pag. 245-258 - XIII Legislatura
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pag. 245-258 - XIII Legislatura
Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 245 — — SETTIMA COMMISSIONE La seduta comincia alle 10,20. Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Avverto che è stato chiesto che la pubblicità della seduta sia assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito. (Così rimane stabilito). Seguito dell’audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega per l’editoria, Arturo Mario Luigi Parisi, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di editoria. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito dell’audizione, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del regolamento, del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega per l’editoria, Arturo Mario Luigi Parisi, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di editoria. Ricordo che nella seduta del 19 settembre scorso il sottosegretario ha svolto la sua relazione. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire. ANGELA NAPOLI. Signor presidente, comunico che per il gruppo di alleanza nazionale interverrà soltanto l’onorevole Malgieri. GENNARO MALGIERI. La grave crisi strutturale del settore dell’editoria, di fronte alla quale, come è stato evidenziato in Commissione e come opportunamente — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 ha rilevato il sottosegretario professor Parisi, è evidente la disattenzione delle forze politiche, impone al Parlamento una non più differibile presa di coscienza del problema al fine di affrontarlo per come merita e cioè ponendo mano ad un complessivo riassetto normativo che tenga conto del mutato quadro d’insieme e delle esigenze nuove che il mondo dell’informazione presenta. La denuncia – perché di questo sostanzialmente si è trattato, ed io così l’ho recepita – formulata dal professor Parisi dinanzi a questa Commissione resterebbe lettera morta se il Parlamento, nella riformulazione di una legge sull’editoria, non ripensasse globalmente al rapporto tra potere politico e industria culturale. In nessun paese libero questo rapporto è privo di disciplina, mentre in Italia, deprecabilmente, di tanto in tanto insorgono questioni che pongono seriamente all’attenzione il conflitto tra interessi generali ed interessi privati nel settore della comunicazione massmediale. Sarebbe auspicabile, in proposito, una riflessione collettiva che coinvolgesse imprenditori ed operatori dell’editoria a tutti i livelli, forze politiche e sociali, studiosi in una sorta di conferenza nazionale sull’informazione per dare un contributo non superficiale all’elaborazione di una predisposizione normativa atta a superare le attuali difficoltà in una prospettiva di riordino che tenga conto di tutti i settori editoriali, dai giornali ai libri, dalle pubblicazioni specializzate alla multimedialità, al diritto d’autore. In particolare, è urgente riformare la legge n. 416 del 1981 che, se quindici anni fa diede una risposta (organica, ma non immune da limiti e deficienze) alla proble- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 246 — — SETTIMA COMMISSIONE matica del settore editoriale, già dopo poco tempo risultò precocemente invecchiata. Oggi essa pone molti problemi, a cominciare da quelli connessi alla concentrazione della produzione editoriale, ad altri, non meno importanti, inerenti, per esempio, al trattamento pensionistico dei giornalisti. Nel bilancio che solitamente si fa della legge n. 416, ciò che emerge è che essa ha favorito il risanamento delle aziende ed ha agevolato il rinnovamento tecnologico. Se si può essere d’accordo senza difficoltà su questo secondo punto, non è facile esserlo sul primo: il risanamento, avvenuto con sistemi prevalentemente assistenziali oggi non più praticabili, è stato frettolosamente sperperato da molte aziende sulle quali non è stato operato il controllo necessario da parte dei Governi erogatori di contributi finalizzati al risanamento, e questo per una colpevole lacuna legislativa. Forse, anche per tale motivo abbiamo visto nascere e morire, con una indifferenza sconfinante nel cinismo da parte dei Governi, giornali che in pochi mesi si sono trasformati in veri e propri « disoccupatifici ». Nonostante la legge, la questione della concentrazione del potere informativo e del conseguente progressivo e pericoloso assottigliamento del pluralismo resta ancora in piedi. Molto spesso – ed è una sensazione che mi pare abbastanza diffusa, onorevole sottosegretario – si ha l’impressione di leggere un giornale unico leggendo i più autorevoli giornali a diffusione nazionale. Perfino nella titolazione si assomigliano, asseverando una leggenda (ma non troppo) metropolitana che vorrebbe i direttori delle maggiori testate a consulto tra loro, quasi ogni sera, per evitare l’indomani sorprese reciproche... Questo aspetto, naturalmente, attiene alla qualità ed alla fattura del prodotto giornalistico, ma potrebbe essere, come si sospetta, indice di interessi economico-finanziari analoghi che starebbero dietro le imprese editoriali. Il « giornale unico » – spesso ideologicamente (se così si può dire) ispirato a quel « pensiero unico » vagamente liberale, ma dai connotati molto — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 intolleranti, al cui centro vi è un utilitarismo egoista perfino un po’ aberrante – sembra essere accettato acriticamente. Le forze politiche, senza distinzione tra maggioranza ed opposizione, hanno, a mio modo di vedere, il dovere di reagire a questo stato di cose che comprime la libertà di espressione. Il garante, su questo punto, ha brillato per la sua assenza. Mi domando quindi se non sia il caso, nell’ambito della auspicata riforma, di rivederne ruolo, competenze e funzioni. E mi domando anche se la sua figura non sia divenuta addirittura superflua. È in questo quadro che sollecito al Governo un’attenzione non marginale e non occasionale riguardo alla cosiddetta editoria di tendenza, più ampia dell’editoria di partito propriamente detta, che al momento vive giorni non felici. Molte sono le difficoltà di questo settore, connesse ad una normativa farraginosa, di complicata interpretazione ed applicazione. Perfino gli adempimenti richiesti alle amministrazioni dei giornali sono laboriosi e nebulosi, in linea con le degenerazioni burocratiche che affliggono tutti i settori della vita pubblica. Ogni anno, con la finanziaria, viene erogato un contributo ai giornali di tendenza, ma sarebbe bene, anche per ovviare ai ritardi nell’erogazione ed evitare l’accensione di onerosissimi prestiti bancari, che il contributo avesse durata pluriennale e venisse dato a scadenze fisse. È vero che la legge n. 594 del 1995 stabilisce il rimborso di 200 lire alle imprese editrici di giornali per ogni copia spedita, ma il costo a carico delle aziende resta tuttavia rilevante: un abbonamento per la Sardegna (spedire il giornale nelle isole è più oneroso) costa, soltanto di posta, circa 83 mila lire; se si tiene conto che l’abbonamento ad un giornale di partito è inferiore a quello di un giornale « normale » di circa la metà, è facile notare come i già magri introiti vengano ad essere per questa via vanificati. Comunque, dal momento che le aziende che producono giornali di tendenza non hanno scopo di lucro, tale esosa tariffa di spedizione (che qualche