devi parlare così» la sgridò Kralefsky gentilmente. «Non mi piacciono questi tuoi pensieri morbosi». Lei volse la testa e lo guardò teneramente, dando in una risatina sommessa. «Ma non è morbosità, John; è soltanto una mia teoria» spiegò. «Del resto, pensa che bel sudario sarebbero». Contemplò i suoi capelli, sorridendo felice. Nel silenzio l'orologio di Kralefsky squillò impaziente, e lui trasalì, lo tirò fuori dal taschino e lo guardò. «Per Giove!» disse balzando in piedi «quella covata dovrebbe essere nata, a quest'ora. Scusami un minuto, mamma, devo assolutamente andare a vedere». «Vai, vai» disse lei. «Gerry e io faremo quattro chiacchiere sino al tuo ritorno... non preoccuparti per noi». «Perfetto!» esclamò Kralefsky, e attraversò rapidamente la stanza tra le siepi di fiori come una talpa che si scavasse la tana in un arcobaleno. La porta si chiuse con un sospiro alle sue spalle, e la signora Kralefsky girò la testa e mi sorrise. «Dicono,» mi annunciò «dicono che quando si diventa vecchi, come lo sono io, il corpo si fa più lento. Io non ci credo. No, per me è completamente sbagliato. Io sono convinta che non siamo noi a farci più lenti, ma la vita a farsi più lenta per noi. Mi capisci? Tutto diventa languido, per così dire, e allora si notano tante e tante cose, quando tutto si muove lentamente. Quante cose si vedono! Quante cose straordinarie avvengono intorno a te, cose che non avevi mai nemmeno sospettate! E' un'avventura incantevole, proprio incantevole!». Sospirò soddisfatta, e si guardò intorno. «Prendi i fiori» disse, indicandomi le corolle che riempivano la stanza. «Hai mai sentito parlare i fiori?». Scossi la testa, molto perplesso; l'idea dei fiori che parlavano mi era del tutto nuova. «Be', posso garantirti che parlano» disse lei. «Fanno delle lunghe conversazioni... almeno suppongo che siano conversazioni, perché naturalmente non capisco quello che dicono. Quando sarai vecchio come me, anche tu probabilmente riuscirai a sentirli; sempre che su certe cose tu rimanga di larghe vedute. Quasi tutti sostengono che man mano che si invecchia non si crede più in niente e non ci si stupisce più di niente, e così si diventa più aperti alle idee. Che sciocchezza! Tutti i vecchi che conosco hanno la mente chiusa come un'ostrica grigia e ruvida sin da quando avevano quindici anni». Mi guardò acutamente. «Pensi che sono stramba? Un po' tocca, eh? A parlare di fiori che conversano tra loro?». In fretta, e con assoluta sincerità, le dissi di no. Le dissi che secondo me era più che probabile che i fiori conversassero tra loro. Le precisai che i pipistrelli emettevano dei piccoli squittii che io riuscivo a sentire, ma che gli adulti non avrebbero potuto captare perché era un suono troppo acuto. «Ecco, ecco!» esclamò lei tutta contenta. «E' questione di lunghezze d'onda. Io dico che tutto dipende da questo processo di rallentamento. Un'altra cosa di cui da giovani non ci si accorge è che i fiori hanno una personalità. Sono l'uno diverso dall'altro, proprio come le persone. Guarda, ora ti faccio vedere. Vedi quella rosa laggiù, quella che sta nel vaso da sola?». Su un tavolino nell'angolo, racchiusa in un piccolo portafiori d'argento, c'era una magnifica rosa vellutata, di un rosso-granato così cupo da sembrare quasi nero. Era un fiore splendido, dai petali squisitamente arricciolati, con una velatura di lanugine morbida e intatta come la peluria sull'ala di una farfalla appena uscita dalla crisalide. «Non è uno splendore?» disse la signora Kralefsky. «Non è meravigliosa? Be', ce l'ho da due settimane. Non ci crederesti, no? E non era mica un bocciolo quando l'ho avuta. No, no, era già tutta aperta. Ma sai che era così malata che non credevo che avrebbe vissuto? La persona che l'ha colta è stata così sventata da metterla in un mazzo di aster. Un errore funesto, assolutamente funesto! Non hai idea di quanto sia crudele la famiglia delle composite, tutte quante. Sono fiori molto rozzi, molto