la famiglia - Liceo "Novello"

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la famiglia - Liceo "Novello"
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ELENA ROSCI
LA FAMIGLIA
Manuale di psicologia del’adolescenza
Milano, Franco Angeli, 2004
1. FAMIGLIA E SUPPORTO SOCIALE (un nuovo padre “che responsabilizza”)
2. UN FIGLIO ADOLESCENTE (“educazione autorevole” – genitori “autoritari”, “indulgenti”, “indifferenti”)
3. SCUOLA E SOCIALIZZAZIONE ( ansie e interferenze dei genitori )
4. C’E’ CONFLITTO IN FAMIGLIA? (il corpo – la stanza – i permessi – il gruppo – compiti e lavori di casa)
1. FAMIGLIA E SUPPORTO SOCIALE
[pp. 140-143]
In società come quelle del passato, più uniformi e meno differenziate in quanto a valori, punti di riferimento e stili di comportamento, i percorsi di transizione all’età adulta erano prefissati e più rigidi, le tappe da seguire chiare,
gli effetti prevedibili. L’adolescente, di fronte alla transizione all’età adulta, poteva anticiparne le caratteristiche,
adattandole a sé con una certa sicurezza (Scabini, 1995). Nella situazione attuale l’adolescente riesce a evolvere
positivamente, a costruire una sua identità, se trova una strategia individualizzata di realizzazione. Se nel passato
era premiata la capacità di adattarsi al proprio destino, “a ciò che la vita ti riserva”, ai valori della tradizione, oggi
ciò che assicura un “buon futuro” è la capacità del nucleo familiare di individuare un percorso di crescita personalizzato, esclusivo, adatto per il proprio figlio. Per far ciò i genitori mettono in relazione i talenti e le motivazioni con i
percorsi formativi e le opportunità presenti nel contesto sociale della famiglia.
Se in passato il clima familiare era volto a rendere i figli precocemente autonomi, anche fino all’espulsione, nella
situazione attuale l’obiettivo educativo è meno orientato alla separazione e più al sostegno e alla formazione di una personalità individuale. Il ruolo del padre, in effetti, si è molto modificato nel corso degli ultimi decenni, spesso diventando più evanescente, in parallelo con i
cambiamenti del ruolo della donna nel contesto sociale e familiare.
La funzione paterna, tradizionalmente, è stata intesa prevalentemente nella accezione di rappresentante del sociale, della tradizione e
come agente di separazione dall’universo domestico e materno. Questa funzione, e la corrispondente suddivisione di ruoli tra padre e
madre, è stata inevitabilmente modificata dai cambiamenti sociali e culturali.
Gli studi di psicologia dell’età evolutiva, nella descrizione del ruolo esercitato dai genitori, pongono spesso l’accento sulle capacità di attaccamento (soprattutto studiate nella relazione tra madre e figlio) e di controllo (tradizionalmente attribuite soprattutto al padre).
La separazione, quale istanza paterna, era centrale nel modello di famiglia d’inizio secolo, descritta mirabilmente da Freud, ove la madre quale custode del focolare domestico teneva il figlio con sé fino a che il padre non decideva che era giunta l’ora di portalo nel mondo
a volte spingendolo ad avventurarcisi da solo.
La madre d’oggi si muove anche nell’ambito esterno alla casa e alla famiglia come accade nella professione, nell’impegno sociale e politico, nelle attività culturali, ricreative e sportive che si affiancano alla eventuale presenza della tradizionale devozione religiosa. Per realizzare le sue aspirazioni fuori dalla famiglia la madre deve proporre precocemente al figlio una declinazione contestuale di valori
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d’appartenenza e d’autonomia. Il sostegno del processo di separazione non è più una prerogativa specifica del padre. Se egli è preso in
contropiede dalla madre che cosa gli resta di specifico? Di quali valori deve essere portatore? La latitanza del padre dalla scena educativa
e familiare è segnalata da tutti gli autori che studiano le adolescenze d’oggi come un elemento critico. Il padre è richiamato a gran voce
sulla scena educativa ma egli appare recalcitrante ed evasivo forse anche perché non è affatto chiaro che cosa ci si aspetti da lui.
