INTRODUZIONE - archivio Bolano
Transcript
INTRODUZIONE - archivio Bolano
INTRODUZIONE Questo lavoro di analisi e di traduzione si propone di approfondire e analizzare il linguaggio di un autore i cui romanzi sono molto conosciuti e apprezzati in Italia e non solo: Roberto Bolaño. Molto più in ombra sono invece i suoi racconti: El secreto del mal, da cui ricavo il testo su cui si incentra la tesi, è stato pubblicato dalla casa editrice Anagrama di Barcellona solo grazie ad Ignacio Echevarría1, amico ed esecutore testamentario dello stesso Bolaño, che ha scelto e raccolto una serie di racconti enigmatici (alcuni non terminati) in quella che, ad oggi, è l’ultima raccolta postuma del nostro autore. Tale raccolta è stata pubblicata nel 2007, e tutt’ora non è in programma di traduzione presso alcuna casa editrice italiana. La spinta verso questo tipo di lavoro nasce, oltre che da un forte interesse personale per lo stile e per la figura dell’autore, dalla particolarità di questi racconti, che sarebbe più opportuno chiamare “esbozos narrativos”, come lo stesso Echevarría li denomina2, in quanto parte di un archivio di scritti intimi, personali, esclusi (forse) dalla pubblicazione3. La obra entera de Roberto Bolaño permanece suspendida sobre los abismos a los que no teme asomarse. Es toda su narrativa, y no solo El secreto del mal, la que parece regida por una poética de la inconclusión. En ella, la irrupción del horror determina, se diría, la interrupción del relato; o tal vez ocurre al contrario: es la interrupción del relato la que sugiere al lector la inminencia del horror4. È un continuo flusso di coscienza quello a cui Bolaño ci sottopone, qualcosa che non era stato programmato e di conseguenza qualcosa di vero, poiché niente è più vero di una conversazione intima con se stessi, proprio ciò che l’autore ha realizzato attraverso i suoi ultimi scritti. 1 Editore e critico letterario, è stato il principale diffusore dell'opera di Bolaño dopo la sua morte. I. Echevarría, “Nota preliminar”, in R. Bolaño, El secreto del mal, Barcelona, Anagrama, 2007, pag. 8. 3 Tali scritti – più di cinquanta - sono stati ritrovati nel computer di Bolaño dopo la sua morte, avvenuta nel 2003 a Barcellona. Purtroppo non abbiamo mezzi sufficienti per poter affermare se Bolaño avesse o meno l’intenzione di rendere pubblici tali scritti. 4 I. Echevarría, “Nota preliminar”, op. cit., pag. 8. 2 1 La tesi nasce quindi dalla volontà di mettere in luce un racconto (No sé leer) che si distingue, per la sua apparente “semplicità” autobiografica, in mezzo ad altri testi dichiaratamente ermetici. Difatti, dietro questo esbozo narrativo che dopo una prima lettura potrebbe sembrare un semplice aneddoto, si nascondo altri elementi, fortemente poetici e metaforici, che possono portare ad una ricerca molto più approfondita. È proprio qui che la mia analisi trova la sua ragion d’essere, oltre naturalmente che in un forte interesse traduttologico per quanto riguarda gli americanismi e i modi di dire tipicamente cileni che verranno analizzati, laddove questo sia possibile. Certo è che El secreto del mal rappresenta la preziosa eredità di un autore che ha messo a nudo la sua anima, parlando al suo pubblico come se stesse parlando a sé stesso, senza finzione o correzioni, regalandoci una scrittura a tratti spietata, dettata dall’urgenza della malattia e dal bisogno di essere presente, ancora per un po’, ai suoi lettori e alla sua famiglia. Si è deciso di dividere la tesi in tre parti. Nella prima (cap. 1) cercherò di presentare brevemente l’autore, in modo da poter analizzare il brano scelto nel suo contesto storico e biografico; nella seconda parte (capp. 2 e 3) sarà possibile trovare sia il racconto tradotto, sia quello originale, in modo da permettere al lettore la comparazione tra i due testi; nella terza ed ultima parte (capp. 4 e 5), infine, mi soffermerò sull’aspetto meramente pratico della tesi: le fasi della traduzione e le motivazioni di determinate scelte traduttive, poggiate su basi teoriche. 2 1. BOLAÑO 1.1 Roberto Bolaño “Yo he sido feliz casi todos los días de mi vida, al menos durante un ratito, incluso en las circunstancias más adversas”5. Per molti scrittori è inevitabile che il proprio carattere, la propria formazione e, soprattutto, le proprie esperienze di vita si riversino nel loro lavoro, e nell’opera di Roberto Bolaño la sua vita privata si fa spazio tra fiction, pseudonimi e ricordi confusi. La sua narrativa è incorniciata da un perenne senso di estraneità e di incompletezza, sentimenti che provava lui stesso e che lo rendevano agli occhi di tutti, ma soprattutto ai suoi, un outsider. León Bolaño e Victoria Ávalos il 28 aprile 1953 vedono nascere il loro primogenito Roberto. Come lui stesso in più di un’occasione ribadirà, le sue origini erano molto modeste: il padre, ex pugile, guadagnava da vivere per lui e per la sua famiglia guidando camion, mentre la madre, professoressa, fu la prima a metterlo in contatto con il mondo della letteratura. Nacque a Santiago del Cile, dove fece appena in tempo a compiere i primi studi in quanto la famiglia decise di trasferirsi in Messico nel 1968, lo stesso anno in cui avvenne il massacro di Tlateloco6, che costò la vita ad un numero di persone a tutt’oggi difficile da stimare e che rimase talmente impresso nella mente dello scrittore, appena quindicenne, che nel 1999 ne narrò i fatti in Amuleto. I giorni messicani scorrevano veloci tra letture ossessive e fervori giovanili, e Bolaño nel 1975 si ritrovò fondatore di un movimento letterario indipendente, l’infrarealismo7, insieme al poeta messicano Mario Santiago Papasquiaro. 5 Roberto Bolaño in un’intervista di Mónica Maristain, http://www.clubcultura.com/clubliteratura/robertobolano/entrevista03.htm, ultima consultazione in data 21/01/2013. 6 Il massacro di Tlateloco avvenne il 2 ottobre 1968 nella Piazza delle tre culture, Città del Messico, a seguito di una manifestazione di studenti che si prolungò per diversi giorni (cf. http://www.treccani.it/enciclopedia/olimpiadi-estivecitta-del-messico-1968_(Enciclopedia-dello-Sport)/, ultima consultazione in data 21/01/2013). 7 Movimento poetico fondato in Messico da alcuni scrittori e poeti di diverse nazionalità, ma principalmente messicani. Tra i fondatori vi era, appunto, Roberto Bolaño (cf. http://www. archivio-bolano.it/bol_dete_infra.html o http://www.treccani.it/enciclopedia/infrarealismo/, ultima consultazione in data 21/01/2013). 3 La chiave di lettura di ogni singolo testo di Bolaño è proprio da ricercare in questo periodo; infatti, come disse Santiago Gamboa8 durante una conferenza, Rileggendo due, tre, quattro volte i racconti di Bolaño si può arrivare a capire che i personaggi delle sue storie sono i giovani, la giovinezza stessa e anche quando abbiamo di fronte un personaggio maturo è sempre il giovane che c’è in lui il vero protagonista, e la ribellione rappresenta la trama 9. Nel corso della stessa conferenza, Gamboa definisce come militanza poetica quello che Bolaño da sempre predicava: “non avrebbe mai tradito i suoi ideali e per questo motivo non si è mai venduto, ragion per cui a molti non era simpatico”10. Ben presto però si esaurirono anche gli impeti poetico-militari, e Bolaño lasciò l’infrarealismo nel momento stesso in cui lasciò il Messico; entrambi rimasero un caro e vivido ricordo nello scrittore, abbandonati però per ben più realistici e disillusi lidi. La Spagna fu la prima e ultima nazione in cui Bolaño visse in modo stabile. Fu lì che si sposò, lì che ebbe due figli e lì, per la prima volta, nel 199811, il suo talento e la sua opera vennero finalmente riconosciuti dalla critica12. 1.2 Rapporto con il Cile Quella tra Bolaño e il suo paese natale era indubbiamente una relazione poliedrica, qualcosa di viscerale, forte e intenso. Trascorse 25 anni qui in Spagna senza mettere piede in Cile. Ma, come dimostrano alcuni dei suoi romanzi, il Cile era il paese che portava nel cuore. La parte più profonda della sua anima... ma la relazione con l’ambiente letterario cileno, dal quale si era distanziato, era parecchio problematica. Però il Cile rimaneva estremamente importante per Bolaño, senza dubbio; infatti, quando cominciò a 8 Scrittore colombiano che ha conosciuto personalmente Roberto Bolaño, instaurando con quest’ultimo un rapporto confidenziale e di amicizia. 9 S. Gamboa, Io e Bolaño, Festivaletteratura, Mantova, 6 settembre 2013 [registrazione effettuata dalla scrivente]. 10 Ibidem. 11 Anno in cui Bolaño diviene il primo scrittore cileno ad ottenere il Premio Herralde de Novela, grazie a Los detectives salvajes. 12 Per approfondire la biografia di Roberto Bolaño, cf. J. Villoro, “Bolaño”, in AA. VV., Bolaño por si mismo, editado por A. Braithwaite, Santiago del Cile, Universidad, 2006, pag. 109-121, ed I. Echevarría, “Autorretrato”, in AA. VV., Entre paréntesis, editado por I. Echevarría, Barcelona, Anagrama, 2004, pag. 3-12. 