pag. 245-258 - XIII Legislatura

Transcript

pag. 245-258 - XIII Legislatura
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 245 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
La seduta comincia alle 10,20.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che è stato
chiesto che la pubblicità della seduta sia
assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così
stabilito.
(Così rimane stabilito).
Seguito dell’audizione del sottosegretario
di Stato alla Presidenza del Consiglio
dei ministri, con delega per l’editoria,
Arturo Mario Luigi Parisi, sugli orientamenti programmatici del Governo in
materia di editoria.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca
il seguito dell’audizione, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del regolamento, del
sottosegretario di Stato alla Presidenza del
Consiglio dei ministri, con delega per l’editoria, Arturo Mario Luigi Parisi, sugli
orientamenti programmatici del Governo
in materia di editoria.
Ricordo che nella seduta del 19 settembre scorso il sottosegretario ha svolto la
sua relazione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire.
ANGELA NAPOLI. Signor presidente,
comunico che per il gruppo di alleanza
nazionale interverrà soltanto l’onorevole
Malgieri.
GENNARO MALGIERI. La grave crisi
strutturale del settore dell’editoria, di
fronte alla quale, come è stato evidenziato
in Commissione e come opportunamente
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
ha rilevato il sottosegretario professor Parisi, è evidente la disattenzione delle forze
politiche, impone al Parlamento una non
più differibile presa di coscienza del problema al fine di affrontarlo per come merita e cioè ponendo mano ad un complessivo riassetto normativo che tenga conto
del mutato quadro d’insieme e delle esigenze nuove che il mondo dell’informazione presenta.
La denuncia – perché di questo sostanzialmente si è trattato, ed io così l’ho recepita – formulata dal professor Parisi dinanzi a questa Commissione resterebbe
lettera morta se il Parlamento, nella riformulazione di una legge sull’editoria, non
ripensasse globalmente al rapporto tra potere politico e industria culturale. In nessun paese libero questo rapporto è privo
di disciplina, mentre in Italia, deprecabilmente, di tanto in tanto insorgono questioni che pongono seriamente all’attenzione il conflitto tra interessi generali ed
interessi privati nel settore della comunicazione massmediale. Sarebbe auspicabile,
in proposito, una riflessione collettiva che
coinvolgesse imprenditori ed operatori
dell’editoria a tutti i livelli, forze politiche
e sociali, studiosi in una sorta di conferenza nazionale sull’informazione per
dare un contributo non superficiale all’elaborazione di una predisposizione normativa atta a superare le attuali difficoltà
in una prospettiva di riordino che tenga
conto di tutti i settori editoriali, dai giornali ai libri, dalle pubblicazioni specializzate alla multimedialità, al diritto d’autore.
In particolare, è urgente riformare la
legge n. 416 del 1981 che, se quindici anni
fa diede una risposta (organica, ma non
immune da limiti e deficienze) alla proble-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 246 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
matica del settore editoriale, già dopo
poco tempo risultò precocemente invecchiata. Oggi essa pone molti problemi, a
cominciare da quelli connessi alla concentrazione della produzione editoriale, ad altri, non meno importanti, inerenti, per
esempio, al trattamento pensionistico dei
giornalisti.
Nel bilancio che solitamente si fa della
legge n. 416, ciò che emerge è che essa ha
favorito il risanamento delle aziende ed ha
agevolato il rinnovamento tecnologico. Se
si può essere d’accordo senza difficoltà su
questo secondo punto, non è facile esserlo
sul primo: il risanamento, avvenuto con sistemi prevalentemente assistenziali oggi
non più praticabili, è stato frettolosamente
sperperato da molte aziende sulle quali
non è stato operato il controllo necessario
da parte dei Governi erogatori di contributi finalizzati al risanamento, e questo
per una colpevole lacuna legislativa.
Forse, anche per tale motivo abbiamo
visto nascere e morire, con una indifferenza sconfinante nel cinismo da parte dei
Governi, giornali che in pochi mesi si sono
trasformati in veri e propri « disoccupatifici ».
Nonostante la legge, la questione della
concentrazione del potere informativo e
del conseguente progressivo e pericoloso
assottigliamento del pluralismo resta ancora in piedi. Molto spesso – ed è una sensazione che mi pare abbastanza diffusa,
onorevole sottosegretario – si ha l’impressione di leggere un giornale unico leggendo
i più autorevoli giornali a diffusione nazionale. Perfino nella titolazione si assomigliano, asseverando una leggenda (ma non
troppo) metropolitana che vorrebbe i direttori delle maggiori testate a consulto tra
loro, quasi ogni sera, per evitare l’indomani sorprese reciproche...
Questo aspetto, naturalmente, attiene
alla qualità ed alla fattura del prodotto
giornalistico, ma potrebbe essere, come si
sospetta, indice di interessi economico-finanziari analoghi che starebbero dietro le
imprese editoriali. Il « giornale unico » –
spesso ideologicamente (se così si può
dire) ispirato a quel « pensiero unico » vagamente liberale, ma dai connotati molto
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
intolleranti, al cui centro vi è un utilitarismo egoista perfino un po’ aberrante –
sembra essere accettato acriticamente. Le
forze politiche, senza distinzione tra maggioranza ed opposizione, hanno, a mio
modo di vedere, il dovere di reagire a questo stato di cose che comprime la libertà
di espressione. Il garante, su questo punto,
ha brillato per la sua assenza. Mi domando quindi se non sia il caso, nell’ambito della auspicata riforma, di rivederne
ruolo, competenze e funzioni. E mi domando anche se la sua figura non sia divenuta addirittura superflua.
È in questo quadro che sollecito al Governo un’attenzione non marginale e non
occasionale riguardo alla cosiddetta editoria di tendenza, più ampia dell’editoria di
partito propriamente detta, che al momento vive giorni non felici. Molte sono le
difficoltà di questo settore, connesse ad
una normativa farraginosa, di complicata
interpretazione ed applicazione. Perfino
gli adempimenti richiesti alle amministrazioni dei giornali sono laboriosi e nebulosi,
in linea con le degenerazioni burocratiche
che affliggono tutti i settori della vita pubblica. Ogni anno, con la finanziaria, viene
erogato un contributo ai giornali di tendenza, ma sarebbe bene, anche per ovviare
ai ritardi nell’erogazione ed evitare l’accensione di onerosissimi prestiti bancari,
che il contributo avesse durata pluriennale
e venisse dato a scadenze fisse.
È vero che la legge n. 594 del 1995 stabilisce il rimborso di 200 lire alle imprese
editrici di giornali per ogni copia spedita,
ma il costo a carico delle aziende resta
tuttavia rilevante: un abbonamento per la
Sardegna (spedire il giornale nelle isole è
più oneroso) costa, soltanto di posta, circa
83 mila lire; se si tiene conto che l’abbonamento ad un giornale di partito è inferiore
a quello di un giornale « normale » di circa
la metà, è facile notare come i già magri
introiti vengano ad essere per questa via
vanificati.
Comunque, dal momento che le
aziende che producono giornali di tendenza non hanno scopo di lucro, tale esosa
tariffa di spedizione (che qualche anno fa
– lo ricordo solo per comodità dei colleghi
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 247 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
– era bassissima, poi, come al solito, dovendo raschiare il fondo del barile un ingegnosissimo ministro delle poste si ricordò di questo giacimento) verrebbe pagata con maggiore levità se almeno i giornali arrivassero puntuali agli abbonati.
