l`altro - Cinema Teatro Astra

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l`altro - Cinema Teatro Astra
Stagione
presenta
2008
2009
l’altro
inema
C
via Roma 3/B
S. Giov. Lupatoto (VR)
tel/fax 045 925 08 25
www.cinemateatroastra.it
cineforum Anno XVII
I FILM VISTI: 1 Il cacciatore di aquiloni • 2 Sanguepazzo • 3 Amore, bugie e calcetto • 4 Pa-ra-da • 5 Un amore
senza tempo • 6 Pranzo di ferragosto • 7 Il papà di Giovanna • 8 Mamma mia! • 9 Miracolo a Sant’Anna
• 10 Giù al nord • 11 Changeling • 12 The burning plain • 13 Si può fare • 14 Nessuna verità • 15 Machan
• 16 The Millionaire • 17 Solo un padre
Marzo 2009
lun 2 ore 20.45
mar 3 ore 21.00
merc 4 ore 21.15
Regia
Mark Herman
~
Interpreti
Asa Butterfield,
Zac Mattoon O’Brien,
Domonkos Németh,
Henry Kingsmill,
Vera Farmiga, Cara Horgan,
Zsuzsa Holl, Amber Beattie,
László Áron, David Thewlis,
Richard Johnson,
Sheila Hancock, Iván
Verebély, Béla Fesztbaum,
Attila Egyed, Jack Scanlon,
Rupert Friend, David
Hayman, Jim Norton
~
Anno
Gran Bretagna, USA 2008
~
Genere
Drammatico
~
Durata
93’
Ilbambinoconilpigiamaarighe18
D
opo più di 60 anni dal più grande e sistematico genocidio compiuto nell’età moderna, con sistemi
industriali ed economia di scala, è difficile dire qualcosa di
nuovo sull’Olocausto. Lo avevamo notato con Il falsario, bel
noir ambientato in un campo
di concentramento, e in fondo
ce lo aveva insegnato già
Primo Levi con Se questo è un
uomo: per entrare nelle menti
e nella pancia delle persone
serve una storia, meglio se di
genere, pur raccontando vicende vere e accadute. E così
Mark Herman ha raccolto la
lezione di questo rinnovamento, di fatto attuatosi con il
Train de vie di Radu Milheanu a cui seguì La vita è bella di Benigni, e ha portato sullo schermo il lager come
non l’avevamo mai visto. Ad altezza di bambino - e infatti non vediamo tetti e ciminiere, ma solo fumo da
lontano e terra e uniformi da vicino -, quella del figlio
del comandante tedesco che sovrintende alla struttura
di sterminio e del piccolo di otto anni con cui fa amicizia, al di là di una rete elettrificata e del filo spinato.
Diventano amici e la tragedia più grande della Storia
trova una dolcezza inenarrabile nel loro giocare a dama,
nel sorridere del bimbo tedesco ingenuo che approfitta
del fatto che il compagno di giochi non può manovrare
le pedine per tentare di ingannarlo. Si sorride con il
cuore stretto, perché c’è troppo peso in quegli occhi innocenti. Asa Butterfield cerca risposte sul perché, nella
fattoria vicina alla sua nuova casa, tutti portino questo
pigiama a righe così poco elegante. Zac Mattoon
O’Brien ritrova la gioia del gioco, ma uno schiaffo e il
“tradimento” (naturale) dell’amico di fronte all’adulto
lo riprecipita nel baratro. Il bambino con il pigiama a righe è un gioiello così come lo era il bestseller (in Italia
edito da Fabbri) di John Boyne, qui anche sceneggiatore, da cui è tratto. Lo stile, visivo e narrativo, è quello
della fiaba d’infanzia d’avventura, la ricerca del piccolo
antieroe del mistero da esplorare e risolvere e tutto è vissuto tra la sua innocenza e la colpa che macchia gli adulti, dal padre militare alla madre più ignava che ignara
(una splendida e bravissima Vera Farmiga). Delicatezza
e sensibilità lo rendono visibile a tutti - con una scelta di
grande potenza espressiva le violenze rimangono fuori
campo, la macchina da presa si ferma un muro, una porta prima - e non indulgono, però, a una catarsi consolatoria. Con l’onestà intellettuale che solo Walt Disney
aveva (chi di noi ancora non piange per la mamma di
Bambi?) questa favola nera tira le fila della Storia e del-
L’epoca nera del
nazionalsocialismo attraverso
un’amicizia infantile.
