Blackout, l`impossibile sogno dei dittatori
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Blackout, l`impossibile sogno dei dittatori
PAGINA AUTOGESTITA A CURA DEL PARTITO PIRATA L’Associazione Partito Pirata e il forum li trovi in rete su www.partito-pirata. it. Qui invece mettiamo a disposizione il mensile dell’associazione: www. Iscrizione Tribunale di Rovereto (Tn) n. 275 direttore responsabile Mario Cossali piratpartiet.it Su www. anonet.it si trova il progetto che stiamo sviluppando per una rete anonima o darknet. Per iscriversi alla mailing list è sufficiente inviare dal vostro account di posta una e-mail, anche priva di oggetto e contenuto a: http://ml.partito-pirata. it/cgi-bin/mailman/listinfo/ open Blackout, l’impossibile sogno dei dittatori di Alessandro Bottoni L’ ultimo atto di tutti i dittatori nordafricani prima della loro caduta è stato un blackout pressoché totale di Internet. Nel disperato tentativo di nascondere i loro crimini e di impedire ai rivoltosi di organizzarsi su larga scala, questi criminali non hanno esitato a tagliare i cavi della loro più importante risorsa. Sarà questo anche il destino dell’Italia, in coincidenza della (ri)apertura dei numerosi processi a carico di Silvio Berlusconi e dei suoi complici? Cosa succederà in occasione delle varie manifestazioni antigovernative previste tra fine febbraio e metà marzo? Anche l’Italia andrà a fuoco mentre le tv del “cavaliere” trasmettono musica classica a reti unificate? In realtà, “tagliare i cavi” di Internet è quasi impossibile, soprattutto in un paese come il nostro. Per ragioni di costo, sugli stessi cavi usati dai “dissidenti” passano anche le comunicazioni della polizia, dell’esercito, delle banche, degli ospedali e del governo stesso. Al massimo si possono tagliare selettivamente alcune comunicazioni, ad esempio quelle dirette a Facebook, a Google, a Twitter ed ai server di posta elettronica. Il risultato finale è un blackout che all’utente finale può sembrare totale e senza speranza ma che in realtà è molto più parziale di quello che sembra. Le comunicazioni utente-utente (P2P e VPN) e quelle utente-sito-webnazionale (come Virgilio) restano funzionanti in questi casi. Persino ottenere questo risultato parziale è comunque molto difficile: il ramo italiano di Internet dipende da dozzine di diverse aziende e diverse istituzioni, alcune delle quali sovranazionali, che operano sulla base di contratti e trattati che non possono essere disattesi con facilità. Non esiste un “Panic Button” da spingere per spegnere la Rete. Durante la rivolta in Egitto, Mubarack ha messo in atto un blackout quasi totale e subito due associazioni di “hacktivist” francesi, Telecomix e France data Network, hanno messo a disposizione dei netizen nordafricani dei “punti di accesso” ad Internet basati sulla vecchia tecnologia dei modem analogici (quelli di voi che hanno una connessione ad Internet da lungo tempo ricordano sicuramente i vecchi modem US Robotics e la configurazione della connessione via PPP). Questo ha costretto Mubarack a tagliare anche le linee telefoniche, sia mobili che fisse, precipitando l’intero paese in un blackout medievale e dagli effetti devastanti che ha reso impossibili anche le comunicazioni dei fedeli dello stesso Mubarack. Un suicidio tecnologico e politico i cui effetti sono ormai evidenti. Quando Gheddafi ha tentato di fare la stessa cosa in Libia, gli hacktivist erano già pronti e Gheddafi è stato costretto da subito a suicidarsi nello stesso modo. La lezione è quindi molto chiara: non c’è modo di impedire ai rivoltosi di comunicare tra loro se il “governo” non rinuncia esso stesso a comunicare con i suoi sostenitori. Le uniche reti che possono sopravvivere ad un’azione così drastica sono quelle usate dai militari e, si è già visto, i militari non sono sempre dalla parte del tiranno di turno. In Italia, come in tutto l’Occidente industrializzato, la situazione è ancora più complicata. Noi facciamo da sempre un ampio uso di tecnologie P2P (eMule, Freenet