Questo, onorevole sottosegretario, è il
capitolo più dolente dell’editoria di partito. Non avendo la possibilità, per la loro
natura di piccoli quotidiani, di arrivare
ovunque, i giornali di partito chiedono ai
loro lettori di abbonarsi: faccio notare che
in molti paesi civili l’abbonamento è preferito all’acquisto in edicola; in Giappone
quasi tutte le famiglie sono abbonate ad
uno o due quotidiani, come se fosse una
sorta di dovere sociale. Da noi, per i nostri
giornali, spesso l’abbonamento viene sottoscritto per pure ragioni « fideistiche ». Le
poste, infatti, non funzionano ed i ritardi
nella consegna dei quotidiani sono catastrofici.
Mi trovo dunque d’accordo con il sottosegretario Parisi nel sostenere che un servizio postale efficiente, prestato ad un
prezzo equo, sia molto più importante di
tariffe di favore a cui corrisponda un servizio inaffidabile. La situazione attuale,
purtroppo, è di questo tipo: servizio inefficiente ed inaffidabile ad un prezzo iniquo.
Anche a questo l’auspicata nuova normativa sull’editoria dovrà porre rimedio.
Mi permetto di far notare che, a garanzia di un concreto pluralismo, il giornalismo di idee in un paese civile è essenziale.
Se si dovessero spegnere le voci del dissenso, dell’invito alla riflessione e talvolta
perfino ad una sana trasgressione, l’Italia
correrebbe il rischio – già forte e presente, peraltro – di vedersi immersa improvvisamente nel torbido clima caratterizzato dall’omologazione culturale, dal
conformismo intellettuale. Quanto il giornalismo di idee ha contribuito alla crescita
civile della nazione è scritto soprattutto
nelle storie delle riviste del primo Novecento, da La Voce a Hermes, dal Regno a
Leonardo, da Lacerba alla Rivoluzione liberale, da Utopia all’Ordine Nuovo. Periodicamente, da parte di un settore qualunquista del giornalismo italiano, assistiamo
ad attacchi feroci, beceri ed immotivati al-
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
l’editoria di partito in ragione delle provvidenze che lo Stato eroga per la sua sopravvivenza: mi auguro che le forze politiche ed il Governo non si facciano minimamente condizionare.
L’altro punto che vorrei affrontare nel
suggerire qualche indicazione di modifica
della legge n. 416 attiene all’aspetto previdenziale in essa contemplato. Quando la
legge n. 416 è stata varata, il tetto di contributi per ottenere la pensione dell’INPGI
era di venti anni. Ciò a causa di un sistema di accesso alla professione che, negli
anni del dopoguerra e fino alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, consentiva di sostenere
l’esame e di iscriversi all’INPGI ad un’età
molto elevata. Quando questa situazione di
base cambiò, l’INPGI adeguò il tetto contributivo portandolo a trent’anni. Accadde
così che lo « scivolo » contributivo previsto
dalla legge n. 416 si estese automaticamente dai cinque anni (come per le altre
categorie) fino a quindici anni, provocando
situazioni di abnorme disparità: ci sono
stati giornalisti che sono andati in pensione con dieci anni di contributi reali e
quindici figurativi; oneri crescenti ed insopportabili per l’istituto, anche sotto il
profilo della riserva obbligatoria.
Un elemento fondamentale ha distinto
in questi anni la previdenza dei giornalisti.
Mentre per le altre categorie gli stati di
crisi (contemplati appunto nella legge
n. 416) vengono affrontati con ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di disoccupazione, « scivoli » finanziati
dalle aziende), l’INPGI sostiene da solo
l’intero carico divenuto nel corso degli
anni eccessivo a causa di un particolare
elemento della legge n. 416, la quale prevede interventi non soltanto per le crisi
aziendali (chiusura di una testata), ma anche per le ristrutturazioni. È accaduto e
accade che aziende sanissime, quando vogliono ringiovanire le redazioni (soprattutto per risparmiare perché, ovviamente,
un praticante costa molto meno di un professionista o di un inviato speciale con
dieci anni di anzianità) o cambiare sistema
editoriale (il che si impone pressoché periodicamente, a fronte dell’evoluzione
delle tecnologie), chiedono l’applicazione
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 248 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
della legge n. 416 senza contribuire a sostenerne i costi, tutti a carico dello Stato.
Come si può ovviare a questa situazione ? Si pone il problema di una modifica strutturale della legge n. 416 che preveda la partecipazione degli editori al finanziamento degli ammortizzatori sociali,
affinché di questi non si faccia un uso
improprio.
Sempre nel quadro complessivo del
riassetto del settore dell’editoria, un’attenzione particolare deve essere posta alla
problematica del diritto d’autore, il cui aggiornamento è divenuto improcrastinabile
soprattutto in relazione al recepimento nel
nostro ordinamento delle direttive emanate in materia dall’Unione europea. Con
il decreto-legge 22 giugno 1996, n. 331,
reiterato con il decreto-legge 8 agosto
1996, n. 439, il Governo ha in qualche
modo adeguato la normativa alla legge comunitaria. Ma non basta. C’è bisogno di
una revisione complessiva della normativa
sul diritto d’autore possibilmente con una
legge delega che provveda ad aggiornare,
completare e riordinare il quadro e la disciplina delle opere e dei diritti protetti a
norma delle leggi esistenti e delle convenzioni internazionali; che disciplini l’uso
privato e personale nel campo della reprografia e delle registrazioni sonore visive e
audiovisive, in modo da salvaguardare gli
interessi morali ed economici degli autori
e di tutti gli aventi diritto; che integri e
completi le disposizioni sul noleggio e sul
prestito al pubblico di esemplari di opere
o prodotti protetti; che sostituisca l’istituto
del diritto dell’autore sull’aumento di valore delle opere delle arti figurative e dei
manoscritti originali con un diritto a percentuale sul prezzo delle vendite delle
dette opere successive alla prima alienazione; che adegui la composizione del comitato consultivo permanente per il diritto
d’autore alle esigenze di una effettiva e più
completa rappresentatività delle categorie
e delle amministrazioni interessate, prevedendo nei casi occorrenti che lo stesso comitato possa disporre di esperti qualificati; che renda più efficace il sistema delle
difese attraverso sanzioni civili e penali in
ordine alla violazione del diritto d’autore e
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
dei diritti connessi, con specifico riguardo
alle utilizzazioni illecite effettuabili con
l’impiego delle nuove tecnologie; che, infine, modifichi, semplificando e riducendo,
il regime delle formalità.
Il sottosegretario Parisi ci ha confermato che in Italia, purtroppo, si legge
poco. Non credo che tutta la colpa sia
della televisione, come è frequentemente
detto e scritto. Penso che buona parte
delle responsabilità vadano ricercate nella
scuola che, a quanto mi risulta, non fa
molto per promuovere l’abitudine alla lettura, e con questi chiari di luna c’è chi si
inventa discutibili crociate in favore della
riappropriazione della « manualità »...
