14. Lunedì 8 aprile 2013. Giovanni 10: Gesù, pastore bello
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14. Lunedì 8 aprile 2013. Giovanni 10: Gesù, pastore bello
dilaniarlo con falsi insegnamenti e depredarlo per interesse (At 20,29-31); la prospettiva di Giovanni, però, è più cristologica che pastorale. L'altra caratteristica del "buon pastore" è la sua relazione di intima conoscenza delle pecore, analoga al rapporto che intercorre tra Gesù e il Padre: "conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre" (vv 14-15). Il verbo "conoscere" pone l'accento non tanto sul sapere intellettuale, quanto sul sapere esperienziale: è una conoscenza che nasce dall'intimità e dalla comunione di vita. La prospettiva ora si allarga: non solo coloro che sono nel recinto del giudaismo, ma tutti gli uomini costituiscono l'unico gregge/popolo al quale è destinata la parola che genera comunione tra le pecore e appartenenza a Cristo unico pastore. GESÙ SI DICHIARA FIGLIO-TEMPIO DELLA PRESENZA DEL PADRE (10,22-39) Anche se la collocazione temporale è diversa - in inverno e durante la festa della Dedicazione del tempio - continua la manifestazione di Gesù per giungere al vertice dello svelamento della sua identità: egli è Figlio di Dio in comunione totale con il Padre: "io e il Padre siamo una cosa sola" (v 30). Alla domanda dei Giudei se sia o no il Messia, Gesù risponde continuando la similitudine delle pecore e ribadisce che le sue opere sono quelle del Padre; per questo esse gli rendono testimonianza, perché hanno la forza di Dio. Le opere di Gesù, le azioni e parole di rivelazione (il discorso sul pane di vita, gli episodi della donna perdonata e del cieco guarito) non sono riconosciute dai capi del popolo perché essi sono chiusi all'ascolto della sua voce. Le pecore, invece, che prestano a lui ascolto, sono certe della vita perché sono state affidate dal Padre alla custodia del Figlio e quindi nessuno potrà rapirle. Come abbiamo detto, questo primo discorso (vv 22-30) viene tenuto nel contesto della festa di Chanukka (Dedicazione). In questa occasione Gesù era di nuovo salito a Gerusalemme. La festa evocava la storia della consacrazione e del rinnovamento del luogo santo. Gesù che "passeggiava sotto il portico" del tempio sapeva che la dedicazione autentica sarebbe stata la sua propria "dedicazione" da parte di Dio. In effetti, è il Padre che l'ha consacrato ("a colui che il Padre ha consacrato": v 36). Ora, il verbo "consacrare" era stato impiegato appunto per parlare della consacrazione del tabernacolo (cfr. Nm 7,11). Il Cristo prende così il posto del nuovo tempio. La sua consacrazione si compirà al momento della passione: "per essi io consacro me stesso affinché siano consacrati nella verità" (17,19). Il secondo discorso tenuto durante questa festa (vv 31-39) è racchiuso dal tentativo di uccidere Gesù, segno del rifiuto totale di ascoltare la sua voce e capire il valore rivelativo delle sue opere. Gesù si nasconde. Ormai ha detto tutto e sa che da qui in poi il suo rapporto con gli interlocutori, rimasti chiusi alla rivelazione confermata dalle opere, sarà drammatico. Egli dovrà pagare la rivelazione della sua identità con la morte. Ma affinché sia chiaro che la morte non è la fine, ma è il dono perché la vita sia ripresa e ridonata con sovrabbondanza, andrà a compiere l'ultimo grande segno di rivelazione: la risurrezione di Lazzaro. Catechesi adulti 8 aprile 2013 Invocazione allo Spirito Rit. Spirito di Dio scendi su di noi… Spirito di Dio scendi su di noi! Vieni Santo Spirito manda noi dal cielo un raggio della Tua Luce. Vieni padre dei poveri, vieni datore dei doni, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto. O Luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la Tua forza, nulla è nell'uomo, nulla è senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai Tuoi fedeli, che solo in te confidano, i Tuoi Santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna Gv. 10: Gesù, pastore bello GESU’ BUON PASTORE (Gv10,1-21) C'è divisione tra i critici riguardo alla collocazione di