Medioevo, Montagna, Monachesimo in Calabria

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Medioevo, Montagna, Monachesimo in Calabria
Medioevo, Montagna, Monachesimo in Calabria
Il concorso letterario dedicate alle "3M" promosso dall'Ostello della Gioventù di Carlopoli, nella
Sila
Roma, 14 Aprile 2013 (Zenit.org) Anna Rotundo
Ripercorrere i luoghi in cui i monaci calabresi vissero e le montagne e le grotte in cui gli uomini di Dio
trovarono il silenzio: un modo suggestivo e affascinante di ammirare le bellezze naturalistiche,
paesaggistiche e culturali di un territorio dove un monastero non è mai stato solo un luogo mistico ma bensì
un vero e proprio centro di vita, capace di influenzare positivamente l’ambiente circostante. In questa
direzione, si è avviata una feconda riflessione nell’ambito del concorso letterario “3M: Medioevo, Montagna,
Monachesimo” promosso dall’Ostello della Gioventù di Carlopoli (comune della provincia di Catanzaro, ad
una decina di chilometri dal grande Parco naturalistico della Sila) con la partecipazione e premiazione di
diversi studiosi.
Fulgido faro che ha illuminato la riflessione dei convegnisti è stata l’esperienza dell'abate Gioacchino da
Fiore, monaco esegeta, fondatore dell’Ordine dei Florensi nato a Celico (Cs) intorno al 1135 e morto in
concetto di santità nel 1202, i cui resti mortali sono oggi custoditi all’interno della magnifica Abbazia di San
Giovanni in Fiore. Egli, “di spirito profetico dotato”, come lo immortalò Dante, fu “profeta” dei tempi ultimi,
latore di un messaggio intriso di stimoli per un rinnovamento a livello spirituale e civile : non è un caso che
Ernst Bloch, padre del più sistematico pensiero utopico del ventesimo secolo, abbia dato grande attenzione
alla sua opera, ritenendo la visione dell’Abate calabrese “l’utopia sociale più influente del medioevo”.
A coronare gli studi sulle “3M: Medioevo, Montagna, Monachesimo", è stata la relazione dell’Arcivescovo
Metropolita dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, mons. Vincenzo Bertolone, il quale sempre lietamente
onora della sua presenza la comunità che lo chiama: egli ha sintetizzato in una ulteriore “M” le tre succitate:
la “M” della parola “mistica”. Perché è la mistica, la spiritualità, il cuore della civiltà europea; quella mistica
presente nella lettera pastorale di Bertolone “Andate e annunciate: conoscenza e amore o amore e
conoscenza” dove leggiamo, tra l’altro, una bellissima citazione di J. Guitton: “Queste sono le radici della
religiosità e poi della vita mistica. Il paradosso della fede è “chiudere gli occhi e vederci” […] il mistero
nascosto, la bontà e il senso delle cose non si raggiunge attraverso la sola conoscenza. Bisogna ancora
ragionevolmente scommettere che tutto è buono dietro il male, che dietro le nubi brilla ancora il sole. Questa
sicurezza è la fede.”
La tensione dialettica tra fede, spiritualità, cultura e carità è apparsa in tutta la sua grandezza nell’opera di
testimoni e santi calabresi: Gioacchino da Fiore, Bartolomeo da Simeri, San Francesco di Paola, e molti altri
che si ergono nel rango di campioni della spiritualità, ascesi e civiltà calabra, civiltà segnata dalla
compresenza di Greci e di Latini. In particolare penso proprio a Gioacchino da Fiore e a san Francesco di
Paola. Il primo rappresenta l'impegno costante e inesauribile del logos, che ricerca nuovi sentieri per
indagare la Rivelazione; il secondo, invece, testimonia la centralità dell'agape come senso e fine ultimo del
logos e della vita comune degli uomini. Lungi dal ritenere alternative queste due differenti testimonianze di
vita e di pensiero, ciascuna deve mettere in luce l'urgenza di coniugare le istanze, affinché la promozione
della Calabria e del Meridione divenga effettiva e radicata nella dialettica tra "pensiero" e "carità".
“Le radici della cultura europea - ha affermato Bertolone - si trovano precisamente nei monasteri: i monaci
che si insediavano in valli paludose, le bonificavano fino a farle diventare giardini ospitali: nel grande
sconvolgimento culturale prodotto dalla invasione di popoli barbari, i monaci non solo conservano i tesori
della vecchia cultura ma insieme ne formano una nuova".