Particolare attenzione andrebbe dedicata alla istituzione di biblioteche fin nei
più piccoli centri. Ho avuto modo di raccomandare al ministro Veltroni, in occasione della sua audizione davanti a questa
Commissione, la promozione di biblioteche comunali che rappresentino, come avviene in molti paesi del nord Europa, luoghi di diffusione culturale. In questa prospettiva ritengo che il dipartimento per
l’informazione e l’editoria possa farsi promotore di un’intesa tra il Ministero per i
beni culturali ed il Ministero della pubblica istruzione nel realizzare biblioteche
in ogni comune d’Italia, dove è possibile
legate in qualche modo alla scuola, alle
quali il dipartimento potrebbe fornire la
sua non indifferente produzione editoriale
e l’assistenza per l’acquisizione di opere
presso le case editrici a prezzi agevolati:
buona parte dei magazzini degli editori
potrebbero finire nelle piccole biblioteche
piuttosto che sui banchi dei rivenditori a
metà prezzo. Mi rendo conto che l’operazione avrebbe dei costi, per quanto non
eccessivi, ma credo che lo Stato abbia tra i
suoi compiti quello di investire in promozione culturale.
Restando nel campo della promozione,
mi permetto un’ultima annotazione. Il dipartimento, nel risistemare il suo panorama di pubblicazioni, per stessa ammissione del sottosegretario Parisi, piuttosto
frammentario e dispersivo, dovrebbe razionalizzarlo anche secondo criteri qualitativi. Dovrebbe, cioè, dedicare un’atten-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 249 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
zione precipua a pubblicazioni che riaffermino, sostengano e difendano l’identità
della nazione italiana.
È questo un aspetto non marginale che
dovrebbe essere al centro dell’azione di un
Governo nella parte concernente la promozione della cultura. La conoscenza delle
radici storiche e civili della nostra comunità è strettamente connessa all’acquisizione di una consapevolezza maggiore dell’appartenenza di un popolo ad un contesto che non può, in nessun modo, essere
messo in discussione. La leggerezza con
cui negli ultimi tempi abbiamo visto proporre ipotesi separatiste e secessioniste,
estranee alla cultura italiana almeno nelle
forme emerse di recente, è il segno di un
fallimento storico, sul quale non intendo
qui intrattenervi, nell’integrare gli italiani
in un progetto comunitario nazionale. Le
responsabilità della classe politica in questo dopoguerra sono al riguardo innegabili. Il Governo, anche attraverso il dipartimento per l’editoria, oltre che con l’intervento del Ministero per i beni culturali
e del Ministero della pubblica istruzione,
può fare molto per diffondere una certa
idea di italianità, non come presupposto
neosciovinista, ma quale carattere della
cultura nazionale senza il quale non c’è
coesione civile e sociale.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole
Malgieri.
Faccio presente che il collega ha parlato più di dieci minuti perché è l’unico
rappresentante del gruppo di alleanza nazionale ad intervenire nella discussione.
Manteniamo quindi la regola che ci siamo
dati; se più di un oratore per gruppo intende prendere la parola, vi prego di rispettare il termine di dieci minuti.
PIERO MELOGRANI. Innanzitutto,
non mi sembra che l’argomentazione che
ci è stata presentata possa essere giudicata
sufficiente, perché i dati sono espressi
esclusivamente in forma aggregata, mentre
io vorrei prenderne visione nella forma disaggregata; vi sono cifre relative a finanziamenti concessi all’editoria, ai giornali,
riportate esclusivamente, come dicevo, in
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
forma aggregata. Invito pertanto il sottosegretario a fornirci dati più analitici, altrimenti non possiamo renderci conto di
quel che stiamo facendo.
In secondo luogo, ho seri dubbi sulla
opportunità di interventi di sostegno a favore di determinati soggetti e non previsti
invece per un’intera categoria, criterio che
mi sembrerebbe decisamente migliore.
Nella relazione del sottosegretario Parisi si legge: « Credo che vadano sostenuti i
soggetti deboli e periferici del sistema editoriale, al fine di potenziarne le capacità
creative ». Io non credo sia giusto intervenire per sostenere i malati; penso debba
esistere una competizione, all’interno del
mercato dell’editoria, nella quale tutti si
trovino in condizioni di parità; chi sarà
più forte vincerà, chi è malato soccomberà. Non ritengo che il sostegno debba
essere indirizzato esclusivamente o particolarmente verso questi ultimi soggetti, se
non in certi casi: anche al riguardo vorrei
ricevere informazioni più ampie di quelle
contenute nella relazione.
Tra l’altro, nella sua relazione il sottosegretario ci ha parlato del risultato della
politica finora condotta nei confronti dell’editoria: il risultato è che il sistema editoriale non è riuscito né ad allargare in
modo sufficiente l’area dei lettori né,
quindi, ad assicurarsi sufficienti ricavi
pubblicitari.
È stata proposta dal collega Malgieri
una conferenza nazionale sull’editoria; a
questo argomento aggiungerei anche
quello della stampa quotidiana. Concordo
con questa idea, ma bisogna essere molto
attenti perché, a meno che non siano adeguatamente preparate, questo genere di
conferenze – che pure potrebbero essere
utili – rischiano di trasformarsi in show
inutili. Quale migliore adeguata preparazione si potrebbe avere se non sulla
stampa, se riuscissimo a promuovere sulla
stessa stampa il dibattito sulle ragioni
per cui, per esempio, non si riesca a raggiungere un numero superiore di lettori
e quindi un traguardo di diffusione dei
giornali simile a quello degli altri paesi
europei ?
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 250 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
Vi è poi la questione dell’erogazione di
contributi alla stampa di partito. Ne ha
parlato Malgieri, ma io dissento dal suo
punto di vista. Si parla di 124 miliardi
erogati all’ente poste, oltre ai 144 miliardi
erogati alla stampa di partito. Anche qui
mancano i dati disaggregati: vorrei conoscere i soggetti destinatari delle erogazioni
e l’ammontare dei rispettivi contributi,
perché il dato generale spiega solo fino a
un certo punto cosa accade al di sotto di
queste operazioni.
Voi sapete – mi rivolgo ai colleghi e al
sottosegretario Parisi – quanti quotidiani
di partito escono in Europa, a parte quelli
italiani ? Uno soltanto: l’Humanité a Parigi;
nessun altro partito europeo ha un quotidiano (tra l’altro, giorni fa mi è capitato di
vedere l’Humanité nella sala di lettura ed
ho potuto verificare che si è trasformata
in un bollettino parrocchiale di sei-otto
pagine). Rappresentiamo quindi un’eccezione.
Viviamo in una situazione di emergenza finanziaria e mi domando perché un
cittadino debba finanziare la stampa degli
altri partiti; credo, anzi, che questa possa
essere una buona occasione di risparmio: i
giornali di partito che avranno un senso
continueranno a sopravvivere con le loro
forze, quelli che non hanno senso soccomberanno. Oltre tutto, si tratta di finanziamenti inefficienti, visto che i partiti sono
quasi tutti in crisi, e inopportuni perché
fanno nascere dei sospetti sul loro vero
scopo.
Il sottosegretario Parisi nella sua relazione ha dichiarato che, a suo parere, un
servizio postale efficiente, ad un equo
prezzo di mercato, è più importante delle
tariffe di favore. In teoria sono d’accordo
con lui, ma in pratica, essendo casualmente un esperto di servizi postali, posso
affermare che non arriveremo mai più ad
avere un servizio postale efficiente per i
quotidiani, ovvero un servizio che la mattina presto consegni il quotidiano al domicilio dell’abbonato (per i settimanali il discorso è diverso, perché l’attualità è minore). Infatti, i quotidiani che, per accrescere il numero degli abbonamenti con
questo servizio, vogliono raggiungere il let-
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
tore nelle prime ore del mattino, si organizzano privatamente per farlo, come La
stampa di Torino o il Corriere della Sera di
Milano. Questo, comunque è un argomento di cui parlare in un’altra occasione,
con la partecipazione anche di rappresentanti del Ministero delle poste.