Lo studio di alcuni disturbi infantili del comportamento (disobbedienza e oppositività, disattenzione. trasgressività e crudeltà), così come delle attitudini trasgressive o delinquenziali in adolescenza, mostra che solo in parte tali evenienze possono essere imputate alla mancanza di normatività paterna, intesa come capacità di controllo, sanzione e separazione. In realtà, i problemi di comportamento sono
piuttosto a carico di una carenza dei processi di riflessione e simbolizzazione e dell’incapacità dei bambini di costruire un’immagine di sé
dotata di valore.
Questi dati sollecitano la messa in campo di una posizione paterna che assuma le caratteristiche di rispecchiamento valorizzante e di aiuto ad elaborare gli impulsi. Complessivamente questa funzione può essere definita come aiuto a sviluppare una capacità di responsabilizzazione, intesa come capacità di assumersi impegni all’interno del contesto sociale, di tener conto delle conseguenze del proprio comportamento e di riparare i propri errori. Il padre diviene il promotore di un processo di responsabilizzazione che integra nell’identità adolescenziale la capacità di sentirsi in colpa, di rendere conto delle proprie azioni. di impegnarsi (mantenere un legame, un obiettivo) e di
farsi carico di qualcuno (aiutare, proteggere).
Gli adolescenti, a fronte della complessità dell’inserimento sociale, hanno bisogno, infatti, di un tutor, di una guida personale, di un
mentore o mediatore sociale, che svolga la propria funzione prima di ritrarsi al termine del raggiungimento del proprio obiettivo. È un
ruolo che la psicologia sociale attribuisce oggi primariamente ai genitori, più che a mediatori sociali esterni, i quali dovrebbero aiutare il
figlio a selezionare, fra le tante possibili, le esperienze formative ed esistenziali più adatte a prefigurare un futuro soddisfacente, studiato
ad hoc per lui.
Per svolgere questo ruolo di consulenti, di talent scout, i genitori non si propongono più come modelli da emulare o come anello di congiunzione fra passato, presente e futuro, quanto piuttosto come studiosi attenti dell’indole del figlio, della sua peculiarità (Pietropolli
Charmet, 2000). Il figlio deve essere compreso nelle sue propensioni, motivazioni, idiosincrasie e talenti per essere aiutato a scrivere il suo
romanzo di formazione. Un’autobiografia personalissima, scritta a più mani, con l’aiuto degli adulti di famiglia.
La nuova situazione socioculturale prevede che nell’educazione siano investite risorse straordinarie, sia perché un genitore resta in prima linea per una trentina d’anni (età media del matrimonio in Italia), sia per le risorse economiche, strumentali e psicologiche implicate in
un processo di tale portata. Uno dei motivi per cui le famiglie sono diventate “strette e lunghe” (hanno meno figli e li accudiscono più a
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lungo), è connesso a quanto detto: è possibile da parte dei genitori replicare più volte nella vita, in mancanza di sostegni sociali significativi, una tale impresa, con la medesima dedizione?
