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TITOLO DISCRIMINAZIONE UDITIVA TONALE NELL’INFANTE DI 6 MESI. VALIDO PREDITTORE DELLO SVILUPPO LINGUISTICO SUCCESSIVO. ABSTRACT Introduzione. Lo sviluppo della competenza linguistico-comunicativa nel bambino pone le sue origini nella capacità innata di prestare attenzione agli stimoli ambientali e discriminare i suoni appartenenti alla propria lingua. Molti fonemi differiscono solo per dei brevi cambiamenti (entro decine di millisecondi) delle caratteristiche spettrali e temporali (Tallal, Miller et al. 1993); per cui la capacità di percepire e categorizzare i rapidi segnali uditivi propri dei suoni linguistici risulta essere fondamentale per la corretta costruzione delle categorie fonemiche e, quindi, per l’acquisizione del linguaggio (Tallal, Piercy 1973). Dalla letteratura scientifica si riscontra la presenza di anomalie nella discriminazione uditiva in bambini di 6-9 mesi di vita a rischio familiare per disturbi del linguaggio (DSL) e dell’apprendimento (DSA)(Benasich, Thomas et al. 2002, Choudhury, Leppanen et al. 2007, Leppanen, Hamalainen et al. 2012); queste stesse anomalie risultano predittive delle abilità linguistiche in età prescolare (Choudhury, Benasich 2011) e delle abilità di lettura in età scolare (Molfese 2000, Leppanen, Hamalainen et al. 2010). Pare, infatti, che i bambini con DSL e DSA presentino una difficoltà nell’elaborazione acustica delle modulazioni della frequenza fondamentale e della durata dei suoni (Tallal, Gaab 2006, Hamalainen, Salminen et al. 2013); queste difficoltà sono state evidenziate sia in presenza di stimoli acustici verbali, caratterizzati da una differenza nelle rapide transizioni (e.g., /ba/ vs /pa/), che durante l’ascolto di stimoli acustici non-verbali, caratterizzati dalle stessa velocità di transizione. Tale peculiarità consente di ipotizzare l’esistenza di un’anomalia di base nel processamento uditivo degli stimoli acustici, che sembrerebbe essere all’origine dei deficit nelle componenti fonologiche e linguistiche nei bambini con DSL e DSA. Obiettivo. Lo scopo di questo studio è indagare, nel primo campione italiano, le abilità precoci di elaborazione acustica al fine di individuare se esiste una correlazione tra tali abilità e l’outcome linguistico successivo; la recente letteratura, infatti, indica che un deficit a questo livello è in grado di predire una difficoltà nello sviluppo del linguaggio (Benasich, Choudhury et al. 2006). Materiali e Metodi. Il campione è composto da 19 bambini di 6 mesi, 10 maschi e 9 femmine; vengono considerati separatamente rispetto al campione N= 2 soggetti che presentano familiarità per DSL(Positive Familiar History, FH+).Gli infanti di 6 mesi vengono sottoposti ad un compito di discriminazione uditiva mediante la tecnica dei potenziali evento-correlati (ERP): tale metodica prevede la registrazione dell’attività elettrica cerebrale in risposta alla presentazione di stimoli acustici, anche in assenza di attenzione (applicabile, quindi, anche in bambini di pochi mesi di vita). In particolare, la risposta elettrofisiologica automatica alla percezione di cambiamenti negli stimoli acustici presentati si manifesta attraverso una specifica componente del segnale ERP chiamata Mismatch Negativity, (Mismatch Response (MMR) negli infanti). Il compito di discriminazione uditiva prevede la presentazione di coppie di toni (secondo un paradigma Oddball modificato), in cui stimoli “standard” reiterati (STD) sono intervallati da stimoli “devianti” per frequenza (DEV.F) e per durata (DEV.D); il bambino siede in braccio alla mamma all’interno di una cabina silente e ascolta passivamente questi suoni, trasmessi da due altoparlanti posti bilateralmente alla postazione. Per tutta la durata del compito (20 minuti circa), il bambino è affiancato da un operatore che gioca silenziosamente con lui e lo stimola a guardare i cartoni animati trasmessi su di uno schermo. Per registrare il segnale EEG, dal