Il Governo ritiene si debba introdurre
una normativa che favorisca nuovi e più
numerosi punti di vendita per i giornali e
sbocchi commerciali complementari alle
edicole. È giustissimo e a questo proposito
sono in disaccordo con l’interrogazione
dell’onorevole Muzio, svolta proprio oggi.
Chiedo però al sottosegretario Parisi se
questo sistema sia realizzabile, perché
sono almeno trent’anni che ne sentiamo
parlare e sono trent’anni che non si fa
nulla. C’è per caso un asso nella manica ?
C’è qualche cosa che consentirà di superare queste difficoltà, oppure è tutto come
prima ? Per caso esiste una normativa europea sul monopolio dei punti di vendita
dei giornali quotidiani e della stampa in
generale oppure no ?
Nella relazione, poi, si ricorda che negli
ultimi dieci anni il dipartimento per l’editoria ha prodotto non meno di mille titoli;
tuttavia lo stesso sottosegretario ammette
che l’attuale panorama delle pubblicazioni
è piuttosto frammentario e dispersivo e
non è indicato neanche il costo aggregato
di tutte queste operazioni. Si parla anche
di cinquecento filmati realizzati dal 1952
ad oggi. Sarò grato al sottosegretario Parisi
se mi farà avere un campionario di almeno dieci dei filmati prodotti negli ultimi
tempi, perché mi incuriosirebbe molto
esaminarli per verificare se possano essere
utili a scopo didattico – dato che come
professore sono sempre alla ricerca di filmati utili in questo senso – oppure se,
come temo, non servano a molto.
Vorrei anche avere maggiori informazioni sulle pubblicazioni; ritengo infatti
che, in gran parte, siano pubblicazioni di
facciata che, come quasi tutte le pubblicazioni gratuite, vengono gettate nel cestino.
Invito il sottosegretario a passare mezz’ora
all’ufficio postale del primo piano per vedere cosa avviene nei cestoni: continuamente delle trafelate fanciulle sono co-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 251 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
strette a portare via quintali di posta gratuita che riceviamo. Anche Gramsci ha affermato – tutti lo citano, permettete anche
a me di citarlo – che i giornali non devono
essere gratuiti, altrimenti non vengono
apprezzati.
Il sottosegretario Parisi ha poi affermato che non pensa alla lettura dei giornali in classe ma, piuttosto, alla loro disponibilità nelle sale comuni delle scuole.
Mi chiedo se ci sia un contrasto fra lei e il
ministro Berlinguer, il quale mi pare
avesse parlato – non in questa sede – di
giornali in classe. Vorrei avere inoltre alcune delucidazioni al riguardo. Chi stabilirà quali giornali andranno nelle sale comuni ? Non sarà un’altra forma di finanziamento ai partiti ? Ci saranno tutti i
giornali o solo alcuni ?
Il Governo, infine, ha dichiarato di voler dedicare risorse alla nascita di nuove
imprese nel settore dell’informazione; mi
chiedo perché mai e in base a quali criteri.
Si dice di voler combattere la colonizzazione culturale legata anche ai nuovi
mezzi tecnologici. Stiamo entrando in un
mercato globale anche nella cultura: via
satellite già possiamo ricevere un centinaio
di emittenti televisive, soltanto il 5 per
cento delle quali sono italiane. Stiamo entrando in una grande competizione: anche
a me farebbe piacere che dall’Italia uscisse
qualcosa di valore; ho però l’impressione
che la presenza italiana in questo mercato
globale della cultura ci sarà soltanto se abbandoneremo i criteri assistenzialistici
che, a quanto pare, continuano ad essere
accettati anche da questo Governo.
ELIO VITO. Signor presidente, l’intervento di carattere generale del collega Melograni mi consente di soffermarmi su alcuni punti specifici della relazione del sottosegretario Parisi, premettendo tuttavia
una considerazione. Il sottosegretario ha
giustamente sottolineato che il settore dell’editoria, per il quale gli è stata conferita
la delega, rischia di essere sottovalutato e
dimenticato nell’ambito del sistema delle
comunicazioni, a causa della grande attenzione che si dedica alle questioni radiotelevisive. Ritengo quindi che tutti dobbiamo
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
cercare di lavorare e collaborare affinché
si superi tale atteggiamento, visto che l’editoria e la stampa non possono essere considerate come un’attività minore.
Al riguardo, va osservato che l’audizione del sottosegretario Parisi si è tenuta
soltanto il 19 settembre, ultima di quelle
relative ai settori di nostra competenza,
anche se evidentemente non per responsabilità del sottosegretario o della Commissione (più volte sono state fissate delle
date che si sono dovute rinviare). Tuttavia
anche questo elemento mostra come la
stessa Commissione ed il Governo rischino
di assuefarsi alla tendenza a considerare
secondario il settore dell’editoria nell’ambito della comunicazione. Difficilmente infatti la nostra Commissione avrebbe tollerato lo svolgimento a settembre, e non immediatamente dopo l’insediamento del
nuovo Governo, delle audizioni dei ministri Berlinguer o Veltroni, mentre è stato
dato quasi per scontato – da parte nostra
e del Governo – che l’audizione del sottosegretario Parisi potesse essere rinviata a
settembre.
Fatta questa premessa, passo a considerazioni più specifiche. Per quanto riguarda le osservazioni del collega Melograni sull’esigenza di una riflessione di carattere generale sulla stampa di partito e
sulle sovvenzioni che essa riceve dallo
Stato, non so se in questo momento vi
siano la maturità e la consapevolezza complessive per avviare un’opera di riforma
radicale della legislazione in materia. Sicuramente, però, è necessario un intervento urgente sulla normativa facendo riferimento alle nuove leggi elettorali. Queste ultime, pur avendo profondamente
cambiato la tecnica elettorale, tardano ad
influenzare e modificare stabilmente il sistema politico e dei partiti, perché esiste
ancora una legislazione di contorno (oltre
a quella sulla stampa di partito, anche
quella sui rimborsi elettorali o addirittura
quella – che rischia di tornare in vigore –
sul finanziamento pubblico dei partiti) che
è tutta fondata sul vecchio sistema proporzionale. La resistenza che oggi incontriamo ad introdurre nel sistema politico e
dei partiti le innovazioni necessarie e con-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 252 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
seguenti all’introduzione del sistema maggioritario, è dovuta anche al fatto che una
serie di normative di contorno – in realtà
importantissime – sono legate al sistema
proporzionale e di fatto prevedono che i
partiti siano impostati in base ad esso, per
cui aiutano i partiti ad esistere in quanto
tali e ad adattarsi alla nuova realtà mantenendo caratteristiche proprie del proporzionale.
