Elio Vittorini, Uomini e no

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Elio Vittorini, Uomini e no
Elio Vittorini, Uomini e no
da: id., Uomini e no, Bompiani, Milano 1945
pp. 174-180
L’uomo, si dice. E noi pensiamo a chi cade, a chi è perduto, a chi piange e ha fame, a chi
ha freddo, a chi è malato, e a chi è perseguitato, a chi viene ucciso. Pensiamo all’offesa che
gli è fatta, e la dignità di lui. Anche a tutto quello che in lui è offeso, e ch’era, in lui, per
renderlo felice. Questo è l’uomo.
Ma l’offesa che cos’è? È fatta all’uomo e al mondo. Da chi è fatta? E il sangue che è
sparso? La persecuzione? L’oppressione?
Chi è caduto anche si alza. Offeso, oppresso, anche prende su le catene dai suoi piedi e
si arma di esse: è perché vuol liberarsi, non per vendicarsi. Questo anche è l’uomo. […]
Ma l’offesa in se stessa? È altro dall’uomo? È fuori dall’uomo?
Noi abbiamo Hitler oggi. E che cos’è? Non è uomo? Abbiamo i tedeschi suoi. Abbiamo i
fascisti. E che cos’è tutto questo? Possiamo dire che non è, questo anche, nell’uomo? Che
non appartenga all’uomo? […]
Noi vogliamo sapere […] se è nell’uomo quello che essi fanno quando offendono.
È nell’uomo?
Noi vogliamo sapere se è nell’uomo quello che noi, di quanto essi fanno, non faremmo;
e che noi diciamo di loro dal vederli, non da qualcosa che abbiamo patito noi stessi.
Possiamo mai saperlo? […]
Noi presumiamo che sia nell’uomo soltanto quello che è sofferto, e che in noi è
scontato. Aver fame. Questo diciamo che è nell’uomo. Aver freddo. E uscire dalla fame,
lasciare indietro il freddo, respirare l’aria della terra, e averla, avere la terra, gli alberi, i
fiumi, il grano, le città, vincere il lupo e guardare in faccia il mondo. Questo diciamo che è
nell’uomo.
Avere Iddio disperato dentro, in noi uno spettro, e un vestito appeso dietro la porta.
Anche avere dentro Iddio felice. Essere uomo e donna. Essere madre e figli. Tutto questo lo
sappiamo, e possiamo dire che è in noi. Ogni cosa che è piangere la sappiamo: diciamo
che è in noi. Lo stesso ogni cosa che è ridere: diciamo che è in noi. E ogni cosa che è il
furore, dopo il capo chino e il piangere. Diciamo che è il gigante che è in noi.
Ma l’uomo può anche fare senza che vi sia nulla in lui, né patito, né scontato, né fame,
né freddo, e noi diciamo che non è l’uomo.
Noi lo vediamo. È lo stesso del lupo. Egli attacca e offende. E noi diciamo: questo non è
l’uomo. Egli fa con freddezza come fa il lupo. Ma toglie questo che sia l’uomo?
Noi non pensiamo che agli offesi. O uomini! O uomo!
Appena vi sia l’offesa, subito noi siamo con chi è offeso, e diciamo che è l’uomo.
Sangue? Ecco l’uomo. Lagrime? Ecco l’uomo.
E chi ha offeso che cos’è?
Mai pensiamo che anche lui sia l’uomo. Che cosa può essere d’altro? Davvero il lupo?
Diciamo oggi: è il fascismo. Anzi: il nazifascismo. Ma che cosa significa che sia il
fascismo? Vorrei vederlo fuori dell’uomo, il fascismo. Che cosa sarebbe? Che cosa farebbe?
Potrebbe fare quello che fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Vorrei fare quello che
fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello
che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercare di farlo. Togliere
loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: Avanti, fate. Che cosa farebbero?
Un corno, dice mia nonna.
Può darsi che Hitler scriverebbe lo stesso quello che ha scritto, e Rosenberg lui pure; o
che scriverebbero cretinerie dieci volte peggio. Ma io vorrei vedere, se gli uomini non
avessero la possibilità di fare quello che fa Clemm, prendere e spogliare un uomo, darlo in
pasto ai cani, io vorrei vedere che cosa accadrebbe nel mondo con le cretinerie di loro.
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