L’indagine sulle radici monastiche dell’Europa di Bertolone ha evidenziato che il motto dei monaci era “ora
et labora”: dunque non solo «prega» ma anche «lavora». Per quanto quindi riconosciamo le radici greche
dell’Europa, notiamo che se la Grecia non avesse incontrato il cristianesimo avrebbe continuato a passare
accanto, senza afferrarli, ad aspetti essenziali della cultura: il lavoro, l’economia, il rapporto con le cose. Per
i greci, infatti, il lavoro non faceva parte della cultura: era una cosa da schiavi. Nel mondo greco il lavoro
fisico era considerato l’impegno dei servi. Sarà il monachesimo a spiritualizzare il lavoro: e i luoghi coltivati
diventavano "epifania" di presenza divina.
“Per la verità - ha continuato l’Arcivescovo - i monaci non avevano come scopo la cultura: il loro obiettivo era
“ quaerere Deum", “cercare Dio”. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano
fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano
alla ricerca di Dio. E anche oggi, come hanno affermato grandi teologi come Karl Rahner e il teologo
protestante Dietrich Bonhoeffer, "il nostro secolo o sarà spirituale, o non sarà”. Dalle “3M” ci viene quindi
riproposta la via della ricerca spirituale: non si tratta però di una ricerca senza bussole: Dio stesso ha
piantato dei segnali di percorso e una via: la sua Parola, consegnata agli uomini nelle Sacre Scritture e che
l’abate Gioacchino indagò con spirito profetico”.
Uno dei più imponenti impianti abbaziali del Medioevo cristiano in Calabria riguarda l’abbazia di Santa Maria
di Corazzo e il suo insigne abate Gioacchino. L’abbazia, che ricade proprio nel comune di Carlopoli, fu
centro religioso, politico e culturale di essenziale valore per oltre sette secoli. Soggiornò entro le sue mura
anche il filosofo cosentino Bernardino Telesio. Oggi le sue maestose rovine si stagliano solitarie e potenti
come monito all’indifferenza religiosa, politica e culturale degli uomini di questo tempo. E la novità dell’ordine
florense, che trovo straordinariamente profetica nel valorizzare il laicato, è data dall'accettazione della
presenza dei laici nella Congregazione religiosa. Si tratta di laici singoli o sposati con prole. A questi è
concesso lavorare i terreni assegnati a ognuno dalla comunità.
Illuminante la sottolineatura spirituale-trinitaria di Bertolone: “L'abate Gioacchino da Fiore è luminoso faro,
che si staglia tra le tempeste della storia e non si è mai confuso con le burrasche teologiche ed eretiche,
sempre dichiarandosi fedele al Pontefice; nella sua speculazione teologica ha dato il primato alla
contemplazione della presenza di Dio nella storia degli uomini. Una storia, abitata dalla Trinità, che si svela
gradualmente e completamente, all'intelligenza dell'uomo spirituale che si mette in ascolto. Come afferma il
teologo Moltmann: “È l’indiscusso merito di Gioacchino aver saputo pensare storicamente la Trinità e
trinitariamente la storia”. Ora, se l’uomo è creato a immagine di Dio, del Dio tripersonale, deve portarne in sè
i tratti essenziali: egli vive in queste coordinate trinitarie. Sull’immagine e somiglianza divina, che l’uomo
porta in sé, si fonda tutto l’ethos umano. L’uomo è persona per questo essenziale riferirsi all’altro, per questa
essenziale apertura all’altro: la relazionalità è per la persona il tratto distintivo; essa si realizza innanzitutto
nel modello dell’accoglienza e del dono".
L'epoca dell'Abate Gioacchino è quella delle grandi istanze spirituali, dei movimenti pauperistici, che
culmineranno negli Ordini monastici ben orientati di Francesco d'Assisi e Domenico di Guzman. A
sottolineare la spiritualità francescana che diversi punti ha in comune con quella florense, nel corso del
convegno Anna Rotundo ha recitato il “Cantico delle creature”, nei cui “coloriti fiori” Gioacchino vedeva la
ricchezza dei carismi presenti nella Chiesa. L’esperienza gioachimita si pone a cavallo tra due epoche, tra
due visioni monastiche, tra due modi di meditare e mediare la Parola. Fa sintesi tra il monachesimo di
Antonio Abate e quello più di taglio Occidentale che prevedeva forme di solitudine concatenate con momenti
di vita comunitaria.
Il sogno di giustizia, di amore, di libertà e di pace che animava l’ardente speranza del riformatore calabrese
innervi anche oggi la nostra vita e trovi nella contemplazione del mistero trinitario il suo grembo fecondo e la
sua più vera espressione.