terra terra, e naturalmente mettere in mezzo a loro un fiore aristocratico come la rosa significa proprio andare in cerca di guai. Quando è arrivata qui era così afflosciata e appassita che tra gli aster non l'ho nemmeno vista. Ma, per fortuna, li ho sentiti che ne parlavano. Ero qui assopita quando hanno cominciato, specialmente quelli gialli, mi è parso, che sono sempre così bellicosi. Be', naturalmente non sapevo che cosa stessero dicendo, ma sembrava qualcosa di orribile. A tutta prima non riuscivoa capire a chi stessero parlando; ho pensato che stessero litigando tra loro. Poi sono scesa dal letto per dare un'occhiata e ho trovato quella povera rosa, schiacciata in mezzo a loro, torturata a morte. L'ho tirata fuori, l'ho messa da sola e le ho dato mezza aspirina. L'aspirina è ottima per le rose. Le dracme per i crisantemi, l'aspirina per le rose, il brandy per i piselli dolci e una spruzzata di succo di limone per i fiori polposi, come le begonie. Be', tolta dalla compagnia degli aster e tonificata da quello stimolante, si è ripresa in un baleno, e sembra così grata; è chiaro che si sta sforzando di restare bella il più a lungo possibile per ringraziarmi». Guardò con affetto la rosa che splendeva nel suo vaso d'argento. «Sì, sui fiori ho imparato tante, tante cose. Sono proprio come le persone. Mettine molti tutti insieme e subito si danno reciprocamente ai nervi e cominciano ad appassire. Mescola diverse specie e il risultato è qualcosa che ha tutta l'aria di un'atroce differenza di classe. E poi, naturalmente, l'acqua è importantissima. Lo sai che certe persone pensano che sia molto gentile cambiare l'acqua tutti i giorni? Terribile! Se lo fai, poveri fiori, puoi proprio sentirli morire. Io cambio l'acqua una volta alla settimana, ci metto una manciata di terra e loro stanno benissimo». Si aprì la porta e Kralefsky entrò tutto saltellante, sorridendo con aria di trionfo. «Sono nati tutti quanti!» annunciò «tutt'e quattro. Sono proprio contento. Ero molto preoccupato perché è la sua prima covata». «Bene, caro; ne sono veramente felice» disse la signora Kralefskyin tono compiaciuto. «Sarai soddisfatto, adesso. Bene, Gerry e io abbiamo fatto una chiacchierata interessantissima. Almeno, per me è stata molto interessante». Mentre mi alzavo in piedi, dissi che l'avevo trovata interessantissima anch'io. «Devi tornare a trovarmi, se non ti annoia troppo» disse lei.«Troverai le mie idee un po' stravaganti, temo, ma vale la pena di sentirle». Mi sorrise, lì sdraiata nel suo letto sotto il grande manto dei capelli, e alzò una mano in un cortese gesto di congedo. Seguii Kralefsky verso la porta, e sulla soglia mi volsi e sorrisi. Lei giaceva immobile, remissiva sotto il peso dei suoi capelli. Tornò a sollevare la mano per salutarmi. Mi parve, nella penombra, che i fiori le si fossero avvicinati, si fossero raccolti impazienti intorno al suo letto, come se aspettassero che lei gli raccontasse qualcosa. Una vecchia regina devastata, distesa in gran pompa,circondata dalla sua mormorante corte di fiori. Mercè Rodoreda da Viaggi e fiori Viaggio al borgo delle bambine smarrite Non era un borgo, era un bosco. Le bambine erano uscite da casa loro per andare a raccogliere la clematide, alcune il papavero, altre il cardo viola, e altre ancora la rosa selvatica... e non erano state capaci di uscire dal bosco che avevano dovuto attraversare e il bosco se l'era tenute. Tutte erano vestite allo stesso modo: sottana rossa, corsetto a fiorellini azzurri e gialli sullo sfondo della stoffa blu mare. Tutte erano bionde, tutte avevano i capelli inanellati, tutte avevano gli occhi azzurri, tutte tenevano in mano un mazzetto dei fiori che erano andate a raccogliere. Appena si svegliavano cominciavano a ballare e a girare e rigirare intorno al tronco di un albero, ognuna il suo, mentre cantavano la canzone dell'alba. «Di cosa vivete?» «Di castagne, quelle che hanno ancora la buccia verde, liscia, e con una