questo brano, ma validi motivi conducono a ritenerlo continuazione di 9,41. Infatti il discorso rivelativo di Gesù prosegue tematicamente: il cieco scacciato dai falsi pastori entra per la porta che è Cristo ed è condotto da lui, buon pastore, alla comunione con le altre pecore. La frase "queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?" (10,21) è un'eco diretta di quello che aveva detto il cieco ai farisei: "se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo.... Dio non ascolta i peccatori" (9,25.31) e collega strettamente la narrazione del buon pastore con il contesto precedente. LA SIMILITUDINE (10,1-6) Dal punto di vista letterario il testo va ritenuto una similitudine, nella quale ci sono delle metafore (porta e pastore); le immagini vanno poi rilette nel contesto dell'Antico Testamento. Con grande solennità il testo presenta l'azione di due personaggi, il pastore e i briganti: "in verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto (aulê) delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta è il pastore delle pecore" (10,1-2). La parola "recinto" (aulê) indicava in origine l'atrio che sta davanti al tabernacolo del tempio. Le pecore sono nella tradizione biblica immagine del popolo: il tempio e la legge (recinto) erano ritenuti il recinto di protezione che dava a Israele la propria identità. Il messia veniva sovente presentato nella tradizione come un pastore che doveva camminare alla testa del suo gregge a fianco di Mosè. Le porte di accesso alla città e al tempio di Gerusalemme, anche attraverso servizi notturni, erano particolarmente custodite: "egli ha rinforzato le sbarre delle tue porte" (Sal 147,13), segno della custodia dell'intero popolo. Il salmista dirà di Dio, "il pastore d'Israele" (Sal 80,2), che egli, "custode d'Israele", "non dorme e non prende sonno" (Sal 121,4). La porta e le azioni a essa connesse, aprire e chiudere, uscire e entrare, esprimono la relazione con il popolo, relazione positiva o negativa secondo la portata dell'affermazione. Così il salmista può dire: "suo popolo e gregge del suo pascolo, venite alle sue porte nella lode, nei suoi atri (aulas) con azioni di grazie" (Sal 100,3-4). La parola "brigante" (lestês) può avere anche il significato di "capo politico" (eb. zelota) o "bandito rivoluzionario" (guerrigliero) e può indicare quella categoria di persone che all'epoca di Gesù intendevano realizzare un messianismo nazionalistico e militare. Così Gesù vuole sottolineare l'ingresso abusivo di un certo tipo di messianismo che, servendosi del popolo (= entrate laterali), aveva di mira un interesse politico ed economico. L'attitudine del pastore verso le pecore (vv 3-5) viene espressa in termini personali: aprire, ascoltare, chiamare per nome ("una per una"), condurre fuori, camminare innanzi, seguire. Questo linguaggio è usato per affermare che l'attività di Gesùpastore tende a istituire un nuovo Israele spirituale la cui nota distintiva è l'ascolto della Parola. Gesù è entrato nel tempio (capp. 7-8) e ora fa uscire, porta fuori tutti quelli che sono sue pecore, quelli che ascoltano la sua voce. Il cortile del tempio rappresenta la condizione vecchia dalla quale Gesù libera, soprattutto la condizione della "Legge"; le sue parole non hanno sapore antigiudaico, ma sono semplicemente un modo per dire tutte le condizioni di "morte" da cui Gesù salva (altrove Giovanni parlerà di "mondo"). Da notare la forza del verbo "cacciar fuori" al v 4: Gesù deve "cacciar fuori" quasi con la forza le sue pecore, perché è difficile liberarle da questo legame. Il cieco nato è il primo esempio di questa liberazione ("lo cacciarono fuori": 9,34): anche se eseguita dai farisei, in realtà quella cacciata fu causata da Gesù. E' lui che libera il cieco e gli restituisce la libertà. Nella cosiddetta purificazione del tempio (Gv 2,12-22) Gesù aveva cacciato fuori il materiale del sacrificio, immagine del popolo, restituendo a quest'ultimo la libertà e la dignità; ora viene esplicitata quella azione in chiave personale. Il Quarto Vangelo presenta la vita del credente come