anno fa – lo ricordo solo per comodità dei colleghi Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 247 — — SETTIMA COMMISSIONE – era bassissima, poi, come al solito, dovendo raschiare il fondo del barile un ingegnosissimo ministro delle poste si ricordò di questo giacimento) verrebbe pagata con maggiore levità se almeno i giornali arrivassero puntuali agli abbonati. Questo, onorevole sottosegretario, è il capitolo più dolente dell’editoria di partito. Non avendo la possibilità, per la loro natura di piccoli quotidiani, di arrivare ovunque, i giornali di partito chiedono ai loro lettori di abbonarsi: faccio notare che in molti paesi civili l’abbonamento è preferito all’acquisto in edicola; in Giappone quasi tutte le famiglie sono abbonate ad uno o due quotidiani, come se fosse una sorta di dovere sociale. Da noi, per i nostri giornali, spesso l’abbonamento viene sottoscritto per pure ragioni « fideistiche ». Le poste, infatti, non funzionano ed i ritardi nella consegna dei quotidiani sono catastrofici. Mi trovo dunque d’accordo con il sottosegretario Parisi nel sostenere che un servizio postale efficiente, prestato ad un prezzo equo, sia molto più importante di tariffe di favore a cui corrisponda un servizio inaffidabile. La situazione attuale, purtroppo, è di questo tipo: servizio inefficiente ed inaffidabile ad un prezzo iniquo. Anche a questo l’auspicata nuova normativa sull’editoria dovrà porre rimedio. Mi permetto di far notare che, a garanzia di un concreto pluralismo, il giornalismo di idee in un paese civile è essenziale. Se si dovessero spegnere le voci del dissenso, dell’invito alla riflessione e talvolta perfino ad una sana trasgressione, l’Italia correrebbe il rischio – già forte e presente, peraltro – di vedersi immersa improvvisamente nel torbido clima caratterizzato dall’omologazione culturale, dal conformismo intellettuale. Quanto il giornalismo di idee ha contribuito alla crescita civile della nazione è scritto soprattutto nelle storie delle riviste del primo Novecento, da La Voce a Hermes, dal Regno a Leonardo, da Lacerba alla Rivoluzione liberale, da Utopia all’Ordine Nuovo. Periodicamente, da parte di un settore qualunquista del giornalismo italiano, assistiamo ad attacchi feroci, beceri ed immotivati al- — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 l’editoria di partito in ragione delle provvidenze che lo Stato eroga per la sua sopravvivenza: mi auguro che le forze politiche ed il Governo non si facciano minimamente condizionare. L’altro punto che vorrei affrontare nel suggerire qualche indicazione di modifica della legge n. 416 attiene all’aspetto previdenziale in essa contemplato. Quando la legge n. 416 è stata varata, il tetto di contributi per ottenere la pensione dell’INPGI era di venti anni. Ciò a causa di un sistema di accesso alla professione che, negli anni del dopoguerra e fino alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, consentiva di sostenere l’esame e di iscriversi all’INPGI ad un’età molto elevata. Quando questa situazione di base cambiò, l’INPGI adeguò il tetto contributivo portandolo a trent’anni. Accadde così che lo « scivolo » contributivo previsto dalla legge n. 416 si estese automaticamente dai cinque anni (come per le altre categorie) fino a quindici anni, provocando situazioni di abnorme disparità: ci sono stati giornalisti che sono andati in pensione con dieci anni di contributi reali e quindici figurativi; oneri crescenti ed insopportabili per l’istituto, anche sotto il profilo della riserva obbligatoria. Un elemento fondamentale ha distinto in questi anni la previdenza dei giornalisti. Mentre per le altre categorie gli stati di crisi (contemplati appunto nella legge n. 416) vengono affrontati con ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, « scivoli » finanziati dalle aziende), l’INPGI sostiene da solo l’intero carico divenuto nel corso degli anni eccessivo a causa di un particolare elemento della legge n. 416, la quale prevede interventi non soltanto per le crisi aziendali (chiusura di una testata), ma anche per le ristrutturazioni. È accaduto e accade che aziende sanissime, quando vogliono ringiovanire le redazioni (soprattutto per risparmiare perché, ovviamente, un praticante costa molto meno di un professionista o di un inviato speciale con dieci anni di anzianità) o cambiare sistema editoriale (il che si impone pressoché periodicamente, a fronte dell’evoluzione delle tecnologie), chiedono l’applicazione Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 248 — — SETTIMA COMMISSIONE della legge n. 416 senza contribuire a sostenerne i costi, tutti a carico dello Stato. Come si può ovviare a questa situazione ? Si pone il problema di una modifica strutturale della legge n. 416 che preveda la partecipazione degli editori al finanziamento degli ammortizzatori sociali, affinché di questi non si faccia un uso improprio. Sempre nel quadro complessivo del riassetto del settore dell’editoria, un’attenzione particolare deve essere posta alla problematica del diritto d’autore, il cui aggiornamento è divenuto improcrastinabile soprattutto in relazione al recepimento nel nostro ordinamento delle direttive emanate in materia dall’Unione europea. Con il decreto-legge 22 giugno 1996, n. 331, reiterato con il decreto-legge 8 agosto 1996, n. 439, il Governo ha in qualche modo adeguato la normativa alla legge comunitaria. Ma non basta. C’è bisogno di una revisione complessiva della normativa sul diritto d’autore possibilmente con una legge delega che provveda ad aggiornare, completare e riordinare il quadro e la disciplina delle opere e dei diritti protetti a norma delle leggi esistenti e delle convenzioni internazionali; che disciplini l’uso privato e personale nel campo della reprografia e delle registrazioni sonore visive e audiovisive, in modo da salvaguardare gli interessi morali ed economici degli autori e di tutti gli aventi diritto; che integri e completi le disposizioni sul noleggio e sul prestito al pubblico di esemplari di opere o prodotti protetti; che sostituisca l’istituto del diritto dell’autore sull’aumento di valore delle opere delle arti figurative e dei manoscritti originali con un diritto a percentuale sul prezzo delle vendite delle dette opere successive alla prima alienazione; che adegui la composizione del comitato consultivo permanente per il diritto d’autore alle esigenze di una effettiva e più completa rappresentatività delle categorie e delle amministrazioni interessate, prevedendo nei casi occorrenti che lo stesso comitato possa disporre di esperti qualificati; che renda più efficace il sistema delle difese attraverso sanzioni civili e penali in ordine alla violazione del diritto d’autore e — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 dei diritti connessi, con specifico riguardo alle utilizzazioni illecite effettuabili con l’impiego delle nuove tecnologie; che, infine, modifichi, semplificando e riducendo, il regime delle formalità. Il sottosegretario Parisi ci ha confermato che in Italia, purtroppo, si legge poco. Non credo che tutta la colpa sia della televisione, come è frequentemente detto e scritto. Penso che buona parte delle responsabilità vadano ricercate nella scuola che, a quanto mi risulta, non fa molto per promuovere l’abitudine alla lettura, e con questi chiari di luna c’è chi si inventa discutibili crociate in favore