le storie, lasciando solo con la rabbia e l’impotenza lo
spettatore, di fronte all’ultima immagine dell’ultima sequenza. Provate a rialzarvi o a parlare dopo i titoli di coda. Semplicemente, non ce la farete. Da far vedere ai
vostri figli, ogni Natale. Per non dimenticare.
Boris Sollazzo - Liberazione
I
l bambino con il pigiama a righe racconta l’olocausto
con gli occhi di un piccolo ariano, mimando i valori
nazisti. E forse anche i nostri (...). È una porta chiusa
l’immagine su cui termina Il bambino con il pigiama a
righe. Che cosa accada dall’altra parte, nell’inferno che
sta al di là, è questione che riguarda l’immaginazione
inorridita dello spettatore. Il cinema lo ha condotto fino a quel limite, e ora lo lascia solo con la sua coscienza.
Tratto da un libro dell’irlandese John Boyne, il film
scritto e girato dall’inglese Mark Herman racconta la
più irraccontabile delle storie. I suoi protagonisti sono
l’odio e l’obbedienza, la burocrazia e la macchina della
morte, la razza e lo sterminio. In una parola, racconta la
Shoah, e con essa racconta l’innocenza degli assassini,
per usare l’ossimoro coniato quasi 60 anni fa da Albert
Camus, nell’Uomo in rivolta (...).
Il film di Herman capovolge il punto di vista più ovvio
e, almeno all’inizio, guarda con gli occhi dei persecutori. E poi, dentro questo capovolgimento, ne attua ancora un altro (...). Diventano amici, l’ariano e l’ebreo.
Quel che poi accade lo lasciamo allo spettatore, e al suo
sguardo pieno di sofferenza (...). Suggeriamo però che,
al di là di quel limite, c’è il cuore nero di questa storia irraccontabile, un cuore che ci riguarda tutti, ogni volta
che nutriamo la nostra innocenza di odio: di odio per
l’Ebreo, o per il Nero, oper il Rom, o per...
Roberto Escobar - Il Sole 24 Ore
Marzo 2009
lun 9 ore 20.45
mar 10 ore 21.00
merc 11 ore 21.15
Regia
Baz Luhrmann
~
Interpreti
Nicole Kidman,
Hugh Jackman,
David Wenham,
Bryan Brown,
Bruce Spence,
Jack Thompson,
John Jarratt,
Ben Mendelsohn,
Bill Hunter, Barry Otto,
Essie Davis, David Gulpilil,
Jacek Koman, Ray Barrett,
Brandon Walters,
Eddie Baroo, Tony Barry,
Jamal Bednarz-Metallah,
Max Cullen,
Arthur Dignam,
Damian Bradford,
Nathin Butler.
~
Anno
USA, Australia 2008
~
Genere
Drammatico/Sentimentale
~
Durata
165’
~
Oscar 2009 Nomination
Migliori costumi
19
Australia
A
ustralia, 1939. Sarah Ashley, un’aristocratica inglese, lascia Londra alla volta di Darwin, decisa a ricondurre a casa e al talamo coniugale il proprio consorte.
Scortata da un mandriano brusco e attaccabrighe alla tenuta di Faraway Downs, Sarah scopre con sgomento la
morte di Lord Ashley e la crisi in cui versa il ranch.