quale verrà poi ricostruita la componente ERP, viene posizionata sullo scalpo del bambino una particolare cuffietta in grado di rilevare l’attività cerebrale del piccolo; seguirà un’ attenta analisi del segnale, che attraverso procedure computerizzate di filtraggio e ottimizzazione del segnale, consentirà di ricavare la media dei potenziali registrati per ogni condizione sperimentale (stimoli STD, DEV.F, DEV.D) di tutti i soggetti del campione (grand average). Per indagare l’outcome linguistico, si programma un follow up a 20 mesi di vita nel quale viene indagato il lessico recettivo ed espressivo del bambino, che in questa fascia d’età rappresenta un valido indicatore per lo sviluppo linguistico successivo. Il vocabolario recettivo del bambino viene testato mediante il subtest Comprensione Nomi del test PinG “Parole in gioco” (Bello, Caselli et al. 2010), mentre il vocabolario espressivo viene indagato mediante il questionario LDS “Language Development Survey” (Rescorla 1989), compilato dai genitori. Risultati. Al fine di confrontare i risultati ERP al compito di elaborazione acustica eseguito a 6 mesi con l’outcome linguistico a 20 mesi, il campione N=19 viene ordinato in base al punteggio ottenuto al questionario LDS (Tabella 1) e suddiviso in riferimento alla mediana dei punteggi (49). SOG 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 LDS 0 3 14 19 27 32 41 43 44 49 51 52 55 70 90 120 121 142 159 PING / / 12 12 17 / / 19 18 / 18 18 15 20 13 14 17 17 17 Tabella 1. In evidenza, i punteggi ottenuti dal campione al questionario LDS (riportati in ordine crescente) e al test PinG; la banda arancione rappresenta la dicotomizzazione del campione in due sottogruppi in base alla mediana dei punteggi (49). Si ottengono così due sottogruppi: il primo, con numerosità N=9, riunisce tutti i soggetti con punteggio inferiore a 49, mentre il secondo, con numerosità N=8, raggruppa tutti i soggetti con punteggio superiore a 49. Vengono esclusi in questa suddivisione N=2 soggetti che presentano un punteggio LDS uguale o in prossimità della mediana (49 e 51 parole). Si è scelto di non considerare nei risultati i punteggi ottenuti dal campione al test PinG, in quanto 5 bambini su 19 non sono stati in grado di portare a termine la prova, complice il basso livello di attenzione al compito, la forte distraibilità e l’età precoce (20 mesi). A livello qualitativo è interessante notare come nel gruppo con punteggio LDS<49 siano collocati i due soggetti con punteggio minore al subtest Comprensione Nomi (12) e siano presenti quattro soggetti che non hanno completato la prova; nel gruppo con punteggio LDS>49, invece, tutti i soggetti hanno portato a termine il subtest (Tabella 1). Si riportano, quindi, i risultati ottenuti dai due sottogruppi al compito di elaborazione uditiva a 6 mesi. I grafici rappresentano il grand average, considerando l’elettrodo E13 (F5) per l’emisfero sinistro (Fig.1) ed E59 (F6) per l’emisfero destro (Fig. 2): in ciascuna delle due figure il grafico sinistro rappresenta il grand average dei soggetti con punteggio LDS<49, mentre il grafico a destra rappresenta i soggetti con punteggio LDS>49. Il segnale ERP viene rappresentato sul piano cartesiano, avente la latenza (distanza temporale tra l’emissione dello stimolo e il momento di comparsa della componente) sull’asse delle ascisse e l’ampiezza (distanza tra il picco della componente e la baseline) sull’asse delle ordinate. Si possono osservare in modo distinto le risposte elettrofisiologiche alle diverse condizioni sperimentali: lo stimolo STD in nero, il DEV.F in rosso ed il DEV.D in blu. Si riporta inoltre la Mismatch Response (MMR) calcolata come la curva differenza ottenuta sottraendo lo stimolo STD, rispettivamente allo stimolo DEV.F (MMR.F= DEV.F – STD, in verde) e allo stimolo DEV.D (MMR.D= DEV.D-STD, in azzurro). Nei grafici la polarità positiva è plottata superiormente alla baseline. Fig. 1. I grafici rappresentano il segnale ERP nelle diverse