4 diventare famoso e ne ebbe l’opportunità, vi tornò tre volte. Un giorno disse che gli sarebbe piaciuto tornare a vivere lì. Fantasticava sulla sua terra13. Sebbene Bolaño vi fosse nato, il Cile non era il suo Paese. Stando a un’intervista fattagli poco prima di morire, neanche il Messico o la Spagna erano la sua patria. Si sentiva ovunque straniero ma, parole sue, mai esiliato. In Cile, nessuno credeva che fossi cileno. Tutti mi dicevano che ero uno spagnolo. In Spagna, a nessun spagnolo è mai venuto in mente che io potessi essere veramente spagnolo. In Messico, ero tutto meno che un messicano… Pertanto sono giunto alla conclusione che appartengo a un paese che non esiste, i cui nativi sono gli stranieri. Io mi sento un po’ cileno, un po’ spagnolo e un po’ messicano. Curiosamente però non mi sono mai sentito esiliato. […] Straniero sì.. mi ci sono sentito in ogni luogo, cominciando dal Cile. Siccome ero un bambino pedante, già da allora mi sentivo così.14 Nonostante questo, ciò che provava per il “paese sottile”15 era qualcosa di estremamente connaturato. Il 1973 è un anno decisivo: fortemente interessato alla situazione politica del suo paese natale, Bolaño ritorna in Cile deciso ad appoggiare le riforme socialiste e, quindi, la Unidad Popular16. Dopo un lungo e difficile viaggio, lo scrittore arriva in Cile poco prima del colpo di stato per mano del generale Augusto Pinochet Ugarte. Il giovane Bolaño venne arrestato mentre cercava di arrivare in bus a Concepción; venne fermato e incarcerato per otto giorni, nei quali credette per tutto il tempo che sarebbe stato assassinato. Con sua grande sorpresa fu invece liberato da un suo ex compagno di studi che in quel momento faceva parte dei soldati delegati a controllarlo. La vicenda rimase talmente impressa nella memoria di Bolaño che ne fece un racconto, Detective, contenuto in Llamadas telefónicas, dove apparirà per la prima volta l’alter ego del nostro autore: Arturo Belano. Bolaño, pieno di dispiacere ed estremamente deluso, decise di abbandonare definitivamente il suo paese natale per farvi ritorno solo venticinque anni dopo, insieme alla famiglia17. 13 I. Echevarría, La memoria di uno scrittore è proprietà dei suoi lettori, traduzione di C. Pinto, http://www.archiviobolano.it/Bol_prima_int_igancio5.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 14 Roberto Bolaño in un’intervista di Carlos Rubio del 1999, traduzione di C. Pinto, http://www.archiviobolano.it/bol_int_rubio.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 15 Il Cile, così definito da diversi scrittori, tra i quali S. Wheeler nel suo Il paese sottile, viaggio in Cile, a cura di A. Lovisolo, Milano, Neri Pozza, 2004. 16 Coalizione elettorale di partiti politici di sinistra che aveva sostenuto Salvador Allende alle elezioni presidenziali cilene nel 1970. 17 Per approfondire le vicende politiche di Roberto Bolaño, cf. I. Echevarría, “Autorretrato”, op. cit., pag. 25-34. 5 1.3 Il Cile e il Sudamerica nell’universo bolañano Nell’estesa e ricca produzione di Roberto Bolaño è possibile distinguere differenti tematiche. In queste pagine si cercherà di venire a capo di uno dei temi principali e cercare quindi di accostarvi No sé leer, al fine di ricavare l’appropriata chiave di lettura del racconto. In primo luogo porrò uno sguardo sul tema della condizione latinoamericana, ed in particolare di quella cilena; successivamente analizzerò l’altra grande tematica, ovvero il ruolo che ha avuto nella poetica di Bolaño l’“esilio” dall’America del Sud. Tra gli scenari che fanno da sfondo, e in un certo senso anche da protagonisti incontrastati, nei racconti di Bolaño sono tre quelli fondamentali: Messico, Cile ed Europa. De México ha obtenido un paraíso mítico, de Chile el infierno de lo real, y desde Blanes, donde vive y escribe, hace purgar a ambos sus pecados18. Messico ed Europa sono i luoghi dell’adesso, narrati al presente, mentre il Cile –lo scenario che qui ci interessa– è l’universo del ricordo, descritto a distanza (sia fisica che temporale), che riflette fedelmente la vita dello scrittore, trascorsa per la maggior parte del tempo lontana dal paese natale. Abbiamo già detto che, nonostante questo distacco, sia innegabile la violenta irruzione del Cile e della sua storia politica nella vita e nella poetica dell’autore. Il “paese sottile” e il golpe di Pinochet vengono descritti, riadattati e rivissuti come un incubo. I personaggi, tuttavia, nutrono sentimenti ambivalenti nei confronti della propria patria: prima vogliono allontanarsene e ci riescono, ma, una volta lontani, sognano di tornare e continuano a sentirsi parte della realtà cilena… situazione che ci fa pensare al destino di Bolaño stesso. I personaggi di Bolaño sono, dunque, soggetti divisi tra l'appartenenza alla loro terra ed il desiderio di separarsi da essa. Tale tematica è riconducibile soprattutto ai cosiddetti “libri cileni”, Estrella distante e Nocturno de Chile, dove il nostro scrittore riflette –e fa riflettere– su cosa significasse essere cileno durante e dopo gli anni ’70. Mis hermanos verdugos e […] mis hermanos deconocidos. / Todos finalmente humanos y curiosos, todos huérfanos y / jugadores ciegos en el borde del abismo. 19 18 C. Bullosa, “Entrevista a Roberto Bolaño”, in AA. VV., Roberto Bolaño: la escritura como tauromaquia (compilación, prólogo y edición de C. Manzoni), Buenos Aires, Corregidor, 2006, pag. 105. 19 Vv. 12-15 della poesia “Mi vida en los tubos de supervivencia” (cf. R. Bolaño, Los perros románticos, Barcelona, Acantilado, 2006, pag. 45). 6 I personaggi cileni di Bolaño soffrono di una forte crisi d’identità, come egli stesso d’altronde; sono sempre emigranti e si ritrovano spesso a considerare l’idea di lasciare il luogo di nascita, ormai terra ostile. L’autore ritrae una generazione di cileni –la sua– orfana di ideali e di leader, ormai disillusa. Viene dipinto il disincanto, il momento nel quale questa generazione intera comprende che le promesse politiche e sociali che le erano state fatte erano soltanto vane speranze. Ma era il Cile un caso isolato? Gamboa non ne è convinto: Non soltanto nei libri cileni, ma anche negli altri possiamo trovare questo elemento, che è la militanza poetica, molto conosciuta dai giovani sudamericani che sapevano anche quanto fosse pericolosa, e in Amuleto Bolaño torna a parlare dopo tanti anni dei fatti accaduti in Messico nel 1968, i cui protagonisti, ragazzi con forti ideali, non smettono di resistere e combattere, nonostante ogni speranza sia vana20. Ad ogni modo, è proprio analizzando tale rapporto ambivalente che avvertiamo l’importanza del Cile nello specifico e quindi nel racconto analizzato in questa sede. Il ritorno in “patria” spinge l’autore a ricordare nuovamente ciò che accadde venticinque anni prima, quando tornò in Cile deciso a dare il suo contributo, anche se minimo, all’instaurazione di un governo e di un credo –quello di Allende– che Bolaño riteneva giusto. Le cose però non andarono esattamente come il nostro autore le aveva immaginate; il golpe fu un evento inatteso, come d’altronde la cattura; la possibilità di venire ucciso, a vent’anni, è determinante e influente sia per la sua scrittura che per la sua vita. Vorrei riportare due momenti estrapolati da No sé leer, dove il rimando al Cile è indubbiamente negativo. Il primo si riallaccia perfettamente a ciò che è stato detto poc’anzi; una riflessione dolorosa sul “paisaje, que había sido mi paisaje” e che ora non lo è più: Esa noche, sin embargo, cuando me quedé dormido, soñé con mi hijo rodeado por ese paisaje que había sido mi paisaje, el paisaje atroz de mis veinte años, y algo de su actitud se me hizo comprensible. Si a mí me hubieran matado en Chile, a finales de 1973 o a principios de 1974, él no habría nacido, me dije, y orinar desde el borde de la piscina, como si estuviera dormido o como si de pronto se hubiera puesto a soñar, era como reconocer gestualmente el hecho y su sombra: haber nacido y la posibilidad de no haber nacido, estar en el mundo y la posibilidad de no estar21. 20 21 S. Gamboa, Io e Bolaño, reg. cit. R. Bolaño, El secreto…, op. cit., pag. 116. 7 Il secondo riguarda ancora il Cile, elemento ambivalente che rappresenta la terra dei “conflitti”. Bolaño non era ben visto da nessuno scrittore cileno, né di sinistra né di destra, e non si trattava quindi di una questione meramente politica. Occorre premettere che Bolaño è sempre stato uno scrittore sicuro di sé; Gamboa ci svela che il nostro autore era attentissimo ad ogni movimento e ad ogni scelta che i suoi colleghi compivano. Aveva scelto una vita letteraria di purezza e coerenza, rinunciando al “mondo degli adulti” –almeno letteralmente parlando– per non piegarsi a nessun compromesso, e inoltre amava lo scontro: quando glielo permettevano attaccava anche gli amici22. Questo suo atteggiamento è rimasto tale fino alla fine, e fino alla fine puntò il dito contro chi scendeva a compromessi, a costo di essere odiato: Cominciavano a venire fuori vecchie ruggini. Durante il suo secondo viaggio in Cile, durante la Fiera del Libro del 1999, Bolaño fu dichiarato persona non gradita e anche qualcosa di più. Persino la stampa lo ignorò.23 Il ritorno in patria in occasione della Fiera del Libro (Bolaño aveva da poco vinto il premio Rómulo Gallegos24) è tutt’altro che piacevole, in quanto viene attaccato in “patota” da tutti gli altri scrittori cileni, accusandolo senza mezzi termini di essere un ruffiano: […] decidieron atacarme en patota, como se dice en Chile, es decir en grupo. […] Lo increíble de esto es que me lo decían chilenos, tanto de izquierda como de derecha, que no paraban de lamer culos para mantener su exigua parcelita de renombre, mientras que todo lo que yo había conseguido (que no es mucho) lo había logrado sin ayuda de nadie.25 22 S. Gamboa, Io e Bolaño, reg. cit. I. Echevarría, “Bolaño e Parra, amici in corridoio senza apparenti vie d’uscita”, traduzione di C. Pinto, http:// www.archivio-bolano.it/ Bol_int_ignacio4.