L’incontro con una terra orgogliosa e selvaggia e l’affetto
per Nullah, un orfano nato da madre aborigena e
padre inglese, la convincono a restare e a risollevare le sorti della proprietà (...). Il cinema di Baz
Luhrmann è musica per gli occhi. Tutti i suoi film,
a ben guardare, sono dei musical: Ballroom si insinuava nel mondo ortodosso del ballo di sala sconvolgendolo con un paso doble esagerato,
Romeo+Juliet si consumava in un melodramma
virato in incubo acido, Moulin Rouge si esibiva in
un rock-mélo imbellettato che guardava alla tradizione hollywoodiana e a quella indiana, mescolando in un ensamble colorato e iperreale azione,
dramma, canto e coreografie. Senza essere propriamente
un musical, accade anche in Australia che i personaggi
parlino con una canzone. “Over the Rainbow” è intonata dalla Lady Sarah della Kidman, indugia sulle labbra di
Nullah, suona nell’armonica di un contabile finalmente
sobrio, esplode nel cuore del mandriano di Jackman.
L’aria più celebre del Mago di Oz è il fil rouge di un kolossal in cui nulla è ritenuto più importante dell’amore, della cura e dei bisogni degli esseri umani (...). Mentre sulla
superficie dello schermo si agita una storia tutta cinematografica e si esibisce la materia del narrare, nel secondo
piano della visione si denuncia lo scandalo delle “generazioni rubate”, un piano governativo del Commonwealth
per assimilare gli indigeni nella dominante comunità
bianca. Dietro ai mulini a vento, l’autore australiano
“protegge” e rivela i bambini (quasi tutti meticci) sottratti alle famiglie e consegnati a istituzioni assistenziali religiose per “sbiancarne” il colore e la cultura. Dichiarando
la propria poetica imitativa, che finge di mostrare cose
mai viste, Baz Luhrmann esplora la sua terra con sentimento smisurato, smascherando i colonizzatori inglesi
che “epurarono il nero” e annullarono il tempo del Sogno
degli antenati. Uomini magici che facevano esistere il
mondo cantandolo.
Marzia Gandolfi - My Movies 2009
mio, ho voluto ricordare che anche in un mondo finito
in pezzi la vita continua e che “domani è un altro giorno”
(...)». Quel gusto discordante è il ricordo di una vergogna che si è perpetrata fino a poco tempo fa: quella della
cosiddetta «generazione rubata», bambini di origine
aborigena, spesso frutto di accoppiamenti con bianchi,
che venivano strappati alle famiglie e rinchiusi in «campi di raccolta» dove, con la debole motivazione di garantire loro un’adeguata protezione morale, venivano privati della propria identità sotto la custodia dello Stato e
Lo scandalo delle
“generazioni rubate”.
delle missioni cattoliche e forzati ad assimilare la cultura
occidentale. Questa infamia, a lungo negata dalle autorità australiane, è durata per oltre un secolo, fino ai primi
anni Settanta. Solo il 13 febbraio 2002 il premier australiano Kevin Rudd, si è dichiarato «spiacente» nei confronti di migliaia di bambini aborigeni vittime di una
crudele violenza (...). Abbiamo girato quasi tutto dal vero, fra caldo torrido e inondazioni senza precedenti, ma
io non volevo utilizzare li computer per ricreare i paesaggi. Quando l’ho fatto è stato per dare un tocco pittorico,
irreale, ad alcuni sfondi. (...)».
Claudio Masenza - Ciak
G E L AT E R I A PA S T I C C E R I A
GELATI,
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GIOVEDÌ E DOMENICA ANCHE IL MATTINO.
CHIUSO IL LUNEDÌ.
P.zza Falcone, 21
Pozzo di S. Giovanni Lupatoto - VR
tel. 340 0857766
A
ustralia racconta il viaggio geografico e interiore di
una sofisticata signora inglese, il cui marito è stato
probabilmente ucciso, che deve trasportare verso la lontana Darwin una mandria di 1500 capi, con il solo aiuto
di un rude e leale professionista di simili imprese.