della riappropriazione della « manualità »... Particolare attenzione andrebbe dedicata alla istituzione di biblioteche fin nei più piccoli centri. Ho avuto modo di raccomandare al ministro Veltroni, in occasione della sua audizione davanti a questa Commissione, la promozione di biblioteche comunali che rappresentino, come avviene in molti paesi del nord Europa, luoghi di diffusione culturale. In questa prospettiva ritengo che il dipartimento per l’informazione e l’editoria possa farsi promotore di un’intesa tra il Ministero per i beni culturali ed il Ministero della pubblica istruzione nel realizzare biblioteche in ogni comune d’Italia, dove è possibile legate in qualche modo alla scuola, alle quali il dipartimento potrebbe fornire la sua non indifferente produzione editoriale e l’assistenza per l’acquisizione di opere presso le case editrici a prezzi agevolati: buona parte dei magazzini degli editori potrebbero finire nelle piccole biblioteche piuttosto che sui banchi dei rivenditori a metà prezzo. Mi rendo conto che l’operazione avrebbe dei costi, per quanto non eccessivi, ma credo che lo Stato abbia tra i suoi compiti quello di investire in promozione culturale. Restando nel campo della promozione, mi permetto un’ultima annotazione. Il dipartimento, nel risistemare il suo panorama di pubblicazioni, per stessa ammissione del sottosegretario Parisi, piuttosto frammentario e dispersivo, dovrebbe razionalizzarlo anche secondo criteri qualitativi. Dovrebbe, cioè, dedicare un’atten- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 249 — — SETTIMA COMMISSIONE zione precipua a pubblicazioni che riaffermino, sostengano e difendano l’identità della nazione italiana. È questo un aspetto non marginale che dovrebbe essere al centro dell’azione di un Governo nella parte concernente la promozione della cultura. La conoscenza delle radici storiche e civili della nostra comunità è strettamente connessa all’acquisizione di una consapevolezza maggiore dell’appartenenza di un popolo ad un contesto che non può, in nessun modo, essere messo in discussione. La leggerezza con cui negli ultimi tempi abbiamo visto proporre ipotesi separatiste e secessioniste, estranee alla cultura italiana almeno nelle forme emerse di recente, è il segno di un fallimento storico, sul quale non intendo qui intrattenervi, nell’integrare gli italiani in un progetto comunitario nazionale. Le responsabilità della classe politica in questo dopoguerra sono al riguardo innegabili. Il Governo, anche attraverso il dipartimento per l’editoria, oltre che con l’intervento del Ministero per i beni culturali e del Ministero della pubblica istruzione, può fare molto per diffondere una certa idea di italianità, non come presupposto neosciovinista, ma quale carattere della cultura nazionale senza il quale non c’è coesione civile e sociale. PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Malgieri. Faccio presente che il collega ha parlato più di dieci minuti perché è l’unico rappresentante del gruppo di alleanza nazionale ad intervenire nella discussione. Manteniamo quindi la regola che ci siamo dati; se più di un oratore per gruppo intende prendere la parola, vi prego di rispettare il termine di dieci minuti. PIERO MELOGRANI. Innanzitutto, non mi sembra che l’argomentazione che ci è stata presentata possa essere giudicata sufficiente, perché i dati sono espressi esclusivamente in forma aggregata, mentre io vorrei prenderne visione nella forma disaggregata; vi sono cifre relative a finanziamenti concessi all’editoria, ai giornali, riportate esclusivamente, come dicevo, in — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 forma aggregata. Invito pertanto il sottosegretario a fornirci dati più analitici, altrimenti non possiamo renderci conto di quel che stiamo facendo. In secondo luogo, ho seri dubbi sulla opportunità di interventi di sostegno a favore di determinati soggetti e non previsti invece per un’intera categoria, criterio che mi sembrerebbe decisamente migliore. Nella relazione del sottosegretario Parisi si legge: « Credo che vadano sostenuti i soggetti deboli e periferici del sistema editoriale, al fine di potenziarne le capacità creative ». Io non credo sia giusto intervenire per sostenere i malati; penso debba esistere una competizione, all’interno del mercato dell’editoria, nella quale tutti si trovino in condizioni di parità; chi sarà più forte vincerà, chi è malato soccomberà. Non ritengo che il sostegno debba essere indirizzato esclusivamente o particolarmente verso questi ultimi soggetti, se non in certi casi: anche al riguardo vorrei ricevere informazioni più ampie di quelle contenute nella relazione. Tra l’altro, nella sua relazione il sottosegretario ci ha parlato del risultato della politica finora condotta nei confronti dell’editoria: il risultato è che il sistema editoriale non è riuscito né ad allargare in modo sufficiente l’area dei lettori né, quindi, ad assicurarsi sufficienti ricavi pubblicitari. È stata proposta dal collega Malgieri una conferenza nazionale sull’editoria; a questo argomento aggiungerei anche quello della stampa quotidiana. Concordo con questa idea, ma bisogna essere molto attenti perché, a meno che non siano adeguatamente preparate, questo genere di conferenze – che pure potrebbero essere utili – rischiano di trasformarsi in show inutili. Quale migliore adeguata preparazione si potrebbe avere se non sulla stampa, se riuscissimo a promuovere sulla stessa stampa il dibattito sulle ragioni per cui, per esempio, non si riesca a raggiungere un numero superiore di lettori e quindi un traguardo di diffusione dei giornali simile a quello degli altri paesi europei ? Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 250 — — SETTIMA COMMISSIONE Vi è poi la questione dell’erogazione di contributi alla stampa di partito. Ne ha parlato Malgieri, ma io dissento dal suo punto di vista. Si parla di 124 miliardi erogati all’ente poste, oltre ai 144 miliardi erogati alla stampa di partito. Anche qui mancano i dati disaggregati: vorrei conoscere i soggetti destinatari delle erogazioni e l’ammontare dei rispettivi contributi, perché il dato generale spiega solo fino a un certo punto cosa accade al di sotto di queste operazioni. Voi sapete – mi rivolgo ai colleghi e al sottosegretario Parisi – quanti quotidiani di partito escono in Europa, a parte quelli italiani ? Uno soltanto: l’Humanité a Parigi; nessun altro partito europeo ha un quotidiano (tra l’altro, giorni fa mi è capitato di vedere l’Humanité nella sala di lettura ed ho potuto verificare che si è trasformata in un bollettino parrocchiale di sei-otto pagine). Rappresentiamo quindi un’eccezione. Viviamo in una situazione di emergenza finanziaria e mi domando perché un cittadino debba finanziare la stampa degli altri partiti; credo, anzi, che questa possa essere una buona occasione di risparmio: i giornali di partito che avranno un senso continueranno a sopravvivere con le loro forze, quelli che non hanno senso soccomberanno. Oltre tutto, si tratta di finanziamenti inefficienti, visto che i partiti sono quasi tutti in crisi, e inopportuni perché fanno nascere dei sospetti sul loro vero scopo. Il sottosegretario Parisi nella sua relazione ha dichiarato che, a suo parere, un servizio postale efficiente, ad un equo prezzo di mercato, è più importante delle tariffe di favore. In teoria sono d’accordo con