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 24 Il Premio Internacional de Novela Rómulo Gallegos, creato in Venezuela nel 1964, è considerato uno dei premi di narrativa in lingua spagnola più prestigiosi al mondo. 25 R. Bolaño, El secreto…, op. cit., pag. 121-122. 23 8 1.4 Stile Per cercare di rendere ancora più chiari alcuni passaggi critici dell’analisi del racconto che andremo ad analizzare, potrebbe essere utile citare Ilide Carmignani, traduttrice di Bolaño, che racchiude in poche righe “l’essenza” del nostro scrittore: Usa una lingua paratattica dotata di grandissimo ritmo, dove abbondano le proposizioni temporali mentre causali e finali scarseggiano. Bolaño racconta, non spiega. Credo che il suo stile sia stato profondamente influenzato dalla visione che aveva del mondo. Per lui tutto è dominato dal caso. Scriveva che noi uomini più siamo infelici, più abbiamo bisogno di credere in un destino, mentre la vita è caso. Un romanziere del genere, sul piano dei contenuti, non ci offrirà mai un libro «lineare», con un inizio, uno sviluppo della trama e un finale. Se tutto è caso, un romanzo è destinato all'incompiutezza. Sul piano stilistico, un romanziere del genere non scriverà mai per spiegare26. È per questo che i personaggi passano da una storia all'altra costruendo un tessuto che non è altro che il corpus dell’universo bolañano. Esso non è costituito da testi separati, bensì da testi che formano l’insieme di "un'opera in movimento", i cui fili sono i personaggi stessi e le tematiche diventano una trama intricata e difficilmente risolvibile. In questo senso, l’intertestualità è l’aspetto che più caratterizza la visione della letteratura di Bolaño, che configura non solo i suoi scritti come porzioni di un'opera totale, ma anche i singoli episodi che compongono un semplice racconto. Il testo, pertanto, richiede un grande lavoro interpretativo da parte del lettore, che deve decifrare e collegare le distinte allusioni e i messaggi frammentati che Bolaño propone in ogni pagina. 1.5 Le due storie Echevarría, nella nota preliminare di El secreto del mal, ci dà una delucidazione su ciò che stiamo per leggere: En cuanto al texto titulado “No sé leer”, con toda seguridad inacabado, su contenido es estrictamente autobiográfico, y no cabe duda de que su narrador es el propio Roberto Bolaño, pese a lo cual él 26 I. Carmignani, L’opera di Bolaño? Uno spartiacque, http://www.archiviobolano.it/bol_prima_ilide_intervista.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 9 mismo comienza por referirse a él, en la primera línea de texto, como un “cuento”, en claro indicio de la concepción cada vez más abierta que el autor tenía de este género27. Un genere quindi sempre più complesso e difficile da classificare. È forse azzardato chiamare “racconti” i testi contenuti in El secreto del mal –perlomeno per quanto riguarda quelli inconclusi–, che sembrano invece frammenti di testo. La scrittura di Bolaño è sempre stata caratterizzata da una certa mancanza di ordine, che possiamo benissimo notare da una parte nell’assenza (spesso) di un filo logico nella narrazione, e dall’altra da come viene gestito il dialogo: non esiste il discorso diretto, c’è un flusso continuo di dialoghi con terzi che spesso (e forse intenzionalmente) si mescola fino a diventare un tutt’uno col dialogo interiore; questa “tecnica”, se così possiamo definirla, rende la lettura quasi asfissiante, in quanto “costringe” il lettore ad adattarsi ad un susseguirsi senza sosta di proposizioni brevi, spezzate, che soffocano il normale svolgimento degli eventi, rendendo anche un mero fatto di cronaca giornaliera qualcosa di oscuro che nasconde necessariamente dell’altro al suo interno, qualcosa che va oltre il reale e il quotidiano, qualcosa, insomma, di metafisico. Possiamo notare come in Il gaucho insostenibile (altra raccolta di racconti di Bolaño, anch’essa postuma) la tipologia di scrittura sia la stessa. Prendiamo un esempio dall’omonimo racconto: Tutto sta cambiando, gli spiegò la cuoca. La città [Buenos Aires] era piena di gente che chiedeva l’elemosina e la gente per bene organizzava mense comuni di quartiere per avere qualcosa da mettere sotto i denti. C’erano almeno dieci tipi di moneta, senza contare quella ufficiale. Nessuno si annoiava. Si disperavano, ma non si annoiavano. Mentre parlava, Pereda guardava i conigli che spuntavano al di là del binario. I conigli guardavano lui e poi facevano un salto e sparivano nella campagna. A volte queste terre sembrano piene di pidocchi o di pulci, pensò l’avvocato28. I racconti di Bolaño, quindi, non adattandosi a modelli prestabiliti, riescono a tenere il lettore sul filo dell’inquietudine. È quasi difficile riuscire a spiegare in modo esauriente l’efficacia di tale stile di narrazione, che sembra burlarsi delle leggi del genere letterario e che dà l’impressione di non essere altro che il prodotto di una continua improvvisazione alla deriva. 27 28 I. Echevarría, “Nota preliminar”, op. cit., pag. 8. R. Bolaño, Il gaucho insostenibile, a cura di Maria Nicola, Palermo, Sellerio, 2003, pag 35-36. 10 Ricardo Piglia sostiene che “un cuento siempre cuenta dos historias”29, ma ci sono due tipi di racconto, quello classico che narra en primer plano la historia 1 y construye en secreto la historia 2. El arte del cuentista consiste en saber cifrar la historia 2 en los intersticios de la historia 1 […] El efecto de sorpresa se produce cuando el final de la historia secreta aparece en la superficie30. L’altra versione del racconto, quella moderna, abandona el final sorpresivo y la estructura cerrada; trabaja la tensión entre las dos historias sin resolverla nunca. La historia secreta se cuenta de un modo cada vez más elusivo. El cuento clásico a lo Poe contaba una historia anunciando que había otra; el cuento moderno cuenta dos historias como si fueran una sola31. Guillermo Martínez parla, anziché di due storie, di due sistemi logici, la “lógica inicial”, ovvero quella che rappresenta la normalità e il senso comune, e la “lógica de la ficción”, che rappresenta quello che accadrà, in quanto c’è sempre un patto tacito tra l’autore e il lettore sul fatto che “algo va a pasar”32. Le due logiche inizialmente coincidono però poi, durante lo svolgimento, si produce uno sdoppiamento: […] al principio del cuento la lógica de la ficción coincide -o quizá deba decir se disimula- bajo la lógica usual del sentido común […] y todo el acto de prestidigitación, el juego de manos del cuentista, consiste en la transmutación y en la sustitución de la lógica inicial de la normalidad por esta segunda lógica ficcional que se va adueñando poco a poco de la escena y a partir de la cual debe deducirse el final -si las cosas han salido bien- como una fatalidad y no como una sorpresa33. Questa chiave di lettura mi permette di mettere a fuoco l’originalità di El secreto del mal e quindi dei suoi racconti, in modo tale da poter spiegare la loro efficacia. Anche Bolaño, facendo parte degli scrittori di racconti moderni, secondo la definizione di Piglia, tiene il lettore in sospeso senza mai risolvere i suoi dubbi; ad esempio, in No sé leer, nell’episodio della “meada” di Lautaro le due storie si sovrappongono, la logica iniziale (un bambino che 29 R. Piglia, “Tesis sobre el cuento”, in AA. VV., Formas breves, editado por R. Piglia, Barcellona, Anagrama, 2005, pag. 34. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32 G. Martínez, El cuento como sistema lógico, http://guillermo-martinez.net/notas/El_cuento_ como_ sistema_ lógico, ultima consultazione in data 21/01/2013. 33 Ibidem. 11 compie un gesto spiegabile soltanto dalla sua età e che sarebbe potuto benissimo passare in secondo piano) e la logica della finzione (Bolaño pone il gesto sul piano del subconscio, collegando all’accaduto un senso innato di sopravvivenza nelle terre dove il padre, anni addietro, sarebbe potuto morire) non trovano una soluzione, ma restano un interrogativo per il lettore che cerca di individuare la storia segreta che non verrà mai a galla, poiché già parte integrante della “logica iniziale”. Bolaño gioca con queste due logiche inserendo nella narrazione elementi che risultano anomali per il senso comune ma che non verranno comunque recuperati da un altro ordine logico; di quanto appena detto potrebbe essere un buon esempio il personaggio Andrea, che in No sé leer è descritto come una figura femminile sfuggente, di cui Bolaño parla come se fosse una delle parti essenziali della narrazione mentre in realtà l’unica cosa che riesce a ricordare della donna è il suo sorriso enigmatico, simile a quello dello Stregatto. Ora che brevemente abbiamo introdotto l’autore e cercato quindi di spiegare al lettore il suo stile, possiamo passare alla traduzione vera e propria del racconto No sé leer, accompagnata dal testo originale per permettere al lettore un agevole confronto. 