condizioni sperimentali, considerando l’elettrodo E13 rispettivamente nel sottogruppo LDS <49( grafico a sinistra) e nel sottogruppo LDS >49 (grafico a destra). Fig. 2. I grafici rappresentano il segnale ERP nelle diverse condizioni sperimentali, considerando l’elettrodo E59 rispettivamente nel sottogruppo LDS <49( grafico a sinistra) e nel sottogruppo LDS >49 (grafico a destra). In Tabella 2 si riportano le statistiche descrittive effettuate sull’ampiezza dei picchi per ogni condizione sperimentale, confrontando i due sottogruppi. Tabella 2. Statistiche descrittive riguardanti l’ampiezza dei picchi. Il codice .00 corrisponde al gruppo con LDS<49, mentre il codice 1.00 corrisponde al gruppo con LDS>49. Dai risultati emersi è possibile osservare che la differenza tra le ampiezze dei picchi nelle diverse condizioni sperimentali è generalmente maggiore nel gruppo con punteggio LDS >49. Per quantificare la differenza tra le condizioni, sono stati effettuati dei t-test per campioni indipendenti, che evidenziano delle differenze statisticamente significative per l’ampiezza del picco dello stimolo DEV.F a destra, t(15) = -2,174, p< .05 e una tendenza alla significatività per l’ampiezza del picco dello stimolo DEV.D a sinistra con t(15) = -1,887, p= .079. Nell’analisi delle correlazioni tra l’elaborazione acustica e l’outcome linguistico del campione sono stati inclusi anche N=2 soggetti FH+, ottenendo in questo modo un campione di N=21 bambini. Il coefficiente di correlazione di Pearson è stato calcolato confrontando i picchi degli stimoli DEV.F e DEV.D con il punteggio al questionario LDS; dalle analisi emerge una correlazione significativa tra l’ampiezza dello stimolo DEV.F a sinistra r(21) = .469, p< .05 e a destra r(21) = .472, p< .05 con il punteggio ottenuto dai bambini al questionario LDS. Nei seguenti grafici a dispersione si evidenzia la correlazione individuata tra l’ampiezza del picco dello stimolo DEV.F a sinistra (Fig. 3) e a destra (Fig. 4), rispettivamente rappresentati sull’asse delle ascisse, e l’ampiezza del vocabolario espressivo misurato a 20 mesi, riportato sull’asse delle ordinate. Fig. 3. Il grafico a dispersione mette in evidenza la correlazione individuata tra l’ampiezza del picco dello stimolo DEV.F a sinistra e il vocabolario espressivo dei soggetti, riportato dal questionario LDS. I pallini verdi rappresentano i 2 soggetti FH+. Fig. 4. Il grafico a dispersione mette in evidenza la correlazione individuata tra l’ampiezza del picco dello stimolo DEV.F a destra e il vocabolario espressivo dei soggetti, riportato dal questionario LDS. I pallini verdi rappresentano i 2 soggetti FH+. Si evidenzia una correlazione lineare positiva tra gli ERP registrati a 6 mesi (l’ampiezza del picco positivo in risposta agli stimoli devianti per frequenza nella finestra temporale della Mismatch Response) ed il punteggio riportato al questionario LDS a 20 mesi (numero di parole prodotte). Discussione. I risultati del presente progetto di ricerca dimostrano un’evidente abilità di discriminazione acustica nei bambini di 6 mesi, sancita dalla differenza dell’ampiezza dei picchi degli stimoli DEV.F e DEV.D rispetto allo stimolo STD. Questo dato viene altresì confermato dalla comparsa della MMR, indice elettrofisiologico privilegiato dell’avvenuta discriminazione, anche in assenza di attenzione. Dalla dicotomizzazione del campione in due sottogruppi, separati dalla mediana campionaria di 49, è possibile osservare (anche graficamente) una chiara differenza nell’ ampiezza dei picchi STD, DEV.F e DEV.D tra il sottogruppo LDS>49 ed il sottogruppo LDS<49; tale differenza, significativa a livello statistico solo per la condizione DEV.F a destra, denota una discriminazione uditiva migliore nel sottogruppo con LDS>49. Questo risultato è confermato dalla presenza di una correlazione lineare positiva tra il processamento uditivo a 6 mesi, rappresentato dalla discriminazione bilaterale degli stimoli DEV.F, ed il vocabolario espressivo