e Diaspora per esempio) che possono sopravvivere anche a forme molto pesanti di sabotaggio della rete. Fintanto che resta in vita la rete telefonica e continuano a funzionare i router, non c’è modo di impedire queste forme di comunicazione. Non solo: noi abbiamo una consolidata tradizione di BBS (Bullettin Board System) che possono continuare a funzionare anche in assenza di Internet, appoggiandosi alla sola rete telefonica. La diffusione delle reti wi-fi rende anche possibile l’uso di reti mesh completamente indipendenti da Internet e quindi irrintracciabili e non censurabili, come Netsukuku. Tutto questo senza contare le connessioni satellitari e quelle “packet radio” che, anche se rare, pur esistono. Insomma, una eventuale azione di censura governativa troverebbe pane per i suoi denti. E, naturalmente, là fuori c’è sempre Wikileaks in paziente attesa con i suoi oltre 3000 mirror... Quando le “app” ti spiano di Angelo Greco T utti ci siamo imbattuti in applicazioni gratuite scaricabarili sul telefonino, il pc o l’iPad. Magari sono anche perfette, funzionali, estremamente utili o divertenti. Alcuni, senza chiedersi il perché di tanta benevolenza, le hanno installate, non pensando al conto che, anche indiretto, sarebbe stato prima o poi presentato. Bene, il conto si chiama “tracking on line”. Di che si tratta? Il “tracking” è come una microspia nel telefono, un occhio segreto che lavora 24 ore su 24, nascosto in queste applicazioni. Così, chi le scarica, invia involontariamente un flusso continuo di informazioni sul proprio conto al “controllore”, il quale poi le rivende a terzi per fini commerciali. Come una sorta di sondaggio incosciente. Con la differenza che, poi, per una vita, avremo accanto quelli che cercano di venderci la cassettina del pronto soccorso e i cerotti. Questo principio – che nes- suno fa nulla per nulla – è stato finalmente capito dai consumatori di materiale Apple. E di qui la class action appena intentata contro la casa di Cupertino ed alcuni sviluppatori di software per Android. Il primo allarme è apparso lo scorso 17 dicembre sul Wall Street Journal. E diciamola tutta: non ci voleva una laurea per capirlo. L’accusa sarebbe quella di un business di oltre trentacinque miliardi di dollari (una cifra da capogiro) volto a violare la privacy dei cittadini e a divulgare le loro informazioni personali (come l’id, il numero di telefono, la localizzazione del telefono, il sesso, l’età, i gradimenti) senza chiederne il consenso. Nel mirino ci sarebbero, tra gli altri, TextPlus (popolare applicazione iPhone per inviare messaggi gratis), Pandora (applicazione per l’ascolto di musica per Android e iPhone), il gioco PaperToss, il social network per iPhone dedicato alla comunità gay Grindr. The Weather Chan- nel, Dictionary.com. E chissà quanti altri ancora si nascondo negli Store virtuali. Siamo stati tutti vittime incoscienti di questo sistema a vantaggio delle società pubblicitarie e lo abbiamo avallato noi stessi, considerando i due piatti della bilancia: meglio “avere” qualcosa subito a fronte di un “dare” futuro e invisibile, avranno pensato gli utenti. Gli orsi si acchiappano col miele. E “gratis” (“free” per gli inglesi) è la parola magica. Altan una volta ha scritto: “Non sarà che tutti muoiono perché è gratis”? Apple e Google hanno minimizzato, dichiarando che si è trattato di una svista. Dichiarazioni ridicole se si tiene conto che ben 45 delle 101 applicazioni prese in esame sono risultate ree. La pubblicità, hanno inoltre chiarito i due colossi, non ha arricchito le loro casse, bensì altre aziende. Se questa pubblicità è l’anima del commercio, questo commercio andrà all’inferno. Persone, non numeri di Athos Gualazzi Se c’era bisogno di una conferma dell’importanza della cultura e del web, le rivolte nel Maghreb la sanciscono inconfutabilmente. La cultura è ovviamente alla radice della libertà, se non conosci le alternative non puoi scegliere e quindi avere disponibili le informazioni è indispensabile per operare una scelta