Nell’ambito della riflessione più generale che suggeriva l’onorevole Melograni,
sicuramente utile, mi sembra quindi che
un adeguamento sulla base della nuova
normativa elettorale competa al Governo e
che tutto il Parlamento ne potrebbe trarre
un grande sollievo. Esistono infatti formazioni politiche e partiti che ricevono le
sovvenzioni per i loro giornali solo per il
fatto di avere un deputato al Parlamento
nazionale, o magari al Parlamento europeo: è una realtà che non ha più ragione
d’essere in base al peso elettorale attuale
ed alla collocazione all’interno del nuovo
sistema elettorale.
Vi è poi un punto in particolare sul
quale, a mio avviso, la relazione del sottosegretario Parisi è francamente omissiva.
Al riguardo ci attendiamo molto di più,
perché si tratta di una competenza specifica del sottosegretario che è di grande attualità e per la quale non ci si può limitare ad un accenno in poche righe: mi riferisco al referendum per abrogare l’ordine dei giornalisti. Quest’ultimo appartiene a quel sistema di regole che in qualche misura investe la competenza del sottosegretario Parisi. Su tale referendum,
nel giro di pochi mesi, i cittadini saranno
chiamati a decidere, per cui bisogna capire
quale sia la posizione del Governo al riguardo. Non vorremmo, infatti, che ci si limitasse ad uno scontro fra i promotori del
referendum e coloro che sono impegnati
nella difesa corporativa dell’ordine, senza
la necessaria attività di intervento e di mediazione della politica, nell’ambito della
quale dovrebbe essere chiarita la posizione
del Governo. Deve essere chiarito cioè se il
Governo ritenga di doversi esplicitamente
collocare a tutela di interessi corporativi, o
se invece intenda assumere una propria
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
posizione su una problematica che diventerà di clamorosa attualità fra qualche
mese. Credo comunque che non sia tollerabile la sottovalutazione (o un silenzio
come quello cui assistiamo) di una tematica che è già di grande attualità fra gli
operatori, rispetto alla quale, come forze
politiche e come Parlamento, siamo chiamati ad assumere una posizione.
Concludo con un punto specifico della
relazione del sottosegretario Parisi, che
forse rischia di rappresentare un piccolo
mistero o di alimentare una serie di polemiche: le convenzioni con le agenzie di
stampa. Condivido l’impostazione del collega Melograni, secondo la quale bisogna
superare una certa tendenza a considerare
questo come un settore che vive di provvidenze garantite vita natural durante, grazie ad una impostazione sostanzialmente
assistenziale e non di promozione e sviluppo: il discorso riguarda naturalmente
anche le agenzie di stampa e le loro convenzioni. Da questo punto di vista, però, se
sono necessari interventi, l’unica strada è
quella di provvedervi pubblicamente e con
chiarezza, esponendoli nella sede propria
della Commissione.
Facendo riferimento alla relazione che
il sottosegretario ha consegnato alla Commissione, il piccolo mistero è rappresentato dal fatto che, con riferimento ai servizi prodotti dalle agenzie cui ricorre la
pubblica amministrazione, alla fine della
pagina 16, si sostiene semplicemente: « Gli
oneri globali annui ammontano a circa 84
miliardi di lire » ; vi è poi una strana pagina 16-bis, con un altro carattere di
stampa (evidentemente quindi aggiunta
successivamente), nella quale, con poche
righe generiche, si fa intravedere la possibilità che queste prestazioni vengano riviste e che vi siano tagli. Questo modo di
impostare la questione, con una paginetta
chiaramente aggiunta (anche se non vi è
nulla di male nell’integrare una relazione),
non è condivisibile: o si tratta di un problema centrale, ed allora il sottosegretario
deve chiarire in Commissione in che modo
si intende rivedere le convenzioni, quali
tagli si vogliono eventualmente operare,
quali modifiche strutturali si vogliono in-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 253 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
trodurre a modifica dell’approccio complessivo, fondato su una certa impostazione assistenzialista del settore dell’editoria, oppure le poche righe introdotte con
la paginetta aggiuntiva certamente non
servono alla Commissione (oltre ad aver
causato preoccupazione nelle agenzie). Anche in questo caso, tutto rischia di risolversi in una difesa dei diritti acquisiti degli
operatori nei confronti del Governo, senza
che il Parlamento ne sia investito e possa
dare un utile contributo.
Siamo quindi molto interessati a capire
cosa significhino le poche righe aggiuntive
cui facevo riferimento, sulle quali il sottosegretario, in sede di replica, dovrebbe
fornire chiarimenti alla Commissione, specificando quali sono le attuali iniziative e
quali sono gli intendimenti, naturalmente
anche in relazione alla manovra finanziaria. Un intervento sulle convenzioni è probabilmente legittimo e necessario: tuttavia,
ci riesce difficile condividere che avvenga
in questo clima ed in questo modo, perché
si determina così un’ondata di critiche generalizzate e diffuse nei confronti di quelli
che possono sembrare generici (quindi incomprensibili ed ingiustificati) tagli nei
confronti delle agenzie, che svolgono –
come sappiamo – una funzione delicatissima e vitale nel sistema dell’informazione.
Su questi punti attendiamo di ascoltare
la replica del sottosegretario Parisi, il
quale forse non sa che, in base ad una
bozza di circolare del Presidente Violante,
rischia di avere un rapporto privilegiato
con la nostra Commissione; se non vado
errato, infatti, le competenze riguardanti
la comunicazione e l’informazione saranno della I Commissione mentre quelle
relative al settore dell’editoria saranno
della nostra Commissione. In ogni modo,
indipendentemente dall’esito che avrà la
circolare (sulla cui impostazione vi sono
già opinioni espresse unanimemente nella
Conferenza dei capigruppo, in Commissione e in Assemblea), vi potrà essere una
continuità di lavoro nella nostra Commissione sul settore dell’editoria: vorrei
quindi che ciò possa essere visto dal sottosegretario Parisi come un piccolo elemento
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
di privilegio nei rapporti con la nostra
Commissione, affinché nessuno (né noi, né
il Governo) sia disposto mentalmente e
psicologicamente a considerare audizioni
come quella odierna un adempimento necessario (di cui occuparsi a margine, alla
fine di settembre e alla ripresa dei lavori
parlamentari), e non invece un aspetto importante e qualificante dell’attività di Governo e parlamentare.
GIUSEPPE ROSSETTO. Ho seguito attentamente la relazione del sottosegretario
Parisi e ho immediatamente ricordato che
il PDS e l’Ulivo, nel corso della campagna
elettorale, hanno fatto molte assicurazioni
sul libero mercato, sostenendo che lo Stato
deve intervenire il meno possibile nella
vita dei cittadini e nell’economia. Nella relazione lei sostiene che il settore è caratterizzato da una grave crisi strutturale e da
una disattenzione delle forze politiche e
dell’opinione pubblica. Sono molto preoccupato, perché si tratta di un settore che è
stato molto seguito – a livelli addirittura
esagerati – sia dalle forze politiche sia
dalle istituzioni; i colleghi che sono stati
presenti nella scorsa legislatura forse ricorderanno che in aula abbiamo trascorso
il 70 per cento del nostro tempo occupandoci di esso.
Questo è un primo motivo di preoccupazione da parte mia. Sono un liberista
convinto (per cui svolgo il mio intervento a
titolo personale) e mi preoccupa il fatto
che nella sua relazione si affermi che il
Governo ha il dovere di favorire lo sviluppo di imprese innovative, in un quadro
in cui sia garantito il massimo pluralismo.