La media del numero dei figli per famiglia in Italia supera di poco l’unità. Noi abbiamo famiglie straordinariamente piccole, nelle quali il
clima affettivo prevale su quello normativo, il sostegno empatico, sulla premiazione o punizione in relazione al merito. I valori materni e
fraterni, di protezione e uguaglianza, oscurano le istanze paterne che, nello stile di trasmissione dei valori morali tradizionali, non trovano
una ridefinizione convincente, adatta all’oggi. Uno dei compiti più importanti della cultura attuale è la promozione di un percorso culturale di risimbolizzazione dei valori paterni, alla ricerca di nuovi modi per sostenere l’apprendimento, valorizzare il merito, aiutare i processi
di separazione e favorire l’autonomia personale. In un contesto sociale dove la versione autoritaria del padre è fortunatamente impresentabile è urgente ripensare ai valori paterni in una declinazione adatta a nuove realtà e relazioni. Non dobbiamo temere il padre padrone
del passato, ma pensare creativamente al futuro, che è già oggi. Un padre che responsabilizza, e non solo un padre che separa o sanziona,
può costituire una prima traccia per la ridefinizione del ruolo paterno, contro la tendenza a restaurare funzioni più tradizionalmente repressive, sia in ambito familiare, sia nel contesto sociale allargato. Si tratta di ridisegnare ruoli e distanze generazionali in una situazione
piuttosto confusiva.
2. UN FIGLIO ADOLESCENTE
[pp. 145-146]
*…+ I genitori sanno che il bambino non c’è più e che sta nascendo qualche cosa di nuovo. Nel corso di questo processo l’adolescente entra in conflitto con la sua immagine infantile e con i genitori che ne sono i rappresentanti. Nel conflitto con loro esternalizza i suoi conflitti
interni. Contrattare i limiti e i confini della propria autonomia personale con i genitori serve all’adolescente a reificare un sentimento di
ambivalenza, effetto del desiderio far coesistere gli opposti: perdere e non perdere la propria immagine infantile, crescere e stare fermo,
andare avanti e tornare indietro. Se nell’elaborazione interna di tale processo l’adolescente è in relazione con se stesso e con le sue limitate capacità di far decollare la nuova identità emergente, sulla scena familiare il conflitto con i genitori consente di negare le proprie
paure proiettandole su di loro. “Io me la caverei benissimo da solo” afferma il figlio, “sono loro che non vogliono, mi stanno fra i piedi,
hanno paura, mi intralciano, mi rendono schiavo”. I genitori hanno, quindi, la funzione specifica di porre dei limiti in quanto, ciò facendo,
assumono su di sé la responsabilità della paura della crescita e consentono al figlio di limitare la percezione della sua incompetenza. Per
lo stesso motivo non devono interferire eccessivamente con il suo desiderio di libertà, poiché gli impedirebbero sia di percepire le insicu-
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rezze e timori connessi al nuovo percorso di crescita sia di mettere alla prova le abilità e le competenze emergenti.
La famiglia deve sincronizzare due movimenti antagonistici: mantenere i legami, l’appartenenza, il senso della storia familiare nella sua
continuità e accettare la discontinuità sostenendo la spinta dell’adolescente all’autonomia e allo svincolo.
Nella descrizione dell’importanza della costruzione dell’autonomia la psicologia enfatizza l’importanza che i genitori abbandonino lo stile educativo utilizzato nel corso dell’infanzia. L’adolescente vuole meno controllo, meno interferenza, meno vicinanza, meno protezione.
Ma il ruolo genitoriale in adolescenza non è definito solo per via privativa: esso si qualifica anche per sue caratteristiche fase-specifiche. Si
parla di “protezione flessibile” (Scabini, 1995) riferendosi alla necessità di valorizzare gli spunti emancipativi dei figli, comprendendo al
contempo il suo bisogno di aiuto e di sostegno. Il tema è ripreso in termini diversi nella proposta di una “educazione autorevole”, in cui i
genitori discutono con i figli delle decisioni familiari ed educative, ne valorizzano il punto di vista ma si assumono la responsabilità di
prendere la decisione finale. I genitori autorevoli sono severi, ma calorosi, le regole sono flessibili, spiegate e contrattate. L’autonomia è
valorizzata, ma concessa in modo progressivo. Questo stile relazionale “fornisce al figlio un equilibrio ottimale, fra controllo/fermezza e
autonomia, offrendogli l’opportunità di sviluppare la capacità di autodeterminazione e fornendo al tempo stesso gli standard, i limiti e le
linee guida di cui lui ha bisogno” (Zani, 2003). I “genitori autoritari” ostacolano invece il processo d’individuazione del figlio imponendogli
regole predefinite. I “genitori indulgenti” sono benevoli e poco esigenti in tema di disciplina in quanto ritengono sbagliato interferire con
la libertà del figlio e porre dei limiti alla sua volontà. Ciò facendo non sono di guida e non insegnano il valore del limite. I “genitori indifferenti” dedicano poco tempo ai figli, non si interessano della sua vita sociale e scolastica, non li coinvolgono nell’assunzione delle decisioni.