lui, ma in pratica, essendo casualmente un esperto di servizi postali, posso affermare che non arriveremo mai più ad avere un servizio postale efficiente per i quotidiani, ovvero un servizio che la mattina presto consegni il quotidiano al domicilio dell’abbonato (per i settimanali il discorso è diverso, perché l’attualità è minore). Infatti, i quotidiani che, per accrescere il numero degli abbonamenti con questo servizio, vogliono raggiungere il let- — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 tore nelle prime ore del mattino, si organizzano privatamente per farlo, come La stampa di Torino o il Corriere della Sera di Milano. Questo, comunque è un argomento di cui parlare in un’altra occasione, con la partecipazione anche di rappresentanti del Ministero delle poste. Il Governo ritiene si debba introdurre una normativa che favorisca nuovi e più numerosi punti di vendita per i giornali e sbocchi commerciali complementari alle edicole. È giustissimo e a questo proposito sono in disaccordo con l’interrogazione dell’onorevole Muzio, svolta proprio oggi. Chiedo però al sottosegretario Parisi se questo sistema sia realizzabile, perché sono almeno trent’anni che ne sentiamo parlare e sono trent’anni che non si fa nulla. C’è per caso un asso nella manica ? C’è qualche cosa che consentirà di superare queste difficoltà, oppure è tutto come prima ? Per caso esiste una normativa europea sul monopolio dei punti di vendita dei giornali quotidiani e della stampa in generale oppure no ? Nella relazione, poi, si ricorda che negli ultimi dieci anni il dipartimento per l’editoria ha prodotto non meno di mille titoli; tuttavia lo stesso sottosegretario ammette che l’attuale panorama delle pubblicazioni è piuttosto frammentario e dispersivo e non è indicato neanche il costo aggregato di tutte queste operazioni. Si parla anche di cinquecento filmati realizzati dal 1952 ad oggi. Sarò grato al sottosegretario Parisi se mi farà avere un campionario di almeno dieci dei filmati prodotti negli ultimi tempi, perché mi incuriosirebbe molto esaminarli per verificare se possano essere utili a scopo didattico – dato che come professore sono sempre alla ricerca di filmati utili in questo senso – oppure se, come temo, non servano a molto. Vorrei anche avere maggiori informazioni sulle pubblicazioni; ritengo infatti che, in gran parte, siano pubblicazioni di facciata che, come quasi tutte le pubblicazioni gratuite, vengono gettate nel cestino. Invito il sottosegretario a passare mezz’ora all’ufficio postale del primo piano per vedere cosa avviene nei cestoni: continuamente delle trafelate fanciulle sono co- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 251 — — SETTIMA COMMISSIONE strette a portare via quintali di posta gratuita che riceviamo. Anche Gramsci ha affermato – tutti lo citano, permettete anche a me di citarlo – che i giornali non devono essere gratuiti, altrimenti non vengono apprezzati. Il sottosegretario Parisi ha poi affermato che non pensa alla lettura dei giornali in classe ma, piuttosto, alla loro disponibilità nelle sale comuni delle scuole. Mi chiedo se ci sia un contrasto fra lei e il ministro Berlinguer, il quale mi pare avesse parlato – non in questa sede – di giornali in classe. Vorrei avere inoltre alcune delucidazioni al riguardo. Chi stabilirà quali giornali andranno nelle sale comuni ? Non sarà un’altra forma di finanziamento ai partiti ? Ci saranno tutti i giornali o solo alcuni ? Il Governo, infine, ha dichiarato di voler dedicare risorse alla nascita di nuove imprese nel settore dell’informazione; mi chiedo perché mai e in base a quali criteri. Si dice di voler combattere la colonizzazione culturale legata anche ai nuovi mezzi tecnologici. Stiamo entrando in un mercato globale anche nella cultura: via satellite già possiamo ricevere un centinaio di emittenti televisive, soltanto il 5 per cento delle quali sono italiane. Stiamo entrando in una grande competizione: anche a me farebbe piacere che dall’Italia uscisse qualcosa di valore; ho però l’impressione che la presenza italiana in questo mercato globale della cultura ci sarà soltanto se abbandoneremo i criteri assistenzialistici che, a quanto pare, continuano ad essere accettati anche da questo Governo. ELIO VITO. Signor presidente, l’intervento di carattere generale del collega Melograni mi consente di soffermarmi su alcuni punti specifici della relazione del sottosegretario Parisi, premettendo tuttavia una considerazione. Il sottosegretario ha giustamente sottolineato che il settore dell’editoria, per il quale gli è stata conferita la delega, rischia di essere sottovalutato e dimenticato nell’ambito del sistema delle comunicazioni, a causa della grande attenzione che si dedica alle questioni radiotelevisive. Ritengo quindi che tutti dobbiamo — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 cercare di lavorare e collaborare affinché si superi tale atteggiamento, visto che l’editoria e la stampa non possono essere considerate come un’attività minore. Al riguardo, va osservato che l’audizione del sottosegretario Parisi si è tenuta soltanto il 19 settembre, ultima di quelle relative ai settori di nostra competenza, anche se evidentemente non per responsabilità del sottosegretario o della Commissione (più volte sono state fissate delle date che si sono dovute rinviare). Tuttavia anche questo elemento mostra come la stessa Commissione ed il Governo rischino di assuefarsi alla tendenza a considerare secondario il settore dell’editoria nell’ambito della comunicazione. Difficilmente infatti la nostra Commissione avrebbe tollerato lo svolgimento a settembre, e non immediatamente dopo l’insediamento del nuovo Governo, delle audizioni dei ministri Berlinguer o Veltroni, mentre è stato dato quasi per scontato – da parte nostra e del Governo – che l’audizione del sottosegretario Parisi potesse essere rinviata a settembre. Fatta questa premessa, passo a considerazioni più specifiche. Per quanto riguarda le osservazioni del collega Melograni sull’esigenza di una riflessione di carattere generale sulla stampa di partito e sulle sovvenzioni che essa riceve dallo Stato, non so se in questo momento vi siano la maturità e la consapevolezza complessive per avviare un’opera di riforma radicale della legislazione in materia. Sicuramente, però, è necessario un intervento urgente sulla normativa facendo riferimento alle nuove leggi elettorali. Queste ultime, pur avendo profondamente cambiato la tecnica elettorale, tardano ad influenzare e modificare stabilmente il sistema politico e dei partiti, perché esiste ancora una legislazione di contorno (oltre a quella sulla stampa di partito, anche quella sui rimborsi elettorali o addirittura quella – che rischia di tornare in vigore – sul finanziamento pubblico dei partiti) che è tutta fondata sul vecchio sistema proporzionale. La resistenza che oggi incontriamo ad introdurre nel sistema politico e dei partiti le innovazioni necessarie e con- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 252 — — SETTIMA COMMISSIONE seguenti all’introduzione del sistema maggioritario, è dovuta anche al fatto che una serie di normative di contorno – in realtà importantissime – sono legate al sistema proporzionale e di fatto prevedono che i partiti siano impostati in base ad esso, per cui aiutano i partiti ad esistere in quanto tali e ad adattarsi alla nuova realtà