Superando trappole e tradimenti, i due e un piccolo aborigeno, sempre più simili a un’improbabile famigliola
(...). Nell’arco di 165 minuti, li film cambia nettamente
di registro, passando da note grottesche a tuoni di guerra, con grande sfoggio di scenari maestosi e sequenze di
azione che riportano alla memoria Il fiume rosso di
Howard Hawks e La regina d’Africa di John Huston.
«Oggi sarebbe impossibile riproporre Via col vento, ma
spero che attraverso la mia epopea il pubblico recuperi le
stesse classiche emozioni, che possa sia divertirsi che
commuoversi. E ritrovare un po’ di speranza. A modo
Da sempre vi aiutiamo
a costruire il futuro
che immaginate.
Via Garofoli, 98
S. Giovanni Lupatoto - VR
tel. 045 8753123
fax 045 8750441
Marzo 2009
lun 16 ore 20.45
mar 17 ore 21.00
merc 18 ore 21.15
Regia
Gabriele Salvatores
~
Interpreti
Elio Germano, Filippo Timi,
Fabio De Luigi,
Angelica Leo,
Vasco Mirandola,
Ludovica Di Rocco,
Alvaro Caleca,
Alessandro Bressanello
~
Anno
Italia 2008
~
Genere
Drammatico
~
Durata
103’
Come dio comanda
A
more furente tra padre e figlio in una provincia del
Nord Italia, terra desolata ai piedi delle montagne e
tra i boschi: fabbriche, capannoni industriali, casette a
schiera, centri commerciali, immense segherie, cumuli di
alberi tagliati e accatastati. Diluvi. Cielo grigio.
Gente ignorante e brutale dalle idee storte, avviata
su quella che Fabrizio De Andrè chiamava «la cattiva strada». Il padre spesso disoccupato, violento,
prepotente, xenofobo, turpiloquente, non crede
nella libertà ma nella pistola; il figlio adolescente
cerca di somigliargli e di essere stimato da lui, si vogliono bene «di un amore torbido e oscuro».
Vivono insieme, da soli. Il padre tenta di educare il
figlio come può, come sa: lo incita alla vendetta fisica e all’opportunismo, lo comanda a scappellotti. Il
figlio lo adora, lo venera, lo imita. È loro amico un ex operaio colpito alla testa in un incidente e divenuto mezzo
matto (Elio Germano). Una lunga notte terribile, piena
di pioggia e di sangue, cambierà tutto per tutti e tre.
È una storia interiore e nello stesso tempo collettiva, che
disegna la mala disposizione di una popolazione insieme
con l’interiorità crudele o folle dei personaggi: l’effetto è
molto forte e può anche condurre a degli equivoci italiani. All’origine del nuovo film che Gabriele Salvatores ha
diretto dopo quattro anni di silenzio c’è il romanzo Come
Dio comanda di Niccolò Ammaniti, asciugato, privato di
altri personaggi, condensato sull’essenziale rapporto padre-figlio e sulla rozza brutalità di certa gente del Nord.
Filippo Timi è bravissimo nel personaggio del padre, il debuttante Alvaro Caleca impersona bene il figlio; Elio
Germano, il matto, è poco sorvegliato, ogni tanto lezioso
(ma è bello che si sia fabbricato due braccia e mani fittizie
per abbracciarsi, per accarezzarsi, e che abbia una mania
per le dive del porno televisivo). Il film duro dà a volte
un’impressione di maniera nel ritratto dei personaggi maneschi e parafascisti: ma è costruito e realizzato benissimo, con una forza grande, appassionante.
