Sull`autobus
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Sull`autobus
1° Classificato Pivaro Stefano Via A. De Gasperi, 26 61032 FANO –PU18. Sull’autobus Anno astrale 1.10.75 Nave stellare Enterprise. Diario di bordo del comandante Kirk. La squadra di incursori sul pianeta Noinon sta per concludere le operazioni di ispezione della superficie del pianeta, quando sul ponte di comando giunge un messaggio: -Comandante, siamo pronti per il rientro! Il comandante guarda il monitor davanti a se , poi dà l’ordine: -Signor Sulu, li faccia rientrare, teletrasporto. Come per incanto le sagome degli incursori, prendono forma e vita all’interno di un cono di luce, trasportati in un baleno dalla superficie del pianeta Noinon, fino al ponte di comando della nave stellare Enterprise. Erano i primi anni settanta, quando le Tv private trasmettevano gli episodi della fortunata serie televisiva, Star Trek. Erano i primi anni settanta, quando terminate le scuole elementari, che si trovavano praticamente sotto casa mia, a Ponte Metauro, iniziai il cammino scolastico delle scuole medie prima e delle superiori poi. Dovevo utilizzare l’autobus ogni mattina per recarmi dalla periferia dove vivevo, fino alla città, dove si trovava la mia scuola. Quanti dei miei compagni di viaggio, me compreso avrebbero voluto beneficiare del teletrasporto di Star Trek, ma tutti dovevamo accontentarci dell’autobus. Io, come già detto abitavo a Ponte Metauro e la mia zona era servita dalla linea n° 3. La linea copriva anche la frazione di Caminate e vi assicuro che all’epoca dei fatti, Ponte Metauro era periferia di Fano, quasi campagna, ma Caminate era veramente una zona rurale ed agricola. Ogni mattina, il nostro autobus, giungeva alla fermata sotto casa già traboccante di ragazzi, saliti alle fermate precedenti, Caminate, Tombaccia, Metaurilia, ognuno portava con se un odore, un rumore. Appena saliti sull’autobus, si sprofondava in una dimensione parallela, le normali leggi della fisica, qui non vigevano. I corpi ammassati, sembravano fluttuare durante la marcia dell’autobus, per poi essere compressi in curva, sballottati in frenata, catapultati avanti e poi all’indietro come l’acqua nella boccia del pesce rosso. Gli odori riempivano l’aria,inebriavano, stordivano, scandivano il passare dei mesi, delle stagioni, potevi sentire l’odore dell’erba appena falciata, l’odore dell’uva, del mosto, , l’odore della terra umida, l’odore del fuoco nel camino, l’odore della pioggia e dei vestiti bagnati, l’odore del sole sulle magliette candide appena indossate. Potevi capire quali merende si nascondessero nelle cartelle, il profumo del pane con la mortadella appena tagliata, l’odore della pizza, potevi gustare il profumo delle castagnole fritte o delle paste appena sfornate. Quaderni appoggiati ai finestrini, dove mani abili vergavano le bianche pagine , nell’intento di copiare o terminare gli ultimi compiti per casa. Interminabili litanie, brusio di voci sommesse intente a ripetere ancora e poi ancora la lezione del giorno. Giochi innocenti, o presunti tali, scappellotti al compagno di spalle, mani poco innocenti che sfioravano i glutei di qualche procace ragazzotta, mani dispettose che magicamente sfilavano astucci, diari, quaderni, dalle cartelle saldamente ancorate alle spalle di qualcuno. Poi il povero autobus, giungeva alla curva della stazione, quell’autobus che omologato per venti persone ne trasportava almeno sessanta. Con rapidi movimenti, l’esperto autista scalava le marce ed iniziava a percorrere la salita, proprio quella salita, che passa sotto le finestre dell’aula che oggi a distanza di anni mi ospita come alunno. Il ruggito del motore si levava forte accompagnato da copiose volute di fumo nero che uscivano dal tubo di scappamento. Con grande fatica l’autobus riusciva a prendere velocità in prossimità della fine della salita, davanti alla palestra Venturini. L’autista accelerava, il motore tossiva, sbuffava, ruggiva, scoppiettava. L’approssimarsi del semaforo era l’incognita di sempre, ecco…..diventa rosso. La frenata decisa ci faceva ammassare uno sull’altro, verso la prua della nostra nave stellare. Giunti in prossimità del capolinea, ognuno verificava lo stato del proprio bagaglio, verificava che la propria cartella contenesse ancora tutto, un’occhiata alle scarpe per verificare se qualcuno le aveva slacciate o legate tra di loro, se pioveva si alzava il cappuccio della giacca a vento. Poi lo strano rumore dell’aria compressa che azionava le porte ci annunciava che il viaggio era finito. Le porte a soffietto si spalancavano e l’autobus vomitava all’esterno decine di corpi trepidanti, rumorosi, colorati. Al capolinea giungevano contemporaneamente l’autobus numero tre, il numero cinque, il numero sette e tanti altri, tutti traboccanti di ragazzi, ognuno con la propria storia, ognuno con la propria memoria. Chissà se a distanza di così tanto tempo anche agli altri è capitato di ripercorrere con la memoria quei viaggi epici? L’ultima volta che ho preso l’autobus avevo quarant’anni, anche in quell’occasione c’era la marmellata di ragazzi che andava a scuola.L’autobus era nuovo, era diverso dal mio autobus, anche i ragazzi erano diversi dai miei vecchi compagni di viaggio, non c’era più l’odore delle stagioni, stavo in mezzo a loro, ma non mi sentivo parte viva di quella marmellata, orami il mio frutto era troppo maturo, ormai la marmellata mi additava come vecchio.