In tal modo fanno mancare al figlio il sostegno e l’affetto dei quali ha bisogno (Baumrind, 1991; Grey, Steinberg, 1999).
I concetti di “separazione reciproca” e “individuazione correlata” enfatizzano l’impegno congiunto di genitori e figli, impegnati in
un’impresa comune, i cui esiti saranno decisivi per il futuro di tutti i componenti la famiglia.
3. SCUOLA E SOCIALIZZAZIONE
[p. 149]
*…+ Se nella preadolescenza le angosce materne riguardano prevalentemente i timori per la metamorfosi puberale, nell’adolescenza si
rivolgono al processo di socializzazione del figlio che si è guadagnato una certa libertà di movimento. La madre teme che, fuori dal suo
controllo, egli intraprenda condotte sociali rischiose, che entri in contatto con gruppi devianti, con sostanze stupefacenti. che si metta nei
guai evidenziando il lato oscuro della sua nuova identità.
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Abbiamo osservato che, il luogo elettivo o unico, di messa alla prova nell’adolescenza attuale, è la scuola. Non stupisce affatto quindi
che i genitori sviluppino in merito ad essa ansietà acute e specifiche. Essi credono ci sia una relazione forte, un nesso decisivo, fra il successo scolastico e l’inserimento nel mondo del lavoro del figlio, che la scuola sia la cartina di tornasole della sua capacità di affermazione e
di competizione sociale o addirittura del suo valore tout court. L’angoscia è relativa al fatto che il figlio non sia ammirato dagli adulti e dai
compagni di scuola. Per evitare tale indesiderato evento i genitori interferiscono, spesso insensatamente, nello spazio scolastico invece di
affidare al figlio stesso le sue responsabilità chiedendogli conto dei risultati. Ciò può produrre l’effetto, indesiderabile, di invadere uno
spazio molto importante per gli adolescenti d’oggi, l’unica istituzione extrafamiliare nella quale sono inseriti (Pietropolli Charmet, 2003).
4. C’E’ CONFLITTO IN FAMIGLIA?
[pp. 150-152]
I dati di ricerca, testimoniando una bassa conflittualità familiare, intercettano efficacemente lo stile relazionale prevalente nella famiglia che abbiamo chiamato “affettiva”. Una famiglia che intende proteggere i suoi cuccioli e non certo esasperarli. La conflittualità psichica
tipicamente adolescenziale non esita, quindi, in relazioni familiari particolarmente critiche. La ricerca guarda alla questione con la lente
d’ingrandimento indagandone i diversi aspetti: la natura degli episodi di disaccordo e conflitto, la loro intensità e frequenza, gli argomenti
sui quali si discute, i cambiamenti legati all’età del figlio, le differenze legate al genere dell’adolescente e del genitore (Cicognani, Zani,
2003).
I conflitti accesi ed estremi non sono frequenti. Una continua microconflittualità pervade la pubertà, mentre nella media e avanzata
adolescenza gli scontri sono meno frequenti, ma più accesi e intensi. Si discute di questioni di vita quotidiana mentre sono disattesi temi
generali di natura politica, ideologica, religiosa o sociale. Un’area di scontro importante è il corpo, che diviene il luogo elettivo dei divieti.