12 2 NON SO LEGGERE Questo racconto parla di quattro persone. Due bambini, Lautaro e Pascual, una donna, Andrea, e un altro bambino, di nome Carlos. Parla anche del Cile e in qualche modo dell'America Latina. Mio figlio Lautaro, quando aveva otto anni, divenne amico di Pasquale, che all'epoca ne aveva quattro. Non è normale un'amicizia tra bambini con questa differenza di età e forse il tutto è attribuibile al fatto che quando si conobbero, nel novembre del 1998, erano diversi giorni che Lautaro trascorreva senza vedere un bambino, senza giocare con un bambino, seguendo malvolentieri me e Carolina verso i luoghi più straordinari. Era il primo viaggio in Cile per Carolina ed era il mio primo viaggio in Cile da quando me ne andai nel gennaio del 1974. Cosicché quando Lautaro conobbe Pascual, divennero subito amici. Mi sembra di ricordare che accadde durante una cena a casa dei genitori di Pasquale. Probabilmente si rincontrarono in un'altra occasione. Due volte, tre al massimo. Alexandra, la madre di Pasquale, invitò Carolina ad uscire, andarono in una piscina, e quella fu la seconda volta. Io non andai. La piscina si trovava in una piccola valle lungo il fianco della cordigliera e stando a quello che mi ha raccontato Carolina quella notte l'acqua era fredda come il gelo e né lei né Alexandra fecero il bagno (se metieron). Però Pascual e Lautaro sì, e si divertirono molto. Accadde una cosa curiosa (come tante cose curiose che accadranno in questo racconto e che lo sosterranno e che, forse, saranno il suo fine ultimo): quando arrivarono alla piscina Lautaro chiese a Carolina se poteva urinare. Lei, ovviamente, gli disse di sì e quindi Lautaro si avvicinò al bordo della piscina, si abbassò un po' il costume da bagno e vi pisciò dentro. Carolina, quella notte, mi disse che si era un po’ vergognata, non tanto per Lautaro quanto per Alexandra, per quello che avrebbe potuto pensare Alexandra. La cosa certa è che Lautario non aveva mai fatto una cosa simile. La piscina non era proprio piena però c'era gente, e mio figlio non è esattamente un bambino inselvatichito che urina lì dove gli viene voglia. Fu molto 13 strano, mi disse Carolina quella notte, l'enorme cordigliera che emergeva come qualcosa che aspetta vicino al balneare, le risate dei bambini e le voci in sordina degli adulti, estranei all'inattesa minzione di Lautaro, e Lautaro stesso, vestito solo con un costume da bagno, urinando sulla superficie azzurra dell'acqua. Cosa accadde dopo?, le chiesi. Beh, lei si alzò dal posto dove stava prendendo il sole, andò da nostro figlio e insieme si diressero verso i bagni. Lautaro sembrava come ipnotizzato, disse Carolina. Poi si vergognò e non voleva entrare nella piscina, dove Pascual stava già sguazzando, ma dopo un momento si dimenticò di tutto e si buttò in acqua. Carolina, invece, non fece il bagno. Alexandra le chiese se non lo facesse per lo schifo e Carolina le disse che non lo faceva per il freddo, ed era la verità. Conoscemmo Alexandra all'aeroporto, pochi minuti dopo essere arrivati in Cile dopo un'assenza di quasi un quarto di secolo. Andai in quanto invitato dalla rivista Paula, come membro della giuria del suo concorso di racconti, e Alexandra, che al tempo era la presidente, mi stava aspettando insieme ad altre persone che non conoscevo all'uscita del controllo passaporti. Quando mi disse il suo nome, Alexandra Edwards, le chiesi se era la figlia di Jorge Edwards, lo scrittore, e lei mi guardò, corrugò un po' la fronte, come se pensasse a quale risposta darmi, e poi mi disse di no. Sono figlia del fotografo, chiarì dopo un momento un momento. Da allora ero diventato un suo ammiratore. La verità è che è facile ammirarla, perché è molto bella. Però non fu la sua bellezza fisica ciò che mi impressionò ma un'atra cosa, qualcosa che ho conosciuto col tempo e che probabilmente non finirò mai del tutto di conoscere e che comunque mi farà rimanere per sempre suo amico. Ricordo che quella sera stessa (eravamo arrivati in Cile di mattina) mangiai qualcosa con il resto dei giurati e dovetti parlare e Alexandra stava lì, all'altro lato del tavolo, ridendo con gli occhi, una cosa che le cilene fanno spesso, o così mi sembrò quella volta, un'impressione sbagliata, provocata dal ritrovo con il paese dopo essere stato tanti anni lontano, le donne di tutto il mondo ridono sempre con gli occhi, e a volte anche gli uomini ridono con gli occhi, e questo a volte capita, altre invece crediamo che capiti, questa risata silenziosa, questa risata che ora mi ricorda Andrea, che è uno dei personaggi principali di questo racconto, Andrea e Lautaro e Pascual e Carlitos, ma io allora non conoscevo ancora Andrea e nemmeno conoscevo Pascual e non avevo mai sentito parlare di Carlitos, sebbeme quel giorno si stesse avvicinando col passo della felicità, come avrei detto, per esempio, io stesso nel gennaio del 1974. 14 La cosa certa è che Lautaro e Pasquale, a dispetto della differenza d'età, divennero molto amici, e forse fu in quella piscina incastonata nella falda della cordigliera dove l'amicizia si strinse, dove i due iniziarono ad essere amici per davvero, dopo la famosa pisciata di Lautaro. Quando Carolina me lo raccontò io non potevo credere che ciò fosse davvero successo, Lautaro che urinava, però non all'interno, dentro l'acqua, come fanno quasi tutti i bambini, bensì dal bordo della piscina, sotto lo sguardo di tutti. Quella notte, tuttavia, quando mi addormentai, sognai mio figlio circondato da questo paesaggio che era stato il mio paesaggio, il paesaggio atroce dei miei venti anni, e qualcosa del suo comportamento mi divenne comprensibile. Se mi avessero ammazzato in Cile, alla fine del 1973 o agli inizi del 1974, lui non sarebbe nato, mi dissi, e urinare dal bordo della piscina, come se stesse dormendo o come se improvvisamente si fosse messo a sognare, era come riconoscere gestualmente tutto e il contrario di tutto: essere nato e la possibilità di non essere nato, essere al mondo e la possibilità di non esserci. Capii nel sonno che anche Lautaro, urinando nella piscina, stava sognando, e capii che io non avrei mai potuto avvicinarmi al suo sogno, ma che sarei rimasto per sempre al suo fianco. E quando mi svegliai mi ricordai che, da bambino, una notte mi ero alzato e avevo urinato a lungo all'interno dell’armadio a muro di mia sorella. Però io ero un bambino sonnambulo e Lautaro, fortunatamente, non lo è. Durante questo viaggio, che occupò quasi tutto il mese di novembre del 1998, non vidi Andrea. Cioè la vidi però in realtà non la vidi. Conobbi Alexandra e il compagno di Alexandra, Marcial, e divenni loro amico e tutto ciò che dirò su di loro sarà assoggettato all'amicizia che nutro per loro, cosicché la cosa migliore è non dire troppe cose. Però Andrea non la vidi. Se mi sforzo riesco a ricordare solo un sorriso, come il sorriso dello Stregatto, nel corridoio dell'appartamento di Alexandra e Marcial, una voce che nasce dall'ombra, degli occhi profondissimi e scuri che ridevano proprio come aveva riso Alexandra durante il mio primo discorso, appena arrivato in Cile, con una differenza sostanziale: Andrea, al contrario di Alexandra, era una donna invisibile. Voglio dire, era invisibile per me, che la vidi in qualche occasione ma in realtà non la vidi, che l'ascoltai ma che non fui in grado di distinguere da dove provenisse quella voce. 15 Quella fu l'epoca, tra le altre cose, nella quale Lautario sviluppò un sistema per avvicinarsi alle porte automatiche senza che queste si aprissero. In qualche modo, non so se prima o dopo (credo poco prima) del nostro primo viaggio in Cile, mio figlio iniziò a giocare, per di più con buon successo, ad essere anche lui un bambino invisibile. La prima volta che lo vidi fare una dimostrazione di questo tipo fu a Blanes, in una panetteria di Blanes, prima di andare in Cile per la prima volta. Non ricordo quale scrittore disse che se Dio si trovava in ogni luogo, le porte automatiche avrebbero dovuto restare sempre aperte. Siccome non rimanevano sempre aperte, Dio non esisteva. L'esercizio di mio figlio, oltre ad essere sorprendente di per sé, cancellava in un sol colpo questa teoria. Lautaro non si avvicinava dai lati. A volte gli occhi automatici sono posti in modo tale che un avvicinamento di lato li inganna e le porte rimangono chiuse. Questo è il modo facile o col trucco (anche se non so che tipo di trucco ci possa essere nel farlo in questo modo), e mio figlio sceglieva la strada difficile, cioè si avvicinava da davanti, senza concedersi nessun vantaggio, nell'avvicinamento frontale nel quale è impossibile che l’occhio automatico non ti localizzi e che di conseguenza non ti permetta l’entrata o l’uscita. L'originalità del suo abbordaggio consisteva nei movimenti che eseguiva nell'avvicinamento alle porte automatiche. Iniziava lentamente, come misurando la distanza, la portata dell'occhio, battendo i piedi di tanto in tanto, come se l'occhio potesse captare le vibrazioni del suolo, e muovendo le braccia come lente pale di mulino. Allora la porta si apriva e mio figlio già conosceva la distanza. Subito dopo indietreggiava, la porta tornava a chiudersi e iniziava l'avvicinamento vero e proprio. Questo consisteva in gesti rallentati al massimo. I piedi, ad esempio, non si staccavano da terra, li trascinava in modo impercettibile, le braccia separate dal corpo si muovevano pochissimo, come insetti o navi ausiliari, creando come duplicati del tronco, come se verso l'occhio automatico non avanzasse un corpo ma un ombra e due ombre fantasma che a loro volta erano due ombre guida, e perfino il volto di Lautaro cambiava, sembrava sfumare e allo stesso tempo concentrarsi nell'invisibilità, nello