del bambino a 20 mesi. Il fatto che le differenze rilevate al confronto tra i due sottogruppi e nella correlazione siano significative solo nella condizione DEV.F indica un probabile legame tra l’abilità di discriminare toni differenti per frequenza e lo sviluppo delle abilità linguistiche. I soggetti FH+ non si discostano dal trend, anche se, come da letteratura, si collocano ai limiti inferiori della distribuzione sia per quanto riguarda l’abilità di elaborazione acustica precoce che per quanto riguarda la competenza espressiva a 20 mesi, complessivamente povera. In linea con la letteratura scientifica, i risultati emersi confermano l’importanza dell’abilità di elaborazione acustica, misurata nei primi mesi di vita, come valido predittore per lo sviluppo linguistico successivo (Benasich, Tallal 2002, Benasich, Choudhury et al. 2006, Choudhury, Leppanen et al. 2007, Benasich, Thomas et al. 2002, Choudhury, Benasich 2011). Conclusione. Si auspica che questo primo risultato sia solo il primo di una serie di studi italiani ad occuparsi degli indicatori neurofisiologici precoci di rischio del ritardo di linguaggio; una maggiore evidenza in quest’ambito potrebbe infatti portare alla modificazione dell’approccio valutativo e riabilitativo attuale nei confronti dei soggetti DSL. I dati emersi da questo progetto di ricerca, confermano una correlazione tra l’abilità di discriminazione acustica precoce ed il successivo outcome linguistico, orientando la clinica verso la necessità di predisporre un approccio preventivo nei confronti di eventuali difficoltà nello sviluppo del linguaggio. Infatti, ipotizzare un trattamento precoce intorno all’anno di vita con il quale rinforzare l’abilità di discriminazione uditiva, potrebbe rivelarsi utile per incrementare le competenze linguistiche del bambino e possibilmente limitare la formazione di un successivo disturbo linguistico. Ad esempio, immaginare un training di stimolazione acustica mediante un visually reinforced conditioned head turn paradigm (HT) potrebbe aiutare i bambini con labilità nell’ elaborazione acustica a distinguere coppie di toni (differenti per frequenza fondamentale o durata) e di conseguenza allenare ed affinare precocemente le abilità di discriminazione uditiva. Questo trattamento potrebbe essere proposto dal logopedista, in contesto ambulatoriale, ai bambini a rischio di sviluppare un DSL o DSA (evidenza certificata dal fatto di avere un parente di primo grado diagnosticato e da ulteriori analisi effettuate sul nucleo familiare mediante test sul linguaggio e abilità di lettura). Di fatto, grazie all’attivazione di progetti gestiti dalla figura del logopedista, sarebbe possibile attivare una proposta d’intervento simile anche per i bambini che frequentano precocemente gli asili nido, favorendo una stimolazione preventiva in grado di ridurre il numero di soggetti con deficit nell’elaborazione uditiva che potrebbero presentare un successivo ritardo del linguaggio. Un recente studio longitudinale afferma, infatti, che un training di stimolazione acustica in bambini dai 4 ai 7 mesi di vita, consente di acquisire una maggior accuratezza e velocità nella discriminazione degli stimoli acustici (indagata mediante ERP) rispetto all’assenza di una stimolazione specifica; i risultati indicano chiaramente che l’esposizione attiva a stimoli acustici facilita la plasticità neurale, rendendo maggiormente efficiente il processo di elaborazione acustica durante quel periodo dello sviluppo dove avviene la costruzione delle prime rappresentazioni fonemiche della lingua nativa (Benasich, Choudhury et al. 2014). Un esito simile si riscontra, seppur con risultati meno evidenti, anche in seguito ad un training di esposizione passiva; pertanto, il coinvolgimento della famiglia quale contesto privilegiato per favorire una stimolazione acustica passiva e meno strutturata, potrebbe fornire comunque un valido sostegno allo strutturarsi delle abilità precoci di elaborazione acustica.