Garantire il massimo pluralismo vuol dire
garantire assistenza a pioggia a tutte
quelle imprese considerate dal Governo
positive per questo pluralismo. Ciò è a mio
avviso inaccettabile. Continuiamo a mantenere nel settore delle aree di non sviluppo, delle aree di inefficienza che non
hanno eguali in nessun altro comparto
dell’economia italiana.
Nella relazione lei ha evidenziato quattro profili: il sostegno alla produzione, con
l’erogazione di contributi alla stampa e all’emittenza radiofonica e televisiva; il di-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 254 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
ritto d’autore; il soggetto produttivo, sia
come editore sia come committente (anche
qui vi sono finanziamenti a pioggia); l’acquirente di servizi.
Per quanto riguarda il primo punto,
sono anch’io assolutamente contrario allo
stanziamento di contributi per la stampa
di partito. Se i partiti vogliono pubblicare i
loro giornali, che lo facciano senza chiedere i soldi ai contribuenti. Tra l’altro, mi
sembra che lo scopo sia anche quello di
mantenere in vita una casta di cui forse
molti hanno paura, quella dei giornalisti.
Tutto questo sistema di contribuzioni
mantiene in vita artificialmente una serie
di imprese che per la maggior parte danno
lavoro ai giornalisti, che sono difesi da colleghi presenti nelle istituzioni (qui ne abbiamo parecchi: se mi guardo intorno ne
vedo in tutte le forze politiche). Considero
assolutamente scorretto, in un’ottica liberista, questo tipo di situazione. Perché
questo settore deve avere dei favori che altri comparti non hanno ? Ripeto, in un’ottica di libero mercato ciò è assolutamente
inaccettabile.
L’unico aspetto che invece accolgo con
grande favore (e che nessuno ha sottolineato) è l’intervento a favore dell’editoria
periodica per non vedenti. È auspicabile
che lei ci fornisca maggiori dettagli al riguardo, per capire se i 900 milioni stanziati siano sufficienti oppure possano essere incrementati, sottraendo fondi magari
alla stampa di partito. Non so quanti non
vedenti esistano in Italia e quali esigenze
essi abbiano a livello di comunicazione e
di informazione.
Altri punti della relazione, come quello
relativo ai rimborsi postali, mi trovano totalmente contrario.
Vorrei richiamare brevemente l’attenzione sul discorso relativo alle emittenti
radiofoniche e televisive. Anche in questo
caso, si finanziano le emittenti radiofoniche e televisive locali da sempre, e non ci
si rende conto che esse fanno pochissima
informazione rispetto ai loro ascolti. Non
dobbiamo infatti dimenticare che non è
sufficiente proporre informazione; occorre
poi che l’informazione sia ascoltata. Sarebbe dunque auspicabile che anche a tale
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
proposito lei fornisse un elenco completo
delle emittenti che ricevono i finanziamenti, affinché sia possibile valutare se
anche a livello editoriale le emittenti abbiano diritto a questi finanziamenti. Cito il
caso di Retemia, una rete che – lo so per
certo – riceve finanziamenti e, al di là degli ascolti che sviluppa, anche a livello editoriale, non mi sembra meriti di riceverne;
è infatti una televisione che si occupa di
televendite di pentole e di film porno.
Questa è un’area molto critica per l’editoria italiana, perché è la vera area che
va contro lo sviluppo della stampa. L’area
dell’emittenza locale radiofonica e televisiva, mantenuta artificialmente in vita anche da questi contributi, drena risorse al
sistema della stampa locale; non è, come
sostiene gran parte della sinistra, la televisione nazionale a drenare risorse alla
stampa locale. Si tratta di un’area critica
che i Governi passati e quello attuale continuano a contribuire a mantenere in vita,
erogando peraltro finanziamenti alla
stampa perché essa stessa resti in vita,
quindi creando un settore completamente
artificiale e senza alcun legame con la
realtà economica del paese.
Arriviamo alle agevolazioni di credito
all’editoria. Mi chiedo per quale ragione
chi costruisce orologi non debba godere
delle agevolazioni di credito di cui usufruisce chi si impegna nel settore dell’informazione. Anche in questo caso, sono totalmente in disaccordo. Per quanto riguarda
le edicole, condivido le osservazioni del
mio collega Melograni e sono totalmente
contrario a quanto ho sentito affermare
da Muzio poco fa, nel corso dello svolgimento di una sua interrogazione al riguardo. Si subisce sempre la lobby degli
edicolanti: da trent’anni questi signori
bloccano qualsiasi tentativo di sviluppo
della distribuzione dei giornali. Non capisco perché i giornali non si possano vendere nei supermercati, dove tutti gli italiani si recano almeno due volte alla settimana. Questo è inspiegabile. Perché non
liberalizziamo la vendita dei giornali ?
Qual è il problema ? La lobby degli edicolanti. Non è possibile che una massaia
vada al supermercato e non possa acqui-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 255 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
stare un giornale. È una cosa veramente
arcaica.
Per quanto riguarda il diritto d’autore,
l’intangibilità della proprietà dell’opera di
ingegno va assolutamente tutelata. Nella
scorsa legislatura vi furono episodi quantomeno controversi, perché tutti i partiti
politici erano a favore di questa tutela ad
esclusione del momento in cui l’artista doveva prestare l’opera di ingegno per le
proprie feste di partito. Ricordiamoci allora che la tutela dell’opera di ingegno è
sacra ed è giusto pagare l’artista anche
quando si reca alle feste di partito. Perché
alle feste di partito non si deve pagare l’opera di ingegno, di qualsiasi artista ?
Chiedo infine al sottosegretario Parisi
di fornirci l’elenco completo delle stazioni
radiofoniche e televisive che ricevono le
produzioni della RAI per gli italiani all’estero. Occorre infatti procedere ad un’analisi profonda, non solo sulle emittenti che
ricevono queste produzioni, ma anche sugli ascolti che le emittenti sviluppano, perché dobbiamo chiederci se questi soldi li
spendiamo bene. Un paio di anni fa ho visto degli elenchi grotteschi (che non so se
nel frattempo siano cambiati): tre emittenti in FM a San Paolo del Brasile, pagate
per trasmettere. Quanti italiani ci sono a
San Paolo ? Quanti italiani ascoltano queste trasmissioni ?
Concludo a questo punto il mio intervento, avendo utilizzato tutto il tempo a
disposizione.
GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei evitare
una discussione ideologica tra chi è per il
mercato e chi è contro il mercato, perché
potrei rispondere con una battuta che ho
sentito: « Sosteniamo la libertà del mercato e, dunque, chiediamo la chiusura del
più grande numero di imprese nei prossimi mesi ». Ma non è una contraddizione
un po’ mortale chiedere la libertà e la
chiusura di numerose imprese in un settore che non produce calze ma qualcosa
che attiene all’articolo 21 della Costituzione, alle forme della libertà dell’espressione, al mutare delle condizioni tecnologiche, che non sono più quelle della Carta
costituzionale ? E parliamo di un mercato
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
che si è formato non su Marte, per così
dire, ma concretamente negli anni settanta
e ottanta, un mercato dove – non so
quante libere imprese abbia visto l’onorevole Rossetto – mi risulta che molte imprese assistite chiedano la libera impresa.