statico e nel movimento, nella non solidità e nel paradosso. Una volta, in un centro commerciale di Barcellona, cercai di imitarlo ma fu inutile, l'occhio mi scovava sempre, le porte si aprivano sempre. Lautaro, invece, era capace di arrivare a toccare con la punta del naso il vetro, blindato o no, delle porte, senza che l'occhio catturasse la sua presenza, e la risposta non era, come credetti all'inizio, nella sua statura, dato 16 che mio figlio a otto anni era piuttosto alto, né nella sua magrezza, poiché mio figlio è piuttosto massiccio, ma nella sua disposizione, nella sua volontà e nella sua tecnica. Un'altra cosa che ricordo vivamente del nostro primo viaggio in Cile e che entra d'improvviso in questo racconto è un uccello. Quest'uccello non era invisibile, però la sera nella quale apparve sono sicuro che solo io lo vidi. Vivevamo in un residence di Providencia, all'ottavo o al nono piano, e una sera che non avevo niente da fare vidi un uccello posato sopra uno dei balconi di uno degli edifici accanto. Per un momento l'uccello rimase immobile, contemplando la città come stavo facendo io dal balcone del mio residence, solo che l'uccello guardava la città e io guardavo lui. Sono miope e non vedo bene, però ad un certo punto arrivai alla conclusione che quell'uccello strano e solitario era un rapace, un falco o qualcosa di simile (probabilmente qualcosa di simile, la mia ignoranza in questa materia è assoluta, so solo riconoscere i pappagalli). Quasi immediatamente il falco si lasciò cadere nel vuoto e allora non ebbi dubbi. Però la cosa più sorprendete venne dopo: l'uccello cominciò ad avvicinarsi al mio balcone. Ebbi paura ma non mi mossi. Il falco o quello che era si fermò nel soffitto a cassettoni di un altro edificio, quello proprio accanto a dove mi trovavo, e per un momento entrambi ci considerammo. Finché non ne potei più e tornai dentro. E questo accadde lo stesso giorno che Lautaro insegnò a Pascual l’abilità dell'avvicinarsi alle porte automatiche senza che queste si aprissero e lo stesso giorno in cui Pascual regalò a Lautaro un aereo. A Lautaro piacque molto l'aereo e forse per questo, dato che l'aereo era uno dei giocattoli preferiti di Pascual e questi glielo aveva dato, gli insegnò ad avvicinarsi alle porte come l'uomo invisibile o come un indio, secondo la versione casalinga di Pascual. Li vidi da una terrazza dove stavamo io, Alexandra, Carolina e Marcial. Loro non li videro. Non ricordo di cosa parlassimo, mi ricordo solo che Pascual e Lautaro si avvicinarono a un negozio di vestiti, all'inizio senza risultati, dato che la porta si apriva sempre, e addirittura una signora bionda tinta, vestita con pantaloni grigi e una giacca nera, uscì e disse loro qualcosa, qualcosa che non potei sentire, in parte perché sentivo ciò che mia moglie e i miei amici dicevano e in parte perché eravamo molto lontani, nell'altra estremità di quella piazza coperta, e ricordo Lautaro e Pascual che all'inizio scapparono, però dopo li ricordo in piedi con i visi alti, ascoltando ciò che quella donna bionda tinta e magra diceva loro, probabilmente 17 un rimprovero, però dopo, quando la donna scomparve all'interno del negozio, Lautaro ritornò alle manovre di avvicinamento mentre Pascual contemplava ogni cosa da un punto prestabilito e, in una di queste, dato che io a volte li guardavo e altre no, mio figlio riuscì a mettere il naso sul vetro della porta senza che quella si aprisse e io seppi, solo allora, anche se dopo due giorni saremmo tornati in Spagna, che ero arrivato in Cile e che tutto sarebbe andato bene. Un pensiero apocalittico. L'anno seguente, nel 1999, andai in Cile invitato dalla Fiera del Libro. Quasi tutti gli scrittori cileni, credo per festeggiare il mio recente Premio Rómulo Gallegos, decisero di attaccarmi en patota, come si dice Cile, ovvero in gruppo. Io contrattaccai. Una signora già anziana, che aveva vissuto tutta la sua vita dell'elemosina che lo Stato sgancia agli artisti, mi trattò da cortigiano. Non sono mai stato l'addetto culturale di nessun paese, e per questo mi sorprese tale accusa. Si diceva anche che io ero un patero, che non è lo stesso che patota. Un patero non appartiene necessariamente a una patota, come qualcuno inavvertitamente potrebbe pensare, anche se in ogni patota ci sono sempre pateros. Un patero, in realtà, è un adulatore, un lusingatore, un leccapiedi, detto in buon spagnolo, un leccaculo. La cosa incredibile di tutto ciò è che me lo dicevano dei cileni, sia di sinistra che di destra, che non smettevano di leccare culi per mantenere la loro magra paghetta di fama, mentre tutto quello che io avevo raggiunto (che non è molto) lo avevo ottenuto senza l'aiuto di nessuno. Cos'era che non gli piaceva di me? Ebbene: qualcuno disse che ciò che non gli piaceva era la mia dentatura. Lì devo dargli completamente ragione. 18 3 NO SÉ LEER Este cuento trata sobre cuatro personas. Dos niños, Lautaro y Pascual, una donna, Andrea, y otro niño, de nombre Carlos. También trata de Chile y de alguna manera de Latinoamérica. Mi hijo Lautaro, cuando tenía ocho años, se hizo amigo de Pascual, que entonces tenía cuatro. No es normal una amistad entre niños con esa diferencia de edad y tal vez todo sea achacable a que cuando se conocieron, en noviembre 1998, Lautaro llevaba muchos días sin ver a ningún niño, sin jugar con ningún niño, siguiéndonos a regañadientes a Carolina y a mí hacia los lugares más pregrinos. Era el primer viaje a Chile de Carolina y era mi primer viaje a Chile desde que me fui de allí en enero de 1974. Así que cuando Lautaro conoció Pascual se hicieron amigos de inmediato. Creo recordar que fue en una cena en casa de los padres de Pascual. Posiblemente volvieron a verse en otra ocasión. Dos veces, tres a lo sumo. Alexandra, la madre de Pascual, invitó a Carolina a salir, fueron en una piscina, y ésa fue la segunda vez. Yo no fui. La piscina estaba en los faldeos cordilleranos y según me contó Carolina aquella noche el agua era fría como el hielo y ni ella ni Alexandra se metieron. Pero Pascual y Lautaro sí, y se lo pasaron muy bien. Ocurrió una cosa curiosa (como tantas cosas curiosas que ocurrirán en este relato y que lo sustentarán y que, tal vez, sean su fin último): cuando llegaron a la piscina Lautaro le preguntó a Carolina si podía orinar. Ésta, por supuesto, le dijo que sí y entonces Lautaro se acercó al borde de la piscina, se bajó un poco el traje de baño y meó a su interior. Carolina, aquella noche, me dijo que le había dado un poco de vergüenza, no por Lautaro, sino por Alexandra, por lo que pudiera pensar Alexandra. Lo cierto es que Lautaro nunca había hecho algo semejante. La piscina no estaba muy llena, pero había gente, y mi hijo no es precisamente un niño asilvestrado que orina allí donde le entran ganas. Fue muy raro, me dijo Carolina aquella noche, la cordillera enorme emergiendo como algo que espera junto al balneario, las risas de los niños y las voces en sordina de los mayores, ajenas a la sorpresiva micción de Lautaro, y Lautaro mismo, vestido sólo con un traje de baño, orinando sobre la superficie azul 19 del agua. ¿Qué pasó después?, le pregunté. Bueno, ella se levantó desde el sito donde tomaba el sol, fue a donde estaba nuestro hijo y juntos se dirigieron a los lavabos. Lautaro parecía como hipnotizado, dijo Carolina. Después sintió vergüenza y no quería meterse en la piscina, en donde ya estaba chapeleando Pascual, pero al cabo de un rato se olvidió de todo y se metió en el agua. Carolina, en cambio, no se bañó. Alexandra le preguntó si no lo hacía porque le daba asco y Carolina le dijo que no lo hacía porque le daba frío, y era verdad. Conocimos a Alexandra en el aeropuerto, pocos minutos después de llegar a Chile tras una ausencia de casi un cuarto de siglo. Llegué invitado por la revista Paula, como miembro del jurado de su concurso de cuentos, y Alexandra, que entonces era la directora, me estaba esperando junto con otras personas a las que no conocía en la salida del control de pasaportes. Cuando me dijo su nombre, Alexandra Edwards. Yo le pregunté si era la hija de Jorge Edwards, el escritor, y ella me miró, arrugó un poco el entrecejo, como si pensara qué respuesta darme, y luego me dijo no. Soy hija del fotógrafo, aclaró pasado un rato. Para entonces yo ya era un admirator de ella. La verdad es que es fácil admirarla, porque es muy guapa. Pero no fue su belleza física lo que me impresionó sino otra cosa, algo que he ido conociendo con el tiempo y que probablemente nunca acabe de conocer del todo y que sin embargo me mantendrá siempre como amigo suyo. Recuerdo que esa misma tarde (habíamos llegado a Chile por la mañana) tuve una comida con el resto del jurado y tuve que hablar y Alexandra estaba allí, al otro lado de la mesa, riéndose con los ojos, algo que suelen hacer las chilenas, o eso me pareció a mí entonces, una impresión errónea provocada por el reencuentro con el país después de tantos años lejos, las mujeres de todo el mundo siempre se ríen con los ojos, y en ocasiones también los hombres se ríen con los ojos, y eso a veces pasa y otras sólo creemos que pasa, esa risa silenciosa, esa risa que ahora me evoca a Andrea, que es uno de los personajes principales de este relato, Andrea, y Lautaro y Pascual y Carlitos, pero yo entonces todavía no conocía a Andrea y tampoco conocía a Pascual y nunca había oído