qualsiasi, giusta o sbagliata che sia, se non hai alcuna informazioni una scelta equivale a giocare a “testa o croce”, ti può andar bene come male e in questo caso non ne sei responsabile. Avere informazioni e operare delle scelte equivale anche ad una assunzione di responsabilità, equivale ad essere liberi ed esseri umani, non numeri statistici. I giovani, nostri dirimpettai, l’hanno capito e una volta avute le informazioni hanno operato delle scelte e hanno potuto farlo grazie al web. Al di là del ruolo diretto della tecnologia, Internet e le informazioni, in questi movimenti c’è la trasformazione antropologica e sociale che li rendono possibili. Nuovi tipi di cittadini sono nati e cresciuti in grado di valutare i governanti M entre si parla di compravendita di parlamentari a prezzi scandalosi, che permetterebbero d’amblé l’acquisto di un appartamento, a Roma invece impazza la crisi abitativa. Soluzioni nell’immediato non se ne vedono e così ci si ingegna. Come in zona Tufello, ad esempio, dove sono stati occupati i vecchi uffici municipali di via Monte Meta. e i loro inganni grazie alla possibilità di condivisione e diffusione delle informazioni, alla possibilità di confronto fra loro stessi fuori dagli schemi governativi/televisivi. Grazie alla rete hanno potuto coordinarsi al di la di confini geografici e culturali, avviare la rivolta, rivolta che una volta avviata per inerzia e motivazioni profonde può anche fare a meno della Rete stessa, la consapevolezza acquisita e l’evidenza delle storture alimentano da sole la volontà comune. Hanno spento la rete ma non hanno potuto cancellare quello che la Rete aveva costruito. Gli sviluppi non sono prevedibili così come la democrazia non è una situazione statica ma in continua evoluzione, a volte negative, come la fase che stiamo attraversando nel nostro paese, ma con l’eliminazione dei confini e lo scambio permanente di idee, valori e informazioni è giocoforza tendere al miglioramento. La “democrazia in crisi” è una tautologia in quanto i cittadini sono giudici permanenti del suo stato, sarà sempre imperfetta ma migliorabile. Il nome dello spazio non poteva che essere “Puzzle”, per via del carattere orizzontale e multidisciplinare del progetto. L’obiettivo cardine dello spazio è quello di creare uno studentato totalmente autogestito, con uno sportello per migranti, laboratory multimediali e scuola popolare. Il consiglio del IV municipio, composto per lo più da quella destra che qualche anno fa si chiamava “destra sociale” ma che ora ha solo voglia di ripulirsi e ha Il puzzle di Monte Meta di Paolo Cocuroccia La proposta parte da realtà molto diverse: innanzitutto i vecchi occupanti dell’Horus-Project e il “Laboratorio dell’altra città”: una rete del territorio che ha lo scopo di realizzare nuove forme di democrazia diretta. Ma hanno aderito almeno una decina di altre realtà, come il laboratorio creativo Fusolab, che si occupa di produzioni culturali indipendenti e cittadinanza attiva, le assemblee universitarie della sapienza delle facoltà di Medicina, Ingegneria, Studi orientali e degli studenti medi del IV municipio, il gruppo di ninux.org, che sta costruendo una rete wireless libera, aperta e neutrale nel territorio metropolitano e I pirati romani, immersi in battaglie su informazione libera, copyleft, diritti e libertà digitali. scopeeto il gusto di sedere nei posti che contano, sembra intenzionata a trattare. Questa occupazione, secondo il presidente Bonelli “è in una zona interna, degradata e poco visibile, che interessa poco al municipio”. Le premesse per una crescita, che coinvolga soprattutto i cittadini del quartiere, ci sono tutte. Di questi tempi, uno slancio di orizzontalità politica e partecipazione, non può che essere il benvenuto, anche se tutti si chiedevano, proprio stamattina, per quale motivo il comune abbia abbandonato uno stabile di cinque piani, con una quarantina di stanze e una decina di bagni... Ora lo stabile ha nuova vita, un nuovo percorso: Puzzle – Welfare in Progress.