È un fenomeno ormai tradizionale: se vi è
un settore che, per certi aspetti, è stato diretto e statalizzato nella sua forma pubblica e privata, questo è quello pubblico e
televisivo. Onorevole Rossetto, paradosso
per paradosso, il conflitto di interessi si
pone, in politica, per i giornalisti, per i farmacisti, per i funzionari di impresa.
Credo, quindi, che dobbiamo liberarci di
questo tipo di schemi che non portano da
nessuna parte e che non giovano ad una
discussione seria sul settore editoriale,
certamente in crisi anche per colpe sue
ma che attende dal 1981, dopo la legge
n. 416, un minimo di attenzione alle questioni strutturali, sulla qualità, sulle debolezze dei giornali, sul grande « giornale
unico », che rischia di realizzare il trasferimento del « pensiero unico », qualunque
esso sia, di cui parlava l’onorevole Malgieri. Fosse di destra, di centro o di sinistra, a me non piace il « pensiero unico »
perché
determinerebbe
impaginazioni
identiche, quindi sarebbe un elemento illiberale.
Dobbiamo ragionare seriamente su
come si è formato il mercato. L’editoria,
così come si è configurata oggi, è figlia di
una serie di scelte attuate, per cui non è
che ogni volta possiamo fare un dibattito
sul fatto se sia vero o meno che il nostro
sistema radiotelevisivo è unico in Europa e
che altrettanto unico è il trasferimento del
92 per cento delle risorse. Si tratta di calcoli fatti in sede europea, discussi e accertati. Possiamo ragionare quanto vogliamo
sulle debolezze del sistema della carta
stampata ma non facendo finta di nulla,
perché non serve a niente. Sarebbe come
continuare a dire che i giornali inglesi
sono più seri rispetto a quelli italiani che
parlano soltanto di scandali: basterebbe
andare due o tre volte in Inghilterra per
capire che non è proprio così. Questo per
dire che parliamo di una realtà molto più
complicata.
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 256 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
Saluto con soddisfazione il fatto che,
per la prima volta, la Commissione dedichi, alla presenza del sottosegretario Parisi, un’attenzione estrema al tema dell’editoria. Lo ringrazio per il suo intervento e
mi auguro che il Governo – questo e gli
altri che verranno – individui una figura
precisa, con delega ancora più ampia, su
questo tema. Infatti, possiamo girarci attorno, ma il sistema della comunicazione
risulta centrato, per come si è formato, su
due colossi televisivi: Mediaset e RAI. Se io
e il collega Vito cominciassimo adesso a
giocare su un qualunque nome di protagonista televisivo, creeremmo l’evento per i
giornali di domani mattina. Nella discussione sull’assetto del sistema editoriale, sul
libro, sulla carta stampata, vi è un elemento culturalmente diverso rispetto alla
riflessione che facciamo sulla TV, quello
della mediazione, che è completamente
sparito e che non è trasferibile soltanto
agli editori. È un meccanismo di cui siamo
parte. Credo che su questo dovremmo ragionare, non solo dare le colpe agli altri.
Tutti abbiamo sottolineato l’opportunità di affrontare il problema della distribuzione, ma ricordo all’onorevole Rossetto
che in Commissione eravamo tutti d’accordo sulla sperimentazione; però, nonostante la responsabilità collettiva, non
siamo riusciti ad approvare una proposta
di legge che recepiva, finalmente, una intesa tra editori ed edicolanti, che certo
non stava a noi riaprire. Ebbene, di quel
provvedimento non se ne fece niente perché – parlo di me stesso, non mi permetto
mai di accusare gli altri – era a tutti evidente che stava in fondo alla nostra
agenda, riguardando non l’etere ma la
carta stampata. Dunque, iniziamo a fare
cose concrete in questo settore.
Considero importante la proposta
avanzata dal collega Malgieri e, se non
sbaglio, ripresa anche dal collega Melograni, di una conferenza nazionale del settore, altrimenti si rischia sempre di trasferire la riflessione sul libro e la carta stampata all’interno del riassetto del sistema
radiotelevisivo. Dobbiamo invece ragionare, più ampiamente, del libro, dell’editoria, della biblioteca, dell’archivio e di tutta
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
l’idea della memoria, che non è solo quella
radioteletrasmessa.
A me sembra, quindi, che la proposta
di una conferenza nazionale di settore sia
da accogliere, da porre in calendario, anche perché potrebbe essere quella la sede
in cui presentare la riforma della legge
n. 416. E poiché mi è parso di capire che
Melograni ci invitasse a non farne una
sorta di conferenza-circo, la predisporrei
sulla base di dati e di relazioni. Ripeto,
credo che questa conferenza potrebbe essere l’occasione per discutere la relazione
sulla riforma della legge n. 416 e il tema
della distribuzione, nonché per fare il
punto sul ruolo del sottosegretariato e del
dipartimento. Immagino, in pratica, una
sorta di stati generali sul problema dell’editoria, del libro e dei giornali che affrontino il problema non solo dal punto di vista del dibattito teorico ma anche da
quello delle norme, essendo queste che a
noi mancano. Infatti, sappiamo tutto sulla
qualità dei direttori ma niente sulle misure strutturali da assumere per poter poi
criticare, cioè per poter dire, finalmente,
che siamo a posto, che abbiamo creato le
condizioni strutturali, per cui, a questo
punto, « chi vivrà vedrà ». Le pari opportunità non esistono in un mercato « drogato », qual è quello attuale: se oggi pongo
il problema di chiudere i giornali di tendenza, non compio un’azione liberale ma
un’azione che chiuderà le radio comunitarie, compresa Radio Radicale, le televisioni
comunitarie e una serie di giornali. Ma a
favore di che ? Dunque, solo dopo aver rifissato le regole si potrà dire: « Adesso, chi
ce la fa, ce la fa ».
Sarebbe sbagliato pensare che per il
prossimo ventennio questo paese possa
avere meccanismi d’assistenza. Bisogna
prima rifissare le regole, poi decidere
come si svolge la competizione, che non si
può fingere di riaprire in una situazione
« drogata », perché sarebbe rischioso.
Chiedo, quindi, se il sottosegretario Parisi
pensi di intervenire sul disegno di legge
Maccanico con una relazione dal punto di
vista dell’editoria, perché all’interno di tale
provvedimento si discute dell’authority e
degli indici di affollamento pubblicitario.
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 257 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
Su questi ultimi le tesi sono molto contrastanti: l’onorevole Rossetto, per esempio,
ritiene che non incidano, mentre numerosi
altri esperti, sia europei sia nazionali, non
solo nel settore degli editori ma anche in
quello dell’audiovisivo, dicono invece che
non è vero, che indici molto forti incidono
perché chiudono il mercato. Ripeto, sul disegno di legge Maccanico mi interessa il
punto di vista del sottosegretario Parisi
sotto il profilo degli interessi dell’editoria
in rapporto all’authority ed agli indici di
affollamento pubblicitario.
In merito alla riforma della legge
n. 416, vorrei conoscere i tempi di lavoro.
Mi permetterei di sottolineare, raccogliendo alcune indicazioni dell’onorevole
Melograni, che non possiamo rifare una
nuova legge 416 con il famoso emendamento « ammazzadebiti » del 1981, rinnovato nel 1987. Bisogna scegliere criteri di
altra natura: forse, bisogna lavorare più
attentamente sulle tariffe postali, che sono
molto alte e non competitive, soprattutto
per le aziende più piccole, e sull’innovazione tecnologica, verso la quale la legge
del 1981 ebbe il pregio di spingere i nostri
quotidiani e periodici. Ora vi è uno stato
di stallo, per cui mi chiedo se la legge
n. 416 non debba essere legata all’innovazione tecnologica.