mantenendo caratteristiche proprie del proporzionale. Nell’ambito della riflessione più generale che suggeriva l’onorevole Melograni, sicuramente utile, mi sembra quindi che un adeguamento sulla base della nuova normativa elettorale competa al Governo e che tutto il Parlamento ne potrebbe trarre un grande sollievo. Esistono infatti formazioni politiche e partiti che ricevono le sovvenzioni per i loro giornali solo per il fatto di avere un deputato al Parlamento nazionale, o magari al Parlamento europeo: è una realtà che non ha più ragione d’essere in base al peso elettorale attuale ed alla collocazione all’interno del nuovo sistema elettorale. Vi è poi un punto in particolare sul quale, a mio avviso, la relazione del sottosegretario Parisi è francamente omissiva. Al riguardo ci attendiamo molto di più, perché si tratta di una competenza specifica del sottosegretario che è di grande attualità e per la quale non ci si può limitare ad un accenno in poche righe: mi riferisco al referendum per abrogare l’ordine dei giornalisti. Quest’ultimo appartiene a quel sistema di regole che in qualche misura investe la competenza del sottosegretario Parisi. Su tale referendum, nel giro di pochi mesi, i cittadini saranno chiamati a decidere, per cui bisogna capire quale sia la posizione del Governo al riguardo. Non vorremmo, infatti, che ci si limitasse ad uno scontro fra i promotori del referendum e coloro che sono impegnati nella difesa corporativa dell’ordine, senza la necessaria attività di intervento e di mediazione della politica, nell’ambito della quale dovrebbe essere chiarita la posizione del Governo. Deve essere chiarito cioè se il Governo ritenga di doversi esplicitamente collocare a tutela di interessi corporativi, o se invece intenda assumere una propria — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 posizione su una problematica che diventerà di clamorosa attualità fra qualche mese. Credo comunque che non sia tollerabile la sottovalutazione (o un silenzio come quello cui assistiamo) di una tematica che è già di grande attualità fra gli operatori, rispetto alla quale, come forze politiche e come Parlamento, siamo chiamati ad assumere una posizione. Concludo con un punto specifico della relazione del sottosegretario Parisi, che forse rischia di rappresentare un piccolo mistero o di alimentare una serie di polemiche: le convenzioni con le agenzie di stampa. Condivido l’impostazione del collega Melograni, secondo la quale bisogna superare una certa tendenza a considerare questo come un settore che vive di provvidenze garantite vita natural durante, grazie ad una impostazione sostanzialmente assistenziale e non di promozione e sviluppo: il discorso riguarda naturalmente anche le agenzie di stampa e le loro convenzioni. Da questo punto di vista, però, se sono necessari interventi, l’unica strada è quella di provvedervi pubblicamente e con chiarezza, esponendoli nella sede propria della Commissione. Facendo riferimento alla relazione che il sottosegretario ha consegnato alla Commissione, il piccolo mistero è rappresentato dal fatto che, con riferimento ai servizi prodotti dalle agenzie cui ricorre la pubblica amministrazione, alla fine della pagina 16, si sostiene semplicemente: « Gli oneri globali annui ammontano a circa 84 miliardi di lire » ; vi è poi una strana pagina 16-bis, con un altro carattere di stampa (evidentemente quindi aggiunta successivamente), nella quale, con poche righe generiche, si fa intravedere la possibilità che queste prestazioni vengano riviste e che vi siano tagli. Questo modo di impostare la questione, con una paginetta chiaramente aggiunta (anche se non vi è nulla di male nell’integrare una relazione), non è condivisibile: o si tratta di un problema centrale, ed allora il sottosegretario deve chiarire in Commissione in che modo si intende rivedere le convenzioni, quali tagli si vogliono eventualmente operare, quali modifiche strutturali si vogliono in- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 253 — — SETTIMA COMMISSIONE trodurre a modifica dell’approccio complessivo, fondato su una certa impostazione assistenzialista del settore dell’editoria, oppure le poche righe introdotte con la paginetta aggiuntiva certamente non servono alla Commissione (oltre ad aver causato preoccupazione nelle agenzie). Anche in questo caso, tutto rischia di risolversi in una difesa dei diritti acquisiti degli operatori nei confronti del Governo, senza che il Parlamento ne sia investito e possa dare un utile contributo. Siamo quindi molto interessati a capire cosa significhino le poche righe aggiuntive cui facevo riferimento, sulle quali il sottosegretario, in sede di replica, dovrebbe fornire chiarimenti alla Commissione, specificando quali sono le attuali iniziative e quali sono gli intendimenti, naturalmente anche in relazione alla manovra finanziaria. Un intervento sulle convenzioni è probabilmente legittimo e necessario: tuttavia, ci riesce difficile condividere che avvenga in questo clima ed in questo modo, perché si determina così un’ondata di critiche generalizzate e diffuse nei confronti di quelli che possono sembrare generici (quindi incomprensibili ed ingiustificati) tagli nei confronti delle agenzie, che svolgono – come sappiamo – una funzione delicatissima e vitale nel sistema dell’informazione. Su questi punti attendiamo di ascoltare la replica del sottosegretario Parisi, il quale forse non sa che, in base ad una bozza di circolare del Presidente Violante, rischia di avere un rapporto privilegiato con la nostra Commissione; se non vado errato, infatti, le competenze riguardanti la comunicazione e l’informazione saranno della I Commissione mentre quelle relative al settore dell’editoria saranno della nostra Commissione. In ogni modo, indipendentemente dall’esito che avrà la circolare (sulla cui impostazione vi sono già opinioni espresse unanimemente nella Conferenza dei capigruppo, in Commissione e in Assemblea), vi potrà essere una continuità di lavoro nella nostra Commissione sul settore dell’editoria: vorrei quindi che ciò possa essere visto dal sottosegretario Parisi come un piccolo elemento — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 di privilegio nei rapporti con la nostra Commissione, affinché nessuno (né noi, né il Governo) sia disposto mentalmente e psicologicamente a considerare audizioni come quella odierna un adempimento necessario (di cui occuparsi a margine, alla fine di settembre e alla ripresa dei lavori parlamentari), e non invece un aspetto importante e qualificante dell’attività di Governo e parlamentare. GIUSEPPE ROSSETTO. Ho seguito attentamente la relazione del sottosegretario Parisi e ho immediatamente ricordato che il PDS e l’Ulivo, nel corso della campagna elettorale, hanno fatto molte assicurazioni sul libero mercato, sostenendo che lo Stato deve intervenire il meno possibile nella vita dei cittadini e nell’economia. Nella relazione lei sostiene che il settore è caratterizzato da una grave crisi strutturale e da una disattenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica. Sono molto preoccupato, perché si tratta di un settore che è stato molto seguito – a livelli addirittura esagerati – sia dalle forze politiche sia dalle istituzioni; i colleghi che sono stati presenti nella scorsa legislatura forse ricorderanno che in aula abbiamo trascorso il 70 per cento del nostro