L’adolescente deve appropriarsene per strapparlo al controllo dei genitori, in particolare della madre, per farlo diventare un oggetto adolescenziale staccato dalla sua recente origine infantile. Le liti sull’abbigliamento, la pettinatura, l’igiene, il trucco, il cibo e il sonno, sono
connesse a questo processo.
Un’altra area di scontro è la stanza dell’adolescente, quale luogo di rappresentazione intrafamiliare dello stato di definizione del nuovo
Sé. Il conflitto sulla stanza assume spesso dimensioni estreme: l’ordine e gli oggetti d’arredamento, emblematici dello stato del processo
di individuazione dell’adolescente possono essere luogo di conflitti particolarmente intensi. L’oggetto di conflitto fase-specifico per eccel-
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lenza sono i permessi: ore di uscita; di rientro, dove si può andare dove no, con chi e a fare che cosa e così via. Alla fine dell’adolescenza
in molte famiglie è concessa una notevole autonomia su queste questioni, ma nei quattro o cinque anni che seguono la pubertà il conflitto è notevole, perché i genitori sono mediamente disposti a concedere autonomia ai figli più o meno due anni dopo rispetto a quando
questi ultimi la chiedono. I permessi sono un distillato di tutti i problemi connessi al processo di separazione-individuazione: investono, infatti, il tema dell’autonomia, della fiducia, della distanza, delle abilità sociali e, infine, del desiderio di esplorazione, di rischio e avventura.
Anche il gruppo o l’amico del cuore sono oggetto di discussione. I genitori temono l’influenza di queste nuove figure, così importanti
per i loro figli sia perché li calamitano fuori dal contesto familiare sia perché possono “portare sulla cattiva strada”.
In un quadro in cui le differenze educative fra femmine e maschi si stanno assottigliando emergono ancora dati che enfatizzano il permanere di orientamenti tradizionali. I maschi sono più spesso sgridati per i compiti e le lezioni forse perché sono meno studiosi delle
femmine, forse perché si tiene in maggior conto il loro successo sociale. Le femmine sono oggetto di maggior pressione perché facciano
lavori di casa, visite ai parenti o non escano troppo. E comprensibile, quindi, che le femmine abbiano più conflitti con i genitori. In particolare la relazione fra madre e figlia assume una tonalità particolarmente accesa: la richiesta di intimità e confidenza che proviene dalle madri è vissuta dalle figlie come intrusione della privacy e tentativo di controllo.
Le ricerche attuali convergono verso una valutazione positiva di una conflittualità moderata come supporto alla crescita: l’assenza di
conflitti denuncerebbe una carenza dei processi di individuazione dei figli, tensioni troppo accese evidenzierebbero piuttosto una difficoltà dei genitori di utilizzare uno stile relazionale adatto alla fase evolutiva in atto. A fronte del conflitto familiare, i genitori devono evitare i
due estremi della rinuncia e del disfattismo da un lato della rigidità imperniata su obblighi formali dall’altro. Gli adolescenti attuali preferiscono la soluzione del conflitto attraverso il compromesso, la contrattazione e la mediazione: una relazione fra “quasi pari” che tiene conto dell’autorità dei genitori, ma anche delle nascenti competenze sociali dei figli.
Conclusioni
La famiglia con un figlio adolescente attraversa un periodo di cambiamento profondo. L’adolescente può farsi coinvolgere completamente dagli eventi in corso, viverli, esserne assorbito e a tratti travolto. Il padre e la madre non possono concedersi questo lusso e, anche
se sono impegnati in un lavoro di ridefinizione di sé parallelo a quello del figlio, forse non più facile del suo, l’esperienza, l’età, e soprattutto il ruolo di responsabilità che ricoprono, impone loro di mantenersi lucidi e di governare il processo. Il compito prioritario e fondamentale dei genitori è testimoniare la fiducia nel futuro: che ci sarà, che varrà la pena di costruirlo e viverlo, che la felicità sta nel tener viva
questa speranza.
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