Lietta Tornabuoni - La Stampa
I
n una landa desolata del Nord-Est Italia, tra cave di pietra, case sparse e anonimi centri commerciali, vivono
un padre e un figlio. Rino Zena, disoccupato e ostinato,
educa Cristiano, un adolescente timido e irrequieto che i
compagni schivano e le ragazzine umiliano. Soli contro il
20
mondo e contro tutti, hanno un solo amico: Quattro
Formaggi, un disgraziato offeso da un incidente con i fili
dell’alta tensione e ossessionato da Dio, dal presepio e da
una biondissima pornodiva. Uniti da un amore viscerale,
Rino e Cristiano tirano avanti un’esistenza orgogliosa
che reagisce alla prepotenza del prossimo e all’ingerenza
dei servizi sociali. Una notte di pioggia e fango cambierà
Incontro ravvicinato
con i sentimenti estremi.
per sempre i loro destini. Gabriele Salvatores raccoglie
per la seconda volta la sfida di Niccolò Ammaniti.
Eppure non si tratta veramente di una sfida, piuttosto di
un completamento, di uno sviluppo, di una naturale trasposizione dalle parole alle immagini. Il regista milanese
si mantiene infatti sostanzialmente fedele al dettato del
romanzo omonimo (...). Così dopo Io non ho paura,
Salvatores gira un’altra favola nera, affollata di lupi,
agnelli e bambine col cappuccio rosso, che procede in direzione contraria e parallela dentro un cono d’ombra e
nella risonanza panica del paesaggio. Dopo essere andato
a Sud, l’autore si sposta nel lontano e mitizzato Nord, palesandolo e rivelandone i tratti spaventosi. Un luogo di
sassi e fango abitato da tre personaggi immersi in un sordo rancore nichilista, che si trascinano giorno dopo giorno tra voglia di integrazione e profonda insicurezza.
Come dio comanda descrive le ferite e le miserie di “precari” dell’esistenza sgradevoli e violenti. Una tipologia
impossibile da integrare che riesce a trasmettere lo strazio
della propria condizione umana per la verità che esprime
e che vive di espedienti in una realtà dove tutti sono diventati troppo ricchi. (...) Coniugando una tragedia privata con il non senso collettivo, Salvatores si pone il problema di come continuare a fare del cinema a partire dalla realtà e dalle sue storie, senza ricadere nell’ambiguità
morale della mimesi del reale. Imprime quindi alle immagini uno sguardo etico, che rispetta la complessità dei corpi messi in scena e degli accadimenti di cui si fanno veicolo. Quest’ordine di considerazioni si produce come volontà di guardare il prima delle vite dei tre protagonisti,
che sfocia nella tragedia quotidiana del loro durante.
Marzia Gandolfi MYmovies 2009
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Marzo 2009
lun 23 ore 20.45
mar 24 ore 21.00
merc 25 ore 21.15
Regia
Sam Mendes
~
Interpreti
Kate Winslet,
Leonardo Di Caprio,
Kathryn Hahn,
David Harbour,
Ryan Simpkins,
Ty Simpkins, Zoe Kazan,
Kathy Bates,
Richard Easton,
Michael Shannon
~
Anno
USA, Gran Bretagna 2008
~
Genere
Drammatico
~
Durata
119’
~
Oscar 2009 Nomination
Miglior attore
non protagonista
Michael Shannon
Miglior scenografia
Migliori costumi
Golden Globes 2009
Miglior attrice in un
film drammatico
Kate Winslet
Revolutionary Road
F
orse la domanda più giusta da farsi dovrebbe essere
perché questo film ha impiegato così tanto a nascere? E perché un romanzo così intenso e vero com’è quello di Richard Yates ha impiegato più di quarant’anni per
arrivare sugli schermi? Revolutionary Road il libro (in
italiano tradotto da Minimum fax) è stato pubblicato nel 1961 (...). Revolutionary Road il film
esce nel 2009 e forse la ragione vera di questo
«ritardato arrivo» va cercata negli otto anni di
presidenza Bush e nella sua capacità di rimettere
in crisi le certezze dell’american way of life.
