Storie di italiani allestero: Angelo Minelli, da enologo a Wine

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Storie di italiani allestero: Angelo Minelli, da enologo a Wine
Italian daily news for key players and wine lovers
di: Alice Alberti
Storie di italiani allestero: Angelo Minelli, da enologo a
Wine-Searcher
LItalia del vino vista dalla Nuova Zelanda, da un expat arrivato per
lavorare tra le distese vitate di Marlborough e oggi Wine Specialist per il
motore di ricerca Wine-Searcher
Una passione per il vino nata in famiglia, con il nonno che possedeva una piccola vigna
dove il vino si produceva per uso domestico e la vendemmia più che un lavoro era una festa.
Poi questa passione è cresciuta fino a diventare un lavoro: una laurea in Enologia e undici
anni passati tra i filari della Franciacorta. Un crescendo perfetto quello di Angelo Minelli,
33enne bresciano. Forse troppo perfetto. La voglia di rimettersi in gioco e di ampliare i
propri orizzonti lo ha portato circa due anni fa a trasferirsi in Nuova Zelanda. Dopo
unesperienza tra le distese vitate della regione di Marlborough, dove ha avuto inizio la sua
avventura kiwi, oggi è Wine Specialist per il motore di ricerca Wine-Searcher. Angelo, in
Italia avevi una carriera ben avviata e un lavoro a tempo indeterminato. Perché hai deciso
di andartene?Non è stata una scelta facile. Amavo il mio lavoro e avevo un ottimo rapporto
con i miei colleghi. Però ero arrivato ad un punto in cui sentivo la mancanza di
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un'esperienza internazionale. Nel 2014 sono stato a Melbourne in Australia, poi ho avuto
l'opportunità di lavorare per un'importante cantina nella regione di Marlborough ed è così
che sono arrivato in Nuova Zelanda. Qualè la realtà delle aziende vinicole
neozelandesi?Qui le realtà produttive sono tendenzialmente più grandi, il lavoro è
estremamente meccanizzato e specializzato e la fase di imbottigliamento raramente viene
seguita dall'azienda, ma ci si affida a centri di imbottigliamento condivisi da più aziende.
Sicuramente è un approccio più industriale, che rispecchia una tendenza comune in
Australia e Nuova Zelanda di non fare vintage, vini predisposti all'invecchiamento, ma
prodotti di pronta beva. Wine-Searcher è un motore di ricerca molto conosciuto. Com'è visto
dall'interno?Wine-Searcher ad oggi conta circa 8,5 milioni di offerte provenienti da 63,000
distributori. I nostri tecnici informatici raccolgono tutte le offerte per passarle a noi Wine
Specialist che abbiamo il compito di controllarle e inserirle nel database. Disponiamo di una
preziosa enciclopedia che comprende circa 1,000 varietà di uve, 3,500 regioni vitivinicole e
1,000 produttori. Il team di lavoro è internazionale, perché ogni Wine Specialist ha una
profonda conoscenza di regioni vitivinicole diverse, ed è un'esperienza davvero
straordinaria per me farne parte.Quali sono i vini per i quali ricevete il maggior numero di
offerte?I vini varietali di cui riceviamo più offerte sono il Pinot Nero e lo Chardonnay (circa
il 10% delle ricerche degli utenti), a seguire il Cabernet Sauvignon (circa il 6%). Varietà
autoctone, sia pur molto conosciute, come il Sangiovese e il Nebbiolo entrano nel ranking
delle prime 15 varietà più richieste. Qual'è la percezione che si ha in Nuova Zelanda del
vino italiano?Sicuramente il consumatore generico ancora non conosce bene il vino
italiano, invece quello abituale lo conosce e lo apprezza. Purtroppo la Nuova Zelanda è
piccola, la popolazione scarsa e quindi gli investimenti in promozione sono minori. Tuttavia
il prodotto italiano nell'immaginario comune è legato allo stile ed alla qualità, che gli
vengono riconosciuti ovunque nel mondo. Secondo te, cosa bisognerebbe fare per
migliorare il nostro posizionamento?Dal mio punto di vista serve maggiore progettualità e
imprenditorialità. Qui, ad esempio, i francesi si sono ritagliati una buona fetta di mercato,
sono arrivati prima e hanno investito. All'estero c'è il problema della mancanza di
un'immagine unitaria dell'Italia, che non vuol dire appianare le differenze, e che è legata a
quella famosa incapacità di "far sistema. Inoltre, quando vivi in Paesi "nuovi" come la NZ
ti rendi conto che tutto quello che per noi è normale - la storia, la cultura, la tradizione qua è davvero straordinario. Le nostre eccellenze produttive, tra cui ovviamente il vino, sono
frutto di una naturale "cultura del bello" (nel nostro caso anche del "buono"). Forse si
dovrebbe partire proprio da qui, dal non dare mai per scontato ciò che ci rende straordinari.
Per il consumatore generico e poco esperto, non credi che l'immensa varietà della
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produzione italiana possa in un certo senso "spaventare" o creare confusione?Per me
preservare e far conoscere la nostra identità e varietà viticola è un punto di forza, poiché è
parte indissolubile della nostra storia. Sono convinto che facendo squadra si possa far
conoscere i nostri vini autoctoni ai consumatori di tutto il mondo e allo stesso modo sono
pienamente convinto che il consumatore, se ben informato, non sarebbe confuso bensì
interessato alla scoperta. Potresti parlarci dei Lifestyle Brand, tendenza emergente
soprattutto in Nuova Zelanda?Il percorso che ha creato i cosiddetti vini Low Alcohol inizia
negli anni settanta negli Stati Uniti. Inizialmente quella proposta si rivelò un insuccesso
poiché quei vini vennero percepiti come poco qualitativi e naturali. Dagli anni 2000
importanti aziende australiane e statunitensi hanno ripreso a produrre vini a bassa
gradazione alcolica. In realtà questa tipologia di prodotti è ben affermata ed in costante
aumento, anche in NZ. Oggi giorno la scelta di vitigni, tecniche agronomiche, tecniche
enologiche (come ad esempio la gestione della fermentazione) ci permettono di ottenere
mosti con basso contenuto zuccherino e di conseguenza vini a basso contenuto alcolico.
Questo tipo di prodotto è molto apprezzato soprattutto dalle donne e dai giovani che non
rinunciano a un buon bicchiere di vino senza incorrere a problemi legati all'uso dell'alcol. I
consumatori la definiscono una scelta "salutista".
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