hablar de Carlitos, aunque el día se acercaba con la prestancia de la dicha, tal como hubiera dicho, por ejemplo, yo mismo en enero de 1974. Lo cierto es que Lautaro y Pascual, pese a la diferencia de edad, se hicieron muy amigos, y tal vez fue en aquella piscina enclavada en la falda de la cordillera donde la amistad se estrechó, donde ambos empezaron a ser amigos de verdad, después de la famosa meada de Lautaro. Cuando Carolina me lo contó yo no podía creer que aquello hubiera pasado, Lautaro 20 orinando, pero no en el interior, dentro del agua, como hacen casi todos los niños, sino desde el borde de la piscina, expuesto a la mirada de cualquiera. Esa noche, sin embargo, cuando me quedé dormido, soñé con mi hijo rodeado por ese paisaje que había sido mi paisaje, el paisaje atroz de mis veinte años, y algo de su actitud se me hizo comprensible. Si a mí me hubieran matado en Chile, a finales de 1973 o a principios de 1974, él no habría nacido, me dije, y orinar desde el borde de la piscina, como si estuviera dormido o como si de pronto se hubiera puesto a soñar, era como reconocer gestualmente el hecho y su sombra: haber nacido y la posibilidad de no haber nacido, estar en el mundo y la posibilidad de no estar. Comprendí en el sueño que Lautaro, al mearse en la piscina, también estaba soñando, y comprendí que yo jamás podría acercarme a su sueño pero que siempre iba a estar a su lado. Y cuando desperté recordé que yo de niño una noche me había levantado y había orinado largamente en el interior del closet de mi hermana. Pero yo fui un niño sonámbulo y Lautaro, afortunadamente, no lo es. Durante ese viaje, que ocupó casi todo el mes de noviembre de 1998, no vi Andrea. Es decir la vi pero en realidad no la vi. Conocí a Alexandra y al compañero de Alexandra, Marcial, y me hice amigo de los dos y todo lo que diga de ellos estará supeditado a la amistad que siento por ellos, así que lo mejor es no decir demasiadas cosas. Pero a Andrea no la vi. Si hago memoria sólo consigo recordar una sonrisa, como la sonrisa del gato del Cheshire, en el pasillo del departamento de Alexandra y Marcial, una voz que surge se la sombre, unos ojos profundísimos y osuros que se reían igual que Alexandra se había reído durante mi primer discurso, apenas llegado a Chile, con una diferencia sustancial: Andrea, al contrario que Alexandra, era una mujer invisible. Quiero decir, era invisible para mí, que la vi en alguna ocasión pero en realidad no la vi, que la escuché pero no supe discernir de dónde provenía esa voz. Aquélla fue la época, entre otras cosas, en que Lautaro desarolló un sistema para acercarse a las puertas automáticas sin que éstas se abrieran. De alguna manera, no sé si antes o después (creo que poco antes) de nuestro primer viaje a Chile, mi hijo empezó a jugar, con bastante éxito además, a ser él también un niño invisible. La primera vez que lo vi haciendo una demonstración de ese tipo fue en Blanes, en una panadería de Blanes, antes de biajar a Chile por primera vez. No recuerdo qué escritor dijo 21 que si Dios estaba en todas partes, las puertas automáticas siempre deberían estar abiertas. Como no siempre estaban abiertas, Dios no exsistía. El ejercicio de mi hijo, además de ser sorprendente en sí mismo, borraba de un plumazo esta teoría. Lautaro no se aproximaba por los lados. A veces los ojos automáticos están colocados de tal forma que una aproximación de lado los despista y las puertas permanecen cerradas. Éste es el camino fácil o con trampa (aunque no sé qué clase de trampa puede haber en hacerlo de esa manera), y mi hijo empleaba el camino difícil, es decir las abordaba de frente, sin concederse a sí mismo ninguna ventaja, en la aproximación frontal donde es imposible que el ojo automático no te localice y acto seguido te franquee la entrada o la salida. La originalidad de su abordaje consistía en los movimientos que ejecutaba en su aproximación a las puertas automáticas. Empezaba despacio, como midiendo la distancia, el alcance del ojo, zapateando de vez en cuando, como si el ojo pudiera captar las vibraciones en el suelo y moviendo los brazos como lentas aspas de molino. Entonces la puerta se abría y mi hijo ya tenía la distancia. Acto seguido se retiraba, la puerta volvía a cerrarse y comenzaba la aproximación de verdad. Ésta consistía en gestos ralentizados al máximo. Los pies, por ejemplo, no se despegaban del suelo, los arrastraba imperceptiblemente, los brazos separados del cuerpo se movían ligerísimamente, como insectos o naves auxiliares, creando como duplicados al tronco, como si hacia el ojo automático no avanzara un cuerpo sino una sombra y dos sombras fantasmas que a su vez fueran dos sombras guías, y hasta la cara de Lautaro cambiaba, parecía difuminarse y al mismo tiempo concentrarse en la invisibilidad, en lo estático y en el movimiento, en la no solidez y en la paradoja. Una vez, en unos grandes almacenes de Barcelona, intenté imitarlo pero fue en vano, el ojo siempre me cazaba, las puertas siempre se abrían. Lautaro, sin embargo, era capaz de llegar a tocar con la punta de la nariz el cristal, blindado o no, de las puertas, sin que el ojo capturara su presencia, y la respuesta no estaba, como creí al principio, en su estatura, pues mi hijo a los ocho años era más bien alto que bajo, ni en su delgades, pues mi hijo más bien es macizo, sino en su disposición, en su voluntad y en su técnica. Otra cosa que recuerdo vivamente de nuestro primer viaje a Chile y que entra de improviso en este relato es un pájaro. Este pájaro no era invisible, pero la tarde en que apareció estoy seguro de que sólo lo vi yo. 22 Vivíamos en un aparthotel de Providencia, en el octavo o en el noveno piso, y una tarde en que no tenía nada que hacer vi un pájaro posado sobre uno de los balcones de uno de los edificios vecinos. Durante un rato el pájaro permaneció inmóvil, contemplando la ciudad igual que hacía yo desde el balcón de mi aparthotel, sólo que el pájaro miraba la ciudad y yo lo miraba a él. Soy miope y no veo bien, pero en algún momento llegué a la conclusión de que aquel pájaro extraño y solitario era un ave rapaz, un halcón o algo parecido (probablemente algo parecido, mi desconocimiento en esta materia es absoluto, sólo sé reconocer a los loros). Casi en el acto el halcón se dejó caer en el vacío y entonces ya no tuve dudas. Pero lo más sorprendente vino luego: el pàjaro comenzó a acercarse a mi balcón. Tuve miedo pero no me moví. El halcón o lo que fuera se detuvo en el artesonado de otro edificio, éste justo al lado de donde yo me encontraba, y durante un rato ambos nos consideramos. Hasta que no pude más y volví adentro. Y esto ocurrío el mismo día en que Lautaro le enseñó a Pascual su habilidad para acercarse a las puertas automáticas sin que éstas se abrieran y el mismo día en que Pascual le regaló a Lautaro un avión. A Lautaro el avión le encantó y tal vez por eso, porque el avión era uno de los juguetes preferidos de Pascual y éste se lo había dado, le enseñó a acercarse a las puertas como el hombre invisible, o como un indio, según la versión más casera de Pascual. Los vi desde una terraza en donde estábamos Alexandra, Carolina, Marcial y yo. Ellos no los vieron. No recuerdo de qué hablábamos, sólo recuerdo que Pascual y Lautaro se acercaron a una tienda de ropa, al principio infructuosamente, pues la puerta siempre se abría, e incluso una señora teñida de rubio, vestida con unos pantalones grises y chaqueta negra, salió y les dijo algo, algo que yo no pude oír, en parte porque oía lo que mi mujer y mis amigos contaban y en parte porque estaban muy lejos, en el otro extremo de aquella plaza cubierta, y recuerdo a Lautaro y a Pascual que al principio huían, pero luego los recuerdo de pie, con las caras levantadas, escuchando lo que aquella mujer teñida de rubio y delgada les decía, probablemente una reprimenda, pero luego, cuando la mujer desapareció en el interior de la tienda, Lautaro volvió a iniciar las maniobras de acercamiento mientras Pascual lo contemplaba todo desde un punto prefijado, y en una de ésas, porque yo a veces los miraba y a veces no, mi hijo consiguió poner la nariz en el cristal de la puerta sin que ésta se abriera y 23 yo supe, sólo entonces, aunque al cabo de dos días nos marchámos de vuelta en España, que había llegado a Chile y que todo iría bien. Un pensamiento apocalíptico. Al año siguiente, en 1999, fui a Chile invitado por la Feria del Libro. Casi todos los escritores chilenos, supongo que para celebrar mi reciente Premio Rómulo Gallegos, decidieron atacarme en patota, como se dice en Chile, es decir en grupo. Yo contrataqué. Una señora ya mayor, que había vivido toda su vida de la limosina que el Estado arroja a los artistas, me trató de cortesano. Nunca he sido agregado cultural de ningún país, por lo que me extrañó esa acusación. También se dijo que yo era patero, que no es lo mismo que patota. Un patero no pertenece necesariamente a una patota, como alguien inadvertidamente pudiera suponer, aunque en toda patota siempre hay pateros. Un patero, en realidad, es un adulador, un lisonjero, un cobista, en un lameculos. Lo increíble de esto es que me lo decían chilenos, tanto de izquierda como de derecha, que no paraban de lamer culos para mantener su exigua parcelita de renombre, mientras que todo lo que yo había conseguido (que no es mucho) lo había logrado sin ayuda de nadie. ¿Qué era lo que no les gustaba de mí? Bueno: alguien dijo que lo que no le gustaba era mi dentadura. Ahí tengo que darle toda razón. 