Perché solo un pubblico che vede incrinarsi le
certezze di tutto un Paese può entrare in sintonia
con un film come Revolutionary Road (...). La
presa di coscienza che lo squallore e la rinuncia
sono condizioni «eterne» della vita quotidiana,
non certo limitate ai plastificati anni Cinquanta
in cui è ambientata la storia. Per non dimenticare che la
speranza della «seconda occasione» che l’America concederebbe a tutti è solo un sogno, e che risvegliarsene
può essere molto doloroso. Sam Mendes aveva già affrontato temi simili nel suo film d’esordio, American
Beauty, ma là tutto sembrava costruito furbescamente
perché lo spettatore potesse facilmente identificarsi
(...). Con Revolutionary Road, invece, il quadro cambia
completamente e lo spettatore non trova mai facili via
di fuga dalla tragedia che si costruisce sullo schermo e
frantuma i sogni di rinascita di Frank (Leonardo
DiCaprio) e April (Kate Winslet). Lui è un newyorkese
come tanti, lei un’aspirante attrice: la scintilla che si accende tra i due li porta al matrimonio e alla scelta di vivere in Connecticut, a mezz’ora di treno dall’impiego a
Manhattan. Dopo due figli e la conferma che i suoi sogni
d’artista sono ingannevoli, April mette a fuoco meglio
del marito la loro condizione di coppia inutilmente conformista, frustrata e abitudinaria. E gli propone di mollare tutto per trasferirsi con la famiglia in Francia. (...)
Sceneggiato con abilità da Justin Haythe ma soprattutto recitato con straordinaria immedesimazione ed empatia da DiCaprio e la Winslet (perfetti nell’aderire ai
loro personaggi di «sconfitti», nel conferire umanità e
verità), il film mette in campo uno stile insolitamente
«trattenuto» per i recenti standard hollywoodiani, raccontando le tappe di questa quotidiana via crucis (...)
con i toni un po’ vellutati e un po’ rassegnati di chi scopre sulla propria pelle l’impossibilità di qualsiasi ribellione o via di fuga. Per lasciare nello spettatore la sensazione di aver visto non solo la storia di un matrimonio che
naufraga, ma la vicenda senza tempo di un uomo e di una
donna che non hanno la forza di fare, insieme e ciascuno per conto proprio, quella rivoluzione a cui allude il titolo del film e che è la scommessa di ogni essere umano:
trasformare i sogni in realtà. Che non vuol dire semplicemente lasciare la asfittica provincia americana degli
anni Cinquanta per Parigi, ma al contrario smettere di
sognare gratis e sporcarsi le mani con la realtà. Per trasformare anche il viale di una linda villetta nei sobborghi di New York in una vera Revolutionary Road: imperfetta, ma diversa da ogni altra.
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera
21
R
evolutionary road è un film perfettamente “riuscito”;
tutto contribuisce a farne un capolavoro, dalla direzione perfettamente calibrata e funzionale al racconto, alle interpretazioni (...), fino alla partitura musicale del
grande Thomas Newman (...). Il soggetto è quello di un
romanzo di Richard Yates del 1961 (ed. italiana minimum fax) basato sull’eterno conflitto tra desiderio e ragione, sogno e realtà. Quando April e Frank Wheeler, fre-
I sogni infranti dell’America.
schi sposini, prendono possesso della loro “casettina in
periferia” nel Connecticut, tutto sembra perfetto per offrire loro quella felicità prefabbricata che è il “sogno”
americano degli anni 50. Ma giorno dopo giorno, i sogni
veri tornano a galla e si confrontano con una realtà asfittica, senza prospettive, che va stretta soprattutto ad April.
Sam Mendes (“American Beauty”) sa come scoperchiare
i sepolcri imbiancati della periferia americana, liberando
i demoni assopiti in tante casalinghe disperate e in tanti
impiegati-modello. (...) Le performance di Leo e Kate sono di altissimo livello. Alla perfezione dell’insieme contribuiscono i “secondi ruoli”: da Kathy Bates a Michael
Shannon nella parte del suo nevrotico figlio. Che ha due
scene soltanto, ma impossibili da dimenticare.
Roberto Nepoti - La Repubblica
Cucine, soggiorni, camerette, salotti,
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