Chiedo se, in questa direzione strutturale, siano previsti incentivi, non in denaro, alle nuove forme proprietarie. Se vogliamo superare la vecchia tradizione del
giornale puramente di partito o di tendenza, non possiamo non considerare che
nell’ultimo ventennio si è sviluppata –
penso al nord del paese, ma non solo –
una editoria associativa molto ricca e
molto presente, la quale non è vero che
chieda soldi sottobanco. Chiede cose molto
più semplici: tariffe postali trasparenti ed
adeguate, quindi di non essere penalizzata
ad ogni finanziaria con tariffe postali che
la strangolano; di essere riconosciuta come
settore non profit.
Come ha sottolineato poco fa l’onorevole Vito, si dice che la finanziaria tagli del
30 per cento il settore editoriale e che, in
qualche modo, elimini addirittura la pluralità delle agenzie. Chiedo al sottosegreta-
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
rio Parisi: nella finanziaria che tagli sono
stati definiti per il settore editoriale ? È
confermata, trattandosi di un punto delicato, la pluralità delle agenzie ? Saranno
confermati i servizi del settore radiocomunitario o delle radio di servizio (penso alla
stessa Radio Radicale) oppure saranno eliminati ? Ripeto, in questi giorni vi è stato
un grande allarme a seguito di voci secondo le quali siamo in presenza di una finanziaria che attua tagli sull’intero settore. Mi interessa capire se ciò corrisponda al vero. Ricordo che in sede di approvazione del disegno di legge finanziaria
dello scorso anno, a seguito della questione di fiducia posta dal Governo, risultarono respinti gli emendamenti condivisi
da tutte le forze politiche. Quella di quest’anno, quindi, sarebbe la seconda finanziaria a non dare un segnale nei confronti
del mondo dell’editoria.
Quanto alla questione relativa all’ordine dei giornalisti – lo dico al presidente
della Commissione – potrebbe essere a
mio avviso molto utile iscriverla all’ordine
del giorno. Esistono al riguardo posizioni
diverse: io illustrerò la mia. Non credo ai
miti; ritengo che siano due gli aspetti di
interesse pubblico nel campo della comunicazione: le modalità di accesso alla professione giornalistica e la deontologia, cioè
la tutela dei cittadini, le garanzie. Non mi
interessa che tutto ciò vada sotto la denominazione di ordine od altro; mi interessa
che le due funzioni rimangano saldamente
come elementi di interesse pubblico, che
non siano delegate semplicemente ad un
rapporto di tipo diverso, perché ritengo
che ciò sia fondamentale. Alcuni sono favorevoli all’abrogazione, altri alla conservazione; io sono contrario a mantenere in
vita gli istituti così come sono. Vorrei dunque che si aprisse la discussione, perché
ritengo che sarebbe di grande interesse;
credo che dovremmo verificare la possibilità di confrontare i progetti, le differenti
posizioni.
L’ultima questione sulla quale intendo
soffermarmi è quella della delega alle regioni, tema che spesso non viene affrontato. Come i colleghi sanno, spesso in materia di telecomunicazioni, come di edito-
Atti Parlamentari
XIII LEGISLATURA
Camera dei Deputati
— 258 —
—
SETTIMA COMMISSIONE
ria, le poche volte che le regioni hanno
provato a legiferare si sono aperte grandi
polemiche con i rispettivi TAR. Vi sono alcune leggi regionali, in tema di editoria e
di stampa, che riguardano il problema
delle tariffe, l’acquisizione dei locali, l’innovazione tecnologica; nel settore talune
regioni hanno realizzato esperienze.
Chiedo allora al sottosegretario: ritiene
possibile promuovere, nei tempi più brevi,
un incontro fra le regioni che hanno elaborato quelle leggi regionali, avere un rapporto su come esse stanno funzionando,
esaminare la materia anche sulla base dei
suggerimenti dell’onorevole Melograni ?
Quelle normative servono solo per elargire
finanziamenti a pioggia o hanno introdotto
elementi di apertura, di innovazione ? Non
lo so. Riguardano solo i quotidiani, o non
è il caso di verificare se tutta la parte dell’editoria – sia di tradizione (non solo locale), sia di specializzazione – sia ricompresa nei provvedimenti ? Il Governo
pensa che su questa materia possano essere trasferite deleghe alle regioni oppure
no ? Il problema delle leggi-quadro regionali deve essere preso in esame ? Per quale
motivo questo aspetto – mi riferisco al dibattito che stiamo affrontando sul decentramento – non dovrebbe investire anche i
settori delle telecomunicazioni e dell’editoria ? Pensate a quante regioni, ad esempio
nel centro-sud, non hanno quotidiani, ma
hanno solo un certo tipo di editoria periodica, o al fatto che lo sviluppo dell’editoria
in molte regioni del nord è di tipo associativo o anche religioso, con una vastissima
presenza di diversa natura.
In conclusione, sconsiglierei un approccio polemico alla materia, quale quello
realizzatosi nei confronti del sistema radiotelevisivo; in genere, l’approccio polemico ci porta a contrastarci ed a verificare
lo stallo dei provvedimenti. Poiché la materia ha una stretta attinenza – insisto –
con i temi della libertà di espressione,
forse sarebbe preferibile predisporre un’agenda dei problemi e cominciare poi a discuterli disponendo di argomentazioni e di
—
SEDUTA DEL
1O
OTTOBRE
1996
dati. Credo, infatti, che non debbano esservi solo elementi di schieramento sul
modo in cui si organizza la libertà della
comunicazione; al di là delle grandi opzioni teoriche divergenti, a mio avviso dovremmo compiere un grande sforzo per
avvicinare le posizioni e trovare comunque
punti di mediazione. Ciò mi parrebbe una
garanzia per tutti, perché la pluralità delle
voci è una garanzia per la comunità; la riduzione delle voci, quali che esse siano, innesca elementi a mio avviso molto preoccupanti nella stagione dell’Ulivo, collega
Rossetto, così come in qualsiasi altra stagione.
GIUSEPPE ROSSETTO. Se le voci non
le ascolta nessuno, è come se non ci fossero ! La Voce repubblicana non l’ascolta
nessuno, è come se non ci fosse. Se diamo
i soldi, c’è !
GIUSEPPE GIULIETTI. Mi rendo conto
che il problema è un po’ più ampio (se
vuole, poi, ne discutiamo): il punto è se costruire le condizioni affinché le voci interessanti in questo mitico libero mercato –
che non c’è –, qualora esistano, possano
affermarsi, o se creare le condizioni perché le voci siano due e fare finta che siano
solo quelle due.
Vorrei concludere con una battuta: per
certi aspetti, il mercato di Rialto, dove si
vende il pesce, è provvisto di elementi di
regolamentazione molto più seri del libero
mercato di cui lei parla.
PRESIDENTE. Il seguito dell’audizione
è rinviato alla seduta di domani.
La seduta termina alle 11,25.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO
STENOGRAFIA
DOTT. VINCENZO ARISTA
Licenziato per la stampa
dal Servizio Stenografia alle 17.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO
Stampato su carta riciclata ecologica
STC13-7AU-14
Lire 500