24 4 ANALISI DEL RACCONTO Credo che la letteratura di qualsiasi scrittore sia autobiografica. Quando Flaubert dice: "Madame Bovary sono io", è stato già detto tutto. Niente può essere separato dalla realtà, altrimenti sarebbe folle. Tutto è realtà e tutto è letteratura34. 4.1Analisi No sé leer è, come Bolaño stesso precisa già nella prima riga, un racconto, sebbene siano pochi i tratti che lo accosterebbero al genere prettamente narrativo. Innanzitutto si tratta di un’autobiografia, e possiamo quindi dire che il narratore è Bolaño stesso, in quanto nome, luoghi e circostanze ci portano a ricondurre gli eventi esposti a delle esperienze realmente vissute dall’autore. Bolaño, in effetti, tornò in Cile nel 1998, in compagnia della moglie e del figlio Lautaro, che all’epoca aveva 8 anni. Come accade spesso, nei suoi racconti Bolaño inserisce più di una “storia”. L’autore afferma che “è impossibile scrivere dieci pagine e narrare una sola storia in quanto in una sola pagina ci sono più storie di quante ne possiamo immaginare” 35. Ed è proprio partendo da questa premessa che in No sé leer non troviamo soltanto qualche aneddoto, ma una vera e propria successione di “storie”, in quanto ogni singolo episodio è costellato da un potente simbolismo. A tal proposito analizzerò brevemente due episodi e i loro rispettivi rimandi intertestuali. Il primo riguarda la “meada” di Lautaro36, il primogenito di Bolaño. Tale avvenimento riporterà alla mente dell’autore –attraverso una serie di collegamenti– ciò che accadde venticinque anni prima. Lautaro era “sommerso” nel paesaggio che fu il paesaggio “atroz” del nostro autore quando, tornando nel suo paese natale, rischiò la vita. Da lì una serie di domande che faranno riflettere Bolaño sul semplice gesto ingenuo di un ragazzino. La montagna, inoltre, è un simbolo che si ripete molto spesso nella narrativa di Bolaño, e diventa 34 R. Bolaño, Una letteratura autobiografica, traduzione di C. Pinto, http://www.archiviobolano.it/bol_int_rubio.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 35 R. Bolaño, Io non ho mai avuto paura della morte, traduzione di C. Pinto, http://www.archiviobolano.it/bol_int_ schenardi.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 36 Cf. infra, pag. 15. 25 il tema principale di alcuni dei suoi libri, tra i quali Estrella distante, dove a fare da protagonista è il suo alter ego, Arturo Belano. La montagna, metafora malvagia di un Cile despota, diventa lo scenario terribile e il luogo della sua gioventù, che riaffiora non solo in No sé leer, ma anche in altri racconti inclusi in El secreto del mal come La muerte de Ulises, La colonia Lindavista ed El viejo en la montaña. In un altro episodio Bolaño descrive l’incontro “ravvicinato” con un “pájaro” non ben definito37. Oltre alla normale carica di mistero e di intensità che il lettore di Bolaño riesce a percepire, il falco –o quello che sembrerebbe un falco– rappresenta un simbolo molto importante in Nocturno de Chile, libro intenso e violento dello stesso autore che narra l’orrore fascista attraverso gli occhi e l’esperienza diretta di un prete di destra, Sebastián Urrutia Lacroix. A Lacroix, ad un certo punto del racconto, viene offerta la possibilità di andarsene dal Cile e, una volta arrivato in Europa, scopre che uno dei problemi che gravano sul continente sono gli escrementi di piccione e che gli europei in generale usano i falchi per “difendere dal trascorrere del tempo” gli “edifici ecclesiastici” e i “monumenti civili”38. Dopo aver viaggiato attraverso l’Europa e osservato diversi falconieri, Lacroix sogna, una notte, “migliaia di falchi che volano altissimi sopra l’Oceano Atlantico, in direzione dell’America”39. Al suo ritorno in Cile scopre con orrore la nuova situazione politica del paese: migliaia di falchi si sono “appollaiati” in Cile e hanno dato vita al fascismo. Come questi predatori uccidono i piccioni indistintamente per preservare monumenti e palazzi, il fascismo non è da meno, per cui la corrispondenza che si crea è fortissima: per preservare la società dal decadimento economico e politico, il fascismo cileno opera senza preoccuparsi delle persone che si frappongono tra il falco e il piccione. El halcón o lo que fuera se detuvo en el artesonado de otro edificio, éste justo al lado de donde yo me encontraba, y durante un rato ambos nos consideramos. Hasta que no pude más y volví adentro40. Ed è a questo punto che è possibile capire qual è il terribile nesso tra i due “pájaros”, il falco predatore della resistenza al fascismo e l’“halcón” osservato da un terrazzo di Providencia: il 37 Cf. Infra, pag. 23 R. Bolaño, Notturno cileno, a cura di A. Morino, Palermo, Sellerio, 2003, pag. 81. 39 Ivi, pag. 90. 40 Cf. Infra, pag. 23 38 26 “considerarsi” si carica di un simbolismo inquietante, creando un sistema di collegamenti nella mente del lettore bolañano. 4.2 Scelte traduttive Da decenni ormai la traduzione è considerata una vera e propria scienza, da studiare attentamente e da applicare con rigore ogni qualvolta si deve o si vuole tradurre un brano. Capire quindi la tipologia di un testo è essenziale, ma lo è ancora di più capire l’intenzione dell’autore. Essendo Bolaño molto complesso, a causa del suo simbolismo e dei suoi rimandi intertestuali, ho ritenuto opportuno rispettare alcune delle fondamentali “leggi” ed indicazioni che vigono intorno alla traduzione. Secondo Newmark esistono svariate tipologie di testo, da quello economico-politico a quello letterario-poetico41, ed è proprio per questo che viene messa in evidenza la necessità di adottare di volta in volta il metodo di traduzione più adeguato al tipo di testo su cui si sta lavorando. Tra i vari procedimenti possibili citeremo solo quelli “utili” al nostro lavoro. La naturalizzazione Consiste en adaptar una palabra de la lengua original a la pronunciación y morfología normales de la lengua terminal, y además en ese orden42. Nel testo è presente la parola “clóset” (“había orinato largamente en el interior del clóset de mi hermana”43), che non è altro che un calco dall’inglese closet. Non è un fenomeno raro nello spagnolo, anzi, basti pensare alle parole “fútbol” o “líder”. Il Moliner ci dà la seguente definizione: “armario empotrado”44. Nella lingua italiana i casi di naturalizzazione sono rari ma esistenti, ma non essendoci comunque una traducente naturalizzante di “clóset”, ho deciso di tradurre letteralmente la definizione data dal Moliner: armadio a muro. 41 P. Newmark, Manual de traducción, versión española de V. Moya, Madrid, Cátedra lingüística, 2006, pag. 27. Ivi, pag. 119. 43 Cf. infra, pag. 15. 44 M. Moliner, Diccionario de uso del español, Madrid, Gredos, 2008, pag. 388. 42 27 L’equivalente descrittivo En traducción, a veces hay que considerar la descripción en relación con la función. […] La descripción y la función son elementos esenciales de toda explicación y, por tanto, de la traducción45. In No sé leer compare la parola “artesonado” (“El halcón o lo que fuera se detuvo en el artesonado de otro edificio”46) il cui significato figura nel Moliner in questo modo: “Arq. Ornamento consistente en molduras combinadas de modo que forman compartimientos concavos rectangulares o poligonales, con que se adornan principalmente los techos planos, pero también las bóvedas y el intradós de los arcos”47, mentre il Tam ci dà la seguente traduzione di artesonado: “Arq. Soffito a cassettoni, lacunare”48. Per tradurre “artesonado” in italiano dobbiamo utilizzare quindi il suo equivalente descrittivo, che è appunto “soffitto a cassettoni”. Americanismi Nel testo sono presenti anche due americanismi: il primo è “faldeo” (“La piscina estaba en los faldeos cordilleranos”49) che, secondo il Moliner, è la “ladera de un monte en que hay algunas llanuras”50. Stando alla traduzione data dal Tam (“Amer. Versante”51), ho deciso di tradurre “en los faldeos cordilleranos” con “lungo il fianco della cordigliera”. Il secondo americanismo riscontrato è “sorpresiva” (“la sorpresiva micción de Lautaro”52). “Sorpresivo”, secondo il Moliner, è un americanismo che significa “sorprendiente”53, la cui traduzione secondo il Tam è: “Amer. Inatteso, improvviso, imprevisto”54. Ho deciso quindi di tradurre il passaggio con “l’inattesa minzione di Lautaro”. 45 P. Newmark, op. cit., pag 119. Cf. infra, pag. 23. 47 M. Moliner, op. cit., pag. 155-156. 48 L. Tam, Grande dizionario Hoepli: spagnolo, Milano, Hoepli, 2009, pag. 99. 49 Cf. infra, pag. 19. 50 M. Moliner, op. cit., pag. 754. 51 L. Tam, op. cit., pag. 99. 52 Cf. infra, pag. 20. 53 M. Moliner, op. cit., pag. 1570. 54 L. Tam, op. cit., pag. 1021. 