un nuovo esodo, il cammino di un nuovo popolo guidato da Gesù; lui è il capofila che "cammina innanzi a loro e le pecore lo seguono" (v 47). Ai primi discepoli che gli domandano "dove abiti?", Gesù aveva risposto: "venite e vedrete"; qui l'evangelista prospetta per tutti la necessità di vederlo e quindi di doverlo seguire. La sequenza vedere-seguire-conoscere indica il cammino esistenziale; per Giovanni significa diventare familiari della sua Parola, "conoscere" la sua voce fino al punto di "riconoscerla" distinguendola dalle altre voci, dagli altri suoni. Il cieco guarito ha mostrato una sapienza tale da confondere i sapienti di Israele: la parola di Cristo ha una risonanza istintiva all'interno dell'uomo, capace di vincere ogni contraffazione. GESÙ È LA PORTA (10,7-10) Gesù si presenta come "porta" per la quale entrano le pecore: "io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo" (v 9). Abbiamo detto che Giovanni sta rileggendo l'esperienza dell'esodo; finora era stato presentato l'aspetto di liberazione ("uscire e camminare") adesso è presentato il fine ("entrare per la salvezza"). Gesù è colui che fa uscire dallo stretto recinto della legge e fa entrare nel recinto del tempio del suo corpo; qui il credente si sente a casa propria, non più costretto e determinato da strutture oppressive, ha piena libertà di movimento: "entrerà e uscirà e troverà pascolo" (v 9). Il popolo non sarà più una pecora tosata dagli interessi dei gestori del tempio, di coloro che sono venuti prima di Cristo, ma sarà nutrita con abbondanza al pascolo di Cristo: "chi mangia di me vivrà per me" (6,55). Così Gesù è la porta e il nuovo recinto delle pecore: è la via, la verità e la vita (14,6) ed è venuto perché questa vita sia posseduta in abbondanza (vs 10). Gesù non garantisce la sopravvivenza, un'esistenza stanca e vuota, ma l'abbondanza della vita, già significata nel vino di Cana ("fino all'orlo") o nelle dodici ceste di avanzi della moltiplicazione dei pani. La nostra vita in Cristo è dono sovrabbondante di Dio, che sorpassa ogni attesa e ogni merito. Il giudizio che "tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati" (v 8) può sembrare pesante, ma non mira tanto a giudicare i pastori prima di Cristo, quanto ad affermare che solo Gesù è il Buon Pastore che non cerca la propria gloria, ma quella del Padre. GESÙ BUON PASTORE CHE DÀ LA VITA (10,11-18) Mentre nei versetti precedenti è stato presentato il cammino delle pecore, ora si affronta il ruolo del Pastore. Gesù non è solo la porta, ma anche il pastore che conduce le pecore a Dio. Di Gesù si dice anzitutto che è "il bello" (in greco: "ho kalos"). L'aggettivo greco kalos, però, non esprime tanto la bellezza: è piuttosto sinonimo di "vero", "autentico". Gesù dunque è l'unico vero pastore. Di questo unico pastore si dice, fino a diventare un ritornello nel brano, che "dà la sua vita per le pecore" (vv 11.15.17.18). L'autore del Quarto Vangelo, scrivendo "dare la vita per le pecore", ha inserito una variante rispetto ai sinottici; non usa cioè la preposizione "per, al posto di", come fanno Matteo e Marco, ma "per, a favore di". In tal modo si è voluto evitare ogni riferimento all'idea di "morte espiatoria" (morire al posto di...). Per Giovanni la morte di Cristo è ordinata solo al bene delle pecore, alla loro vita, e non ha una funzione di tipo vicario. Gesù è l'unico a dare la sua vita gratuitamente ed è l'unico vero liberatore; nel dare la vita egli rende presente l'amore del Padre. In contrapposizione a Gesù buon pastore ci sono coloro che non sono pastori, anche se pretendono di esserlo. Il loro agire è contrassegnato dal non amore per le pecore e quindi dal non offrire loro nessuna protezione. Essi vedono le pecore in funzione dell'interesse personale; non solo non si espongono per esse, ma se ne servono. Il tema dei ladri e dei lupi che entreranno nel gregge per saccheggiarlo sembra derivare dalla tradizione sinottica; nel discorso che Paolo fa agli anziani di Efeso, egli invita i pastori a custodire il gregge perché lupi rapaci entreranno nel gregge per