tempo occupandoci di esso. Questo è un primo motivo di preoccupazione da parte mia. Sono un liberista convinto (per cui svolgo il mio intervento a titolo personale) e mi preoccupa il fatto che nella sua relazione si affermi che il Governo ha il dovere di favorire lo sviluppo di imprese innovative, in un quadro in cui sia garantito il massimo pluralismo. Garantire il massimo pluralismo vuol dire garantire assistenza a pioggia a tutte quelle imprese considerate dal Governo positive per questo pluralismo. Ciò è a mio avviso inaccettabile. Continuiamo a mantenere nel settore delle aree di non sviluppo, delle aree di inefficienza che non hanno eguali in nessun altro comparto dell’economia italiana. Nella relazione lei ha evidenziato quattro profili: il sostegno alla produzione, con l’erogazione di contributi alla stampa e all’emittenza radiofonica e televisiva; il di- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 254 — — SETTIMA COMMISSIONE ritto d’autore; il soggetto produttivo, sia come editore sia come committente (anche qui vi sono finanziamenti a pioggia); l’acquirente di servizi. Per quanto riguarda il primo punto, sono anch’io assolutamente contrario allo stanziamento di contributi per la stampa di partito. Se i partiti vogliono pubblicare i loro giornali, che lo facciano senza chiedere i soldi ai contribuenti. Tra l’altro, mi sembra che lo scopo sia anche quello di mantenere in vita una casta di cui forse molti hanno paura, quella dei giornalisti. Tutto questo sistema di contribuzioni mantiene in vita artificialmente una serie di imprese che per la maggior parte danno lavoro ai giornalisti, che sono difesi da colleghi presenti nelle istituzioni (qui ne abbiamo parecchi: se mi guardo intorno ne vedo in tutte le forze politiche). Considero assolutamente scorretto, in un’ottica liberista, questo tipo di situazione. Perché questo settore deve avere dei favori che altri comparti non hanno ? Ripeto, in un’ottica di libero mercato ciò è assolutamente inaccettabile. L’unico aspetto che invece accolgo con grande favore (e che nessuno ha sottolineato) è l’intervento a favore dell’editoria periodica per non vedenti. È auspicabile che lei ci fornisca maggiori dettagli al riguardo, per capire se i 900 milioni stanziati siano sufficienti oppure possano essere incrementati, sottraendo fondi magari alla stampa di partito. Non so quanti non vedenti esistano in Italia e quali esigenze essi abbiano a livello di comunicazione e di informazione. Altri punti della relazione, come quello relativo ai rimborsi postali, mi trovano totalmente contrario. Vorrei richiamare brevemente l’attenzione sul discorso relativo alle emittenti radiofoniche e televisive. Anche in questo caso, si finanziano le emittenti radiofoniche e televisive locali da sempre, e non ci si rende conto che esse fanno pochissima informazione rispetto ai loro ascolti. Non dobbiamo infatti dimenticare che non è sufficiente proporre informazione; occorre poi che l’informazione sia ascoltata. Sarebbe dunque auspicabile che anche a tale — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 proposito lei fornisse un elenco completo delle emittenti che ricevono i finanziamenti, affinché sia possibile valutare se anche a livello editoriale le emittenti abbiano diritto a questi finanziamenti. Cito il caso di Retemia, una rete che – lo so per certo – riceve finanziamenti e, al di là degli ascolti che sviluppa, anche a livello editoriale, non mi sembra meriti di riceverne; è infatti una televisione che si occupa di televendite di pentole e di film porno. Questa è un’area molto critica per l’editoria italiana, perché è la vera area che va contro lo sviluppo della stampa. L’area dell’emittenza locale radiofonica e televisiva, mantenuta artificialmente in vita anche da questi contributi, drena risorse al sistema della stampa locale; non è, come sostiene gran parte della sinistra, la televisione nazionale a drenare risorse alla stampa locale. Si tratta di un’area critica che i Governi passati e quello attuale continuano a contribuire a mantenere in vita, erogando peraltro finanziamenti alla stampa perché essa stessa resti in vita, quindi creando un settore completamente artificiale e senza alcun legame con la realtà economica del paese. Arriviamo alle agevolazioni di credito all’editoria. Mi chiedo per quale ragione chi costruisce orologi non debba godere delle agevolazioni di credito di cui usufruisce chi si impegna nel settore dell’informazione. Anche in questo caso, sono totalmente in disaccordo. Per quanto riguarda le edicole, condivido le osservazioni del mio collega Melograni e sono totalmente contrario a quanto ho sentito affermare da Muzio poco fa, nel corso dello svolgimento di una sua interrogazione al riguardo. Si subisce sempre la lobby degli edicolanti: da trent’anni questi signori bloccano qualsiasi tentativo di sviluppo della distribuzione dei giornali. Non capisco perché i giornali non si possano vendere nei supermercati, dove tutti gli italiani si recano almeno due volte alla settimana. Questo è inspiegabile. Perché non liberalizziamo la vendita dei giornali ? Qual è il problema ? La lobby degli edicolanti. Non è possibile che una massaia vada al supermercato e non possa acqui- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 255 — — SETTIMA COMMISSIONE stare un giornale. È una cosa veramente arcaica. Per quanto riguarda il diritto d’autore, l’intangibilità della proprietà dell’opera di ingegno va assolutamente tutelata. Nella scorsa legislatura vi furono episodi quantomeno controversi, perché tutti i partiti politici erano a favore di questa tutela ad esclusione del momento in cui l’artista doveva prestare l’opera di ingegno per le proprie feste di partito. Ricordiamoci allora che la tutela dell’opera di ingegno è sacra ed è giusto pagare l’artista anche quando si reca alle feste di partito. Perché alle feste di partito non si deve pagare l’opera di ingegno, di qualsiasi artista ? Chiedo infine al sottosegretario Parisi di fornirci l’elenco completo delle stazioni radiofoniche e televisive che ricevono le produzioni della RAI per gli italiani all’estero. Occorre infatti procedere ad un’analisi profonda, non solo sulle emittenti che ricevono queste produzioni, ma anche sugli ascolti che le emittenti sviluppano, perché dobbiamo chiederci se questi soldi li spendiamo bene. Un paio di anni fa ho visto degli elenchi grotteschi (che non so se nel frattempo siano cambiati): tre emittenti in FM a San Paolo del Brasile, pagate per trasmettere. Quanti italiani ci sono a San Paolo ? Quanti italiani ascoltano queste trasmissioni ? Concludo a questo punto il mio intervento, avendo utilizzato tutto il tempo a disposizione. GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei evitare una discussione ideologica tra chi è per il mercato e chi è contro il mercato, perché potrei rispondere con una battuta che ho sentito: « Sosteniamo la libertà del mercato e, dunque, chiediamo la chiusura del più grande numero di imprese nei prossimi mesi ». Ma non è una contraddizione un po’ mortale chiedere la libertà e la chiusura di numerose imprese in un settore che non produce calze ma qualcosa che attiene all’articolo 21 della Costituzione, alle forme della libertà dell’espressione, al mutare delle condizioni tecnologiche, che non sono più quelle della Carta costituzionale ? E parliamo di un mercato — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 che si è formato non su Marte, per così dire, ma concretamente negli anni settanta e ottanta, un mercato dove – non so quante libere imprese abbia visto l’onorevole Rossetto – mi risulta che molte imprese assistite chiedano la libera impresa. È un fenomeno ormai tradizionale: se vi è un settore che, per certi aspetti, è stato diretto e statalizzato nella sua forma pubblica e privata, questo è quello pubblico e televisivo. Onorevole Rossetto, paradosso per paradosso, il conflitto di interessi si pone, in politica, per i giornalisti, per i farmacisti, per i funzionari di impresa. Credo, quindi, che dobbiamo liberarci di questo tipo di schemi che non portano da nessuna parte e che non giovano ad una discussione seria sul settore editoriale, certamente in crisi anche per colpe sue ma che attende dal 1981, dopo la legge n. 416, un minimo di attenzione alle questioni strutturali, sulla qualità, sulle debolezze dei giornali, sul grande « giornale unico », che rischia di realizzare il trasferimento del « pensiero unico », qualunque esso sia, di cui parlava l’onorevole Malgieri. Fosse di destra, di centro o di sinistra, a me non piace il « pensiero unico » perché determinerebbe impaginazioni identiche, quindi sarebbe un elemento illiberale. Dobbiamo ragionare seriamente su come si è formato il mercato. L’editoria, così come si è configurata oggi, è figlia di una serie di scelte attuate, per cui non è che ogni volta possiamo fare un dibattito sul fatto se sia vero o meno che il nostro sistema radiotelevisivo è unico in Europa e che altrettanto unico è il trasferimento del 92 per cento delle risorse. Si tratta di calcoli fatti in sede europea, discussi e accertati. Possiamo ragionare quanto vogliamo sulle debolezze del sistema della carta stampata ma non facendo finta di nulla, perché non serve a niente. Sarebbe come continuare a dire che i giornali inglesi sono più seri rispetto a quelli italiani che parlano soltanto di scandali: basterebbe andare due o tre volte in Inghilterra per capire che non è proprio così. Questo per dire che parliamo di una realtà molto più complicata. Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 256 — — SETTIMA COMMISSIONE Saluto con soddisfazione il fatto che, per la prima volta, la Commissione dedichi, alla presenza del sottosegretario Parisi, un’attenzione estrema al tema dell’editoria. Lo ringrazio per il suo intervento e mi auguro che il Governo – questo e gli altri che verranno – individui una figura precisa, con delega ancora più ampia, su questo tema. Infatti, possiamo girarci attorno, ma il sistema della comunicazione risulta centrato, per come si è formato, su due colossi televisivi: Mediaset e RAI. Se io e il collega Vito cominciassimo adesso a giocare su un qualunque nome di protagonista televisivo, creeremmo l’evento per i giornali di domani mattina. Nella discussione sull’assetto del sistema editoriale, sul libro, sulla carta stampata, vi è un elemento culturalmente diverso rispetto alla riflessione che facciamo sulla TV, quello della mediazione, che è completamente sparito e che non è trasferibile soltanto agli editori. È un meccanismo di cui siamo parte. Credo che su questo dovremmo ragionare, non solo dare le colpe agli altri. Tutti abbiamo sottolineato l’opportunità di affrontare il problema della distribuzione, ma ricordo all’onorevole Rossetto che in Commissione eravamo tutti d’accordo sulla sperimentazione; però, nonostante la responsabilità collettiva, non siamo riusciti ad approvare una proposta di legge che recepiva, finalmente, una intesa tra editori ed edicolanti, che certo non stava a noi riaprire. Ebbene, di quel provvedimento non se ne fece niente perché – parlo di me stesso, non mi permetto mai di accusare gli altri – era a tutti evidente che stava in fondo alla nostra agenda, riguardando non l’etere ma la carta stampata. Dunque, iniziamo a fare cose concrete in questo settore. Considero importante la proposta avanzata dal collega Malgieri e, se non sbaglio, ripresa anche dal collega Melograni, di una conferenza nazionale del settore, altrimenti si rischia sempre di trasferire la riflessione sul libro e la carta stampata all’interno del riassetto del sistema radiotelevisivo. Dobbiamo invece ragionare, più ampiamente, del libro, dell’editoria, della biblioteca, dell’archivio e di tutta — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 l’idea della memoria, che non è solo quella radioteletrasmessa. A me sembra, quindi, che la proposta di una conferenza nazionale di settore sia da accogliere, da porre in calendario, anche perché potrebbe essere quella la sede in cui presentare la riforma della legge n. 416. E poiché mi è parso di capire che Melograni ci invitasse a non farne una sorta di conferenza-circo, la predisporrei sulla base di dati e di relazioni. Ripeto, credo che questa conferenza potrebbe essere l’occasione per discutere la relazione sulla riforma della legge n. 416 e il tema della distribuzione, nonché per fare il punto sul ruolo del sottosegretariato e del dipartimento. Immagino, in pratica, una sorta di stati generali sul problema dell’editoria, del libro e dei giornali che affrontino il problema non solo dal punto di vista del dibattito teorico ma anche da quello delle norme, essendo queste che a noi mancano. Infatti, sappiamo tutto sulla qualità dei direttori ma niente sulle misure strutturali da assumere per poter poi criticare, cioè per poter dire, finalmente, che siamo a posto, che abbiamo creato le condizioni strutturali, per cui, a questo punto, « chi vivrà vedrà ». Le pari opportunità non esistono in un mercato « drogato », qual è quello attuale: se oggi pongo il problema di chiudere i giornali di tendenza, non compio un’azione liberale ma un’azione che chiuderà le radio comunitarie, compresa Radio Radicale, le televisioni comunitarie e una serie di giornali. Ma a favore di che ? Dunque, solo dopo aver rifissato le regole si potrà dire: « Adesso, chi ce la fa, ce la fa ». Sarebbe sbagliato pensare che per il prossimo ventennio questo paese possa avere meccanismi d’assistenza. Bisogna prima rifissare le regole, poi decidere come si svolge la competizione, che non si può fingere di riaprire in una situazione « drogata », perché sarebbe rischioso. Chiedo, quindi, se il sottosegretario Parisi pensi di intervenire sul disegno di legge Maccanico con una relazione dal punto di vista dell’editoria, perché all’interno di tale provvedimento si discute dell’authority e degli indici di affollamento pubblicitario. Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 257 — — SETTIMA COMMISSIONE Su questi ultimi le tesi sono molto contrastanti: l’onorevole Rossetto, per esempio, ritiene che non incidano, mentre numerosi altri esperti, sia europei sia nazionali, non solo nel settore degli editori ma anche in quello dell’audiovisivo, dicono invece che non è vero, che indici molto forti incidono perché chiudono il mercato. Ripeto, sul disegno di legge Maccanico mi interessa il punto di vista del sottosegretario Parisi sotto il profilo degli interessi dell’editoria in rapporto all’authority ed agli indici di affollamento pubblicitario. In merito alla riforma della legge n. 416, vorrei conoscere i tempi di lavoro. Mi permetterei di sottolineare, raccogliendo alcune indicazioni dell’onorevole Melograni, che non possiamo rifare una nuova legge 416 con il famoso emendamento « ammazzadebiti » del 1981, rinnovato nel 1987. Bisogna scegliere criteri di altra natura: forse, bisogna lavorare più attentamente sulle tariffe postali, che sono molto alte e non competitive, soprattutto per le aziende più piccole, e sull’innovazione tecnologica, verso la quale la legge del 1981 ebbe il pregio di spingere i nostri quotidiani e periodici. Ora vi è uno stato di stallo, per cui mi chiedo se la legge n. 416 non debba essere legata all’innovazione tecnologica. Chiedo se, in questa direzione strutturale, siano previsti incentivi, non in denaro, alle nuove forme proprietarie. Se vogliamo superare la vecchia tradizione del giornale puramente di partito o di tendenza, non possiamo non considerare che nell’ultimo ventennio si è sviluppata – penso al nord del paese, ma non solo – una editoria associativa molto ricca e molto presente, la quale non è vero che chieda soldi sottobanco. Chiede cose molto più semplici: tariffe postali trasparenti ed adeguate, quindi di non essere penalizzata ad ogni finanziaria con tariffe postali che la strangolano; di essere riconosciuta come settore non profit. Come ha sottolineato poco fa l’onorevole Vito, si dice che la finanziaria tagli del 30 per cento il settore editoriale e che, in qualche modo, elimini addirittura la pluralità delle agenzie. Chiedo al sottosegreta- — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 rio Parisi: nella finanziaria che tagli sono stati definiti per il settore editoriale ? È confermata, trattandosi di un punto delicato, la pluralità delle agenzie ? Saranno confermati i servizi del settore radiocomunitario o delle radio di servizio (penso alla stessa Radio Radicale) oppure saranno eliminati ? Ripeto, in questi giorni vi è stato un grande allarme a seguito di voci secondo le quali siamo in presenza di una finanziaria che attua tagli sull’intero settore. Mi interessa capire se ciò corrisponda al vero. Ricordo che in sede di approvazione del disegno di legge finanziaria dello scorso anno, a seguito della questione di fiducia posta dal Governo, risultarono respinti gli emendamenti condivisi da tutte le forze politiche. Quella di quest’anno, quindi, sarebbe la seconda finanziaria a non dare un segnale nei confronti del mondo dell’editoria. Quanto alla questione relativa all’ordine dei giornalisti – lo dico al presidente della Commissione – potrebbe essere a mio avviso molto utile iscriverla all’ordine del giorno. Esistono al riguardo posizioni diverse: io illustrerò la mia. Non credo ai miti; ritengo che siano due gli aspetti di interesse pubblico nel campo della comunicazione: le modalità di accesso alla professione giornalistica e la deontologia, cioè la tutela dei cittadini, le garanzie. Non mi interessa che tutto ciò vada sotto la denominazione di ordine od altro; mi interessa che le due funzioni rimangano saldamente come elementi di interesse pubblico, che non siano delegate semplicemente ad un rapporto di tipo diverso, perché ritengo che ciò sia fondamentale. Alcuni sono favorevoli all’abrogazione, altri alla conservazione; io sono contrario a mantenere in vita gli istituti così come sono. Vorrei dunque che si aprisse la discussione, perché ritengo che sarebbe di grande interesse; credo che dovremmo verificare la possibilità di confrontare i progetti, le differenti posizioni. L’ultima questione sulla quale intendo soffermarmi è quella della delega alle regioni, tema che spesso non viene affrontato. Come i colleghi sanno, spesso in materia di telecomunicazioni, come di edito- Atti Parlamentari XIII LEGISLATURA Camera dei Deputati — 258 — — SETTIMA COMMISSIONE ria, le poche volte che le regioni hanno provato a legiferare si sono aperte grandi polemiche con i rispettivi TAR. Vi sono alcune leggi regionali, in tema di editoria e di stampa, che riguardano il problema delle tariffe, l’acquisizione dei locali, l’innovazione tecnologica; nel settore talune regioni hanno realizzato esperienze. Chiedo allora al sottosegretario: ritiene possibile promuovere, nei tempi più brevi, un incontro fra le regioni che hanno elaborato quelle leggi regionali, avere un rapporto su come esse stanno funzionando, esaminare la materia anche sulla base dei suggerimenti dell’onorevole Melograni ? Quelle normative servono solo per elargire finanziamenti a pioggia o hanno introdotto elementi di apertura, di innovazione ? Non lo so. Riguardano solo i quotidiani, o non è il caso di verificare se tutta la parte dell’editoria – sia di tradizione (non solo locale), sia di specializzazione – sia ricompresa nei provvedimenti ? Il Governo pensa che su questa materia possano essere trasferite deleghe alle regioni oppure no ? Il problema delle leggi-quadro regionali deve essere preso in esame ? Per quale motivo questo aspetto – mi riferisco al dibattito che stiamo affrontando sul decentramento – non dovrebbe investire anche i settori delle telecomunicazioni e dell’editoria ? Pensate a quante regioni, ad esempio nel centro-sud, non hanno quotidiani, ma hanno solo un certo tipo di editoria periodica, o al fatto che lo sviluppo dell’editoria in molte regioni del nord è di tipo associativo o anche religioso, con una vastissima presenza di diversa natura. In conclusione, sconsiglierei un approccio polemico alla materia, quale quello realizzatosi nei confronti del sistema radiotelevisivo; in genere, l’approccio polemico ci porta a contrastarci ed a verificare lo stallo dei provvedimenti. Poiché la materia ha una stretta attinenza – insisto – con i temi della libertà di espressione, forse sarebbe preferibile predisporre un’agenda dei problemi e cominciare poi a discuterli disponendo di argomentazioni e di — SEDUTA DEL 1O OTTOBRE 1996 dati. Credo, infatti, che non debbano esservi solo elementi di schieramento sul modo in cui si organizza la libertà della comunicazione; al di là delle grandi opzioni teoriche divergenti, a mio avviso dovremmo compiere un grande sforzo per avvicinare le posizioni e trovare comunque punti di mediazione. Ciò mi parrebbe una garanzia per tutti, perché la pluralità delle voci è una garanzia per la comunità; la riduzione delle voci, quali che esse siano, innesca elementi a mio avviso molto preoccupanti nella stagione dell’Ulivo, collega Rossetto, così come in qualsiasi altra stagione. GIUSEPPE ROSSETTO. Se le voci non le ascolta nessuno, è come se non ci fossero ! La Voce repubblicana non l’ascolta nessuno, è come se non ci fosse. Se diamo i soldi, c’è ! GIUSEPPE GIULIETTI. Mi rendo conto che il problema è un po’ più ampio (se vuole, poi, ne discutiamo): il punto è se costruire le condizioni affinché le voci interessanti in questo mitico libero mercato – che non c’è –, qualora esistano, possano affermarsi, o se creare le condizioni perché le voci siano due e fare finta che siano solo quelle due. Vorrei concludere con una battuta: per certi aspetti, il mercato di Rialto, dove si vende il pesce, è provvisto di elementi di regolamentazione molto più seri del libero mercato di cui lei parla. PRESIDENTE. Il seguito dell’audizione è rinviato alla seduta di domani. La seduta termina alle 11,25. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO STENOGRAFIA DOTT. VINCENZO ARISTA Licenziato per la stampa dal Servizio Stenografia alle 17. STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO Stampato su carta riciclata ecologica STC13-7AU-14 Lire 500