spina qua e là». Una col mazzetta di gelsomini mi spiegò la sua vita: «A casa mia vivevo bene; avevo tutte le bambole e tutti i bambolotti che volevo, mangiavo sempre cervellini di piccione e crema caramellata, ogni volta che avevo sete bevevo orzata di mandorle fresche, dormivo fin quando mi svaniva il sonno e avevo tempo in abbondanza per sognare che ero pesce, che ero uccello, che ero serpente, che ero iena... ma una notte sognai che i fiori di gelsomino mi chiamavano; volevano che li raccogliessi io e solo io. Si aprivano a poco a poco e dal forellino che hanno in mezzo usciva una vocetta che era la mia e che diceva mentre io dormivo: "Vogliamo che la bambina che ha tutto venga a raccoglierci prima che l'ape faccia di noi miele". Mi alzai, era ancora notte fonda, avevo ancora il sonno impigliato negli occhi, come in un delirio, e camminando camminando, trovai il gelsomino, feci un mazzetto con tutte le sue stelle e adesso sono una bambina smarrita perché non ho mai più saputo trovare la strada di casa mia, della mia casa con un giardino fiorito di violacciocche e di vitadimia». Le dissi che se voleva io avrei potuto accompagnarle, che avrei potuto accompagnarle tutte a una a una. Subito fece una faccia triste e l'azzurro degli occhi le si velò; fini per confessarmi che preferiva essere una bambina smarrita e vivere nel bosco dove di notte i rami dei castagni scendevano fino a lei e abbracciandola la proteggevano e le dicevano che l'avrebbero amata fino all'ora della morte; che se non fosse uscita dal bosco sarebbe sempre stata una bambina con la sottana rossa, con i capelli inanellati come trucioli, con l'azzurro degli occhi pieno di tenerezze d'acqua e con gocce di rugiada fra il rosa delle labbra... E aggiunse con occhi colmi di innocenza e senza battere ciglio: «Quando si smarrisce una bambina, al borgo la chiamano bambina smarrita, e quella bambina si trasforma nella patrona del suo borgo. Comprano una grossa bambola, la vestono da santa, le mettono una corona di latta, la sistemano in una teca e vanno a visitarla e a portarle fiori ogni tanto. Io, mi chiamo Gertrudis.» Jorge Louis Borges La rosa la rosa, la rosa immarcescibile che non canto, quella che e' peso e fraganza quella dell'oscuro giardino della notte fonda, quella di qualunque giardino e qualunque sera, quella che risorge dalla tenue cenere per l'arte dell'alchimia, la rosa dei persiani e di Ariosto quella che e' sempre sola, quella che e' la rosa delle rose, il giovane fiore platonico, l'ardente e cieca rosa che non canto, la rosa irragiungibile. Forugh Farrokhzad da La Strage dei Fiori nella conquista del giardino di questi corpi abbiamo trovato la verità nel giardino, / nel timido sguardo di un fiore senza nome. …. non ho mai desiderato, io / diventare un astro nel miraggio del cielo […]mai stata io, separata dal terreno, / e mai amica delle stelle, / io m’innalzo sulla terra, …. incollerò alle mie unghie due petali di dalia, / e m’infilerò i due rossi orecchini / di due rosse ciliegie gemelle. / E c’è una strada dove i ragazzi che / mi amavano sono ancora lì / con i loro capelli spettinati e i colli sottili e le gambe magre, / e pensano ancora al sorriso innocente di quella ragazza / che una sera il vento portò via con sé. …. seminerò le mie mani in giardino / diverrò verde, lo so, lo so, lo so, / e le rondini deporranno le uova / nelle pieghe delle mie dita sporche d’inchiostro. ….. Pettinerò di nuovo i miei capelli nel vento? Pianterò di nuovo le viole in giardino? E lascerò di nuovo i gerani nel cielo dietro la finestra? Danzerò di nuovo sui bicchieri? I rintocchi della porta mi condurranno di nuovo all’attesa di una voce? Khalil Gibran I fiori della Primavera sono i sogni dell'inverno raccontati, la mattina, al tavolo degli Angeli Basho' Matsui haiku I Garofani Inebriante il sonno sul dorso del macigno dove sbocciano i garofani! Ortensie Ortensie in fiore è ormai tempo d'indossare i vestiti estivi color cipolla.