46 28 Altre scelte traduttive Nel testo sono presenti due locuzioni che, nonostante non le abbia riscontrate come veri e propri modi di dire né in lingua castigliana né in quella cilena55, visto i modi in cui vengono utilizzati da Bolaño ho deciso di considerare come veri e propri “modismos”. Ora, le strutture idiomatiche di una lingua (locuzioni, frasi fatte, modi di dire, proverbi, frasi proverbiali) rappresentano da sempre un problema di difficile soluzione per i traduttori, in quanto in genere non possono essere tradotte letteralmente in quanto si correrebbe il rischio di alterarne il significato56. Come ci dimostra Umberto Eco, in questi casi è essenziale “riprodurre lo stesso effetto a cui mirava l’originale. […] Naturalmente questo implica che il traduttore faccia una ipotesi interpretativa su quello che doveva essere l’effetto previsto dall’originale”57. È per questo motivo che nel passo “era como reconocer gestualmente el hecho y su sombra: haber nacido y la posibilidad de no haber nacido, estar en el mundo y la posibilidad de no estar”58, ho deciso di tradurre “el hecho y su sombra” con “tutto e il contrario di tutto”, per mantenere il più possibile l’effetto desiderato da Bolaño, utilizzando la “traducción idiomática”, come ci suggerisce Newmark in questi casi: La tradución idiomática reproduce el “mensaje” del original, pero tiende a distorsionar los matices del significado dando preferencia a coloquialismos y modismos, aunque éstos no aparezcan en el original59. Un’altra particolare locuzione che ho riscontrato è “aunque el día se acercaba con la prestancia de la dicha”60. In questo caso devo dire che le difficoltà sono state maggiori, in quanto non sono riuscita a trovare un corrispettivo che in italiano mi permettesse di lasciare inalterato il “sapore” percepito da un ispanofono o un francofono. In ogni caso, non essendo tale locuzione un “modismo”, ho deciso di optare per la “traducción fiel”, che 55 Ho consultato vari dizionari a questo proposito, tra i quali P. Zamora Muñoz, Spagnolo-italiano: espressioni idiomatiche e proverbi, Milano, Egea, 1997; A. Buitrago, Diccionario de dichos y frases hechas, Madrid, Espasa, 2006; J. Calles Vales, Dichos y frases hechas, Madrid, Espasa, 2006. 56 M. Romero Frías y A. Espa, Problemi linguistici ed extralinguistici nella traduzione di lingue affini, http:// pendientedemigracion.ucm.es/info/especulo/numero29/l_affini.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 57 U. Eco, Dire quasi la stessa cosa: Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2007, pag. 80. 58 Cf. infra, pag. 21. 59 P. Newmark, op. cit., pag. 71. 60 Cf. infra, pag. 21. 29 […] trata de reproducir el significado contextual exacto del original dentro de las coacciones impuestas por las estructuras gramaticales de la lengua terminal. Aquí, las palabras culturales se tranfieren y se mantiene en la traducción el grado de anormalidad gramatical y léxica61. Il Moliner ci dà la seguente definizione di “prestancia”: “Excelencia, distinción o superioridad”62; e di “dicha”: “Felicidad (estado de ánimo de la persona que tiene lo que desea o a la que le acaba de suceder una cosa muy buena para ella)”63. Le rispettive traduzioni date dal Tam sono le seguenti: per prestancia “prestanza; distinzione, signorilità”64, e per dicha: “gioia, felicità, piacere, loc. fortuna”65. Non avendo trovato un adeguato equivalente in italiano ho deciso di rivolgermi a Christopher Andrews66, che mi ha informato sulla sua decisione (“although the fortunate day was drawing near”) e su quella del suo collega francese Robert Amutio (“même si ce jour approchait avec l'excellence du bonheur”). Ho creduto quindi che la decisione migliore sarebbe stata quella di mantenere il tono “poetico” volutamente dato dall’autore, traducendo con: “sebbene quel giorno si stesse avvicinando col passo della felicità”, cercando di rimanere così il più fedele possibile al testo originale. Una cosa molto simile avviene con un concetto che Bolaño descrive utilizzando tre diversi termini: “meada”, “micción” e “orinando”. Possiamo subito notare la differenza di registro, soprattutto tra il primo termine “meada”, del quale il Moliner ci da la seguente definizione: “vulg. Orina expelida de una vez”67, e il secondo “micción”, che sempre secondo il Moliner ha invece un’accezione colta, quindi un registro più alto: “cult. Acción de orinar”68. Per coerenza (come nel precedente caso), ho deciso di mantenere il tono voluto dal nostro autore, traducendo col loro esatto equivalente in italiano: “meada” secondo il Tam è: “vulg. Pisciata”69; mentre “micción” è “fisiol. Minzione, orinazione”70 e “orinar” corrisponde a “orinare.”71 61 P. Newmark, op. cit., pag. 70. M. Moliner, op. cit., pag. 754. 63 Ivi, pag. 584. 64 L. Tam, op. cit., pag. 849. 65 Ivi, pag. 361. 66 Traduttore ufficiale di Roberto Bolaño in lingua inglese. 67 M. Moliner, op. cit., pag. 1089. 68 M. Moliner, op. cit., pag. 1110. 69 L. Tam, op. cit., pag. 677. 70 L. Tam, op. cit., pag. 692. 71 L. Tam, op. cit., pag. 758. 62 30 5. TRADURRE BOLAÑO Tradurre Roberto Bolaño, per quanto breve il racconto, è stata un’esperienza intensa ed estremamente interessante, in quanto si è presentata da subito la necessità di approfondire non solo la vita dell’autore ma anche le sue abitudini formali e stilistiche. Dal momento che il testo tradotto presenta diverse storie, o meglio diversi episodi, e di conseguenza diversi scenari, è stato indispensabile analizzare singolarmente ogni tassello per riuscire a giungere ad una conclusione adeguata. L’impegno messo non sarebbe stato comunque sufficiente senza la passione per la letteratura e per lo spagnolo che sempre mi ha accompagnata nel mio percorso personale. A questo va indubbiamente aggiunta la presenza di figure “maestre” quali genitori, professori, scrittori… mentori che, nonostante la società odierna tenti di convincerci dell’idea contraria, riescono ancora ad ispirare le giovani menti e a formare cervelli indipendenti e ben funzionanti. È stato relativamente complesso tradurre No sé leer, da una parte perché è stata la mia prima vera esperienza di traduzione, e quindi posso dire che ho avuto per la prima volta l’occasione di sperimentare sulla mia pelle le difficoltà che saggi e manuali continuamente ci espongono, dall’altra perché si tratta di un racconto inconcluso, e quindi ho dovuto prestare maggiore attenzione ad ogni rimando intertestuale e ad ogni simbolo che l’autore ha inserito nel testo. Da traduttrice alle prime armi, mi sono sentita in dovere di ricorrere all’ausilio di importanti quanto essenziali “strumenti del mestiere”, come ad esempio il Manual de traducción di Peter Newmark e Dire quasi la stessa cosa di Umberto Eco, che durante questi anni universitari mi hanno ispirato e istruito continuamente, e senza i quali non avrei potuto neanche iniziare un lavoro simile. Per concludere, e per ribadire l’importanza della traduzione, che permette la diffusione di libri –quindi di cultura–, vorrei citare un maestro, Jorge Luis Borges: "Hay quienes no pueden imaginar un mundo sin pájaros; hay quienes no pueden imaginar un mundo sin agua; en lo que a mí se refiere, soy incapaz de imaginar un mundo sin libros"72. 72 J. L. Borges, “Hay quienes no pueden imaginar un mundo sin pájaros”, El País, 9 de octubre de 1985. 31 BIBLIOGRAFIA - Bolaño, R., Amuleto, Barcelona, Anagrama, 1999. - Bolaño, Roberto, El secreto del mal, edición de Ignacio Echevarría, Barcelona, Anagrama, 2007. - Bolaño, R., Estrella distante, Barcelona, Anagrama, 1996. - Bolaño, Roberto, Il gaucho insostenibile, traduzione di Maria Nicola, Palermo, Sellerio, 2006. - Bolaño R., Los perros románticos, Barcelona, Acantilado, 2006. - Bolaño, R., Nocturno de Chile, Barcelona, Anagrama, 2000. - Bullosa, C., “Entrevista a Roberto Bolaño”, in AA. VV., Roberto Bolaño: la escritura como tauromaquia. Buenos Aires, Ediciones Corregidor, 2006, pag. 105-109 - Echevarría, I., “Autorretrato”, in AA. VV., Entre paréntesis, (a cura di Echevarría, I.), Barcelona, Anagrama, 2004, pag. 3-12. - Eco, Umberto, Dire quasi la stessa cosa: Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2007. - Magliani, M., Bolaño selvaggio, Roma, Senzapatria, 2012. - Moliner, M., Diccionario de uso del español, Madrid, Gredos, 2008. - Newmark, P., Manual de traducción, versión española de V. Moya, Madrid, Cátedra lingüística, 2006. - Piglia, R., “Tesis sobre el cuento”, in AA. VV., Formas Breves, a cura di R. Piglia, Barcelona, Anagrama, 2005. - Tam, L., Grande Dizionario Hoepli spagnolo, Milano, Hoepli, 2009. - Villoro, J., “Bolaño”, in AA. VV., Bolaño por si mismo, a cura di A. Braithwaite, Santiago del Cile, Universidad, 2006, pag. 109-121. 32 SITOGRAFIA - Bolaño, R., Io non ho mai avuto paura della morte, http://www.archivio-bolano .it/bol_int_schenardi.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. - Bolaño, R., Una letteratura autobiografica, traduzione di C. Pinto, http://www. archivio-bolano.it/bol_int_rubio.html, ultima consultazione in data 05/10/2013. - Carmignani, I., L’opera di Bolaño? Uno spartiacque, http://www.archiviobolano .it/bol_prima_ilide_intervista.html, ultima consultazione 21/01/2013. - Echevarría, I., Bolaño e Parra, amici in corridoio senza apparenti vie d’uscita, traduzione di C. Pinto, http://www.archiviobolano.it/Bol_int_ignacio4.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. - Echevarría, I., La memoria di uno scrittore è proprietà dei suoi lettori, traduzione di C. Pinto, http://www. archivio-bolano.it/Bol_prima_int_igancio5.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. - Martínez, G., El cuento como sistema lógico, http://guillermo-martinez.net/notas / El_cuento_como_sistema_logico, ultima consultazione in data 21/01/2013. - Romero Frías, M. y Espa, A., Problemi linguistici ed extralinguistici nella traduzione di lingue affini, http://pendiente-demigracion.ucm.es/info/especulonumero 29/l_ affini.html, ultima consultazione in data 21/01/2013. 33