Divorzio all`italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l
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Divorzio all`italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l
Divorzio all’italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l'Italia in due di LAURA FANO Il 12 e il 13 maggio del lontano 1974, con un Referendum gli italiani furono chiamati alle urne per decidere se abrogare la legge Fortuna-Baslini che sanciva la possibilità di sciogliere un matrimonio poco gradito. Partecipò al voto l'87,7% degli aventi diritto, votarono no il 59,3%, mentre i sì furono il 40,7% . La volontà popolare prevalse e salvò la Legge sul Divorzio, entrata in vigore quattro anni prima, ma osteggiata dai movimenti di opinione cattolica che volevano abrogarla, e il Paese si spaccò come mai prima. Cancellare una lunga convivenza è obiettivamente difficile e dimettersi da un matrimonio è più complesso che cambiare partito. Oltre ai figli, ci sono le abitudini, le topografie domestiche, ci si separa anche da una fetta di amici e da una parte della propria vita. Gli affetti consunti fronteggiano le passioni nuove, le pigre assuefazioni si contrappongono alle prospettive stimolanti come ci ricorda il barone Fefè interpretato da Marcello Mastroianni, infelicemente sposato con Rosalia, che, invaghitosi della giovane Stefania Sandrelli, per coronare il suo sogno d’amore in un’Italia bigotta e retrograda, che considerava sacro ed indissolubile il matrimonio, dovrà ingegnarsi tanto da arrivare all’omicidio. 1/4 Divorzio all’italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l'Italia in due Per la verità l’idea di Fefè non è nuova alla storia. Cesare Borgia, detto il Valentino, organizzò l’assassinio di un amante scomodo e del secondo marito della sorella Lucrezia. Del primo se ne era già sbarazzato suo padre accusandolo di impotenza. Il re Enrico di Navarra, desideroso di liberarsi della spregiudicata Margherita di Valois per contrarre nuove nozze con Maria de’Medici la accusò di sterilità, mentre lo zar Pietro I, invaghitosi di una dama di corte, invitò “caldamente” la consorte ad entrare in monastero. Pochi anni dopo, alla stessa corte, sarà una donna a dare il benservito al marito: Caterina la Grande che, stanca delle follie del coniuge Pietro III, organizzò una congiura per carcerarlo e, una volta in prigione ,assassinarlo. Nessuna di queste strategie matrimoniali, però, può essere paragonata a quelle del più grande uxoricida della storia, il re inglese Enrico VIII che inanellò ben sei mogli, liberandosi di volta in volta della consorte precedente in modo assai disinvolto, dando sfoggio di grande creatività. Da noi, antica gente disincantata, dove il matrimonio è un legame sacro e indissolubile, meglio uniti e scontenti. E siccome i matrimoni all’italiana si piegano, ma non si spezzano, qualcuno persino teorizza che le unioni gracili si aiutino con la terapia dei rimorsi; di qui, spesso, l’infedeltà di cui fu in passato Maestra di dissimulazione Giulia Beccaria, figlia di Cesare e moglie del conte Pietro Manzoni, innamorata di uno dei fratelli Verri. Eppure, se andiamo a scartabellare nel passato, scopriamo che il primo Stato moderno della penisola italiana a consentire nella propria legislazione il divorzio fu addirittura il Regno di Napoli , sotto il governo di Gioacchino Murat . Il 1º gennaio 1809 entrò, difatti, in vigore il Codice Napoleone , un codice civile che, fra le altre cose, consentiva il divorzio e il matrimonio civile fra le polemiche che tali provvedimenti suscitarono nel clero più conservatore, che vedeva sottratto alle parrocchie il privilegio della gestione delle politiche familiari. Benedetto Croce riuscì a trovare, non più di tre casi di divorzio; un po' per l'impopolarità dell'istituzione, un po' perché la legge era abbastanza farraginosa e un po’ perché i giudici, minacciati di scomunica , frapponevano ogni possibile difficoltà. Siamo pur sempre il Paese del Concordato che è arrivato ad una legge sul divorzio nel 1970 e che nel 1974 ha dovuto anche affrontare con difficoltà un referendum che cercava di abolirla E così, mentre altri Paesi percorrevano la strada verso la civilizzazione, noi abbiamo proseguito nel nostro provincialismo bigotto. 2/4 Divorzio all’italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l'Italia in due Era il 24 ottobre 2003 quando i titoli delle prime pagine di tutti i giornali italiani mettevano in grande evidenza come il "divorzio rapido" fosse stato affondato dall'aula di Montecitorio.Una strana e imprevista maggioranza trasversale si era composta, senza estenuanti riunioni segrete e conciliaboli nel Transatlantico, e in Aula una serie di rapide e determinate scelte portarono al voto segreto e alla maggioranza contraria al "divorzio breve". Si spaccarono i due partiti di centro destra e centro sinistra, un partito di ispirazione cristiana si oppose chiaramente, la Lega lasciò libertà di coscienza. Risultato, una proposta di legge ampiamente sostenuta dalla Commissione Giustizia venne respinta e sepolta dalla maggioranza dell'Aula e scomparve dai programmi e dai dibattiti per anni. De resto in linea con il diffuso costume nazionale: in quasi tutti i regimi parlamentari al momento del voto si dice si o no; solo da noi possono prosperare i franchi tiratori che votano in segreto contro il governo che sostengono ufficialmente. Così siamo il paese dei franchi tiratori coniugali: anche nei matrimoni si vota contro in segreto, ma non ci si dimette mai. Di divorzio rapido in Parlamento si discute da anni. Ma a far sperare che la riforma questa volta possa andare in porto, è Commissione Giustizia della Camera ha dato il via libera al testo base riguardante il divorzio breve . I tempi di approvazione saranno decisamente più corti (basterà un anno di separazione contro gli attuali tre), e renderanno più semplice l'iter per lo scioglimento del vincolo matrimoniale. E con le ultime proposte del ministro della Giustizia Andrea Orlando, in caso di addio consensuali non sarà più necessario per i coniugi apparire davanti ad un giudice, ma sarà sufficiente un accordo coi rispettivi avvocati. Tutte norme che consentiranno una migliore gestione del contenzioso familiare, oggi ancora caratterizzato da eccessive lungaggini ed estenuanti giudizi. La legge italiana attuale, infatti, è piuttosto distante da quelle di altri Paesi europei. In Francia, se la decisione di porre fine all'unione è consensuale non è necessario alcun periodo di separazione, mentre se non è consensuale il divorzio può essere concesso dopo soli due anni. La procedura tedesca prevede un anno di separazione se vi è consenso e tre se non c'è. In Gran Bretagna sono previsti due o cinque anni di separazione, ma se si dichiara che vi è stato da parte dell'altro coniuge un "comportamento che rende insostenibile la prosecuzione del rapporto" il giudice può dichiarare immediatamente il divorzio. Che le tante leggi in Italia siano fatte per scoraggiare anche le intenzioni meno criminose, è assodato e giacché è più difficile cambiare una mentalità che un articolo del codice, non ci resta che 3/4 Divorzio all’italiana: 40 anni fa un referendum spaccava l'Italia in due augurarci che il percorso di questa legge, per troppe volte rimandata nelle scorse legislature, possa essere rapido, con buona pace anche del boia. 4/4